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Tecnica delle costruzioni meccaniche - Ciao Cross Club€¦ · Tecnica delle costruzioni meccaniche...

Date post: 18-Oct-2020
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Tecnica delle costruzioni meccaniche Alberto Ambrogi sintesi della lezione del 26-02-2007 Cominciamo a studiare la deformazione da questo caso particolare di un alettone da f1 in cui , quando la vettura è a forte velocità, il carico più rilevante risulta essere la forza aerodinamica alettone schema statico È un problema iperstatico che non può essere risolto con i soli metodi della statica visti fino ad ora quindi è necessario introdurre la deformazione. Possiamo ragionevolmente supporre che il carico aerodinamico sia un carico di linea uniformemente distribuito e che il peso sia trascurabile rispetto al carico aerodinamico. Supponendo che sia nota la funzione spostamentou(x )=|u1,u2,u3| dove x è l’insieme dei punti del corpo non deformato o meglio nella sua configurazione di riferimento,possiamo calcolarci le frecce dei vari punti che sono ||U(x )|| per ogni x .Se le frecce sono piccole rispetto al diametro della”trave”allora siamo nel campo dei corpi poco deformabili. x U(x ) P p La funzione U(x): Dal punto di vista fisico : se prendiamo un cubetto di materiale di dimensioni finite questo alla fine dello spostamento avrà subito: - una traslazione - una rotazione - una deformazione la questione più rilevante è che “al materiale non interessa” quale spostamento rigido rototraslazionale abbia compiuto il cubetto. Quindi potremmo scindere i due aspetti:spostamento rigido e deformazione che si trovano entrambi mescolati nella funzione U. Dal punto di vista matematico : la “funzione spostamento” deve rispettare certe ipotesi: - Continuità: non si ammette la separazione della materia,cioè non si ammette rottura. - Biunivocità: non si ammette che la materia sparisca. - Differenziabilità: non si ammettono punti angolosi. Da una linea\superficie regolare otterrò una linea\superficie regolare. Se rispetta queste ipotesi la trasformazione si definisce congruente. esempio 0<x1<a e x2=0 b x2, x1 U(x ) = b+(x1^2)/a
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  • Tecnica delle costruzioni meccaniche Alberto Ambrogi sintesi della lezione del 26-02-2007

    Cominciamo a studiare la deformazione da questo caso particolare di un alettone da f1 in cui , quando la vettura è a forte velocità, il carico più rilevante risulta essere la forza aerodinamica

    alettone schema statico

    È un problema iperstatico che non può essere risolto con i soli metodi della statica visti fino ad ora quindi è necessario introdurre la deformazione. Possiamo ragionevolmente supporre che

    il carico aerodinamico sia un carico di linea uniformemente distribuito e che il peso sia trascurabile rispetto al carico aerodinamico.

    Supponendo che sia nota la “funzione spostamento” u(x)=|u1,u2,u3| dove x è l’insieme dei punti del corpo non deformato o meglio nella sua configurazione di riferimento,possiamo calcolarci le frecce dei vari punti che sono ||U(x)|| per ogni x .Se le frecce sono

    piccole rispetto al diametro della”trave”allora siamo nel campo dei corpi poco deformabili.

    x

    U(x)

    P

    p

    La funzione U(x):

    Dal punto di vista fisico: se prendiamo un cubetto di materiale di dimensioni finite questo alla fine dello spostamento avrà subito: - una traslazione - una rotazione - una deformazione la questione più rilevante è che “al materiale non interessa” quale spostamento rigido rototraslazionale abbia compiuto il cubetto. Quindi potremmo scindere i due aspetti:spostamento rigido e deformazione che si trovano entrambi mescolati nella funzione U.

    Dal punto di vista matematico: la “funzione spostamento” deve rispettare certe ipotesi: - Continuità: non si ammette la separazione della materia,cioè non si ammette rottura. - Biunivocità: non si ammette che la materia sparisca. - Differenziabilità: non si ammettono punti angolosi. Da una linea\superficie regolare otterrò una linea\superficie regolare. Se rispetta queste ipotesi la trasformazione si definisce congruente. esempio

    0

  • x1, Contro esempi

    U(x) U(x) U(x)

    x x x

    non continua non biunivoca non differenziabile

    Le trasformazioni congruenti sono affini al limite.

    Ricordiamo che una trasformazione affine è un’applicazione F:v->W se esistono un’applicazione lineare f:v->W e una traslazione t:W->W tali che F = f o t ossia se Per ogni x appartenente a V F(x)= c + f(x) .

    Il significato fisico di questo teorema sta nel fatto che se prendo un pezzo di materia di dimensioni finite questo alla fini dello spostamento sarà ruotato, traslato e deformato nmaniera più strana, ma se prendo un cubetto infinitemateria questo alla fini dello spostamento in un particolare riferimento sarà solamente traslato ruotato e allungato o accorciato.

    ella simo di

    Quindi possiamo dire che “al limite” cioè nell’infinitamente piccolo U(x)= c + Ax.Ma per quanto detto sopra possiamo separare la deformazioni dallo spostamento rigido ossia trascurare il vettore c della funzione u(x) e scrivere che U(x)= Ax.

  • Simona Muscolino Sintesi della lezione del 27/02/07 (1h)

    STUDIO DEL COMPORTAMENTO DI UNA GENERICA TRASFORMAZIONE AFFINE

    In una trasformazione affine gli angoli rimangono angoli, gli spigoli spigoli, rette parallele rimangono parallele, un oggetto tridimensionale non diventa bidimensionale per le proprietà di congruenza. Invece variano lunghezze, volumi, angoli. A è la matrice che contiene informazioni sulla variazione di forma e rotazione b contiene informazioni sulla traslazione MATRICE DI TRASFORMAZIONE ξ

    Posso descrivere la variazione di forma depurata della rototraslazione con la matrice simmetrica di trasformazione ξ in cui alla diagonale ci sono i parametri di deformazione estensionale, al di fuori della diagonale quelli di deformazione angolare diviso due definiti nel modo seguente: è il rapporto tra l’ allungamento e la lunghezza iniziale.

    ε>-1 altrimenti avrei un segmento negativo ε=0 non ho deformazione lungo quella direzione

    -1

  • Tecnica delle costruzioni meccaniche Basilio Lenzo – Sintesi della lezione del 01‐03‐2007 (1h) 

     

    Si  supponga dato un qualsiasi  corpo  che  subisca una generica distorsione, e  si  supponga altresì noto  il vettore spostamento  ( 321 ,, xxxu ): si è visto che sotto particolari ipotesi (continuità, biunivocità, differenziabilità) peraltro non forti  la  trasformazione  è  congruente  (compatible)  e  dunque  affine  al  limite.  Si  è  inoltre  visto  che  sotto  ipotesi semplificative un po’ più forti si può ricavare una stima del campo di deformazione ε con precisione accurata: 

      Ciò vale se la funzione u è piccola rispetto alle dimensioni caratteristiche del problema (ad  esempio  in  un  problema  di  travi,  rispetto  al  diametro)  e  le  sue  derivate  sono piccole rispetto all’unità. Più tali valori sono piccoli, migliore è l’approssimazione.  2

    Tuu ∇+∇

    ≅ε     

    In questo corso sarà trattata la meccanica dei corpi poco deformabili, si avranno quindi problemi di piccoli spostamenti (u  piccolo) e piccole deformazioni ( u∇  piccolo), si userà 10‐6 come unità di misura per  le deformazioni (indicata con με ‐ microstrain), operando con valori massimi di centinaia o migliaia di με. Per queste ragioni si utilizzerà la suddetta formula con il segno di uguale. Spesso,  in pratica, è però  richiesto  il procedimento contrario, ovvero  il calcolo di  u  una volta noto  il campo di deformazione: bisognerà  invertire  la definizione ottenendo  integrali nei quali  le condizioni al contorno saranno definite da  come  il  corpo è vincolato. Dalle definizioni  si vede  che,  in generale, da  sei  funzioni  scalari bisogna risalire a tre: evidentemente ciò può non essere sempre possibile. In altri termini, se si impone una deformazione qualsiasi non è detto che essa dia  luogo ad una  trasformazione congruente: bisogna presumere che esistano dei legami  tra  le  grandezze  contenute  nella  matrice  ε  le  quali  devono  essere  soddisfatte  affinché  una  certa deformazione  sia  prodotta  da  un  campo  congruente  di  spostamento. Quelle  cercate  sono  le  sei  equazioni  di Beltrami‐Mitchell (equazioni di congruenza – compatibility equations):  

    Altre due equazioni sono  ricavabili per  rotazione degli  indici;  le altre  tre equazioni sono  riportate  nella  maggior  parte  dei  testi.  Di  notevole  importanza  sono  le considerazioni che si possono trarre. 

    21

    222

    22

    112

    21

    1222

    xxxx ∂∂

    +∂∂

    =∂∂

    ∂ εεε     Una deformazione costante  in un dominio è sicuramente generata da una trasformazione congruente; presa una 

    ijε  considerata come funzione lineare delle coordinate cartesiane, ad esempio  32111 dxcxbxa +++=ε  con  ,b , c ,  

    costanti, e andando a scrivere le equazioni di congruenza si ottiene 0=0, dunque si evince che un gradiente lineare di deformazione è congruente; si noti inoltre che una deformazione lineare è generata da un campo parabolico. 

    a d

     Si voglia ora valutare la variazione di lunghezza di una generica curva Γ la quale una volta subita la deformazione diventi la curva Γ’ , che per le ipotesi fatte sarà regolare di classe C1. Anche se fosse dato  u  il calcolo richiesto non sarebbe  semplice,  dovendo  effettuare  un  integrale  su  Γ’.  Si  può  usare  il  seguente metodo:  fissata  un’ascissa curvilinea  s  e preso un segmento infinitesimo ds, esso potrà allungarsi o accorciarsi trasformandosi in ds’. Essendo ds rettilineo e la trasformazione congruente, sarà rettilineo anche ds’.  

        dsds nn )1(' ε+=     ma         allora      nnT

    nn ˆˆ εε = ∫ ∫Γ

    +==Γ)(

    0

    )1(')'(L

    nn dsdsL ε

    Si estenderà quanto ora visto alle variazioni di area: anche qui bisognerebbe parametrizzare la superficie finale e per evitare  ciò,  come prima,  si  considera un elemento  infinitesimo di area  iniziale    che  si  trasforma  in  , andando quindi a integrare sulla superficie iniziale, tenuto conto che 

    dA 'dAdAdA A )1(' ε+= . 

    Resta da calcolare Aε , ciò può essere effettuato in due modi: 1) Preso un  cubetto poggiato  su un  elemento  infinitesimo di area  , definita  con    la normale uscente dalla superficie (verso il cubetto), si può scrivere            da cui      

    dA n̂AhV = hAV lnlnln +=           che differenziata fornisce 

     

              hdh

    AdA

    VdV

    +=       e per piccole variazioni relative     hh

    AA

    VV Δ

    =Δ    

     

    Ma   è hh /Δ nnε  e   è la traccia della matrice di deformazione, dunque VV /Δ nnVA εεε −= .  

    2) Presa una terna locale, con   versore normale uscente dalla superficie e i versori   e   sulla superficie (piano tangente) basterà calcolare 

    n̂ p̂ q̂

    pε  ( ) ed ppT

    p ˆˆ εε = qε  ( ) e si avrà, in analogia al caso precedente, qqT

    q ˆˆ εε = qpA εεε += . 

