Studi e ricerche
Socialisti o missiliL’Italia nella politica estera kennediana
Leopoldo Nuti
Dopo aver ampiamente delineato le principali componenti della politica estera statunitense sotto la presidenza di Kennedy, il saggio prende in considerazione la linea a quel tempo perseguita dagli Stati Uniti nei confronti dell’Italia.La prima parte dell’articolo è incentrata sul dibattito sviluppatosi all’interno dell’amministrazione Kennedy sulla questione chiave della politica italiana nei primi anni sessanta, vale a dire l’“apertura a sinistra” , con l’inclusione del partito socialista di Pietro Nenni nella coalizione di governo. La seconda parte prende invece in esame le relazioni italoamericane nel contesto della diplomazia euroatlantica e descrive i vari livelli di cooperazione tra i due paesi in settori quali la compartecipazione nucleare, gli orientamenti strategici dello Stato e la sua dottrina militare, il futuro dell’integrazione europea.Infine, l’ultima parte cerca di valutare l’interazione tra i diversi fattori costitutivi della politica estera americana e il loro effetto combinato sul sistema politico italiano. La conclusione è che, a partire dal 1963, sia l’evoluzione del sistema internazionale verso una moderata distensione, sia la vaga simpatia dimostrata da taluni intellettuali progressisti vicini alla Casa Bianca nei confronti dell’“apertura a sinistra” ebbero un ruolo importante nel preparare la strada alla ridislocazione delle forze nella politica italiana.
After a broad outline o f the main components o f US foreign policy under President Kennedy, the paper looks at US policy toward Italy during the years o f his administration. A first section focuses on the debate within the Kennedy administration about the key issue o f Italian politics in the early 1960s, namely the “opening to the L e ft’’by the inclusion o f Pietro Nenni’s socialist party in the government coalition. A second section looks at US- Italian relations in the context o f Euro-Atlantic diplomacy, and describes the various degrees o f cooperation between the two countries in areas such as nuclear sharing, the strategic posture o f NATO and its military doctrine, and the future o f European integration.Finally, the last part o f the essay attempts to assess the combined effect on the Italian political system o f different aspects o f US foreign policy, and o f their interplay. It concludes that by 1963 both the evolution o f the international system toward a moderate detente and the vague sympathy shown by some liberal intellectuals in the White House toward the “opening to the L e ft” played an important role in paving the way to a new alignment o f forces in Italian politics.
Italia contemporanea”, settembre 1996, n. 204
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Introduzione
“Fu una lotta che sembrava non avere mai fine” , scrisse Arthur Schlesinger nel 1965 a proposito delle difficoltà incontrate dall’amministrazione Kennedy nel modificare la posizione del Dipartimento di Stato verso la politica italiana: “Sembrava di essere intrappolati in un romanzo di Kafka. Era molto peggio [...] che portare un materasso matrimoniale su per una stretta rampa di scale ripide” 1; e qualche anno dopo Robert Kennedy ricordò sorridendo a Leo Wollemborg che all’interno dell’esecutivo guidato da suo fratello c’era stata una vera e propria “battaglia” in merito alla linea da tenere verso l’Italia2.
Per gli esponenti dell’amministrazione Kennedy che vi furono coinvolti, in effetti, la definizione della linea politica da tenere nei confronti dei problemi italiani fu un’esperienza particolarmente aspra e frustrante. Sarebbe però errato desumere dai loro giudizi che quei problemi costituissero all’epoca una delle principali preoccupazioni del presidente degli Stati Uniti. Tra il 1961 e il 1963, infatti, i problemi relativi all’Italia non furono quasi mai oggetto di particolari preoccupazioni da parte della Casa Bianca, che in Europa dovette concentrare la propria attenzione su situazioni molto più critiche, quali le iniziative della Francia gollista e le tensioni relative all’assetto di Berlino o su questioni minori quali, ad esempio, i contra
sti tra lo State Department e il regime di Salazar sulle colonie portoghesi in Africa. Tuttavia, per quanto la politica dell’amministrazione Kennedy nei confronti dell’Italia possa sembrare adatta solo a un case study di importanza secondaria, essa risulta di particolare interesse non solo, ovviamente, dal punto di vista italiano, ma anche da quello più generale dello studio della politica estera americana, perché nei rapporti italoamerica- ni dei primi anni sessanta si intersecano in modo singolare gran parte delle tematiche kennediane.
Per evidenziare tutte le varie componenti di tale intreccio, questo saggio è stato diviso in due parti. La prima è dedicata all’esame delle componenti della politica estera kenne- diana che più influenzarono i rapporti con l’Italia, cioè sia la strategia “riformista” concepita per il Terzo mondo sia quella elaborata per le relazioni con i paesi alleati all’interno del blocco atlantico. Nella seconda parte si analizzano invece le relazioni tra gli Stati Uniti e l’Italia alla luce di queste strategie, prima esaminando come l’amministrazione Kennedy affrontò il problema dell’apertura a sinistra, e poi soffermandosi sui rapporti tra Roma e Washington nel quadro complessivo delle relazioni internazionali e della politica di sicurezza. Nelle considerazioni conclusive, infine, si valuta quali conseguenze abbiano avuto sul sistema politico italiano sia l’intreccio tra le varie linee della politica estera kennediana sia l’evoluzione del quadro in-
Questo lavoro costituisce un approfondimento della relazione (The Italian Policy o f thè Kennedy Administration) presentata da chi scrive al convegno “Kennedy and Europe”, organizzato all’Istituto universitario europeo nell’autunno del 1992, e riprende alcuni spunti di un successivo articolo L'administration Kennedy et sa politique italienne: un ‘test case’ du processus de décision dans la politique étrangère des Etats-Unis, “Relations Internationales”, 1995, n. 84, pp. 485-500. Entrambi anticipano alcune delle conclusioni di uno studio più ampio su Gli Stati Uniti e le origini del centrosinistra, 1955-1964, che dovrebbe essere pubblicato nel 1997.1 Arthur M. Schlesinger Jr., A Thousand Days. John F. Kennedy in thè White House, New York, Ballantine Books, 1971, p. 804 (prima edizione 1965). Schlesinger prese in prestito la metafora del materasso doppio dall’ex sottosegretario di Stato Chester Bowles, che la usava per sottolineare quanto fosse difficile costringere una burocrazia a cambiare un punto di vista consolidato.
Leo Wollemborg, Nenni was not thè devii: una copia dell’articolo si trova in Wayne State University, Detroit, Michigan (d’ora in poi WSU), Walter P. Reuther Library, Archives of Labor and Urban Affairs (d’ora in poi WSU, WRLA- LUA), Victor Reuther Papers (d’ora in poi V. Reuther), box 35, f. 25.
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ternazionale, per concludere che entrambi questi fattori ebbero un ruolo rilevante nel favorire la nascita di un governo di centrosinistra.
“To steal thè thunder from thè left” : l’ideologia della politica estera della nuova amministrazione
La progressiva evoluzione della rivoluzione cubana in senso comunista e il conseguente avvicinamento aH’Urss del regime instaurato da Fidel Castro ebbero un effetto profondo sulla politica estera americana e contribuirono a stimolare il processo di riformulazione delle linee di fondo con le quali gli Stati Uniti avevano cercato di contenere la penetrazione politico-strategica deH’Unione Sovietica nel Terzo mondo. I primi sviluppi di tale processo si erano avuti fin dagli ultimi tempi di Eisenhower, ma l’incertezza che aveva caratterizzato la fase finale della leadership dell’anziano presidente era prevalsa su ogni tentativo di dar vita ad un nuovo corso3. Spettò dunque all’amministrazione Kennedy cercare una risposta alla minaccia di una progressiva erosione delle posizioni americane nei paesi in via di sviluppo o da poco usciti dall’esperienza coloniale. Nella formulazione di questa nuova politica ebbe un ruolo decisivo l’orientamento degli intellettuali chiamati da Kennedy a far parte della
sua amministrazione, secondo i quali gli Stati Uniti dovevano abbandonare il rigido anticomunismo degli anni cinquanta e incoraggiare riforme che, migliorando le condizioni di vita delle popolazioni dei paesi di nuova indipendenza, vi rendessero difficile la pene- trazione della propaganda comunista. Quest’impostazione era in particolare sostenuta da quel gruppo di economisti e politologi di Harvard e del Mit, quali Walt Rostow e Max Millikan, che negli anni precedenti era giunto alla conclusione che solo riforme economico-sociali su larga scala avrebbero condotto alla creazione di democrazie stabili nel Terzo mondo4. L'entourage intellettuale di cui Kennedy amava circondarsi raccomandava quindi caldamente un nuovo orientamento nella politica estera americana che facesse degli Stati Uniti l’alfiere di una serie di rivoluzioni democratiche e distruggesse l’immagine diffusa dalla propaganda sovietica di una superpotenza americana baluardo della reazione mondiale. Si trattava, in parte, di riprendere quella linea di “esportazione del New deal” che aveva caratterizzato la politica estera americana dell’immediato dopoguerra e che era stata applicata con successo nell’Europa occidentale con il Piano Marshall. Quest’atteggiamento si accompagnava poi a una critica severa della politica seguita daH’amministrazione Eisenhower, giudicata passiva e incerta e accusata di aver “nascosto i problemi sotto il tappeto
3 Sull’impatto della rivoluzione cubana, cfr. Richard E. Welch Jr., The Response to Revolution: The United States and the Cuban Revolution, 1959-1961, Chapel Hill, North Carolina University Press, 1985; Stephen Rabe, Eisenhower and Latin America, Chapel Hill, North Carolina U. Press, 1988; Thomas G. Paterson, Contesting Castro: the United States and the Triumph o f the Cuban Revolution, New York, Oxford University Press, 1994. Per un’analisi dei fermenti degli ultimi anni dell’amministrazione Eisenhower e, in particolare, del rapporto del Committee on Foreign Relations diretto dal senatore Fulbright, cfr. Mario Margiocco, Stati Uniti e Pei, 1943-1980, Roma-Bari, Laterza, 1981, pp. 67-72.4 Tony Smith, Exporting Democracy to Latin America: the Case o f the Alliance for Progress, in Abraham Lowentahl (a cura di), Exporting Democracy: the United States and Latin America, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 1991; T. Smith, America’s Mission. The United States and the Worldwide Struggle for Democracy in the Twentieth Century Princeton, Princeton University Oress, 1994. Sulla Charles River school di Rostow e Millikan, cfr. Robert Packenham, Liberal America and the Third World: Political Development Ideas in Foreign Aid and Social Science, Princeton, Princeton University Press, 1973 e, più in generale, Arthur Schlesinger Jr., A Thousand Days, cit.. Sono particolarmente riconoscente al professor Tony Smith per avermi permesso di consultare il dattiloscritto del suo contributo al volume di Lowenthal quando era ancora in corso di preparazione.
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per 8 anni”5, e ad una radicata convinzione di disporre dei mezzi intellettuali e materiali idonei ad affrontare in modo più energico e sofisticato i tremendi compiti posti dalla sfida con l’Urss6.
La ricerca di una nuova politica per opporsi alla crescita dell’influenza comunista era però destinata a scontrarsi con una serie di ostacoli. In primo luogo, la nuova politica volta a “esportare democrazia” doveva essere inserita nel contesto globale del confronto con l’Urss e, quindi, essere bilanciata con le molteplici esigenze del quadro strategico generale. Combattere la guerra fredda con un più attivo programma di riforme significava infatti decidere fino a che punto abbandonare o modificare i vecchi metodi per far posto ai nuovi; significava trovare un equilibrio, per esempio, tra i programmi di assistenza militare e quelli economici o di assistenza allo sviluppo, dal momento che non sarebbe stato possibile espanderli entrambi. Gli intellettuali della Nuova frontiera, del resto, non erano dei pacifisti disposti a liquidare tout court ogni impegno militare, ché anzi alcuni di loro mostravano uno spiccato interesse nell’ela- borare programmi militari che permettessero l’applicazione della nuova linea politica al sicuro da ogni minaccia di sovversione7.
Equilibrare vecchi e nuovi metodi non era però semplicemente un problema di amministrazione delle risorse degli Stati Uniti: si trattava anche, e soprattutto, di rendere compatibile la speranza che il nuovo corso desse
vita a democrazie più solide e, perciò, meno vulnerabili all’influenza comunista, con il timore che le misure adottate a questo scopo alienassero i gruppi dirigenti dei paesi alleati, che fino a quel momento avevano garantito agli Stati Uniti la propria disponibilità a restare al loro fianco ma che non sembravano particolarmente propensi né a mettere in discussione il proprio ruolo né ad adattarsi al nuovo corso. Anche se i paesi in via di sviluppo annoveravano molte forze disposte ad accogliere i nuovi programmi riformisti, infatti, i gruppi che rappresentavano gli interessi consolidatisi negli anni precedenti attorno all’alleanza con Washington non potevano che accogliere con molto sospetto ogni proposta di cambiamento che sembrasse intaccare i loro privilegi e il loro status.
Neppure all’interno della stessa amministrazione Kennedy mancavano sfiducia e diffidenza. Diplomatici e burocrati formatisi in un clima di rigido anticomunismo non sempre accolsero con entusiasmo un atteggiamento di aperto sostegno ai programmi riformisti, per l’attuazione dei quali occorreva aprire un dialogo con forze politiche alle quali fino a poco tempo prima si era guardato con sospetto se non con aperta ostilità. Lo scontro tra innovatori e tradizionalisti costituì perciò uno dei temi dominanti di tutta l’amministrazione Kennedy e forti divergenze caratterizzarono l’elaborazione e l’applicazione della politica americana sia nel caso dell’Alleanza per il progresso, che del nuovo
5 John Kenneth Galbraith, Ambassador's Journal. A Personal Account o f the Kennedy Years, Boston, Houghton Mifflin, 1969, p. 8.6 Sull’attivismo di Kennedy e del suo entourage, cfr. T. G. Paterson, Introduction, John F. Kennedy’s Quest for Victory and Global Crises, (a cura di), in T. G. Paterson Kennedy’s Quest for Victory. American Foreign Policy 1961-1963, New York, Oxford University Press, 1989.7 Arthur M. Schlesinger, Jr., (Robert Kennedy and his Times, New York, Bailamme Books, 1979, pp. 495-503) spiega in maniera molto efficace il fascino esercitato sull’amministrazione Kennedy dalle teorie di counterinsurgency. Per un ulteriore approfondimento, cfr. Douglas S. Blaufarb, The Counterinsurgency Era: U.S. Doctrine and Performance, 1950 to the Present, New York, Free Press, 1977; Larry E. Cable, Conflict o f Myths: the Development o f American Counterinsurgency Doctrine and the Vietnam War, New York, New York University Press, 1986; Michael McClintock, Instruments o f Statecraft: U.S. Guerrilla Warfare, Counterinsurgency, and Counter-terrorism, 1940-1990, New York, Pantheon Books, 1992; Theodore Shackley, The Third Option: an American View o f Counterinsurgency Operations, New York, Reader’s Digest Press, McGraw-Hill, 1981).
