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IL CENTRO BIOS DELLA MEDICINA FISICA, DELLA RIABILITAZIONE E DELLA GINNASTICA POSTURALE
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bimestrale di informazione e aggiornamento medico n. 2 - 2012
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segreteria di RedazioneGloria Maimone
Coordinamento EditorialeLicia Marti
Comitato scientificoArmando CalzolariCarla CandiaVincenzo Di LellaFrancesco LeoneGiuseppe LuziGilnardo NovellliGiovanni PeruzziAugusto VellucciAnneo Violante
Hanno collaborato a questo numero:Alessandro Ciammaichella, Silvana Francipane,Stefano Gaudino, Francesco Leone, Giuseppe Luzi,Giuditta Valorani, Lelio R. Zorzin.
La responsabilità delle affermazioni contenute negli articoli è dei singoli autori.
Direzione, Redazione, AmministrazionebioS S.p.A. Via D. Chelini, 3900197 Roma Tel. 06 [email protected]
Grafica e ImpaginazioneVinci&Partners srl
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Edizioni bIos S.p.A.Autorizzazione del Tribunale di Roma:n. 186 del 22/04/1996
In merito ai diritti di riproduzione la BIOS S.p.A.si dichiara disponibile per regolare eventuali spettanze relative alle immagini delle quali non sia stato possibile reperire la fonte
Pubblicazione in distribuzione gratuita.
Finito di stampare nel mese di maggio 2012
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1
L’editoriale 2Francesco Leone
Tenosinovite villo-nodulare pigmentosa associata ad artrite reumatoide 3Lelio R. Zorzin, Silvana Francipane
Mixing 6Alessandro Ciammaichella
A tutto campo Quando (quanto) siamo normali 8Giuseppe Luzi
Il Punto Tiroide e gravidanza 11Stefano Gaudino
36selectio
Leggere le analisi Il protidogramma elettroforetico 37a cura di Giuseppe Luzi
From bench to bedside 41 Giuditta Valorani
Periodico della bIos s.p.A. fondata da Maria Grazia Tambroni Patrizi
L’E
DIT
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2
EDIToRIALEFrancesco Leone - Direttore sanitario Bios S.p.A.
Quando il medico, dopo una visita, decide
di prescrivere le analisi, il paziente è abi-
tuato ormai a leggere, forse distrattamente, i
valori che verranno riportati sulle tabelle e sul-
le pagine con bella carta intestata dei vari la-
boratori. Vicino al valore riportato è scritto di
solito il range dei valori “normali”.
L’approccio dell’utente è semplice: se i ri-
sultati che riguardano i parametri esaminati so-
no nella norma, vuole dire che tutto è a posto.
Qualche dubbio si insinua se il lettore vede i
risultati nella zona di confine, vicino ai valori
di riferimento bassi o alti. Ancora di più l’in-
certezza emerge quando, magari di poco, il pa-
rametro che viene controllato risulta fuori sca-
la. Si torna dal medico e si aspetta il commen-
to. Ma quanti conoscono il “curriculum” di
ogni analisi?
In passato, un passato molto lontano, si di-
ce che il medico “meno bravo” fosse quello
che nei reparti ospedalieri veniva collocato a
leggere i campioni delle urine o a fare quelle
poche analisi un tempo disponibili. Tutto era
clinica: segni, sintomi, anatomia macroscopi-
ca, morfologia e (diciamolo) anche un po’ di
chiacchiere. Così evolve la scienza, ogni di-
sciplina, anche per… tentativi.
Ai nostri giorni il laboratorio è parte inte-
grante di ogni valutazione clinica e lo studio
dei parametri biologici permette di fare dia-
gnosi precoci, di confermare sospetti diagno-
stici, di controllare l’andamento di un processo
morboso già noto. La diagnostica di laborato-
rio utilizza complessi meccanismi e procedure
che devono basarsi su adeguati sistemi di con-
trollo (qualità, specificità, sensibilità).
In particolare, soprattutto per le analisi così
dette di routine, si ricorre a strumentazione au-
tomatica e quindi lo specialista medico e/o il
tecnico di laboratorio debbono effettuare
un’accurata sorveglianza sull’intero ciclo di
lavoro che per ogni analisi prevede diversi
passaggi: controlli interni al sistema, valida-
zione con campioni di riferimento, eventuale
ripetizione dei test se emergono elementi di
non congruenza con la metodica usata.
Soffermarci su questi aspetti e sottolinea-
re come il laboratorio sia la risultante di va-
rie discipline convergenti (fisica, chimica,
ingegneria, biologia cellulare, chimica/fisi-
ca, immunologia, etc.) è importante sia per
l’utente che fruisce del risultato sia per il me-
dico che acquisisce il valore, con consape-
volezza ovviamente professionale rispetto al-
l’utente.
Da questo numero (pag. 37) iniziamo a
esaminare alcuni dei parametri noti nella pra-
tica della diagnostica di laboratorio per rende-
re più agevole la lettura dell’indagine sia al-
l’utente, sia al medico non specialista di labo-
ratorio, bravo clinico e competente professio-
nista ma talora non adeguatamente infor mato
sulla dinamica delle procedure che riguardano
il risultato atteso per il parametro in valuta-
zione. Questo consentirà, entro certi limiti, di
fare anche un po’ di storia della medicina e for-
nirà, ci si augura, uno stimolo efficace per un
maggiore interesse sulla materia.
CAPIRE LE AnALIsI
3
Nell’artrite reumatoide (AR) le lesioni granu-
lomatose sinoviali a carico delle articolazio-
ni si accompagnano ad analoghe manifestazioni a
carico delle guaine tendinee e a noduli reumatoi-
di. Dette lesioni sono l’espressione di una stimo-
lazione sistemica di natura autoimmunitaria.
La tenosinovite villo-nodulare pigmentosa
(TSVNP) si differenzia però dalle altre sinoviti
infiammatorie per la caratteristica istologica del-
la presenza di depositi di emosiderina in uno
stroma di fibre reticolari e collagene, cellule gi-
ganti multinucleate e cellule schiumose (1). La
TSVNP può coesistere con l’osteoartrosi delle
grandi (2, 3) e piccole articolazioni e l’artrite
psoriasica (4). Una TSVNP a carattere destruen-
te è stata descritta a carico di entrambi i polsi da
A.U. Jamieson e coll. (5). La diagnosi di TSVNP
può porre seri problemi di interpretazione della
sua natura quando si associa alla AR, simulando
un’estroflessione della sinovite articolare oppu-
re la presenza di un nodulo (fig. 1).
Il caso presentato in questa sede è quello di
una donna di 63 anni, affetta da circa venti anni
da AR, con grave impegno poliarticolare, in par-
TEnosInovITE vILLo-noDULAREPIGMEnTosA AssoCIATA AD ARTRITEREUMAToIDELelio R. Zorzin - Specialista ReumatologoSilvana Francipane - Medico in formazione Medicina Generale (MG)
Fig. 1 – Artrite reumatoide. Evidente tumefazione delle articolazioni interfalangee prossimali. Deviazioneassiale del III dito della mano destra a livello dell’articolazione interfalangea prossimale. Piccolo noduloin prossimità dell’articolazione interfalangea prossimale del II dito della mano sinistra.
4
ticolare delle articolazioni metacarpofalangee,
interfalangee prossimali e anchilosi delle ossa
del carpo bilateralmente (fig. 2). La paziente ha
notato l’insorgenza a carico del secondo dito del-
la mano sinistra di una formazione nodulare,
morbida, non dolente, in discontinuità con l’arti-
colazione interfalangea contigua. Nel dubbio
della presenza di un “nodulo reumatoide”, con-
dizionante una certa gravità di malattia, si è resa
indispensabile l’asportazione chirurgica di detta
formazione per l’esame istologico. Dal punto di
vista istologico è stata chiarita l’ipotesi di una
TSVNP, grazie all’impiego della colorazione di
Perls, che ha dimostrato la presenza di depositi di
emosiderina (fig. 3). Il caso conferma la sede
prediletta della TSVNP a carico delle mani, se-
condo, e terzo dito, la maggiore incidenza nel
sesso femminile, mentre si dissocia per l’insor-
genza in età avanzata. Non comune l’associazio-
ne con l’AR. La segnalazione sull’utilità di RM
(6), TC e spettrofotometria dell’essudato (7) nel-
la diagnosi differenziale delle varie sinoviti iper-
trofiche e della stessa TSVNP presenta limiti in
rapporto alle dimensioni della sede da esamina-
re. Ne deriva che solo la biopsia della neoforma-
zione localizzata può dirimere la diagnosi, come
nel caso in oggetto.
Anche il nostro caso ripropone la problema-
tica segnalata da A.U. Mertens e coll. nel 1993
(8): se la sinovite villo-nodulare pigmentosa o
“tumore a cellule giganti” sia espressione di una
vera e propria neoplasia o di una proliferazione
reattiva infiammatoria.
Fig. 2 – stesso caso della fig. 1: anchilosi completadelle ossa del carpo bilateralmente, evidenti ero-sioni delle articolazioni interfalangee prossimali e dialcune metacarpofalangee. Rima radicarpica scom-parsa bilateralmente. Coesistono noduli di Heber-den e rizoartrosi.
Fig. 3 – Tenosinovite villo-nodulare pigmentosa.L’esame istologico della neoformazione sottocuta-nea della mano sinistra evidenzia uno stroma con-nettivale con abbondante deposizione di pigmentoferrico (emosiderina). Metodica istochimica delPerls (10 x; 40 x).
5
1. Zorzin L. et al. Tenosinovite villonodulare pigmentosa associataa gonoartrosi: descrizione di un caso. Atti II Con-gresso AIRO [1986]; 51-55.
2. Graham G.P., et al. The knee. In: Klippel J.H., Dieppe P.A., PracticalRheumatology. Mobsy; 1955: 103.
3. Church C.A., Rowe M., Llaurado R., Liwniczb.H., Martin P.A.Pigmented villonodular synovitis of the temporo-mandibular joint: a report of two cases. Ear NoseThroat J. 2003 Sep; 82 (9): 692-5.
4. Archer-Harvey J.M. et al Pigmented villonodular synovitis associated withpsoriatic polyarthropathy: an electron microscop-ic and immunocytochemical study. J Pathos. 1964;144: 57-68.
5. Jamieson A.U. et al.
Bilateral pigmented villonodular synovitis of thewrist. Orthop Rev 1990; 19 (5): 432-36.
6. barile A., sabatini M., Iannessi F., Di CesareE., splendiani A., Calvisi v., Masciocchi C.Pigmented villonodular synovitis (PVNS) of theknee joint: magnetic resonance imaging (MRI) us-ing standard and dynamic paramagnetic contrastmedia. Report of 52 cases surgically and histo-logically controlled. Radiol Med. 2004 Apr; 107(4): 356-66. English, Italian.
7. beloenko E.D. et al. Spectrophotometric study of synovial exudate indifferential diagnosis of pigmented villonodularsynovitis. Orthop Traumatol prot 1990; 5: 32-43.
8. Mertens F. et al. Chromosome aberrations in tenosynovial giantcell tumors and nontumorous synovial tissuegenes. Chromosomes Cancer 1993; 6: 212-217.
bibliografia
Il prof. Lelio Zorzin, reumatologo, già professore associato di Reuma-
tologia nella Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Roma “La
Sapienza”, svolge attività di consulenza presso la BIOS S.p.A. di Roma
in via Domenico Chelini 39.
Info CUP 06 809641
MIx
InG
6
GLI AnTICHI RoMAnI A TAvoLA
I nostri antenati, al pari di quelli greci, avevanol’abitudine di mangiare reclinati su un fianco(motivo sconosciuto). È una posizione antifisio-logica in quanto ostacola la deglutizione.
CARDIovERsIonE nELLAFIbRILLAZIonE ATRIALE
È di tre tipi: 1) farmacologica, al primo episodio:amiodarone, propafenone, flecainide; 2) elettricatrans toracica: se la fibrillazione atriale persiste;3) endocavitaria con pace-maker.
PRoGnosI DA FIbRILLAZIonEATRIALE
La fibrillazione atriale valvolare, per alterazionedella mitrale, ha un rischio di ictus cinque voltepiù elevato della forma non valvolare: questa poiscompare più facilmente con i farmaci.
vIRUs EboLA
Causa di una febbre emorragica spesso letale, è
così denominata dal nome di un affluente del fiu-me Congo, dove si è verificata la prima epidemia.
DAnnI DA sTATInE
Il danno muscolare è il più frequente: viene li-berata la mioglobina che passa nel sangue e quin-di nelle urine a causa della miosite che, nelle for-
6
me più gravi, può determinare insufficienza re-nale acuta; nelle forme più leggere e più fre-quenti vi è la mialgia. Il danno renale, più raro epiù grave, è assente con la fluvastatina.
LE GRAnDI MEnTITRICI
Tra le affezioni che sono più spesso scambiateper altre figurano connettivite mista, sindromiparaneoplastiche, porfiria epatica, feocromocito-
ma, epilessia, isterismo.
TRoMbosI vEnosA E TUMoRI.
Tra le cause delle flebotrombosi non vi sono so-lo le neoplasie polmonari (sindromi paraneopla-
stiche), ma anche farmaci antitumorali, come iltamoxifene, usato per il cancro della mammella.
IPERTRoFIA ConCEnTRICA DELvEnTRICoLo sInIsTRo.
È più grave di quella eccentrica: vi è aumentatoingresso di ioni calcio nei miociti, che favorisce
le aritmie atriali e ventricolari. Il miocita iper-trofico diventa poi insufficiente. Sartani e ACE-inibitori sono i più efficaci.
CUoRE E CERvELLo
Il “buon medico” sarebbe bene che cercasse dicurare il cuore attraverso il cervello e di cura-re il cervello attraverso il cuore (un saggio ano-nimo).
ALLATTAMEnTo AL sEnoConTRoInDICATo
In casi molto limitati il lattante va nutrito con lat-te in polvere: madre sieropositiva e/o curata confarmaci anti-AIDS, con uso di droghe, con che-mio- o radioterapia ancora in corso.
7
a cura di A. Ciammaichella
8
A T
UT
To
CA
MP
o
f(x)
x
µ µ+σµ−σ
ff((xx) = ) = 11
σ√σ√22ππee
–– ((xx−µ)−µ)22
2σ2σ22
0,4
1 2 3 4 5 60
0,3
0,2
0,1
0,0
QUAnDo (QUAnTo) sIAMo noRMALIGiuseppe Luzi
Professore associato (f.r.) di Medicina Interna
8
Si dice comunemente: questo evento è nor-
male. Va bene, ma come ci accordiamo con
questo lemma intrigante? Sul vocabolario tro-
viamo che è normale quello che è regolare,
conforme alla regola o alla consuetudine. Ma
sembra un po’ troppo generico se non impreci-
so. Sul vocabolario Treccani, on line, troviamo
scritto meglio come segue.
normalità: carattere, condizione di ciò che è o si
ritiene normale, cioè regolare e consueto, non
eccezionale o casuale o patologico, con rife-
rimento sia al modo di vivere, di agire, o al-
lo stato di salute fisica o psichica, di un indi-
viduo, sia a manifestazioni e avvenimenti del
mondo fisico, sia a situazioni (politiche, so-
ciali, ecc.) più generali: n. di un comporta-
mento, di una reazione; stanchezza fisica,
mutamenti di umore, escursioni termiche, va-
riazioni climatiche, oscillazioni di mercato,
ecc. che rientrano nella (o escono dalla) nor-
malità. In senso più astratto, condizione o si-
tuazione normale: vivere, restare nella n.; tor-
nare alla n.; il ritorno alla n. dopo un periodo
di disordini (nel linguaggio politico, l’e-
spressione ritorno alla n. è spesso servita a
mascherare un forzato, e talora sanguinoso,
ristabilimento dell’ordine o comunque l’ado-
zione di metodi repressivi).