    Ovviamente il risultato ottenuto non dipende dalla scelta di   e  , è sufficiente che essi siano ortogonali. p̂ q̂

  • TECNICA DELLE COSTRUZIONI MECCANICHE Alessandro Marazzato Sintesi della lezione del 05/03/2007 (2h)

    RELAZIONI TRA STATO DI DEFORMAZIONE Є E STATO DI SOLLECITAZIONE S. Per capire quale legame esiste tra lo stato di Deformazione Є e lo stato di Sollecitazione S, cioè come un oggetto si deforma data una certa sollecitazione, è indispensabile conoscere la natura e le proprietà meccaniche del materiale sollecitato e quindi il suo comportamento costitutivo. Sappiamo che il legame che sussiste tra S ed Є è di tipo energetico. Sono energeticamente connessi ad esempio la forza (F) e lo spostamento (δu). δL = ΣF · δu Supponiamo di avere una struttura isostatica (Fig. 1, struttura nera), costituita da un materiale qualunque. Per semplicità consideriamo un punto A su cui viene applicata una forza F: la struttura sotto l’azione della forza, deve leggermente modificarsi non essendo infinitamente rigida. Per trovare il lavoro effettuato dalla forza F in questa condizione dovremmo conoscere la traiettoria del punto A che non necessariamente è nella stessa direzione della forza e calcolare il valore di F istante per istante. L’oggetto è in equilibrio statico (viene caricato poco alla volta) e perciò possiamo prendere in considerazione questa relazione: L = ΔK con ΔK variazione dell’energia cinetica. Se consideriamo il corpo deformabile non possiamo escludere l’eventualità che le Forze interne eseguano lavoro. Sapendo che il ΔK è nullo perché l’oggetto è in equilibrio statico possiamo affermare che il lavoro delle forze interne è uguale in modulo ed opposto al lavoro delle forze esterne: Lext + Lint = 0. Il bilancio vale sia per le Forze interne conservative sia per quelle non conservative.

    AF

    FA

    Fig. 1 (struttura nera prima dell’applicazione della forza, struttura rossa dopo applicazione della forza) Consideriamo adesso tre masse M1 M2 M3 (Fig. 2): Le masse M1 e M2 sono collegate con un filo ideale mentre la massa M2 è collegata alla massa M3 con una molla ideale. Le forze del filo non producono lavoro, essendo il filo ideale, mentre le forze della molla producono lavoro. Risulta quindi che il lavoro delle forze esterne è pari al lavoro fatto dalla molla e poiché le forze interne sono conservative, basta calcolare l’energia potenziale della molla stessa per trovare il lavoro delle forze applicate. Questo esempio è lo stereotipo della Deformazione Elastica. M3 M1 M2

    Fig. 2

  • Se la massa M2 è a contatto con M3 tramite una superficie scabra, cioè caratterizzata da un coefficiente d’attrito μ (Fig. 3) si verifica un processo dissipativo: il lavoro viene “perso” in agitazione termica delle molecole e questo fa aumentare l’Entropia. Questo caso invece è lo stereotipo della Deformazione Plastica. M3 μ M1 M2

    Fig. 3 Dato un cubetto con la stato di tensione S, vogliamo calcolare il valore del Lavoro virtuale corrispondente ad una variazione virtuale di configurazione δu. Prendiamo un cubetto con uno stato di tensione S monoassiale (Fig. 4). Considerando che le modificazioni rigide (traslazione e rotazione) non contribuiscono al Lavoro S = σ11 0 0 0 0 0

    Fig. 4 applichiamo il Principio di sovrapposizione degli effetti: calcoliamo prima i valori del lavoro virtuale relativi a ciascuna deformazione δεij per poi sommarli ed ottenere δL. Ad esempio per la deformazione estensionale δε11 il lavoro delle forze esterne sarà dato δL=σ11 dx2 dx3 δε11 dx1 con dx2 dx3 area di faccia. Per δε12 (Fig. 5) il lavoro fatto da σ11 sarà nullo perché il lavoro sulle due facce contrapposte si annulla. Quindi se abbiamo solo una sollecitazione monoassiale avremo δL=σ11 dx2 dx3 δε11 dx1. Nel caso del taglio puro: δL=σ12 dx1 dx3 δγ12 dx2 (Fig. 5) Sapendo che dx1 dx2 dx3= dV

    => δ (dL/dV) = δl = σ11 δε11 + σ22 δε22 + σ33 δε33 + σ12 δγ12 + σ13 δγ13 + σ23 δγ23δl = ΣΣ σij δεij Supponiamo che venga dato il processo deformativo Γ e lo stato di tensione per ogni punto della traiettoria funzione di un parametro λ avremo: dl = ΣΣ σij dεij => l = ∫ ΣΣ σij(λ) dεij => L = ∫ l dV

  • Sintesi della lezione del 07/03/07 (2h) Lenzi Guido – Bernardelli Alessandro

    Caratteristiche legame costitutivo S=S(E) più semplice (corpo ∞ rigido escluso):

    • Il dominio di S, di E e quindi del legame costitutivo è un continuo (di solito 3-D) • Il legame costitutivo non può dipendere dalle coordinate (x,y,z) per l’ipotesi di

    omogeneità del materiale • La legge costitutiva non dipende dall’ orientamento degli assi per l’ipotesi di

    isotropia del materiale • Il legame costitutivo è 1:1 (biunivoco) per l’ ipotesi di elasticità del

    materiale:

    u

    P=carico applicato ad un corpo (quasi statico) u=spostamento di un punto del corpo lungo una direzione qualunque

    B

    A

    A-B curva di carico B-A curva di scarico

    P

    Se il materiale è elastico la curva B-A coincide perfettamente con la A-B, quindi il ciclo carico-scarico non produce alcun effetto sul materiale (processo totalmente reversibile). Si può quindi definire un potenziale (densità di energia elastica), per cui allo scopo di calcolare il lavoro delle forze interne basta conoscere E o S all’inizio e alla fine della curva di carico. In realtà l’elasticità totale non esiste, quindi i processi di carico non sono completamente reversibili, ma per i nostri scopi la perfetta elasticità è un’ ipotesi accettabile. L’elasticità può non essere lineare essenzialmente per 2 motivi:

    1. Ragione di tipo geometrico (problema del II tipo) 2. Non linearità del legame costitutivo 3. Entrambe le precedenti

    Nei materiali per noi interessanti, per essere elastiche le deformazioni devono essere “piccole” quindi si può assumere un comportamento lineare. Se un solido viene deformato “poco” la deformazione è elastico-lineare.

    aijlm = coefficienti costanti del tensore elasticità (IV ordine con 81 coefficienti non

    E

    S LEGGE COSTITUTIVA ELASTICO LINEARE Supponiamo che il legame tra σ e ε sia del tipo:

    σ11=a1111ε11+a1112ε12+… ………………………….. …………………………..

    non tutti indipendenti). σ=σ(ε): tensore di rigidezza, ε=ε(σ): tensore di deformabilità Ragionamento sperimentale: applichiamo uno stato di tensione monoassiale, poi (data la linearità del sistema), per sovrapposizione degli effetti potremo valutare l’effetto di uno stato triassiale generico. S e E dovrebbero essere misurati su un cubetto infinitesimo, ma ciò non è possibile, quello che possiamo fare è prendere un “pezzo grosso” con S e E uniformi in un

  • volume macroscopico. Per l’uniformità di S e E è necessario che il materiale del provino sia il più prossimo possibile alle condizioni di continuità, omogeneità, isotropia ed elasticità.

    P

    Considerando il provino una trave, per l’ ipotesi di DE SAINT VENANT , le zone in cui lo stato di tensione è complesso (nelle vicinanze dei punti di applicazione di carichi e vincoli) sono dell’ordine di grandezza del diametro della trave. Quindi la parte centrale del provino si trova in uno stato di tensione monoassiale uniforme. In questo modo posso lavorare su un cubo macroscopico.

    x yz

    CONSIDERAZIONI SULLA DEFORMAZIONE -La tensione è uniforme in direzione assiale ed è indipendente da z -

    θ

    x

    y

    Lo stato di tensione non dipende da θ perchè il problema è assialsimmetrico (x-y è ad orientazione arbitraria)

    r

    -Lo stato di tensione non dipende da r, perché questo comporterebbe una ε anch’essa dipendente da r generando una deformazione non congruente.

    -Quindi una S uniforme comporta una E uniforme e una trasformazione affine. DIMOSTRIAMO CHE LO STATO DI TENSIONE è UNIASSIALE

    σzz

    σxz

    y

    x

    σrr

    σθθ

    Con considerazioni di equilibrio ed uniformità calcolo le varie σ: σzz=N/A con A area iniziale del provino σxz=0, σθθ =0, σrr=0, σθr=0

    In conclusione lo stato di tensione S della prova di trazione è monoassiale

    N

    S=

    0 0 0

    0 0

    N/A

    Se A=area iniziale sezione trasversale del provino S =engeneering stress Se A=area sezione trasversale deformata S=true stress In campo elastico (di nostro interesse) si usa engeneering stress.

  • Sintesi della lezione del 08/03/07 (1h) Bernardelli Alessandro - Lenzi Guido

    z

    E=

    N

    N

    x y

    S=

    0 0 0 0 0 0 0 0 N/A0

    Come si deforma il provino? Gli stati di tensione e di deformazione sono uniformi (legge costitutiva 1:1), inoltre mancheranno (nello stesso sist. rif.) tutti i termini angolari per assicurare il mantenimento dell’assialsimmetria. Il cilindro rimane tale, ma diventa più lungo e si contrae trasversalmente in maniera analoga lungo x e y.

    εxx 0 0 0 εyy 0

    εxx= εyy Quindi le quantità effettivamente da misurare sono εzze εxx. Posso mettere in relazione la E misurata con S. Ad uno stato di tensione monoassiale corrisponde di solito uno stato di deformazione non monoassiale.

    0 0 εzz

    LEGAME COSTITUTIVO (materiale elastico, piccole deformazioni) tg(α)= E E=modulo di Young o elastico, rapporto tra σzz e εzz in una prova monoassiale. Rappresenta la rigidezza del materiale (stiff). ν= - εxx/εzz v=modulo di Poisson, (rapporto tra contrazione e allungamento in una prova di trazione monoassiale), valore tipico v=0.3 per i materiali di nostro interesse.

    α

    σzz

    εzz, εxx

    Il volume in una prova di trazione aumenta. Infatti facendo la somma della traccia di E si ottiene: εzz(1-2v)=ΔV/V>0 Per uno stato di tensione triassiale generico posso utilizzare il principio di sovrapposizione degli effetti:

    εii=σii/E-(v/E)(σjj+σkk) I due tensori S e E sono paralleli. Infatti nello stesso sistema di riferimento hanno le direzioni principali che coincidono.

    0 σij 0 0 0 0 0 0 0

    S=

    0 (σij/E)(1+v) 0 0 0 0 0 0 0

    Nel caso di σ fuori dalla diagonale principale posso diagonalizzare S, trovare E ed infine ritornare nel sistema originario.

