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STUDIUM Anno 109 - lug./ago. 2013 - n. 4...leggenda di colui che non volle essere amato...Non aveva...

Date post: 27-Mar-2021
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La parabola di Luca 15, 11-32 e la sua crescita nella letteratura cristiana antica di Giuseppe Bonfrate Al Cardinale Achille Silvestrini per i suoi novant’anni Sarà difficile convincermi che la storia del figliol prodigo non sia la leggenda di colui che non volle essere amato...Non aveva più pen- sato, occupato com’era: che l’amore poteva esserci ancora (R.M. Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge) A mettersi sulle tracce della storia dell’interpretazione di un testo biblico, per la ricchezza e la varietà di letture e ri-scritture, non appare così inve- rosimile la teoria del labirinto o del lettore perplesso, che si ricava dal ce- lebre racconto di Borges, Il giardino dei sentieri che si biforcano. Capire quello che si legge impegna la decisione per una direzione di significato che, però, non eliminerebbe necessariamente le altre, diversificando e, in- sieme, contenendo, i sentieri del futuro ermeneutico di un possibile-im- possibile libro infinito, scritto apposta, sembrerebbe, perché qualcuno si perda, emblema della fragilità dello sguardo e di ogni lettura: «un’opera da trasmettersi di padre in figlio, e alla quale ogni individuo avrebbe ag- giunto un capitolo, e magari corretto, con zelo pietoso, le pagine dei pa- dri» 1 . Qui, però, nessuno vuole incorporare nuovi capitoli al Libro – la Bibbia – consegnato aperto ma concluso, o supporre di violarne l’integrità, ma possiamo verificarne la potenza vitale – insita nel testo la cui natura è straniante –, che sospinge le pagine, misteriosamente, a crescere. STUDIUM Anno 109 - lug./ago. 2013 - n. 4 1 J.L. Borges, Il giardino dei sentieri che si biforcano, in Finzioni, Torino 1995, cfr. pp. 87-88.
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La parabola di Luca 15, 11-32e la sua crescita nella letteraturacristiana anticadi Giuseppe Bonfrate

Al Cardinale Achille Silvestrini per i suoi novant’anni

Sarà difficile convincermi che la storia del figliol prodigo non sia laleggenda di colui che non volle essere amato...Non aveva più pen-sato, occupato com’era: che l’amore poteva esserci ancora

(R.M. Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge)

A mettersi sulle tracce della storia dell’interpretazione di un testo biblico,per la ricchezza e la varietà di letture e ri-scritture, non appare così inve-rosimile la teoria del labirinto o del lettore perplesso, che si ricava dal ce-lebre racconto di Borges, Il giardino dei sentieri che si biforcano. Capirequello che si legge impegna la decisione per una direzione di significatoche, però, non eliminerebbe necessariamente le altre, diversificando e, in-sieme, contenendo, i sentieri del futuro ermeneutico di un possibile-im-possibile libro infinito, scritto apposta, sembrerebbe, perché qualcuno siperda, emblema della fragilità dello sguardo e di ogni lettura: «un’operada trasmettersi di padre in figlio, e alla quale ogni individuo avrebbe ag-giunto un capitolo, e magari corretto, con zelo pietoso, le pagine dei pa-dri» 1. Qui, però, nessuno vuole incorporare nuovi capitoli al Libro –la Bibbia – consegnato aperto ma concluso, o supporre di violarnel’integrità, ma possiamo verificarne la potenza vitale – insita nel testo la cuinatura è straniante –, che sospinge le pagine, misteriosamente, a crescere.

STUDIUM Anno 109 - lug./ago. 2013 - n. 4

1 J.L. Borges, Il giardino dei sentieri che si biforcano, in Finzioni, Torino 1995, cfr. pp. 87-88.

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Il romanzo della misericordia: la parabola del figliol prodigo nella letteratura 489

Dobbiamo occuparci di una celebre parabola, il cui titolo più comu-nemente assegnato, del figliol prodigo, manifesta solo una parte della suastraordinaria ricchezza. Il verbo crescere, e il simile proficere, in previsionedi un compimento etico-spirituale, si propongono quando la Parola diDio è proclamata o viene letta nel silenzio del cuore credente, esito attesoda Dio stesso che, come è scritto nel profeta Isaia, invia la sua Parola chenon ritornerà senza aver prodotto l’effetto sperato, «senza aver compiutociò per cui l’ho mandata» (55, 11). La storia degli effetti di un testo non èestranea a queste considerazioni, e volendole approfondire è necessarioandare, per un momento, a un’altra parabola che ci permetterà di pren-dere atto della vivace e misteriosa vigoria delle parole divine, quella del se-minatore 2, che traccia la storia di un seme (dalle mani del seminatore alluogo in cui cade) il cui significato è la Parola di Dio rivolta alla libertà del-la creatura. Siamo al capitolo 4 del Vangelo di Marco dove si legge che ilseme gettato subisce diversi esiti, prevalentemente infelici, e solo una par-te, caduta in terra buona, crebbe portando variamente frutto (trenta, ses-santa, cento per uno). Gesù stesso spiega che la “terra buona”, che acco-glie e così porta frutto, è chi ascolta la Parola (Mc 4, 14; 20). Nei testi pa-ralleli viene precisato l’ascolto che “comprende” (Mt 13, 23), e che la Pa-rola è veramente ascoltata dal “cuore buono e perfetto” (Lc 8, 15). Siamoalla messa in scena di un vero e proprio “dramma” della semina, dovel’unico ascolto fruttuoso appare assediato da tre casi di ascolto infruttuo-so, e vi è in gioco quanto atteso da Dio e sperato per l’uomo, perché il“fallito incontro seme-terreno” sarebbe il “fallito incontro Parola-uo-mo”3. La trama parabolica innerva la realtà quando le prove misurerannola tenuta della fede delle prime comunità cristiane. Nel Libro degli Attidegli Apostoli, nel contesto delle persecuzioni, sorprendentemente «la pa-rola di Dio cresceva e si diffondeva» (12, 24), e in contrasto ai venditorid’illusioni, «la parola del Signore cresceva e diveniva più forte» (19, 20).

La crescita non è, quindi, un semplice commento emotivamente, in-tellettualmente e spiritualmente appagante, ma il risolversi continuo dellapagina biblica nella carne (delle generazioni credenti) in cui-per cui il Lo-gos si fece. L’incarnazione del Figlio di Dio (sárkosis-incarnatio)4 diventerà

2 Cfr. V. Fusco, Parola e Regno. La sezione delle parabole nella prospettiva marciana, Bre-scia 1980, pp. 308-328; J. Dupont, La parabole du semeur, in Études sur les évangiles synopti-ques, I, Leuven 1985, pp. 236-258.

3 Cfr. V. Fusco, op. cit., pp. 311; 331.4 Presumibilmente è con Ireneo (Contro le eresie III, 19, 2, a cura di E. Bellini, G. Ma-

schio, Milano 2007, p. 279) che si avvia la tradizione a esprimere Gv 1, 14 – il verbo si fece car-ne – secondo questa forma sostantivale.

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il criterio ermeneutico originario della storia degli effetti della Scrittura,recepita cristianamente, che propone-rivela la verità della Parola nell’au-tenticità del testimone. Gli autori cristiani antichi creano una letteratura(apologetica, catechetica, omiletica, poetica) attingendo ai testi biblici in-terpretati prevalentemente secondo il metodo allegorico. Essi sanno chela posta in gioco riguarda la vita, sospesa tra realtà e mistero 5. Gli ap-procci esegetici servono a dare la stura a un immenso serbatoio compres-so, densità preziosa nascosta nell’umiltà della lettera 6, che si rincorre di li-bro in libro, di pagina in pagina, di parola in parola 7. La convinzione è cheogni pagina, parola o addirittura ciascuna lettera riponga in sé un sentie-ro luminoso di significati offerti da Dio per farsi trovare. Origene, e siamoall’apice dell’officina esegetica alessandrina del III secolo, a commento diGv 1, 16, dalla sua pienezza – del Verbo incarnato – noi tutti abbiamo rice-vuto grazia su grazia, spiega ai suoi ascoltatori che la Parola è così ricca epervasiva da straripare nei sensi, e oltre, così che la si può accogliere nonsolo tramite le orecchie, ma anche con gli occhi e il naso: «Le sacre Lette-re non hanno nemmeno un apice [Mt 5, 18] privo della sapienza di Dio[...]. I Libri santi spirano lo spirito di pienezza e non c’è nulla né nella pro-fezia né nella Legge né nell’Evangelo né nell’Apostolo che non discendadalla pienezza della maestà divina. E perciò anche oggi nelle Scritture san-te spirano parole di pienezza e spirano per coloro che hanno sia occhi per

5 La percezione del doppio (realtà e mistero) in cui ricomprendere la vita sacramentalmen-te e il fascino disarmante dell’umile eloquio biblico costituiscono un paradigma che resiste al tem-po e lumeggia immaginazione e rappresentazione: «Da un capo all’altro della Bibbia si rimanemeravigliosamente stupiti [...]. La semplicità del linguaggio, in ragione inversa della magnificen-za dei fatti, ci sembra l’ultimo sforzo del genio [...] si tratta di una ingenuità maestosa (naïveté im-posante): è Dio che si abbassa al linguaggio degli uomini per far loro comprendere le sue meravi-glie, ma è sempre Dio [...] non soltanto storia reale degli antichi giorni, ma anche la rappresenta-zione dei tempi moderni. Ogni fatto è doppio, e contiene una verità storica e un mistero; il popo-lo ebraico è una rappresentazione simbolica della razza umana, che rappresenta, nelle sue avven-ture, tutto ciò che è accaduto e tutto ciò che deve accadere nell’universo», F.-R. de Chateau-briand, Genio del Cristianesimo, II parte, libro V, cap. II, Milano 2008, pp. 592-595.