Le cose vanno abbastanza bene ma non tan-
to. In Medicina quando si è normali? Un aiuto lo
fornisce la matematica, o meglio, la statistica.
Vediamo come. Navigando in internet e ferman-
doci “banalmente” su Wikipedia troviamo una
discreta definizione, che ci riconduce meglio al-
la realtà, si tratta della definizione di distribu-
zione normale: “In teoria della probabilità la di-
stribuzione normale, o di Gauss (o gaussiana) dal
Esempio di curva gaussiana
9
nome del matematico tedesco Carl Friederich
Gauss, è una distribuzione di probabilità conti-
nua che è spesso usata come prima approssima-
zione per descrivere variabili casuali a valori rea-
li che tendono a concentrarsi attorno a un singo-
lo valore medio. Il grafico della funzione di den-
sità di probabilità associata è a forma di campa-
na, nota come Campana di Gauss (o anche come
curva degli errori, curva a campana, ogiva). La
distribuzione normale è considerata il caso base
delle distribuzioni di probabilità continue a cau-
sa del suo ruolo nel teorema del limite centrale.
Più specificamente, assumendo certe condizio-
ni, la somma di n variabili casuali con media e
varianza finite tende a una distribuzione norma-
le al tendere di n all’infinito. Grazie a questo teo-
rema, la distribuzione normale si incontra spes-
so nelle applicazioni pratiche, venendo usata in
statistica e nelle scienze naturali e sociali come
un semplice modello per fenomeni complessi. La
distribuzione normale dipende da due parametri,
la media m e la varianza σs2; è indicata tradi-
zionalmente con: N (m , s2)”.
Molti studenti, delle diverse facoltà, prima o
poi incontrano la curva di Gauss. E la curva di
Gauss è così importante che ha avuto anche suc-
cesso grafico, come nell’immagine della banco-
nota in marchi tedeschi di qualche anno fa.
Dobbiamo molto a Gauss, nella vita di tutti
i giorni e nelle più semplici operazioni che
compiamo. Carl Fiedrich Gauss era il figlio uni-
co di genitori in modeste condizioni economi-
che. Nasce il 30/4/1777 a Brunswick (morirà il
23/2/1855 a Goettingen). Con notevoli capacità
precoci in campo matematico presenterà una
sua dissertazione sul teorema fondamentale del-
l’algebra a 22 anni (nel 1799). Due anni dopo
vede la luce “Disquisitiones Arithmeticae” te-
sto basilare per la teoria dei numeri. Il suo la-
voro spazia dai numeri complessi all’astrono-
mia, dall’elettromagnetismo al calcolo delle
probabilità. È nell’ambito di questi studi che
elabora la celeberrima “curva gaussiana”. È in-
teressante ricordare che grazie a suoi studi sul-
l’andamento dei mercati finanziari fu in grado
di acquisire anche buone condizioni economi-
che. Per Gauss la matematica è la “regina delle
scienze”.
Come entra la curva di Gauss nella vita di un
medico? In Medicina (e nelle scienze correlate)
10
è l’unico indice di prima approssimazione con il
quale fare i conti per interpretare un fenomeno,
osservare l’andamento di un processo morboso
e, entro certi limiti, impostare il ragionamento
per una diagnosi corretta. La curva gaussiana
non è poi tanto semplice, come sembra suggeri-
re la sua rappresentazione grafica: la così detta
variabile casuale normale (la “gaussiana) è ge-
nerata dalla funzione:
e descrive il comportamento e l’entità degli er-
rori di misurazione. La variabile normale è sicu-
ramente una delle più importanti variabili casua-
li, ed è assai diffusa in statistica. Il nome “nor-
male” prende origine dall’osservazione che mol-
ti fenomeni si distribuiscono con frequenze più
elevate nei valori “centrali” e con frequenze pro-
gressivamente più piccole verso gli estremi del-
la variabile considerata. Nelle discipline speri-
mentali, come in fisica, la curva viene anche de-
finita “degli errori accidentali”, con riferimento
al fatto che la distribuzione degli errori effettua-
ti durante la misurazione ripetuta di una stessa
grandezza si approssima piuttosto discretamente
nell’andamento della gaussiana tipica.
Possiamo dire, con buona approssimazione,
e con accettabile buon senso, che la curva di
Gauss ci avvicina alla realtà, ma non troppo.
Ecco quindi che essere “normali” è un po’ me-
no banale di quanto possa sembrare. Per esem-
pio, tra i tanti possibili parametri, se vogliamo
misurare l’altezza degli uomini appartenenti a
una certa popolazione, vedremo che se pren-
diamo un buon numero di unità, 1.000-10.000
soggetti, avremo una curva a campana che si ac-
centra attorno a un valore medio di circa 175
cm (in Italia), con una deviazione standard di
una ventina di cm. In pratica, se vogliamo sta-
re nei numeri, la maggior parte degli uomini (il
95%) ha un’altezza compresa tra 154-155 e
194-195 centimetri (più o meno, ma con buona
approssimazione). Quindi un italiano che misu-
ra un metro e sessantacinque centimetri magari
non è alto ma è abbastanza “nella norma”.
In Medicina questo problema è serio soprat-
tutto se analizziamo alcuni dei parametri più co-
muni nei vari test di laboratorio, test che possono
dare “false indicazioni” se interpretati con su-
perficialità. Innanzi tutto uno dei punti perico-
losi consiste nel considerare il campo di
variazione (così detto range) con valore assoluto
di “normalità”. Un altro aspetto, altrettanto peri-
coloso, riguarda la scarsa conoscenza della di-
stribuzione di un parametro. Sotto questo profilo
è assai pericoloso soffermarci sui valori così detti
borderline. L’osservazione può valere per qua-
lunque parametro: per esempio la glicemia. Se
in un laboratorio si fissa un valore massimo di
110 mg/dl, e si osserva un risultato con 112 o di
116, possiamo dire che il soggetto è diabetico?
Ovviamente no: ricorrendo alla gaussiana op-
portuna non è tanto significativo comprendere
quanto un valore sia vicino all’andamento della
popolazione studiata (si presume sana) ma è im-
portante quanto se ne è discostato, talmente di-
scostato da avere scarsissime probabilità di
essere derivato da un individuo sano (almeno in
quel momento, quando è stato effettuato il pre-
lievo).
Nella pratica di laboratorio, pertanto, l’evi-
denza di valori limite (alti e bassi) che si disco-
stino moderatamente dal range della norma non
rappresenta necessariamente un dato patologico;
f(x) = 1
σ√2πe
– (x−µ)2
2σ2
11
Le malattie della tiroide costituiscono le en-
docrinopatie di maggior riscontro in gravi-
danza e dopo il parto.
La frequenza di donne in gravidanza che pre-
sentano tireopatie conclamate o subcliniche,
spesso non idoneamente controllate e pertanto
potenzialmente dannose per il feto è notevol-
mente aumentata.
Quando viene sospettata l’insorgenza di una
tireopatia in gravidanza è pertanto necessario
intraprendere con celerità l’iter clinico-diagno-
stico ed eventualmente terapeutico adeguato
onde evitare complicanze alla madre ed effetti
dannosi al feto dovuti al passaggio transplacen-
tare di anormali quantità di ormoni materni, an-
ticorpi anti-recettore del TSH o di farmaci ti-
reostatici.
Negli anni più recenti sono stati dedicati nu-
merosi studi alla comprensione dei meccanismi
che regolano il rapporto tiroide-gravidanza e so-
no state elaborate linee guida che stabiliscono
condotte molto precise; tuttavia molti aspetti ri-
mangono ancora non completamente chiariti e
permangono ancora incertezze e controversie.
InTRoDUZIonE
La gravidanza si accompagna a profonde mo-
dificazioni dell’equilibrio endocrino della madre
e del feto: esse avvengono in maniera autonoma,
si influenzano reciprocamente soprattutto attra-
verso la placenta e sono determinate dalla ne-
cessità di adattamento dell’organismo della ge-
stante a quello del feto per garantirne il corretto
TIRoIDE E GRAvIDAnZAStefano Gaudino
Medico Specialista in Endocrinologia, Geriatria e Medicina Interna
IL P
Un
To
12
sviluppo (fig. 1).
1) FIsIoLoGIA MATERnA
In gravidanza la tiroide è una delle ghiando-
le maggiormente sottoposte a un aumentato ca-
rico funzionale dovuto al variare di numerosi fat-
tori che agiscono indipendentemente e/o in coo-
perazione fra di loro con l’effetto di incrementa-
re la richiesta di ormoni tiroidei del pool pla-
smatico e quindi aumentare la loro disponibilità
tissutale:
• Aumento della concentrazione sierica del-
la globulina legante la tiroxina (TbG)
Rappresenta sicuramente il fattore più im-
portante.È determinato dall’azione che gli
estrogeni secreti dalla placenta esercitano a
carico del fegato aumentando la sua sintesi e
riducendo il suo catabolismo.
La sua concentrazione nel siero inizia ad au-
mentare intorno al 20° giorno dall’ovulazio-
ne, raggiunge il massimo durante la seconda
metà della gravidanza per mantenersi co-
stante sino al parto, per poi diminuire nel-
l’arco di circa 5 settimane.
L’importanza di tale evento è data dal fatto
che fisiologicamente l’ormone biologica-
mente attivo è quello libero e la TBG lega
circa il 75% della T4 e l’80% della T3; per-
Fig. 1 – Modificazioni della funzionalità tiroidea in gravidanza(Modificata da Nader e col. Thyroid Desease and Pregnancy, In: Creasy R.K:, ResnicK)
Ipotalamo
TRH
HCG
TSH
Ipo�si
Tiroide
T4, T3
TBG Ormoni liberi
Desiodazione placentareTipo II: da T4 in FT3Tipo III: da T4 in T3 reverse
Fegato
Placenta
Estrogeni
13
tanto ogni variazione della concentrazione
di TBG comporta una variazione di quella
degli ormoni totali e delle frazioni libere.
Il suo aumento determina l’aumento delle
concentrazioni di ormoni tiroidei totali e una
riduzione delle frazioni libere: ciò comporta
una aumentata sintesi di TSH da parte dell’i-
pofisi che a sua volta determina una aumen-
tata increzione di ormoni da parte della tiroi-
de al fine di mantenere l’eutiroidismo.
• Aumento dell’attività desiodasica
Le desiodasi sono enzimi che regolano il me-
tabolismo periferico degli ormoni tiroidei.
Sono di tre tipi:
- il tipo I, che non si modifica in gravidan-
za, determina la conversione di T4 in T3;
- il tipo II determina la formazione di FT3,
che viene utilizzato dal feto;
- il tipo III ha la proprietà di inattivare il T4
trasformandolo in T3 reverse che è un or-
mone inattivo.
Il tipo II ma soprattutto il tipo III sono secre-
ti dalla placenta e pertanto con l’aumentare
del volume placentare, che avviene nella se-
conda fase della gravidanza, cresce signifi-
cativamente l’attività questi enzimi.
Ciò comporta un aumentato catabolismo del-
la T4 che necessariamente deve essere com-
pensato da un’aumentata sintesi di ormoni da
parte della tiroide mediante l’attivazione del-
lo stesso circuito di controregolazione ipota-
lamo-ipofisario precedentemente descritto.
È stato valutato che il sovraccarico funziona-
le della tiroide che si verifica durante la gra-
vidanza oscilla tra il 40 ed il 60%: ciò è sta-
to determinato valutando l’aumentato fabbi-
sogno di L-tiroxina (LT4) in donne tiroidec-
tomizzate o sottoposte a trattamento metabo-
lico con radioiodio.
• Aumento del fabbisogno giornaliero di io-
dio
Esso è determinato dall’aumento della clea-
rence renale dello iodio che implica una sua
maggiore escrezione urinaria e dalla quantità
di questo elemento che viene messa a dispo-
sizione del feto.
Nelle zone caratterizzate da carenza iodica si
può assistere alla comparsa di deficit di iodio
in quanto questo aumentato fabbisogno può
non essere soddisfatto; ciò comporta che di-
viene difficile riuscire ad aumentare la sinte-
si di ormoni tiroidei in risposta all’aumento
di TBG e alle necessità del feto, che vanno di
pari passo con lo sviluppo e la maturazione
della sua tiroide.
• Aumento della gonadotropina corionica
(HCG)
È una glicoproteina essenziale nel manteni-
mento del corpo luteo e nella sua trasforma-
zione in corpo luteo gravidico: la sua secre-
zione inizia dopo il concepimento, raggiunge
il suo picco alla 10° settimana di gravidanza
per poi diminuire sino a un valore minimo al-
la 20° settimana.
È stato segnalato che attiva il recettore del
TSH mimandone l’effetto: troppo modesta,
comunque, questa azione per causare un iper-
tiroidismo; fenomeno che invece può accade-
re in alcune patologie come la mola e il co-
riocarcinoma nel corso delle quali viene se-
creta una quantità anomala di HCG.
Questi eventi non presentano difficoltà di
adattamento da parte di una tiroide normale; qua-
lora, invece, la ghiandola non sia esente da pato-
logia non riesce ad adeguarsi facilmente alle
nuove esigenze e pertanto spesso occorre inter-
venire farmacologicamente.
2) FIsIoLoGIA PLACEnTARE
La placenta ha una struttura tale da rendere
possibile il passaggio di iodio mentre funge co-
me barriera per gli ormoni tiroidei, del TSH e
della tireoglobulina: al suo interno è presente una
elevata concentrazione dell’enzima desiodasi ti-
po III che, come precedentemente descritto, de-
termina una degradazione della T4. Comunque
piccole quantità di T4 materna raggiungono il fe-
to prima che questo inizi la sua funzione tiroidea
e ciò è di estrema importanza per assicurare il
normale sviluppo del sistema nervoso nelle pri-
me settimane di gestazione.
La placenta è invece permeabile al TRH (l’or-
14
mone ipotalamico) ma questo elemento è di scar-
sa importanza in quanto la concentrazione di ta-
le ormone nel siero della madre è molto ridotta.
3) FIsIoLoGIA FETALE
Gli ormoni tiroidei sono indispensabili per la
differenzazione e la crescita dei tessuti del feto
ma soprattutto per il sistema nervoso; di qui l’im-
portanza anche di quelle piccole quantità di or-
moni tiroidei materni che superano la placenta
nelle primissime fasi della gestazione, quando
ancora l’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide fetale non
funziona autonomamente.
Dall’analisi del liquido amniotico è possibi-
le studiare l’attività della tiroide fetale e la sua
evoluzione durante la gravidanza.
La tireoglobulina, che è la proteina dove ven-
gono sintetizzati e immagazzinati gli ormoni ti-
roidei e che non attraversa la placenta, è stata evi-
denziata già nella quinta settimana di gestazione:
essa raggiunge il livello più alto verso la 27ª-28ª
settimana per rimanere costante sino alla nascita.
I follicoli compaiono intorno alla 10ª setti-
mana di gestazione. Il processo di captazione
dello iodio da parte della tiroide inizia alla 11ª-
12ª settimana. Anche l’ipofisi inizia a secernere
TSH in questo periodo e raggiungere il suo va-
lore massimo intorno alla 36ª settimana.