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corso costituì l’esempio più importante, sia negli altri casi nei quali un maggiore impegno riformista venne a scontrarsi con l’impostazione precedente. Il contrasto tra le due linee politiche fu inoltre accentuato dall’ambiguo comportamento del presidente, le cui simpatie potevano sì essere rivolte verso il gruppo degli intellettuali progressisti, ma il cui istinto politico lo portava a coprirsi le spalle schierandosi spesso con i settori più tradizionalisti. I programmi di riforme ebbero perciò un iter travagliato sia nei paesi nei quali si sarebbero dovuti realizzare sia all’interno dell’amministrazione Kennedy e suscitarono reazioni che andavano dalla piena adesione allo scetticismo o anche al netto rifiuto: dall’Africa all’Iran all’America Latina, la polarizzazione reazione-innovazione si ripetè sia in loco sia all’interno dell’amministrazione americana, con il risultato che gran parte delle scelte politiche operate non furono altro che compromessi, molto meno innovativi di quanto inizialmente auspicato8.
L’amministrazione Kennedy e l’Europa
In Europa la politica estera della nuova amministrazione doveva muoversi entro spazi e secondo coordinate molto diversi da quelli individuati per il Terzo mondo. L’Europa occidentale restava il fulcro principale della politica estera americana, il terreno dove si giocavano le sorti dello scontro con l’Unione Sovietica, ma, con la parziale eccezione lega
ta allo sviluppo e al culmine della crisi di Berlino, in Europa l’amministrazione non percepiva quella sensazione di drammaticità, quella necessità di agire in fretta e con tempismo per evitare una vittoria dell’avversario, che caratterizzava invece il confronto con l’Urss nei territori extraeuropei. L’Europa occidentale sembrava ormai saldamente legata agli Stati Uniti con l’Alleanza atlantica e il compito principale che la diplomazia americana si prefiggeva era, perciò, quello di mantenere la coesione della Nato e di evitare che tra gli alleati si diffondesse una sensazione di sfiducia di fronte al nuovo dinamismo della politica estera di Chruscèv.
Questo compito, con tutte le conseguenze che ne derivavano, si rivelò però col passare del tempo una potenziale fonte di contrasto con un’altra delle scelte fondamentali della nuova amministrazione. Fin dai primi mesi del 1961, infatti, apparve chiaro che il principale orientamento strategico dell’amministrazione Kennedy consisteva nel cercare di invertire la crescita esponenziale delle armi nucleari che aveva caratterizzato il periodo precedente, o perlomeno di ridurre il più possibile il rischio di una guerra atomica. Una volta che la teoria della rappresaglia massiccia ebbe perso la propria credibilità dopo che anche il territorio degli Stati Uniti si trovò ad essere esposto al pericolo di un attacco nucleare sovietico, la strategia americana cominciò infatti a prefiggersi lo scopo di mantenere sotto controllo una possibile escalation nucleare, piuttosto che persistere con la mi-
8 Sul tentativo di avviare l’Iran verso una democratizzazione, cfr. James Goode, Reforming Iran during the Kennedy Years, “Diplomatic History” , 1991, n. 1, pp. 13-30; James A. Bill, The Eagle and the Lion: the Tragedy o f American- Iranian Relations, New Haven, Yale University Press, 1988; Barry M. Rubin, Paved with Good Intentions: the American Experience and Iran, New York, Oxford University Press, 1980. Sull’Africa, Richard D. Mahoney, JFK: Ordeal in Africa, New York, Oxford University Press, 1983 e Thomas J. Noer, New Frontiers and Old Priorities in Africa, in T. G. Paterson (a cura di), Kennedy’s Quest for Victory, cit., pp. 253-283. Sulle colonie portoghesi, George Ball, The Past has Another Pattern. Memoirs, New York, Norton, 1982, pp. 274-282 e José Freire Antunes, Kennedy e Salazar. O lead e a raposa, Lisboa, Difusäo Cultural, 1991. Su Alleanza per il progresso, oltre alle opere di T. Smith, citate, cfr. Richard Goodwin, Remembering America. A voice from the Sixties, New York, Harper and Row, 1988; Jerome Levinson, Juan de Onis (a cura di), The Alliance that Lost its Way, New York, Quadrangle, 1970; Stephen G. Rabe, Controlling Revolution: Latin America. The Alliance for Progress and Cold War Anti-communism, in T. Paterson, Kennedy’s Quest for Victory, cit, pp. 195-122.
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naccia di contenere immediatamente e con ogni mezzo, compresa la rappresaglia atomica, ogni mossa aggressiva da parte sovietica. In questo contesto vanno considerate le scelte strategico-politiche della nuova amministrazione: l’insistenza sulla teoria della risposta flessibile, e quindi di una reazione adeguata al livello dell’aggressione scatenata dall’avversario; le pressioni sugli alleati europei perché aumentassero la potenza delle loro forze convenzionali, in modo da non costringere l’alleanza atlantica a rispondere quasi automaticamente a un’aggressione convenzionale con il fuoco atomico; e, infine, i tentativi del nuovo segretario della difesa, Robert McNamara, di accentrare quanto più possibile il controllo sull’impiego delle armi atomiche, sia riducendone la disseminazione presso gli alleati, sia introducendo meccanismi elettronici di autorizzazione al loro impiego che ne impedissero l’uso senza il consenso del presidente9. In sostanza, la nuova amministrazione si prefiggeva il compito di rendere “il protettorato americano più convincente per i sovietici e gli europei e meno pericoloso per gli americani” 10 11.
Implicita in questa linea strategico-politica era una sorta di tacita intesa con la controparte sovietica che una guerra nucleare sarebbe stata disastrosa per entrambi i contendenti e che la proliferazione delle armi atomiche costituiva un rischio altrettanto grave per tutte e due le superpotenze. Ovviamente tale intesa non sarebbe stata sviluppata apertamente e chiaramente formalizzata che di lì a qualche anno, ma le sue premesse erano in qualche modo già individuabili nella ricerca e nella formulazione di una alternativa al concetto
di deterrenza basato pressoché esclusivamente sulla minaccia dell’arma nucleare che l’Alleanza atlantica aveva seguito fino a quel momento. E proprio nella ricerca di tale alternativa risiedeva la potenziale fonte di contrasto con gli alleati europei, i quali avevano del pari subito lo shock provocato dall’acquisizione da parte sovietica di una capacità balistica intercontinentale che aveva posto fine all’inviolabilità del territorio americano. La reazione europea, tuttavia, si era progressivamente indirizzata in senso opposto a quello americano nel tentativo di bilanciare le nuove capacità strategiche dell’Urss con l’acquisizione di un maggior controllo sul deterrente nucleare della Nato: fin dall’autunno del 1957, infatti, l’Alleanza aveva dato chiari segni di nervosismo e di incertezza al riguardo e un po’ tutte le principali potenze europee avevano mostrato chiaramente di volere una qualche forma di assicurazione che andasse oltre il testo del trattato istitutivo dell’Alleanza e che confermasse la volontà degli Stati Uniti di rischiare un conflitto nucleare pur di fermare un’aggressione sovietica in Europa. Nel caso francese, questa pretesa di una controassicurazione, coniugata alla volontà gollista di consolidare la posizione di potenza della Francia, si era spinta fino alla decisione di completare le iniziative avviate dalla Quarta repubblica e di costituire per la Francia un deterrente nucleare nazionale autonomo rispetto a quello dell’Alleanza; nel caso delle altre potenze europee, si cercò invece di dar vita a una forza nucleare sotto controllo comune ma collocata all’intemo della Nato, in cui anche gli stati europei potessero avere un ruolo ben definito circa l’impiego delle armi atomiche". Queste
9 Su McNamara e la strategia della risposta flessibile, cfr. Deborah Shapley, Promise and Power. The Life and Times of Robert McNamara, Boston, Little Brown, 1992); Jane E. Stromseth, The Origins o f Flexible Response. Nato’s Debate over Strategy in the 1960s, New York, St. Martin’s Press, 1988.10 David Calleo, Beyond American Hegemony. The Future o f the Western Alliance, New York, Basic Books, 1987, p. 45.11 Per un primo, ambiguo tentativo di dar vita a una possibile produzione trilaterale italo-franco-tedesca di armi nucleari, cfr. gli studi di Colette Barbier, Eckart Conze, Leopoldo Nuti su “Histoire Diplomatique” , 1990, n. 1-2; Georges-Henri Soutou, Les accords de 1957 et 1958: vers une communauté stratégique et nucléaire entre la France, l'Allemagne et l'Italie?, “Matériaux pour l’histoire de notre temps” , 1993, n. 31, pp. 1-12.
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spinte e queste tensioni avevano dato vita negli ultimi anni dell’amministrazione Eisenho- wer a due progetti, il primo allestito dal comandante supremo dell’Alleanza in Europa il generale Lauris Norstad, e il secondo, divenuto poi noto con il nome di Forza multilaterale, dall’ex direttore del Policy Planning Staff del Dipartimento di Stato Robert Bowie12. Entrambe le proposte si muovevano, sia pure con qualche differenza, nella direzione desiderata dagli alleati europei e l’amministrazione Kennedy, una volta insediata, si trovò a dover proseguire lungo la strada indicata daH’ammi- nistrazione Eisenhower se non voleva correre il rischio di un progressivo deterioramento dei rapporti aH’interno della Nato. Tuttavia il contrasto tra queste iniziative e la scelta strategica di fondo di ridurre i rischi di una guerra nucleare era palese e ben presto all’interno della stessa amministrazione cominciò a manifestarsi una pluralità di opinioni circa le priorità da assegnare all’una o all’altra linea politica13. Doveva prevalere la logica del sostegno dell’Alleanza a ogni costo, quella del progressivo accentramento del controllo delle armi nucleari nelle mani del presidente, o qualche altra soluzione intermedia ? La politica europea-atlantica deH’amministrazione Kennedy fu quindi influenzata da spinte e tendenze molto diverse, talora apertamente contrapposte, e oscillò ripetutamente tra l’una o l’altra direzione: né esisteva una soluzione immediata che permettesse di conciliare e bilanciare le aspirazioni nucleari francesi con il mantenimento degli equilibri all’interno della Nato e con la ricerca di una strategia che consentisse di innalzare la soglia del conflitto atomico. Di fronte ai marcati contrasti esistenti
all’interno della sua amministrazione e alla diversità di opinioni riscontrata tra gli alleati europei, lo stesso presidente Kennedy finì per adottare un atteggiamento molto pragmatico e flessibile, esitando a prendere decisioni drastiche e definitive e ritornando spesso sui propri passi: solo dopo la conferenza di Nassau del dicembre 1962 e la crisi aperta da De Gaul- le in seno alla Nato, con la conferenza stampa del 14 gennaio 1963 e la firma del trattato del- l’Eliseo il 22, sembrò che la politica atlantica degli Stati Uniti cominciasse ad orientarsi in una direzione più precisa, ma anche in quel periodo non mancarono ripensamenti e incertezze.
La politica europea dell’amministrazione Kennedy ebbe perciò un programma molto meno dettagliato e meno influenzato dall’ideologia euroatlantica di quanto spesso la storiografia successiva abbia ritenuto: se con l’espressione grand design si intende infatti indicare un programma mirante a costituire una stretta comunità atlantica costituita da due poli — gli Usa e la Comunità europea — di pari peso e di pari importanza politico-strategica, non sembra che le iniziative deH’ammini- strazione Kennedy si possano differenziare sostanzialmente, per dinamismo, intensità o originalità delle proposte, dalla linea generale seguita dagli Stati Uniti verso l’Europa a partire dalla seconda metà degli anni quaranta. In effetti, se si eccettuano alcune fasi particolari, non sembra appropriato parlare di un grand design kennediano contrapposto al progetto gollista di Europa delle patrie, se non come semplice abbozzo di una linea politica piuttosto che come progetto compiuto14. Nessuna delle strutture che avrebbero dovuto costituire
12 Per la genesi del piano Norstad, cfr. David N. Schwarz, Nato's Nuclear Dilemmas, Washington, Brookings, 1983, e John Steinbruner, The Cybernetic Theory o f Decision-Making Princeton, Princeton University Press, 1974; per la proposta di Robert Bowie, cfr. R. Bowie, The North Atlantic Nations. Tasks for the 1960s. A Report to the Secretary of State, August 1960, pubblicato come occasional paper dal Nuclear History Program e messo a disposizione della III Review Conference del Nhp, Ebenhausen, giugno 1991.13 Alla domanda se nell’amministrazione Kennedy vi fossero due posizioni diverse sul controllo delle armi nucleari, McGeorge Bundy rispose sorridendo “Come minimo!” (Intervista con l’autore, marzo 1991).14 Frank Costigliela ritiene invece che “la comunità atlantica” fosse un obiettivo prioritario della politica estera di Ken-
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le basi del grand design — la creazione di una forza nucleare multilaterale, la riduzione delle tariffe doganali all’interno della comunità atlantica, l’allargamento della Comunità europea alla Gran Bretagna — fu infatti oggetto di una costante attenzione o di una politica altrettanto coerente quanto quella elaborata per la riduzione dei rischi nucleari. La forza multilaterale restò un esperimento cui solo in qualche momento particolare si ritenne di dare un’importanza maggiore, e quasi sempre per fini di carattere strettamente contingente; i negoziati per la riduzione delle tariffe iniziarono con ritardo e si svolsero con notevole lentezza e in mezzo a mille difficoltà; l’ingresso della Gran Bretagna nella Comunità europea fu si sostenuto daU’amministrazione, ma risentì dello stesso dilemma che aveva caratterizzato la politica europea degli Stati Uniti fin dal fallimento della Ced (Comunità europea di difesa) e, cioè, che una dimostrazione di eccessivo interesse da parte americana avrebbe potuto provocare effetti controproducenti, consigliando perciò l’adozione di una linea politica di appoggio discreto e non troppo evidente. Il grand design sembra perciò ridursi più a uno slogan propagandistico, coniato da alcuni giornalisti e dai settori più accanita- mente europeisti del Dipartimento di Stato, che non indicare una politica coerentemente svolta da tutta l’amministrazione e in particolare dal presidente Kennedy: nei confronti dell’Europa occidentale, l’amministrazione non sviluppò infatti nessuna politica coerente se non a livello di abbozzo15.