6 «L’umiltà della lettera ci rimanda alla preziosità dell’intelligenza spirituale (Vilitaslitterae ad pretiositatem nos spiritalis remittit intelligentiae)», Origene, Omelie sui Numeri XII,1, a cura di M.I. Danieli, Roma 1988, p. 156; testo latino a cura di L. Doutreleau, Sources Chré-tiennes 442, Paris 1999, p. 72.

7 In continuità col metodo che Aristarco di Samotracia tramanda con la formula di «Ome-ro si comprende con Omero», che in Origene diventa «Confrontiamo la Sacra Scrittura con sestessa» (Omelie su Giosuè XV, 3, p. 209, a cura di R. Scognamiglio e M.I. Danieli, Roma 1993;testo latino, a cura di A. Jaubert, Sources Chrétiennes 71, Paris 2000, p. 334), l’esegesi insegueil significato su vie che attraversano i due Testamenti. La Scrittura, così, cresce in larghezza e inverticalità, cavando dalla profondità, spesso oscura, la luce dei significati che giovano alla cre-scita spirituale degli ascoltatori-lettori: «ritengo conveniente andare ad altri luoghi della Scrit-tura (Et ideo conveniens puto etiam de aliis Scripturae locis) per illuminare il mistero», Origene,Omelie sui Numeri XII, 1, cit., p. 156; testo latino, cit., pp. 72-74.

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vedere le realtà celesti sia orecchi per udire le cose divine sia narici persentire cosa spira dalla pienezza» 8. Attraversati da tanta ricchezza la vita sitrasforma, prospera insieme ai significati compresi, e cresce con la Parolasecondo destini incrociati. Sulla stessa linea Gregorio Magno, che fissa inuna fortunata sintesi la congiuntura tra progresso virtuoso e crescita er-meneutica: «Nella misura in cui ciascun santo progredisce personalmen-te, in quella misura la Sacra Scrittura stessa progredisce dentro di lui [...]gli oracoli divini crescono insieme con chi li legge (Et quia unusquisqueSanctorum quanto ipse in Scriptura sacra profecerit, tanto haec eadem Scrip-tura sacra proficit apud ipsum...divina eloquia cum legente crescunt)» 9. Lateoria della crescita del testo e del suo lettore ha ben presente quel che ac-comuna e distingue Libro e sguardo, incipit divino e sequela umana. Con-seguentemente le parole umane implicate in quella divina offrono una tra-sfigurazione testuale che dichiara il suo debito al Libro. La letteratura ri-ceve e rielabora, crea e riscrive 10, consapevole, a dirla con Beauchamp, diuna “familiarità” senza “confusione” 11, con una formula che esplicita,nella relazione Bibbia-letteratura, la definizione del Concilio di Calcedo-nia secondo cui in Cristo le due nature, divina e umana, senza confusioneo cambio e senza divisione o separazione sono unite nella persona del Fi-

8 Origene, Omelie su Geremia L, II, 2, a cura di L. Mortari, Roma 1995, p. 301.9 Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele t. I, VII, 8, a cura di V. Recchia, trad. E. Gan-

dolfo, Roma 1992, pp. 214-215; cfr. P. C. Bori, L’interpretazione infinita. L’ermeneutica cristia-na antica e le sue trasformazioni, Bologna 1987. Il fenomeno della comune crescita del testo edi chi lo legge implica la teoria della co-ispirazione, che rinvia all’esperienza pastorale degli ese-geti cristiani antichi per i quali lo stesso Spirito che ha ispirato l’autore sacro e che agisce a fa-vore della sua comprensione, è garanzia di autenticità e correlazione dinamica. Gregorio Tau-maturgo riporta del suo maestro Origene, offrendoci il riflesso ammirato di un’azione erme-neutica sui testi profetici, che operava nella «potenza che è necessaria a chi profetizza e chiascolta i profeti» perché non si potrebbe ascoltare un profeta «se lo stesso Spirito che ha pro-fetizzato in lui non ha anche rilasciato il dono della sua comprensione», rendendo partecipi isuoi uditori di questa circolarità d’ispirazione, Discorso di ringraziamento XV, 179, SourcesChrétiennes 148, Paris 1969, p. 170.

10 «La letteratura è un albero gigantesco, ma le radici sono sempre le medesime, e la ri-scrittura è il principio che ne governa la crescita», P. Boitani, Prima lezione sulla letteratura, Ro-ma-Bari 2007, p. XII. Dello stesso autore sulla tramatura biblica delle riprese letterarie è il sag-gio magistrale Ri-Scritture, Bologna 1997. Ma, affinati alla pratica del comparativismo, sononumerosi i suoi studi condotti con rara sensibilità e sicura padronanza di figure, temi, storie,iconografia e suoni convocati nella perizia esegetica a celebrare l’incontro tra parola divina eumana. Si vedano, tra gli altri, Il tragico e il sublime nella letteratura medievale, Bologna 1992,Esodi e Odissee, Napoli 2004; Letteratura europea e Medioevo volgare, Bologna 2007; Il Vange-lo secondo Shakespeare, Bologna 2009; Il grande racconto delle stelle, Bologna 2012; Letteratu-ra e verità, Roma 2013.

11 «La Bibbia è fatta per essere decifrata e risuonare in mezzo alle altre lettere e alla loroesistenza; non c’è da temere che vi perda la sua tonalità propria», P. Beauchamp, L’uno e l’altroTestamento: compiere le Scritture, Milano 2001, p. 86.

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glio, consustanziale al Padre e consustanziale agli uomini. La consustan-zialità di due parole diverse ma unite in una intimità che redime – «fammicarne di spirito / e spirito di carne» 12 –, realizza il connubio in cui apparela «diafania del divino nel cuore dell’universo in fiamme» 13. A Dio si ri-conosce un Principio generante parole seconde 14, che s’innervano nel“Codice” che le plasma, facendo delle Scritture, nella convinzione di Ro-smini, il Libro dell’umanità: «Questa Scrittura, che è veramente il librodel genere umano, il libro, la Scrittura per antonomasia. In un tal codicel’umanità è dipinta dal principio sino alla fine; comincia coll’origine delmondo, e termina colla futura sua distruzione; l’uomo si sente se stesso intutte le modificazioni di cui è suscettivo, vi trova una risposta precisa, si-cura e fino evidente, a tutte le grandi interrogazioni che ha sempre a farea se stesso; e la mente di lui vi resta appagata colla scienza e col mistero,come il suo cuore vi resta pure appagato colla legge e colla grazia. Egli èquel libro “grande” di cui parla il profeta scritto “collo stilo dell’uomo”[Is 8, 1]; perocché in quel libro l’eterna verità parla in tutti que’ modi, acui si piega l’umana loquela: ora narra, ora ammaestra, ora sentenzia, oracanta: la memoria vi è pasciuta colla storia; l’immaginazione dilettata col-la poesia; l’intelletto illuminato colla sapienza; il sentimento commosso intutti insieme questi modi: la dottrina vi è così semplice, che l’idiota la cre-de fatta a posta per sé; e così sublime, che il dotto dispera di trovarci il fon-do: il dettato sembra umano, ma è Dio che in esso parla» 15.

12 A. Merini, Magnificat: un incontro con Maria, Milano 2002, p. 37; l’umanità di Gesù èla voce – umanissima – della poesia di Dio: «Nessuno ha mai preso in esame che Cristo è statoun grande poeta e che le sue lodi a Dio erano la voce di Dio stesso», Id., Corpo d’amore: un in-contro con Gesù, Milano 2001, p. 13; cfr. S. Assenza, Alda Merini. E la carne si fece canto, in P.Gibellini (a cura di), La Bibbia nella letteratura italiana, II, L’età contemporanea, Brescia 2009,pp. 453-470; C. Cianfaglioni, Disprigionare l’immenso. La poesia di Alda Merini: una provoca-zione al linguaggio teologico, Assisi 2013.

13 T. de Chardin, Il cuore della materia, Brescia 1993, p. 9. Diafanica è la parola divina cherivela, in trasparenza e luminosità, la potenza creatrice di Dio nell’umanità delle parole, dellavita, del cosmo, felice corrispondenza con il «cercare Dio in tutto e vedere tutte le cose in Dio»di Ignazio di Loyola.

14 L’inedita «parola seconda» (deuteros-logos): anche il testo biblico è incline a farsi muoveresecondariamente, deuterosi, cfr. P. Beauchamp, L’uno e l’altro Testamento, I, cap. IV, Il Libro, Mila-no 2001; P. Bovati, Deuterosi e compimento, in Teologia 27 (2002), pp. 20-34. La Deuterosi rinviaalla ricapitolazione, al riavvolgimento del rotolo dall’umbilicus al caput, al racconto cha avanza tor-nando indietro: «La ricapitolazione, più che essere un momento finale, è, propriamente, il mo-mento in cui si genera il punto prospettico da cui si legge tutto quanto è accaduto prima, in vistadel futuro del testo. Ovvero: da una parte, la ricapitolazione chiude tutto quanto è stato già pro-dotto sino a quel momento; dall’altra, apre a una nuova comprensione derivante dal nuovo “bari-centro” che essa stessa offre per le riflessioni future», G. Borgonovo, Primo Testamento, in F. Man-zi, AsSaggi biblici. Introduzione alla Bibbia anima della teologia, Milano 2008, p. 110.