Il T4 inizia a formarsi dalla 12ª settimana, au-
menta progressivamente sino a eguagliare i va-
lori della madre poco prima del termine della
gravidanza.
Il T3 si mantiene relativamente basso per tut-
ta la gravidanza e aumenta rapidamente dopo la
nascita mentre aumenta la frazione dell’rT3.
Il meccanismo di controregolazione FT4-
TSH raggiunge l’equilibrio solo dopo il parto.
Nella tabella 1 vengono sintetizzati i cam-
biamenti fisiologici di maggior rilievo della ti-
roide in corso di gravidanza con i rispettivi ef-
fetti.
vALUTAZIonE DELLA FUnZIonALITà
TIRoIDEA
Dal momento che l’aumento fisiologico del-
la TBG in gravidanza determina un aumento dei
livelli delle T3 e T4 totali l’indice più fedele del-
la funzionalità tiroidea della donna in gravidan-
za è il dosaggio delle frazioni libere che rappre-
senta la quota metabolicamente attiva.
Nella maggior parte delle tireopatie le varia-
zioni della FT3 e della FT4 sono consensuali au-
mentando nell’ipertiroidismo e diminuendo nel-
l’ipotiroidismo: in tali patologie varia invece il
rapporto tra i due ormoni in quanto la FT3 au-
menta di più dell’altra frazione nell’ipertiroidi-
smo mentre diminuisce di meno nell’ipotiroidi-
smo. Questo comporta che la determinazione
dell’FT3 è più specifica per lo studio dell’au-
mentata funzionalità della ghiandola, quella di
FT4 quando essa è diminuita.
Esistono tireopatie nelle quali i livelli degli
ormoni, invece, si presentano discordanti: que-
sto avviene ad esempio nella forma di T3tossi-
cosi nel corso della quale si evidenzia un au-
mento isolato della FT3, nei soggetti eutiroidei
che vivono in aree a carenza iodica nei quali si
dimostra ancora un aumento della FT3 e dimi-
nuzione dell’FT4, nell’ipotiroidismo subclinico
con l’FT3 normale e l’FT4 che può essere anche
ridotto e infine in tutte quelle forme cliniche eu-
tiroidee che costituiscono le cosiddette sindromi
con bassa T3 dovute di solito a gravi malattie ex-
tratiroidee o al digiuno e caratterizzate da valori
normali di FT4 e bassi di FT3.
Il dosaggio del TsH è di fondamentale im-
portanza nella diagnosi delle tireopatie: esso è
divenuto talmente sensibile da rendere inutile la
esecuzione del test al TRH che rimane impor-
tante solo nella diagnosi differenziale tra ipoti-
roidismo ipofisario e quello ipotalamico. Il TSH
Tab. 1
Cambiamenti fisiologici Conseguenze tiroidee
↑ TBG sierica ↑ T4 e ↑ T3
↑ hCG nel primo trimestre ↓ TSH basale, ↑ FT3 e ↑ FT4
↑ eliminazione urinaria di iodio↑ trasporto placentare dello iodio al feto
↓ T4, ↑ TSH, gozzo(in zone a carenza iodica)
↑ della desiodazione accelerata degradazione di T4
15
diminuisce nell’ipertiroidismo, ma occorre evi-
denziare che esso può risultare ridotto nel primo
trimestre per l’influenza della gonadotropina co-
rionica, anche in perfetto eutiroidismo; aumenta,
invece, in tutte le forme di ipotiroidismo sia pri-
mitivo sia centrale.
CAREnZA IoDICA
L’importanza biologica dello iodio deriva dal
fatto che questo elemento è il costituente essen-
ziale degli ormoni tiroidei.
La principale fonte è costituita dal mare e
pertanto ne sono ricchi tutti gli alimenti di origi-
ne marina: i pesci di mare (115 microgr/100 gr)
e i crostacei in particolare (300 microgr/100 gr)
costituiscono la sua fonte maggiore ma anche
uova (70 microgr/100 gr), carne (60 microgr/100
gr) e latte (10 microgr/100gr) contengono una di-
screta quantità di tale elemento.
Il suo fabbisogno giornaliero negli adulti è di
circa 150 microgr ma in molti paesi del mondo,
e tra essi anche l’Italia, lo iodio è presente in
quantità ridotte e pertanto tale fabbisogno non
può essere soddisfatto (tab. 2).
Durante la gravidanza il processo di adatta-
mento funzionale della tiroide richiede un au-
mento del tasso di sintesi e di secrezione degli or-
moni tiroidei e ciò implica necessariamente l’au-
mento della disponibilità nutrizionale di iodio:
pertanto durante questo periodo il suo apporto
consigliato è significativamente più alto e deve
raggiungere almeno i 250 microgr/die.
L’organo che più risente di un eventuale de-
ficit di questo elemento è la tiroide che in un pri-
mo momento sopperisce con una iperplasia/iper-
trofia (gozzo) e in seguito, qualora esso dovesse
persistere, va incontro a un quadro conclamato
di ipotiroidismo.
Si è valutato che in Italia, sino circa a 10 an-
ni fa, fossero almeno 5 milioni le persone affette
da gozzo da carenza iodica localizzate soprattut-
to nelle regioni extraurbane centro-meridionali:
grazie alla iodoprofilassi tale valore si è signifi-
cativamente ridotto nel corso degli ultimi anni.
Le gestanti residenti in zone con carenza io-
dica non riescono a soddisfare l’esigenza di un
aumento dell’apporto di iodio e pertanto vanno
frequentemente incontro ad alterazioni morfo-
funzionali della tiroide; infatti si è dimostrato
che, in questi casi, l’aumento di volume della
ghiandola può arrivare sino al 30% quando in-
vece può raggiungere al massimo il 10% in don-
ne in gravidanza residenti in zone con apporto
iodico ottimale per l’ipervascolarizzazione della
ghiandola presente normalmente in gravidanza.
Gli indici sierologici di questo eccessivo ca-
rico funzionale sono rappresentati da valori ai li-
miti inferiori di FT4, dalla secrezione preferen-
ziale di FT3 con un rapporto elevato di FT3/FT4,
dall’aumento del TSH e della tireoglobulina.
La somministrazione di iodio si accompagna
a una netta riduzione delle modificazioni del vo-
lume della ghiandola. Le donne gravide che pre-
sentano patologia gozzigena possono essere trat-
tate anche con l’aggiunta di L-tiroxina in quanto
l’ormone attraversa la barriera placentare solo in
minima quantità e non influenza lo stato tiroideo
del feto normale: il dosaggio deve essere tale da
sopprimere il TSH.
Il feto risente notevolmente del deficit di io-
dio della madre in quanto durante la gravidanza,
e in particolare nel primo trimestre, la sua fun-
zione tiroidea dipende interamente dallo iodio
che gli proviene attraverso la placenta: si posso-
no verificare aborti spontanei, natimortalità, la
presenza di anomalie congenite.
Anche il neonato ne risente in quanto lo iodio
è presente in alte concentrazione nel latte mater-
Tab. 2 – Fabbisogno giornaliero di iodio
Adulto 150 m g/die
Gravidanza e allattamento 250 m g/die
Bambini 1-3 anni 70 m g/die
4-6 anni 90 m g/die
7-10 anni 120 m g/die
Neonato 40 m g/die
16
no: la sua tiroide fa difficoltà a produrre ormone
e ciò si traduce, a secondo della gravità del defi-
cit, nella comparsa di gozzo o nel cosiddetto
“ipotiroidismo neonatale transitorio” (tab. 3).
Una dissertazione a parte meritano i disturbi
neuropsichici causati da mancanza di iodio du-
rante la gravidanza o nei primi anni di vita. La
loro entità è determinata dal periodo di insor-
genza, dalla gravità e dalla durata della carenza.
Nelle aree dove il deficit è moderato i disturbi
sono minori e si limitano a modesti difetti di per-
cezione, di attenzione e ritardo dei tempi di rea-
zione: se invece la carenza iodica è stata grave e
protratta le alterazioni possono essere molto più
gravi fino a giungere al quadro clinico di “creti-
nismo endemico” caratterizzato da gravissimo ri-
tardo mentale, sordomutismo e grave deficit neu-
romotorio.
L’iodoprofilassi si è dimostrata un metodo ef-
ficace nella prevenzione dei disordini da caren-
za iodica. I metodi sono molteplici e la scelta è
legata soprattutto allo sviluppo socio-economi-
co dell’area geografica. In Italia che, come in tut-
ti i paesi industrializzati, dispone di una adegua-
ta rete di distribuzione il metodo utilizzato è
quello più semplice e meno costoso dell’aggiun-
ta di iodio al sale da cucina.
La nostra legislazione attuale prevede una
commercializzazione di 30 mg di iodio per kg di
sale. Il suo utilizzo è assolutamente volontario e
ciò comporta che il suo consumo attuale è di ci-
ca il 7% quando dovrebbe essere almeno del
70% in quanto tutta la popolazione italiana è a
rischio e bisognerebbe che se ne facesse uso in
tutte le regioni.
La forma di iodoprofilassi alternativa al sale
iodato è costituito dall’olio iodato (lipiodol) usa-
to soprattutto nelle zone endemiche del terzo
mondo. La sua somministrazione può avvenire
per via intramuscolare o per via orale; una singo-
la iniezione assicura un apporto di iodio per 3-5
anni mentre una singola somministrazione orale
fornisce la copertura per 1-2 anni; offre il vantag-
gio di una somministrazione unica, lo svantaggio
di dover essere somministrato individualmente.
Altre forme di profilassi sono costituite dal-
lo iodio introdotto nell’acqua ma la sua applica-
zione su larga scala risulta problematica in quan-
to risulta difficile il controllo di tutte le fonti di
approvvigionamento idrico.
TIRoIDITI AUToIMMUnI
Sono processi infiammatori cronici dovuti al-
la presenza di autoanticorpi antitiroidei circolan-
ti: determinano distruzione della tiroide median-
te un processo di immunità anticorpale sierica e
cellulo-mediata e causano un’insufficienza fun-
zionale della tiroide più o meno grave.
L’autoimmunità tiroidea si associa spesso ad
infertilità dovuta a endometriosi e disfunzione
ovarica ma non sono stati ancora chiariti quali
siano i rapporti diretti esistenti tra questi quadri
clinici: è indispensabile, pertanto, eseguire lo
screening immunitario tiroideo in tutta la popo-
lazione femminile infertile. Esso è ancora più
importante prima di un’eventuale riproduzione
assistita: l’iperstimolazione ovarica, che è carat-
terizzata da un aumento degli estrogeni circo-
lanti, può determinare in presenza di una tiroidi-
te autoimmune un‘alterazione della sua funzio-
nalità che può perdurare anche durante tutta la
Tab. 3 – Disordini da carenza iodica
Nella donna in gravidanza GozzoIpotiroidismoAborto spontaneoParto prematuro
Nel feto Anomalie congeniteMortalità perinataleCretinismo
Nel neonato IpotiroidismoGozzo
Nell’adolescente GozzoIpotiroidismoRitardo mentaleDifetti neuropsichici minoriRitardo di accrescimento
Nell’adulto GozzoIpotiroidismoDeficit intellettivo
17
gravidanza.
Le tiroiditi autoimmuni colpiscono quasi il
9% delle donne di età inferiore ai 30 anni: ciò
comporta che sono molto frequenti in gravidanza.
Possono influenzare il decorso della gesta-
zione e la funzionalità tiroidea del feto e del neo-
nato così come esse stesse possono essere in-
fluenzate dal processo di immunosoppressione
proprio della gravidanza e dalla riaccensione im-
munitaria che avviene dopo il parto.
La malattia clinica si sviluppa quando si al-
tera quell’equilibrio esistente tra i fattori favo-
renti l’autoimmunità tiroidea e i meccanismi del-
la tolleranza autoimmunitaria.
I principali autoantigeni tiroidei sono la ti-
reoglobulina, la perossidasi tiroidea e il recetto-
re del TSH che determinano la formazione degli
specifici anticorpi.
Il primo approccio per identificare l’origine
autoimmune della tiroidite è la determinazione
degli anticorpi antiperossidasi (anti-TPo) e
degli anticorpi antitireoglobulina (anti-TG).
I primi sono molto più frequenti e pertanto la
loro positività rappresenta l’indice diagnostico
più sensibile di tireopatia autoimmune (fig. 2).
La più accreditata genesi patogenetica è che
tali anticorpi possono danneggiare la cellula ti-
roidea tramite una attivazione del complemento
e la formazione di cellule citotossiche
Va precisato che l’entità di questi autoanti-
corpi circolanti è spesso condizionata dalla tera-
pia in quanto essi possono essere ridotti anche
significativamente dai tireostatici nel Basedow e
dal LT4 nell’Hashimoto e nella forma atrofica
Attraversano normalmente la placenta ma
non determinano nessun danno alla tiroide del
feto e del neonato.
Gli anticorpi contro il recettore del TsH
(TRAb) si distinguono in due tipi a seconda del-
la loro attività stimolante (TsAb) o inibente
(TsHbAb). I primi sono responsabili del qua-
dro clinico del Basedow e delle fasi tireotossiche
transitorie del morbo di Hashimoto, i secondi
esplicano un’azione inibente e contribuiscono al-
la patogenesi dell’ipotiroidismo da tiroidite au-
toimmune.
Questi anticorpi a differenza dei precedenti
possono passare la placenta e pertanto causare
disturbi clinici non solo della madre ma anche
del feto e del neonato.
Non esiste una uniformità di vedute sull’im-
portanza clinica della determinazione dei TRAb:
essi comunque risultano sicuramente importanti
nella valutazione del rischio di ipo o ipertiroidi-
smo neonatale nei nati da madri affette da tiroi-
dite autoimmune.
Spesso in gravidanza si evidenzia un miglio-
ramento delle manifestazioni cliniche in tutte le
forme di tiroidite autoimmune, soprattutto di
quelle ipertiroidee: esse però dopo il parto ten-
dono a peggiorare. Fino al 50% delle pazienti ba-
sedowiane può andare incontro a una remissione
della malattia ma almeno il 70% presenta una re-
cidiva dopo il parto; anche nelle forme di ipoti-
roidismo da tiroidite di Hashimoto si può assi-
stere a riduzione del TSH ma dopo il parto an-
che queste donne vanno incontro a netto peggio-
ramento del quadro clinico.
Non sono ancora completamente tutti chiari i
meccanismi immunitari che determinano le va-
riazioni cliniche in gravidanza ma sono stati di-
mostrati alcuni fenomeni:
- i livelli degli anti-TPO, anti-TG e gli anti-
0
20
40
60
80
100
Normali Morbo diBasedow
Tiroidite diHashimoto
Tiroiditeatrofica
Tumoredella tiroide
Gozzo
AbTPO
AbTg
Fig. 2 – Presenza degli anticorpi antiperossidasi (AbTPo) e antitireoglobulina (AbTg) nelle patologie della tiroide
18
corpi tireostimolanti si riducono soprattutto
nella seconda parte della gestazione e au-
mentano nel post-partum;
- le cellule citotossiche posseggono una capa-
cità litica ridotta;
- i linfociti T helper risultano ridotti;
- il rapporto tra linfociti T helper e quelli T sop-
pressor è ridotto al termine della gravidanza.
È stato descritto che la frequenza dell’abor-
to spontaneo aumenta nelle donne con presenza
di autoanticorpi circolanti anche senza deficit
della funzionalità tiroidea e tale aumento è stato
quantificato nel 15%: raggiunge quasi il 36% in
donne che presentano una sindrome dell’abor-
to ricorrente.