C’è un episodio che, al di là delle dichiarazioni ufficiali e delle posizioni dei vari diparti
menti, serve a riassumere il senso di quanto si è cercato di dimostrare e a esemplificare in maniera chiarissima l’effettivo ordine di priorità tra i vari obiettivi di politica estera del presidente Kennedy e, in particolare, tra il conseguimento di un primo passo verso un’intesa con l’Urss in merito al controllo degli armamenti e il cosiddetto grand design: alla fine di luglio del 1963, alla vigilia della loro partenza per Mosca dove dovevano concludere il negoziato per la firma del Limited Test Ban Treaty, Walter Averell Harriman e Cari Kaysen ebbero un colloquio con Kennedy nel corso del quale il presidente dette loro ampia libertà di manovra per raggiungere un’intesa per la limitazione dei test nucleari con Mosca che comprendesse anche la Cina. Harriman chiese come avrebbe dovuto comportarsi per rendere la proposta più accettabile per i sovietici, accennando alla possibilità di rinunciare, da parte americana, alla Forza multilaterale. La risposta di Kennedy fu “Va bene, gettala nel mucchio se può servire a raggiungere un’intesa sulla Cina” , e i suoi interlocutori “ebbero l’impressione che fosse disposto a scambiare la Mlf per un trattato che vietasse tutti gli esperimenti nucleari e permettesse un numero accettabile di ispezioni di verifica” 16.
I rapporti tra gli Stati Uniti e l’Italia negli anni di Kennedy
La politica italiana delFamministrazione Kennedy si trovò ad essere influenzata tanto dalla dimensione ideologica volta a promuovere il riformismo come arma per combattere il co-
nedy: F. Costigliola, The Failed Disegn: Kennedy, De Gaulle and the Struggle for Europe, “Diplomatic History”, estate 1984, pp. 227-251; Id., The Pursuit o f Atlantic Community: Nuclear Arms, Dollars and Berlin, in T. Paterson (a cura di), Kennedy’s Quest, cit.15 Joseph Kraft, The Grand Design: from Common Market to Atlantic Partnership, New York, Harper, 1962.16 L’episodio è raccontato da Arthur M. Schlesinger nella versione originale de 1 mille giorni, ma, forse perché non corrisponde del tutto all’iconografia ufficiale del Kennedy “europeista” , è stato espunto dalla versione pubblicata, cfr. “A Thousand Days — Manuscript” , 1st draft, in JFK Library (d’ora in poi JFK) Papers of Arthur M. Schlesinger Jr. (d’ora in poi A.M. Schlesinger Jr.), Writings, box W18, f. 23, pp. 1410-1411. Il racconto di Schlesinger, secondo le note contenute nel manoscritto, si basa su un appunto del suo diario alla data del 28 luglio 1963 e su due successive conversazioni con Harriman e Kaysen.
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munismo, quanto dal dibattito circa l’elaborazione di una nuova strategia euroatlantica. Per comprendere appieno l’effetto dell’intersezione di queste due componenti della politica estera americana sulle relazioni tra Roma e Washington, i due aspetti saranno analizzati prima separatamente, per poi cercare di definire il risultato del loro intreccio.
Negli anni cinquanta il problema dell’evoluzione del partito socialista italiano verso una posizione politica simile a quella della socialdemocrazia occidentale era stato seguito con particolare attenzione dall’amministrazione Eisenhower; tuttavia, fino alle crisi provocate dalla pubblicazione del rapporto Chruscév e dalla rivolta ungherese, a Washington si guardò con estremo scetticismo alle manovre di Nenni, considerate in sostanza come un modo per dar vita a un fronte popolare malamente camuffato sotto il tentativo di sganciare il Psi dal suo rapporto di dipendenza dal Pei. Come ha scritto al riguardo William Colby, all’epoca responsabile delle covert operations presso la stazione romana della Cia, “gli avversari [del Psi] ricordavano l’ambiguità delle dichiarazioni e delle prese di posizione dei socialisti, ed esigevano che rompessero chiaramente con i loro alleati prima di venire accettati come membri rispettabili della democrazia occidentale” 17. La strategia aggressiva seguita dall’amministra- zione Eisenhower durante i suoi primi quattro anni nei confronti dell’Unione Sovietica prevedeva, inoltre, che fosse necessario tenere l’avversario sotto costante pressione per costringerlo a muoversi quanto più possibile nella direzione auspicata e questa stessa logica era stata seguita nei confronti della situa
zione politica italiana e del Psi. Per citare le parole della grintosa ambasciatrice americana, la celeberrima signora Luce:
Nenni si sposterà verso il centro più di quanto Sa- ragat si sposterà a sinistra [....] Comunque il m atrimonio sarà tanto più ricco di significato se il suo movimento verso il centro non gli sarà reso tanto facile18.
La situazione cominciò a cambiare negli anni successivi al 1956, quando il nuovo ambasciatore David Zellerbach lasciò maggiore spazio alle iniziative dei suoi subordinati e, in particolare, al primo segretario d’ambasciata George Lister. Questi, arrivato all’ambasciata di Roma nel dicembre del 1957, iniziò con il consenso di Zellerbach un lento processo di avvicinamento agli autonomisti del Psi tramite una serie di incontri nel corso dei quali le due parti si scambiarono le rispettive opinioni sulla situazione politica interna e internazionale, dapprima in modo cauto e guardingo e poi, con il passare del tempo, in toni sempre più amichevoli e confidenziali19. Alla fine dell’amministrazione Eisenhower, tuttavia, le conversazioni tra Lister e gli autonomisti erano riuscite a spezzare parte della diffidenza iniziale che il Dipartimento di Stato nutriva nei confronti di Nenni, ma non a convincere gli americani che l’apertura a sinistra avrebbe contribuito a stabilizzare la situazione politica italiana.
L’attenzione di alcuni esponenti liberal dell’amministrazione Kennedy fu immediatamente attratta dal problema dello stallo nell’attuazione dell’apertura a sinistra, sia in relazione alla naturale tendenza a simpatizzare per i problemi di quelle forze politiche
17 William Colby, Peter Forboth, La mia vita nella Cia, Milano, Mursia, 1996, pp. 93-94 (ed. or. My life in the Cia, London, Hutchinson & Co., 1978).18 Claire Booth Luce, Italy and the European Situation, January 8, 1957, in Archives of the Council for Foreign Relations, New York, Minutes of meetings.19 Intervista con George Lister, Washington, giugno 1991. Il primo incontro con un esponente del Psi Lister lo ebbe con Riccardo Lombardi: “Memorandum of Conversation with Psi Leader Riccardo Lombardi” , February 3, 1958, in National Archives and Records Service (d’ora in poi NAW), Foreign Service Despatch n. 956, RG 59, CD Files 1955-1959, b. 3608, 765.00/2-358.
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che, al pari loro, intendevano attuare una politica di vigoroso riformismo; sia per il tipico attivismo che caratterizzava lo spirito della nuova amministrazione e spingeva i suoi membri ad affrontare i problemi in maniera diretta ed esplicita. In particolare la problematica italiana attirò l’attenzione di tre personalità vicine alla Casa Bianca e che avevano tutte particolare interesse per le vicende italiane. Il principale esponente della Nuova frontiera che si occupò delle vicende italiane fu Arthur M. Schlesinger Jr., lo storico dell’era rooseveltiana che Kennedy aveva chiamato alla Casa Bianca con l’incarico di scrivere la storia ufficiale della sua amministrazione e con il compito imprecisato di essere il suo “consigliere speciale” : nel suo nuovo incarico, Schlesinger rinnovò il suo interesse per la politica italiana a lui familiare fin dall’adolescenza, dal momento che suo padre, anch’egli storico ad Harvard, era stato tra coloro che erano riusciti a portare Gaetano Salvemini a insegnare nel prestigioso ateneo americano, e aveva fatto dell’esule italiano un abituale frequentatore di casa Schlesinger20. La dimestichezza con la storia italiana e con la visione critica ereditata da Salvemini, la sua personale posizione politica progressista, il suo interesse per tutti quei movimenti intellettuali e politici che in qualche modo riecheggiassero le posizioni espresse dalla Nuova frontiera, finirono per fare di Schlesinger un elemento centrale nella formulazione di una diversa politica americana nei confronti dell’Italia e, in particolare, lo portarono a caldeggiare fin dai primi mesi del 1961 l’attuazione dell’apertura a sinistra nella speranza che l’ingresso del Psi al governo consentis
se l’attuazione delle riforme necessarie a modernizzare la società italiana.
Il principale interlocutore di Schlesinger nell’elaborazione di una nuova strategia per l’Italia fu Robert W. Komer, un altro membro dello staff della Casa Bianca. L’interesse di Komer per la politica italiana era sorto durante la seconda guerra mondiale, quando da tenente aveva partecipato alla campagna d’Italia presso il Quartier generale delle forze alleate compilando anche una storia ufficiale del governo militare alleato nel teatro Medi- terraneo21. Dopo la guerra, Komer era entrato a far parte della Cia praticamente fin dalla sua creazione, lavorando presso il Board of Intelligence Estimates come capo della sezione europea, compito, questo, che lo aveva mantenuto a stretto contatto con la problematica italiana e gli aveva permesso altresì di studiare le operazioni clandestine condotte dall’intelligence americana all’interno della sinistra sia in Francia sia in Giappone; distaccato nel 1956 come funzionario di collegamento tra la Cia e il National Security Council sotto l’amministrazione Eisenhower, Komer rimase a far parte dello staff della Casa Bianca durante l’amministrazione Kennedy con il compito di occuparsi soprattutto di problemi dell’area medio-orientale e del Terzo mondo, il che non gli impedì di sollevare questioni non strettamente attinenti alla sua sfera di competenza specifica22. La conoscenza della situazione italiana, il carattere risoluto e impaziente e l’abilità con la quale in passato aveva risolto situazioni complesse e ingarbugliate ne fecero un alleato quasi naturale per Arthur M. Schlesinger nella lunga contesa che si sviluppò nei mesi seguenti tra lo
20 Intervista con A.M. Schlesinger Jr., New York 1991.21 Intervista con Robert W. Komer, Rand Corporation, Washington D.C., 23 maggio 1991; per un riferimento alla storia scritta da Komer sul governo militare alleato, cfr. Harry L. Coles, Albert K. Weinberg, Civil Affairs: Soldiers B icorne Governors, Washington, D.C., Office of thè Chief of Military History, 1964, p. 755.
Il National Security Council (d’ora in poi Nsc), secondo Komer, non funzionava in maniera tale da assegnare ciascuno dei suoi funzionari a un ristretto campo specifico: Komer ricorda di aver scritto uno dei suoi primi memorandum per il presidente Kennedy sulla necessità di cambiare la politica dell’amministrazione precedente sulla Cina (Intervista con Robert W. Komer, cit.).
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special assistant del presidente e il Dipartimento di Stato23.
L’alleato più influente che Schlesinger e Komer riuscirono a coinvolgere nei loro sforzi fu Walter Averell Harriman, ex ambasciatore americano in Unione Sovietica, governatore dello Stato di New York ed esponente di spicco del partito democratico. A 69 anni, Harriman godeva di un grande prestigio, dovuto all’esperienza diplomatica accumulata nel corso di una lunga carriera che lo aveva spesso visto al centro di eventi di importanza cruciale, ed era stato per breve tempo considerato uno dei possibili candidati alla carica di segretario di Stato anche in virtù del suo notevole contributo alla campagna elettorale di Kennedy. Tuttavia entrambi i fratelli Kennedy sembravano inizialmente considerarlo troppo anziano per poter svolgere un ruolo importante nella nuova amministrazione e Harriman stesso nutriva ancora qualche dubbio sulle qualità del nuovo presidente, di cui era divenuto sostenitore solo in tempi relativamente recenti. Fu perciò soprattutto in virtù delle pressioni di molti intellettuali della Nuova frontiera, che di Harriman ammiravano la grande apertura mentale e lo spirito progressista, che gli fu assegnata la posizione di roving ambassador, un incarico dai contorni molto sfumati, ritenuto una posizione più onorifica che di sostanza. Tuttavia con il passare del tempo le relazioni personali tra Har-
riman e Kennedy migliorarono tanto che l’anziano diplomatico divenne intimo amico della famiglia del presidente ed ebbe un ruolo di primo piano nella politica estera della nuova amministrazione. Tra i grandi statisti della sua generazione, Harriman si rivelò anzi forse il più duttile e flessibile, capace, anche in età avanzata, di cambiare opinione e adattarsi a nuove circostanze, e, come si vedrà in seguito, ebbe anche un’influenza notevole nel determinare la politica dell’amministrazione nei confronti dell’Italia24.