    ε1 0 0 0 ε2 0 0 0 ε3

    σ1 0 0 0 σ2 0 0 0 σ3

    S=

    LEGGE DI HOOKE: εii=σii/E-(v/E)(σjj+σkk) εij=(σij/E)(1+v) γij=2(σij/E)(1+v)

    Con G=E/(2(1+v)) εij=σij/(2G) γij=σij/G

    COSTANTI COSTITUTIVE: E v G Note due di queste si può ricavare la terza

  • TECNICA DELLE COSTRUZIONI MECCANICHE JACOPO TILLI Sintesi della lezione del 12/03/2007 (2h)

    La legge di Hooke ricavata nella lezione precedente ci dice che la ξ in direzione assiale al carico è influenzata anche dalle σ in direzione traverse al carico per EFFETTO POISSON o ACCOPPIAMENTO (effetto assente per le deformazioni angolari). Inoltre la legge di Hooke per materiali isotropi è invariante per rotazione. Adesso abbiamo anche la possibilità di risolvere problemi di tipo iperstatico, potendo utilizzare i seguenti strumenti: equazioni STATICHE, equazioni di CONGRUENZA (legano deformazione e spostamento) e LEGGE DI HOOKE. Se il problema è ben posto, dal momento che le relazioni prima elencate sono lineari, la soluzione esiste ed è unica. Le relazioni prima elencate sono necessarie per la risoluzione di un problema di corpo poco deformabile, a meno che non sia ξ=0 (corpo infinitamente rigido). Esempio:

    Cubo di materiale secondo le ipotesi imposte (omogeneo, isotropo, elastico, lineare), appoggiato su una superficie piana ideale, caricato con una pressione uniformemente distribuita sulla faccia superiore. Utilizziamo il METODO INVERSO: immaginiamo la soluzione, che sappiamo esistere ed essere unica; non sappiamo come è distribuita la reazione di contatto con la faccia inferiore, sappiamo solamente che le azioni statiche complessive dovranno essere equilibrate con la

    distribuzione sulla faccia superiore. Lo stato di tensione è monoassiale per ipotesi, quindi S= SOLUZIONE SICURAMENTE EQUILIBRATA

    (non è sufficiente, essendo il problema iperstatico)

    0 0 0 0 0 0 0 0 -p

    z x y

    p

    Per la congruenza abbiamo che se S è uniforme, allora E è uniforme,ed il legame tra σ ed ε è dato dalla legge di Hooke: εxx = εyy = ν/E*p εzz = -p/E Il campo di applicazione di questo metodo è molto ristretto, perché basta un foro all’interno del cubetto perché non si abbia più l’equilibrio punto per punto. Il metodo SEMI INVERSO consiste nell’”immaginare” parte del risultato ed introdurre dei parametri, che devono soddisfare le equazioni di equilibrio e di congruenza. Devono inoltre essere soddisfatte anche le ipotesi costitutive. Esempio: caso del cubetto visto precedentemente contenuto tra due piani verticali paralleli al piano yz

    S= σ

    τ

    -p

    -q

    0 0 0 0 -q 0 0 0 -p

    p q

    z x y

    Dobbiamo rispettare l’equazione costitutiva εyy = 0, quindi deve essere: σyy/E - ν/E (σxx + σzz) = -q/E - ν/E*(0-p) = 0

    ENERGIA ELASTICA Studiamo ora i sistemi elastici da un punto di vista energetico, utilizzando quindi il primo principio della termodinamica, facendo attenzione al segno del lavoro (fatto dalle forze esterne). LEXT = ΔU + ΔK + Q LEXT: lavoro fatto dalle forze esterne, cioè dalla forza P e dal vincolo (che per la sua idealità non compie lavoro); ΔU: aumento dell’energia interna del sistema (in genere termodinamica); per un solido vale c*m*ΔT; ΔK: aumento dell’energia cinetica “macroscopica” del sistema, cioè delle sue componenti; Q: calore scambiato con l’esterno (+ verso l’esterno, - verso l’interno). SEMPLIFICAZIONI: Sistema adiabatico Q ≈ 0 : il tempo in cui avvengono i fenomeni meccanici è molto minore del tempo in cui avvengono i fenomeni termodinamici. Caricamento QUASI STATICO ΔK ≈ 0 : questo tipo di caricamento fa sì che non ci siano fenomeni vibrazionali. Con queste semplificazioni, il primo principio assume la seguente forma:

  • LEXT = ΔU , con ΔU definita a meno di una costante.

    pf

    wf

    LEXT =∫ P dw (tra 0 e wf) Definiamo ora ΔU da un punto di vista fisico:

    • componente meccanica (conservativa): è l’energia associata a comportamenti elastici, energia accumulata che può essere restituita);

    • componente termodinamica (dissipativa): energia persa in attriti, scorrimenti, necessaria per le deformazioni plastiche o viscose. Energia accumulata che può essere restituita solo attraverso una macchina di Carnot.

    wP

    Nella teoria dell’elasticità il termine termodinamico è trascurabile, per cui ΔU coincide con la variazione di ENERGIA INTERNA ELASTICA. Molla ideale: (calcoli fatti con i moduli) LEXT =∫Pdw Pf (con estremi di integrazione 0 e wf ) = ∫kwdw = ½*kwf2 = ½*Pf2 /k = ½*wf * Pf . Il termine ½ deriva dalla linearità della legge costitutiva, e non dall’elasticità; per dimostrare ciò basta prendere una molla tale che P = kw + bw2. in questo caso il lavoro svolto dalle forze esterne non ha un coefficiente ½, ma un coefficiente differente. Alcune considerazioni da fare sono:

    • assumiamo come U0 la condizione di corpo scarico, x=0; quindi ΔU = ½ kx2 U = ½ kx2 • il materiale sarà INERTE, quindi k deve essere positivo • definiamo DENSITA’ DI ENERGIA ELASTICA il termine ω=limV 0(ΔU/V), e questa quantità intensiva mi

    dice come si distribuisce l’energia immagazzinata all’interno della molla. Nel caso di una molla di costante elastica k, lo spostamento w vale w = P/k; una barra può essere vista come una molla di costante elastica equivalente keq = E*A/l dove il termine E*A viene chiamato RIGIDEZZA ESTENSIONALE (AXIAL STIFFNESS); il fatto che compaia A al numeratore ci indica che la keq dipende solo dall’area e non dalla forma.

    LEXT = ∫Pdw (tra 0 e wf) = ½ E*A/l * wf2 = ½Pf2*l / (EA) Nel caso di tensione uniforme monoassiale, ω = ½E*A/l * wf2 / (A*l) = ½ E*(wf / l)2 = ½ E*εzz = ½ σzz2 / E = ½ σzzεzz . la relazione ora scritta è valida senza faree il limite perché lo stato di tensione è UNIFORME. Si poteva giungere alla medesima conclusione anche attraverso un’altra strada: l=∫ΣΣσijdεij (tra 0 e ε) = ∫σzzdεzz = ∫ Eεzz dεzz = ½ Eεzz2 Nel caso di materiale elastico lineare, l = ω = ½ ΣΣσijε ij Dove σij e ε ij sono i valori finali. Considerazioni:

    supponiamo di avere un materiale elastico, omogeneo, isotropo e lineare, e di avere un processo deformativi che provochi piccoli spostamenti: supponiamo che il problema sia ALMENO isostatico, che il caricamento sia QUASI STATICO, e applichiamo una P con direzione costante. Il legame tra u e P è proporzionale; si scrive: u2=ku1P2=kP1

    Se la forza che applico rimane sempre parallela a se stessa, lo spostamento avviene allora sempre nella stessa direzione (che generalmente non è la stessa di P). L’angolo formato tra P ed u non può essere ottuso, perché dal momento che il corpo si carica, l’energia aumenta necessariamente, quindi la forza deve fare un lavoro POSITIVO, ragione per la quale l’angolo tra P ed u è ACUTO.

    Direzione costante

    P w

    k

    σzz = P/A εzz= P/(EA) E, ν

    A, l w = εzz*l = P*l/(EA)

    wP

    A uA’

    o o

  • TECNICA DELLE COSTRUZIONI MECCANICHE La Pàstina Francesco Lezione del giorno 14/03/07

    Abbiamo già detto che per far sì che in un materiale inerte si abbia un aumento di energia interna ∆U bisogna fare del lavoro positivo su di esso, altrimenti si violerebbe il principio di conservazione dell’energia. Abbiamo definito la grandezza ω come densità di energia elastica e siamo giunti alla conclusione che ω = Σi Σj σijεij. Ω può essere scritta tutta in funzione di ε, basta usare la legge di Hooke e l’espressione che viene fuori è di tipo quadratico,ovviamente positiva.Se ω deve essere positiva,ci sono dei limiti ai valori di cui è formata. Considero un CASO MONOASSIALE Ω=1/2σzzεzz=1/2Eεzz2 Sempre per rispettare il primo principio E>0 Considerazione:Non esistono materiali passivi che hanno modulo elastico negativo. TAGLIO PURO

    S

    0

    σxy

    0

    σxy

    0

    0

    0

    0

    0

    ⎛⎜⎜⎜⎝

    ⎞⎟⎟⎟⎠

    :=

    Ω=1/2σxyγxy=1/2G(γxy)2 G>0 G=E/2(1+ν) 1+ ν>0 ν>-1 Da un punto di vista fisico significa che un provino che si sta allungando può avere anche una dilatazione ma mai maggiore del suo allungamento. STATO IDROSTATICO

    S

    σ0

    0

    0

    0

    σ0

    0

    0

    0

    σ0

    ⎛⎜⎜⎜⎝

    ⎞⎟⎟⎟⎠

    :=

    ε0=σ 0/E-γ/E(σ0+ σ0)= σ0/E(1-2 γ ) La definizione di volume è 3 ε0εv =3 σ 0/E(1-2 γ) ω=1/2 σ0 εv=1/2(E/3(1-2 γ)) εv2 Dove (E/3(1-2 γ)) è definito con K (Bulk Modulus) Come si vede le condizioni sono K>0 e γ

  • Essendo γσmax In questo caso la struttura è verificata a resistenza. Abbiamo poi definito anche la grandezza η= σam/ σmax Verificare una struttura significa η>1

    Quindi η, moltiplicato per la σmax mi da un’idea di quanto i carichi possano aumentare. τ η:coefficiente di sicurezza. σYs≥ σam≥ σmax

    σ

    σma σamx m

  • TECNICA DELLE COSTRUZIONI MECCANICHE Poli Marco Lezione del giorno 14/03/07 (1h)

    Per la soluzione dei problemi iperstatici dobbiamo fare alcune ipotesi semplificative iniziali. Al momento infatti sappiamo eseguire verifiche di resistenza e rigidezza su oggetti caricati in maniera monoassiale uniforme, cioè del tipo “provino”, assimilabili quindi a travi. Dovremo perciò studiare le caratteristiche di sollecitazione, trovare le sezioni potenzialmente più critiche, ed eseguire le verifiche (σ MAX1, determinazione di ∆l) Tuttavia siamo costretti, talvolta, ad eseguire semplificazioni anche brutali per poter risolvere questo tipo di problemi.

    • Es:

    In questo caso è presente una variazione di sezione, zona nella quale il modello di trave entra in crisi. Nella sezione B abbiamo una perturbazione nelle linee di forza, che tuttavia, per l’ipotesi di De Saint Venant, influenza una zona paragonabile al diametro della trave (zona di estinzione). Quindi, a parte questo punto, possiamo risolvere il problema considerando l’oggetto una trave sollecitata monoassialmente. Qualitativamente, non potendo studiare il comportamento della zona di estinzione, possiamo cautelativamente aumentare lσ

    1

    2 P

    B

    A1

    A2

    a am.

