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Tech-Zine - IN-SAFETY

Date post: 18-Nov-2021
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UOMINI E ALTEZZE UOMINI E ALTEZZE Luca Lorenzo Sala Luca Lorenzo Sala Intervistato da Emanuele Mazzieri Intervistato da Emanuele Mazzieri MAGAZINE Nº 011 MARZO 2020 60 PAGINE MAGAZINE DI INFORMAZIONE TECNICA SUL MONDO DEL SAFETY Tech-Zine Tech-Zine ELMETTO PROTETTIVO: COSA CONSIGLIANO GLI SPECIALISTI LAVORO IN QUOTA ALL’INTERNO DELLE INDUSTRIE: TI SERVONO DISPOSITIVI ANTICADUTA O SOLUZIONI ANTICADUTA? LE 10 CAUSE PRINCIPALI DI CADUTA OGGETTI QUANDO SI LAVORA IN QUOTA. SCALE DI SICUREZZA: PER NON CADERE, PER ESSERE SALVATI CON RAPIDITÀ.
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UOMINI E ALTEZZEUOMINI E ALTEZZE

Luca Lorenzo SalaLuca Lorenzo SalaIntervistato da Emanuele MazzieriIntervistato da Emanuele Mazzieri

MAGAZINE Nº 011MARZO 2020

60 PAGINE

MAGAZINE DI INFORMAZIONE TECNICA SUL MONDO DEL SAFETY

Tech-ZineTech-Zine

ELMETTO PROTETTIVO: COSA CONSIGLIANO GLI SPECIALISTI

LAVORO IN QUOTA ALL’INTERNO DELLE INDUSTRIE: TI SERVONO DISPOSITIVI ANTICADUTA O SOLUZIONI ANTICADUTA?

LE 10 CAUSE PRINCIPALI DI CADUTA OGGETTI QUANDO SI LAVORA IN QUOTA.

SCALE DI SICUREZZA: PER NON CADERE, PER ESSERE SALVATI CON RAPIDITÀ.

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E ANCORA...

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Come sono normati i caschetti per il lavoro in quota e quali le caratteristiche dei modelli più venduti e testati dagli specialisti di IN-SAFETY®

ELMETTI PROTETTIVI“Quale scegliere: i consigli degli specialisti”

SOMMARIO

ANTICADUTA OGGETTI“I guinzagli per tenere al sicuro gli attrezzi”

Le SOLUZIONI per la sicurezza anticaduta dei macchinari industriali si compongono di più elementi tra cui i dispositivi: ma questi sono i meno importanti.

Un attrezzo che cade da una certa altezza è un “proiettile costoso” che può colpire chi lavora sotto di te. Tienilo al guinzaglio.

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Gli accessi verticali sono una fase del lavoro in quota ad alto rischio di caduta: meglio una scala di sicurezza...

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SCALE ANTICADUTA“Accessi verticali in tutta sicurezza”

EDITORIALE di Emanuele Mazzieri4 LO “STUPI-DIARIO”36SAFETY DAL WEB

ANTICADUTA MACCHINARI“Le SOLUZIONI che realmente servono”

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I WEBINAR IN-SAFETY®6

UOMINI E ALTEZZE: LUCA LORENZO SALA4637

CHI SONO GLI SPECIALISTI IN-SAFETY®18

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EDITORIALEMascherine e Coronavirus:diffondiamo notizie giuste e pratiche.

EDIZIONE MARZO 2020

Abbiamo chiuso febbraio con i cantieri in “forse” per colpa dell’emergenza COVID-19. Marzo lo stiamo passando chiusi in casa e non sappiamo cosa sarà del nostro lavoro ad Aprile… o forse si. Tutti gli specialisti di IN-SAFETY® stanno offrendo webinar gratuiti per aiutare altri professionisti come noi a mettere a frutto il tempo che sono obbligati a passare a casa.

Nella stessa ottica, ho intenzione di sfruttare nel modo più utile possibile questo spazio per dare informazioni utili in questo periodo strano a cui nessuno di noi è abituato. Vi riporto qui l’articolo scritto dal mio amico e collega Danilo Girelli, di Soccorsosicuro.it e che abbiamo già pubblicato nel nostro blog giorni indietro, ottenendo oltre il 2000% (duemila percento!) di accessi al sito in più.

Un po’ di chiarimenti pratici sulle mascherine e sulle leggende che circolano al tempo del coronavirusRiporto integralmente il testo di Danilo Girelli di Soccorsosicuro.it“Hanno già scritto in tanti, ma do anche il mio contributo, sperando di aiutare qualcuno in più. Vedo molta gente che per fortuna usa le mascherine, ma pochi che le usano nella maniera corretta.

Esistono sostanzialmente due tipi di mascherine:1. chirurgiche;2. per la protezione delle vie respiratorie;

Le prime sono rettangolari, di solito verdi, composte da alcuni strati di tessuto non tessuto. NON FILTRANO L’ARIA INSPIRATA e si agganciano alle orecchie con due piccoli elastici. SERVONO SOLO SE SIETE INFETTI PER EVITARE DI CONTAGIARE QUELLI CHE VI STANNO DAVANTI, o evitare di spargere goccioline di saliva su materiali, alimenti, ecc…

NON SERVONO PER PROTEGGERSI DAL VIRUS.Le altre sono mascherine a conchiglia, meglio identificate come Facciali Filtranti, che vengono usate nel mondo del lavoro per proteggere sé stessi da inquinanti presenti nell’aria ambiente. Si appoggiano sul volto e si fissano con due elastici che passano dietro la testa. Sono composte da una carta filtrante che per azione meccanica ferma i particolati pericolosi: polveri, fumi, nebbie, microrganismi…

Marcatura delle mascherine Protettive, Facciali Filtranti.Sulla mascherina deve essere presente la norma di riferimento EN 149, e una sigla che indica il grado di protezione:1. FFP12. FFP23. FFP3

Più è alto il grado e più piccolo è il particolato che viene bloccato tra le maglie della carta filtrante. Per proteggersi dai microrganismi solitamente si usa la FFP3, ma da notizie della OMS sembra che questo virus abbia una dimensione tale da poter essere fermato anche con delle FFP2.Queste mascherine SERVONO PER PROTEGGERE SÉ STESSI DALLA INALAZIONE DI SOSTANZE PERICOLOSE, pertanto possono essere usate per evitare di contagiarsi da virus e batteri.Se potete, compratele senza quel disco di plastica che si trova su alcune mascherine. Quella è una valvola di

espirazione. Serve quando il lavoratore è in un ambiente di lavoro caldo e umido: lo aiuta ad espirare meglio perché lascia passare tutta l’aria che espira. Va da sé che, se voi siete infetti, DA QUELLA VALVOLA ESCE TUTTA L’ARIA CHE ESPIRATE e pertanto rischiate di contagiare qualcuno.

Oltre all’indice di protezione, sulla mascherina trovate un altro indice:NR che sta per Non Riutilizzabile oppure R che sta per Riutilizzabile. NR significa che devono essere usate per un solo turno di lavoro. Da qualche parte leggo che vanno bene per 6 ore, 8 ore, 9,5 ore… Il tempo di utilizzo non c’entra nulla. Il lavoratore le mette e quando le toglie le deve buttare. Per questo vengono comunemente chiamate “mascherine monouso”. Nella situazione attuale, vedete voi……

Altri indicazioni riportate sulle mascherine.Sulle mascherine trovate altri indici, tipo S, L, C D, ecc.. Quelli servono nel mondo del lavoro. Per questa situazione di emergenza coronavirus non vi danno nessuna informazione utile in più.

Come si indossano le mascherine Facciali Filtranti.I Facciali Filtranti per funzionare bene DEVONO ADERIRE ERMETICAMENTE SUL VOLTO. Se avete barba, baffi, basette, piercing in posti strani, conformazione del viso particolare, ecc., e la mascherina non aderisce, si lascia uno spazio dove il virus può entrare.

PREZZI delle mascherine in situazione normale.Le mascherine chirurgiche si trovano sul mercato a circa 5-6 € per una confezione da 50 pezzi. I facciali filtranti, sia FFP2 che FFP3, vanno in media da 1€ a 5€. La differenza di prezzo non è dovuta alla efficacia filtrante, che “dovrebbe essere uguale per tutti i marchi”, ma alla costruzione della mascherina: elastici più o meno robusti, bardatura più o meno ermetica, con valvola o senza valvola, più o meno grandi, imbustate singolarmente o tutte assieme, ecc., ecc...

Ho visto scontrini a 15, 30, 60 euro: qualcuno forse ci sta speculando.Non è detto che sia il commerciante o il farmacista che vi trovate davanti. Magari il poverino ha dovuto lui stesso comprarle a dieci volte rispetto a quanto le compra normalmente. È vero anche che tutta la catena di approvvigionamento è stata compromessa. Per averle c’è chi ha dovuto farsele spedire via aerea con corrieri espresso, movimentare più velocemente, ecc ecc. Naturalmente, sono tutti costi che vanno ad incidere sul prezzo finale.

Considerazioni finali sulle mascherine in emergenza coronavirus.Aggiungo. È inutile che vi mettiate la mascherina se poi toccate ogni cosa a mani nude e poi vi toccate occhi, naso bocca. Lavate le mani e magari usate anche i guanti monouso quando andate in posti pubblici che è più efficace rispetto ad una mascherina non adeguata o male indossata.

Emanuele Mazzieri in collaborazione con

Danilo Girelli

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“Ho gradito molto il metodo misto tra lezione con slide e Q&A. Molto disponibile tutto il personale docente che ha partecipato. Si è riusciti a toccare molti argomenti diversi e ad approfondire in funzione delle domande poste. Ottimo.”

“Rispetto ad altre esperienze, mi è piaciuto il fatto che fosse possibile interagire in diretta con i relatori che rispondevano subito ai quesiti posti e non come sempre, con la formula [le domande alla fine...]. Mi è sembrata più una chiacchierata che una lezione, BRAVI!”

“La riunione fatta da esperti del settore, che operano direttamente, esalta le dinamiche di esecuzione e non solo quelle legislative. Ottimo lavoro, grazie.”

“La riunione fatta da esperti del settore, che operano direttamente, esalta le dinamiche di esecuzione e non solo quelle legislative. Ottimo lavoro, grazie.”

“Ripeto, molta concretezza nell’esposizione che risponde alla realtà. Bravi !!!”

“Webinar con specialisti del settore, pratici e molto esaustivi nel diffondere le basi dei lavori in quota e sistemi anticaduta.”

“Siete tutti molto competenti ed in voi traspare quella cultura della sicurezza che in italia, ahimè, è piuttosto rara.”

“Si percepisce l’importanza di essersi specializzati in un determianto settore o comunque in ambiti ristretti ma sui quali siete veramente dei professionisti.”

Domande & Rispostei webinar con gli Specialisti IN-SAFETY®

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E I WEBINAR >>

L’elmetto protettivo, per chi lavora in quota, è un DPI che viene indossato all’inizio della giornata lavorati-va e tolto solo alla fine, un po’ come le scarpe.Per questo, scegliere bene il proprio elmetto, o caso, potrebbe non essere così facile.La scelta dipende spesso da alcuni fattori tecnici ma più spesso da fattori molto personali come ad esem-pio, la conformazione della testa.

In questo articolo cercheremo di raccontare:• le basi normative sull’uso dell’elmetto protettivo;• come scegliere quello che fa per te;• quali sono le conseguenze fisiche e legali per una scelta inadeguata;• i modelli che consigliano gli specialisti abituati a te-nerlo in testa tutto il giorno.Infine, come chicca, verità, miti e leggende sulla per-sonalizzazione con colori, adesivi e pennarelli.