Il meccanismo attraverso il quale ciò avviene
è ancora controverso. Una prima ipotesi chiama
in causa una eventuale interazione tra gli anticor-
pi e gli ormoni secreti dalla placenta che porte-
rebbe a un insufficiente apporto di progesterone;
una seconda ipotesi potrebbe essere che la causa
non sarebbe dovuta a una loro azione diretta ma
alla disfunzione autoimmunitaria più generalizza-
ta aspecifica; infine altri ipotizzano che la presen-
za degli anticorpi rappresenti solo il segnale di un
deficit tiroideo in atto o che si sta sviluppando in
quanto in gravidanza diversi fattori quali l’ipere-
strogenismo, l’azione tireostimolante della HCG e
la eventuale comparsa di una carenza iodica por-
tano a una maggior richiesta di ormone tiroideo.
Le malattie autoimmuni della tiroide si ma-
nifestano con alterazioni funzionali che vanno
dall’ipertiroidismo all’ipotiroidismo (tab. 4).
La più frequente è il morbo di Hashimoto
che rappresenta l’esempio più classico in quan-
to soddisfa in misura completa i classici criteri
accettati per stabilire la etiologia autoimmune or-
gano-specifica della malattia.
L’ereditarietà costituisce uno dei fattori di ri-
schio più importanti: autoanticorpi antitiroide si
trovano nel 50% dei fratelli e in misura del 25%
negli altri parenti di pazienti affetti da questa pa-
tologia.
Esistono due forme: quella atrofica (senza
gozzo) e quella più classica e frequente con la
presenza di gozzo.
Nella maggior parte dei casi le gestanti ri-
mangono eutiroidee per tutta la durata della gra-
vidanza: una forma di ipotiroidismo subclinico
è presente in una percentuale ridotta mentre un
quadro clinico conclamato di ipotiroidismo si
evidenzia solo nel 7% dei casi (fig. 3).
Spesso sono assolutamente asintomatiche e
l’obbiettività può essere completamente negati-
va a eccezione della presenza di un gozzo più o
meno voluminoso.
Per quanto riguarda la terapia in nessun caso
è giustificato il trattamento con farmaci anti-in-
fiammatori e/o immunosoppressori. È necessa-
rio solo il controllo ripetuto della funzionalità ti-
Ipotiroidei subclinici30%
Eutiroidei63%
Ipotiroidei7%
Fig. 3 Tab. 4 – Tireopatie autoimmuni in gravidanza e dopo il parto
Tiroidite autoimmune asintomatica (con eutiroidismo)
Tiroidite di Hashimoto con gozzo e ipotiroidismo
Tiroidite atrofica
Morbo di Basedow
Tiroidite post-partum
19
roidea e in caso di evoluzione verso la sua insuf-
ficienza la pronta correzione con L-tiroxina.
La presenza di una tiroidite autoimmune nel-
la gestante può determinare alterazioni anche
gravi a carico della tiroide del feto e del neona-
to: è determinata dalla presenza degli anticorpi
materni contro il recettore del TSH (TRAb) che
come già segnalato sono capaci di attraversare la
placenta: cominciano ad essere presenti nel feto
già alla 22ª settimana per poi raggiungere lo stes-
so livello della madre alla 30ª settimana.
Possono causare quadri clinici di ipertiroidi-
smo o ipotiroidismo fetali e neonatali: sono rari
ma quando presenti possono richiedere un trat-
tamento specifico.
La loro insorgenza è legata alla presenza e at-
tività biologica dell’anticorpo tireostimolante
(TSAb) o di quello bloccante (TSBAb) l’azione
del TSH:
Ipertiroidismo
Se dall’anamnesi materna emerge una tireo-
patia autoimmune, la presenza di livelli di TSAb
materni molto elevati alla 20ª-30ª settimana de-
ve far sospettare la presenza di un ipertiroidismo
fetale-neonatale in quanto gli ab, passando la pla-
centa, possono andare a stimolare la tiroide del
feto a produrre un eccesso di ormoni tiroidei.
Il sospetto è ancora più fondato se la gestan-
te è affetta da morbo di Basedow con gozzo mol-
to voluminoso, oftalmopatia e mixedema preti-
biale e se ha la necessità di elevate dosi di tiona-
midi per mantenere l’eutiroidismo.
Nel feto i segnali clinici sono dati dalla ta-
chicardia con più di 160 battiti al minuto e dal
ritardo di crescita intrauterina: raramente una
ecografia fetale riesce ad evidenziare la presen-
za di un gozzo. Qualora fosse presente un eleva-
to sospetto di tale quadro clinico può essere va-
lutata l’opportunità di eseguire un prelievo me-
diante funicolocentesi per la determinazione de-
gli ormoni tiroidei: il rischio della metodica è,
infatti, controbilanciata dalla entità di informa-
zioni che questo prelievo può fornire. Tale pato-
logia è molto rara e ha una mortalità molto alta.
La terapia consiste nella somministrazione di
tionamidi alla madre in quanto questi farmaci su-
perano la placenta: la dose va regolata sulla ba-
se della frequenza cardiaca del feto.
Anche la forma neonatale è molto rara e co-
munque è di solito transitoria in quanto la vita
media degli TSAb di origine materna è di circa
due settimane; di solito si esaurisce in 2-3 mesi.
Il neonatologo, visitando il neonato, deve in-
sospettirsi di fronte a una o più delle seguenti si-
tuazioni: tachicardia, esoftalmo, gozzo, iperec-
citabilità, aritmie, il basso peso alla nascita e in-
fine uno scarso incremento di peso nonostante
un buon appetito. Va comunque precisato che di
solito la tireotossicosi non si manifesta alla na-
scita in quanto nella maggior parte dei casi que-
sti neonati nascono da donne in trattamento con
tireostatici: poiché questi farmaci superano la
placenta la funzionalità tiroidea è sotto control-
lo sino alla nascita; l’iperfunzione della ghian-
dola compare dopo circa 24-48 ore e risulta cli-
nicamente evidente dopo la prima settimana di
vita.
Per individuare precocemente l’ipertiroidi-
smo neonatale può essere necessaria la determi-
nazione degli ormoni tiroidei sul sangue del cor-
done ombelicale.
Il trattamento di solito è temporaneo e si ba-
sa sulla somministrazione di tireostatici e ioduro:
durante la terapia è opportuno eseguire frequen-
ti controlli degli ormoni tiroidei onde evitare
iperdosaggi e soprattutto dei TSAb, perché la lo-
ro scomparsa preannuncia l’esaurirsi dell’iperti-
roidismo.
Ipotiroidismo
Esso è provocato dal trasferimento dalla ma-
dre al feto di TSHBAb che sono dotati di attività
inibente il TSH. Costituisce circa 1-2% di tutti i
casi di ipotiroidismo congenito.
Nella quasi totalità dei casi la madre ha una
tiroidite autoimmune nella forma atrofica ed è
ipotiroidea o in terapia sostitutiva.
Esso si sviluppa di solito nelle ultime setti-
mane della gestazione e per tale motivo non ri-
sulta indispensabile una diagnosi pre-partum;
anche se la precocità della diagnosi e della tera-
pia risulta estremamente importante per evitare
l’insorgenza di alterazioni neurologiche.
20
Anche questa forma è transitoria in quanto
gli anticorpi hanno nel neonato una vita media
di 2-4 settimane.
Il trattamento sostitutivo con LT4 deve esse-
re iniziato con rapidità in quanto il deficit ormo-
nale non trattato può procurare gravi deficit neu-
rologici e mentali: esso va protratto per tutto il
primo anno di vita.
IPoTIRoIDIsMo
Per ipotiroidismo si intende una sindrome ca-
ratterizzata dalla riduzione degli ormoni tiroidei
nelle cellule bersaglio e circolanti; clinicamente si
manifesta con la riduzione delle funzioni di quasi
tutti i sistemi e soprattutto di quello cardiovasco-
lare, gastrointestinale, nervoso e cutaneo.
È detto primario quando è causato da insuf-
ficienza della ghiandola tiroidea, secondario
quando dipende da un deficit di TSH, terziario
quando è dovuto a un deficit di TRH e infine pe-
riferico quando dipende da un deficit recettoria-
le; il primario può essere congenito per una age-
nesia della ghiandola o per una sua ridotta fun-
zionalità alla nascita e acquisito come risultato
di un processo infiammatorio.
È detto subclinico quando a un TSH aumen-
tato si associano valori normali di FT3 e FT4 in
assenza di segni clinici; franco o manifesto quan-
do anche gli ormoni tiroidei risultano ridotti e
compare la sintomatologia caratteristica dell’i-
potiroidismo.
Nella popolazione generale l’ipotiroidismo è
la patologia tiroidea più frequente: studi epide-
miologici eseguiti in Inghilterra hanno indicato
che nel sesso femminile la prevalenza di tale pa-
tologia è del 7,7% se si considerano solo le for-
me spontanee mentre si arriva a quasi il 10% se
si includono anche le forme determinate da trat-
tamenti radiometabolici o interventi chirurgici.
Durante la gravidanza queste percentuali ri-
sultano più basse: ciò avviene sia perché la stes-
sa patologia è causa di ridotta fertilità sia perché
essa è più frequente dopo la quinta decade di
vita.
Nella tabella 5 vengono riportati i fattori cor-
relati a un elevato rischio di sviluppare una pa-
tologia ipotiroidea in gravidanza
Negli Stati Uniti uno studio eseguito su 2.000
gravide tra la 15ª e la 18ª settimana di gestazio-
ne ha messo in evidenza che il 2,2% aveva un
TSH superiore a 6 mU/l e una FT4 normale e
pertanto un ipotiroidismo subclinico mentre lo
0,3% aveva un ipotiroidismo franco con TSH al-
to e FT4 basso
La causa più comune dell’ipotiroidismo in
gravidanza è costituita dalle tiroiditi autoimmu-
ni con la presenza di anticorpi (90% delle donne
con ipotiroidismo franco) mentre nelle zone con
carenza iodica la causa più frequente è il deficit
alimentare di iodio (tab. 6).
La diagnosi clinica di ipotiroidismo in gra-
vidanza può non essere facile in quanto molti
Tab. 5 – Fattori di rischio di ipotiroidismo in gravidanza Tab. 6 – Cause di ipotiroidismo in gravidanza
Familiarità per patologie tiroidee
Precedente terapia per ipotiroidismo o ipertiroidismo
Precedente terapia radiante al collo
Precedente tiroidite post-partum
Presenza di gozzo
Terapia con litio e amiodarone
Precedenti patologie ipofisarie
Presenza di diapete mellito di tipo I, vitiligine, M. di Addison
Primitivo Post operatorioPost-radiolgicoTiroidite autoimmuneTiroidite subacutaDa carenza iodicaDa sostanze esogene
Secondario Ipofisario
Terziario Ipotalamico
Periferico Resistenza agli ormoni tiroidei
21sintomi lamentati sono spesso presenti normal-
mente nelle donne gravide: eccessiva intolle-
ranza al freddo, secchezza dei capelli e la loro
aumentata caduta, astenia ingravescente e dif-
ficoltà di concentrazione; spesso sono anche
presenti le parestesie e il caratteristico ritardo
del processo di rilasciamento neuromuscolare
per il rallentamento dei riflessi osteotendinei,
segni caratteristici dell’ipotiroidismo concla-
mato (tab. 7).
È estremamente importante la precocità del-
la diagnosi per evitare che la carenza funzionale
della ghiandola possa determinare effetti negati-
vi a carico del feto, in quanto nelle prime setti-
mane di gravidanza, quando l’apporto ormonale
è esclusivamente materno, gli ormoni tiroidei so-
no determinanti per il corretto sviluppo del si-
stema nervoso del feto.
Una anamnesi accurata è indispensabile per il
riconoscimento delle donne a rischio di svilup-
pare tale patologia anche perché lo screening del
primo trimestre di gravidanza non comprende
ancora la valutazione della funzionalità tiroidea:
una familiarità positiva, una storia personale di
presenza di una tireopatia, di una patologia au-
toimmunitaria, di diabete mellito di tipo I o di
una malattia che richiede l’utilizzo di farmaci
che possono interferire con la funzionalità tiroi-
dea devono sempre far sospettare una possibile
insorgenza di ipotiroidismo in gravidanza.
Il test più importante per la diagnosi è costi-
tuito dalla determinazione del livello sierico del
TsH che risulta di solito aumentato; spesso solo
il TSH è elevato mentre gli ormoni tiroidei sono
ancora nella norma come avviene nella forma
subclinica: occorre sempre tener presente che, co-
me è stato già precedentemente segnalato, il TSH
viene influenzato dai livelli aumentati di HCG.
Il dosaggio della FT4 ha minore importanza
per l’interferenza determinata dalla presenza di
aumentati valori di TBG ma comunque il ri-
scontro di valori bassi associati a un aumento del
TSH depone per un quadro di ipotiroidismo fran-
co. Anche la determinazione di FT3 può risulta-
re di scarso valore in quanto può essere normale
nonostante un valore basso di FT4 e può risulta-
re alterato per la presenza nella gestante di pato-
logie extratiroidee.
Tab. 7 – Clinica dell’ipotiroidismo
sintomi % segni %
Astenia 90 Intolleranza al freddo 60-95
Aumento di peso 50-75 Ipotermia 70-90
Psicosi e depressione 20-70 Capelli fini, secchi 70-90
Voce rauca 50-70 Cute secca, pallore 70-90
Stipsi 35-65 Edema periorbitale 40-90
Parestesie 50-60 Rallentamento dei movimenti 70-90
Riduzione della memoria 35-60 Iporeflessia 50-60
Iperpolimenorrea 20-50 Bradicardia 10-30
Mialgia e artralgia 15-35 Macroglossia 10-15
Riduzione della libido 10-40 Versamento pericardico 10-15
Gozzo 10-20
Ipertensione 10-15
S. tunnel carpale 5-10
22
La determinazione dell’ioduria è importante
in quanto l’aumento della clearence renale dello
iodio comporta un aumento della eliminazione
di questo elemento con le urine.
La ricerca degli anticorpi risulta opportuna
per cercare di individuare un’eventuale etiopato-
genesi autoimmunitaria dell’ipotiroidismo; le
donne in gravidanza affette da tiroidite autoim-
mune risultano positive all’anti-TPo per circa
il 90% e all’anti-Tg per circa il 50%; in circa il
20% di quelle affette da tiroidite atrofica si tro-
va la presenza di anticorpi diretti contro il re-
cettore del TsH che esplicano un’azione bloc-
cante l’effetto biologico della tireotropina sulla
tiroide (tab. 8).
Anche l’ECG costituisce un indagine fonda-
mentale in quanto può mostrare la presenza di
bassi voltaggi su tutte le derivazioni e alterazio-
ne della ripolarizzazione ventricolare.
Lo studio ecografico, indagine non invasiva
e ripetibile, può servire per la conferma di una
diagnosi formulata già precedentemente alla gra-
vidanza (come nelle forme postchirurgiche) o per
lo studio della evoluzione di patologia nodulare,
anche eventualmente con l’ausilio dell’esame ci-
tologico.
Tra le indagini complementari va segnalata
la determinazione della colesterolemia che spes-
so si presenta aumentata nell’ipotiroidismo, del-
l’emocromo (frequente presenza di anemia nor-
mocitica) e della cortisolemia per escludere la
presenza di una insufficienza corticosurrenalica
che a volte si accompagna a quella tiroidea.
Le complicanze legate all’ipotiroidismo non
trattato sono diverse e interessano la madre, il fe-
to e il neonato: come riportato nella tabella 9,
hanno percentuali di insorgenza diverse a secon-
do se si tratta di una forma franca o di una sub-
clinica.