Schlesinger, Harriman e Komer giunsero presto alla conclusione che l’apertura a sinistra costituiva un passaggio obbligato per la modernizzazione della società italiana e per ridurre l’importanza del Pei nella scena politica italiana. Secondo questa logica era negli interessi degli Stati Uniti abbandonare la politica di diffidenza nei confronti di Nenni e degli autonomisti del Psi e incoraggiare invece i loro sforzi e quelli della sinistra De per attuare un vasto programma di riforme politiche e sociali. La storia delle loro iniziative è stata raccontata più di una volta, seppure non senza numerose imprecisioni e significative omissioni: ai fini di questo saggio sarà comunque sufficiente ricapitolarne brevemente gli aspetti principali, per poi soffermarsi un po’ più dettagliatamente sulle lacune che caratterizzano le ricostruzioni esistenti25. Come in numerosi casi analoghi verifica-
23 Sul carattere e le attività di Komer, cfr. anche John Prados, Keepers o f the Keys. A History o f the National Security Council from Truman to Bush, New York, Morrow and Company, 1991, pp. 118-122. Si dovrebbe forse aggiungere che nel ricordare quel periodo e l’intera problematica dell’apertura a sinistra Komer sottolinea più l’aspetto anticomunista di quello “progressista-riformista” messo in evidenza da Schlesinger (intervista con Robert W. Komer, cit.).24 Per i rapporti tra Kennedy e Harriman agli inizi dell’amministrazione cfr. A.M. Schlesinger, A Thousand Days, cit., pp. 143-144, e Walter Isaacson, Evan Thomas, The Wise Man. Six Friends and the World They Made, London, Faber, 1986, pp. 601-604; per il carattere di Harriman, cfr. W. Isaacson, E. Thomas, The Wise Man, cit., in particolare alle pp. 584-586. Più in generale, su Harriman, cfr. Rudy Abramson, Spanning the Century: the Life of W. Averell Harriman 1891-1986, New York, W. Morrow, 1992 e l’autobiografia degli anni di guerra, W. Averell Harriman, Special Envoy to Churchill and Stalin, 1941-1946, New York, Random House, 1975.25 A. Schlesinger, Jr., A Thousand Days, cit.; Alan Arthur Platt, US Policy toward the “Opening to the Left" in Italy, New York, Columbia University, Ph.D. Dissertation 1973 [pubblicata da University Microfilm International, Ann Arbor, Michigan 1974]; Mario Margiocco, Stati Uniti e Pci, 1943-1980, Roma-Bari, Laterza, 1981; Leo Wollemborg, Stelle, strisce e tricolore. Trent'anni di vicende politiche tra Roma e Washington, Milano, Mondadori, 1983; Spencer M. Di
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tisi durante l’amministrazione Kennedy, le iniziative degli attivisti della Casa Bianca si scontrarono con le resistenze di altri settori, in particolare l’Italian Desk del Dipartimento di Stato e l’ambasciata di Roma, che non avevano ancora superato lo scetticismo nei confronti del Psi, considerato il cavallo di Troia costruito dal Pei per penetrare nella cittadella del governo o giudicato non sufficientemente maturo per agire come forza di governo. Sta di fatto che numerosi funzionari del Dipartimento tennero un atteggiamento decisamente ostile a qualsivoglia apertura nei confronti di Nenni e nei primi mesi del 1961 si scontrarono ripetutamente con Schlesinger e Komer, senza che nessuna delle due parti riuscisse a persuadere l’altra26. Quando i loro disegni vennero frustrati da un comportamento che appariva ai loro occhi come un misto di miopia burocratica e bieco conservatorismo, gli innovatori si rivolsero naturalmente alla più alta autorità, e cioè allo stesso presidente Kennedy. La storia a questo punto si fa più ingarbugliata e più difficile da decifrare: secondo la versione dello stesso Schlesinger, e i successivi resoconti di Leo Wollemborg e di Spencer Di Scala, Kennedy avrebbe preso posizione a favore dell’apertura, tanto che fin dal suo primo incontro con
Fanfani del giugno del 1961 gli avrebbe espresso l’approvazione del suo governo nei confronti dell’esperimento del centrosinistra. Una tesi in parte contrastante è fornita invece da Alan Platt, che nella sua tesi di dottorato ritiene l’atteggiamento di Kennedy molto più ambiguo e cauto nei confronti dei suggerimenti dei suoi consiglieri liberal e decisamente non così apertamente schierato dalla parte dell’apertura a sinistra. Platt avanza l’ipotesi che Kennedy in realtà abbia dato la sua implicita approvazione alle iniziative caldeggiate dai membri del suo staff, ma non il suo appoggio formale; e questo al fine di evitare uno scontro diretto con il Dipartimento di Stato, con il quale erano già numerosi i motivi di tensione in merito a un problema quale quello italiano che in quel momento sembrava decisamente di secondo piano. Né la documentazione dei National Archives né quella dellaJ.F. Kennedy Library forniscono alcuna indicazione in merito a questo punto: il volume delle “Foreign Relations of thè United States” dedicato all’Europa occidentale, tuttavia, sembra confermare la tesi che il presidente inizialmente avesse rifiutato di prendere posizione per una delle parti in causa27.
Da questo momento in poi, come in molti altri casi che si verificarono nel corso dell’am-
Scala, Renewing Italian Socialism. Nenni to Craxi, New York-Oxford, Oxford University Press, 1989. Una ricostruzione assai romanzata in Roberto Faenza, Il malaffare. Dall’America di Kennedy all'Italia, a Cuba, al Vietnam, Milano, Mondadori, 1979.26 Secondo il racconto di uno dei protagonisti, lo scontro si sarebbe ripetuto anche all’interno della Cia, dove gli analisti si sarebbero pronunciati in senso favorevole all’apertura e gli “operativi” in senso contrario: Oral History Interview with William Knight, in JFK, pp. 8-11; cfr. anche R. Faenza, Il malaffare, cit, p. 64. Per un’ulteriore analisi dell’atteggiamento della Cia, cfr. anche S.M. Di Scala, Renewing, cit., pp. 122-123. Il direttore della Cia John McCone sembra aver preso posizione a favore dell’apertura, o per lo meno asserì di esservi interessato, quando si incontrò con Vittorio Vailetta nella primavera del 1962 (Piero Bairati, Valletta, Torino, Utet, 1983, pp. 311 sg.). Il capo del controspionaggio all’interno della Cia, James J. Angleton, era invece del tutto ostile al centrosinistra e secondo un resoconto si spinse fino a sospettare che Arthur Schlesinger fosse un agente sovietico: David C. Martin, A Wilderness o f Mirrors, New York, Harper and Row, 1980, pp. 183-184.27 In particolare, la documentazione riprodotta nel volume delle Foreign Relations of the United States (Frus) non conferma la tesi di Schlesinger che il presidente Kennedy avrebbe espresso apertamente la sua simpatia per l’apertura a sinistra al presidente del Consiglio Fanfani quando questi si recò Washington nel giugno del 1961: cfr. Editorial Note, in Department of State, Frus, 1961-1963, West Europe and Canada, Voi. XIII, pp. 810-811 e Letter from William Tyler to O. Horsey, December 28, 1961, footnote 3, in Department of State, Frus, 1961-1963, cit., p. 823; cfr. anche Oral History Interview with W. Knight, in JFK. Schlesinger, peraltro, sostiene in The Thousand Days che la dichiarazione di Kennedy era stata rilasciata in una conversazione privata e off-the-record tra i due uomini politici.
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ministrazione Kennedy, cominciò a prendere piede una vera e propria “doppia politica” , mentre continuava lo scontro tra fautori e oppositori dell’apertura a sinistra. Dopo le prime frustrazioni, infatti, i sostenitori americani del centrosinistra si impegnarono a mobilitare altre fonti di sostegno alla loro linea politica, trascurando completamente le istituzioni ufficiali. Schlesinger coinvolse perciò nella mischia il fratello del presidente, il ministro della Giustizia Robert Kennedy, alcune figure di primo piano del sindacalismo americano e internazionale, quali i fratelli Walter e Victor Reuther e l’influente senatore democratico Hubert Humphrey. Di questo coinvolgimento viene fatta menzione in tutte le ricostruzioni dei rapporti tra l’amministrazione Kennedy e le origini del centrosinistra, mentre nessuno degli autori che si sono occupati del problema fa il minimo riferimento al ruolo concreto svolto dai personaggi che vennero coinvolti in questa vicenda28. Studiando le iniziative prese dai fratelli Reuther, tuttavia, è possibile accertare che questi, oltre a far pesare a favore dell’apertura a sinistra il prestigio della loro personalità, cercarono di assicurare il sostegno economico di una parte dei sindacati americani a favore di un partito socialista le cui finanze si trovavano particolarmente male in arnese. Il Psi infatti era stato sostenuto dal finanziamento del Pei fino a quando era rimasto su posizioni filosovietiche, ma, una volta
che i suoi rapporti con il Pei avevano cominciato a deteriorarsi, non era stato capace di procurarsi una fonte sicura di sostentamento alternativa a quella comunista29. Se il Psi doveva svolgere un ruolo analogo a quello svolto dalla De negli anni cinquanta quando si era trattato di stabilizzare il sistema politico italiano, diventava indispensabile aiutare Nenni e i suoi a vincere la loro battaglia all’interno del partito e assicurare loro un flusso regolare di finanziamenti analogo a quello di cui aveva goduto, allora, la De tramite l’appoggio della Cia. Schlesinger, in particolare, sottolineava come il Pei stesse facendo di tutto per ostacolare la manovra di Nenni volta a portare il Psi al governo e come fosse ben noto che mentre gli autonomisti si muovevano in mezzo a mille ristrettezze la corrente carrista disponeva di fondi apparentemente molto abbondanti30. Walter Reuther, inoltre, si preoccupava di trovare il modo per completare l’apertura a sinistra sul piano sindacale, e in particolare di far pervenire aiuti concreti a quei sindacalisti socialisti che si fossero sganciati dalla Cgil31.
È estremamente difficile ricostruire i fatti in tutti i loro risvolti dal momento che molti documenti sono tuttora riservati e altri, quali quelli del vecchio amico di Nenni, Augusto Bellanca, leader del sindacato dell’Amalga- mated Clothing Workers, sono andati completamente distrutti32. Ciononostante è possibile arrivare alla conclusione che, forse sin
28 Solo Leo Wollemborg accenna rapidamente al problema dell’assistenza finanziaria per il Psi nell’edizione italiana del suo volume, molto più lunga di quella americana: L. Wollemborg, Stelle, strisce e tricolore, cit., pp. 149-150.29 Di volta in volta un certo sostegno economico per gli autonomisti era venuto da fonti molto diverse, quali ad esempio l’Eni di Enrico Mattei, la Società Adriatica di Cini, L’Alleanza socialista dei lavoratori jugoslavi, il Labour Party inglese: cfr. Gaston Palewski à Son Excellence Monsieur le Ministre des Affaires Etrangeres, “Le Parti Socialiste Italien trois mois après le Congrès de Naples” , le 30 avril 1959, in Archives Historique du Ministere des Affaires Etrangeres, Parigi, Europe 1944-1960, Italie 1955-1960, voi. 280; Foreign Service Despatch n. 1477, “Memorandum of conversation with Antigono Donati”, June 18, 1959, in NAW, RG 59, CDF 1955-59, b. 3610, 765.00/9-1859; Bureau of Intelligence and Research, Intelligence Report n. 7870, The Outlook for Italy, December 10, 1958, p. 12, in NAW, INR files.30 Memorandum for William Tyler, 30 ottobre 1961, “Italian Situation”, in JFK, White House files, Subject File 1961- 1964, box WH 12, folder Italy 9/1/61-10/31/61.31 Memorandum from A. Schlesinger, Jr., “Talk with Walter and Victor Reuther on Italian Affairs”, 28 maggio 1962, in JFK, A.M. Schlesinger Jr., White House Files, Subject File, box WH 12, f. Italy 5/1/62-5/31/62.32 Intervista con Richard Strassberg, archivista del Labor-Management Documentation Center, M.P. Catherwood Library, Cornell University.
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dalla fine del 1961, e comunque nel corso del 1962, gli autonomisti del Psi ricevettero un certo sostegno finanziario da parte di alcune delle correnti più progressiste del sindacalismo americano33. I risultati di tale rilevante iniziativa nell’ambito sindacale si dovettero al costante interessamento dei fratelli Reu- ther e tutto questo era conosciuto, e perciò tacitamente approvato, anche dalla Casa Bianca. Una serie di incontri fu, infatti, organizzata nel giugno del 1962 tra i fratelli Reu- ther e alcuni importanti membri delFammini- strazione Kennedy per discutere le possibili iniziative per far uscire gli autonomisti del Psi dalle ristrettezze finanziarie che ne paralizzavano le attività: se la Casa Bianca non avesse approvato l’operazione, certamente
ne avrebbe impedito la realizzazione nei mesi seguenti34.
La consistenza dell’aiuto fornito ai socialisti autonomisti non è facile da quantificare, ma sembra lecito supporre che si sia trattato di cifre notevolmente inferiori a quelle messe a disposizione della Democrazia cristiana nel decennio precedente, anche perché, almeno secondo quanto scrive Colby, all’inizio degli anni sessanta i massicci finanziamenti politici del decennio precedente furono drasticamente ridotti35. Da un punto di vista puramente simbolico, tuttavia, l’iniziativa di fornire un aiuto anche modesto al Psi assumeva particolare rilievo, dal momento che serviva a migliorare le relazioni tra Nenni e la Casa Bianca. Nel frattempo, mentre questo progetto
33 Un memorandum di Fabio Luca Cavazza del gruppo di studio de II Mulino indirizzato a A.M. Schlesinger Jr. afferma che Nenni aveva detto allo stesso Cavazza di essere “in grado [...] di dichiarare pubblicamente il fatto che i sindacati americani hanno aiutato il Partito” (Undated Memo for AS Jr. [ma in realtà la data c’è, alla fine del documento: December 12, 1961], in JFK, A.M. Schlesinger, Subject File: Italy, f. 2/1/64-2/29/64 and undated). Tra il settembre del 1962 e il dicembre del 1964, inoltre, l’Amalgamated Clothing Workers e l’Uaw fornirono un totale complessivo di 82.790 dollari alla Uil e alla componente socialista della Cgil nel tentativo di addestrare i quadri sindacali e rafforzare quei sindacalisti socialisti che sostenevano l’apertura: Adolphe Graedel to W.P. Reuther, May 25, 1964, in WSU, WPR, ALUA, Walter P. Reuther Papers (d’ora in poi W. P. Reuther) box 444, folder 5; 16 June 1962, Lunch Saturday, Discussion of Italian situation with A.M. Schlesinger Jr., Special Assistant to President Kennedy, Attorney General Kennedy, and Arthur Goldberg [appunto di Victor Reuther], in WSU, WPR, ALUA, V. Reuther, Series VIII, Draft of manuscripts and Research Notes for the brothers Reuther, box 77, f. 25; 21 June 1962, 2.00 p.m., Meeting between W.P. Reuther and Bob Kennedy at general Maxwell Taylor’s office, room 300, Executive Office Building, in WSU, WPR, ALVA, W.P. Reuther, Series XVIII, Appointments and Invitations, box 202 “Schedules” , f. 9.34 A.M. Schlesinger Jr., Special Assistant to President Kennedy, Attorney General Robert Kennedy, and Arthur Goldberg [appunto di Victor Reuther], in WSU WRL, ALUA, V. Reuther, loc. cit. a nota 33. Nella sua autobiografia, The Brothers Reuther, Victor Reuther racconta che nel corso di un meeting lui e suo fratello cercarono di persuadere il Nsc ad appoggiare l’apertura a sinistra e i giorno successivo a quella riunione un giornalista di destra, esperto di questioni sindacali e ostile a lui e a suo fratello Walter, pubblicò un articolo in cui non solo criticava la loro proposta ma li accusava anche di aver chiesto al Nsc e alla Cia di fornire il sostegno finanziario necessario per “infiltrarsi all’interno della Cgil e attirare dalla propria parte i leader sindacali” : Victor Reuther, The Brothers Reuther and the Story o f the UAW, Boston, Houghton Mifflin, 1976, p. 352. Nell’intervista con l’autore di questo saggio, Victor Reuther negò le accuse rivoltegli da Reisel, ma confermò che più tardi una modesta assistenza finanziaria fu fornita al Psi dall’Uaw e da altri sindacati italoamericani. Aggiunse comunque che si trattava di somme quasi irrisorie se paragonate alla quantità di fondi affidati alla De dalla Cia negli anni cinquanta. La versione fornita nella biografia presenta comunque almeno un’inesattezza, perché l’articolo di cui V. Reuther parla non fu pubblicato nel giugno del 1962 ma molto più tardi: Victor Riesel, Reuther-Meany Bout, “World Journal Tribune”, 8 marzo, 1967. L’articolo si trova anche in WSU, WPR, ALUA, box 36, folder 25. Che la possibilità di fornire assistenza finanziaria al Psi fosse stata discussa è stato confermato all’autore anche da McGeorge Bundy e Ray Cline (all’epoca deputy director for Intelligence della Cia), che nel suo libro (Secrets, Spies and Scholars. Blueprint o f the Essential Cia, Washington, Acropolis Books, 1976) si era espresso in maniera molto critica nei confronti di quell’iniziativa. Sulla figura di W. Reuther cfr. anche Nelson Liechtenstein, The Most Dangerous Man in Detroit: Walter Reuther and the Fate o f American Labor, New York, Basic Books, 1996.35 W. Colby, La mia vita nella Cia, cit., pp. 103, 139.