Le basi normativeL’elmetto protettivo per i lavori in quota è un Dispo-sitivo di Protezione Individuale, di seconda o terza classe, a seconda della tipologia.Vado subito al punto evitando “lo spiegone” su cosa sia un DPI (il Decreto legislativo 4 dicembre 1992 n° 475) e passo subito all’Allegato VIII del D.lgs 81/2008:

3. Elenco indicativo e non esauriente delle attività e dei settori di attività per i quali può rendersi necessa-rio mettere a disposizione attrezzature di protezione individuale1. Protezione del capo (protezione del cranio)Elmetti di protezione• Lavori edili, soprattutto lavori sopra, sotto o in prossimità di impalcature e di posti di lavoro sopra-

elevati, montaggio e smontaggio di armature, lavori di installazione e di posa di ponteggi e operazioni di demolizione.• Lavori su ponti d’acciaio, su opere edili in strutture d’acciaio di grande altezza, piloni, torri, costruzioni idrauliche in acciaio, altiforni, acciaierie e laminatoi, grandi serbatoi, grandi condotte, caldaie e centrali elettriche.• Lavori in fossati, trincee, pozzi e gallerie di miniera.• Lavori in terra e in roccia.• Lavori in miniere sotterranee, miniere a cielo aper-to e lavori di spostamento di ammassi di sterile.• Lavori in ascensori e montacarichi, apparecchi di sollevamento, gru e nastri trasportatori.• Lavori nei pressi di altiforni, in impianti di riduzione diretta, in acciaierie, in laminatoi, in stabilimenti me-tallurgici, in impianti di fucinatura a maglio e a stam-po, nonché in fonderie.• Lavori in forni industriali, contenitori, apparecchi, silos, tramogge e condotte.ecc, ecc. (omissis)

Come ricorda anche il sito di Cantiere Pro, una sen-tenza della corte di Cassazione, con riferimento all’Allegato VIII del D.Lgs. 81/2008 punto 3.1, sotto-linea che:“i lavori edili rientrano tra le attività che generalmen-te comportano la necessità di proteggere il capo e per le quali, quindi, è necessario l’elmetto protettivo, a prescindere dal fatto che il suo utilizzo sia specifi-camente contemplato nel documento di valutazione e l’uso dello stesso casco è imposto “dall’inevitabilità del rischio individuale” togliendo quindi ogni arbitrio alle eventuali valutazioni del datore di lavoro”.Questa premessa per ribadire che (e in IN-SAFETY siamo d’accordo) l’elmetto protettivo va indossato

Elmetto protettivo per lavori Elmetto protettivo per lavori in quota: cosa consigliano gli in quota: cosa consigliano gli

specialistispecialisti

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Gli specialisti di IN-SAFETY spiegano che tipo di elmetto protettivo scegliere per i lavori in quota e quale preferiscono perché la scelta è tecnica ma molto spesso anche personale.

sempre anche se lavoro in copertura e non ho carichi sospesi.

La scelta tecnicaI rischi dai quali un elmetto protettivo deve proteg-gere sono:• Meccanici, come caduta di oggetti, urti e schiaccia-menti laterali;• Elettrici isolanti e resistenti alla tensione;• Termici, che mantengano le caratteristiche alle alte o alle basse temperature.Per rispondere a queste necessità, i costruttori devo-no attenersi a specifiche normative tecniche:• EN 397:2013 che specifica i requisiti fisici e presta-zionali, i metodi di prova e i requisiti di marcatura per gli elmetti di protezione per l’industria;• EN 12492:2012 che specifica i requisiti di sicurezza e i metodi di prova per i caschi di protezione utilizzati dagli alpinisti sportivi.La scelta, quando si parla di lavoro, dovrebbe andare quasi sempre o esclusivamente su un elmetto protet-tivo a norma EN 397:2013.Ma la scelta va fatta in base alla valutazione dei ri-

schi.Nei lavori come i disgaggi di costoni rocciosi o fronti di cava, ma anche in altri lavori in fune, il rischio pre-valente potrebbe essere costituito da urti o incidenti simili a quelli che rischiano gli alpinisti sportivi.Ad esempio, un casco protettivo a norma EN 397:2013 deve avere il laccio sottogola che si apre al raggiungimento di 25 kg, per evitare che un lavo-ratore subisca uno strangolamento in caso rimanga impigliato. Di contro, un caschetto da alpinisti ha il sottogola che non si apre prima dei 50 kg, per evitare che si sganci in caso di urti, cadute e rotolamenti.Quando si ha a che fare con rischio elettrico, l’el-metto protettivo deve essere testato secondo la EN 50365:2002 che specifica i requisiti che devono ave-re gli elmetti isolanti.Parliamo di elmetti da impiegare su impianti di Cate-goria 0 e 1, destinati ad essere utilizzati in ambien-ti in cui vi è la possibilità di contatto con un elevato potenziale di tensione elettrica (fino a 1.000 V ca e 1.500 V cc).Infine, gli elmetti ad alte prestazioni per l’industria

Due elmetti con certificazione EN 397 e EN 50365: KASK ZENITH (a sinistra) e KONG AMPERE (a destra).

Elmetti PETZL, a sinistra, e CT Climbing Technology, a destra: il colore nero opaco è ideale per gli operatori dello spettacolo o per le forse dell’ordine.

Lo specialista IN-SAFETY®, Mirko Mandelli con diverse versioni dell’elmetto Tractel.

KASK, il produttore italiano più specializzato in caschi ed elmetti protettivi. I modelli KASK (da sinistra Plasma, HP e Zenith) sono tra i più apprezzati nel settore.

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che devono rispondere alla EN 14052:2013.Questi devono fornire protezione contro la caduta di oggetti e urti anche al di fuori della zona sommitale e le conseguenti lesioni cerebrali, le fratture del cra-nio e le lesioni al collo.

Ad ogni lavoro i suoi accessoriUn elmetto protettivo che si rispetti può essere im-plementato con numerosi accessori, alcuni funzio-nali alla protezione di altre parti della testa.Ad esempio visiere per la protezione degli occhi, gli otoprotettori o le protezioni per il collo.Non meno importanti, i colori fluo e le appendici ca-tarifrangenti per dare all’operatore alta visibilità.Nel mondo tattico militare o nello spettacolo, si usa-no invece caschi neri e opachi proprio per limitare al massimo la visibilità dell’operatore.Altri accessori sono propedeutici al comfort e all’i-giene come ad esempio le imbottiture intercambia-bili o il sostegno integrato per le lampade frontali, più comodo dell’uso di lampade con elastico.Un elemento fondamentale per la comodità è il si-stema di regolazione per la circonferenza del cranio.

Quelli più economici si regolano con un cinturino a scatti ma un elmetto protettivo serio ha in genere un sistema a rotellina, rapido e con una certa sensibili-tà.Altri produttori, come PETZL, hanno addirittura un doppio sistema di regolazione, dietro e davanti, per migliorare il centraggio con la testa.Ultime caratteristiche molto variabili, ma non per importanza, sono il peso e il grado di ventilazione che avviene per mezzo di prese d’aria laterali in pun-ti strategici: una fessura di ventilazione è di fatto un punto debole su cui porre molta attenzione.Raramente i caschi economici hanno delle prese d’a-ria.Alcuni fabbricanti hanno anche una linea di caschi protettivi dedicati ad elicotteristi o, come nel caso di KONG, ai giudici di gara di autodromi.Questi devono coniugare la protezione all’isolamen-to da forti rumori e garantire allo stesso tempo la possibilità di comunicare con un sistema radio.

L’uso di adesivi e le personalizzazioniSiamo tutti, nel profondo, un po’ narcisisti e la perso-

nalizzazione del casco è una tentazione forte.Tentazione che fa a cazzotti con quanto dicono i pro-duttori che, quasi all’unanimità, vietano l’applicazio-ne di adesivi o l’uso di pennarelli e vernici.Lo vietano e a buon diritto.Questo perchè un DPI (lo dice anche il D.lg 81/2008) non può subire modifiche non autorizzate e questa condizione viene fatta rispettare scrivendola nero su bianco sul manuale.Pena la decadenza delle garanzie e delle responsa-bilità.Ecco svelato il motivo principale per cui è vietato ap-porre adesivi.Il fatto che la colla di un adesivo possa modificare o alterare la composizione chimica, o la resistenza del guscio di plastica, è invece piuttosto difficile. Diciamo che non è questa la ragione principale del divieto.Piuttosto, l’apposizione di un adesivo può impedire le verifiche pre uso celando crepe o deformazioni meccaniche causate da urti accidentali. Queste sì che compromettono l’efficacia dell’elmetto protettivo.Per gli stessi principi, è vietato l’uso di vernici o pen-narelli.Se volete scriverci sopra il vostro nome, scegliete ca-schi nei quali i fabbricanti hanno apposto, di fabbri-ca, apposite etichette scrivibili… e scrivete su quelle.

Modifiche di fabbricaL’esigenza di colori diversi o adesivi non è però solo una questione di estetica.In molti siti industriali e nell’organizzazione di alcuni cantieri, l’impiego di colori diversi o etichette è fun-zionale alla distinzione dei ruoli dei vari operatori.Oppure per la distinzione di particolari abilitazioni.In un’azienda per la quale ho curato recentemente il “restyling” della dotazione degli elmetti, il RSPP ha ritenuto ottimale fornire caschi gialli ad operai non specializzati, rossi ai preposti, arancio agli operatori abilitati al lavoro in fune, bianchi ai tecnici.Un loro regolamento interno.Anche per questo, molti produttori hanno una gam-ma abbastanza variopinta.Altri ancora sono disposti ad apporre, di fabbrica, adesivi personalizzati, con le naturali logiche di quan-tità minime importanti o sovraccosti particolari.Basta guardare le dotazioni della Croce Rossa o del-le Pubbliche Assistenze: caschi di produttori noti ma con insegne e colori personalizzati.Quindi, se applicati di fabbrica, gli adesivi persona-lizzati (meglio se riprodotti anche sul manuale) non costituiscono di fatto delle modifiche e non fanno decadere le garanzie.Per concludere, personalizzare un elmetto protet-tivo non è impossibile a patto di essere disposti a seguire alcune regole base, essere pronti a spendere di più o a rinunciare a certe garanzie.

KASK ZENITH: un elmetto protettivo certificato per l’isolamento dielettrico, abbinabile ad una serie di accessori come visiere, maschere protettive e otoprotettori.

KONG: a sinistra un elmetto MOUSE WORK super accessoriato, a destra un nuovo elmetto SPIN, disponibile anche per il mercato USA e certificato in base alle ANSI.

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Elmetto protettivo PETZL STRATO, certificato EN 397 :2012, EN 12492 :2012, EN 50365 :2002.

Dettaglio della chiusura del sottogola di PETZL, con selezione per apertura a 25Kg o a 50 Kg

Elmetti personalizzati di fabbrica. A sinistra, un elmetto KASK personalizzato con le insegne della CRI, a destra un elmetto KONG per WURTH, distributore di fastening.

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Per altre informazioni, non esitare a contattarci:

Sia Francesco Badini di EDECOS, che Cristiano Bianchi usano KONG che trovano comodo, piccolo e leggero. Cosa che non guasta, con un buon appeal presso il loro clienti a cui piace molto, anche per la buona gamma di colori e versioni disponibili.Provare, provare, provarePer tornare al concetto iniziale, un elmetto protetti-vo è come un paio di scarpe: ognuno ha la sua testa così come ha i suoi piedi.L’unica cosa da fare è provarli, a costo di comprarne due o tre modelli diversi per poi tenere quello che lascia migliori sensazioni.Se li vuoi provare, noi di IN-SAFETY possiamo aiu-tarti, li conosciamo un po’ tutti e ne abbiamo dietro sempre diversi tipi.

Contattaci e veniamo a farteli vedere.

Come aiuto per orientarti tra le varie marche e mo-delli, abbiamo prodotto un’infografica piuttosto esplicativa che puoi scaricare, GRATUITAMENTE e insieme ad altri documenti utili, iscrivendoti alla nostra newsletter.

Lo specialista IN-SAFETY®, Andrea Falzoi, titolare di AGF srldistributore di fastening.