15 A. Rosmini, Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa, Cinisello Balsamo 1997, p. 163.

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Gli esegeti moderni hanno faticato non poco a scegliere tra quelli cheper Jeremias sono «i due vertici» della parabola di Lc 15, 11-32: «il ritor-no del figlio minore» e «la protesta del maggiore», espressivi rispettiva-mente della misericordia di Dio per il peccatore e dell’ingiustizia delle cri-tiche rivolte al comportamento di Gesù coi peccatori, scandalo per i fari-sei e gli scribi 16. Il contesto di Lc 15, 1-32 pone in sequenza tre paraboleche dipendono dall’introduzione (vv. 1-2): «Si avvicinavano a lui tutti ipubblicani e i peccatori per ascoltarlo: I farisei e gli scribi mormoravanodicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”» 17. La replica diGesù crea tre racconti di similitudine, appunto parabolici, in cui si pre-sentano realtà che si rivelano speciali, uniche e insostituibili (in relazionea quanto non perduto: 99 pecore, 9 monete, un altro figlio), e provocanoricerca e attesa: la ricerca di una pecora e di una moneta perdute, ritrova-te con gioia, e la storia di un figlio-fratello andato via di casa, e che «rien-trando in sé» decide di tornare (nessuno è andato a cercarlo ma lo si è at-teso), che è accolto dall’abbraccio commosso del padre e che è, invece, re-spinto dal fratello maggiore, mentre sullo sfondo si festeggia per il suo ri-torno. L’invito a partecipare alla gioia da cui il fratello maggiore polemi-camente si dissocia, è la risposta alla contestazione di scribi e farisei 18.Ora, lector in parabola, prendere parte a quella festa, deciderà l’essere cri-stiani. E si mettono, così, in scena le figure e i temi della vita credente: pec-cato e redenzione, paternità – ma anche maternità –, figliolanza e frater-nità, amore e ribellione, due popoli e un’unica salvezza, attesa di Dio e li-

L’archetipo del “codice” riferito alla Bibbia riceve il suo massimo consenso grazie agli studi di E.Auerbach, per il quale Bibbia e Odissea sono i modelli cruciali della cultura d’Occidente (Mime-sis. Il realismo nella letteratura occidentale, Torino 2000) e di N. Frye che assegna alle Scritture ilvalore di orizzonte ispirante (Il Grande Codice. La Bibbia e la letteratura, Torino 1986), ma si devea W. Blake l’origine dell’equivalenza Bibbia-Codice: «Il Vecchio e il Nuovo Testamento sono ilGrande Codice dell’arte», una delle annotazioni attorno alla sua incisione del gruppo del Lao-coonte che rappresentano il credo degli ultimi anni di vita; tra le altre «Iddio stesso, il Corpo Di-vino, Gesù [...] si manifesta nelle sue Opere d’arte», «Il Cristianesimo è arte», una religione esi-gente in quanto «l’arte è il compito esclusivo della vita umana», W. Blake, Poetry and Prose, a cu-ra di G. Keynes, Londra 1939 (IV ed.), pp. 580-582. Egli fu il poeta che sfondò «le porte della per-cezione» (oltre i cinque sensi in analogia coi sensi spirituali di Origene, coniuga ispirazione e im-maginazione perché possa rivelarsi all’uomo l’infinito: «If the doors of perception were cleansedevery thing would appear to man as it is, infinite», The Marriage of Heaven and Hell).

16 Cfr. J. Jeremias, Teologia del Nuovo Testamento, I, La predicazione di Gesù, Brescia1972, pp. 130-144.

17 Testo secondo la Versione CEI 2008. Per i riferimenti bibliografici ed esegetici si veda-no V. Fusco, Narrazione e dialogo in Lc 15, 11-32, in G. Galli (a cura di), Interpretazione e In-venzione: la parabola del Figliol Prodigo tra interpretazioni scientifiche e invenzioni artistiche,Genova 1987, pp. 17-67; F. Bovon, Il Vangelo di Luca, Brescia 2007-2013, 3 voll., vol. 2, pp.589-594; 616-643.

18 Cfr. V. Fusco, Narrazione e dialogo, cit., p. 31.

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bertà degli uomini, i pagani, gli ebrei, i cristiani, la speranza e la grazia. Lacombinazione di questi si polarizza su due biografie differenti (i due fra-telli) che hanno in comune l’errore di valutazione sul padre, consideratonemico della libertà, così da indurre la fuga di uno e l’autoasservimentodell’altro. La partenza, dissipata la parte dell’eredità ottenuta, sconfinacol rinnegamento della radice, ben più di una sequenza libertina vissu-ta con levità picaresca: ridursi a pascolare i porci – animali impuri perLegge – è il segno, come testimonia Mc 5, 1-20, di un’immistione paga-na. Arriva il bilancio di un’esperienza fallimentare, e il soliloquio che ciè permesso di ascoltare (misto di commedia e tragedia) non è tanto, onon solo, l’emergere di una nostalgia e l’affacciarsi di un pentimento,ma potrebbe essere anche la svolta del primigenio romanzo del monellovagabondo che calcola la convenienza di un salario, il malinconico esitodella rivolta che si pacifica, la pacificazione della libertà che ritrova la giu-sta direzione, e il preannuncio di un’inattesa rivelazione: allora, rientratoin sé, disse: Quanti lavoratori salariati di mio padre hanno pane in abbon-danza, io invece muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre, e gli dirò:Padre ho peccato contro il cielo e davanti a te; non sono più degno di esserechiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi lavoratori salariati (vv. 17-19). Questo suggestivo bozzolo narrativo ha voci fuori campo, interiori,nascoste, “respiri silenziosi” che “entrano nei ricordi” 19, e riserva la suasorpresa nell’archetipale, potente e sottile suono al fondo di un’espressio-ne che unisce Antico e Nuovo Testamento, e congiunge paternità e ma-ternità: esplagchnisthê, la disposizione alla misericordia (v. 20, comune aLc 10, 33, la “compassione” del Samaritano), la spinta delle viscere com-mosse di una madre per suo figlio (cfr. Is 49, 15; 1 Re 3, 26), e il fremito delcuore paterno intenerito (Ger 31, 20; Sal 103, 13) 20. Suoni, sospiri, ab-

19 Erasmo nelle sue Parafrasi consegna suggestive sfumature di ri-scrittura (Paraphrases inN. Testamentum, Lugduni Batavorum, Vanderaa 1706, republished London 1962). Egli è fe-dele, come vedremo, ad Agostino, nel sostenere che l’iniziativa della salvezza viene da Dio chenon è pentito della sua magnanimità e non ricorda i torti ricevuti, «Nihil horum meminit, diqueste cose non ricorda nulla»: Parafrasi 408, 22; Quid autem interea pater? Num intonat faevisverbis? Num minitatur verbera? Num ambidicationem? Num exprobrat suam in illum benigni-tatem? Num fugam? Num ingluviem, aliaque vitae dedecora? Nihil horum meminit, tantum estgaudium de recepto filio (ibid.); Parafrasi 407, 17: quum peccator afflatu tacito benigni patris re-dit a cor (il respiro silenzioso del padre magnanimo permette l’esame di coscienza); Parafrasi409, 24: Nec est reditus, nisi pater semet in memoria ingerat filio ad extrema deducto (il padre èentrato nel ricordo del figlio, senza questo non sarebbe tornato).

20 Cfr. H. Köster, ™Ï¿Á¯ÓÔÓ, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, XII, Brescia 1979,coll. 919-920; V. Fusco, Narrazione e dialogo, cit., p. 48. Il doppio genitoriale che investe il pa-dre della causa dell’abbandono del figlio (conflitti di crescita, ansia di emancipazione) e asse-gna alla madre l’accoglienza rigenerante, è, da J.-P. Sonnet, acutamente riproposta (padre-ma-

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bracci che si allungano su un figlio che – mirabile precedenza dell’amoregratuito – non ha avuto ancora il tempo di pronunciare la sua supplica. Epoi seguiamo il rincorrersi di ordini impartiti per restituire dignità, auto-rità, libertà e futuro: abito, anello, calzari, il cibo della festa, le cose neces-sarie a comprendere che è ancora suo figlio. Mentre la musica scioglie lasinfonia della rinascita e del ritorno, il fratello maggiore oppone alla com-mozione e alla tenerezza che hanno finora prevalso il duro e aspro rim-bombo dell’ira (ôrgisthê, v. 28). Il padre, come già avvenuto per il minore,gli va incontro, esce da casa, abbandona la festa per spiegarsi dolcemente.Ma il figlio non capirà, avendo un peso che adombra di risentimento lasua vita: non aver compreso il padre, se stesso e l’amore. Si scopre stra-niero alla gioia, distante da un fratello rivale, suo malgrado, nel conten-zioso degli affetti 21, che assume la forma dell’assenza di un capretto (quel-lo che non ha mai ricevuto in cambio del suo fedelissimo servizio, v. 29) el’ingombro di un vitello ingrassato (scandalosamente immeritato da que-sto tuo figlio [mai pronuncia la parola fratello], che ha divorato i tuoi benicon le meretrici, v. 30). L’unico schema che lo soddisfa dovrebbe obbedirealla logica del servigio compensato, la gratuità lo sconcerta, e per questonon riconosce cosa sia quello specialissimo amore, che non si acquista e

dre, legge-immaginazione) come paradigma della relazione Scritture-letteratura. La Bibbia hauna «doppia autorità, religiosa e letteraria», ma è anche un doppio generativo, madre in quan-to partorisce figure e intrecci letterari, padre da cui costantemente come il figlio della parabo-la si scappa, o contro il quale si lotta come fece Giacobbe con l’angelo in Gn 32, cfr. La Bibleet la littérature de l’Occident. Langue mère, loi du père et discendance littéraire, in Revue LumenVitae LVI, 4 (2001), pp. 375-389.