    Troviamo la sez. critica (qualsiasi sezione del 2) verifichiamo che η>1 e dato che εzz=N/(A·E) → ∆l1=N·l1/(A1·E) → ∆l2=N·l2/(A2·E)

    • Es:

    In questo caso la sezione varia in maniera costante→ non ci può essere equilibrio se la sollecitazione è monoassiale (vedi figura). Tuttavia l’inclinazione è bassa (altrimenti non sarebbe una trave) e possiamo considerare l’oggetto come formato da tanti dischetti caricati uniformemente. Verificata la sez. critica ( sez. B in piena zona di estinzione) per trovare il ∆l posso considerare l’allungamento di ogni

    singolo concio e fare la somma. →∫l0 N/(E·A(s)) ds

    P B

    • Es: In questo caso l’oggetto precedente è soggetto al peso proprio quindi

    • Per trovare la sez. critica si dovrà studiare il valore massimo della funzione σzz(s)=N(s)/A (s)

    • Per trovare l’abbassamento del punto superiore ∆l=∫l0 N(s)/(A(s)·E) ds. In tutti questi casi per trovare l’allungamento abbiamo utilizzato una via diretta

    considerando l’allungamento di ogni concio caricato uniformemente e facendo la somma. Avremmo tuttavia potuto fare un bilancio energetico. Infatti, dato che l’energia elastica immagazzinata è pari al lavoro fatto dalle forze esterne, si ha che

    • U=∫Ω1/2 ·σzz·εzz dv = ∫l0 1/2· N2/(EA) ds = (F·∆s)/2

  • Tecnica delle costruzioni meccaniche Jacopo Fantoni - Sintesi della lezione del 15/03/07 - 1h

    Abbiamo iniziato la lezione risolvendo un problema intrinsecamente isostatico con la teoria dei corpi poco deformabili. La trave BCD è incernierata in B e vincolata con un appoggio in C e presenta inoltre un carico assiale concentrato in D del valore di 35KN ; il materiale della trave ha

    E=70GPa, A=250mm2, l=400mm e σam=300MPa. Il carico è applicato a 32 l.

    Dai noti procedimenti di statica ricaviamo i diagrammi di sollecitazione della trave che si riducono alla sola forza normale costante. Le sezioni critiche quindi sono tutte quelle interessate dalla forza normale pari a P.

    Grazie alle equazioni costitutive poi possiamo verificare la trave e calcolare l’allungamento della trave attraverso lo spostamento del punto C che è equivalente a quello del punto D visto che le fibre del tratto DC non sono sollecitate e subiscono solo uno spostamento rigido. σmax=

    AP =140MPa η=2,1 wD=wC= l

    EAP

    32⋅ =0,533mm

    Complichiamo ora il problema sostituendo l’appoggio con una cerniera lasciando inalterata la geometria e le condizioni di carico. Naturalmente il problema è una volta iperstatico, dato che come abbiamo visto se togliamo il vincolo orizzontale in C l’asta si allunga. Con la statica del corpo rigido troveremmo ∞1 soluzioni, ma dato che ora siamo in grado di analizzare corpi poco deformabili 1 sola sarà quella giusta. Si procede sostituendo 1 vincolo (n vincoli se n è il grado di iperstaticità) con la reazione vincolare incognita corrispondente x. Una volta calcolata x il problema torna intrinsecamente isostatico ed è quindi risolvibile in maniera equilibrata in ogni condizione di carico. Di tutte le possibili soluzioni equilibrate ce ne sarà però una sola che sia anche congruente, e che quindi rispetti le equazioni costitutive. Questo procedimento è denominato “Metodo della forza”. Potrei tentare di trovare una soluzione in maniera euristica. Un metodo più efficace è invece quello di applicare le equazioni di congruenza utilizzando il PSE.

    +

    Dato che suppongo nulli errori di montaggio e effetti termici wc=0.

    032

    =−

    +⋅EA

    xlEAPl da cui ricaviamo x =

    32 P. A questo punto è possibile tracciare il FBD e il

    diagramma completo delle caratteristiche di sollecitazione.

    Il carico P si ripartisce in questo modo sul telaio. La sua ripartizione dipende dalla natura del materiale ma essa può essere influenzata, ad esempio con un aumento d’area per modificare la rigidezza assiale, solo per i problemi iperstatici. Possiamo inoltre trovare lo spostamento del punto di applicazione del carico considerando l’allungamento della parte sinistra o la riduzione di quella destra, oppure facendo una considerazione energetica, cioè

    eguagliando il lavoro fatto dal carico all’aumento di energia elastica: ∫=l

    D dsEANPw

    0

    2

    221 .

    Per risolvere lo stesso problema possiamo utilizzare anche il “Metodo degli spostamenti” che prevede di considerare incognita lo spostamento di D e utilizzando le equazioni costitutive trovare infinite soluzioni congruenti fra le quali determinare quella equilibrata imponendo l’equilibrio con la statica. Indicando con 1 il tratto BD e con 2 il tratto DC:

    ε(1)zz= lwD2

    3 σ(1)zz= ε(1)zz*E N(1)= ε(1)zz*E*A ε(2)zz= l

    wD3− σ(2)zz= ε(2)zz*E N(2)= ε(2)zz*E*A

    N(1)+P- N(2)=0

  • Tecnica delle costruzioni meccaniche Mario Milazzo Sintesi della lezione del 19/03/07 (2h)

    Nella precedente lezione avevamo studiato due metodi per affrontare i problemi iperstatici:

    Metodo delle forze: Vengono poste incognite le reazioni vincolari (tante quante sono le iperstaticità) e poi andando a trovare tra queste l’unica soluzione congruente.

    Metodo degli spostamenti: le incognite sono grandezze geometriche che si impongono congruenti e tra queste si cerca quella anche equilibrata.

    I due metodi sono equivalenti anche se è preferibile usare il primo quando il problema è poche volte iperstatico poiché più efficiente. Esempi:

    Calcolareω per portare il carrello a battuta. Ce la barra gira a ω2 calcolare quanto si accorcia la barra. Ris: sapendo che si allunga più del necessario, si impone una forza X data dal vincolo e si impone lo spostamento uguale a

    Il filo è per noi parzialmente ideale in quanto è privo di massa ma flessibile (non può trasmettere taglio e flessione), ma si può allungare e possiede EA(rigidezza estensionale).

    Quanto si allunga il filo? Ris: il metodo più conveniente è quello energetico in cui ULext Δ= . (La sbarra è considerata infinitamente rigida).

    Calcolare quanto ruota la sbarra. Problema 4 volte iperstatico: il metodo più efficiente è quello degli spostamenti poiché il bilancio energetico è in funzione di un solo parametro essendo la sbarra considerata infinitamente rigida.

    COMPORTAMENTO FLESSIONALE DELLE TRAVI

    La flessione è la caratteristica più significativa nello studio della resistenza e rigidezza di una struttura poiché è quasi sempre la responsabile delle crisi strutturali. Se prendiamo una trave ad asse rettilineo e sezione costante con assi principale d’inerzia sempre paralleli a sé stessi si avrà FLESSIONE PURA (PURE BENDING) solo quando il carico è riconducibile a due momenti(indipendentemente dal loro asse).

    Di solito (specie nello spazio) si avrà xM e yM .Se: 0)(0 ≠∨∧= yxyx MMMM si ha FLESSIONE RETTA

    (asse del momento principale d’inerzia).

    0≠yxMM si ha FLESSIONE DEVIATA.

    FLESSIONE RETTA Facciamo un esperimento (ideale) ponendoci in una “configurazione di flessione su quattro punti” ovvero appoggiamo una trave su dei rulli come in figura in modo da avere un tratto di trave di

    lunghezza 0l tale per cui in esso sia presente solo momento flettente (siamo nel piano quindi

    xM ). In questo tratto ( 0l ) si ha quindi flessione retta. È da notare come nei punti di applicazione del carico la soluzione di trave vada in crisi. Queste infatti sono zone di estinzione in cui però, secondo il principio di De Saint Venant, le perturbazioni si estinguono in un’area dell’ordine di D (diametro della trave). Notiamo inoltre che l’effetto principale del carico è quello di incurvare la

    trave al contrario della forza normale in cui vi era allungamento e strizione. Vediamo però cosa succede all’interno del corpo utilizzando due barre di Plexiglas trasparente incollate tra loro su cui

    preventivamente è stata ottenuta una griglia. Dopo l’applicazione del carico notiamo che:

    Due linee orizzontali qualunque, poste prima a distanza “d”, nella deformata si sono incurvate, formando archi di circonferenze concentriche, mantenendo però la loro distanza relativa (questo a causa dell’isotropia, omogeneità del materiale e della condizione di carico uguale per tutte le sezioni).

    Due linee verticali poste a distanza “c” tra loro rimangono rette ma la distanza cambia (se si incurvassero si avrebbe compenetrazione o mancanza di materiale).

    La variazione di altezza anche se misurata accuratamente risulta trascurabile e in un primo momento possiamo dire che le altezze di tutti i rettangolini non variano.

    Dall’analisi è risultato che vi saranno data la deformazione fibre tese e compresse, ma dato che il processo è continuo vi sarà certamente una linea

    detta NEUTRA che non subisce deformazione posta a 0y . (La fibra baricentrica è l’origine della coordinata y).

    y

    xM 2Pa

    +

    P

    y

  • Queste osservazione sono valide anche per materiali non elastici e lineari poiché ancora non abbiamo utilizzato queste ipotesi.

    Definiamo 0θ0

    0

    Rl

    = Angolo di flessione

    0

    0

    lll f

    zz

    −=ε 000 )( θyyRl f −+= ; qmyR

    yyRl

    lyyRzzzzzz +=⇒−=⇒

    −−+= εεθε

    0

    0

    00

    0000 1)(

    dove 00

    1 kR

    m == (Curvatura della fibra neutra)

    Notiamo come zzε abbia una forma lineare, quindi rispetta sicuramente le equazioni di congruenza. Hp di Eulero Bernoulli: le sezioni della trave si conservano perpendicolari all’asse deformato (matematicamente è espressa

    dalla0

    0

    0

    1Ryy

    Rzz−=ε ).

    Questa ipotesi è perfetta nel caso di flessione pura retta. La trasformazione però NON è affine in quanto la cambia e la trasformazione porta rette in curve,però è congruente poiché sono rispettate le equazioni di Beltrami-Mitchell. Diamo quindi i risultati dell’analisi: la flessione retta allunga (o accorcia) la trave con un effetto di incurvamento.

    Cerchiamo ora i valori di m e q imponendo l’equilibrio di una qualsiasi sezione ( 0=zR e 2PaM x = ). Lo stato di tensione è sicuramente

    monoassiale: cambia da punto a punto

    ⎟⎟⎟

    ⎜⎜⎜

    ⎛=

    zz

    Sσ00000000

    .Vediamo perché mancano xxσ yyσ ijσ .

    yyσ : supponiamo che ci sia,tagliamo una parte della deformata: ci accorgiamo subito che non ci sarebbe equilibrio lungo Y

    xxσ : In A e B vale 0 quindi per continuità sarà assente (vedere figura a lato).

    ijσ : se facessimo una sezione della trave e ci fossero, noteremmo come non ci potrebbe essere equilibrio alla rotazione. Applichiamo Hooke:

    EqmyEE zz

    zzzz +=⇒= σ

    σε .In qualunque punto zzσ è diversa e si annulla nella linea neutra. Avremo quindi una distribuzione a farfalla data proprio dall’applicazione della legge di Hooke, in cui vi sarà una zona tesa e una compressa. La figura accanto è stata ottenuta con una sezione generica sulla trave. Imponiamo l’equilibrio lungo Z (Ω è il dominio della sezione):

    0=zR 00)( =+⇒=+=+== ∫∫∫ ∫

    ΩΩΩ Ω

    EqAmESdAEqydAmEdAEqmEydAN xzzσ ma 0=xS poiché l’asse x è

    principale d’inerzia. Quindi il tutto si riduce a 0=EAq ma E e A sono per definizione positivi e questo vuol dire 0=q . Ne deduciamo che la fibra neutra è baricentrica, e da ciò possiamo dire che: la flessione retta incurva la fibra baricentrica. Imponiamo ora l’equilibrio a rotazione:

    2PaM x =

    Emyzz =σ

    ∫∫∫ΩΩΩ

    =⇒====2

    22 PaEmJEmJdAyEmdAEmydAyM xxzzx σ e quindi xEJ

    Pakm2

    == e più in generale

    x

    x

    EJMm =

    xEJ Si dice RIGIDEZZA FLESSIONALE (in analogia con EA che era la RIGIDEZZA ESTENSIONALE nell’analisi della forza normale) Riassumendo:

    yJMEky

    x

    xzz ==σ yEJ

    M

    x

    xzz =ε

    x

    x

    EJM

    Rk == 1 0=q dove xEJ Si dice RIGIDEZZA FLESSIONALE.