Ho provato anche la versione HP per un paio d’anni, tostissima, ma pesantuccia. PETZL ha un assorbimento degli urti diverso. Non ha espanso sotto la calotta, ma una sospendita a 6 punti (Modello Vertex nelle varie versioni e Alveo Vent fino al 2018). Gli accessori sono ok. Dei nuovi ho provato sia il modello Vertex che lo Stra-to. A parte il giochino del sottogola (EN 397 o EN 12492), son belli e mi sembrano comodi, oltre che pieni di ac-cessori a pagamento e ad un prezzo non abbordabi-lissimo. KONG mi ha lasciato il segno per tre giorni: li uso ma penso che per un pelato come me, sia un casco un po’ scomodo. La loro visiera mi lascia pochissimo spazio per gli oc-chiali”.

Anche Giovanbattista Faena, ID linee Vita, ha tutte le preferenze per KASK.Personalmente uso molto KONG e ne vendo anche tanti: è piccolo e leggero, ha un buon rapporto qua-lità prezzo, un’ottima estetica ma alcuni problemuc-ci sulla comodità della sospendita, poco imbottita e tendente a stringere sulla nuca.In questo, devo dare ragione a Santino.Non lavorando in fune e avendo tutti i capelli, non mi crea però problemi.

Le conseguenze di una scelta errataCome per imbracature e cordini, anche la scelta erra-ta di un elmetto protettivo può portare a conseguen-ze spesso peggiori del non indossarlo.Le riporta uno schema semplicissimo che si trova proprio nell’allegato VIII del D.Lgs 81:2008.

Le preferenze degli specialisti IN-SAFETYHo chiesto ai nostri ragazzi, che vivono con l’elmetto protettivo in testa, quale usano, perché e cosa ci tro-vano di speciale.Il primo a rispondermi è stato Andrea Falzoi, socio titolare e direttore di AGF srl.

Andrea, che lavora molto sui tetti, ama il suo KASK Plasma perché molto comodo e offre un buon isola-mento al caldo in estate.Non di rado però usa anche un Mouse Work di KONG, più piccolo e leggero, soprattutto quando effettua sopralluoghi in abiti “civili”.

Questo è quanto mi ha detto Santino Fratti, socio di MTA Consulting, formatore e operatore con abilita-zione I.R.A.T.A.:“KASK! Comodi, li vogliono tutti, soprattutto i modelli plasma EN 397 e superplasma EN 12492. Devi però stare attento nel pulirli, l’interno ha i fis-saggi in velcro un po’ deboli e io che ho i capelli ispidi come la barba, quando li lascio crescere, li rovino.

Lo specialista Santino Fratti e i suoi elmetti personalizzati

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GLI SPECIALISTIIN-SAFETY È IL PRIMO NETWORK DI SPECIALISTI IN TECNOLOGIE PER LA SICUREZZA INDUSTRIALE

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Un dispositivo è solo una parte di una soluzione anticaduta la quale deve prevedere anche altri passaggi, preliminari e successivi, senza i quali il dispositivo è solo un costo inutile o addirittura un problema ancora più pericoloso.

Lavoro in quota all’interno Lavoro in quota all’interno delle industrie: ti servono delle industrie: ti servono

dispositivo anticaduta dispositivo anticaduta o soluzioni anticaduta?o soluzioni anticaduta?

Nel mercato italiano si è diffusa erroneamente l’idea che acquistare un dispositivo o un DPI sia la soluzio-ne anticaduta che risolve automaticamente il rischio lavori in quota su impianti e macchinari.Sarebbe un po’ come dire che basta pagare un’assi-curazione per non avere incidenti.Complici di questi fraintendimenti sono i messaggi che lanciano alcuni produttori e importatori che, per legittime questioni di marketing, hanno cominciato a chiamare soluzioni quelli che in realtà sono solo la parte hardware ovvero i dispositivi.

Non fraintendermi, i produttori e gli importatori sono necessari, a volte innovativi... e così i loro prodotti.Tra l’altro, molti di questi producono dei gioielli di tecnologia che hanno permesso di risolvere molte problematiche di lavoro in quota laddove non sem-brava ci fossero possibilità concrete e facili da usare.Come professionista della sicurezza, devi però avere ben chiaro in testa che ciò non può essere sufficien-te, un dispositivo non è LA soluzione.

Cosa sono le soluzioni anticaduta per noi specialisti

Un cassone scarrabile aperto, da chiudere con telo prima del trasporto

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APT Group è un marchio esc

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il carico.Se non lo sai, coprire il carico è obbligatorio ed evita che questo si disperda (voli via) durante il trasporto, causando incidenti.- Ecco! - dice il RSPP - gli autisti dell’azienda dei rifiuti arrivano e si arrampicano esponendosi così al rischio di caduta, all’interno del nostro stabilimento -.- Ho visto - prosegue - che alcune aziende vendono dei binari da installare sopra l’area di carico e sca-rico. A me servirebbe un sistema simile con il quale potrei mettermi al riparo e cominciare a pretendere che gli autisti lo usino, con l’imbracatura e il retratti-le, ecc. ecc.-

Analizziamo la situazione rischio caduta da cassoni di recupero carta, imballaggi e rifiuti in genere.Il RSPP ha esternato il desiderio di voler installare quello che noi chiamiamo un “sistema anticaduta per baie di carico”.Generalmente un ancoraggio lineare Tipo D, rigido, adatto ai bassi tiranti d’aria ovvero agli spazi limitati di caduta da cassoni o macchinari che sono poco più alti di 2,5 m.

Ho voluto scrivere questo articolo partendo da esem-pi reali, casi con cui gli specialisti IN-SAFETY sono ve-nuti a contatto e che hanno risolto, grazie alla loro esperienza di operatori e installatori.Il primo episodio che mi ritrovo sempre a racconta-re, come esempio di soluzione e non di dispositivo, è un caso che abbiamo valutato e risolto insieme a Cristiano Bianchi, specialista IN-SAFETY dell’area To-scana Occidentale.Il RSPP di una nota azienda del comparto alimentare era preoccupato per la sicurezza degli autisti duran-te le operazioni di ritiro dei cassoni di raccolta degli imballaggi di scarto.Tra l’altro questi autisti non erano nemmeno loro di-pendenti ma dell’azienda di gestione e raccolta rifiu-ti.Neanche a farlo apposta, prima che iniziasse a spie-garci quale, secondo lui, fosse il problema, un autista dell’appaltatore è arrivato proprio sotto in nostri oc-chi.E’ sceso dal camion, ha preso un telo ed ha comin-ciato ad arrampicarsi sulla scaletta del cassone - alto circa 2,4 m - per stenderlo sopra in modo da coprire

Soluzioni anticaduta per baie di carico – molto utili ed impiegabili anche per garantire sicurezza su macchinari o cisterne

La sua idea era quella di imporre agli autisti di utiliz-zarlo per ancorarsi prima di salire a stendere il telo.Si è focalizzato sul dispositivo, visto e rivisto on-line e sui cataloghi dei maggiori produttori di linee vita, come la soluzione anticaduta adatta alla loro situa-zione aziendale.Un’altra considerazione, un po’ fallace, del RSPP è stata quella di dire che, insieme alla baia di carico avrebbe avuto bisogno anche dei cordini retrattili e dell’imbracatura da mettere disposizione degli auti-sti.

Cosa non ha valutato il RSPP.Premetto che l’idea, di per sè, non è completamente sbagliata ma nemmeno completamente giusta. Ci sono considerazioni che noi specialisti eseguiamo prima di individuare il sistema adatto:

1- Chi è che sale sul cassone? dipendenti dello stabi-limenti, dipendenti dell’azienda dei rifiuti o entram-bi?La risposta è stata “solo dipendenti dell’azienda dei rifiuti”.

Per cui manca la prevenzione, prima che da parte dell’azienda fruitrice dei servizi, dell’azienda forni-trice.Gli autisti sono loro dipendenti e quindi spetta in pri-mis al loro datore di lavoro preoccuparsi dei rischi che corrono salendo sui cassoni, attuando la giusta prevenzione.Sta all’azienda cliente stabilire se le procedure che propone la fornitrice vanno bene o necessitano di una implementazione.Ad esempio, fornendo loro stessi un sistema antica-duta e pretendendo che gli autisti dei fornitori sia-no formati al lavoro in quota e che siano dotati di propri DPI di III^ categoria (imbracatura e elmetto protettivo).O ancora meglio, facendo trovare delle scale di sicu-rezza (tipo cimiteriale) o dei sistemi di protezione collettiva come pedane protette da parapetti.

2. Dove e con che frequenza gli autisti salgono sui cassoni?E’ un’operazione quotidiana, settimanale o mensile? Avviene sempre nella solita area dell’azienda o in più

Una cisterna può essere progetta o comprata con sistema di carcio e scarico dal basso in modo da evitare che un operatore debba salire in alto per aprire bocchettoni o applicare tubi per pompe

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zone?Un sistema anticaduta per baie di carico fisso preten-de che il cassone sia sempre nella stessa posizione. Altrimenti, prima di salirci, questo andrebbe sposta-to in corrispondenza della baia.Se questa operazione viene svolta più volte al giorno, diventa dispendiosa anche solo in termini di tempo.Quindi, si potrebbe valutare magari un sistema mo-bile tenendo conto anche se può essere spostato a mano o se serve un muletto o un carro ponte.

3. E’ necessario salire sopra il cassone per posizio-nare il telo o è un’operazione che può essere fatta dal basso?Posso coprire il carico evitando di esporre al rischio caduta un autista addetto?E’ la prima domanda che ci dovremmo porre.Sembra banale, ma se trovo il modo di non salire in quota, ho risolto il problema alla radice.

Il risultato finale è la Soluzione.Esistono cassoni per la raccolta dei rifiuti con un co-perchio azionato pneumaticamente, pensa un po’,

premendo un pulsante posto ad un metro da terra.L’unica condizione necessaria per avere questi casso-ni con coperchio, in sostituzione di quelli col telo, è… chiederli al fornitore dei servizi di gestione dei rifiuti.Dopo una breve telefonata con l’azienda dei rifiuti, il cliente ha ottenuto la sostituzione dei vecchi cassoni con i nuovi cassoni col coperchio.E senza aumento di costi perché conviene a tutti:1. l’azienda alimentare ha eliminato un rischio senza spendere un euro;2. l’azienda dei rifiuti, nonostante i cassoni col coper-chio costino di più, ha mantenuto un cliente e non ha dovuto addestrare e dotare gli autisti di DPI di 3^ categoria;3. Noi non abbiamo venduto una baia di carico ma abbiamo guadagnato un cliente che, grazie alla so-luzione (che non gli abbiamo fornito ma semplice-mente gli abbiamo consigliato) ha trovato in noi un referente per ogni altro problema di sicurezza, anti-caduta e negli spazi confinati.

Le soluzioni degli specialistiAffrontare la sicurezza dal punto di vista degli opera-

Un sistema anticaduta a doppio cavo permette linee a bassa flessione (freccia ridotta e tirante d’aria al minimo) anche in situzioni di mancanza di strutture di supporto intermedie. Il modello in foto, Securope Double-Safe di HONOR, consente linee vita con interaase fino a 30 mt e frecce max di 70 cm

tori e dei professionisti specializzati significa vedere i prodotti e i dispositivi anticaduta come soluzione ultima al problema oppure parte di essa.Il processo di analisi dovrebbe seguire una logica che tenda ad eliminare il problema e, solo quando non è possibile, mitigarlo in ottica di sicurezza e semplicità.

Puoi evitare di salire in quota?Devi lavorare in modo da eliminare il più possibile tutte le attività che prevedono un’esposizione al ri-schio di caduta introducendo procedure o sistemi attuabili dal basso.

Se non puoi evitare di salire in quota, puoi limitare l’esposizione in termini di numero di operazioni o tempi di esposizione?Analizza le procedure e vedi cosa puoi fare da basso e cosa inevitabilmente devi fare in quota.Ad esempio, se devi assemblare ed installare un im-pianto in quota, potresti assemblarlo a terra e salire solo per il montaggio finale.