21 Le storie di fratelli si confrontano sempre con quella di Caino e Abele, differenti e ri-vali, e in parte con quella di Giuseppe (Gn 37 e ss.): cfr. R. D. Aus, Weihnachtsgeschichte –Barmheirziger Samariter – Verlorener Sohn. Studien zu ihrem jüdischen Hintergrund (Arbeitenzum Neuen 11 Testament und zum Judentum und Zeitgeschichte, 2), Berlin 1988, pp. 126-173.Il riferimento a Caino e Abele (Gn 4) nel cono d’ombra dell’invidia (argomento antigiudaicoma qui non esclusivo e pacato, diversamente in Cipriano, De zelo et livore V) è in Pietro Criso-logo: «La musica dell’affetto [indica la festa del ritorno del figliol prodigo] mette in fugal’invidioso, la danza dell’amore lo respinge; e mentre la legge di natura lo invita a recarsi dal fra-tello e ad avvicinarsi alla casa, l’invidia (livor) non gli permette d’arrivare, la gelosia (zelus) nongli consente di entrare. L’invidia è un male di vecchia data, il primo flagello, un antico filtromortale, il veleno dei secoli, la causa della fine (male vetustum, prima labes, antiquum virus, sae-culorum venenum, causa finis). Questa in principio cacciò lo stesso angelo e lo fece precipitaredal cielo; questa escluse dal paradiso terrestre l’uomo capostipite della nostra generazione;sempre questa tenne lontano dalla casa paterna il fratello maggiore. Questa armò la progeniedi Abramo, quel popolo santo, per l’uccisione del proprio Autore [At 3, 15; Eb 12, 2], per lamorte del proprio Salvatore [At 13, 23]», Pietro Crisologo, Sermone IV, 1, in G. Banterle et alii(a cura di), Sermoni (1-62 bis), Milano-Roma 1996, pp. 66-67, «O pretesa dell’invidia! Unagrande casa non può ospitare due fratelli. E che c’è di strano, fratelli? È opera dell’invidia;l’invidia ha fatto sì che tutta l’ampiezza del mondo fosse stretta per due fratelli. Infatti essaspinse Caino ad uccidere il fratello minore», Sermone IV, 2, cit., pp. 68-69.

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non si perde. A questo punto il dubbio dovrebbe incistarsi nelle mormo-razioni di farisei e scribi: nell’ordine delle cose, secondo il modo che Dioritiene necessario e Gesù manifesta, bisognava [edei] far festa (v. 32) per unfiglio-fratello morto-perduto/ritornato in vita-ritrovato. Verità difficile lalogica dell’amore.

Oltre il sipario evangelico, il fondale narrativo ha sagome riconosci-bili ai contemporanei di Gesù e alle primitive comunità cristiane. Ognu-no avrebbe potuto riconoscere e riconoscersi in personaggi, caratteri, ar-gomenti, e come avviene anche nella scrittura d’invenzione, il rapportotra il tempo e l’intreccio allusivamente si rompe ed è possibile al lettorepenetrarvi realmente con le sue convinzioni e i suoi spasimi. Nei primi se-coli cristiani, a seguire l’esempio di Filone, si apprende, come abbiamosopra accennato, a trarre dall’ignoto, dal mistero, il segno o l’indizio di si-gnificati altrimenti imprendibili, cercando «simboli visibili in simboli in-visibili» 22: allegoreuein. Toccherà a san Paolo, in Gal 4, 24 (dove le duedonne di Abramo divengono immagine delle due alleanze), legittimarel’espressione liberando l’accesso al metodo. I primi commentatori cri-stiani leggono e rileggono la parabola “tormentando” la trama, sezionan-dola, isolandone le parti. Ogni passaggio narrativo, gran parte delle pa-role, le figure, i ruoli, nell’esegesi diventerà puntello, chiave, soluzioneper una visione della creatura, della vita, della Chiesa e dei suoi sacra-menti, del mondo. Si accosteranno pagine di altri testi biblici e se ne scri-veranno di nuove confermando quello che si è stabilito proprio per il ro-manzo, dove gli scrittori intessono segreti dialoghi illuminandosi a vicen-da 23. L’antologia dei commenti 24 si apre con una pagina silenziosa e conl’assenza di altre. Il silenzio è quello della Gnosi, l’assenza si riferisce a te-sti perduti, le Ipotiposi di Clemente (il VI libro era dedicato al commen-to di numerosi passaggi evangelici) e il Commentario origeniano su Lu-ca25, e così anche quello di Teodoro di Mopsuestia. Il progresso crono-logico dei testi indicherà, appunto, la crescita. Ma l’effetto non si può ar-

22 Filone di Alessandria, De specialibus legibus III, 178.23 Cfr. M. Kundera, Il sipario, Milano 2005.24 Per i precedenti studi del commento dei Padri a Lc 15 si vedano: P. Siniscalco, Mito e

storia della salvezza. Ricerche sulle più antiche interpretazioni di alcune parabole evangeliche, To-rino 1971; Y. Tissot, Allégories patristiques de la parabole lucanienne des deux fils (Lc 15, 11-32),in Exegesis: problèmes de méthode et exercices de lecture (Genèse 22 et Luc 15), a cura di F. Bo-von e G. Rouiller, Neuchâtel-Paris 1975, pp. 243-272; E. Cattaneo, L’interpretazione di Lc 15,11-32 nei Padri della Chiesa, in G. Galli (a cura di), Interpretazione e Invenzione: la parabola delFigliol Prodigo tra interpretazioni scientifiche e invenzioni artistiche, Genova 1987, pp. 69-96; F.Bovon, op. cit., pp. 630-643.

25 Nell’origeniano Commento a Matteo XIII, 29, si rinvia a considerazioni su Lc 15 chenon hanno riscontri nel materiale trasmesso facendo dedurre una perdita.

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restare in avanti, si deve sempre poter tornare indietro, alla pagina bibli-ca e al suo tesoro nascosto – che l’esegeta di ogni tempo più che illustra-re, illumina, scava, trivella –, e ripartire per ascoltare la musica che nonavresti sperato mai d’ascoltare, quella divina ma anche quella umana – ca-ra a un poeta come Seamus Heaney –, acquazzoni, cascate, rovesci, risac-che...Una grondaia gemente possono diventare le parole, i commenti, iracconti impastati al Vangelo che non si sporca con le nostre piccole sto-rie: Ti lasci attraversare come un condotto d’acqua...quel che accade non èsminuito dall’essere accaduto una volta, dieci, mille volte prima, sarà sem-pre sorpresa. E terminato il percorso, allora, Listen now again 26.

Per quanto silenziosa, la Gnosi ha una voce riflessa nelle reazioni aiprincipi e al modo con cui organizzava il suo pensiero e procedeva nell’u-tilizzo delle Scritture, all’interno delle quali venivano inseriti parole e con-cetti per costituire la trama della loro rappresentazione cosmica. Con losguardo retrospettivo, puntava sempre all’origine dove si era celebratol’avvenimento condizionante i destini, quello dell’opposizione tra uma-nità e Dio. A una degradazione conseguiva una reintegrazione che divari-cava l’unità della natura in opposizioni inconciliabili con un Dio ebraico-cristiano padre di tutti. Le pagine bibliche puntellavano il sistema se fun-zionali e venivano rimosse se contrastanti. Alla nostra parabola non vienericonosciuta utilità, come invece accade per quella della pecora e dellamoneta perdute che significavano l’umanità che allontanandosi cade. Ire-neo ha ben presente queste convinzioni quando, intanto, gli assegna il ti-tolo di parabola duorum filiorum 27, e nel figliol prodigo riconosce la storiadell’umanità intera. La prima cosa da mettere a punto è che «ogni uomo,in quanto uomo, è l’opera plasmata da lui [Dio], anche se ignora il suo Si-gnore» e, pensando a Lc 15, 22-23, afferma con forza che c’è «un solo emedesimo Padre» 28. Nel ritorno del figlio vede l’umanità salvarsi, conte-

26 «Upend the rain stick and what happens next / Is a music that you never would have known/ To listen for. In a cactus stalk / Downpour, sluice-rush, spillage and backwash / Come lowingthrough. You stand there like a pipe / Being played by water, you shake it again lightly / And diminu-endo runs through all its scales / Like a gutter stopping trickling. And now here comes / A sprinkle ofdrops out of the freshened leaves, / Then subtle little wets off grass and daisies;Then glitter-drizzle, al-most breaths of air. / Upend the stick again. What happens next / Is undiminished for having happenedonce, / Twice, ten, a thousand times before. / Who cares if all the music that transpires / Is the fall ofgrit or dry seeds through a cactus? / You are like a rich man entering heaven / Through the ear of a rain-drop. Listen now again», S. Heaney, The Rain Stick, in The Spirit Level, New York 1996, p. 3.

27 Ireneo, Contro le eresie IV, 36, 7, p. 393, a cura di E. Bellini, G. Maschio, Milano 1997;così anche Clemente Alessandrino in Stromata IV, 30, 1, a cura di A. van den Hoek, C. Mondé-sert, Sources Chrétiennes 463 e Tertulliano in De pudicitia VIII, 2, a cura di C. Micaelli, C. Mu-nier, Sources Chrétiennes 394, Paris 1993.