    A B

  • Tecnica delle costruzioni meccaniche Baldi Stefano –Sintesi della lezione del 21/03/07 (2h)

    Nelle precedenti lezioni avevamo visto che in una trave sottoposta a flessione retta tutti i conci si comportavano nella stessa maniera indipendentemente da s, la trave non subiva una trasformazione affine ma congruente descritta dalla relazione zzε =my+q.(1) Mediante l’utilizzo delle equazioni di equilibrio e le leggi costitutive, considerando l’ipotesi di materiale lineare elastico eravamo arrivati a dire che q è uguale a 0 (fibra neutra è quella baricentrica) e che m=K(centro di curvatura) è definito da:

    K=EJ

    M

    x

    x (con il termine E che è la rigidezza flessionale). xJ

    Introduciamo ora la Formula di Navier zzσ = yJM

    x

    x la quale è valida qualsiasi sia la forma della

    trave. Si osserva che σ dipende dalla forma della sezione mediante il termine a differenza della trazione in cui eravamo interessati solo all’area per calcolare la

    xJσ nella flessione.

    Essendo e quantità positivexJ xM zzσ sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà la distanza dall’asse neutro e sarà concorde con y. Nei punti che hanno y >0 le fibre si troveranno in trazione mentre quelli con y

  • Dobbiamo distribuire l’area di sezione il più lontano possibile dal baricentro per avere il massimo , perciò la soluzione ottimale prevederebbe una sezione rettangolare con la massa posta lontano

    dall’asse. xJ

    La soluzione pratica che di solito viene realizzata è quella di costruire travi a doppio T con l’anima (parte verticale) fine e le piattabande (parti orizzontali) larghe. Bisogna però stare attenti al fatto che le zone baricentriche regolano il taglio per questo motivo bisogna cercare un compromesso tra taglio e flessione. Se andiamo a vedere la farfalla di Navier per una trave a doppio T vediamo che il materiale è sollecitato in maniera uniforme. Vediamo ora gli aspetti energetici legati ai processi deformativi. Possiamo dire che il lavoro sarà collegato al fatto che le sezioni ruotano una rispetto all’altra e sarà

    dato da 20 ϑΔM . (

    21 indica che è lineare).

    Da relazioni geometriche possiamo ricavare che θΔ=x

    oo

    EJMl

    la quale è molto simile alla formula

    lEANl

    Δ= già trovata nella trazione.

    Possiamo quindi scrivere che L= ox

    o lEJM

    21 2

    .

    Possiamo inoltre ricavare Δ u= ∑∑∫ ijijv

    εσ21 dv = ∫

    l

    0 21 2

    xMxEJ

    1 ds (2)

    Δ u può essere definito anche da KM xl

    ∫0 21 ds= dsKEJ x

    l 2

    0 21

    ∫ . Da queste formule possiamo notare una notevole analogia con l’energia interna trovata nella prova

    di trazione che era dsEA

    M xl 1

    21 2

    0∫ .

    Vogliamo ora vedere di quanto si abbassa una trave lunga l incastrata e soggetta a un carico P alla sua estremità. Basterà imporre che il lavoro delle forze esterne (in questo caso solo P) sia uguale a u trovato con la (2) con al posto di M l’espressione P(l-s).

    Δ

    Ricaviamo quindi lo spostamento =ΔxEJ

    Pl3

    3

    . Osserviamo che:

    • raddoppiando la lunghezza lo spostamento aumenta di otto volte • è inversamente proporzionale alla rigidezza • raddoppiando la forma della sezione diminuisce di 16 volte perché è inversamente

    proporzionale al . xJParliamo ora della flessione deviata: essa si ha quando l’asse del momento non è più un asse principale di inerzia. Alla base del suo studio c’è il principio di sovrapposizione degli effetti.

    Possiamo trovare xJM

    yJM

    y

    y

    x

    xzz −=σ e mediante questa possiamo ricavare l’equazione dell’asse

    neutro ricordando che su di esso zzσ =0.

    L’asse neutro avrà un’espressione del tipo 0= xJM

    yJM

    y

    y

    x

    x − .

    Questa è una retta che passa per l’origine, che non ha più la direzione del momento e che risulta spostata rispetto all’asse del momento verso l’asse che ha momento d’inerzia minore.

  • TECNICA DELLE COSTRUZIONI MECCANICHE Di Russo Marco – Sintesi della lezione del 22/03/07- 1h

    xMM

    JJy

    x

    y

    y

    x ⋅⋅=

    AN

    JxM

    JyM

    σ yxzz +yx

    ⋅−=

    y

    y

    x

    xzz J

    xMJ

    yM ⋅−

    ⋅=σ

    Dopo aver studiato il comportamento di una trave soggetta a flessione retta, possiamo ricondurci al caso più generale di flessione deviata sfruttando il Pr. Sovrapposizione degli Effetti; scomponiamo infatti il nostro momento Mo secondo gli assi principali d’inerzia e usiamo 2 volte la formula di Navier ottenendo :

    x

    xxK = JE

    M⋅ y

    yy JE

    MK

    ⋅=

    AP

    JxxP

    Jy

    yxzz +

    ⋅⋅+

    ⋅⋅= 00

    yPσ

    dove il segno negativo deriva dal fatto che un My positivo produce compressione per x>0. Da tale formula si può ricavare l’equazione dell’asse neutro, che rappresenta una retta passante per il baricentro, non diretta come M0 ma con direzione compresa tra M0 e l’asse principale con momento d’inerzia minore. Abbiamo quindi trazione o compressione a seconda se ci troviamo da una parte o dall’altra dell’asse neutro. Inoltre sappiamo che la σzz è una funzione lineare di x e y e quindi, da un punto di vista matematico, non può avere max e min locali ma la loro ricerca deve essere effettuata sul contorno del dominio limitato, cioè sul bordo della sezione.

    Pertanto i punti critici saranno quelli più distanti dall’asse neutro e i valori della σzz corrispondenti si trovano sostituendo le coordinate di tali punti nella formula di Navier. Dal punto di vista della verifica di rigidezza, facendo sempre riferimento al P.S.E., abbiamo nel caso della flessione deviata due curvature nelle due direzioni:

    x

    Mo

    y

    e

    Analizziamo ora il caso in cui abbiamo sia momento flettente, sia forza normale; in questo caso basta sovrapporre anche questo effetto, per cui la distribuzione di Navier è che risulta sempre lineare in x e y ma che non passa più per l’origine; il termine noto N/A rappresenta la tensione che c’è nel baricentro e quindi mi sposta l’asse neutro non più passante per l’origine. Il metodo di verifica è comunque lo stesso: traccio l’asse neutro e poi studio i punti più lontani da esso.

    Un caso pratico in cui abbiamo tali tipi di sollecitazioni è quello rappresentato in figura: abbiamo una trave ad asse rettilineo e sezione costante, incastrata ad un estremo, e caricata con una forza normale P in direzione z applicata in un punto C(x0,y0) tramite un braccio (è la condizione di carico normale eccentrico tipica dei pilastri degli edifici).

    y

    x

    C(x0,y0)

    P

    z P

    x x0

    y0 y

    Sollecitazioni: sulla trave sono applicati N=P e due momenti, un momento Mx prodotto dal braccio x0 e My prodotto dal braccio y0. Quindi su tutta la trave ho N=P e flessione deviata Mx=P·y0 e My= -P·x0 La distribuzione di Navier in questo caso è Si vede come la σzz del baricentro ha lo stesso segno del carico P; ciò implica che qualitativamente il centro di spinta C e il baricentro si trovano sempre nello stesso semipiano definito dall’asse neutro.

    Ponendo inoltre σzz=0 si nota come l’equazione dell’asse neutro non dipenda dal valore di P. Proprietà di reciprocità: se ho un carico P applicato in un punto C, posso determinare un asse neutro; per la simmetria dell’equazione se prendo a sua volta un carico P e lo applico in qualsiasi punto CI appartenente all’asse prima trovato, risulta che l’asse neutro prodotto da questo nuovo carico passa per il primo punto C. In generale rifacendo tale procedimento per tutti i possibili CI si ottiene un fascio di rette passanti per C.

    Vediamo l’applicazione di tale concetto: prendiamo per semplicità una sezione rettangolare e applichiamo un carico ai punti C dell’asse x; si può verificare che per la geometria riportata in figura l’eq. dell’asse sarà x=-b^2/(12x0). Ci si può chiedere a questo punto per quale x0 l’asse neutro passa per il lato destro del rettangolo; ponendo appunto x=-b/2 si ottiene x0=b/6. Pertanto quando x0>b/6 l’asse neutro passa nella sezione, quando x0

  • Tecnica delle costruzioni meccaniche Luca Sciurti Sintesi della lezione del 26/03/07 (2h)

    TORSIONE (torque)

    Il fenomeno della torsione dipende fortemente dalla forma della sezione. Per l’analisi di questo fenomeno esaminiamo un tubo circolare, sottile di materiale omogeneo e isotropo e sollecitiamolo con due momenti contrapposti alle facce estreme in direzione dell’asse. Consideriamo la sezione vista dall’asse z. Cosa caratterizza questa sezione?

    • Ri (raggio interno) • Re (raggio esterno) • t (spessore);

    t = (Re-Ri) R = (Re + Ri)/2 Proprietà della sezione:

    • t > R (per l’ipotesi di trave) • A = π(Re^2-Ri^2) = 2π·R·t (teorema di Guldino) • Jx = Jy = π(Re^4-Ri^4)/8 = π·R^3·t • Jo = Jx + Jy = 2π·R^3·t

    • Am = π·R^2 (area sottesa alla linea media) Per studiare questo problema conviene utilizzare un sistema di coordinate polari (r, θ) che porta con se un sistema di riferimento cartesiano destrogiro locale (Ex, Eθ, Ez).

  • Le coordinate curvilinee associate ai tre versori sono: • Ex → r • Ez → s (coordinata dell’asse) • Eθ → θ

    Introduciamo, anche, una ascissa curvilinea che segue Γm che chiameremo: γ = Rθ

    se trascuriamo le zone di perturbazione lo stato di tensione S è indipendente da s, dalla coordinata circonferenziale θ o γ, e anche da r dato che varia in un dominio (Ri ≤ r ≤ Re) che ha delle dimensioni trascurabili; quindi potremo dire che è indipendente anche da r. Possiamo affermare quindi che lo stato di tensione è uniforme se scritto nel sistema di riferimento locale. Analisi dello stato di tensione Lo stato di tensione per la torsione è uno stato biassiale, più precisamente di taglio puro, uniformemente distribuito sul tubo. Per questo motivo non possiamo confrontarlo con una σamm. Quindi non possiamo fare la verifica di resistenza.