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veniva segretamente attuato, la linea politica ufficiale degli Stati Uniti nei confronti dell’Italia cominciò lentamente a perdere alcune delle consuete punte polemiche nei confronti del Psi, anche se il Dipartimento di Stato non dette mai apertamente il suo incoraggiamento all’apertura a sinistra come invece i suoi fautori avrebbero auspicato. Persuaso dai suoi consiglieri più liberal, lo stesso Kennedy aggiunse alla fine il suo tocco personale al sostegno per l’apertura quando, in occasione del ricevimento ufficiale offerto nei giardini del Quirinale durante la sua breve visita in Italia all’inizio del luglio 1963, trascorse un ampio lasso di tempo insieme a Nenni, lontano da tutti gli altri politici italiani36. Il semplice fatto che un presidente degli Stati Uniti dedicasse tanto tempo a un colloquio a quattr ’occhi con il leader di un partito politico che fino a poco tempo prima era stato considerato un nemico dei valori occidentali fu interpretato come un’approvazione quasi ufficiale, da parte degli Stati Uniti, del nuovo corso della politica italiana. Sembra chiaro, perciò, che da un certo momento in poi il vero oggetto della discordia tra i fautori e gli oppositori dell’apertura a sinistra all’interno dell’amministrazione non fosse se opporvisi o meno, ma, per citare quanto scritto all’epoca dal consigliere per la sicurezza nazionale di Kennedy, McGeorge Bundy, “quanto [fosse necessario] sostenere i socialisti nelle prossime elezioni”37.
È opportuno, comunque, valutare nel contesto generale delle relazioni tra l’Italia e gli Stati Uniti lo svolgimento di questa operazione diretta a legittimare il Psi38. Mentre i liberal dello staff della Casa Bianca potevano anche avere avuto successo nel trovare aiuti per la loro causa, la posizione ufficiale del Dipartimento di Stato rimase ancora per qualche tempo molto cauta, se non proprio ostile, nei confronti dell’apertura a sinistra, e altre iniziative prese dall’amministrazione sembravano addirittura andare in direzione opposta, o comunque contraddire parzialmente la linea politica seguita fino ad allora. Risultò abbastanza sorprendente, ad esempio, che all’inizio del 1963 la Casa Bianca acconsentisse alla decisione della Cia di inviare a Roma, come capo della locale stazione, William Harvey, il direttore della Task Force W della operazione “Mongoose”39. Harvey, certamente uno dei più famosi agenti segreti americani del tempo, ma altrettanto certamente una personalità non in grado di adattarsi alle sfumature e alle sottigliezze della politica italiana, era così noto per il suo comportamento irregolare — costellato occasionalmente, a detta delle cronache, da sbornie solenni — che la sua presenza a Roma difficilmente avrebbe potuto giocare un ruolo positivo nel complesso tentativo di sponsorizzare l’apertura a sinistra senza darlo troppo a vedere40.
In sostanza, come già Alan Platt aveva notato alcuni anni or sono senza peraltro ap-
36 La migliore ricostruzione dell’episodio è quella di William Fraleigh: Oral History Interview with William Fraleigh, in JFK. Per la versione del colloquio data da Nenni cfr. Gli anni del centrosinistra. Diari 1957-1966, Milano, Sugarco, 1982, alla data del 1Q luglio 1963. Cfr. anche lo scarno resoconto ufficiale dell’incontro in Frus, 1961-1963, Western Europe and Canada, cit., pp. 888-889.37 McGeorge Bundy to the President, Weekend Reading, January 12-13, 1963, in JFK, National Security Files (d’ora in poi NSF), b. 318, f. Index of Weekend Papers, 1/63-3/63.38 Sarebbe interessante sapere se gli Stati Uniti presero in considerazione il suggerimento dato al presidente Kennedy e a John McCone dal presidente della Fiat Valletta e, cioè, di fornire un sostegno finanziario al Psi attraverso la De, in modo da tenere quest’ultimo sotto stretto controllo (cfr. P. Bairati, Valletta, cit., p. 328).39 L’operazione Mongoose era il piano approvato da Kennedy alla fine del novembre 1961 per sovvertire il regime castrista a Cuba e la Task Force W era l’unità operativa che guidava le operazioni di sabotaggio all’interno dell’isola: cfr. L. Nuti (a cura di) I missili di ottobre. La storiografia americana e la crisi cubana del 1962, Milano, Led, 1994.40 A proposito della rimozione di Harvey dalla Task Force W cfr. D. Martin, A Wilderness o f Mirrors, pp. 181-189; Thomas Powers, The Man who Kept the Secrets: Richard Helms and the Cia, New York, Knopf, 1979, pp. 141-142; John
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profondire la sua intuizione, per qualche tempo gli Stati Uniti ebbero due politiche parallele nei confronti dell’Italia41. Il presidente Kennedy lasciò che i suoi consiglieri pianificassero le loro iniziative clandestine ma, fino all’estate del 1963, non impartì loro la sua benedizione ufficiale e, anche quando lo fece, preferì una sorta di beneplacito informale, come la lunga chiacchierata con Nenni nei giardini del Quirinale, piuttosto che una direttiva ufficiale al Dipartimento di Stato perché approvasse il nuovo corso. Allo stesso tempo il Dipartimento di Stato si rifiutò di accettare un rovesciamento della propria linea politica e continuò a guardare con cautela — anche se con sempre minore ostilità — all’ipotesi di un’inclusione del Psi nella maggioranza di governo. L’ambiguità derivante dalla sovrapposizione di queste iniziative contrastanti rese possibile a ognuna delle due parti sostenere che la sua era la vera posizione degli Stati Uniti e il risentimento, generato dal contrasto di questi punti di vista, ha caratterizzato le opinioni espresse in merito dai protagonisti anche quando gli echi di quegli eventi si erano spenti da tempo42.
Se gli studi sulla politica italiana dell’am- ministrazione Kennedy registrano abbastanza fedelmente questi contrasti, tuttavia presentano anche alcune importanti lacune. Innanzitutto, come si è cercato di mettere in evidenza, non hanno posto in risalto quale sia stato l’effettivo contributo dato alla realizzazione del centrosinistra da parte di quanti non solo ne auspicavano l’attuazione, ma volevano anche concretamente adoperarsi per favorirla. Altra zona d’ombra è costituita
dal fatto che, con la parziale eccezione del racconto di Arthur Schlesinger, tutti gli altri resoconti analizzano la politica americana nei confronti dell’Italia come un caso isolato, senza che i vari autori si rendano conto che il divario esistente tra le due fazioni contrapposte alfinterno dell’amministrazione era in realtà il riflesso di un contrasto molto più vasto, derivante dal tentativo di attuare quella politica estera “progressista” di cui si è descritta la genesi nella prima parte di questo saggio. Le varie versioni non sembrano rendersi chiaramente conto di tale contrasto e, pertanto, non lo inquadrano nel contesto della dinamica interna all’amministrazione Kennedy e ciò, a sua volta, porta a interpretare il “caso italiano” come una semplice lotta tra burocrazie contrapposte piuttosto che come un altro esempio delle difficoltà incontrate dall’amministrazione Kennedy nel suo tentativo di invertire la linea politica seguita dai suoi predecessori e di affinare gli strumenti adatti a combattere la guerra fredda. Che il caso italiano fosse solo un episodio di uno scontro molto più ampio risulta chiaramente dal fatto che gli stessi fautori del centrosinistra erano anche i sostenitori di approcci riformisti in altri settori: Arthur Schlesinger, ad esempio, era profondamente coinvolto nella genesi dell’Alleanza per il progresso, mentre Robert Komer era un membro della Task Force incaricata di occuparsi dell’Iran e in questa veste raccomandava di fare pressioni sullo scià per un rinnovamento generale della politica iraniana43.
La terza e ultima lacuna è costituita dall’omissione quasi totale dell’analisi relativa al-
Ranelagh, The Agency.L The Rise and Decline of the Cia, New York, Simon and Schuster, 1987, p. 388; intervista dell’autore con Ray Cline, Washington, 1991. In ogni caso, l’invio di Harvey a Roma sembra indicare come la politica italiana, e l’operazione del centrosinistra in particolare, avessero una importanza molto relativa per la Casa Bianca.41 A. A. Platt, US Policy toward the "Opening to the Left", cit.4" Cfr. ad esempio lo scambio di accuse e recriminazioni nelle interviste raccolte dalle Oral History Interviews with Arthur Schlesinger Jr.; Frederick Reinhardt; William Knight; Outerbridge Horsey; William Tyler, in JFK.43 Come esempio dell’attivismo di Komer negli affari iraniani, cfr. Memorandum for the President from Robert W. Komer, Subject: Iranian Task Force Report, May 18, 1961, in JFK, NSF, Meetings and Memoranda, Staff Memoranda, Robert Komer, f. 5/16/61-6/14/61, b. 321.
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l’intreccio tra l’apertura a sinistra e il contesto internazionale del momento, sebbene da parte americana le principali remore alla realizzazione dell’apertura fossero costituite, di fatto, proprio dalla sfiducia nei confronti della politica estera che un governo di centrosinistra avrebbe potuto svolgere44. Su molte questioni di politica estera, infatti, la posizione del Psi era ancora molto lontana da quella degli altri partiti socialisti occidentali, caratterizzata com’era da un misto di neutralismo e di antiamericanismo. Il punto cruciale su cui si giocava la partecipazione socialista al governo era infatti quale sarebbe stata la posizione che il Psi avrebbe cercato di far assumere all’Italia in seno all’alleanza atlantica45; come notava una relazione dello State Department in cui si legge:
la democrazia italiana (e gli interessi americani in Italia) potrebbero trovarsi a dover scegliere tra una coalizione di governo che sembra offrire maggiori opportunità di ridurre la forza del Pei e un’altra che si dimostrerrebbe più incline ad appoggiare gli Stati Uniti nella N ato e in generale sulle questioni di politica estera46.
Gradualmente, tuttavia, la distanza tra queste due alternative cominciò a ridursi e, già alla fine del 1962, un diplomatico molto cauto come l’ambasciatore americano in Italia Frederick Reinhardt, che certamente non condivideva l’entusiasmo per l’apertura a sinistra evidenziato da Schlesinger e Komer,
dimostrava di rendersi conto che una nuova coalizione Dc-Psi poteva rivelarsi più capace di assecondare il nuovo corso di politica internazionale che l’amministrazione Kennedy intendeva svolgere47. È opportuno quindi soffermarsi brevemente sul ruolo che l’Italia giocava nella strategia americana e sugli interessi relativi alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti che avrebbero potuto essere danneggiati dall’apertura a sinistra. E opportuno cioè analizzare adesso quella che all’inizio del saggio è stata definita come la dimensione euro-atlantica delle relazioni tra l’Italia e gli Stati Uniti.
Quali erano, all’inizio degli anni sessanta, i principali interessi della politica estera americana in Italia ? Al di là dell’ovvia considerazione che a Washington si auspicava che il governo di Roma rimanesse un alleato quanto più saldo possibile, una risposta più esauriente deve prendere in esame in maniera sufficientemente dettagliata i principali problemi allora sul tappeto, relativi ai due pilastri del sistema atlantico e, cioè, il processo di integrazione europeo e l’elaborazione di una nuova strategia per l’alleanza. Per quanto attiene al tradizionale rapporto di collaborazione tra Italia e Stati Uniti per promuovere e incoraggiare il processo di integrazione, l’amministrazione Kennedy e il governo Fanfani si trovarono su posizioni molto vicine. Alla fine degli anni cinquanta, infatti, la tradizionale tendenza della politi-
44 Solo Arthur Schlesinger e Leo Wollemborg, il primo nei limiti consentitigli dalla brevità della sua analisi della problematica italiana, il secondo un po’ più in dettaglio, dedicano una certa attenzione alla dimensione internazionale dell’apertura a sinistra.45 Per un giudizio molto equilibrato sulla politica estera del Psi, cfr. Research memorandum REU-40, Italian Socialist Foreign Policy, April 27, 1962, in JFK, A.M. Schlesinger, WH Files, Subject File Italy, box WH 12, f. 4/27/62-4/30/62. Sono molto grato a John Orme per l’aiuto fornito nell’ottenere la consultazione di questo documento riservato e a Mrs. Forbes della Kennedy Library per avermene inviato copia giusto in tempo per presentarlo in occasione della conferenza "Kennedy and Europe’’ dell’ottobre 1992.46 Italy. Department of State Guidelines for Policy and Operations, January 1962, in JFK, NSF, CO, Italy General, f. State Guidelines, b.120.47 “Il governo italiano di centrosinistra e i suoi sostenitori politici sulla stampa sembrano avvicinarsi ai punti di vista degli Stati Uniti per quanto riguarda certi aspetti della politica estera più di quanto non stiano facendo il centro anticomunista e quelle forze conservatrici che tradizionalmente qua sono nostre alleate”: Telegram from the Embassy in Italy to the Department of State, January 12, 1963, in Frus, 1961-1963, West Europe and Canada, cit., p. 855.
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ca estera italiana a ricercare una stretta collaborazione con gli Stati Uniti era stata particolarmente rinforzata da alcuni fatti, quali il ritorno al potere del generale De Gaulle in Francia e l’esclusione delPItalia dal gruppo di lavoro quadripartito che si occupava della questione di Berlino. Le proposte golliste di dar vita a un direttorato anglo-franco- americano alfinterno dell’alleanza atlantica, in particolare, avevano generato risentimenti e ostilità nella diplomazia italiana, facendone una convinta sostenitrice del potenziamento della Nato e del rilancio della costruzione europea per porre un freno alle spinte potenzialmente dirompenti che provenivano da Parigi48.