28 Ireneo, Contro le eresie IV, 36, 6, p. 392, e IV, 36, 7, p. 393.

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stando chi sostiene che questo mondo sarebbe irredimibile: il Padre ditutti è grande, ricco e molteplice così d’avere molti modi per raggiungere,nella carità, veramente tutti. La parabola “dei due fratelli” o di “quelli cheritornavano al Padre” viene posta al centro di un arco narrativo che va daGenesi ad Apocalisse, dalla creazione al compimento escatologico, dove lasalvezza diventa una musica suonata nella speranza 29, quella che il fratel-lo maggiore non volle ascoltare: «Dio fin dal principio plasmò l’uomo invista dei suoi doni; scelse i patriarchi in vista della loro salvezza; formavain antecedenza il popolo per insegnare agli ignoranti a seguire Dio; pre-parava i profeti per abituare l’uomo sulla terra a portare il suo Spirito epossedere la comunione con Dio. Egli che non ha bisogno di nulla offrivala sua comunione a quelli che avevano bisogno di lui: per quelli che glierano graditi disegnava, come un architetto l’edificio della salvezza; aquelli che non vedevano, in Egitto, faceva da guida; a quelli che erano tur-bolenti nel deserto dava la Legge più adatta; a quelli che entrarono nellabuona terra procurò l’eredità più appropriata; per quelli che ritornavanoal Padre uccise il vitello grasso e gli donò la veste più bella [Lc 15, 22-23],disponendo il genere umano, in molti modi, alla musica [Lc 15, 25] dellasalvezza. Per questo Giovanni dice nell’Apocalisse: E la sua voce era comeil rumore delle grandi acque [1, 15]. Perché veramente grandi sono le ac-que di Dio, perché ricco e molteplice è il Padre» 30. Disegnando il percor-so dell’incarnazione, tra discesa – nel punto più basso della terra – e asce-sa del Dio-con-noi (Is 7, 14), Ireneo unisce creaturalità e redenzione, mor-te e resurrezione, fondendo pecora smarrita (Lc 15, 4-6) e figlio ritrovato(Lc 15, 24.32): la sorprendente realtà che il «Verbo del Padre e Figlio del-l’uomo [...] discendesse nelle profondità della terra a cercare la pecorache era perduta, cioè la sua propria creatura, e salire in alto in alto ad of-frire e presentare al Padre l’uomo che era stato ritrovato» 31. E, inaugu-rando una interpretazione che avrà lungo seguito, sarà il sacrificio di Cri-

29 Lc 15, 32 e la «consonantiam salutis sinfonia della salvezza», eseguita in forza del Ver-bo-direttore d’orchestra (Contro le eresie IV, 14, 2). Origene interpreterà il termine riferendo-lo alla sintonia ritrovata tra padre e figlio: «il termine “sinfonia” (consonanza) si usa propria-mente in musica ad indicare gli accordi tra le voci [...]. Anche la Scrittura, nei Vangeli, conoscequesto termine usato in senso musicale, lì dove dice: Udì accordi e danza [Lc 15, 25]. Si addice-va infatti all’armonia dovuta al ritorno del figlio perduto e ritrovato al padre, ascoltare una“sinfonia” per la gioia della famiglia» (Origene, Commento a Matteo XIV, 1, a cura di M.I. Da-nieli, R. Scognamiglio, Roma 1999, p. 103).

30 Ireneo, Contro le eresie IV, 14, 2, cit. p. 331.31 Ireneo, Contro le eresie III, 19, 3, cit., p. 279. Contro la gnosi, che rende esclusiva

l’affinità elettiva, anche Origene vede operare Cristo nella ricerca – se il Padre cerca, cerca permezzo del Figlio – di quanto perduto (Lc 19, 10; Mt 18, 12; Lc 15, 4) senza differenze di natu-ra, cfr. Commento a Giovanni XIII, XX, 169.

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sto ad essere visto nel vitello della festa (Lc 15, 30) 32. Intorno all’abito cheil padre ordina di far mettere al figlio, Ireneo ripercorre le origini, tornan-do ad Adamo, costituendo un parallelismo tra la veste della festa e la “ve-ste di santità” perduta col primo peccato, sostituita dalla cintura di fogliedi fico, il cui siero è urticante: «poiché ho perso per la mia disobbedienzala veste di santità (sanctitatis stolam), ora riconosco che sono degno di unindumento tale che non dà al corpo alcuna gioia, ma lo morde e lo pun-ge» 33. Nel figlio minore viene recuperato quanto perduto in Adamo, di-sponendo escatologicamente la speranza dell’incontro e di una perfettaconoscenza-visione di Dio per tutti 34. Clemente Alessandrino ha a cuoreindicare che la libertà opera a favore della salvezza e che le decisioni dellavita devono confrontarsi con una misura che non deve eccedere in prodi-galità: «è necessario che noi non abusiamo dei doni del Padre, vivendo dadissoluti come il figlio ricco di cui parla il Vangelo, ma che ne usiamo, do-minandoli e non inchinandoci ad essi» 35. Se si sbaglia, per conseguire ilperdono, è necessario il pentimento, confidando che Dio, il padre dellaparabola, non smette di amare il peccatore, e nulla di umano (nessun fra-tello maggiore) potrebbe essere opposto al prevalere della misericordia 36:

32 Cfr. Ireneo, Contro le eresie III, 11, 8, cit.33 Ireneo, Contro le eresie III, 23, 5, cit., p. 293. Con la stola s’intende il riferimento alla con-

dizione originaria della creatura fatta a immagine (imago) e somiglianza (similitudo), cfr. Gn 1, 26(Ireneo, Dimostrazione Cattolica 32, Contro le eresie III, 23, 1-2; V, 6, 1, V, 16, 2. L’immagine nonsi potrebbe mai perderla, costitutiva del genere umano, la somiglianza, germe di vita spirituale, èperduta col peccato in Adamo. La “stola” si riferisce alla somiglianza (V, 12, 2-3). La creatura nonpotrebbe riparare da sola, gli viene in soccorso il Figlio di Dio perché quanto era stato perduto inAdamo venga “ricapitolato” nel Verbo incarnato (Contro le eresie III, 23, 5; cfr. P. Siniscalco, op.cit., pp. 87-97). In Cristo l’uomo è chiamato a divenire figlio di Dio (III, 18, 1-2), la somiglianza èrestituita, per mezzo della “forza dello spirito” ricevuta da Cristo (V, 16, 1). Nel Pastore di Erma(Similitudini IX, 32, 3-4, ed. a cura di R. Joly, Sources Chrétiennes 53, Paris 1958, pp. 354-355),l’abito con cui viene vestito il figlio ritornato corrisponde alla veste della grazia. Anche per Girola-mo è la stola di Adamo, perduta col peccato, «la veste che ha perduto Adamo col peccato; la ve-ste chiamata in un’altra parabola “abito nuziale” [Mt 22, 11-12]», Girolamo, Lettera 21, 23, in S.Cola (a cura di), Lettere I-LII, volume I, Roma 1996, p. 168.

34 Cfr. Ireneo, Contro le eresie III, 23, 5, cit. e IV, 14, 2, cit.; V, 8, 1, cit.35 Clemente Alessandrino, Pedagogo II, IX, 2, a cura di D. Tessore, Roma 2005, p. 139.36 Cfr. Clemente Alessandrino, Stromata IV, XIII, 96, 1, cit., pp. 216-217: è chiara

l’argomentazione antignostica che palesa nella prassi penitenziale l’individualizzazione el’equiparazione delle possibilità di salvezza. Sullo sfondo appare anche l’esigenza di una Chiesa chedeve garantire una disciplina penitenziale in un contesto ereticale che esasperando le attese esca-tologiche tende a ridurre se non a negare le prerogative della chiesa istituzionale. In più c’è unaquestione pungente tra II e III secolo: si possono perdonare i peccati commessi successivamenteal lavacro perfetto che togli i peccati, il battesimo “unico farmaco guaritore” che “ci scioglie dai no-stri delitti”? (Pedagogo I, VI, 29, 5, a cura di D. Tessore, Roma 2005, p. 63). Non sarebbe impro-babile immaginare che dietro l’ostilità del fratello maggiore possa inquadrarsi il rigorismo monta-nista nutrito di nostalgia giudaizzante, e poco incline a comprendere l’umanissima paura di fronte

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«a chi si è rivolto con verità a Dio con tutto il cuore vengono aperte le por-te e il Padre accoglie arcicontento il figlio che veramente si converte [...].Perciò ha anche affermato Misericordia voglio e non sacrificio; non vogliola morte del peccatore, ma la conversione [Mt 9, 13; 12, 7]» 37. La disposi-zione sincera a contemplare la gratuità dell’amore si oppone a chi si rap-porta alle cose divine utilitaristicamente, figurato nei mercenari-salariatidella casa del Padre (Lc 15, 17.19) 38. Una gratuità che sorprende Tertul-liano, che da subito inquadra il peccatore nel figlio minore, e vede nellosperpero dei beni la dissipazione dei doni battesimali, e nei porci la soz-zura dei peccati. Nessuno sarebbe padre come Dio, nessuno è tenero co-me lui – «non passerò sotto silenzio quel padre dolcissimo» –, un Dio che«sente più caro» il figlio ritrovato 39. Passato al montanismo, però, nelcontesto della discussione della riammissione degli adulteri nella Chiesa,respinge l’equivalenza ormai affermatasi: figlio minore-cristiano, figliomaggiore-giudeo 40. Il pericolo di questa interpretazione (“etnica” nelleclassificazioni moderne) – che vede il cristiano come possibile peccatoreriammesso – sarebbe quello d’indebolire la vigilanza permanente da man-tenere in tenore disciplinae. Nel ragionare intorno alla dissipazione – as-servendosi «al principe di questo mondo (che altri non è che il diavolo)»– del patrimonio che rappresenta «il Battesimo e lo Spirito Santo e la spe-ranza eterna che da essi discende», e al ritorno, smentisce se stesso: po-trebbe dirsi ancora cristiano chi si allontana dal padre? Rigorista timoro-so afferma: «Chi potrà avere ancora timore di sperperare quello che poi sagli sarebbe ridato? Chi vorrà custodire e conservare perpetuamente quel-lo che sa di non poter perdere per sempre? Sentirsi al sicuro nel peccato

all’ipotesi del martirio che avrebbe provocato apostasie durante le persecuzioni di Decio e di Va-leriano.

37 Clemente Alessandrino, Quale ricco si salverà 39, 2; 4, a cura di M.G. Bianco, Roma1999, p. 65.

38 Cfr. Clemente Alessandrino, Stromata IV, VI, 30, 1, cit., pp. 106-107. Il salariato man-ca dell’autentico coinvolgimento, e finisce inchiodato alla sola immagine senza somiglianzaperché non riesce a seguire il pedagogo-Gesù traccia il modello della vera vita e guida per por-tare a compimento Gn 1, 26, Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza, cfr. Id., Peda-gogo I, 98-99, cit., pp. 123-125.