Una volta limitate le operazioni in quota, puoi pro-

teggere i lavoratori con sistemi anticaduta colletti-vi?Un sistema di protezione collettiva è molto più effica-ce di un sistema di ancoraggio.Nel caso di una situazione tipica all’interno di un sito industriale, come il lavoro su macchinari, i sistemi che dovresti preferire sono le piattaforme e i cammi-namenti con parapetto laterale.

Scartate le prime tre possibilità, quale ancoraggio anticaduta puoi scegliere?Il tuo primo obiettivo dovrà essere quello di impedi-re la caduta (impiego di sistemi di ancoraggio a ca-duta impedita).La distanza data dal sistema di ancoraggio + cordini e connettori non deve consentire all’operatore di arri-vare abbastanza vicino al bordo da sporgersi, oltre-passare e cadere.Se gli spazi a disposizione non me lo consentono, al-lora il tuo obiettivo sarà il Fattore caduta Zero (Ff0), una caduta limitata che minimizza gli effetti pendolo e i traumi sul corpo di un operatore caduto.Il Fattore caduta 1 o 2 sono sempre sconsigliati: ra-

Scale e camminamenti protetti da parapetti laterali costituiscono il sistema più sicuro per accedere a parti alte di macchinari

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ramente all’interno di un’azienda ci sono distanze di caduta libera sufficienti.Come per tutti i concetti precedenti, nell’impossibili-tà di situazioni migliori, meglio una caduta a Fattore 2 che arrivare di schianto a terra.

Una lavoratore che si infortuna in quota o che cade deve essere soccorso.I lavori in quota possiedono in sé la difficoltà intrinse-ca di un soccorso in caso di infortunio. In quota, i soccorsi impiegano più tempo ad arrivare o ne sono proprio impossibilitati.Devi prevedere come raggiungere il ferito, come por-tarlo a terra e come consegnarlo al soccorso sanita-rio.Quindi barelle e percorsi percorribili… oppure un si-stema di discensori per calare a terra il ferito oltre un parapetto o un bordo di caduta.Se il ferito è rimasto appeso ad un sistema anticadu-ta, il soccorso è ancora più urgente e devi prevedere un sistema di recupero che limiti la sospensione (e tutte le conseguenze) entro una quindicina di minuti.Prevedere l’intervento dei VVF potrebbe non essere

Un sistema a pertiche prefabbricate sono di rapida installazione di basso ingombro. Questo grazie al loro sistema di ammortizzazione integrato che riduce la dimensione dei profili di costruzione

sufficiente.

Procedure e addestramentoNon dimenticare mai che un lavoratore sale in quo-ta a fare il proprio lavoro, che sia saldare, tagliare, ispezionare, prelevare campioni o qualsiasi altro in-tervento di manutenzione.Quindi spesso deve salire, oltre che con i propri DPI, anche con i materiali e le attrezzature necessarie.Limitare le procedure indicando quali e come indos-sare i DPI, quale percorso seguire e quale ancoraggio utilizzare potrebbe non essere sufficiente.Valuta anche con quale attrezzatura deve salire e se questa limita l’uso delle mani o dei piedi. Se si, magari prevedi anche un sistema ausiliario di sollevamento materiali come un winch o un argano.Prevedi anche come attrezzature, materiali e ausili possono interferire con le operazioni di salvataggio.Prevedi prima di tutto la situazione peggiore, che è quasi sempre il soccorso in emergenza, e fai le tue valutazioni.Infine, addestra il personale sulle procedure, di lavo-ro ma anche di soccorso, e sulle attrezzature e i DPI

Altre soluzioni portatili da TUFF BUILT: a sinistra una scala tipo M.A.S.S., a destra un portale di grandi dimensioni a 4 gambe.

Un sistema anticaduta rigido (Tipo D) certificato ATEX a fattore di caduta zero. Applicazione su macchinari con adattamento delle sovrastruttura.

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da impiegare.

Controlla e RipetiI sistemi e i dispositivi invecchiano e si usurano.I lavoratori si assuefanno al rischio e tendono ad es-sere meno attenti man mano che passa il tempo.Prevedere piani di ispezione del sistemi e dei DPI, non solo quelli obbligatori.Programmare anche i richiami alla formazione pe-riodici e gli aggiornamenti addestrativi.

Sei in grado di fare tutto da solo o hai bisogno del consiglio di specialisti del settore?Gli specialisti IN-SAFETY agiscono e progettano se-guendo lo schema riportato in questo articolo.Hai capito che per noi i DPI e i dispositivi sono uno dei componenti della soluzione, da integrare con le valutazioni dei rischi ma soprattutto le procedure.Quasi mai costituiscono la soluzione di per sé e ancor meno ne costituiscono il fulcro.Puoi quindi decidere di ignorare quanto ti abbiamo appena suggerito e continuare a sfogliare i cataloghi di tutti i produttori di ancoraggi e DPI.

Oppure puoi chiamare uno specialista IN-SAFETY per una consulenza.

Se devo posizionare una pertica anticaduta in più posti e velocemente, posso utilizzare pertiche semoventi. Nella foto, un sistema EXOSPHERE 4X4 di TUFF BUILT

Per altre informazioni, non esitare a contattarci:

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Quali sono le principali cause di caduta oggetti e come, grazie all’esperienza di specialisti del lavoro in quota, è possibile evitare che attrezzature e impianti cadano in testa a qualcuno.

La caduta di oggetti o degli attrezzi che stai utilizzan-do può verificarsi in qualsiasi momento, sia che tu ti trovi su un camminamento, appeso a una parete o su una scala. Basta un colpo accidentale con il piede per farli ca-dere oltre il parapetto oppure potrebbero sfuggirti di mano causando danni a chi si trova a passare di sotto.Se hai la fortuna di non colpire nessuno sotto di te, comunque potresti perdere o danneggiare quell’at-trezzo.A me personalmente è successo che mi cadesse lo

Le 10 cause principali Le 10 cause principali di caduta oggetti di caduta oggetti

quando si lavora in quota.quando si lavora in quota.

smartphone mentre, appeso in cima ad un macchi-nario a 7 m di altezza, cercavo di fare delle foto al punto in cui fissare una rotaia anticaduta.Per fortuna sotto non c’era nessuno e comunque mi è costato caro.

Al fine di evitare la caduta di oggetti o attrezzi quan-do si lavora in quota, è necessario comprenderne le principali cause e predisporre le procedure e i piani di lavoro più efficaci in termini di sicurezza ma anche di economicità.

Anche I.R.A.T.A International, con il Safety Bulletin N. 42, ha posto l’attenzione su questo problema eviden-ziando 5 case study su incidenti che vedono caduta di oggetti o attrezzi durante operazioni di lavoro su fune.

Ecco quindi le principali 10 cause di caduta oggetti sul posto di lavoro:

1. Valutazione del rischio inadeguataMancata identificazione dei rischi di caduta oggetti.È importante identificare i potenziali rischi in modo da ridurre drasticamente il rischio che si verifichi una caduta di oggetti. Una valutazione del rischio può consistere nell’indi-viduare la posizione di prese elettriche, la scelta di strumenti specifici e delle attrezzature necessarie per ogni attività.In questo modo si aumenta la consapevolezza dei la-voratori sui potenziali pericoli derivanti dalla caduta di oggetti.Uno dei metodi per evitare la caduta di oggetti, già in fase di scrittura delle procedure, potrebbe essere quello di dotare il lavoratore di speciali guinzagli per attrezzi.Sono detti anche cordini o lacci per attrezzi.

2. Fattori umaniErrore dell’operatore, cattive abitudine, eccessiva

confidenza o negligenza.Una formazione inadeguata o insufficiente, la scarsa consapevolezza dei rischi, gli errori dell’operatore, le cattive abitudini, la negligenza e la scarsa informazio-ne, possono compromettere la sicurezza.Informare e formare gli operatori sulle procedure di assicurazione degli attrezzi mediante guinzagli, lac-ci o cordini, unitamente ai workshop e all’addestra-mento specifico, fornisce una panoramica dei rischi legati alla caduta di oggetti.Aiuta a creare una forza lavoro più competente e at-tenta alla sicurezza.

3. Strumenti e attrezzature non adeguatamente as-sicurati o protettiNon utilizzo di guinzagli, cordini o lacci per attrezzi. Non utilizzo di adeguati contenitori per gli oggetti sfusi.Utensili manuali o elettrici (trapani, chiavi o cacciavi-ti), telefoni cellulari e persino i DPI (vedi elmetto pro-tettivo): sono tutti esempi di attrezzature e strumenti che devono essere saldamente assicurati perché po-trebbero cadere.

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4. Procedure inadeguateCattiva pianificazione o nessuna gestione delle pro-cedure o degli avanzamenti del cantiereAnche gli spostamenti di mezzi e uomini all’interno di un cantiere o un’area di lavoro, vanno pianificati.Così come l’evolversi e gli avanzamenti delle lavora-zioni. Durante lo spostamento di uomini o apprestamenti, il rischio di caduta di oggetti lasciati incustoditi è alto.

5. Cattivi fissaggi e supporti inadeguatiCorrosione, vibrazioni, qualità scadente, cattiva pro-gettazione o installazione inadeguata.Sono tutti fattori che possono provocare incidenti e caduta oggetti come attrezzature e impianti.Un’ispezione regolare ai fissaggi o ai cavi di soste-gno permette di monitorare qualsiasi eventuale de-terioramento in modo da poter adottare misure ap-propriate.

6. Scarso ordine e pulizia.Pericoli dovuti a cattive abitudini o scarso ordine.

Le postazioni di lavoro e le attrezzature dovrebbero essere sempre organizzate e in ordine.Gli strumenti e le attrezzature lasciate in giro rappre-sentano un rischio per gli altri lavoratori.Adottare sistemi di individuazione visiva delle at-trezzature (come targhette o silhouette sui pannelli porta attrezzi), implementati da un’adeguata segna-letica, permette di individuare a colpo d’occhio stru-menti fuori posto o mancanti… e magari lasciati dove possono cadere e provocare incidenti.

7. Collisioni e sollevamentiCollisioni per sollevamento, trascinamento e sposta-mento di attrezzature.Lo spostamento di attrezzature o il loro sollevamento possono provocare collisioni.L’impatto di tali collisioni può essere causa diretta o indiretta di caduta di oggetti e attrezzature.

8. Ispezioni, riparazioni e manutenzioni inadeguateIgnorare le condizioni di scarsa sicurezza.Ispezioni regolari e programmi di riparazione e ma-nutenzione possono aiutare a identificare l’usura, i

danni o la corrosione delle attrezzature e degli ele-menti strutturali.Prima che diventino un rischio caduta di oggetti.

9. Strumenti e attrezzature improvvisate, non pro-fessionali o fatte in casaQuesti oggetti dovrebbero essere eliminati.Strumenti fatti in casa, attrezzi improvvisati, attrezza-ture non certificate o persino strumenti danneggiati che hanno subito in precedenza una caduta, possono cadere o rompersi inaspettatamente. Strumenti, attrezzature e cordini di trattenuta devo-no essere sempre controllati prima dell’uso.

10. Fattori ambientaliVento, moto ondoso, ghiaccio, neve, condizioni estreme possono provocare una caduta di oggetti.Vento, pioggia, neve, moto ondoso, fango, calore e sabbia.Sono tutti elementi che possono cambiare le condi-zioni di lavoro. Gli effetti di questi elementi sono più pronunciati nel-le aree esterne e più esposte, come i lavori in quota,

piattaforme petrolifere, torri eoliche e cave.Le condizioni ambientali e meteo possono compro-mettere la stabilità delle attrezzature e di altri oggetti non adeguatamente assicurati ma anche dell’opera-tore stesso che potrebbe lasciarsi sfuggire qualcosa.

Le soluzioni contro la caduta di oggetti o attrezziDall’esperienza degli specialisti del lavoro in quota e su fune.Come dice uno dei nostri specialisti, Santino Fratti, operatore IRATA ed esperto formatore:“ci sono infortuni gravi in ballo per delle minchiate mostruose, dall’alto cade di tutto, persino me@#a o dentiere o imbragature…”Lavorando in alto, su passerelle, scale oppure in fune, perdere un attrezzo è una cosa che va messa in conto.Non solo gli attrezzi ma gli impianti stessi che andia-mo ad installare possono caderci di mano e precipi-tare a terra causando danni e lesioni.Non è un caso se in IN-SAFETY abbiamo cominciato ad utilizzare speciali guinzagli porta attrezzi e cordi-ni oltre che speciali retrattili anticaduta oggetti.