    0 0 0 S = 0 0 σθz

    0 0 0 Come sono le isostatiche? Le isostatiche sono due famiglie di eliche e sono a 45° rispetto all’asse neutro. Calcoliamo il momento risultante rispetto al baricentro:

    ∫Ω [σθz·dA·r] = Mz dF = σθz·dA dA = r·dr·dθ = dr·dγ

    Mz = ∫Ω [σθz ·r^2·dr·dθ] = 2π·R^2·t· σθz Da questa relazione possiamo ricavare

    σθz = Mz/(2π·R^2·t) = Mz/(2·Am·t) = (Mz·R)/Jo wo = (2π·R^2·t) → è detto MODULO DI RESISTENZA A TORSIONE Introduciamo il modello costitutivo

    0 0 0 0 0 0

    S = 0 0 σθz → ε = 0 0 εθz 0 0 0 0 0 0 γθz = 2· εθz = σθz/G

    • εzz = 0 → il tubo non si accorcia e non si allunga • εrr = 0 → lo spessore del tubo non cambia

  • • εθθ = 0 → la lunghezza della circonferenza Γm non cambia, ovvero non c’è una variazione della lunghezza delle fibre circonferenziali.

    • Tr(ε) = 0 → non si ha una variazione del volume Tutte le sezioni rimangono dove sono, piane e ruotano rigidamente una rispetto all’altra. Calcoliamo la rotazione φ della sezione di estremità φ è detto ANGOLO DI TORSIONE ed è una quantità energeticamente associata al momento.

    φ = (γθz·L)/R ψ è detto ATTORCIGLIAMENTO o AVVITAMENTO ed è l’angolo di rotazione diviso per unità di lunghezza.

    ψ = φ/L = dφ/ds = γθz/R = σθz/(G·R) = Mz/(2π·R^3·t·G) = Mz/(2·Am·R·G·t) = Mz/(Jo·G) ψ è la caratteristica deformativa associata alla torsione della trave. (2π·R^3·t·G) → è detta RIGIDEZZA TORSIONALE Tutte queste relazioni valgono solo nel caso di un tubo sottile.

  • TCM Resoconto della lezione del 28/04/2007 (1h) Chiti Brenda Sappiamo perciò come comportarci di fronte ad una sezione tubolare circolare sottile e spessa.,cilindrica, rettangolare sottoposta a torsione…ma come comportarsi di fronte ad una sezione generica?!?!? Se per esempio,abbiamo di fronte questa sezione,potremo trattarla come un rettangolo(supponendo che ad esempio il suo spessore b sia costante) b

    di larghezza pari a b ed altezza pari alla lunghezza della linea media. b Se ho di fronte questa sezione tubolare circolare,potrei Anche in questo caso usare l’analogia del rettangolo,cioè considerarla come un rettangolo di larghezza pari allo spessore e h=circonferenza media(se il taglio è molto sottile). La presenza del taglio peggiora notevolmente la resistenza a torsione della sez.circolare tubolare e questo è evidente se si usa l’analogia della membrana;il momento torcente sopportabile dalla sezione,risulta infatti proporzionale al volume sotteso dalla membrana,che in questo caso è

    molto “piccolo”.Considero una sezione a T. In questo caso,in corrispondenza di un profilo spigoloso rientrante di raggio di raccordo nullo,sfruttando l’analogia della membrana,le tensioni tangenziali vanno all’infinito,e perciò queste zone,se non opportunamente raccordate,fanno sì che la struttura non risulti mai verificata a torsione. Mentre gli spigoli uscenti non rappresentano un problema,in quanto in queste zone le tensioni tangenziali sono nulle e perciò si possono anche”togliere”senza influenzare la resistenza a torsione della sezione. Questa sezione può essere studiata considerandola come composta da due rettangoli,sui quali agiscono rispettivamente i momenti torcenti M1 ed M2,frazioni del momento Mz totale applicato

    all’intera sezione. Il problema in questo caso è;come si ripartisce Mz nelle due sottosezioni,ovvero,quanto valgono M1 ed M2? Per congruenza Mz si ripartisce in modo che M1 ed M2 diano luogo allo stesso attorcigliamento,e perciò (M1/(G J1eq))=(M2/(G J2eq)) e tenendo conto che M1+M2=Mz,ricaviamo i due momenti desiderati. In generale,una qualunque sezione può essere vista come l’insieme di più rettangoli,dei quali sappiamo valutare le caratteristiche torsionali. Molto spesso,capita di avere di fronte una sezione circolare con cava per linguetta o chiavetta;in questo caso,si tratta la sezione come se fosse circolare,dopo di che la tensione nominale ottenuta va moltiplicata per un fattore disponibile su opportune tabelle che tiene conto della geometria della cava,riuscendo perciò a determinare lo stato di tensione nei vari punti della sezione Queste sono le zone d’ombra dal punto di vista della torsione Queste sono le zone critiche se non opportunamente raccordate Il punto di mezzo di questa zona diviene critico se gli spigoli interni sono opportunamente raccordati. Vediamo adesso una teoria molto utile per sezioni tubolari non circolari,di spessore sottile; Teoria di Bredt

    Consideriamo una generica sezione tubolare: individuo la linea di metà spessore Γm e su di essa individuo un’ascissa curvilinea γ.

    X Per definire la sezione,ho bisogno di t(γ)che mi da lo spessore punto per punto. Per ipotesi ,tmax

  • Tecnica delle costruzioni meccaniche Andrea Rolla Sintesi della lezione del 02/04/07 (2h)

    all’estremità destra della

    Torniamo al discorso sul taglio iniziato nella lezione precedente. Prendiamo una trave a sezione rettangolare b·h incastrata in una parete al cui estremo è applicato un carico P verticale,esso produce un taglio uniforme cui è associata una flessione poiché tra le 2 caratteristiche di sollecitazione esiste una relazione di proporzionalità diretta secondo la relazione Ty=(dMx/ds). Se prendiamo un tratto finito di trave di lunghezza Δs avremo Ty=(ΔMx/Δs); questo concio ha sulle facce perpendicolari all’asse uscente z due momenti

    flettenti diversi tra loro,uno per faccia,oppure può averne soltanto uno se ad esempio consideriamo il concio che si trova trave. Cerchiamo quindi di visualizzare gli effetti prodotti dal taglio. Facciamo un taglio in una zona qualsiasi della trave studiandone la corrispondente sezione; l’effetto prodotto è una flessione con tensioni del tipo σzz avente momento risultante rispetto all’asse x pari al momento flettente esistente sulla sezione. E’ presente anche una forza verticale (taglio) che equilibra il carico P e che produce tensioni in direzione y del tipo σyz. Esse non sono distribuite uniformemente sulla faccia della sezione poiché se prendessimo un cubetto infinitesimo avente la superficie superiore a diretto contatto con l’aria le σzy ,che

    dovrebbero esistere per via della simmetria del tensore di Cauchy,non vi sono poichè la superficie è a contatto solamente con l’aria; al massimo potremmo dunque avere come valor medio delle σyz il rapporto Ty/A,con A area della superficie su cui sono distribuite le rispettive tensioni. Per risolvere questo problema utilizziamo quindi l’ipotesi di Jouravski che è una teoria approssimativa del taglio secondo la quale le tensioni sono uniformi solamente lungo l’asse delle x,mentre variano lungo l’asse delle y. Sono dunque uniformi lungo ogni corda e sono nulle presso il lato superiore ed inferiore della sezione. A posteriori si può verificare come questa ipotesi sia corretta soltanto per sezioni rettangolari. Prendiamo adesso un sottoconcio di lunghezza Δs dalla parte delle y positive e studiamone l’equilibrio.

    Chiamiamo Ω la sottosezione di dominio Ω* per y>=y* e indichiamo con l’apice * tutte le grandezze ad essa riferite. La y*,coordinata della sottosezione,varia da –h/2 a h/2, l’area è uguale a A* = b·(h/2-y*). Dallo schema di corpo libero notiamo come le tensioni σyz siano costanti lungo z mentre variano lungo y*,in rosso abbiamo la distribuzione a farfalla delle tensioni σzz le quali sono rispettivamente uguali a Mx1·y/Jx e Mx2· y/Jx con Mx2 = Mx1+ΔMx. L’unica incognita rimane pertanto y*.Facendo l’equilibrio e integrando su Ω* si ha: -∫ Mx1·y/Jx dA + ∫ Mx2·y/Jx dA – σzy(y*)·b·Δs = 0 Sostituendo a Mx2 = Mx1+ΔMx ci rimane: ∫ ∆Mx·y/Jx dA – σzy(y*)·b·Δs = 0 Fissato ds, ∆Mxy/Jx è costante per cui otteniamo: σyz(y*) = (ΔMx)/(Jx·Δs·b)·∫y dA = Ty/(Jx·b)·∫y dA = (Ty·S*)/(Jx·b) Questa è la formula di Jouravski,se Ω* tende a zero il momento statico S* è nullo ragion per cui non vi è taglio,come volevasi dimostrare,sul bordo superiore e su quello inferiore della sezione. Nelle zone baricentriche abbiamo dunque il taglio maggiore. Sezione rettangolare

    Jx = (b·h3)/12 S* = A*·y La formula di Jouravski in questo caso sarà: σyz = (6Ty)/(b·h3)·[(h/2)2-y*2] L’andamento delle tensioni in funzione di y* è parabolico,il massimo della tensione σyz è sulla corda baricentrica ed è τmax = 3/2·Ty/A dove A/(3/2) è il

  • modulo di resistenza a taglio w mentre 3/2 è il fattore di resistenza a taglio μ e dipende dalla forma della sezione,è il fattore per il quale bisogna moltiplicare la tensione media per ottenere quella massima. Considerazione:nella sezione rettangolare le sollecitazioni maggiori dovute ai tagli sono nella zona baricentrica,le zone più lontane sono sollecitate da flessioni e non c’è effetto combinato tra di esse. Generalizziamo adesso i discorsi fatti finora per altri tipi di sezione. Sezione circolare

    L’ipotesi di Jouravski imità della corda infatti le tensioni non sono equilibrate per cui

    eriamo la fibra baricentrica.

    lla

    zione tubolare circolare

    n questo caso non va più bene specie nelle zone esterne. Alle estrequesta distribuzione risulta essere errata. L’ipotesi torna però regionevole se considPer il cerchio μ=4/3, il che significa che dal punto di vista del taglio la sezione circolare è migliore di quella rettangolare perché c’è più area nezona baricentrica. Se

    ome per la sezione circolare anche per quella tubolare non è corretta la distribuzione per tagli orizzontali poiché certe

    rofilati

    Ctensioni non sono equilibrate e l’ipotesi di Jouravski è corretta per la zona baricentrica. Il fattore μ è circa pari a 2, più lo spessore è sottile più tende a questo valore. E’ comunque più ragionevole effettuare dei tagli in senso radiale in modo tale che le tensioni possano essere ritenute uniformi. P

    ezione a doppio T S

    molto usata nella pratica. Nella rappresentazione se della sezione subisce una brusca riduzione.

    ezione a T

    Questa è una sezionedelle tensioni di figura 1 notiamo un salto netto dovuto al fatto che la baSe utilizziamo la teoria di Jouravski è più corretto considerare la rappresentazione di figura 2. E’ chiaro come in questotipo di sezione sia l’anima a reggere le sollecitazioni dovute al taglio mentre possono essere considerati trascurabili gli effetti prodotti dalle piattabande. I punti critici sono le zone di attacco dell’anima alle piattabande dove si combinano siaflessione che taglio. La flessione ha valori estremi sul bordo superiore e inferiore della sezione. Detto questo, μ è pari al rapporto tra la superficie totale della sezione e quella dell’anima, la tensione massima sarà τmax = Ty/Aanima. S

    e a T i punti evidenziati nella figura possono essere considerati critici.

    ezione non simmetrica ( esempio sezione a C )

    Per la sezion S

    fficiente,il taglio infatti produce un effetto

    assiamo ora ad analizzare quali siano gli effetti deformativi.