39 Tertulliano, La penitenza VIII, 6-9, a cura di S. Matteoli, in Opere catechetiche, Roma2008, cfr. pp. 268-271.

40 Tertulliano, De pudicitia, cit.: due figli due popoli, VIII, 3-4, pp. 184-185; il figlio mag-giore rappresenterebbe farisei e scribi che mormorano il disappunto nei confronti del com-portamento di Gesù coi peccatori, IX, 4-7, pp. 188-189. Sulla classificazione dei commenti, se-condo “tipi ermeneutica” o “tradizioni” che leggono la parabola ordinando quadri gnostico(angeli/umanità), etico (gisti/peccatori), etnico (due fratelli-due popoli, due fedi, la condizionegentile e quella ecclesiale), penitenziale (sacramentalizzazione, pentimento, conversione), si ve-dano Y. Tissot, op. cit., pp. 248 e ss. e E. Cattaneo, op. cit., pp. 72 e ss.

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incita immoralmente a commetterlo. Così anche l’apostata potrà avere lasua prima veste, abito dello Spirito Santo, e riavere l’anello, sigillo del bat-tesimo, e di nuovo per lui Cristo [figurato nel vitello grasso] sarà immola-to» 41. Se è sicuro che Gesù è venuto a salvare quanto perduto, e a curarenon i sani ma i malati, bisogna capire chi siano i perduti e i malati, che nonpotrebbero essere altri, allora, che quelli che non conoscono Dio (1 Cor 1,21), e non i cristiani che lo conoscono anche quando lo rinnegano. Dun-que, nel figlio minore deve vedersi il pagano che diventerà cristiano, chefu “subito prodigo” (il patrimonio ricevuto rappresenta l’origine in Dio,l’intelligenza e la possibilità di conoscere Dio) senza essere “mai” stato“virtuoso”, e la parabola diventa un itinerario di conversione che condur-rebbe al battesimo (anello) e all’eucaristia (banchetto con il vitello) 42.

Se il figlio, decidendo il ritorno temeva perduto l’amore paterno, èsmentito dalla verità che il testo rivela, che nel commento origenianodiventa la notizia certa del Dio vicino: «Dio non si allontana da nessu-no» e «va incontro a chi viene a lui. Di fatto, quando il figlio che ave-va consumato tutta la sua sostanza ritornò, il Padre gli andò incontro,lui che promette mediante i profeti: Mi avvicinerò a lui più che la tuni-ca della loro pelle 43; dice infatti: Un Dio vicino sono io e non un Dio lon-tano (Ger 23, 23)» 44. E sarà Origene a far diventare il luogo, in cui il fi-glio esprime la sua prodigalità perdendosi (Lc 15, 13-16), la città-mon-do che assedia e corrompe la promessa di salvezza 45. E le carrube, che

41 Tertulliano, De pudicitia IX, 8-11, cit., pp. 190-191.42 Tertulliano, De pudicitia IX, 12-14; 17, cit., pp. 192-193 e riferimenti a Mt 9, 12; Mc 2,

17; Lc 4, 13; 5; 31; 19, 19. La dissipazione dei doni che ciascuno riceve da Dio, indipendente-mente dalla fede professata, rappresenta anche la sapienza soltanto mondana, comune a genti-li e giudei, che rifiutano la logica divina che si rivela nella follia della croce (1 Cor 1, 17-31), cfr.Id., Contro Marcione V, 5, 7, a cura di C. Moreschini, R. Braun, Sources Chrétiennes 483, Pa-ris 2004, pp. 138-139. Anche Girolamo vede nel patrimonio paterno i doni inscritti nella crea-turalità, precedente ogni fede: «possesso di Dio è tutto ciò che c’è in noi: la vita, la ragione,l’intelligenza, il dono della parola. Questi beni Dio li ha elargiti a tutti, in modi eguale e comu-ne», Lettera 21, 5, cit., p. 159.

43 Per quanto indicata come citazione profetica, si tratta di un riferimento – adoperato daClemente Alessandrino in Pedagogo I, IX, 84, 3 – estratto da un libro di Ezechiele apocrifo. Siveda Omelie su Geremia II, a cura di P. Husson, P. Nautin, Sources Chrétiennes 238, Paris1977, p. 212, nota 1.

44 Origene, Omelie su Geremia XVIII, 9, a cura di L. Mortari, Roma 1995, pp. 238-239.45 Cfr. Origene, Omelie sui Numeri XVIII, 4, 7, Sources Chrétiennes 442, a cura di L.

Doutreleau, Paris 1999, pp. 336-337. Sulla prodigalità che dilapida, costituisce un parallelismocon i venditori di colombe nel tempio (Lc 19, 45-46) che trasformano la gratuità della rivela-zione in commercio. Tra questi ci sono coloro che vorrebbero venderla e chi «se ne spoglia [...]simili a quei figli lussuriosi che ricevuta una parte del patrimonio paterno la dilapidano vivendoin modo dissoluto [Lc 15, 13]», Omelie su Luca XXXVIII, 5, Sources Chrétiennes 87, a cura diH. Crouzel, F. Fournier, P. Périchon, Paris 1998 (ristampa rivista e corretta), pp. 446-447.

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si riduce a mangiare quando ormai tutto ha perduto, diverranno figuradelle insane dottrine, delle illusioni che non si assimilano, cibo di chi siperde dietro le favole (2 Tim 4, 3-4): «la natura dotata di logos, quandocade nell’irrazionalità, desidera giungere, se non alle dottrine migliori,almeno a qualche dottrina. Le carrube hanno un sapore dolciastro egonfiano il corpo, ma non producono escrementi, e potrebbero rap-presentare le dottrine dei materialisti e dei partigiani del corpo, di co-loro che si afferrano al piacere come se fosse il bene» 46.

Cipriano combinando Lc 15, 7, Ci sarà più gioia in cielo per un pec-catore che fa penitenza che per novantanove giusti che non hanno bisognodi penitenza, con Sap 1, 13, Dio non ha creato la morte e non gode dellarovina dei viventi, evidenzia i temi della conversione e della volontà di-vina che nessuno si perda. Solo questa notizia potrebbe favorirel’autentico pentimento: Egli è «il padre buono, misericordioso e bene-volo, anzi la bontà stessa, la misericordia stessa e la benevolenza stessa»che «gioisce della penitenza dei suoi figli e non serba ira per quelli chefanno penitenza, né punizioni per quelli che piangono e si lamen-tano» 47. Girolamo vedrà nella distanza imposta al padre dalla partenzadel figlio l’immagine di quella del cuore. E nello slancio che offrel’abbraccio, precedente ogni ammissione di colpa, il palesarsi di quan-to avvenuto nell’incarnazione quando «Dio venne sulla terra senzaaspettare che il peccatore si fosse presentato al tribunale. Gli si gettò alcollo, cioè prese un corpo umano» 48. A fronte delle molteplici tradi-zioni che spiegano il significato dei due fratelli, chiarisce: «Se vogliamoriferire la parabola al giusto e al peccatore, non può adattarsi ad un giu-sto provar tristezza per la salvezza d’un altro, massimamente d’un fra-tello. Infatti, se è per l’invidia del diavolo che è entrata la morte nel

46 Origene, Omelie su Luca, Frammento 85, cit., pp. 542-543.47 Cipriano, Lettera 55, IX, 14-16, in M. Vincelli (a cura di), Lettere (51-81) – (Scrittori

cristiani dell’Africa romana 5/2) –, Roma 2007, pp. 192-193; cfr. XXII, 1, pp. 50-51.48 Girolamo, Lettera 21, 20, cit., p. 167. Così anche Agostino: «In realtà il Padre non si al-

lontanò dal suo Figlio unigenito, mediante il quale come correndo discese sino al luogo del no-stro peregrinare, pur così lontano da lui. In Cristo infatti c’era Dio in atto di riconciliare con séil mondo [2 Cor 5, 19]», Questioni sui Vangeli II, 33, 3, a cura di B. Fenati, V. Tarulli, in Opereesegetiche X/2, a cura di S. Caruana et alii, Roma 1997, pp. 370-371. E ancora: «Che vuol dire“correre incontro” se non accordare il perdono in anticipo? Essendo ancora lontano – dice ilVangelo – gli corse incontro il padre, mosso da misericordia [Lc 15, 20]. Perché fu mosso da mi-sericordia? Perché il figlio era sfinito per la miseria. Gli corse incontro e gli si gettò al collo[ibid.], gli gettò cioè il braccio al collo. Il braccio del padre è il Figlio; gli diede la possibilità diportare Cristo: questo peso non opprime ma solleva. Il mio giogo – dice Cristo – è lieve e il miopeso leggero [Mt 11, 30]», Agostino, Discorso 112/A, 6, in L. Carrozzi (a cura di), Discorsi II/2(86-116) sul Nuovo Testamento, Roma 1983, pp. 402-403.

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mondo [Sap 2,4] (e sono dalla sua parte coloro che lo imitano), non sipotrà mai applicare alla persona del giusto una così feroce gelosia: re-stare fuori casa, opporsi con ostinatezza al migliore dei padri, e per dipiù, torturato dall’invidia, rifiutare di prendere parte alla festa di fami-glia, restandosene solo» 49. Ma, la cosa più importante da comprenderesarebbe vedere nella disponibilità del padre a dividere il patrimoniol’epifania della libertà: «diede loro il libero arbitrio, lasciò loro l’uso co-sciente della propria responsabilità, perché ciascuno vivesse non sottoimposizione divina, ma secondo le proprie decisioni: non costretto, malibero: così nasce la virtù [...] e sull’esempio di Dio, gli viene concessodi seguire ciò che vuole» 50.