Naturalmente il risentimento contro certe iniziative francesi era temperato dal desiderio di mantenere buone relazioni con il governo di Parigi, che restava pur sempre uno degli interlocutori privilegiati della politica estera italiana. Si spiega così l’atteggiamento tenuto dal governo italiano a proposito delle due principali iniziative discusse in merito all’integrazione europea nei primi anni sessanta e, cioè, il progetto di creazione di un’Unione politica (Piano Fouchet) e la domanda di adesione alla Comunità economica europea da parte del governo britannico: così, appunto per prevenire una rottura aperta nel campo occidentale, la politica estera seguita dal governo di Roma prese una posizione di notevole interesse e disponibilità nei confronti
di queste iniziative, impegnandosi attivamente perché entrambe giungessero a buon fine.
Per tutta la durata dei negoziati sul Piano Fouchet, quindi, il governo Fanfani cercò in tutti i modi di soddisfare le proposte francesi in merito alla creazione di un’unione politica, adoperandosi al contempo perché le più radicali tra quelle proposte non finissero per fare assumere alla futura Unione un carattere antiamericano49. Lo stesso governo Fanfani, inoltre, guardava con favore agli sforzi inglesi diretti ad evitare che la rottura tra i Sei della Cee e i Sette dell’ Efta (European Free Trade Association) travalicasse la dimensione puramente economica e assumesse una valenza politica e, perciò, accolse di buon grado la domanda inglese di adesione alla Cee50. La maggior parte dei partiti politici italiani, inoltre, era del tutto contraria alla formazione di un asse franco-tedesco, mentre mostrava interesse per l’adesione inglese alla Comunità, proprio perché si aspettava che il peso di Londra potesse bilanciare quello di Parigi.
Questa posizione italiana rispecchiava abbastanza fedelmente quella dell’amministra- zione Kennedy, interessata a promuovere la massima coesione all’interno del blocco occidentale. Washington vedeva infatti con favore la decisione inglese di cercare una formula che consentisse a Londra di entrare nella Cee, purché ciò non comportasse una diluizione dell’impegno dei Sei a lavorare per rafforzare
48 Position Paper on Atlantic Area Problems, in JFK, NSF, CO, f. Italy subjects: Fanfani Briefing Book 1/6/63-1/17/63, box 121. Per un esempio della reazione italiana aile proposte di De Gaulle per la creazione di una direzione tripartita all’interno dell’alleanza, cfr. Memorandum of Conversation [the President, the Acting Secretary, the Italian Ambassador, Mr. Jandrey], October 6, 1958, in NAW, Record Group 59, 740.5/10-758, box 3155.49 Gavin (Paris) to the Secretary of State, April 6, 1962, in JFK, NSF,CO, France General, box 71, f. 4/1/62 — 4/12/62. Per quanto riguarda l’ltalia e il Piano Fouchet, cfr. L. Nuti, 'The Richest and Farthest Master Is Always the Best': Italy, the British Application to the EEC, and the January Debacle, in Richard Griffiths, Stuart Ward (a cura di), Courting the Common Market: The First Attempt to Enlarge the European Community, 1962-1963, London, The Lothian Foundation, 1995, e Maurice Vaïsse, De Gaulle, l’Italie et le projet d’Union Politique Européenne, 1958-1963. Chronique d’un échec annoncé, “Revue d’Histoire Moderne et Contemporaine”, 1995, n. 4, pp. 658-669.
Mémoire of a conversation between Mr. Godber [Minister of State] and Italian Amb. Quaroni, August 18, 1961, in Pubblic Record Office, London (d’ora in poi PRO), Foreign Office (d’ora in poi FO), 371/160670/CJ 1051/7; Record of a conversation between the Rt. Hon. John Hare, O.B.E., M.P. and On. Prof. A. Fanfani, Italian Prime Minister, on September 19, 1961, in PRO, FO, 371/160671/CJ 1051.
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i legami comuni51; e riteneva altresì che la creazione di un blocco politico, quale quello che sarebbe potuto uscire dai negoziati sul Piano Fouchet, fosse una prospettiva da incoraggiare purché la futura Unione restasse saldamente ancorata all’alleanza atlantica52: appunto per questo la politica estera italiana, come notava l’ambasciatore Reinhardt alla fine del 1962, era perciò “molto vicina alle posizioni americane”53. Lo stesso Kennedy era consapevole che il clima di tensione innescato dal generale De Gaulle all’interno dell’alleanza accresceva il valore delle relazioni con Roma e, già nel marzo del 1962, faceva notare all’ambasciatore Reinhardt che l’Italia era destinata ad essere
sempre più im portante per gli Stati Uniti a causa delle prevedibili difficoltà con la Francia e del fatto che Olanda e Belgio [erano] profondamente irritati con noi a causa del nostro atteggiamento sui problemi coloniali54.
Quando poi il generale De Gaulle, con la sua famosa conferenza stampa del 14 gennaio 1963, fece effettivamente saltare il negoziato per l’adesione britannica alla Cee, la reazione italiana fu improntata a una grande prudenza proprio per evitare che da quel gesto derivasse una reazione a catena in grado di smantellare quanto era stato costruito in Europa fino a quel momento; al tempo stesso, tuttavia, il governo Fanfani manifestò anche la
propria simpatia per il governo MacMillan e mantenne una posizione nettamente contraria all’asse franco-tedesco, dimostrando agli Stati Uniti che l’Italia non solo non era affatto disposta a seguire l’esempio di De Gaulle e Adenauer, ma che anzi, in caso di crisi, Washington sarebbe rimasta senz’altro il punto di riferimento cardinale della diplomazia italiana55.
Il mantenimento di uno stretto rapporto di cooperazione e fiducia con il governo di Roma nel momento in cui l’Europa occidentale veniva turbata dalle iniziative franco-tedesche costituiva dunque un obiettivo importante per la politica estera americana. Ancora più importante, per Washington, era che tale allineamento fosse mantenuto anche nel campo della politica di difesa e di sicurezza dal momento che, in questo settore, si era sviluppato un rapporto di strettissima cooperazione che, a partire dalla seconda metà degli anni cinquanta, si era esteso anche all’impiego delle armi nucleari. L’accordo di maggiore rilievo tra i governi di Roma e Washington, da questo punto di vista, era stato raggiunto il 26 marzo 1959 per consentire lo schieramento in Italia di 30 missili balistici a raggio intermedio Jupiter, successivamente inquadrati nella 363 aerobrigata intercettori strategici, all’interno della quale provvedevano al loro funzionamento reparti misti dell’aviazione italiana e
51 Pascaline Winand, Eisenhower, Kennedy and thè United States o f Europe, New York, Winand, 1993; Corso Paolo Boccia, The Kennedy Administration and the First Attempt to Enlarge the European Communities, in Richard Griffiths Stuart Ward (a cura di), Courting the Common Market. The First Attempt to Enlarge the European Community, 1962- 1963, London, The Lothian Foundation, 1996.52 Non esiste nessuno studio particolareggiato sulla posizione degli Stati Uniti nei confronti del Piano Fouchet. L’unico documento relativo a questo problema pubblicato nel volume XIII delle Frus, 1961-1963 citato lascia trasparire un moderato interesse da parte americana (vedi ad esempio Circular telegram from the Department of State to Certain Missions, November 3, 1961, pp. 48-49; cfr. anche il parere espresso da Theodore C. Achilles all’ambasciatore italiano Sergio Fenoaltea: Memorandum of Conversation, S. Fenoaltea, T. C. Achilles, Subject: Italian Politics, UN, Berlin, Common Market, November 9, 1961, in NAW, RG 59, Central decimal file 1960-1963, box 1918, f. 765.00/11-361).53 Rome (Rheinardt) to State Department, December 7, 1962, in JFK, NSF, CO, Italy General, f. 12/1/62-12/31/62, box 120.
54 Memorandum of Conversation (The President, Amd. Reinhardt, Bundy), March 22, 1962, in JFK, NSF, CO, Italy General, f. 3/1/62-3-30/62, b. 120.55 L. Nuti, ‘The Richest and Farthest Master Is Always the Best’, cit.
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di quella americana con il sistema detto della “doppia chiave”, che prevedeva l’assenso di entrambi i governi per la loro utilizzazione56. Quell’intesa rifletteva gli interessi di entrambi i firmatari. Se da parte americana si riteneva opportuno, almeno temporaneamente, installare i missili balistici a raggio intermedio per bilanciare la presunta crescita del potenziale balistico sovietico e per mantenere la coesione dell’alleanza dopo lo shock dello Sputnik, da parte italiana si riteneva utile accettarne l’installazione come una scorciatoia per acquisire una qualche forma di status nucleare. Nel momento in cui le armi atomiche erano divenute il pilastro della strategia occidentale e il problema di come controllare il loro impiego il tema centrale dei rapporti interni all’alleanza atlantica, il governo italiano era infatti giunto alla conclusione che avrebbe raggiunto lo status di potenza nucleare solo in maniera indiretta, vale a dire attraverso una stretta cooperazione con gli Stati Uniti in ambito Nato. Una simile strategia fu per qualche tempo speculare, e quindi del tutto compatibile, con le iniziative e le proposte avanzate in materia di armi nucleari dall’amministrazione Eisenhower: come è stato sottolineato da Marc Trachtenberg, infatti, tutti i progetti realizzati o abbozzati negli ultimi tempi dell’amministrazione Eisenhower in materia nucleare avevano una funzione che poteva anche essere interpretata come “un ponte verso l’acquisizione da parte degli europei di una capacità nucleare sotto il loro proprio controllo”57.
Al tempo stesso, in Italia queste iniziative assumevano indubbiamente una forte valenza in politica interna: come era apparso chiaramente più volte nel corso degli anni cinquanta, la possibilità che i rapporti tra le su
perpotenze passassero dal confronto diretto ad una moderata distensione costituiva, a un tempo, motivo di speranza per quanti patrocinavano la causa dell’apertura a sinistra e di grande preoccupazione per tutte quelle forze politiche che vi si opponevano. Nel corso del 1959, quando l’amministrazione Eisenhower sembrò per qualche tempo incline a procedere verso una cauta detente nei rapporti con Mosca, il governo italiano di centrodestra guidato da Antonio Segni si mostrò particolarmente preoccupato da quest’ipotesi58, e utilizzò appieno il dibattito interno sull’installazione dei missili Jupiter per allontanare il Psi da tutte le forze di centro e sospingerlo di nuovo verso l’alleanza con il Pei. Se gli autonomisti di Nenni potevano infatti spingere il Psi fino ad accettare la Nato, purché se ne desse un’interpretazione stretta- mente difensiva, questo non significava che il partito fosse pronto ad accettare misure quali lo schieramento di missili a testata nucleare sul territorio italiano.
L’arrivo dell’amministrazione Kennedy alla Casa Bianca modificò, in maniera dapprima impercettibile e poi sempre più evidente, il rapporto tra l’amministrazione Eisenhower e i governi italiani in merito alla cooperazione nell’ambito delle armi atomiche. La presenza all’interno dell’amministrazione di posizioni molto diverse e, in qualche caso, diametralmente opposte in merito alla partecipazione degli alleati al controllo dell’arsenale nucleare americano, tuttavia, rese molto difficile agli alleati degli Stati Uniti capire da che parte sarebbe spirato il vento. I primi passi compiuti dallo staff di Kennedy in questo settore furono comunque tali da generare subito una certa preoccupazione in quegli ambienti governativi italiani che auspicava
56 Sullo schieramento dei missili Jupiter in Italia, cfr. L. Nuti, L ’Italie et le missiles Jupiter, in Maurice Vai'sse (a cura di), L'Europe et la Crise de Cuba, Paris, Armand Colin, 1993.57 Marc Trachtenberg, Hislory and Strategy, Princeton, Princeton University Press, 1991, p. 188.
Per i timori di Segni a proposito della distensione, cfr. le conversazioni tenute durante la sua visita a Washington: Frus, 1958-1960, Western Europe, voi. VII, Part 2, pp. 537-571.
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no una continuazione della linea seguita da Eisenhower: l’importanza che la nuova amministrazione dimostrò di attribuire a una difesa basata sulle armi convenzionali, così come i suggerimenti per una revisione della strategia atlantica, che portasse ad un graduale abbandono della dottrina della rappresaglia massiccia, furono interpretati in Italia nel senso che la Casa Bianca si stesse orientando verso una riduzione del ruolo centrale svolto fino a quel momento nella strategia atlantica dalle armi nucleari59.
Questi segnali ambigui furono però contraddetti da altri di natura opposta, con il risultato che da parte italiana ci si aspettò comunque che la politica precedente sarebbe continuata. In seno all’alleanza atlantica si discuteva in quel momento della possibilità di sostituire in un prossimo futuro i missili di prima generazione come gli Jupiter, che potevano essere lanciati solo da postazioni fisse e che quindi costituivano un facile bersaglio per un possibile attacco preventivo da parte sovietica, con i missili Polaris, che godevano di maggiore mobilità in quanto potevano essere lanciati dal mare, sia da un sottomarino sia da una nave di superficie60. Da parte italiana si riteneva probabile che la
formula con la quale questa sostituzione sarebbe avvenuta avrebbe ricalcato quella precedente e che, per la dislocazione dei Polaris, Italia e Stati Uniti avrebbero concluso un accordo bilaterale come quello del 1959: a questo fine la marina italiana aveva cominciato fin dal 1961 a modificare l’incrociatore lanciamissili Garibaldi secondo un progetto che prevedeva l’allestimento a poppa di quattro tubi di lancio per i missili Polaris; poi nel 1962 cominciò a sperimentare il meccanismo di lancio con la collaborazione della marina americana61.