A carico della madre la più frequente è la
preeclampsia che si può manifestare con la sua
triade sintomatologica ipertensione arteriosa,
proteinuria ed edemi ma più frequentemente con
la sola ipertensione; altre possibili complicanze
sono l’anemia e l’emorragia post-partum con
percentuali intorno al 5-6%.
La presenza di un deficit tiroideo anche in
forma subclinica si associa a incremento signifi-
cativo di complicanze ostetriche determinando
un rischio tre volte aumentato di aborto e parto
pretermine.
È descritto che l’incidenza di ipotiroidismo
in donne che presentano aborti ricorrenti arriva
quasi al 30% in quanto, soprattutto nelle prime
fasi della gravidanza, sarebbe responsabile di al-
terazioni irreversibili sull’unità feto-placentare.
È assolutamente comprovata l’importanza
degli ormoni tiroidei per la crescita e lo svilup-
po neurologico del feto. È noto che la tiroide fe-
tale è in grado di produrre ormoni solo a parti-
re dalla 10ª-12ª settimana di gravidanza; per ta-
le motivo gli ormoni necessari in questa fase so-
Tab. 8 – Indagini su ipotiroidismo in gravidanza
Tab. 9 – Complicanze dell’ipotiroidismo non trattato in gravidanza
Fondamentali TSH, FT4, FT3Anticorpi anti-Tg e anti-TPOIoduriaEcografia tiroideaECG
Complementari CortisolemiaColesterolemia totale, HDL, trigliceridemiaEmocromoSideremiaAnticorpi antiparete gastricaVit. B12 sierica
Complicanze Ipotiroidismo
clinico%
Ipotiroidismo subclinico
%
Materne Ipertensione gravidica(con o senza preeclampsia)
21,0 15,0
Anemia 6,0 3,0
Emorragia post partum 6,6 3,5
Distacco placenta 5,0 0,0
Fetali Basso peso alla nascita 16,6 8,7
Nascita di feto morto 6,6 1,7
Parto pretermine 5,0 0,0
Malformazioni congenite 3,3 0,0
23
no unicamente quelli di origine materna. Qua-
lora, pertanto, la gestante dovesse essere affet-
ta da deficit funzionale della tiroide, il feto po-
trebbe andare incontro a danni più o meno gra-
vi a secondo della gravità di tale deficit e dell’e-
ventuale associazione di carenza iodica: in que-
sto caso, che prefigura la presenza di un ipoti-
roidismo materno/fetale/neonatale, si può assi-
stere a un danno irreversibile dello sviluppo
neurologico e intellettivo che, nella sua forma
più grave, configura il quadro clinico del creti-
nismo endemico.
La terapia si basa sulla somministrazione di
sale sodico della l-tiroxina a dosi cosiddette “so-
stitutive” tenendo conto di tre direttive:
- riportare l’equilibrio ormonale nel più breve
tempo possibile compatibilmente con le con-
dizioni cardiache;
- la dose da somministrare di solito è più alta di
quella usata nel periodo pre- e post-gravidico;
- eseguire frequenti controlli ormonali onde
poter evidenziare l’adeguatezza del tratta-
mento.
Il farmaco esplica la sua azione dopo con-
versione periferica in T3 riproducendo la situa-
zione fisiologica della desiodazione periferica
del T4 in T3: ha una emivita biologica abbastan-
za lunga e pertanto una sola somministrazione
giornaliera permette di ottenere una concentra-
zione ematica costante di ormoni; deve essere as-
sunto a digiuno circa 20 minuti prima della co-
lazione e nei casi di vomito anche dopo aver
mangiato: non sono descritte reazioni allergiche
e i fenomeni collaterali sono legati solo a un
eventuale iperdosaggio.
Nel caso di una forma di ipotiroidismo con-
clamato neodiagnosticato in gravidanza è oppor-
tuno ripristinare con celerità il pool corporeo del-
la tiroxina: alcuni autori giungono a consigliare
la somministrazione di una iniziale dose tripla per
poi continuare con i normali dosaggi giornalieri
ma tale condotta può determinare l’insorgenza di
tachicardia e altri sintomi propri dell’iperdosag-
gio. La dose ottimale è strettamente individuale
ed è quella che permette di riportare il valore del
TSH nel range di normalità: la frequenza dei con-
trolli varia dai 30 ai 60 giorni ma anche essa è
molto soggettiva dipendendo dalle problematiche
connesse alla patologia di base (tab. 10).
Nelle donne che sono già in terapia sostituti-
va per un ipotiroidismo diagnosticato prima del-
la gravidanza il fabbisogno di tiroxina di solito
aumenta: esso si può manifestare già entro le pri-
me 4 settimane dal concepimento e pertanto è
opportuno iniziare a eseguire controlli del TSH
immediatamente dopo la prima mancanza me-
struale e successivamente almeno ogni 30-40
giorni in quanto la necessità di aumentare la do-
se si può rendere necessaria anche in fasi più
avanzate della gravidanza. Circa l’85% delle
donne ipotiroidee deve ricorrere in gravidanza a
un incremento del trattamento che varia di soli-
to tra i 25 ed i 100 microgr/die con un valore me-
dio del 47%: mediamente esso risulta necessario
nelle prime 16-20 settimane. Alcuni autori con-
sigliano di aumentare il dosaggio della tiroxina
del 30% ancora prima di eseguire i controlli or-
monali (tab. 11).
Occorre comunque sempre tener presente che
il dosaggio dell’ormone è definito “trimestre-di-
pendente” in quanto spesso il passaggio dal ter-
zo al quarto mese di gravidanza e dal sesto al set-
Tab. 10 – Monitoraggio di laboratorio nell’ipotiroidismo in gravidanza
Tab. 11 – Cause di aumentato fabbisogno di L-T4 in gravidanza
Al concepimento
2-5 settimane dopo il concepimento
2-5 settimane dopo ogni adeguamento di dose di L-T4
Almeno una volta a trimestre
3-5 settimane dopo il parto (avendo ridotto la dose di L-T4 al livello pregravidico)
Aumento di peso
Aumentato volume di distribuzione
Alti livelli di TBG
Aumentata attività desiodasica nella placenta
Ridotto assorbimento gastrointestinale dovuto alla supplementazione di ferro
24
timo richiede più frequentemente una correzione
del dosaggio.
Infine occorre sempre tenere in considera-
zione l’eventuale insorgenza di ipotiroidismo fe-
tale transitorio per il passaggio di anticorpi ma-
terni TRab attraverso la placenta alla 20ª e 30ª
settimana o parziale transitoria remissione nel
corso di ipotiroidismo da tiroidite di Hashimoto.
IPERTIRoIDIsMo
Per ipertiroidismo si intende una sindrome ca-
ratterizzata dall’aumento degli ormoni tiroidei;
rientra nel quadro più ampio delle tireotossicosi
che comprendono anche le forme cliniche da cau-
se extratiroidee come la loro somministrazione
esogena, l’ipersecrezione di TSH e la sindrome da
resistenza ipofisaria agli ormoni tiroidei.
È una patologia molto frequente nelle donne
in età fertile e di conseguenza in gravidanza: ra-
ramente la malattia insorge con l’inizio della ge-
stazione ma di solito si tratta di persone che han-
no già una storia clinica pregressa o in corso di
ipertiroidismo. Si valuta che 1-2 gravidanze su
1.000 (0,2%) siano associate a ipertiroidismo.
Le donne ipertiroidee hanno di solito una fer-
tilità normale ma occorre sempre evitare, ove
possibile, una gravidanza durante le fasi più tos-
siche della malattia sia per gli effetti negativi del
quadro clinico sia per la tossicità legata all’alto
dosaggio dei farmaci eventualmente necessari
(tab. 12).
Circa l’80% di tutte le donne ipertiroidee in
gravidanza sono affette da morbo di Basedow-
Graves o gozzo tossico diffuso: è una malattia
autoimmunitaria dovuta ad autoanticorpi diretti
contro il recettore del TSH e clinicamente carat-
terizzata dalla triade ipertiroidismo, gozzo e of-
talmopatia.
Più rare sono le forme di gozzo tossico mul-
tinodulare dove uno o più noduli, preesistenti da
vecchia data, aumentano gradualmente la loro
funzionalità e quelle da adenoma tossico dove
invece è presente un singolo adenoma iperfun-
zionante in una tiroide normale; queste sono for-
me rare in quanto sono patologie che insorgono
a una età più tarda rispetto alla terza-quarta de-
cade di vita di solito interessate dalle gravidanza.
Altra forma, rara ma caratteristica della gra-
vidanza, è quella legata alla presenza della mole
idatidiforme e del coriocarcinoma. Sono malattie
neoplastiche del trofoblasto che insorgono nelle
prime settimane di gravidanza: poiché, come già
segnalato, l’ormone è provvisto di un’azione
agonista per il recettore del TSH questi tumori
possono causare un quadro clinico di ipertiroidi-
smo; esso di solito è lieve e clinicamente evi-
dente solo nel 2% dei casi e recede completa-
mente dopo la sua asportazione.
Anche l’iperemesi gravidica può associarsi a
ipertiroidismo. È una condizione morbosa carat-
terizzata da vomito e perdita di peso; inizia entro
la 7ª settimana di gestazione e di solito recede
spontaneamente alla 18ª-20ª settimana. Anche in
questo caso sembra che l’associazione sia da at-
tribuire ai valori elevati di HCG: l’ipertiroidismo
è lieve e recede spontaneamente con la diminu-
zione dei valori dell’ormone placentare senza la
necessità di alcun trattamento specifico.
Ancora più rare sono considerate le forme
determinate da abnorme assunzione di ormoni
esogeni o di iodio
Quando la donna in gravidanza abbia già
una storia clinica di ipertiroidismo, in atto o
pregressa, la diagnosi clinica non presenta dif-
ficoltà, cosa che invece può accadere per i casi
Tab. 12 – Cause di ipertiroidismo e tireotossicosi in gravidanza
IpertiroidismoGozzo diffuso tossico (morbo di Basedow)Gozzo multinodulare tossicoAdenoma tossicoMole idatidiformeIperemesi gravidicaIpertiroidismo indotto da iodio
Tireotossicosi da eccesso di ormoni tiroidei esogeniTireotossicosi fattizia o medicamentosa
Tab. 13 – Clinica dell’ipertiroidismo
25
di nuova insorgenza: ciò è determinato dal fat-
to che molti sintomi quali la cute calda, l’intol-
leranza al caldo, l’iperidrosi, l’aumento della
PA differenziale, l’iperemesi, l’astenia e l’an-
sietà propri dell’ipertiroidismo possono essere
presenti normalmente in gravidanza anche se di
solito, in questo periodo, essi si accentuano si-
gnificativamente (tab. 13).
Comunque i sintomi caratteristici dell’iperti-
roidismo sono il dimagrimento (mentre di solito
la gestante tende all’aumento di peso), la tachi-
cardia e il cardiopalmo, i tremori, l’alvo tenden-
zialmente diarroico, la presenza di gozzo soprat-
tutto in aree a sufficiente apporto iodico e/o la
percezione di fremito-soffio sulla tiroide; l’of-
talmopatia, l’onicolisi del quarto e quinto dito e
infine la presenza di mixedema pretibiale sono
segni clinici caratteristici della forma da morbo
di Basedow.
Va tenuto comunque sempre presente che a
causa dei cambiamenti della condizione immu-
nitaria che insorgono in gravidanza si può assi-
stere, soprattutto nella seconda parte di essa, a
un miglioramento clinico del morbo di Basedow
e di un suo eventuale peggioramento nel post-
partum (tab. 14).
La diagnosi di laboratorio di ipertiroidismo
si basa sulla evidenza di valori elevati di FT3 e
FT4 e bassi o indosabili di TSH con l’unica ec-
cezione di quei casi in cui vi è la presenza di un
adenoma ipofisario TSH-secernente dove i livel-
li di questo ormone sono normali o elevati; nel
gozzo tossico multinodulare e nell’adenoma tos-
sico vi può essere l’aumento isolato di FT3.
La diagnosi differenziale tra le varie tireo-
patie si basa, oltre che sull’obbiettività, sulla
ecografia e sulla ricerca degli autoanticorpi es-
sendo in gravidanza la scintigrafia controindi-
cata. L’ecografia rappresenta un esame senza
alcun rischio e ci permette di definire con asso-
luta precisione la morfologia della tiroide e la
presenza di uno o più noduli: lo studio con co-
lordoppler evidenzia l’entità della sua vascola-
rizzazione.
Per la diagnosi di malattia di Basedow sono
di grande importanza la ricerca nel siero degli
anticorpi antitireoglobulina e antiperossidasi ma
soprattutto dei TRAb, vale a dire di quelli diret-
ti contro il recettore del TSH: questi ultimi sono
particolarmente importanti in quanto la loro pre-
senza a titolo molto elevato può far sospettare un
ipertiroidismo fetale e far prevedere la compar-
sa di un ipertiroidismo neonatale. I livelli delle
fosfatasi alcaline e dell’idrossiprolinuria di soli-
to risultano aumentati per l’azione che gli ormo-
ni tiroidei hanno sull’osso: la colesterolemia è,
invece, spesso ridotta.
Un ipertiroidismo non diagnosticato o dia-
gnosticato in ritardo o non adeguatamente trat-
tato può far insorgere complicanze anche molto
gravi a carico della madre, del feto e del neona-
to (tab. 15).
sintomi % segni %
Nervosismo 40-95 Tachicardia 60-100
Cardiopalmo 40-90 Tremori 50-90
Insonnia 40-90 Oftalmopatia 50-90
Intolleranza al caldo 60-90 Gozzo 80-90
Astenia 30-70 Perdita di peso 35-80
Alvo frequente, diarrea 15-50 Cute umida 60-80
Oligomenorrea, amenorrea 30-50 Onicolisi 40-50
Ridotta libido 30-40 Esoftalmo 10-30
Mixedema pretibiale 10-15
Tab. 14 – Indagini per l’ipertiroidismo in gravidanza
Fondamentali TSH, FT4, FT3Ab anti-TRAnticorpi anti-Tg e anti-TPOEcografia ECG
Complementari Colesterolemia, HDL Fosfatasi alcalinaIdrossiprolinuria
26
Nella madre le complicanze più frequenti so-
no quelle a carico dell’apparato cardiovascolare:
l’eventuale associazione dell’ipertensione arterio-
sa all’aumentata gittata cardiaca e alla tachicardia
propri dell’ipertiroidismo possono determinare la
comparsa di una insufficienza cardiaca.
Così come segnalato per l’ipotiroidismo an-
che nel corso di ipertiroidismo possono insorge-
re complicanze quali il distacco di placenta, la
preeclampsia e l’anemia; sono state descritte cri-
si tireotossiche al momento del parto in donne
non trattate.
Le complicanze fetali e neonatali compren-
dono l’aborto con percentuali che vanno dal 4 al
25% a secondo delle casistiche, il ritardo di cre-
scita intrauterina, il basso peso alla nascita, la
prematurità, la nascita di un feto morto e la mor-
te neonatale; infine sono state descritte malfor-
mazioni congenite quali l’anencefalia, l’ano im-
perforato e il labbro leporino.
Il controllo dell’ipertiroidismo con la terapia
antitiroidea si accompagna a una notevole ridu-
zione della frequenza di queste complicanze che
è tanto maggiore quanto più precoce è l’inizio
della terapia specifica (tab. 16).