Ambrogio colora il non detto, e pone la sua abilità retorica a servi-zio delle voci dell’interiorità, illustrando le misteriose vie della decisio-ne. La partenza diventa la fuga da se stessi, il pentimento ritorno in sestessi 51. Il venir incontro del padre è la risposta ai suoni del cuore:«Egli ti corre incontro, perché ti ascolta mentre stai riflettendo tra te ete nel segreto del cuore. E quando ancora sei lontano, ti vede e si met-te a correre. Egli vede nel tuo cuore, accorre perché nessuno ti tratten-ga, e per di più ti abbraccia. Nel correre incontro c’è la sua prescienza,nell’abbraccio la sua clemenza e direi quasi la viva sensibilità dell’amo-re paterno. Gli si getta al collo, per sollevare chi giaceva a terra, e perfar sì che chi era già oppresso dal peso dei peccati e chino verso le coseterrene, rivolgesse di nuovo lo sguardo al cielo» 52. E dopo aver rias-sunto le immagini penitenziali e sacramentali afferma che non c’è nien-te d’imperdonabile 53. Giovanni Crisostomo è il pastore che attende,

49 Girolamo, Lettera 21, 1, cit., p. 153-154.50 Girolamo, Lettera 21, 5, cit., pp. 159-160.51 Ambrogio, Esposizione sul Vangelo di Luca VII, 214; 220, a cura di G. Coppa, Milano-

Roma 1978, pp. 258-259; 262-263.52 Ambrogio, Esposizione sul Vangelo di Luca VII, 234, cit., pp. 272-273.53 «II peccatore che fa penitenza» viene «paragonato a uno che, andato in paese straniero,

dissipò con una vita dissoluta tutti i beni ricevuti dal padre»; e una volta tornato II, 13, 18 (pp.238-239 e 240-241): «Il padre gli corre incontro al suo arrivo, mentre è ancora lontano, e gli dà ilbacio, segno della pace santa, fa portare l’abito, cioè la veste nuziale, senza la quale si è esclusi dalbanchetto [Mt 22, 11, ss.], gli pone al dito l’anello, che è il pegno della fede e il sigillo dello Spi-rito Santo, fa portare i calzari – chi infatti si accinge a celebrare la Pasqua del Signore e a mangia-re l’agnello, deve avere il piede protetto contro tutti gli assalti delle fiere spirituali e i morsi del ser-pente –, fa uccidere un vitello, perché Cristo nostra Pasqua si è immolato [1 Cor 5, 7]. Infatti ognivolta che beviamo il (pp. 240-241) sangue del Signore, annunziamo la morte del Signore. Comedunque si è immolato una sola volta per tutti, così, ogni volta che vengono perdonati i peccati, ri-ceviamo il sacramento del suo corpo, perché per mezzo del suo sangue i peccati siano rimessi [...].Dall’insegnamento del Signore è stato prescritto in modo chiarissimo che anche ai colpevoli deidelitti più gravi si debba restituire la grazia del sacramento celeste, purché con tutto il cuore e con

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che consola, che riconcilia valorizzando ogni esperienza, e vede nellastrada perduta del figlio (immagine di chi cade dopo il battesimo)un’occasione di crescita: Dio «veramente permette che impariamo at-traverso i nostri errori», egli «è Padre e non giudice», e si rivolge al fi-glio maggiore chiedendo di non giudicare: «tu vedi un fratello, non unestraneo» 54.

In Agostino convergono le tradizioni, e come solo lui riesce a fare, il-lumina il senso dell’aggettivo che si è attaccato a questa parabola narran-do la storia dell’umanità che mentre si diffonde all’esterno senza misura –prodiga di vanità e illusioni esteriori – si svuota all’interno 55. E diviene co-sì anche la parabola moderna di un umanesimo estenuato che perpetua lasua emancipazione finché non ritrova un Dio che non conosceva, un pa-dre che sa ascoltare nella distanza, che viene incontro seguendo la flebileeco del cuore ferito che coglie nella discretissima tenacia della Grazia chenon abbandona: «Lo vede il padre da lontano e gli va incontro, poiché lavoce di lui si trova nel Salmo: Tu hai conosciuto i miei pensieri da lontano[Sal 138, 3]» 56. Egli dipinge l’attimo in cui si comprende cosa possano di-ventare nel cuore randagio – «Tornato in se stesso si trovò miserabile (Re-versus ad se, invenit se miserum)»57 –, il ricordo di una casa, di un padre,

un’aperta confessione facciano penitenza del loro peccato», Ambrogio, Opere dogmatiche III(Spiegazione del Credo; i Sacramenti; i Misteri; la Penitenza), a cura di G. Banterle, Milano-Roma1982, La penitenza II, 3, 13, pp. 236-239; II, 13, 19, pp. 240-241.

54 Giovanni Crisostomo, La vera conversione [raccolta delle sei omelie sulla penitenza], acura di C. Riggi, Roma 1980, Omelia I, pp. 92-95.

55 I due figli rappresentano «le propaggini [fedeli e idolatri] della famiglia umana». La ri-chiesta della parte di eredità è l’espressione del “libero arbitrio” dell’«anima ringalluzzita del-le sue facoltà» che «si arroga quanto concerne il vivere, il capire, il ricordare e brillare per unvivace ingegno», espressione di una «esagerata fiducia nelle sue energie, che però si consuma-no assai presto quando si abbandona colui dal quale ci sono state date. Per questo motivo la suavita è definita vita da prodigo, cioè una vita che ama largheggiare e diffondersi in vanità este-riori, mentre al di dentro si svuota (Itaque hanc vitam prodigam vocat, amantem fundere atquespatiari pompis exterioribus intus inanescentem) [...] dunque la regione lontana è la dimenti-canza di Dio (Regio itaque longinqua oblivio Dei est). La fame che incontrò in quella regione èla mancanza della parola di verità [...] i porci gli spiriti immondi [...] le ghiande con cui si pa-scevano i porci sono le dottrine del mondo, risonanti nella loro sterile vanità [...] quando dun-que quel giovane voleva saziarsi [...] non ci trovava nulla. Questo dicono le parole: Ma nessunogliene dava». Il figlio maggiore è «il popolo d’Israele secondo la carne [...] chiuso nella ric-chezza ereditaria», che avvicinandosi alla casa, di ritorno dai lavori servili nei campi, opponeresistenza non solo al fratello ma anche «a considerare la libertà della chiesa», Agostino, Que-stioni sui Vangeli II, 33, 1; 4, a cura di B. Fenati, V. Tarulli, in Opere esegetiche X/2, a cura di S.Caruana et alii, Roma 1997, pp. 368-369; 372-375.

56 Agostino, Discorso 112/A, 5, in L. Carrozzi (a cura di), Discorsi II/2 (86-116) sul Nuo-vo Testamento, cit., pp. 400-401.

57 Agostino, Discorso 112/A, 4, cit. Il riflesso dell’immagine interiore suscita il disprezzo:intorno a questa reazione proseguirà Gregorio Magno. Il contesto è il commento di Lc 14, 16-

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di Dio. Inchiodato a un presente affamato, «non la carestia del pane visi-bile, ma la mancanza dell’invisibile verità»58, si alza da dove s’era fermatoe decide il ritorno rispondendo alla forza del nome del Padre che lo chia-mava da dentro 59. La suggestione di queste scene trapasserà nell’ispira-zione di Hieronymus Bosch, nel suo figliuol prodigo (1510) 60. In quel qua-dro il figlio minore della parabola è narrato mentre torna come un vaga-bondo 61: miserabile nelle vesti (l’abito battesimale – la stola dello Spirito– è stracciato a significare il danno provocato dai peccati) e nel cuore; al-le spalle i maiali e la locanda dei consumati piaceri, tristezza (il rimorso) epace (la decisione raggiunta) sul volto precocemente invecchiato, la con-sapevolezza di quanto compiuto e il remoto riflesso di una prospettiva,mentre il suo sguardo congeda il recente passato. I piedi con scarpe spaia-te cercano nel sentiero del libero arbitrio la strada della salvezza percorsasotto il peso della gerla che rallenta il suo passo come trattiene la memo-ria dei suoi errori. Tornando ai nostri commenti le immagini ripassanonelle parole che dipingono la fatica del peso della colpa sui sentieri dellavita. Ma quel peso divenne subito leggero quando sulle spalle stanche delfiglio si poggiò l’abbraccio del padre. Alla distanza risponde la presenzaavvolgente, al timore di aver perso il diritto d’essere figlio per aver volutoliberarsi dell’insopportabile Dio Agostino chiarisce: «egli lo sollevò, nonl’oppresse; l’onorò non l’onerò: in qual modo però l’uomo è capace diportare Dio, se non perché è Dio che porta quand’è portato? (Quomodo

24, sulla parabola degli invitati al banchetto, il loro rifiuto e la loro sostituzione con i poveri,deboli, ciechi e zoppi, «dato che i superbi rifiutano di venire, vengono scelti i poveri [...]. I pec-catori superbi vengono però rifiutati, e così sono scelti i peccatori umili [...]. Dio dunque eleg-ge coloro che il mondo disprezza perché spesso è proprio questo disprezzo che fa tornarel’uomo in sé (hominem revocat ad semetipsum). Il giovane che aveva abbandonato il padre esperperato la parte di patrimonio già ricevuta, costretto alla fame, esclamò: Quanti operai nel-la casa di mio padre abbondano di pane! (Lc 15, 17) Si era smarrito lontano dalla sua coscienzaa motivo del peccato (longe quippe a se discesserat, quando peccabat), e se non si fosse trovatoalla fame non sarebbe tornato in sé: solo dopo aver perduto i beni terreni cominciò a pensare aquelli dello spirito», Gregorio Magno, Omelie sui Vangeli II, XXVI, 6-7, a cura di G. Crema-scoli, Roma 1994, pp. 490-491.