    ’effetto deformativo in una trave a mensola con carico all’estremo è dovuto sia alla

    l’effetto deformativo dovuto al taglio che è costante

    e pari al

    o γ = Ty/(G·A)·(A·∫(S*/b)2 dA)/Jx2 dove 1.

    ezione μ χ

    ttangolare 3/2 6/5

    a

    Per queste sezioni l’ipotesi di Jouravski non è sudeformativo combinato con uno torsionale. P Lflessione che al taglio. Oltre alla flessione,la trave subisce un ulteriore abbassamento come si può notare nella figura. Nell’altra figura abbiamo invece per tutte le sezioni le quali non si mantengono piane ma si ingobbano e non sono più perpendicolari all’asse della trave (l’ipotesi di Eulero-Bernoulli non è valida). Definiamo δt la freccia dovuta al taglio e γt la sollecitazione da esso esercitata rapporto δt/l con l lunghezza della trave. Dal punto di vista energetico abbiamo: 1/2·P·δt = ∫ ½·σzy·γzy dV da cui ricaviam t(A·∫(S*/b) dA)/J2 x2 è definito fattore di rigidezza a taglio χ il quale deve essere maggiore diAbbiamo quindi in definitiva γt = Ty/(G·A)/χ . S recircolare 4/3 10/9 tubolare 2 2 doppio T A/Aanima A/Aanim

  • Tecnica delle costruzioni meccaniche

    Valerio Rossi

    Sintesi della lezione del 03/04/2007 (2 h)

    Come si è visto nelle lezioni precedenti, in una trave, scelto un opportuno sistema di riferimento locale, il piùgenerale stato di tensione è biassiale. Le caratteristiche di flessione e trazione producevano nel materiale unostato di tensione monoassiale (σzz), mentre le caratteristiche di torsione e taglio, uno stato di taglio puro,ossia biassiale. Fino ad adesso sapevamo come comportarci, ai fini della verifica di resistenza, solo nei due casipresi separatamente tra loro; ossia confrontando rispettivamente la massima tensione tensione principale conuna tensione ammissibile σam, ricavata dalla prova di trazione, mentre la massima tensione tangenziale venivaconfrontata con una tensione tangenziale ammissibile τam, la quale doveva esser ricavata attraverso un’appositaprova di torsione. In effetti il bisogno di generalità e l’esigenza di diminuire il numero di prove da effettuare equindi anche il costo, hanno portato all’introduzione di alcuni criteri, di cui studieremo i più importanti per gliacciai ed i materiali dell’ingegneria meccanica. Questi criteri, però, hanno per contro di non seguire un rigorematematico forte, ma di basarsi principalmente su criteri fisici. Attraverso questi criteri si riesce sempre adassociare ad un generale stato di tensione uno stato monoassiale equivalente (ai fini della verifica di resistenza),il quale sarà poi confrontato con lo stato limite ricavato dalla prova di trazione. In questo modo, anche solo lasingola prova di trazione ci è sufficiente.

    ◦ Criterio di Tresca

    Fig.1: Criterio di Tresca

    Il primo criterio si basa su su una constatazione fisica forte, siimputa alle sole tensioni tangenziali lo snervamento del materiale.questo ha anche delle importanti conferme sperimentali, oggi infattisi sa che lo snervamento avviene per lo scorrimento plastico dei pianicristallini di massima densità atomica, ed in effetti le tensioni chepromuovono questi scorrimenti sono proprio le tensioni tangenziali.Come si vede anche dalla figura a lato, attraverso questo criterio, aifini della resistenza, si può ricavare la σeq che come si vede nel casoin esame è il diametro del cerchio massimo di Mohr. In terminimatematici, per uno stato qualsiasi

    (σeq)Tr = maxi,j|σi − σj |

    Non conta quindi la posizione del centro, ma solo il diametro. Questo è abbastanza vero, infatti, è statodimostrato che uno stato di tensione idrostatico, ossia dove il materiale sente in ogni punto solo tensioniprincipali, non porta allo snervamento, ma si passa dal campo elastico alla rottura. Quest’ultima cosa è verase lo stato è di trazione, mentre se è di compressione, si verifica che il materiale non si rompe mai, qualsiasi sial’intensità delle azioni che agiscono sul corpo.

    Fig.2: Criterio di Tresca per le travi

    In una trave il più generale stato di tensione è cos̀ı espresso dallamatrice di Cauchy

    S =

    0 0 00 0 τ0 τ σ

    ⇒ (σeq)Tr = √σ2 + 4τ2Quest’ultima relazione si può facilmente ricavare imponendo l’ugua-glianza del diametro del cerchio alla tensione equivalente secondoTresca.

    Sempre da considerazioni di questo genere si ricava che (σeq)Tr = 2 (τeq)Tr. Si nota, come era da aspettarsi,che le tensioni tangenziali sono più critiche di quella normali, ai fini della resistenza.

    ◦ Criterio di Von Mises

    Questo secondo criterio, si basa invece su considerazioni di tipo energetico. Si suppone, infatti, che il materialepossa immagazzinare energia elastica fino ad un certo limite, oltre il quale esce dalla zona di ammissibilità.Bisogna però stare attenti che non tutta l’energia contribuisce, ma solo la parte dovuta allo stato di tensione

    1

  • deviatorio.

    La condizione limite diventa quindi ωdev < ωlim.

    S = Sid + Sdev =

    σm 0 00 σm 00 0 σm

    + σ11 − σm σ12 σ13σ21 σ22 − σm σ23

    σ31 σ32 σ33 − σm

    : σm = 133∑

    i=1

    σii

    Ricavando l’espressione della densità di energia elastica attraverso la legge di Hooke per uno stato di tensionegenerale ed uguagliandolo alla formula trovata per uno stato monoassiale si ottiene la relazione che lega letensioni alla tensione equivalente

    (σeq)Mis =

    √12

    [(σ11− σ22)2 + (σ22 − σ33)2 + (σ33 − σ11) + 6 (σ212 + σ223 + σ213)]

    Come si vede il luogo dei punti formato dall’espressione poco sopra è differenziabile. Tale relazione, si specializzanel caso delle travi in una forma molto simile a quella di Tresca

    (σeq)Mis =√

    σ2 + 3τ2

    Si nota che la tensione equivalente calcolata tramite il criterio di Tresca è sempre maggiore di quella calcolatacon Von Mises. In quest’ultimo caso è (σeq)Mis =

    √3 (τeq)Mis

    Le previsioni del criterio di Tresca sono abbastanza affidabili soprattutto per i materiali, come gli accia dolci,che hanno un plateau orizzontale di snervamento nella curva σ − ε, mentre il criterio di Von Mises ha miglioriprevisioni per gli acciai ad alto tenore di carbonio, leghe leggere, acciai inossidabili, i quali hanno uno snerva-mento più regolare.

    Si possono ancor meglio confrontare i due criteri rappresentandoli nello spazio delle tensioni. La tensioneequivalente di Von Mises risulta, quindi, un cilindro avente come asse la trisettrice del primo ottante, ossia laretta caratterizzante lo stato idrostatico; per quanto riguarda Tresca si vede che il solido è formato dall’unionedi sei piani, formanti un prisma a base esagonale regolare inscritto nel solido descritto precedentemente.

    Fig.3: Regione di ammissibilità

    Nel caso delle travi, basta visualizzare questi luoghi geometrici suuno dei piani coordinati. Tali proiezioni, indicano la regione diammissibilità, ossia la regione (contenente l’origine) all’interno ditali zone. Dalla figura a fianco si vede come la regione trovata conTresca sia sempre contenuta in quella di Von Mises. Soltanto inalcuni punti le previsioni coincidono, ossia nel caso di stato di ten-sione monoassiale e nel caso di tensione equibiassiale (rappresentatadalla bisettrice del primo quadrante); in questi due casi infatti lalunula di Mohr degenera in una sola circonferenza. La maggiordifferenza percentuale si ha invece proprio per lo stato di tensionedi taglio puro (bisettrice secondo quadrante), dove si ha anche unadifferenza tra i due criteri di circa il 14%.

    Bisogna precisare che con questa verifica, siamo in grado di stabilire solo se una struttura è ammissibile ingrande, infatti nella nostra analisi, abbiamo trascurato tutti quei fenomeni che non rientravano nel modello ditrave, ossia tutto ciò che accadeva in zone aventi estensione confrontabile con la superficie della sezione. Cieravamo serviti, infatti, dell’ipotesi di De Saint Venant, considerando le zone di estinzione al massimo di aventiraggio pari al raggio della sezione della trave. Questo significa inevitabilmente che oltre alla verifica in grande,andranno studiate delle particolari soluzioni locali, in modo da assicurare delle ottimali condizioni di lavorodella struttura intera, cosa però che esula da ciò che faremo in questo corso.

    Per quanto ci riguarda, per adesso, faremo la verifica di resistenza e potremo dire se la struttura e verifica-ta o meno come trave. Spesso però le previsioni si mostrano poco precise, per via che la sezione critica cade lamaggior parte delle volte nelle zone di estinzione, o dove è applicato il carico esterno, o nelle zone di vincolo, odove c’è un brusco cambiamento di sezione.

    2

  • TECNICA delle COSTRUZIONI MECCANICHE Nicola Arrighi – lezione 12/04/2007 (2h)

    Finora siamo in grado di verificare la resistenza allo snervamento di un generico problema di trave, isostatico o ad esso riconducibile. Spesso nella pratica, però, ciò non è sufficiente: occorre anche garantire che l’inevitabile distorsione del componente strutturale sollecitato sia compatibile con quella ammessa dal corretto funzionamento (verifica di rigidezza).

    . In genere, rispetto alla resistenza, le condizioni di rigidezza sono più restrittive e le modalità di intervento in caso di mancata verifica sono molto più invasive (non bastano interventi locali, occorre in sostanza rifare il progetto del componente). Operativamente effettuare una verifica di rigidezza significa: essere in grado di calcolare lo spostamento δ e l’inclinazione ϕ della linea d’asse e confrontarli con i corrispondenti valori ammissibili.