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Soprattutto per quegli attrezzi che, per le loro carat-teristiche, non possono essere modificati o a cui non possono essere aggiunti ganci metallici:• chiavi dinamometriche;• attrezzi isolati elettricamente;• strumenti con trattamento anti scintilla;• apparecchiature e attrezzi ATEX;• mazzuoli.

Per cui, se vuoi sapere come poter evitare tali inci-denti in situazioni operative, e come mantenere il controllo contro la caduta di oggetti attrezzi median-te speciali guinzagli e lacci, chi meglio di uno specia-lista IN-SAFETY può consigliarti?

Per altre informazioni, non esitare a contattarci:

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SAFETY DAL WEBIL MEGLIO E IL PEGGIO DAL WEB CHE PARLA DI HEALTH & SAFETY, SICUREZZA SUL LAVORO

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Workshop IN SAFETY Solutions Tour Perugia - Rrecupero di un infortunato

caduto su punto di ancoraggio.

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Messa in sicurezza di scala in ferro con gabbia fuori norma - IN-SAFETY

Network

Link: https://youtu.be/L1WvoR_odSQ

SCALA ANTICADUTA FABA installata da S&M anticaduta - specialista

IN-SAFETY.

Link: https://youtu.be/HnVAVyxQ0LM

2. ELMETTO PROTETTIVO PER LAVORI IN QUOTA.

Gli specialisti di IN-SAFETY spiegano quale elmetto protettivo per i lavori in quota scegliere e quale preferiscono perché, come le scarpe, la scelta è spesso molto personale.

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COLLAUDO LINEE VITA: CHIARIAMO SUBITO COSA SIGNIFICA

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Caduta da una Scala con Gabbia - simulazione Tractel con msnichino|

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Come scegliere e impiegare nel migliore dei modi le scale portatili migliorandone la sicurezza grazie a tecniche da specialisti.

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Le immagini dell’insicurezza trovate dagli specialisti IN-SAFETY e sui canali social a tema sicurezza sul lavoro.

Sopravvalutare la mascherina come DPI... 1

Sopravvalutare la mascherina come DPI... 2

Scelta dell’ancoraggio sbagliato Scelta del DPI sbagliato

harkenindustrial.com

www.aton.eu/applicazioni-sicurezza-lavoro/ [email protected] +390119013570 it.linkedin.com/company/aton-s.p.a.

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Lanuovagenerazionedisoluzionidigitaliperlasicurezza dei lavoratori isolaQ e negli spaziconfinaQ.

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Disponibil i anche in versionecerQficataperareeclassificateAtex

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Se pensi che le scale con gabbia alla marinara non siano la soluzione più sicura, allora quello che ti serve è una scala di sicurezza con anticaduta integrato. Ma quale scegliere?

Scale di sicurezza: Scale di sicurezza: per non cadere, per essere per non cadere, per essere

salvati con rapidità.salvati con rapidità.

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In molti paesi del nord europa, le scale di sicurezza anticaduta sono ormai la normalità mentre le scale con gabbia alla marinara sono viste come “vecchie vestigia” di un’epoca industriale passata.E’ così vero che oramai i produttori esteri si suddivi-dono in produttori di scale con anticaduta integrato in produttori di sistemi anticaduta da integrare su scale esistenti.

Scale di sicurezza anticaduta in Italia.In Italia, come abbiamo già spiegato nell’articolo “Scale con gabbia si o scale con gabbia no?”, le scale alla marinara non sono fuori norma, purché rispetti-no certi criteri dimensionali.

Le scale di sicurezza anticaduta, invece, sono ancora appannaggio semi-esclusivo di specialisti dell’anti-caduta, come i ragazzi di IN-SAFETY. Oppure sono la principale scelta di chi costruisce o gestisce impianti di telecomunicazione o di distribuzione elettrica.Insomma, tralicci, ciminiere e ponti ripetitori.E quasi tutti i produttori competitor sono del Nord Europa.

Perchè le scale di sicurezza trovano questa opposi-zione?Cominciamo con elencare i vantaggi e gli svantaggi, reali o presunti.Questo ci consentirà di capire dove trovano terreno difficile.

Sono poco conosciute.Le scale di sicurezza sono un prodotto relativamen-te recente sul mercato, rispetto alle scale con gabbia alla marinara, e la maggior parte dei progettisti non

ne conosce né le caratteristiche tecniche ne le po-tenzialità.Spesso, in un nuovo progetto, non vengono nemme-no prese in considerazione, si scelgono d’ufficio le scale con gabbia.

Non sono facilmente replicabili.La tecnologia impiegata nella produzione di una sca-la con gabbia alla marinara è talmente basica che queste vengono prodotte, con maggiore o minore maestria, da numerosi costruttori di scale e da una quantità ancora maggiore di carpenterie metalliche.Le scale di sicurezza con anticaduta integrato neces-sitano invece di speciali montanti, laterali (o montan-te unico centrale), che sia anche il componente di un sistema a norma UNI EN 535-1.A questo è necessario abbinare anche un carrellino anticaduta (un DPI a tutti gli effettI) e tutto il sistema deve passare severi test di certificazione. Non alla portata di tutti.

Necessità di formazione.Essendo, uno dei suoi principali componenti, un DPI (un anticaduta guidato a Norma UNI EN 535.2), il suo utilizzo prevede che l’operatore abbia l’abilitazione e usi i DPI anticaduta di III^ categoria.Questo implica la necessità di formare (obbligatoria-mente) i lavoratori e di fornirli anche dei DPI neces-sari.

Obbligo di ispezione delle scale di sicurezza.Per gli stessi motivi di cui sopra, una scala di sicurezza necessita di ispezione annuale obbligatoria da parte di personale competente. Con le ispezioni, anche la necessità di tenere un apposito registro.Costo maggiore.Ad una prima e superficiale analisi, le scale di sicu-rezza anticaduta sembrano costare di più delle scale con gabbia alla marinara.Soprattutto su scale di piccole dimensioni fino a, di-ciamo, 6/8 m di altezza di sbarco.Questo succede anche perchè sul mercato italiano c’è una grande offerta di scale alla marinara, di tutte le qualità, che arrivano a costare anche solo poche decine di euro al metro.Quando si sale di quota le cose cominciano a cam-biare.Le scale alla marinara necessitano infatti, per legge, di una piattaforma di riposo ogni 6 m (ogno 4 m per la Regione Veneto), le quali fanno salire notevolmen-te sia il prezzo di fornitura sia il costo di posa. E fi-nora non abbiamo tirato in ballo eventuali costi di adeguamento delle strutture.

Sensazione di minore sicurezza.Questo è l’argomento, se vogliamo, più discusso con gli RSPP e con gli utilizzatori stessi.La frase che mi sento maggiormente ripetere, prima ancora di cominciare a trare fuori tutti gli argomenti

Sequenza fotografica che illustra il comportamento di un manichino umano lasciato cadere all’interno di una gabbia di una scala alla marinara.

Una scala di sicurezza senza gabbia lascia un sensazione di insicurezza alle spalle. Ma è proprio questa una delle principali caratteristiche che la rende più sicura di una scala con gabbia - foto FALLPROTEC

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La gabbia, come impedisce che un lavoratore fuorie-sca, impedisce anche al soccorritore di entrare.Non che sia facile recuperare gli operatori caduti dal-le scale di sicurezza ma almeno non c’è la gabbia nel mezzo.

Scale di sicurezza con montante centrale o a due montanti

Tractel FABA A11 e A12Capostipite di tutte le scale di sicurezza con montan-te centrale è forse il sistema FABAtm A11 della fran-cese Tractel®, distribuita in Italia da Tractel Italiana spa. Un sistema introdotto sul mercato già nel 1965.Nel 1995, Tractel introduce l’evoluzione del siste-ma A11 che chiama A12: una versione più leggera e quindi più economicaPuò essere in acciaio zincato oppure in acciaio inox.Il profilo centrale, dal quale partono a sbalzo i pioli, è costituito da una rotaia a cremagliera. Il carrello an-ticaduta impedisce la caduta dell’operatore andando ad incastrarsi con un perno proprio sulla cremagliera.

Tractel FABA AL2Nel 2000, Tractel immette sul mercato la versiona in alluminio di una scala di sicurezza anticaduta, basato sul sistema a cremagliera A12.Per compensare la minore resistenza meccanica dell’alluminio, i pioli a sbalzo sono collegati all’ester-no da due profili continui.

Partendo dal principio del sistema A12, Tractel ha anche sviluppato la sola rotaia da applicare a scale esistenti.

FALLPROTEC SECURAIL VERTICALPartendo esattamente dal principio inverso, la lus-semburghese FALLPROTEC ha lavorato sul suo siste-ma anticaduta a rotaia sviluppandone uno ad uso verticale e aggiungendo , con il tempo, un sistema di staffe, pioli a sbalzo e accessori da montare sulla rotaia stessa trasformandola così in una scala a mon-tante centrale.La rotaia è in alluminio anodizzato mentre pioli e staffaggi sono in acciaio inox. Il carrellino anticaduta agisce sulla rotaia di alluminio

Una scala Safeladder di FALLPROTEC integrata in un rivestimento di facciata in pannelli grigliati.

sopra citati, è:“Con questo tipo di scala mi sento esposto al vuoto, la gabbia invece mi da un senso di protezione e sicu-rezza”.Ma anche:“Con la gabbia salgo, senza gabbia no perchè ho paura”.Niente più che una sensazione, un’idea. Le scale di sicurezza anticaduta sono molto più sicure di una scala con gabbia proprio perché impediscono com-pletamente la caduta.Una scala con gabbia invece, A VOLTE, impedisce la caduta. La maggior parte delle volte (e lo dimostrano le mol-te prove fatte in laboratorio perché nessuno ne tiene una statistica sui casi reali), l’operatore cade da qual-che metro fino a “farsela tutta”. E cade sbattendo ri-petutamente contro le sbarre della gabbia rimanen-dovi spesso incastrato dentro.Il soccorso e il recupero di un lavoratore caduto da una scala con gabbia, è una delle manovre più difficili che un soccorritore esperto possa trovarsi a dover compiere.

per attrito, nessuna tacca o cremagliera.La cosa interessante del sistema FALLPROTEC è la possibilità di installare pioli a sbalzo ripiegabili lun-go la rotaia, da aprire solo al momento dell’uso, e mascherabili da profili metallici verniciati nella tinta richiesta. Questo da la possibilità di montare scale di sicurezza per accesso verticale anche in edifici ad alto valore estetico poiché l’impatto visivo è minimo.

Con lo sviluppo delle rotaie Securail 2016 e Safe Ac-cess, FALLPROTEC ha anche sviluppato versioni verti-cali sulla base di questi nuovi sistemi.Ma la versione originale rimane quella con il maggior numero di accessori abbinabili.

FALLPROTEC SAFELADDERL’ultima generazione di scale di sicurezza anticaduta è probabilmente costituita dal sistema Safeladder.Una scala a due montanti, completamente in allumi-nio anodizzato (a parte gli staffaggi a parete) dove la guida anticaduta a norma UNI EN 353.1 è integrata sui montanti laterali. Scala in acciaio prodotta dalla SöLL

Per meglio dire, montante e guida sono un unico profilo.In questa scala, leggera ed elegante, ogni dettaglio è stato curato: ad esempio, il profilo di scorrimento del carrello è inclinato verso il centro per garantire maggiore comodità. Il principale vantaggio nel non avere una rotaia cen-trale è l’assenza di qualsiasi impedimento allo sbarco.