58 Agostino, Discorso 112/A, 3, cit., pp. 398-399.59 Cfr. Agostino, Discorso 112/A, 4, cit., pp. 400-401. Da questo la parafrasi di Erasmo del

Padre che entra nel ricordo del figlio, si veda supra nota 19.60 Olio su tavola ottagonale 71x70,6 cm, forse ricavata da un perduto trittico, esposta nel

Museo di Boijmans-Van Beuninge di Rotterdam. L’opera è molto simile al precedente il “Cam-mino della vita” (facente parte del trittico del fieno, datato 1502-1504, custodito al Museo delPrado a Madrid) in cui compare un pellegrino malvestito, affaticato e rallentato dal carico del-le spalle al limitare di un ponte: la scena risente del Sal 25, 4: O Signore, fammi conoscere le tuevie, insegnami i tuoi sentieri.

61 «Come ritornò povero quello che era partito ricco», esclama Pietro Crisologo, Sermo-ne III, 4, cit., pp. 64-65.

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est enim homo idoneus ad portandum Deum, nisi quia portat portatusDeus?)» 62. Quel padre attende due volte, e sino alla fine sarà passionel’attesa di tutte le genti nel fratello minore, e d’Israele nel fratello maggio-re: «quando tutte le genti saranno entrate, a tempo opportuno uscirà an-cora il Padre perché si salvi l’intero Israele, di cui una parte è stata colpitada cecità, e la cosa ha da durare finché l’universalità del figlio minore spin-tosi molto lontano, praticando l’idolatria del paganesimo, non torni indie-tro ed entri nella casa paterna a mangiare il vitello [Rm 11, 25]. Verrà in-fatti il momento per la chiamata pubblica dei giudei, che nel Vangelo con-seguiranno la salvezza» 63.

La distanza generata da quella partenza s’impregna del sapore dimorte – «questo mio figlio si era allontanato da me e aveva gustato lamorte» –, rimettendo in azione la drammatica delle origini, quando unmorso spense la fame d’eterno. L’accostamento dell’anonimo autore difine IV secolo è con il mangiare dell’albero della conoscenza (Gn 2,17), identificato con Satana stesso, «albero della morte», «veleno dimorte» che però non ha vinto sulla speranza di Dio: «ora venendo», lalibertà ha finalmente compreso dov’era il bene, «è tornato in vita» 64.La fame sarà il filo sottile che unisce il figlio al padre nella riflessionedi Pietro Crisologo, nel persistente agguato dell’abbondanza che im-poverisce accecando il cuore, dei cibi che ingannano, affamano e as-

62 Agostino, Discorso 112/A, 6, cit., pp. 404-405. Così anche Pietro Crisologo: «Vedeteche il figlio è aiutato, non oppresso dal carico di questo padre» (Sermone III, 3, cit., pp. 62-63),che continua penetrando il dialogo non scritto nella pagina evangelica, ma misteriosamente tra-scritto nell’anima di ogni peccatore che tremulo anela il ritorno: il Padre «Non disse: “dondevieni? Dove sei stato? Dove sono i beni che ti sei preso? Perché hai scambiato una gloria cosìgrande con una così grande vergogna?”. Ma: – [rivolgendosi ai suoi servi] – Presto, portate laveste migliore e fategliela indossare [Lc 15, 22]. Vedete che la potenza dell’amore non scorge lecolpe; il padre è incapace di una misericordia che indugia; chi discute le colpe le rivela. E met-tetegli in dito l’anello [ibid]. L’affetto paterno non si accontenta di ripristinare la sola innocen-za, se non restituisce anche l’antico onore», Sermone III, 4, cit., pp. 64-65.

63 Agostino, Questioni sui Vangeli II, 33, 5, cit., pp. 374-375.64 Cfr. Liber Graduum, in M. Kmosko, Patrologia Syriaca III (Paris 1926), Sermone XV, 18

(col. 381, 7-8); XXI, 1 (col. 584, 8-9); XXIX, 18 (col. 856, 4-8). L’anonimo autore è di idee mes-saliane (se il male è causato da uno spirito cattivo che incatena l’anima, in termini materiali ilsuo “posto” deve essere preso dallo Spirito Santo, tramite la preghiera perseverante; il battesi-mo, da solo, non può contrastare l’esposizione alla tentazione che deriva dalla discendenza diAdamo) attenuate. La “perfezione” è all’inizio, con Adamo prima del peccato, e l’incarnazionedi Cristo mostra quella perfezione perduta dall’uomo (Sermone XXX, 24, col. 920, 1-3). Lacreazione era buona, ma è stato satana-zizzania a insidiarla (cfr. Mt 13, 24-43 e Sermone XXIII,1). L’uomo può ritornare perfetto, come avviene per il figlio che ritornando riceve l’abito, «vie-ne rivestito della perfezione», corrispondente alla “stola originaria”; il ritorno è quello allo sta-to primitivo (Sermone XV, 18, col. 381, 10), dove domina la “pietà” divina nei confronti diAdamo ed Eva, per i quali «nella sua misericordia, fece le tuniche di pelle e li vestì [Gn 2, 21]»(Sermone XXI, 20, col. 632, 1-3).

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servono, ove balena un prima e un dopo, forme e ombre che si ricom-pongono lungo i sentieri della libertà, estranei che si ritrovano figli efratelli nella scoperta di un padre che non conoscevano più, traversan-do la morte, e tornando alla vita. Nella fame del disincanto emerge ilsapore dell’amore del padre che richiama il ritorno. Un sapore che sipregusta in quello straordinario sacramento che è la strada: «La famerichiama colui che la sazietà aveva fatto esule (Fames revocat quem sa-turitas exularat). La fame fece sentire il sapore del padre (Fames illi pa-trem dedit sapere) a quello cui l’abbondanza aveva impedito di cono-scere il genitore» 65. La fame ha la voce bassa dell’umanità provata,della nostalgia, dell’inquietudine che non si appaga, di un cristianesi-mo che non nasconde il peccato. Compresa in tal modo la storia diquesto figlio che parte diventa più di un romanzo, realizza “un picco-lo universo” in cui ritrovarsi come «gente che sperpera, gente che so-gna, che tenta ed è tentata ogni giorno; gente che sbatte le porte e sene va tutti i giorni: le porte della sua fedeltà, le porte sbattute in facciaai propri doveri» 66, ma attesi da un amore che resiste, quello di Dio:vera storia della sua passione per la libertà. Vince la notizia, che in fon-do, questa parabola, a ridirla coi versi di Stevens, rende più amico il cie-lo e fa dell’imperfetto il nostro paradiso 67. La teologia, allora, trapas-serà i suoi concetti nella prova dell’abbraccio, s’invererà nel gesto e in-tonerà i discorsi alla potenza del verbo della tenerezza – esplagchnisthê(Lc 15, 20) –, al sussulto della misericordia che non si stanca di atten-dere, annunciando una Chiesa che come Dio, e in nome di Dio, si com-muove stringendo tutti i suoi figli, madre e padre di un tempo che haspento il desiderio di tornare: Si dimentica forse una donna del suo

65 Pietro Crisologo, Sermone II, 1, cit., pp. 54-55.66 D.M. Turoldo, Anche Dio è infelice, Casale Monferrato 1991, p. 12.67 W. Stevens, Sunday Morning, in Harmonium (Poesie 1915-1955), a cura di M. Baci-

galupo, Torino 1994. L’aspirazione a rendere amichevole il cielo: «Fallirà il nostro sangue? O di-verrà / sangue del paradiso?...il cielo sarà molto più amichevole che ora (Shall our blood fail? Orshall it come to be / The blood of paradise?...much friendlier then than now). L’imperfetto è il pa-radiso, non quel mondo perfetto dove è assente l’errore, il peccato, la morte, dove non ci sonogli odori e i colori che sono la materia dell’esistenza che conosce, patisce, vive la morte, la fini-tudine che estenua, la ricerca che non trova, l’impossibile che è segno del rinnegato si ritroveràperduto o ci sarà posto in quella casa, in cielo, in paradiso, qui, sulla terra, nella speranza» (IIIstrofa, pp. 90-91). «Non c’è mutamento di morte in paradiso?/ La frutta matura non vi cade mai?O i rami sono sempre carichi in quel cielo perfetto, / immutabili, eppure simili alla nostra terra pe-ritura / con fiumi come i nostri che cercano mari / che non trovano mai.../ Ahi, se portassero i nos-tri colori lassù / L’imperfetto è il nostro paradiso (Is there no change of death in paradise? / Doesripe fruit never fall? or do the boughs / Hang alwais heavy in that perfect sky, / Unchanging, yetso like our perishing earth / With rivers like our own that seek for seas / They never find...Alas,that they should wear our colors there)» (VI strofa, pp. 92-93).

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bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anchese queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai (Is49, 15).

Giuseppe Bonfrate

SUMMARY

Church Fathers in Antiquity meditated on Luke 15, 11-32, knowing that God’s wordsand His stories have a mysterious power to upspring in those of men. This essay dwellson the dynamic character of the biblical text, the fascinating and intricate labyrinth ofinterpretations from which the text grows up to the present and for readers of all ages.It dwells on the plot of the parable, giving significance to the story and its characters. Itestablishes an exegetical genealogy that goes on for five centuries, and not only explainsthe parable, but also establishes the terminology for a church that in this passage dis-covers its identity by overcoming religious tensions, understanding fragility, sacramen-talizing history, and opening the arms of mercy in the epiphany of freedom. This is thepower of the word, but also the tenderness of gestures without which those wordswould loose their source of inspiration. Theology then learns how to transfuse itself in-to action, how to become style, and to influence life, to cuddle it as a mother does withher children.


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