La crisi dei missili a Cuba, tuttavia, rappresentò un punto di svolta nell’ambito delle relazioni nucleari tra l’Italia e gli Stati Uniti. Per risolvere la crisi Kennedy infatti fece sapere a Chruscév che entro breve tempo avrebbe completato il ritiro degli Jupiter installati in Turchia, e per facilitarne la rimozione decise di togliere anche quelli installati in Italia62; quando poi a Washington, per rendere meno vistoso il ritiro dei missili dall’Italia e dalla Turchia, venne discussa la possibilità di dar vita a una piccola forza multilaterale “mediterranea” basata sull’incrociatore Garibaldi, gli avversari dell’iniziativa all’interno dell’amministrazione riuscirono a
59 Commentando le notizie giunte dagli Stati Uniti nei mesi precedenti, nel giugno 1961 lo Stato maggiore della difesa esprimeva già le proprie preoccupazioni sulle possibili ripercussioni del nuovo corso sulla strategia atlantica: Relazione sulle attività del I reparto, giugno 1961, in Archivio deH’ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito (d’ora in poi AUSSME), DS SMD; cfr. anche Memo of Conversation [The President, Ambassador Manlio Brosio, Mr. McBride], April 11, 1961, in JFK, NSF, CO: Italy-General, f. 1/20/61-4/30/61, box 120. Lo stesso Fanfani confessò a Kennedy di temere che l’innalzamento della soglia nucleare comportasse una maggiore esitazione da parte degli Stati Uniti a servirsi delle armi nucleari in caso di aggressione sovietica: Memorandum of Conversation [The President, PM Fanfani, et al.] “Nato Strategy”, June 12, 1961, in Frus, 1961-1963, West Europe and Canada, cit., pp. 807-808.60 Già nel 1960 i diplomatici italiani, nelle conversazioni con i loro colleghi occidentali, dichiaravano che “l’Italia era molto favorevole alle basi [missilistiche] mobili come strumento per tenere i missili fuori dall’Italia e dalla politica italiana”, e al fatto che il governo italiano stava “pensando a prendere in considerazione il programma dei Polaris come alternativa al piano che prevedeva lo schieramento in Italia degli MRBMs [Medium Range Ballistic Missiles]” : Minute by Lord Home about a meeting with Count Zoppi, October 31, 1960, in PRO, FO 371/153314/RT 1051/11; Sir Evelyn Shuckburgh to Sir F. Hoyer Millar, October 20, 1960, in PRO, FO 371/153314/RT 1051/10.61 Giorgio Giorgerini, Augusto Nani, Incrociatori Italiani, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1964, pp. 675- 685.62 Robert F. Kennedy, Thirteen Days. A Memoir of the Cuban Missile Crisis, New York, W.W. Norton, 1969, pp. 108- 109. Sull’impegno preso dagli Stati Uniti a ritirare i missili Jupiter, e sul successivo dibattito storiografico, cfr. James Hershberg, Anatomy o f a Controversy. Anatoly Dobrynin’s Meeting With Robert F. Kennedy, Saturday, 27 October 1962, “Cold War International History Project Bulletin”, 1995, n. 5, pp. 75-80.
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farla fallire63. Il vertice angloamericano di Nassau del dicembre 1962, infine, sancì la fine di ogni progetto di assistenza bilaterale americana ai deterrenti nucleari nazionali, eliminando in tal modo gran parte delle speranze alimentate dalle ambigue formule degli anni di Eisenhower e rendendo impossibile la continuazione della cooperazione nucleare italoamericana lungo le linee preesistenti. I missili Jupiter furono perciò sostituiti non con altri missili soggetti al controllo di entrambi gli alleati, come si era sperato da parte italiana, ma con l’invio nel Mediterraneo di alcuni sottomarini americani muniti di Polaris: il ritiro degli Jupiter segnò perciò un brusco ridimensionamento delle speranze di quelle forze politiche italiane che avevano visto nel loro dislocamento sul suolo nazionale un primo passo verso l’acquisizione di uno status privilegiato all’interno della Nato da parte dell’Italia.
La rimozione degli Jupiter ebbe in conclusione il significato di un simbolico spartiacque tra la fase più acuta della guerra fredda, culminata con i drammatici giorni della crisi di Cuba, e l’avvio dei primi passi verso la distensione, che di lì a qualche mese avrebbe colto un importante successo con la firma del trattato per la limitazione parziale degli esperimenti nucleari. Il significato di questi avvenimenti non sfuggì alle forze politiche italiane, ma, mentre tutti i politici accettarono il ritiro dei missili senza opporvisi apertamente, da parte della destra non mancarono chiari segni di disapprovazione nei confronti della decisione americana sia per il modo in cui era stata presa, senza praticamente consultare il governo italiano in merito alla sua
opportunità, sia perché la rimozione dei missili costituiva una prova tangibile dell’allentamento della tensione internazionale che, favorendo il processo di distensione, avrebbe inevitabilmente rafforzato la politica estera del centrosinistra64 65. Non per niente, quando Henry Kissinger si recò in Italia agli inizi del 1963 in una missione informale per raccogliere le impressioni dei politici italiani sul vertice di Nassau e sulla rimozione degli Júpiter, la sinistra moderata e i vertici del Psi mostrarono tutto il loro apprezzamento nei confronti di quella decisione, fornendo cosi uno dei primi esempi della nuova possibile cooperazione tra la politica estera della Nuova frontiera e il centrosinistra in alternativa alla precedente cooperazione italoamericana basata sugli scenari della guerra fredda63. In sostanza la disponibilità mostrata di fronte al ritiro dei missili Júpiter costituiva, per il nuovo corso di politica estera che l’amministrazione Kennedy intendeva attuare, una prova di affidabilità altrettanto significativa di quella mostrata dai governi precedenti al momento in cui quei missili era stato necessario installarli.
L’ambiguità con la quale l’amministrazione Kennedy procedeva lungo il cammino verso la distensione, tuttavia, rese difficile per le forze politiche italiane individuare con precisione i contorni del nuovo scenario internazionale che si stava delineando. La proposta lanciata dalla Casa Bianca all’inizio del 1963 di dar vita a una Forza nucleare multilaterale (Mlf) in seno all’alleanza atlantica, in particolare, rese evidenti tutte le incertezze di un periodo in bilico tra la continuazione della guerra fredda e l’inizio della distensione. Pro-
63 Memorandum. Subject: Turkish IRBM’s [sic], October 30, 1962, in JFK, NSF, RS, Nato, box 226, f. NATO-Wea- pons Cables-Turkey. Per un’analisi più ampia del ruolo dei Jupiter italiani durante la crisi di Cuba, cfr. L. Nuti, L'ilalie et les missiles Jupiters, cit. Per il fallimento di una Mlf mediterranea, cfr. John Steinbruner, The Cybernetic Theory, cit., pp. 233-234.64 Memo of Conversation with Segni in Rome, January 16, 1963, in JFK, NSF, M & M, Staff Memos, f. H. Kissinger 1/ 63, b. 321.65 Rome (Ainsworth) to the Secretary of State, January 17, 1963, in JFK, A.M. Schlesinger, Classified Subject File: Italy 1/14/63-1/31/63, box WH-12a.
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posta da Kennedy con molta riluttanza e probabilmente con la segreta speranza di non doverla mai attuare, la Mlf fu concepita solamente come misura temporanea per vivificare un’alleanza scossa dalle turbolenze golliste e godette, all’interno dell’amministrazione, solamente dell’appoggio di un gruppo ristretto di convinti europeisti del Dipartimento di Stato. Per gli alleati europei, a loro volta, risultò estremamente difficile capire quanto seriamente a Washington si intendesse appoggiare l’attuazione di questo progetto e ciò dette vita a un susseguirsi di equivoci e fraintendimenti che si protrassero per circa due anni, fino a quando la Mlf fu definitivamente accantonata.
In Italia, in particolare, la proposta ebbe inizialmente un’accoglienza piuttosto fredda, dal momento che fu vista come un mediocre sostituto di una possibile continuazione della precedente collaborazione bilaterale. Tuttavia in seno alla Farnesina l’idea della Mlf fu accolta con un certo interesse, dal momento che si condivideva l’intenzione americana di servirsene per tonificare l’alleanza atlantica e, soprattutto, perché si riteneva che fosse possibile utilizzarla come strumento per rilanciare l’integrazione europea; tanto che, di fronte ai sondaggi americani, alcuni funzionari del ministero si spinsero sino ad affermare che l’Italia avrebbe
potuto partecipare al progetto anche da sola66. Da un punto di vista più strettamente politico, la proposta della Mlf fu interpretata dagli avversari del centrosinistra come lo strumento tanto atteso con il quale ostacolare l’apertura al Psi: chiedendo ai socialisti di accettarla per mettere alla prova la loro affidabilità atlantica, infatti, si pensava di ottenere sicuramente un rifiuto e spingere cosi nuovamente il Psi al di fuori dell’area di governo67.
Quanto ai socialisti, questi a loro volta cercarono soprattutto di evitare di prendere posizione, sperando che alla fine il problema si risolvesse da solo con il fallimento dell’iniziativa, anche se alcuni autonomisti si lasciarono andare a caute dichiarazioni nelle quali manifestarono un certo interesse per una formula che aveva il pregio di circoscrivere la proliferazione delle armi atomiche e, soprattutto, poteva prevenire l’allestimento di un arsenale nucleare autonomo da parte della Germania federale68. Ciò che agli autonomisti premeva effettivamente era sapere, in realtà, quanta importanza l’amministrazione Kennedy attribuisse all’attuazione della Mlf, per poter adottare al riguardo una linea di condotta che risultasse accettabile anche a Washington: attraverso vari canali confidenziali, alla fine, la Casa Bianca riuscì a far capire a Nenni che il problema non aveva nes-
66 Appunti del direttore generale aggiunto degli Affari politici (Roberto Ducei), 27 agosto 1963, in Archivio storico del ministero degli Affari Esteri, Roma (d’ora in poi ASMAE), Roberto Ducei, pp. 59-61; Rome Embassy to Secretary of State, 4 March 1963, in JFK, NSF, box 217, f. MLF Cables, 3/1/63-3/10/63.67 Durante una visita a Washington nell’estate del 1963, ad esempio, il consigliere diplomatico del presidente Segni Federico Sensi cercò di ottenere ad ogni costo una dichiarazione sulla Mlf dal Dipartimento di Stato, e “quando ebbe trovato ciò che voleva” telefonò al presidente per riferirgli che gli “Stati Uniti volevano un’adesione ferma e immediata dal nuovo governo italiano sulla MLF”: Segni, a sua volta, cercò di utilizzare queH’informazione per bloccare la costruzione del governo di centrosinistra: Memorandum for Gov. Harriman from George Lister, “Recommendations for Action in Italian Affairs”, December 5, 1963, in Library of Congress Manuscript Division (d’ora in poi LCMD) W. A. Harriman Papers (d’ora in poi W.A. Harriman), box 15 cl.; Memorandum to Gov. Harriman from George Lister, “Visit of Segni and Saragat” , January 9, 1964, LCMD, W.A. Harriman, Subject File, box 484, f. Lister, George. Sono molto grato alla signora Audrey A. Walker della Library of Congress per avermi aiutato ad ottenere la declassificazione del primo di questi due documenti.68 Fraleigh (Rome) to the Secretary of State, June 24, 1963, “Recent conversations with Psi leaders”, in JFK, A.M. Schlesinger, Subject FileTtaly, f.6/1/63-6/30/63; Fraleigh (Rome) to the State Dept., April 6, 1963, “ ’ll Punto’ Round-Table on 'Europe today and Tomorrow’”, in JFK, A.M. Schlesinger, Subject FileTtaly, f. 3/1/63-4/30/63.
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suna urgenza immediata, facilitando in tal modo la conclusione positiva delle trattative che portarono alla creazione del primo governo MoroIl 69.
Anche in merito ai problemi dell’alleanza atlantica, dunque, così come in merito ai problemi dell’integrazione europea, il centrosinistra sembrava qualificarsi, sia pure gradatamente, come interlocutore affidabile dal punto di vista americano. Dal momento che i timori di Washington nei confronti di un’alleanza di centrosinistra erano motivati dalle possibili scelte in materia di politica estera, fu su questo piano, ancor più che su quello della politica interna, che l’apertura a sinistra superò il test della sua accettazione da parte dell’amministrazione Kennedy.
Conclusioni: un nuovo allineamento di forze?
Il punto di svolta che dimostrò l’affidabilità del centrosinistra fu probabilmente la crisi cubana dell’ottobre 1962. La risposta del governo italiano al discorso con cui Kennedy aveva dichiarato il blocco navale di Cuba costituì una manifestazione di solidarietà con la posizione americana molto più debole di quelle mostrate in passato. Probabilmente sulla cautela m ostrata dal governo italiano in quell’occasione pesò la necessità per Fanfani di non rischiare resistenza della sua instabile maggioranza irritando i socialisti con una netta dichiarazione di sostegno nei confronti delle decisioni
americane. Il Dipartimento di Stato notò come questa preoccupazione di Fanfani per la situazione politica interna potesse costituire motivo di perplessità per gli Stati Uniti, dal momento che
in una eventuale crisi futura [era] probabile che l’Italia esibisce] di nuovo una solidarietà meno palese con noi rispetto al passato, almeno fin quando il governo italiano dipendeva] da un’alleanza con il Psi, dal momento che [era] dubbio che il Psi [riuscisse] a muoversi rapidamente verso una posizione di sostegno attivo della solidarietà dell’alleanza.
Lo stesso documento, tuttavia, concludeva che “il fatto che fosse desiderabile attirare il Psi nella coalizione democratica, e perciò rafforzare l’Italia politicamente, socialmente e economicamente potrebbe rendere tollerabile qualche sacrificio della solidarietà italiana con noi in materia di politica estera purché si possa contare fino in fondo sulla permanenza dell’Italia all’interno dell’Alleanza atlantica”70. Altri osservatori americani facevano altresì notare come in occasione della crisi cubana molti socialisti, “per quanto critici dell’iniziativa americana e scettici nei confronti tanto della sua necessità quanto dei risultati che potevano derivarne, assicurarono ai funzionari dell’ambasciata che non c’era nessun dubbio di come si sarebbe collocato il Psi nel caso di un confronto tra Est e Ovest a causa della controversia cubana” , e sottolineavano che “ i socialisti di Nenni [....] si erano rifiutati di unirsi ai comunisti in un’azione congiunta per le strade e in Par-
69 A proposito dell’interesse, e delle difficoltà, del Psi ad appurare la posizione deH’amministrazione Kennedy sulla Mlf, cfr. le lettere di Riccardo Lombardi a Pietro Nenni, 2 novembre 1963, in Archivio centrale dello Stato, Roma, Archivio Pietro Nenni (d’ora in poi ACS, Nenni), Serie C., 1944-1979, b. 30, f. lettere di Lombardi, Riccardo; Giovanni Pieraccini a P. Nenni, 15 novembre 1963, in ACS, Nenni, b. 36, fase.1731, lettere di Pieraccini, Giovanni. Nella prima lettera si escludeva che la Casa Bianca potesse rinviare ulteriormente la questione della Mlf, nella seconda si affermava esattamente il contrario. Cfr. anche le due lettere di Altiero Spinelli a Pietro Nenni, 8 novembre e 14 novembre 1963. in Archivio storico della Comunità europea, Firenze, Fondo Spinelli, DEP-I-58. Sui contatti con Washington a questo riguardo, cfr. anche L. Wollemborg, Stelle, strisce e tricolore, cit., pp. 175-176.70 Memo for Arthur Schlesinger Jr. “The Italian Center-Left Government and thè Cuban Crisis: Lessons for American Foreign Policy” , November 30, 1962, in JFK, NSF, Co, Cuba-General, box 37, f. 11/21/62-11/30/62.