Per il trattamento delle forme di tireotossico-
si determinate da assunzione di ormoni tiroidei
esogeni o di iodio è sufficiente la sospensione di
tali somministrazioni: le forme altrettanto rare
causate dalla presenza di neoplasie trofoblasti-
che richiedono la loro asportazione.
Tutte le altre, quali il morbo di Basedow e i
gozzi tossici, richiedono una terapia volta alla ri-
duzione degli ormoni circolanti bloccando la lo-
ro sintesi o la loro dismissione: in gravidanza la
scelta della linea terapeutica è determinata dalla
presenza del feto e pertanto dal passaggio tran-
splacentare dello iodio e dei farmaci impiegati.
Iodio radioattivo
L’uso dello iodio radioattivo rappresenta la te-
rapia di prima scelta nei pazienti con recidiva do-
po chirurgia tiroidea, in quelli con grave malattia
concomitante e in quelli oltre 40 anni: lo scopo
di questa metodica è di curare la malattia indu-
cendo una tiroidite da radiazioni con conseguen-
te distruzione delle cellule tiroidee.
Lo iodio radioattivo attraversa facilmente la
barriera placentare, viene captato dalla tiroide fe-
tale sin dalla 10ª settimana di gestazione e per-
tanto può comportare la sua distruzione: per tale
motivo è assolutamente controindicato in gra-
vidanza.
È possibile che tale sostanza venga sommi-
nistrata erroneamente qualora la gravidanza, pur
presente, non sia stata ancora accertata; se ciò
avviene ai fini diagnostici la dose usata risulta
troppo bassa per poter creare danni collaterali e
non occorre intervenire; il feto potrebbe, invece,
incorrere in danni anche gravi qualora l’assun-
zione dello iodio radioattivo fosse a dosaggio te-
rapeutico e pertanto è consigliata la sommini-
strazione alla madre di tionamide e ioduro per al-
meno 7 giorni
Tionamidi
La terapia con farmaci antitiroidei costituisce
la prima scelta nel trattamento dell’ipertiroidi-
Tab. 16 – opzioni terapeutiche per l’ipertiroidismo in gravidanza
Modalità terapeutica Possibile impiego
Terapia medicaTionamidiIoduroBeta-bloccanti
SìIn casi eccezionaliCautela
Tiroidectomia totale In casi eccezionali
Radioiodio No
Tab. 15 – Complicanze dell’ipertiroidismo non trattato in gravidanza
Materne Fetali
Ipertensione Basso peso alla nascita
Preeclampsia Prematurità
Distacco di placenta Morte endouterina
Aborto spontaneo Morte neonatale
Parto prematuro Malformazioni congenite
Scompenso cardiaco Ipertiroidismo fetale
Anemia Ipertiroidismo neonatale
27
smo in gravidanza.
I più usati appartengono al gruppo delle tio-
namidi e sono rappresentati fondamentalmente
dal metimazolo e dal propiltiouracile. Agiscono
attraverso l’inibizione della perossidasi, enzima
responsabile dell’ossidazione dello ioduro, bloc-
cano la formazione dello iodio organico e per-
tanto la formazione di mono- e diodiotironina.
Il propiltiouracile agisce anche a livello peri-
ferico inibendo la conversione del T4 in T3 ma
ciò nonostante il metimazolo esplica un’azione
più rapida e avendo una emivita plasmatica più
lunga richiede una frequenza di somministrazio-
ne ridotta. Non bloccano il rilascio degli ormoni
preformati e pertanto il raggiungimento dell’eu-
tiroidismo si ottiene solo dopo almeno una setti-
mana di trattamento.
Gli effetti collaterali gravi sono rari, meno
dell’1%; sono costituiti soprattutto dall’agranu-
locitosi, dalla trombocitopenia e dalla vasculite.
Più frequenti, tra l’1 ed il 5%, sono quelli me-
no gravi: essi sono le manifestazioni cutanee ti-
po eruzioni cutanee, prurito e orticaria, febbre e
dolore alle articolazioni, leucocitopenia transito-
ria ed epatopatia.
Ambedue i farmaci sono ormai considerati
abbastanza sicuri in gravidanza anche se, at-
traversando facilmente la placenta, possono crea-
re danni a carico del feto qualora usati a dosag-
gio elevato e/o non appropriato.
Non tutti gli autori sono concordi su quale dei
due farmaci sia più opportuno utilizzare in gra-
vidanza: si preferisce comunque il propiltioura-
cile che in virtù della sua minore liposolubilità e
il suo maggior legame alle proteine sembra ave-
re una minore capacità di passare la placenta ri-
spetto al metimazolo.
Le dosi giornaliere massime consigliate so-
no 30 mg per il metimazolo suddivise in due
somministrazioni e 300 mg per il propiltiouraci-
le divise, invece, in tre somministrazioni: occor-
re sempre seguire la linea di condotta per cui il
dosaggio deve essere quello più basso possibile
per mantenere l’eutiroidismo. È accettabile an-
che mantenere la gestante in lieve ipertiroidismo.
Le dosi del farmaco vanno pertanto ridotte
ogni qual volta le condizioni cliniche e i valori
ormonali lo consentono.
Di solito si è propensi a continuare il tratta-
mento per tutta la gravidanza anche a dosaggi
molto bassi onde prevenire recidive.
Diversi autori invece preferiscono sospende-
re la terapia dopo un periodo di eutiroidismo ed
eventualmente riprenderla e proseguirla, poi, per
tutta la gravidanza. Se tale tentativo fallisse e l’i-
pertiroidismo si riattivasse, generalmente viene
ridotta dopo il primo trimestre e interrotta du-
rante il terzo trimestre.
Le tionamidi, come già segnalato, attraversa-
no la placenta e pertanto, se usate a dosaggio ele-
vato possono determinare ipotiroidismo e gozzo
nel feto; comunque diversi studi hanno dimo-
strato che una corretta terapia non determina de-
ficit della funzione cognitiva e della crescita so-
Tab. 17 – Monitoraggio dell’ipertiroidismo in gravidanza e nel post-partum
Controllo dell’FT3, FT4 e TSH almeno ogni 4 settimane
Ridurre la dose di tionamide fino a quella minima sufficiente a mantenere l’FT4 materna ai limiti alti della norma
Controllare FC, peso, dimensioni tiroide, TSH, FT4, FT3 ogni 4 settimane
Controllare la FC fetale (se il siero della madre contiene TRAb)
Sorvegliare ecograficamene il feto (tre controlli ecografici rispettivamente nel primo, secondo e terzo trimestre)
Dosare i TRAb alla 20ª e 30ª settimana di gestazione
Controllare la funzione tiroidea del neonato (sangue del cordone, 1ª e 2ª settimana di vita)
Controllare la funzione tiroidea della madre nel post-partum
Verificare la presenza di TRAb nel siero del neonato (se nel siero della madre erano presenti TRAb)
28
matica dei bambini esposti a questi farmaci nel-
la vita intrauterina (tab. 17).
La maggior parte delle pazienti possono es-
sere seguite ambulatoriamente; qualora l’iperti-
roidismo fosse molto grave e scoperto dopo la
28ª settimana di gestazione, è consigliabile il ri-
covero in quanto il rischio di complicanze ma-
terne e fetali è elevato.
Si è portati ormai ad escludere una possibile
azione teratogena dei tireostatici: persistono co-
munque dati controversi su un possibile rapporto
causa/effetto tra la somministrazione di metima-
zolo e l’insorgenza di aplasia cutis, forma mor-
bosa caratterizzata dall’assenza di cute e relativi
annessi in aree circoscritte di cuoio capelluto.
Ioduro inorganico
Altro farmaco usato nella terapia dell’iperti-
roidismo è lo ioduro inorganico (lugol) che ha la
caratteristica di ridurre la captazione di iodio da
parte della tiroide e inibire l’organificazione in-
traghiandolare dello ioduro.
Si caratterizza soprattutto per la sua azione
inibente la secrezione di ormoni preformati e
pertanto è di solito usato nelle crisi tireotossiche:
di solito in associazione con le tionamidi in
quanto la sua azione antitiroidea è transitoria.
Attraversa facilmente la placenta e nel feto
non presenta il fenomeno di scappamento pro-
prio delle persone adulte; ciò comporta che a do-
si elevate può determinare danni anche prolun-
gati a carico della tiroide del feto e del neonato
quali gozzo e ipotiroidismo fetale-neonatale.
Il suo uso, pertanto, è di solito sconsigliato in
gravidanza: va preso in considerazione solo nei
casi di grave crisi tireotossica o per la prepara-
zione all’intervento di tiroidectomia (ma non più
di 5-7 giorni).
betabloccanti
I betabloccanti vengono utilizzati per ridurre
la frequenza cardiaca qualora elevata; non hanno
alcun effetto sulla sintesi degli ormoni tiroidei.
Non hanno controindicazione in gravidanza ma
è stato dimostrato che il loro uso prolungato può
determinare ritardo nella crescita intrauterina.
Tiroidectomia totale
La chirurgia costituisce una terapia di secon-
da scelta e consiste nella tiroidectomia totale che
ormai viene preferita a quella subtotale: le indi-
cazioni sono date dalla presenza di un gozzo di
grandi dimensioni e quindi con gravi sintomi
compressivi a carico degli organi vicini, dall’in-
tolleranza ai farmaci tireostatici e dalla loro inef-
ficacia e dal riscontro di ipotiroidismo fetale in
corso di terapia tireostatica necessaria per il con-
trollo clinico materno.
In gravidanza è preferibile evitare questo in-
tervento sia per gli eventuali effetti sul feto qua-
li l’anossia, l’aborto od il parto prematuro sia per
quelli a carico della madre costituiti soprattutto
dall’alterazione del metabolismo calcio fosfori-
co legato all’insorgenza di un eventuale ipopa-
ratiroidismo.
Qualora la tiroidectomia fosse indispensabile
è opportuno che venga eseguita all’inizio del 2°
trimestre previa una corretta preparazione; la pa-
ziente dovrà, dopo l’asportazione della ghiandola,
iniziare subito un trattamento sostitutivo con ti-
roxina per evitare l’insorgenza di un ipotiroidismo.
Si è detto precedentemente come siano mol-
to rari i casi nei quali l’ipertiroidismo inizia in
gravidanza e pertanto la maggior parte delle ge-
stanti sono pazienti che hanno già una diagnosi
di ipertiroidismo e sono già in terapia.
È pertanto opportuno che le donne fertili
ipertiroidee pianifichino le loro gravidanza se-
guendo alcune direttive:
- se si assumono tireostatici attendere l’euti-
roidismo a bassi dosaggi del farmaco;
- attendere almeno un anno da un eventuale
trattamento metabolico con iodio radioattivo;
- in caso di tiroidectomia attendere che la te-
rapia sostitutiva porti a un eutiroidismo sta-
bile e siano stati corretti gli effetti di un even-
tuale ipoparatiroidismo.
L’uso delle tionamidi non controindica l’al-
lattamento in quanto passano nel latte materno
in basse quantità.
È stato segnalato che nelle 24 ore la percen-
tuale di metimazolo escreta nel latte è appena di
circa 0,47%: quello del propiltiouracile è ancora
più basso (0,07%) ed è anche per tale motivo
29
che, alcuni, preferiscono l’utilizzo di questo far-
maco per la terapia dell’ipertiroidismo in gravi-
danza.
Diversi studi clinici hanno dimostrato che
neonati allattatti al seno dalle madri che assume-
vano sino a 10 mg di metimazolo o 150 mg di
propiltiouracile non presentavano alterazioni dei
livelli di TSH e FT4.
È comunque opportuno, per maggior pru-
denza, che il farmaco venga assunto in modo più
frazionato e che il neonato venga sottoposto a
frequenti controlli bioumorali.
noDULo TIRoIDEo
Il nodulo costituisce la patologia tiroidea più
frequente. Colpisce soprattutto la donna con una
percentuale di circa il 6% nelle popolazioni sen-
za carenza iodica mentre essa è molto più alta
(circa il 15%) nei paesi, come l’Italia, affetti da
deficit nutrizionale di iodio.
Questi dati, però, sono verosimilmente sotto-
stimati in quanto non diagnosticati per la man-
canza di sintomatologia: infatti è descritta la pre-
senza di noduli tiroidei nel 50% di persone sot-
toposte a riscontro autoptico.
Questa asintomaticità comporta che spesso
viene fatta diagnosi di patologia nodulare della
tiroide proprio durante la gravidanza, quando i
controlli medici sono più accurati; va anche evi-
denziato che la gestazione di per se stessa è goz-
zigena e pertanto può mettere in maggior evi-
denza un nodulo già preesistente.
I noduli tiroidei si possono presentare singo-
li ma più spesso sono multipli configurando il
quadro di gozzo multinodulare. Solo una mino-
ranza (circa il 5%) sono maligni (tab. 18).
Da un punto di vista anatomo-patologico i
noduli singoli si distinguono in:
• solidi benigni
L’adenoma follicolare è sicuramente il più fre-
quente, nella variante micro (follicoli piccoli e
con poca colloide), macro (follicoli dilatati e
voluminosi) ed embrionale (struttura primitiva
con pochissima colloide). Sono neoformazio-
ni costituite da aree ben circoscritte di iper-
plasia ghiandolare a componente colloidale
più o meno abbondante, con architettura
uniforme e ordinata, con poche mitosi, cir-
condati da una capsula intatta. Non mostrano
segni di invasività né danno metastasi.
A secondo della loro capacità di captare ra-
dioiodio e quindi essere funzionanti e secer-
nere ormone si distinguono in caldi e freddi.
I primi si accompagnano spesso a una sinto-
matologia di ipertiroidismo mentre quelli
freddi (circa il 90% dei casi) sono invece
completamente asintomatici.
Raramente si sviluppano sino a dimensioni
tali da determinare compressione meccanica
su trachea ed esofago come può avvenire nel-
le forme multinodulari.
• cisti
Formazioni benigne, rappresentano dal 7 al
20% dei noduli solitari della tiroide a carico
Tab. 18 – Classificazione anatomo-patologica clinica dei noduli tiroidei
noduli solidi benigninodulo colloidenodulo benigno a prevalente componente cellulare
Adenoma tiroideoiperfunzionantenon funzionante
noduli “cistici”pseudocisti (noduli misti)cisti tiroidee vere
noduli infiammatoritiroidite cronica autoimmune (tiroidite di
Hashimoto)tiroidite subacutatiroidite acutamalattie granulomatose
noduli neoplastici maligniprimitivi metastatici
30
della tiroide. Possono avere contenuto sierico,
emorragico o simile ad acqua di roccia. Spes-
so sono formazioni pseudocistiche vale a dire
aree a contenuto liquido in noduli solidi.
• infiammatori
Sono formazioni benigne che insorgono nel-
l’ambito di infiammazioni acute e croniche
della ghiandola tiroidea: di solito hanno l’a-
spetto di “pseudonoduli”. Tipici sono quelli
che compaiono nella tiroidite di Hashimoto,
dove sono l’espressione macroscopica del-
l’infiltrazione linfocitaria, o nella tiroidite su-
bacuta, dove il processo infiammatorio ten-
de alla formazione di granulomi.
• neoplastici maligni primitivi
Sono i tumori endocrini maligni più fre-
quenti e rappresentano la seconda causa di
morte per tumore maligno dopo il carcino-
ma ovarico.
Sono classificati in 4 istotipi: papillare, folli-
colare, midollare e anaplastico (tab. 19).