Scale di sicurezza Honeywell SÖLL GLIDELOCRecentemente acquisita dalla multinazionale Ho-neywell, la tedesca Sӧll propone un sistema molto si-mile a quello di Tractel ma con alcune varianti come:• una versione in acciaio inox;• una in acciaio zincato;• un modello in alluminio;• varie versioni a due montanti ma con rotaia cen-trale.Oltre alla versione solo rotaia da applicare a scale esistenti.

Ci sono molti altri prodotti sul mercato, tutti più o meno cloni delle tre aziende sopra citate ma con pre-

Per altre informazioni, non esitare a contattarci:

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Scala di sicurezza FABA di Tractel applicata ad un silo in acciaio

stazioni spesso inferiori, con l’intento di abbassare il prezzo.

Una non vale l’altra: come scegliere le scale di sicu-rezza giuste?A differenza della maggior parte delle scale con gab-bia, dalle prestazioni spesso indistinguibili da un produttore all’altro, le scale anticaduta, anche se si assomigliano esteticamente, hanno caratteristiche tecniche diverse.Dai materiali agli interessi tra gli staffaggi, la scelta va fatta dopo aver attentamente analizzato la struttura sulla quale ancorarsi. Se sono di fronte ad una parete portante in cemento armata, continua ed omogenea, allora ho solo l’im-barazzo della scelta.Quando le strutture, le dinamiche di percorso o le conformazioni dei punti di sbarco si “movimentano”, allora la differenza la fanno gli accessori disponibili.Dagli sbarchi curvi per accedere alla copertura, alle pedane di riposo intermedie fino a particolari ap-pendici che consentono alla scala di essere adattata a botole e pozzi.

In questo caso, un buon ufficio tecnico può fare la differenza.Oppure, se vuoi valutare l’installazione di scale di sicurezza anticaduta, chiama uno specialista IN-SA-FETY per una valutazione tecnica ed economica.Entrare in contatto con noi è ancora più semplice se utilizzi il modulo di richiesta sopralluogo che trovi qua sotto.

Scala in acciaio prodotta dalla SöLL La scala in alluminio di Tractel AL2

Cosa significa avere Luca come trainer, un tecnico specialista in Rope Access con oltre 18mila ore di lavoro su fune certificate IRATA.

UOMINI E ALTEZZEUOMINI E ALTEZZELuca Lorenzo SalaLuca Lorenzo Sala

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L’inizio di un percorso di alta specializzazione con MTA Consulting.Recentemente ho deciso di abilitarmi nell’accesso e posizionamento su fune secondo lo standard inter-nazionale I.R.A.T.A. (Industrial Rope Access Training Association).Per chi non lo sapesse, I.R.A.T.A. è l’associazione che, alcuni anni fà, ha stabilito degli standard di sicurezza nel Rope Access che sono stati poi adottati dal setto-re petrolifero (soprattutto off shore) e attualmente richiesto come standard nei più importanti cantieri e siti produttivi nello scenario internazionale.Il livello tecnico e di sicurezza richiesto è elevatissimo e gli step di abilitazione successivi al L 1 (Level 1 - il primo livello) si raggiungono solo dopo dei periodi minimi di operatività.Ad esempio, per passare a L 2 servono almeno 365 giorni e minimo 1000 ore di lavoro in fune, non sem-plice lavoro in quota in trattenuta.Poi rifare il corso di 32 ore e un esame da L 2Per passare dal L 2 a L 3, stessa storia: minimo altre 1000 ore di lavoro certificate e almeno 365 giorni. Poi di nuovo corso da L 3 e esame.Per I.R.A.T.A. sei un “preposto” solo quando rag-giungi L 3.Per fare un paragone, per la normativa italiana si diventa “preposti” dopo 8 ore di teoria, 24 di corso pratico + 5 ore di corso preposto…. e un esame a cro-cette.Per maggiori informazioni su I.R.A.T.A. consiglio di navigare sul sito istituzionale irata.org.

Anche ottenere il solo L 1 non è semplicissimo.Per la mia formazione I.R.A.T.A. ho scelto MTA Con-sulting srl, il primo centro di formazione I.R.A.T.A.

nato in Italia circa 10 anni fa e attualmente il più lon-gevo e importante, soprattutto tra i centri di forma-zione INDIPENDENTI, non di proprietà di un produt-tore/distributore di DPI o di sistemi anticaduta.Dalla prima ora, firmato il registro, si è cominciato subito con il maneggiare le attrezzature, indossare l’imbracatura, annodare longe (e imparare i nodi), attaccare maniglie, croll, anticaduta e discensore.Tutto smontato, consegnato in mano e via montare tutto prima di iniziare. E la sera, rismontare tutto. Tutti i giorni.

La teoria? Dopo la pratica, quando si è troppo stan-chi per proseguire con le manovre in fune.I primi 4 giorni così ma io, alla fine della prima sera, non ero riuscito nemmeno a compiere la prima ma-novra base che già avevo risentimenti muscolari ovunque, vesciche dove batte l’imbracatura e mani gonfie.Ho pensato seriamente di abbandonare, se non fosse stato per Massimo Rognoni, fondatore di MTA Con-sulting, e del suo manager Santino Fratti. Due trainer di altissimo livello.Un grande aiuto me lo hanno dato anche i loro trai-ner, Yannick e Luca Lorenzo, detto Luca Tenerife.La sera a cena, parlando con Luca, ascoltando il suo italiano perfetto ma con lieve accento spagnolo, ho capito che dietro ci potevano essere mille storie di lavoro altamente specializzato che si potevano rac-contare.Ecco perchè questa intervista.

Chi è Luca Lorenzo SalaLuca è nato a Milano il 30 settembre del 1967 e all’età di 7 anni la sua famiglia si è trasferita a Tenerife, la più grande delle isole Canarie.

“Avevo 7 anni. I miei genitori erano andati in vacanza a Tenerife l’anno precedente e gli era piaciuta moltis-simo. Cosí decisero di vendere tutto e traslocare. A 7 anni, non è che avessi l´etá per poter decidere qualcosa!!”.

D: Che studi hai fatto?R: Ho studiato Biologia alla Universidad de La Laguna a Tenerife. Dovevo far combaciare gli studi con il lavoro ma alla fine ha vinto il lavoro e ho smesso di studiare: non ho finito. In questi ultimi tempi sto pensando di iscrivermi alla UNED (Universitá a distanza) proprio per finire, visto che non mi manca nemmeno tanto! Meglio tardi che mai.

D: Quando e come hai cominciato ad interessarti al Rope Access? Mentre studiavo Biologia.Il mio campo di studi era la bioecologia.Studiavo le successioni faunistiche primarie su cola-te laviche. Tradotto in parole semplici, si trattava di capire come inizia la vita e la sequenza di colonizzazione su un ter-reno che è stato interamente coperto da una colata di lava incandescente e praticamente “sterilizzato”. Le Isole Canarie sono un laboratorio biologico inte-

ressantissimo perché sono isolate dai continenti e i processi di colonizzazione “sono più facilmente indi-viduabili”. In questo campo, molti progetti ci hanno poi spinto a entrare e a esplorare le cavitá vulcaniche. Cosí, non solo facevamo biologia ma anche speleo-logia che per me e un po’ l´origine dei miei lavori su fune.In più, mi piaceva moltissimo andare in montagna ed arrampicare su roccia. Cosí che passavo sempre più tempo “attaccato su” che seduto al tavolo. Arrivato il momento, ho preso una decisione e ades-so sono qua.

D: Quale è stato il primo lavoro in quota e/o con le funi? R: Dopo la cartografía di un paio di grotte e camini vulcanici per il Museo di Scienze Naturali di Tenerife, sono andato ad appendere un paio di cartelli pubbli-citari. Poi ho eseguito il montaggio delle Scenario del Carnevale di Santa Cruz de Tenerife. Correva l´anno 1992/ 1993.

Lorenzo e il suo team su una delle torri della Funivia di TenerifeLuca Lorenzo Sala

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Questa cosa è stata vista come un lavoro “rivoluzio-nario”: non avevano mai visto degli arrampicatori / lavoratori in altezza. É andata cosí bene che ci hanno fatto lavorare allo Scenario di Carnevale per una decina di anni, finché non hanno deciso di spostarlo da Piazza Spagna al Recinto Ferial (centro fiere e congressi - N.d.A.).

D: Quali certificazioni hai ottenuto? R: La prima “ufficiale” per lavori su fune è stata quel-la nazionale spagnola “A.N.E.T.V.A.” (Asociación Na-cional de Empresas de Trabajo Vertical). Qualche anno prima ero diventato tecnico sportivo e istruttore di arrampicata su roccia della Scuola Cana-ria di Montagna. All´epoca non c´era una certificazione per questo tipo di lavoro. In effetti ancora oggi, in Spagna, la qualifica profes-sionale come lavoratore su fune in realtá non esiste.

D: Che differenza c’è tra una certificazione I.R.A.T.A. e una certificazione Nazionale come quella Spagno-la? R: Tutte e due sono standard di lavoro. Per quanto mi riguarda, al giorno d’oggi, un pó per la qualitá e un pó per l’esperienza, sono più incline a preferire I.R.A.T.A. Mi spiego meglio: I.R.A.T.A. è più “vecchia” e A.N.E.T.V.A. sta commettendo adesso gli errori che I.R.A.T.A. ha fatto 15 anni fa.Poi I.R.A.T.A. personalmente mi sembra piú chiara. Forse é perché é nata in Scozia e al tempo mi sa che erano piú puntigliosi di noi latini con l’organizzazione e la sicurezza sul lavoro. I.R.A.T.A. è più conosciuta e a livello internazionale ti apre molte possibilità di lavoro: devi essere disposto a viaggiare e a spostarti se vuoi realmente approfit-tare della certificazione internazionale. In più si impara moltissimo da molta gente interes-sante che alla fine si conosce in giro per il mondo.

D: Come sei organizzato adesso lavorativamente? Sei un freelancer o hai una società? R: Sono freelancer.

D: Quali sono le tue principali attività? R: Rope access manager alla Funivia del Teide a Te-nerife.Supervisione di lavori su fune, lavori su fune, Project Manager in cold / warm stacking procedures & rig decommissioning, Rope Access & Mountain Safety supervisor durante la ripresa di certi film d´azione, Formazione / training.

D: E in quali settori? R: Oil&Gas, Aerogeneratori, Funivia. Industria principalmente, e settore arti sceniche e spettacoli: Cinema, TV, Teatro, Danza & Circo.Quest’ultimo settore è quello che mi piace di pìú.

D: Quali tipi di mansioni svolgi per le società di Oil&Gas? R: In questi ultimi anni da Project Manager / Rope Access Manager o Supervisione dei cantieri, tanto Onshore come Off Shore.