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lamento”71. La National Intelligence Estimate preparata dalla Cia per il 1963 concludeva che “il sostegno dei socialisti per la coalizione pone[va] effettivamente dei problemi” e che le loro opinioni di politica estera “suggerivano] in effetti un allineamento molto minore rispetto a quello dei passati governi italiani con alcuni importanti punti di vista politici dell’Occidente” ; lo stesso documento tuttavia notava anche come la coalizione di centrosinistra avesse aderito strettamente alle tradizionali linee di fondo della politica estera italiana (la Nato e la Cee) e che “se c’[era] stato qualche cambiamento di politica da quando la coalizione [era] stata formata, [era] stato più nel tono che nella sostanza, più negli accenti che nel contenuto”72. In breve, la crisi cubana sembrò dimostrare che in fin dei conti i rischi impliciti nell’apertura a sinistra erano abbastanza limitati e che per il momento erano abbondantemente compensati dalla prospettiva di isolare ulteriormente il partito comunista73.
Dopo la crisi cubana, nel corso della primavera e dell’estate del 1963 all’interno dell’amministrazione Kennedy cominciò perciò a consolidarsi il consenso relativo al ruolo che il centrosinistra avrebbe potuto svolgere nella politica italiana. Sebbene il primo governo, basato sull’appoggio esterno del Psi, non avesse realizzato tutte le riforme che i suoi sostenitori si aspettavano e le elezioni
politiche del maggio 1963 avessero generato non pochi dubbi circa l’effettiva consistenza delle forze politiche impegnate nel promuovere il centrosinistra, vari settori dell’amministrazione giunsero alla conclusione che solo il centrosinistra sarebbe stato in grado di stabilizzare il sistema politico italiano74. Così, nei memorandum con cui analizzava la situazione politica italiana nell’estate del 1963, la Central Intelligence Agency dichiarava ripetutamente che il centrosinistra rappresentava in quel momento la meta più auspicabile per l’evoluzione della politica italiana75.
A partire dalla primavera-estate del 1963, inoltre, l’utilità del centrosinistra cominciò ad essere apprezzata non solo in riferimento ad un contesto strettamente italiano e, da più parti, si cominciò a sottolineare i possibili effetti positivi del nuovo corso della politica italiana anche in campo internazionale: Arthur Schlesinger, ad esempio, descrisse a Kennedy più di una volta quali avrebbero potuto essere gli aspetti positivi del rafforzamento delle sinistre moderate in tutta l’Europa occidentale allo scopo di contrastare la sfida gollista all’alleanza atlantica76. Che il centrosinistra costituisse una sorta di strumento indiretto per contenere la Francia gollista, del resto, veniva sostenuto anche all’esterno dell’amministrazione da altri fautori dell’apertura quali Victor Reuther o da figure di spicco del mondo dei media quali Wal-
71 Research Memorandum REU 75, November 3, 1962: “Our Major European Allies and the Cuban Crisis”, in JFK, NSF, Co, Cuba, box 50, f. Subjects-INR Material.72 National Intelligence Estimate Number 24-63, “Implications of the Center-Left Experiment in Italy”, January 3, 1963, in JFK, A.M. Schlesinger, White House Files, Subjects: Italy, f. Italy Cia Reports 1/3/63, bow WH-12.73 Ennio Di Nolfo, L ’Italie et la crise de Cuba en 1962, in Maurice Vai'sse (a cura di), L ’Europe et la Crise de Cuba, cit.74 Un fattore importante nel ridurre l’ostilità del Dipartimento di Stato nei confronti dell’apertura a sinistra, come sottolinea Schlesinger in The Thousand Days, fu la nomina di Harriman a undersecretary of State for Political Affairs, il 14 Aprile 1963. Per un esempio dei giudizi sul centrosinistra, cfr. il briefing book per il viaggio di Kennedy in Italia The President’s European Trip, June 1963, Part.III, The Current Situation in Italy, in Declassified Documents Research System (d’ora in poi DDRS), 1977/276B.75 The Current Situation in Italy, Cia Special Report, 26 July 1963; Organized Labor and Italian Politics, Cia Special Report, 4 October 1963; Riccardo Lombardi of the Italian Socialist Party, Cia Special Report, 18 October 1963: tutti e tre questi documenti sono stati ottenuti tramite il Freedom of Information Act.76 Memorandum for the President: How to Deal with the Popular Front Threat, by Arthur Schlesinger Jr., June 22, 1963, in DDRS, 1983/2218.
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ter Lippmann77. È vero certamente che la politica estera americana non fu mai influenzata da questo approccio concettuale-ideologico in maniera così netta come avrebbe desiderato Schlesinger quando auspicava lo sviluppo di una Europa progressista che rispecchiasse nel vecchio continente le idealità della Nuova frontiera e, al tempo stesso, contenesse l’influenza della Francia gollista78. E anche vero, però, che i partiti politici che sostenevano il centrosinistra temevano non solo la politica estera di De Gaulle ma anche la possibilità che l’esperienza gollista rinvigorisse la destra italiana, come è vero altresì che, con il crescere della sfida francese nel corso del 1963, anche i socialisti italiani cominciarono ad auspicare apertamente che gli Stati Uniti riprendessero saldamente in mano la leadership dell’alleanza atlantica, in modo da bloccare ogni ulteriore sviluppo dell’asse Parigi-Bonn.
Contemporaneamente la nuova atmosfera di distensione nelle relazioni tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica sviluppatasi dopo la crisi dei missili a Cuba ebbe un effetto profondo sulla scena politica italiana. Quando la tendenza al disarmo e al controllo degli armamenti cominciò a prendere effettiva consistenza e si giunse alla firma del trattato che limitava parzialmente gli esperimenti nucleari, la sinistra moderata italiana si mostrò sempre più disposta a condividere le responsabilità di governo e ad appoggiare la politica estera americana. Conseguentemente, il dilemma prospettato dal Dipartimento di Stato nel 1961 di una “democrazia italiana posta di fronte all’alternativa di una coalizione di governo che avrebbe potuto offrire maggiori opportunità per ridurre la forza del Pei e di un’altra che sarebbe stata un’alleata degli
Stati Uniti più disposta a cooperare all’interno della Nato e nelle questioni di politica internazionale79” , stava gradualmente scomparendo grazie ai cambiamenti complessivi in corso nel sistema internazionale. Durante il 1963 la crescente importanza attribuita dalla politica estera americana alla distensione con l’Unione Sovietica, da un lato, e la necessità di attuare una forma di “contenimento” di De Gaulle, dall’altra, contribuirono sensibilmente a ridurre la contraddizione più volte rimarcata tra i due obiettivi della politica italiana di Washington; e questo, a sua volta, fece del centrosinistra una formula di governo che dal punto di vista americano era interessante non solo come strumento per ridurre l’influenza del Pei, ma anche come ulteriore garanzia deH’allineamento dell’Italia su posizioni filoamericane per tutto ciò che atteneva alle relazioni atlantiche. Se la politica estera era stata il problema sul quale si erano registrate le maggiori divergenze, l’ostacolo più difficile sulla strada della conclusione di un accordo tra la De e il Psi — “una delle maggiori difficoltà al raggiungimento dell’accordo su un programma politico tra la Democrazia cristiana e il Partito socialista”, secondo le parole dell’ambasciatore inglese Sir Ashley Clarke80— sembra probabile che un cambiamento nello scenario internazionale, anche se di portata quantomai limitata, possa aver contribuito a eliminare alcune di queste difficoltà e quindi a rendere più facile per i due partiti il raggiungimento di un’intesa. Incidentalmente, questa era anche l’opinione di alcuni analisti americani, dal momento che già nel 1958 uno studio del Bureau of Intelligence and Research (Inr) del Dipartimento di Stato aveva concluso:
77 Victor G. Reuther to Willy Brandt, April 3, WSU, WPR, ALUA, V. Reuther, box 27, folder 26. Per il parere di Lippmann sul centrosinistra, cfr. Wollemborg, Stars and Stripes, cit, p. 83, e 1’editoriale di Lippmann sul “New York Herald Tribune” del 28 dicembre 1962.78 A. Schlesinger Jr., A Thousand Days, cit., pp. 804-811.79 Italy. Department of State Guidelines for Policy and Operations, January 1962, in JFK, loc. cit. a nota 46.80 Sir Ashley Clarke to the Earl of Home, 11 December 1962, PRO, FO 371/160662/CJ1015/11.
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un’apertura a sinistra dipenderà anche dal clima internazionale. Un rilassamento della tensione internazionale molto probabilmente incoraggerà un rapprochement tra i partiti di centro e i socialisti di Nenni81.
Questo nesso tra politica interna e sistema internazionale era molto chiaro anche per gli avversari irriducibili del centrosinistra come la signora Luce, che all’inizio del 1963 metteva in guardia il presidente Kennedy contro i rischi di una politica troppo severa nei confronti di De Gaulle. Per l’ex ambasciatrice americana a Roma una simile politica era carica di pericoli, perché
il governo italiano [....] non può sopravvivere a una débàcle del centro in Francia, e l’Italia potrebbe anche anticipare una tale débàcle portando al potere i socialisti filocomunisti. Incidentalmente, Mr. President, dia un’occhiata molto attenta ai Suoi piani per la visita in Italia. Nel clima attuale, c’è una possibilità molto concreta che possa trovarsi in imbarazzo a causa dell’accoglienza entusiastica che riceverà dai comunisti! Posso già immaginarmi gli striscioni: “Vivo [sic] Kennedy e Chruscev! Abbasso De Gaulle e Mao Tse Tung”82.
Lungi dall’essere un problema di stretta pertinenza della politica interna italiana come i politici italiani hanno dichiarato all’epoca e in seguito, l’apertura a sinistra può quindi essere vista come un aspetto della più ampia sequenza di eventi determinati dall’evoluzione della politica internazionale tra la fine del 1962 e il 1963. Le nuove caratteristiche del sistema internazionale che cominciarono a delinearsi nel 1963, in altre parole, prepararono la strada a quel nuovo allineamento di forze all’interno del sistema politico italiano che molti anni di discussioni tra sostenitori e oppositori dell’apertura a sinistra di qua e di
là dell’Atlantico non erano riusciti a realizzare.
Questo risultato era perciò strettamente correlato alla generale atmosfera di distensione e a quel processo che Marc Trachtenberg ha definito la messa alla prova e la chiarificazione della “struttura di base del potere mondiale” attraverso le gravi crisi degli anni di Kennedy83. In altre parole sia la conclusione — per quanto informale, graduale e mai riconosciuta come tale — di una sorta di accordo per la stabilizzazione postbellica, sia il conseguente parziale miglioramento delle relazioni tra le superpotenze contribuirono notevolmente, insieme al timido impegno della amministrazione Kennedy per l’attuazione delle riforme sociali e il rafforzamento della democrazia, a promuovere un impercettibile spostamento deH’equilibrio tra le forze politiche italiane. Al tempo stesso la nuova coalizione moderatamente orientata a sinistra che cominciò a prendere forma in Italia era ben disposta a sostenere il processo di distensione, a incoraggiare il dialogo tra le super- potenze e a promuovere varie misure di disarmo e di controllo degli armamenti, creando così un circolo virtuoso in grado di aiutare gli Stati Uniti a mettere in pratica la politica di distensione verso l’Urss. Questa interpretazione non è esente da una certa semplificazione degli eventi, che negli anni presi in esame seguirono certamente un corso tutt’altro che netto e lineare. La politica americana verso l’Italia negli anni di Kennedy, infatti, può essere raffigurata nella maniera più appropriata come la ricerca di un delicato equilibrio tra approcci vecchi e nuovi, dal momento che tra il 1961 e il 1963 le relazioni tra l’Italia e gli Stati Uniti presentarono un andamento stop-and-go, ricco di contraddizioni
81 The Outlook for Italy, Intelligence report n.7870 (originally prepared as the IRA contribution to NIE 24-58), December 10, 1958, in NAW, INR reports.82 Claire Boothe Luce to J.F. Kennedy, February 5, 1963, in JFK, Presidential Office Files, Special Correspondence, box 31, f. Luce, Henry R. and Claire Boothe 1/22/63 — 8/23/63.83 Marc Trachtenberg, History and Strategy, cit., Chapter 4, Making Sense of the Nuclear Age.
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che rendono difficile identificare una direzione precisa: e tuttavia, all’interno di questo apparente labirinto, è possibile individuare con una certa sicurezza un lento e graduale
processo di cambiamento e i primi segni di un nuovo allineamento tra le diverse forze politiche.
Leopoldo Nuti
Leopoldo Nuti (Siena 1958) è professore associato di Storia delle relazioni internazionali al dipartimento di Studi politici deirUniversità di Catania. È stato ricercatore incaricato alla Nato, borsista Jean Mon- net all’Istituto universitario europeo, ricercatore presso lo Csia della Harvard University e ha lavorato per il Nuclear History Program. Ha pubblicato L ’esercito italiano nel secondo dopoguerra, 1945-1950. La sua ricostruzione e l ’assistenza militare alleata (Roma, Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito, 1989) e curato il volume I missili di ottobre: La storiografia americana e la crisi cubana del 1962 (Milano, Led, 1994). Ha scritto numerosi articoli sulla sicurezza italiana e la politica estera durante la guerra fredda e attualmente sta terminando una monografia sugli Stati Uniti e le origini dell’“apertura a sinistra” in Italia tra il 1956 e il 1964.
ABRUZZO CONTEMPORANEOAmbienti e risorse sull’Appennino abruzzese: percorsi di ecostoria
Sommario del n. 2, 1996
Studi e ricerche
M arco Armiero, Il tesoro degli Appennini: uomini e miniere nell'Abruzzo preunitario-, Maurizio Gangemi, Il paese dei boschi: alcune considerazioni sull'Abruzzo del 1789\ Luigi Piccioni, Il dono dell'orso. Abitanti e plantigradi nell’Alta vai di Sangro tra Otto e Novecento-, Gaetano Sabatini, Note sulla creazione del sistema ferroviario in un'area marginale: l'Abruzzo tra Otto e Novecento-, Marcello Benegiamo, Paolo Nunziato, Gli elettrocommerciali abruzzesi in età giolittiana: la società Zecca-Cauli-, Alessandro Clementi, Alle origini del Parco nazionale d'Abruzzo
Osservatorio
Loretta Bonifaci Di Marzio, Scienze naturali e storia dell’ambiente: un confronto possibile?
Fonti e testimonianze
Mario Setta, Quella "strana alleanza": libri inglesi sulla resistenza abruzzese-, Carmine Viggiani, Nicola Fiorentino, In terra casularum... Regesti, voli. I-V
Schede e recensioni