Il papillare ed il follicolare sono definiti an-
che differenziati e originano dalle cellule
epiteliali follicolari tiroidee; il papillare è in
assoluto il più frequente e rappresenta il 50-
70% di tutti i carcinomi tiroidei seguito dal
follicolare che rappresenta il 15-25%; per-
tanto, i carcinomi differenziati sono respon-
sabili del 70-90% di tutti i tumori della ti-
roide.
Il papillare è senza dubbio il tumore più fre-
quente nelle donne in età fertile e pertanto
quelli più frequenti in corso di gravidanza. È
anche la forma più benigna metastatizzando
per via linfatica e raramente per via ematica
a distanza (ossa e polmone).
Il follicolare colpisce di solito in età più adul-
ta e pertanto sono abbastanza rari in gravi-
danza: è più frequente nelle aree a carenza io-
dica e metastatizza per via ematica.
Il carcinoma midollare, nelle varianti spora-
dica e familiare, origina dalle cellule pa-
rafollicolari e secerne calcitonina. La forma
sporadica è, in assoluto, la più frequente ma,
insorgendo di solito nel quinto/sesto decen-
nio di vita, è di difficile riscontro nelle ge-
stanti; la familiare, più rara, spesso associata
a tumori di altre ghiandole endocrine nel-
l’ambito della poliendocrinopatia neoplasti-
ca multipla, mostrando un picco di insorgen-
za nel secondo/terzo decennio, può più fre-
quentemente interessare donne in gravidan-
za. La via di metastatizzazione è sia linfatica
che ematica.
Il carcinoma anaplastico è estremamente ma-
ligno ma raramente compare in età fertile in
quanto insorge di solito in soggetti con più di
60 anni. Origina in genere da un tumore del-
la tiroide, adenoma o carcinoma differenzia-
to, o da un gozzo di vecchia data. Metasta-
tizza localmente ai linfonodi laterocervicali,
negli organi adiacenti, e a distanza alle ossa,
al polmone, al cervello e al fegato.
• neoplastici maligni secondari
I linfomi e metastasi tiroidee da neoplasie di
altri organi vengono menzionati per com-
pletezza ma sono estremamente rari in età
Tab. 19 – Carcinomi della tiroide: isotipi, frequenza, metastasi
Isotipo Frequenza % Metastasi
Papillare 50-70 Linfoghiandole locali, polmone, ossa
Follicolare 15-25 Polmone, ossa
Midollare 5-10 Linfoghiandole locali, polmone, ossa
Anaplastico < 5 Strutture adiacenti
Fig. 4 – sequenza delle indagini diagnostiche peril nodulo tiroideo in gravidanza
Nodulo tiroideo
Ecografia
Citologia mediante agoaspirazione con ago sottile
Indagini di laboratorio:Valutazione funzionale (FT4, FT3, TSH)
Marcatori di autoimmunità tiroidea (TGAb, TPOAb)Marcatori di neoplasia tiroidea (calcitonina e tireoglobulina)
fertile.
A conclusione vale la pena ulteriormente pre-
cisare che nelle donne giovani la maggior par-
te dei carcinomi tiroidei sono neoplasie papil-
lari differenziate e scarsamente aggressive.
L’iter diagnostico del nodulo tiroideo ha so-
prattutto lo scopo di differenziare tra malignità e
benignità della patologia e valutare la gravità di
eventuali fenomeni compressivi che possono
portare a un’indicazione chirurgica.
La diagnosi differenziale si basa sull’anam-
nesi, sull’esame obbiettivo e sulle indagini di la-
boratorio e strumentali (fig. 4).
Un’accurata raccolta anamnestica è di estre-
ma importanza: la comparsa di un nodulo in
donne residenti in zone caratterizzate da caren-
za iodica orienta per la presenza di una lesione
benigna cosi come la comparsa con estrema ra-
pidità e dolore per la presenza rispettivamente
di una emorragia o cisti o un nodulo infiamma-
torio; devono invece orientare per la forma ma-
ligna una familiarità positiva per carcinoma ti-
roideo e una storia pregressa di irradiazione al
collo.
Alcuni dati evidenziabili dall’esame obbiet-
tivo possono indirizzare verso il sospetto della
presenza di una formazione maligna: un aumen-
to di volume di un lesione preesistente nono-
stante la terapia soppressiva di L-tiroxina, la con-
sistenza dura, la fissità ai piani profondi, il rilie-
vo di una linfoadenopatia laterocervicale, la
comparsa di disfonia. Segni clinici di ipertiroi-
dismo devono invece orientare per un nodulo be-
nigno (adenoma tossico).
La determinazione degli ormoni liberi cir-
colanti e del TSH è di poca utilità per la dia-
gnosi differenziale circa la benignità o meno del
nodulo: un abbassamento del TSH e un aumen-
to dell’FT4 e soprattutto dell’FT3 orienta per la
presenza di un adenoma tossico mentre un au-
mento del TSH per la presenza di un nodulo in-
fiammatorio. Il dosaggio della tireoglobulina
spesso è aumentata anche se occorre far pre-
sente che essa può risultare aumentata anche
nelle forme di patologia nodulare diffusa. Il ri-
lievo di valori elevati di calcitonina permette di
diagnosticare un carcinoma midollare. Di scar-
sa importanza la positività o meno degli anti-
corpi antitiroidei volti a evidenziare la presen-
za di una autoimmunità.
Dal punto di vista delle indagini strumentali
va innanzitutto precisato che la scintigrafia tiroi-
dea in gravidanza è controindicata e pertanto la
valutazione del nodulo deve prescindere dalla di-
stinzione tra freddo e caldo.
Lo studio ecografico risulta l’esame di pri-
ma scelta nelle tireopatie nodulari in gravidan-
za per la sua facilità di esecuzione e per l’asso-
luta assenza di rischi radiologici. Tale metodica
permette innanzitutto di conoscere le caratteri-
stiche del nodulo (solido, liquido o misto); non
fornisce invece alcun elemento capace di fare
una diagnosi sicura sulla natura del nodulo ma
la sua ipoecogenità, la presenza di calcificazio-
ni e di vascolarizzazione intranodulare orienta-
no maggiormente per la presenza di un carci-
noma.
L’esame citologico mediante agoaspirazione
con ago sottile del tessuto tiroideo (FNA) forni-
sce una diagnosi sulla natura della lesione ed è
quindi indicato per stabilire la benignità o mali-
gnità di un nodulo tiroideo. È una tecnica estre-
mamente semplice e non presenta alcuna con-
troindicazione in gravidanza.
Come regola generale tutti i noduli superiori
ad 1 cm dovrebbero essere sottoposti ad agoa-
spirazione.
L’FNA è fondamentale per porre diagnosi di
carcinoma papillare, midollare e anaplastico con
una accuratezza diagnostica maggiore del 90%:
invece, per le neoplasie follicolari e i noduli a
cellule di Hurthle è ampiamente riconosciuta la
difficoltà di differenziare le forme benigne da
quelle maligne.
La condotta terapeutica è strettamente legata
all’esito dell’esame citologico che distingue il
nodulo in benigno, maligno ed a citologia non
dirimente.
• benigno
Tra gli endocrinologi non vi è una linea di
condotta univoca.
31
32
Qualora la paziente non sia già in trattamen-
to, alcuni, in considerazione dell’innocuità
della terapia con L-tiroxina e dell’azione goz-
zigena della gravidanza, reputano opportuno
iniziare subito la terapia soppressiva del TSH
già durante la gestazione onde evitare pre-
ventivamente un ulteriore aumento di volu-
me della lesione e la formazione di altri no-
duli; altri, invece, reputano più idonea la so-
la osservazione e non concordano sul tratta-
mento preventivo e preferiscono intervenire
con la l-tiroxina solo qualora la lesione do-
vesse effettivamente aumentare significati-
vamente di volume.
• Maligno
La terapia medica soppressiva con L-tiroxina
va iniziata immediatamente: ad essa deve ne-
cessariamente associarsi quella chirurgica di
tiroidectomia totale.
I tempi di esecuzione dell’intervento saran-
no determinati soprattutto dal tipo di carci-
noma presente, al fine di creare i minori ri-
schi al feto e alla madre.
Qualora si tratti di carcinoma papillare, in
considerazione del fatto che ha una crescita
molto lenta, che la gravidanza non sembra
modificare la sua storia naturale e che me-
tastatizza raramente, se non vi sono meta-
stasi linfonodali e se il nodulo è di dimen-
sioni modeste (al di sotto di 1,5 cm) la ti-
roidectomia non deve essere considerata con
carattere di urgenza e può essere rimandata
a dopo il parto. Se, invece, la lesione do-
vesse essere di dimensioni maggiori si è
orientati a eseguire l’intervento qualora la
diagnosi fosse fatta entro il 2° trimestre e a
procrastinarlo a dopo il parto se essa viene
fatta dopo la 24ª settimana per il rischio ele-
vato di parto prematuro.
I carcinomi anaplastici e i linfomi richiedono
un trattamento chirurgico e chemioterapico
molto celere e costituiscono l’unica indica-
zione all’interruzione della gravidanza.
• Dubbio
Questa eventualità avviene, come è stato pre-
cedentemente segnalato, nei casi di carcino-
ma follicolare e qualora con la FNA non si
riesca a ottenere materiale adeguato per la
scarsa presenza di cellule per fenomeni de-
generativi e/o fibrotici. In questi casi la con-
dotta terapeutica è attendista e segue le linee
descritte per la forma papillare.
Sembra ormai accertato che le donne che
hanno subito un intervento di tiroidectomia per
carcinoma tiroideo e successivo trattamento con
radioiodio, se trattate adeguatamente non pre-
sentano rischi particolari per una nuova gravi-
danza né per problemi genetici né per eventuali
aborti: comunque è indispensabile attendere al-
meno un anno dal trattamento metabolico e il
raggiungimento di un controllo ottimale della te-
rapia soppressiva con l-tiroxina.
TIRoIDE E PosT-PARTUM
Nel corso del primo anno dopo il parto circa
il 5-10% delle donne va incontro a una altera-
zione dell’equilibrio ormonale della tiroide (ipo
o ipertiroidismo).
Le principali cause di tale disfunzione sono la
sindrome di Sheehan, l’ipofisite autoimmune, il
morbo di Basedow del post-partum e la tiroidite
post-partum.
La sindrome di sheehan è anche definita
“infarto ipofisario”: è causata da un processo di
necrosi ischemica a carico dell’ipofisi come con-
seguenza di un eccessivo sanguinamento e alla
conseguente ipotensione al momento del parto.
Il meccanismo di questa necrosi non è anco-
ra del tutto chiarito anche se si ritiene che questa
condizione sia legata a un processo di vasospa-
smo dei vasi ipofisari; non è noto se le modifi-
cazioni dell’ipofisi durante la gravidanza, con il
suo marcato incremento volumetrico sotto l’in-
fluenza dell’aumentata increzione estrogenetica,
costituiscano una aumentata sensibilità dell’ipo-
fisi agli stimoli vasoattivi oppure se la ghiando-
la divenga più vulnerabile all’ipossia.
È divenuta ormai molto rara nel mondo occi-
dentale soprattutto grazie al miglioramento del-
33
l’assistenza ostetrica in corso di parto.
Il deficit di secrezione di TSH comporta un
ipotiroidismo che comunque non raggiunge mai
la stessa intensità delle forme primitive e pertan-
to non porta mai alla formazione di gozzo; è ac-
compagnato a un quadro clinico variabile di ipo-
pituitarismo in quanto determinato dall’entità
della lesione ipofisaria e pertanto dall’insuffi-
cienza delle varie ghiandole bersaglio.
I segni clinici caratteristici sono la mancanza
della montata lattea, l’astenia e la facile stanca-
bilità, la mancanza della ricomparsa del ciclo
mestruale, la riduzione dei peli pubici e ascella-
ri e l’ipotensione.
La terapia si base sulla somministrazione a
dosi sostitutive della l-tiroxina e degli altri or-
moni deficitari.
Ancora più rara è l’ipofisite autoimmune
linfocitaria. È un processo infiammatorio a ca-
rico dell’ipofisi, su base autoimmunitaria, carat-
terizzato da una focale o diffusa infiltrazione po-
liclonale linfocitaria.
La storia naturale di questa patologia è la pro-
gressione dell’infiammazione sino alla fibrosi e
alla completa atrofia della ghiandola.
Colpisce le donne durante il 2° o 3° trimestre
di gravidanza e nei primi sei mesi dopo il parto.
Clinicamente si caratterizza per la presenza
di cefalea e di disturbi visivi per la compressio-
ne sul chiasma ottico.
Dal punto di vista endocrino, come la sin-
drome di Sheehan, oltre alle manifestazioni pro-
prie dell’ipotiroidismo si evidenziano quelle re-
lative ai deficit delle varie ghiandole bersaglio
determinato dal grado dell’ipopituitarismo.
Anche in questa forma il trattamento è volto
a sostituire gli ormoni eventualmente deficitari.
Spesso il morbo di basedow compare per la
prima volta entro l’anno successivo alla gravi-
danza.
Indagini epidemiologiche condotte in Svezia
hanno dimostrato che più della metà delle donne
basedowiane in età fertile hanno presentato per la
prima volta la malattia nel periodo dopo il parto.
È verosimile che ciò sia da addebitare alla esacerbazio-
ne immunitaria secondaria alla gravidanza, anche se as-
solutamente normale, o a un aborto.
Il periodo di insorgenza non caratterizza il
quadro clinico e pertanto si rimanda a quanto de-
scritto precedentemente.
La causa più comune di disfunzione tiroidea
nel periodo dopo il parto è costituita dalla cosid-
detta tiroidite post-partum (PPT).
È un processo infiammatorio autoimmunita-
rio che si manifesta in genere entro i sei mesi dal
parto anche se sono stati descritti casi di insor-
genza fino a 18 mesi di distanza.
Compare di solito dopo una gravidanza a ter-
mine anche se sono descritti casi successivi ad
aborto.
Molti autori ipotizzano che possa trattarsi di
una variante della tiroidite di Hashimoto: co-
munque è la stessa entità clinica della tiroidite
silente o indolore differenziandosi solo per il pe-
riodo di insorgenza.
Si associa con gli antigeni di istocompatibi-
lità (HLA-DR4) comuni ad altre malattie au-
toimmuni.
In Italia si manifesta in una percentuale di
circa l’8%. Nelle diverse nazioni tale percen-
tuale è molto variabile (tra l’1 e il 16%): l’o-
scillazione così ampia è determinata fonda-
mentalmente dal fatto che la patologia ha un
decorso transitorio e pertanto è evidenziabile
solo se esiste un’abitudine culturale allo scree-
ning della funzione tiroidea nei 3-9 mesi dopo
il parto.
I fattori di rischio più importanti sono costi-
tuiti da:
- familiarità positiva per malattie autoimmuni;
- presenza di elevati anticorpi anti-TPO in gra-
vidanza;
- presenza di diabete mellito tipo 1: queste
donne hanno una possibilità 4 volte maggio-
re di quelle non diabetiche di andare incontro
alla PTT;
- comparsa di una PTT dopo una precedente
gravidanza: una percentuale di circa il 70%
delle donne che hanno avuto un episodio di
PPT in una precedente gravidanza vanno in-
contro a un nuovo episodio della malattia.
34
Il meccanismo patogenetico consiste nel fat-
to che durante la gravidanza si sviluppa uno sta-
to di depressione immunologica che raggiunge il
massimo verso l’ultimo trimestre di gravidanza;
dopo il parto si ha un rebound immunologico con
un inasprimento dei meccanismi dell’autoimmu-
nità tiroidea umorale e cellulare.