    DIFFERENZIALE ( f ma=∼ ) più lungo e sistematico Metodi:

    VARIAZIONALE ( L K= Δ∼ ) più rapido e mirato Condizioni di applicabilità che devono essere verificate:

    1) corpi poco deformabili (δ

  • Si definiscono tre quantità algebriche legate allo spostamento: My Tx → u(s) lungo x con: Mx Ty → v(s) lungo y - s : ascissa curvilinea dell’asse della trave indeformata N → w(s) lungo z - (x,y,z) sistema di riferimento locale della trave indeformata

    In presenza di carichi combinati, come per il taglio anche l’effetto della forza normale è trascurabile. Infatti:

    Curvatura

    Teoria della flessione ⇒ ( )1( )( ) ( )

    x

    x

    M sk sR s E J s

    =⋅

    Geometria differenziale ⇒ 2 3/ 2''( )( )

    [1 '( ) ]f xk xf x

    =+

    Dove la pendenza è nulla ( ) ''( )k x f x=Dove la pendenza è piccola è il nostro caso (corpi poco deformabili) ( ) ''( )k x f x

    Notando che ( ) ( )f x v s⇔ otteniamo: ( )''( )( )

    x

    x

    M sv sE J s

    = −⋅

    Il “-“ introdotto deriva essenzialmente dal fatto che un determina una curvatura che nel sistema locale di trave ha concavità

    0xM >''( ) 0v s <

  • TECNICA DELLE COSTRUZIONI MECCANICHE - LEZIONE DEL 16/04/2007 Riassunto di Ferri Andrea Nota la linea elastica possiamo ricostruire la struttura della trave. Avevamo trovato

    che xx

    MkEJ

    = , ma anche che risultava approssimato con l’espressione 2

    2

    d vds

    − . Mettendo

    insieme le 2 relazioni abbiamo trovato che 2

    2x

    x

    Md vds EJ

    = − . xM e xJ possono dipendere

    da s. Integrando 2 volte l’espressione sopra ricavata si ottiene v(s) a meno di due costanti di integrazione che si calcolano tramite le condizioni al contorno del problema specifico. In virtù della semplificazione fatta relativamente alla curvatura non si ottiene un risultato esatto, ma i vantaggi derivanti dall’operare così sono molto maggiori dell’errore commesso. Supponendo poi che xJ non dipenda da s –o perlomeno a tratti- possiamo calcolare la derivata terza e quarta di v(s) ottenendo:

    3

    3y

    x

    Td vds EJ

    = − e 4

    4o

    x

    pd vds EJ

    = indicando con op il carico sulla trave. Le 3 equazioni viste,

    opportunamente integrate, portano allo stesso risultato, mentre la scelta di quale equazione usare sarà dettata dal tipo di problema. Quindi ricapitolando: v(s)=Freccia; v’(s)=Coefficiente angolare della linea d’asse,cioè la rotazione della sezione della trave rispetto alla posizione scarica; v’’(s)=Curvatura, legata al momento flettente; v’’’(s)=Dà informazioni sul taglio;

    (s)= Non dà indicazioni perché è legata al carico. IVvGeneralmente parleremo di travi rettilinee, con rigidezza flessionale pari ad EJ e sufficientemente snelle da poter trascurare gli effetti del taglio. Facciamo l’esempio di una trave a mensola con un momento Mo concentrato all’estremità. Mo In questo caso Mx(s)= Mo perciò partiamo direttamente dalla dalla derivata seconda;

    abbiamo che v’’(s)=- ox

    MEJ

    . Integrando 2 volte otteniamo v=2

    1 22o

    x

    M sk cEJ

    s c= − + + . Le due

    costanti si ricavano con le condizioni al contorno, cioè dai vincoli; in questo caso possiamo dare condizioni solo su v(s) e su v’(s), e imponendo v(0)=v’(0)=0 si ricavano facilmente = =0. Perciò la linea elastica sarà un a parabola col vertice nella sezione d’incastro. Tutto ciò va in contrasto con quanto visto finora, in quanto teoricamente dovrebbe essere una circonferenza,ma ancora una volta l’approssimazione fatta per la k porta ad un piccolo errore. Tuttavia la curvatura è esatta nella sezione d’incastro e la soluzione trovata è la forma polinomialmente più simile alla soluzione esatta. Inoltre c’è anche un piccolo spostamento orizzontale che noi trascuriamo.

    1c 2c

    Un’altra situazione da notare è quella di una trave a mensola soggetta al peso proprio. po Avendo po possiamo partire da dove vogliamo,in questo caso dal 4°ordine:

    IV o

    x

    pvEJ

    = . Il fatto interessante è che avremmo potuto scrivere lo stesso anche se la

  • TECNICA DELLE COSTRUZIONI MECCANICHE - LEZIONE DEL 16/04/2007 Riassunto di Ferri Andrea trave era iperstatica. Integrando 4 volte si trova l’espressione

    4 3 21 2

    3 424 6 2o

    x

    p s c s c sv cEJ

    = + + + +s c . Le condizioni al contorno possono essere,ad esempio,

    v(0)=0; v’(0)=0; 2 ''1(0) (0)2x o x

    M p l EJ v= = − '''(0) (0)y o xT p l EJ v= = −; .

    Tuttavia non è molto comodo perché 2 condizioni necessitano il calcolo di Mo e Ty, quindi si ricavano le condizioni sull’estremità opposta della trave in cui il momento e il taglio sono nulli. Otteniamo quindi un sistema 4x4 univocamente determinato. Finora sembra che la teoria della linea elastica possa andar bene sempre, ma va in difetto in caso di carichi concentrati come in figura: p In questo caso non si ha un’espressione analitica di v(s) e sue a derivate in modo semplice. Si possono però inserire funzioni discontinue o dividere il dominio, considerare cioè la soluzione da 0 ad “a” e da “a” ad “l”, cioè una 0

  • Lezione di Tecnica delle Costruzioni Meccaniche Matteo Trichilo 18/04/07 (1h)

    APPLICAZIONI DELL’ INTEGRALE DI MOHR.

    Nel caso di problema piano con una trave soggetta a peso proprio, se volessimo calcolare la rotazione della sezione A intorno all’asse x, potremmo utilizzare tre differenti metodi: 1° Modo: Metodo della Linea Elastica (sconsigliato) 2° Modo: Metodo di Castigliano con carico fittizio Ф 3° Modo: Metodo dell’ Integrale di Mohr, che non è altro che la conclusione di Castigliano Se uso Mohr devo trovare le caratteristiche di sollecitazione dovute al carico vero

    (Np(s) Mxp(s) Typ(s)) e quelle dovute al carico esploratore unitario,1N·m,( N1(s) Mx1(s) Ty1(s)). Dovrò quindi fare l’integrale concio per concio di tutta la struttura. (+) = rotazione oraria; (−) = rotazione antioraria. Il metodo dell’integrale di Mohr viene anche detto: METODO DEI LAVORI VIRTUALI APPLICATO ALLE STRUTTURE. Vediamo perché:

    Oggetto con elasticità concentrata (barra infinitamente rigida collegata al telaio con una cerniera e una molla di torsione μ). Voglio calcolare la grandezza energeticamente associata a P, cioè di quanto si abbassa la sezione A. Potrei usare la statica, poiché sono nel campo dei corpi poco deformabili, oppure il metodo dei lavori virtuali introducendo però il lavoro fatto dalla

    molla (energia elastica). Se calcolo il lavoro virtuale di tutte le forze considerando lo spostamento effettivo (è lecito perché piccolo e le forze sono costanti) esso deve esser nullo, poiché il sistema è in equilibrio. δL = 1·vA – 1·l ( P·l / μ ) = 0 1·vA = lavoro virtuale della forza esploratrice unitaria esterna (-) perché la molla si oppone ⇓ 1·l = momento sulla molla prodotto dal carico unitario (M1) 1·vA – (M1MP/μ) = 0 P·l = momento effettivo prodotto dal carico vero (MP) μ = è la rigidezza flessionale della molla ⇓ P·l/μ = è l’angolo di rotazione effettivo prodotto dal carico vero vA = M1MP/μ -1·l (P·l/μ) = lavoro virtuale delle forze interne

    Voglio calcolare l’abbassamento della sezione estrema A . Applico un carico unitario e poi utilizzo l’integrale di Mohr 1·vA = ∫ MP(s) M1(s) / EJ ds dove MP(s) / EJ = KP ( curvatura vera )

    L’integrale di Mohr può essere considerato come applicazione del PLV in cui il carico applicato è quello esploratore unitario e lo spostamento è quello effettivo dovuto al carico vero. Vediamo i due seguenti casi: A e B sono due punti qualsiasi della struttura. P è il carico noto applicato in A.

    Voglio sapere di quanto si sposta B lungo la direzione m. Con Mohr δB = ∫ MP(s) M1(s) / EJ ds Volendo potrei considerare il carico P come il prodotto di una forza unitaria per P, ottenendo così: δB = ∫ PM1A(s) M1B(s) / EJ ds δB = P ∫ M1A(s) M1B(s) / EJ ds

    Questa volta vogliamo lo spostamento di A lungo n: δ A = ∫ MP(s) M1(s) / EJ ds Se come prima immagino P scomposto in una forza unitaria per P ottengo: δA = ∫ PM1B(s) M1A(s) / EJ ds δA = P ∫ M1A(s) M1B(s) / EJ ds Cioè lo stesso risultato di prima per δB .

  • Possiamo quindi enunciare il seguente TEOREMA DI RECIPROCITA’ (di BETTI), di cui il precedente esempio è un caso particolare: “Se applico in A una forza in direzione n ottengo uno spostamento di B avente una certa componente in direzione m. Se applico la stessa forza in B in direzione m, A si sposterà in direzione n della stessa quantità di cui si era spostato precedentemente il punto B”. BETTI GENERALIZZATO

    Prese due strutture identiche, almeno isostatiche, caricate in modo differente, il lavoro virtuale dato dal prodotto dei carichi applicati in 1) per gli spostamenti virtuali di 2) è uguale al lavoro virtuale ottenuto moltiplicando i carichi applicati in 2) per gli spostamenti virtuali di 1).

    Una conseguenza pratica del Teorema di Betti è la simmetria delle matrici di compliance e di stiffness. Mi basta quindi calcolare metà matrice, cioè solo una delle due componenti miste. L’integrale di Mohr è generalmente costituito da sei caratteristiche di sollecitazione, ma il più delle volte è fondamentale solo la flessione. La forza normale deve essere considerata nel caso di strutture reticolari e quando nella struttura ci sono funi elastiche. Nei casi in cui parti di strutture sono considerate rigide, i calcoli sono molto più semplici, infatti per esse EJ = ∞ e quindi l’integrale di Mohr è nullo.

  • Tecnica delle costruzioni meccaniche Gabriele Benigni Sintesi della lezione del 18/04/2007 (2h)

    Vogliamo trovare lo spostamento del punto A in direzione del carico P, vA, della struttura in fig.: P Q La difficoltà dipende dal secondo carico Q. Come possiamo procedere? A B Partiamo dal calcolare le caratteristiche di sollecitazione e con esse calcoliamo l’energia elastica che sarà funzione di P e di Q:

    U(P, Q) = ∫ ⎟⎟⎠

    ⎞⎜⎜⎝

    ⎛−

    Struttura x

    x

    EJM

    EAN 22

    21 ds

    Proviamo ad applicare il primo principio della termodinamica e calcoliamo il lavoro fatto dalle forze esterne ipotizzando un processo di caricamento omotetico (gli spostamenti crescono in maniera proporzionale con l’aumentare dei carichi):

    P +dP Q

    P +dP Q

    L = BA QvPv 2

    121

    + = U(P, Q)

    Ci rendiamo subito conto che, data l’introduzione del secondo carico, le incognite sono due, vA e vB, e non possiamo applicare il primo principio in maniera elementare.

    vA vBB

    B

    Castigliano (docente del politecnico della fine del ‘800) propone una soluzione: Le sue ipotesi di partenza sono: l’ipotesi di linearità, grazie alla quale possiamo applicare il principio della sovrapposizione degli effetti (possiamo pensare un qualsiasi processo di caricamento), e l’ipotesi di trattare strutture poco deformabili e quindi di avere sempre piccoli spostamenti. Immaginiamo ora di incrementare il carico P con un dP L’ energia elastica diventa ora: U(P, dP, Q) = U(P, Q) +

    PQPU

    ∂∂ ),( dP

    Per la prima ipotesi fatta n


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