D: Cosa consiste il tuo lavoro in nave o sulle piatta-forme off-shore? R: Organizzare, gestire e/o formare parte della squa-dra per portare a compimento i lavori incaricati: dal cambio del Jetting Pipe al GSF Constellation II, sostituzione del Flare Boom alla West Jupiter, rimo-zione dello Sheave Compensation System alla West Capella, direzione della squadra Rope Access per la “reactivation procedure” alla Cajun Express…. Molti lavori di vario tipo ed interessanti.D: Quali sono i rischi maggiori a cui potresti anda-

West Eminence: revisione delle connessioni idrauliche.

re in contro oltre a quelle direttamente collegate al lavoro in fune (per esempio mancanza di sonno, freddo, umidità e/o viscosità, presenza di sostanze esplosive). R: Tutte quelle che hai elencato e in più il caldo terri-bile, il vento che a volte ti fa diventare matto e stanca moltissimo.E quando la piattaforma è di origine inglese / scozze-se, il cibo!! Jajaj. A volte c’è troppa fretta a bordo. Dipendendo soprattutto dal OIM o la persona a ca-rico delle operazioni: se é organizzata e/o capisce il nostro modo di lavorare, allora tutto andrá liscio. Se no, con la confusione che regna si rischia di ag-giungere il fattore stress a tutti i rischi che ci sono su un’installazione industriale che in più galleggia e ondeggia.D: Vuoi raccontarmi qualche aneddoto di situazioni che hai dovuto risolvere? R: A bordo della Saipem 3000 c´era un capitano che non aveva mai visto lavoratori su fune e stava proprio male solo al vederci attaccati lassù. Il suo ufficio era sotto l´helideck e noi stavamo cam-

biando tutto il sistema antincendio in arrampicata artificiale, cosí che eravamo davanti ai suoi occhi tutto il giorno, avanti e indietro arrampicando sotto l´helideck. Lui mi diceva che chiudeva le tende per non vederci, che non riusciva a concentrarsi. A volte si doveva “litigare un po’” per il permesso di lavoro. Del tipo: “oggi fa un pó freddo, meglio se non lavorate…” o al contrario “per domani si preve-de caldo, meglio se state tranquilli, non vi venga un colpo…” Bisogna considerare che in realtá il capitano era mol-to preoccupato per la nostra sicurezza e non riusciva a capirci, lassù a “sfidare la gravitá”. Con molta pazienza e dopo molti caffè insieme, alla fine, non solo abbiamo fatto i lavori in carico ma an-che molti altri che sono saltati fuori, vista la capacitá della squadra per risolvere problemi e quella del ca-pitano di vedere oltre i suoi dubbi e preoccupazioni. Alla fine mi ha anche fatto partecipare ad una riunio-ne per un lavoro complesso di rigging da fare sulla FPSO Firenze. Voleva sentire il nostro parere. L´abbiamo discusso insieme con la squadra, abbiamo proposto una so-luzione e cosí abbiamo prolungato la nostra perma-nenza a bordo e viaggiato fino ad incontrare la FPSO. Qui siamo riusciti a compiere il lavoro velocemente, senza tante impalcature e proprio usando i lavori su fune. È stato un viaggio lungo (40 giorni) peró alla fine mol-to bello in tutti i sensi.

D: Incidenti o near miss di cui puoi parlare? R: Per fortuna (a volte è stata proprio fortuna) “nien-te di grave” in tutti questi anni. Sarebbe bello parlare di quanto si é professionali e di come tutto sia perfetto.Peró in 24 anni e in più di 18.000 ore su fune certi-ficate (contando solo quelle I.R.A.T.A.), ne ho com-messi di errori, da scriverci un capitolo intero, anzi un libro!. E riconosco, appunto, che la fortuna (se vogliamo chiamarla cosí) mi ha aiutato. Molte volte questi incidenti sono un’accumulazione di tante cose piccole e insignificanti: mancanza di comunicazione, fretta, fraintendimenti, stanchezza, mancanza di concentrazione.Anche dire di sì quando in realtá dovresti dire di no ma non vuoi lasciare in una brutta l’azienda con cui hai il contratto.

Potrei raccontarne molti, ma questo che vi sto per raccontare in particolare mi sembra molto esempla-

Alcune fasi di lavoro in fune su piattaforma off-shore

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Installazione di sensori meteorologici su Meteo Mast vicino a Wick

re per molti aspetti... e anche quello forse più perico-loso di tutti quelli vissuti:

Un near-miss quasi mortale...Sette/otto anni fa ero sul Drillship Ocean Rig Olym-pia. Mi avevano mandato lì come Project Manager a so-stituire un altro compagno che era alle prime espe-rienze come Project Manager e, in più, a gestire un gruppo di 35/40 operai su fune, tutti I.R.A.T.A. Si trattava di una “warm stacking procedure” per un possibile contratto di perforazione futuro. Si lavorava come matti, con molta fretta e pressione per rimettere in sesto il Drillship.Come se non bastasse, con grosse penali in caso di ritardi sulla data di consegna. C’era molta confusione a bordo, molta disorganiz-zazione dovuta più al cantiere navale e alle direttive impartite dalla compagnia petrolifera che all’azienda I.R.A.T.A. che mi aveva assunto.

In Spagna diciamo “orden + contraorden = desorden”. Quando sono arrivato c’erano molti lavori aperti e non conclusi, con squadre scombussolate dai molti cambiamenti, fisicamente stanche e stressate, che andavano avanti ed indietro da un posto all’altro. L’ingegnere in carica voleva dimostrare che si stava lavorando dappertutto ma questo sistema è proprio quello che funziona peggio coi lavoratori su fune.

La maggior parte tempo si passa a pianificare l’acces-so, l’uscita, un eventuale soccorso e come posizio-narsi sul posto.Quindi, se ti fanno spostare le corde da un punto all’altro della nave, tra permessi, preparazione ed al-tro, il tempo effettivo di lavoro diventa un quarto del reale.È uno dei problemi normali che troviamo sempre quando in carica ci sono persone che non capiscono realmente i problemi della nostra professione.In piú, normalmente questi posizionamenti sono ab-bastanza fisici, cosí che alla fine della giornata sei re-almente stanco. Poi i turni di lavoro sono di 12 ore al giorno, tutti i giorni, dalle tre alle sei settimane continuative, in base al progetto.

Con questo scenario, sono entrato a lavorare ed ho assunto il comando delle operazioni.Il Drill Floor era “la zona zero”, con molti lavori in si-multanea e moltissime corde impegnate contempo-raneamente (in tutto il progetto abbiamo usato più di 10 km di corde).

E poi avevo gente sparsa per tutta la nave. Fare un controllo di tutti i lavori mi faceva perdere moltissimo tempo andando in giro a cercare le per-sone e a controllare che tutto andasse bene.Per vedere di riuscire a gestire ed organizzare al me-glio il cantiere, per portare a termine i lavori richiesti, ma anche per diminuire la pressione sui ragazzi, de-cisi di riorganizzare parte dei lavori.Ad esempio, portare a termine determinate zone rin-forzando le squadre su certi lavori, lasciando quelli meno importanti per altri momenti. Nel fare questo, ho deciso di lasciare installate alcu-ne funi che erano già sul posto quando sono arriva-to, per sfruttarle in un futuro.In particolare, c’erano da isolare alcune scatole elet-triche e di comando dei PRS (Pipe Racking System) a 35 metri al di sopra del Drill Floor. Per poterci arrivare, c’era da salire quasi 60 metri fino al Monkey Board: alcuni tratti con un ascensore e altri tramite scale; per arrivare poi alla balconata, prendere le corde e scendere fino alle scatole. Siccome era un lavoro “minore” e non troppo pesan-te, l’ho lasciato indietro.Inoltre le corde erano già piazzate, cosí che mi sono detto: “quando due ragazzi si liberano, in un pome-riggio li mando su e si finisce anche questo…”

Dopo 5 o 6 giorni, tutto sembrava cominciare a fun-zionare abbastanza bene e la situazione pareva sotto controllo.Tutti erano ai loro posti.Ero appena uscito dal Production Meeting del pome-riggio e tutti i permessi e le corde per i lavori dell’in-domani erano pronti.Mancavano ancora quasi tre ore per finire il turno.

ENSCO 6000. Lavori tra il Drill Floor e la Moonpool

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Decisi di salire e fare io stesso il lavoro delle scatole dei PRS, anche per scaricare un po’ la testa dedican-domi ad un lavoretto fisico.In piú, sarebbe stata un altro lavoro finito: tutto di guadagnato, insomma.Preso l’ascensore e salito al Monkey Board, sulla pas-serella a quota 50 metri, proprio davanti a dove si poteva accedere alle corde, c’era un gruppo di lavo-ratori che stava facendo un lavoro pesante.

Per non disturbarli, decisi di salire 15 metri più in alto, per una scaletta di accesso fino a dove erano ancorate le corde; e di lì cominciare la discesa. Ricordo che pensai anche: “cosí gli do anche un’oc-chiata e vedo come sono ancorate”.E lì è saltata la “sorpresa”: due L1 (tecnici di primo livello - N.d.A.), senza aver capito bene le istruzioni ricevute una settimana prima, avevano deciso per conto loro di smontare le corde. Una volta arrivati su, siccome l’accesso fino alle cor-de era abbastanza complicato, avevano impiegato così tanto tempo che era anche praticamente finito il

loro turno di lavoro. Cosí che sono riusciti a staccarle dagli ancoraggi e le hanno messe tutte e quattro appese a un secondario di una lampada fluorescente.In questo modo sarebbe stato più facile per loro co-minciare a rifare le corde da una posizione un pó più comoda.

Per capirci, in questo caso un secondario era un ca-vetto di acciaio di 2 mm che legava la lampada fluo-rescente alla struttura per evitare che il vento la strappasse e la facesse cadere. Avrá si e no una tenuta di 10 kg. Siccome gli L 1 non facevano in tempo a tirarle su e rifarle, dato che il loro turno stava per finire, le han-no lasciate lì appese al cavetto. Poi si sono completamente dimenticati di comunica-re quello che avevano fatto e, con il passare dei gior-ni, non ci hanno neanche più pensato.

Dal basso gli ancoraggi erano impossibili da vedere e l’accesso alle corde avveniva 15 metri più in basso, a 50 metri d’altezza sopra Drill Floor.

Lavorare nel Mare del Nord - 1

Da sotto, le corde sembravano in perfetto stato, posi-zionate e pronte per fare il lavoro, tali e quali a come le avevo viste il primo giorno che sono arrivato.Non passa giorno senza che non pensi a quello che sarebbe potuto succedere. Se avessi mandato i due ragazzi a fare il lavoro ades-so sarebbero morti. Se non ci fossero stati i lavori pesanti, con la passerel-la occupata proprio davanti alle corde, il morto sarei stato io.Mi sono fidato di un altro compagno, non ho control-lato le corde e gli ancoraggi e non ho fatto in modo che altri controllassero prima di attaccarsi.D’accordo che era un progetto molto complicato, con molta gente implicata e che mi sono ritrovato in mez-zo al “fuoco” da un giorno all’altro. Vero anche che le corde erano già sul posto e la mat-tina che sono arrivato c’era giá gente appesa. Ma alla fine il responsabile sul lavoro ero io.

Nel nostro lavoro le precauzioni non sono mai abba-stanza. E la fretta è una brutta compagna. A volte sono anche i molti anni di esperienza che ci

portano a credere che “non può succederci più nien-te” e ad ignorare i piccoli dettagli. Non dobbiamo mai dimenticare che il nostro lavoro è potenzialmente molto pericoloso e non va sotto-valutato solo perché ci piace stare in quota e stiamo comodi la in alto, appesi.

Tornando al fatto, appena mi sono reso conto di cosa mi era appena successo o potuto succedere, sulle prime sono rimasto di ghiaccio, poi mi sono arrab-biato moltissimo, anche con me stesso.L’esperienza mi è servita ed è stata anche una grande doccia fredda di umiltá. Ricordo di aver scattato delle foto e di aver fermato immediatamente tutti i lavori.Ho indetto una riunione con la mia squadra, l’inge-gnere in carica e il H&S della Ocean Rig per analiz-zare il caso e incrementare i controlli e la sicurezza. Fu cosí che riuscimmo a sapere cosa era successo e chi aveva toccato le corde. Non ti dico la discussione che ho avuto per aver fer-mato tutti i lavori su fune di quel pomeriggio.

Lavorare nel Mare del Nord - 2

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Se si vuole finire un lavoro nella metá di tempo ci sará bisogno del doppio di persone e una organizza-zione più efficiente e sicura. Gridare, urlare, fare paura, spingere e mettere fretta conduce solo a commettere errori sempre più gravi.

Da allora discuto la tempistica dei lavori prima con la squadra, poi con l’ingegnere in carica; non al con-trario.

Ironicamente, mi hanno dato un premio per la sicu-rezza sul lavoro.Voglio pensare che è stato per come ho condotto la situazione e per come ho analizzato l’incidente, con tutta la gente implicata, per evitare che una cosa cosí possa succedere di nuovo.Da allora, tutte le volte che lavoro come trainer in un corso I.R.A.T.A., alla gente che vuole passare da L 2 a L 3 gli ricordo che per me, la differenza principale tra un L2 e un L3, è che gli sbagli di un L3 (per qualsiasi motivo) li paga TUTTA la squadra direttamente. É un lavoro di altissimo responsabilitá. Mi sorprende molto, soprattutto guardando i profi-

li su Linkedin di alcune persone, vedere che da un giorno all’altro, appena hanno il “pass” da L2 a L3, mettono subito L3 “supervisor” come titolo.Questo quando in realtá, forse, non hanno neanche 3000 ore totali di esperienza su fune.

Lavorare come tecnico di Rope Access per il cinema e lo spettacolo.

D: In merito al lavoro per il cinema, da quanto ci lavori? R: Da dodici anni circa.

D: In quali produzioni e spettacoli hai lavorato? R: Per il cinema, ho lavorato in “Clash of Titans”, “Wrath of Titans”, “Fast & Furious 6”, “Jason Bourne”, “Solo, a Star Wars Story”, “Wonder Woman 1984”, “Allied”, “In The Hearth of The Sea”, “The Witcher” (una produzione Netflix). L’ultimo lavoro é stato nella produzione di “The Eter-nal” (4° episodio della serie Avengers) di MARVEL.Poi anche in “Men vs Wild” con Bear Grylls.Poi ho lavorato in “Allegria”, “Quidam” e “Saltimban-Simulazione di un volo/atterraggio in alcune scene di un film.

co”, produzioni del Cirque du Soleil.

D: In cosa consiste il tuo lavoro con gli attori e gli stunt-men? R: Basicamente collaboro con loro nell’assicurare i protagonisti e i propri stunts nelle scene d’azione.Lavoro anche nel montaggio dei “tiri” per salti, voli acrobatici, esplosioni, ecc. Si lavora con materiali un pó differenti da quelli abi-tuali del lavoro su fune ma non posso raccontare molto altro di questo lavoro perché devo mantenere il segreto professionale.Altre volte mi occupo di garantire la sicurezza delle squadre di ripresa: dal cameraman, aiuto camera-man, tecnici luci, direttori fino ad altri tecnici, quan-do questi devono lavorare in quota.

D: Qualche aneddoto significante e/o divertente? R: Abbiamo dovuto legare Henry Cavill (il protagoni-sta della serie Netflix “The Witcher” - N.d.A.) per un paio di scene “esposte e in quota”. Ero li ad assicurarlo quando ad un certo punto l’ho guardato e gli ho detto: “ma tu non sapevi volare?”.

Mi ha guardato tutto serio e poi ha cominciato a ri-dere (meno male!!).Lavorare per la funivia di Tenerife.

D: Cos’è la funivia di Tenerife e che dimensioni ha? R: TELEFÉRICO DEL TEIDE S.A. é la funivia che unisce la base del Teide, un vulcano che è anche la monta-gna piú alta di Spagna, con la sua cima. Parte da 2200 metri e arriva fino ai 3555 metri. È una funivía progettata in collaborazione tra l’Uffi-cio Tecnico di Tenerife e dalla Doppelmayr società austriaca.Ha 4 torri intermedie e 2 linee collegate con un siste-ma che qui si chiama “Teleférico de Vaivén: funivia va e viene“: due cabine alternate, ognuna con una capacitá massima di 3500 kg / 40 persone.

D: Quanti turisti trasporta annualmente? R: Moltissimi. Il Parco Nazionale “Las Cañadas del Teide” è il più visitato di Spagna e uno dei più frequentati di tutta l´Europa, con oltre cinque milioni e mezzo di visita-tori ogni anno.

Lorenzo sul cavo della Funivia di Tenerife: preparazione per magnetografia del cavo e revisione del sistema dei freni.

La vista da una “postazione speciale” di un cabina della Funivia di Tenerife

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No si ferma mai tranne che per condizioni meteo pe-ricolose tipo vento forte o ghiaccio.Funziona normalmente dalle 09:00 alle 17:00 op-pure, su prenotazione, dalle 18.00 alle 22.00 per le escursioni “Vulcano Experience”, per vedere il tra-monto o per un’esperienza guidata di osservazione astronomica.

Il viaggio di andata dura approssimativamente 7 mi-nuti, dai 5 ai 6 viaggi ogni ora: circa 2500 persone al giorno.

D: Di cosa ti occupi per la Funivia di Tenerife? R: Di tutto quello di cui hanno bisogno in quota. L’ufficio tecnico, diretto dall’Ing. Luis Pintor, mi ha in-caricato di supervisionare, dirigere e collaborare con tutte le operazioni in quota che si svolgono durante l’anno, ordinarie e straordinarie.

Sono praticamente una sorta di “Rope Access & Work at Height Manager”. Da 4 anni, piú o meno, stiamo portando avanti un progetto sperimentale con l’elaborazione di una se-rie di procedure di lavoro specifiche, adatte alla fu-nivia. Procedure che dovranno essere obbligatorie per tut-ti i lavoratori dell’impianto, sia interni che di ditte esterne.Mi occupo anche della formazione di tutti gli opera-

tori; della revisione di tutti i DPI fino all’allestimento di DPI specifici per i lavori che si andranno a fare fan-no sull’impianto.Eseguo anche l’installazione, la manutenzione e la revisione periodica delle linee vita.Curo l’aggiornamento delle procedure di evacuazio-ne e di emergenza, la modernizzazione dei sistemi di evacuazione delle cabine, l’organizzazione di adde-stramenti periodici di evacuazione.

Lavoro anche alle manutenzioni varie sulle torri, an-che in collaborazione con gli austriaci, quando ven-gono a fare la revisione dei cavi e dei sistemi di fre-nata…Ci sono sempre cose da fare: la funivia è un impianto “vivo”. Sono molto contento della relazione esistente e della fiducia che la direzione tecnica ha nel mio lavoro e nel mio modo di lavorare.

D: Fino a che altezze da terra lavori e che tipi di in-tervento sei chiamato ad effettuare?R: Fino a 75 m di altezza. Come ho detto prima, tutti i tipi di intervento.D: Quali sono le principali criticità del lavoro per la Funivia? R: Prima di tutto la sicurezza. Tenerife vive di turismo e la ripercussione di questa installazione a livello mondiale e enorme. È importantissimo che tutto vada sempre bene e si

continui a revisionare e a mantenere l’installazione in condizioni ottime. In piú, si tenta di fare tutti i lavori possibili senza fer-mare la funivia.

Anni fa abbiamo perfino cambiato le torri senza fer-marla. É stato un progetto ingegneristico molto bello, inte-ressante e anche premiato!! In piú, ogni funivia si disegna a misura per ogni po-sto, cosí che non ce ne sono due uguali: quel che puó servire a te, probabilmente non serve a noi qua.

E poi le condizioni ambientali, anche quelle molto variabili. Nell’ultimo congresso, i dati indicavano che siamo una delle funivie più battute dal vento nel mondo, con delle variazioni di temperatura che possono an-dare dai piú 40 ai meno 20. Puoi immaginare come soffrono i materiali.Qualche anno fa, il vento ha superato 300 km/h e spesso passa i 200.Altri problemi: dalle vibrazioni ai venti che smontano le antenne o le linee vita (e che abbiamo dovuto pra-

ticamente riprogettare in collaborazione con gli inge-gneri del fabbricante) fino alle condizioni di sicurezza sulle torri. E pensare che quando ho cominciato con il Rope Ac-cess, il mio sogno era andare al Mare del Nord!!

D: Come risolvi o come le stai risolvendo le varie situazioni? R: Sempre con molta pazienza, con moltissime ri-chieste di informazioni ad esperti di tutti i campi.Anche con molto lavoro in squadra, ascoltando i pa-reri di tutte le persone coinvolte e cercando sempre di prendere la decisione giusta. Per certi lavori ci sono pianificazioni lunghissime (da settimane fino a mesi) anche solo per un intervento di 6 o 7 giorni.

Peró da 5 anni, alla Funivia possiamo vantare ZERO incidenti sul lavoro.

D: Cos’altro potresti fare per un impianto funiviario, rispetto a quello che già fai? R: La prossima settimana ti rispondo! Ogni giorno, la natura e le condizioni che ci sono las-sù, ci mettono a dura prova con nuovi problemi!

Massimo Rognoni (al centro in maglia arancio), titolare della MTA COnsulting, docente e tecnico I.R.A.T.A. L 3 i (instructor), il primo in Italia. Tutti insieme alla fine dell’esame con i trainers e l’esaminatore. Da destra, accanto a me, Yannick e Luca Tenerife

Lavoro sui cavi della Funivia de Tede

Per altre informazioni, non esitare a contattarci:

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C’è sempre da imparare e molto da immaginare. È un posto che non smette di sorprendere.

D: Cosa puoi fare di più, rispetto ad altri, grazie alla tua esperienza per la funivia di Tenerife? L´hai proprio detto: ormai l’esperienza accumulata quassù è tanta. Possiamo adattarci bene e credo che ormai posse-diamo una visione abbastanza ampia per risolvere tutti i possibili problemi di molte installazioni simili, anche in Italia o in Europa… o nel mondo. Alla fine, io e i miei colleghi stiamo collaborando a far diventare “Teleférico del Teide” una referenza mon-diale in quanto a sicurezza ed efficienza sul lavoro in installazioni industriali remote. In piú, come già spiegato, grazie all’esperienza matu-rata nell’Oil&Gas, nell’eolico e nel rigging in genera-le, ormai l’esperienza è tanta.E può essere riversata anche nel settore funivie.

Lavorare insieme, condividere e crescere.

Luca Lorenzo Sala, Luca Tenerife, è il tipo di speciali-sta che puoi conoscere solo lavorando con specialisti come MTA Consulting e gli altri del Network IN-SA-FETY®.

IL MONDO DELLA SICUREZZA IN UN MARCHIO

La rete IN-SAFETY si avvale della collaborazione di diversi partner tecnici provenienti da ogni parte del mondo.

Questo perché altri paesi si sono trovati ad affrontare certe problematiche ben prima che il problema diventasse emergenza in Italia.

Non scordiamoci però che anche l’Italia detiene dei primati importanti.

Per questo, i nostri partner per le linee vita permanenti e per i sistemi di protezione collettiva quali parapetti e scale di accesso sono tutti italiani.

Sugli spazi confinati ci affidiamo all’esperienza dei canadesi, tra i primi, per la natura della loro industria, a identificare le metodologie di intervento in particolari condizioni di lavoro e a realizzare attrezzature efficaci ed avanzate.

Dall’Olanda e dai Paesi Bassi abbiamo imparato cos’è l’anticaduta all’interno di grandi strutture industriali o nelle aree esterne di grandi siti produttivi e logistici.

Dalla Germania importiamo avanzati sistemi tecnologici per l’accesso ad alte strutture.

La Spagna è un paese avanzato per tutto ciò che riguarda le manutenzioni di facciate e il lavoro in sospensione.

Se parliamo di Dispositivi di Protezione Individuale di III^ categoria, imbracature e corde, in Italia lavoriamo con le eccellenze che hanno reso grandi le imprese di scalatori e alpinisti italiani ma anche la Francia non è da meno.

Altri sistemi avanzati e unici li importiamo grazie a partner inglesi e svizzeri.

Dagli Stati Uniti? Rimanete in contatto con IN-SAFETY, iscrivetevi alla nostra newsletter e ne vedrete a stelle e strisce.

I PARTNER

Io e Luca Tenerife durante il corso I.R.A.T.A. L 1 presso la MTA Consultig srl

Sul derrick della Cajun Exprés.

Sede di coordinamento nazionale network: Via Arno, 108 - 50019 Osmannoro, Sesto Fiorentino (FI)

www.in-safety.it

[email protected]

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LAVORARE IN UNA RETE DI IMPRESE

Invece di creare un’unica grande azienda di lavoro, IN-SAFETY ha voluto costituire una rete di competenze professionali diverse, sia per esperienza e metodologia, sia per posizionamento

geografico.

Grazie a questo interconnessione tra le aziende del NETWORK e alla capillarità di presenza sul territorio nazionale, IN-SAFETY può contare su una vasta esperienza collettiva ed

intervenire in ogni città, in ogni situazione, in tempi brevi e senza spreco di tempo o costi di trasferta pesanti.


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