Il quadro clinico è caratterizzato di solito da
due fasi:
• la tireotossica: è determinata dall’immissio-
ne in circolo di ormoni tiroidei preformati
che fuoriescono dai follicoli per il processo
infiammatorio. Compare di solito verso il 2°-
3° mese dal parto. Di solito dura 1-6 settima-
ne; meno dell’1% delle donne sviluppa un
ipertiroidismo permanente.
La diagnosi si basa sulla determinazione dei
livelli di FT3 e FT4 che risultano moderata-
mente aumentati: il rapporto FT4/FT3 è di
solito aumentato a differenza di quello che
accade nel Basedow. Il TSH invece risulta si-
gnificativamente ridotto. Nella maggior par-
te delle pazienti gli anticorpi anti-TPO e an-
ti-TG risultano elevati. La captazione tiroi-
dea è bassa e anche questa indagine permet-
te una diagnosi differenziale dal Basedow do-
ve invece essa è molto elevata (tab. 20).
La sintomatologia è di solito lieve anche se
possono essere presenti tachicardia, tremori
e facile stancabilità.
Per quanto riguarda la terapia, poiché questa
fase è caratterizzata da una breve durata e da
una sintomatologia modesta, non sono ne-
cessari i farmaci tireostatici ma di solito so-
no sufficienti piccole dosi di betabloccante
tipo propanololo;
• l’ipotiroidea: si sviluppa da 4 a 8 mesi dopo
il parto.
Anche questa fase è di solito transitoria: du-
ra in genere 2-6 settimane anche se il 20-30%
dei casi va incontro a un quadro stabile di
ipotiroidismo.
È più sintomatico della precedente: si carat-
terizza per la presenza di profonda astenia,
stipsi, aumento di peso, intolleranza al fred-
do ma soprattutto per la comparsa di una de-
pressione di grado rilevante.
I valori degli ormoni liberi sono normali o ri-
dotti mentre il TSH risulta significativamen-
te elevato.
Anche in questa fase i sintomi possono es-
sere così lievi da non rendere necessaria al-
cuna terapia. Il trattamento sostitutivo con
LT4 invece risulta assolutamente necessario
nei casi in cui l’ipotiroidismo dovesse esse-
re più persistente di quello che avviene nel-
la norma tenendo sempre presente che a di-
stanza di un anno dal parto occorre tentare la
sua sospensione.
In circa il 38% dei casi la malattia si può pre-
Tab. 20 – Diagnosi differenziali tra la tiroidite post-partum e il morbo dibasedow
Tiroidite Morbo di basedow
Insorgenza improvvisa graduale
Tireotossicosi lieve-moderata moderata-grave
Durata dei sintomi < 3 mesi > 3 mesi
Soffio tiroideo assente a volte presente
Oftalmopatia assente a volte presente
T4 / T3 ↑ ↓
Captazione bassa alta
TRAb di solito negativi di solito positivi
Iper isolato38%
Ipot isolato36%
Iper + Ipo26%
Fig. 5 – Frequenza delle presentazioni clinichedella PPT in vari studi prospettici
(Stagnaro, Green, Thyroid Today, 1993)
35
sentare nella sola fase tireotossica senza il suc-
cessivo ipotiroidismo così come nel 36% si può
avere solo un ipotiroidismo isolato (fig. 5).
Nel postpartum possono insorgere diversi
quadri depressivi:
- demoralizzazione caratterizzata da lieve di-
sturbi dell’umore che si risolve spontanea-
mente in alcune settimane; colpisce il 75-
80% delle donne;
- depressione con i disturbi tipici di tale quadro
psichico; è più prolungato del precedente e
spesso necessita di terapia specifica; colpisce
circa il 10-15% delle donne;
- psicosipuerperale che si manifesta con gravi
sintomi depressivi e allucinazioni e può por-
tare al suicidio e/o all’infanticidio; colpisce
circa una donna su 1.000.
Diversi studi hanno evidenziato una correla-
zione tra depressione e funzionalità tiroidea. È
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bibliografia
36
sE
LE
CT
Io
di chi intRapRende
gLi studi di medicina
[da un Testo Medico dell’Alto Medioevo]
Ante igitur iuramentum traditum, designavit Ypocras qualem oportet esse di-scipulum medicinae. Primum quidem genere liberum, facultatibus nobilem, ae-tate non puerum, in magbnitudine moderatum, forte et ad omnia aptum, etquidem animo talem et corpore, animo autem sensatum et boni consilii, beni-gnum, virilem, benivolum, castum, maximae animae diligentia habentem, au-dacem sine iracundia, mente non durum, celerem quidem ad percipiendam etad intelligendam doctrinam.
Prima dunque di ammettere il candidato al giuramento, ippocrate fissò le ca-
ratteristiche che deve avere lo studente di medicina. Anzi tutto, dunque, sia di
nascita libero, copioso di sostanze, non più ragazzo, di taglia regolare, robu-
sto e rotto a ogni disagio e tale nel morale quanto nel fisico, di mente giudiziosa
e ragionevole, bonario, virile, casto, particolarmente sollecito della salute del-
l’anima, deciso ma non collerico, di mente non tarda, cioè svelto nell’affer-
rare e nel capire l’insegnamento.
ReaLismo o pessimismo?
[George Meredith (1828-1909) Poeta e scrittore inglese]
Nessun uomo di buon senso può credere nelle medicine per le malattie croniche.
Le Leggi fondamentaLi
deLLa stupidità umana
[Carlo M. Cipolla]
Lo stupido non è inibito da quel sentimento che gli anglosassoni chiamano self-
consciousness. Col sorriso sulle labbra, come se compisse la cosa più naturaledel mondo, lo stupido comparirà improvvisamente a scatafasciare i tuoi piani,distruggere la tua pace, complicarti la vita e il lavoro, farti perdere denaro,tempo, buonumore, appetito, produttività – e tutto questo senza malizia, senzarimorso, e senza ragione. Stupidamente.
v
v
37
Nel nostro organismo componenti fonda-
mentali necessarie per regolare le diverse
funzioni sono le proteine: gruppo complesso di
molecole che include numerose sostanze con
svariate proprietà (ormoni, enzimi, anticorpi,
molecole di struttura, recettori di membrana e
così via).
Nella pratica clinica è ormai di routine ese-
guire la protidemia e l’elettroforesi delle protei-
ne. Le proteine rappresentano i costituenti base
delle cellule, animali e vegetali. Analizzate da un
punto di vista chimico sono polimeri formati da
residui di aminoacidi tra loro uniti con legame
peptidico. Le proteine vanno intese come strut-
ture tridimensionali, variamente orientate nello
spazio. In senso lato si può dire che ad ogni pro-
teina è associabile una ben definita funzione bio-
logica. Talora anche modifiche limitate nella
struttura di una proteina ne alterano le proprietà
biologiche. Utilizzando una semplice distinzione
possiamo dividere le proteine con struttura glo-
bulare e quelle con struttura fibrosa, con funzio-
ni generalmente di tipo biomeccanico.
Uno dei pionieri nello studio delle proteine,
al quale fu conferito il premio Nobel per la chi-
mica nel 1948, è stato Arne Wilhelm Kaurin Ti-
selius (Stoccolma, 10 agosto 1902 - Uppsala, 29
IL PRoTIDoGRAMMA ELETTRoFoRETICo
LE
GG
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E L
E A
nA
LIs
I
Arne Wilhelm Kaurin Tiselius
38
ottobre 1971) un biochimico svedese.
Ottenuto il dottorato nel 1939 con studi sul-
l’elettroforesi delle proteine, continuò successi-
vamente ad approfondire questo tipo di ricerca
sviluppando alcuni metodi di indagine molto ac-
curati per l’analisi elettroforetica.
La valutazione delle proteine totali nel san-
gue o, più comunemente protidemia (valori nor-
mali compresi tra 6 e 8 g/100 ml) è uno dei clas-
sici esami di routine e assume un importante si-
gnificato indicativo delle condizioni di salute in
generale. Utilizzando particolari metodi di sepa-
razione (l’elettroforesi) è possibile determinare
la distribuzione di alcune frazioni proteiche, dif-
ferenziando i varti tipi di gruppi di proteine che
formano il pool complessivo.
Una prima, grossolana, ma importante diffe-
renziazione, include l’albumina (che presiede al
mantenimento della pressione osmotica del san-
gue impedendo che il sangue non diffonda attra-
verso le pareti dei vasi sanguigni), le alfa globu-
line (gruppo di proteine la cui produzione au-
menta considerevolmente nelle prime fasi del
processo infiammatorio) e le gammaglobuline
(che svolgono un ruolo importante nella difesa
dell’organismo contribuendo all’eliminazione
dei microrganismi patogeni responsabili di varie
malattie infettive). Le diverse proteine vengono
prodotte in gran parte dal fegato e le immuno-
globuline, responsabili di un aspetto dell’immu-
nità umorale, derivano da cellule specializzate
del sistema immunitario (i linfociti B).
L’elettroforesi si esegue utilizzando un cam-
po elettrico: nel campo elettrico le proteine mi-
grano a distanze differenti, formando raggrup-
pamenti che possono essere espressi con una cur-
va che presenta oscillazioni o picchi in corri-
spondenza dei cinque tipi di proteine separate
durante la migrazione: albumina (valore di rife-
rimento percentuale 55-70%), alfa-1-globulina
(1,5-4,5%), alfa-2-globulina (5-11%), betaglo-
buline (6,5-12%), gammaglobuline (10-20%).
La forma del tracciato elettroforetico di un indi-
viduo sano ha un andamento tipico, con un “pic-
co” formato dalla migrazione delle molecole di
albumina e una distribuzione “ondulante” delle
altre frazioni:
Con il protidogramma ottenuto dopo separa-
zione elettroforetica si osserva una distribuzione
frazionata delle proteine del siero. La morfolo-
gia del tracciato, con l’innalzarsi di alcune fra-
zioni o con la forma di certe immagini caratteri-
stiche consente, già in prima approssimazione,
di identificare anomalie della composizione e/o
della distribuzione delle proteine.
Calcolando le differenze percentuali sulla ba-
se della protidemia (peso delle proteine per unità
di volume) abbiamo anche la possibilità di una
valutazione quantitativa (in grammi o frazione di
grammo) delle diverse componenti separate do-
po l’applicazione del campo elettrico. Le frazio-
ni, come abbiamo visto sono 5, ma possono es-
sere anche 6 (se dividiamo il gruppo b in b1 e
b2).Ovviamente le proteine del sangue sono mi-
gliaia e quindi il protidogramma ha una “forza”
informativa limitata, ma è molto importante dal
punto di vista clinico e talora consente diagnosi
immediate e definitive.
Sappiamo che nella distribuzione delle di-
verse proteine ci sono alcune componenti note,
che si distribuiscono tra albumina e frazione
gamma. Questa distribuzione è così riassumibi-
le: dalle albumine (situate sul versante del polo
positivo) in direzione del polo negativo si con-
centrano orosomucoide e alfa1 antitripsina, con
antichimotripsina, ceruloplasmine, alcune glo-
buline (frazione a1), macroglobuline, aptoglobi-
album
ina
alfa 1
beta
1be
ta 2
gamma
alfa 2
Protidogramma elettroforetico
39
na, alfa-lipoproteine (frazione a2), transferrina,
plasminogeno, fibronectina, beta lipoproteine
(frazione b: la componente b1 è data essenzial-
mente dalla transferrina – proteina che trasporta
il ferro all’interno dell’organismo –, la b2 con-
tiene invece le beta-lipoproteine, che trasportano
i grassi nel sangue, gammaglobuline o frazione
gamma).
La più tipica forma patologica immediata-
mente riconoscibile nel tracciato elettroforetico
delle proteine è la gammopatia. Più ingenerale
se aumenta la frazione delle gammaglobuline la
curva che le rappresenta “cresce” e occupa uno
spazio più ampio se confrontata con le altre fra-
zioni. L’incremento della frazione gamma a ca-
rattere policlonale è tipico di un processo in-
fiammatorio/infettivo. Questa frazione com-
prende immunoglobuline e quindi se l’organi-
smo è impegnato in corso di una malattia infet-
tiva l’aumento della frazione gamma corrispon-
de abbastanza bene all’andamento della risposta
immunitaria.
Studiando il protidogramma fu possibile,
nel 1952, a Ogden Bruton, identificare sogget-
ti non in grado di rispondere alle infezioni. Egli
descrisse la così detta agammaglobulinemia di
Bruton: in sostanza bambini che si ammalava-
no con frequenza e con grave impegno clinico,
che guarivano con l’uso degli antibiotici ma che
ricadevano nel medesimo processo patologico
alla sospensione degli antibiotici, bambini nei
quali l’andamento recidivante del fenomeno pa-
tologico avrebbe fatto ritenere logico un incre-
mento della frazione gamma, invece avevano
una curva piatta. Se ne poteva dedurre che la
produzione di anticorpi era quasi assente o mol-
to ridotta, senza che il bambino fosse in grado
di difendersi.
Anche ai nostri giorni, senza ricorrere neces-
sariamente a indagini complesse, almeno in pri-
ma istanza, è possibile fare diagnosi di agamma-
globulinemia osservando il protidogramma e
analizzando segni e sintomi del paziente, con
particolare riferimento a un’anamnesi accurata.
Un’altra immagine clinicamente importante
è espressa dalla gammopatia monoclonale.
In questo caso, come si evince dall’immagi-
ne nella pagina, compare un picco molto stretto
che somiglia alla configurazione del picco albu-
minico. È un’immagine purtroppo indice di ma-
lattia neoplastica, il mieloma. In questa patologia
del sangue alcune cellule, i linfociti B, produco-
no grandi quantità di un solo tipo di anticorpo
(monoclonalità).
Un quadro di questo tipo, talora osservabile
senza che siano manifesti segni o sintomi clinici
importanti, implica l’obbligo di accertamenti im-
mediati in senso ematologico. Non sempre un
picco monoclonale ha un significato clinico co-
sì impegnativo: in alcune circostanze, valutate
caso per caso ma sempre dopo videat ematolo-
gico/immunologico, è necessario indagare ulte-
riormente sulle cause (per esempio la presenza
di infezioni croniche) e può essere sufficiente un
accurato monitoraggio nel corso del tempo.
Nella valutazione del protidogramma dobbi-
amo considerare anche le altre variazioni possi-
bili come segue:
• albumina (normale se il valore in grammi è
compreso tra i 3,7 e i 5,5); se la sua percen-
tuale diminuisce, significa che le altre pro-
teine, per differenza, sono aumentate e questo
potrebbe orientare il medico verso ulteriori
approfondimenti relativamente a malattie in-
fiammatorie o a una malattia preoccupante
come il mieloma. Se diminuiscono sia la sua
percentuale sia la quantità in peso, probabil-
mente il fegato non è in grado di svolgere in
39
album
ina
alfa 1
beta
1be
ta 2
gamma
piccomonoclonale
alfa 2
Picco monoclonale
4040
modo corretto la sua funzione di produzione
delle proteine (quadro riscontrato in alcune
epatopatie e in particolare nella cirrosi epati-
ca, malattia con grave e irreversibile anoma-
lia delle cellu le del fegato e conseguente per-
dita delle sue funzioni);
• ?1-globuline: se percentuale o quantità au-
mentano rispetto ai valori nor mali, l’altera-
zione indica un processo infiammatorio o una
probabile infezione in corso all’interno del-
l’organismo;
• ?2-globuline: se la percentuale o quantità
aumentano rispetto ai valori nor mali, l’alte-
razione, come per le ?1-globuline, indica un
processo infiammatorio o una infezione in
corso;
• b-globuline: se percentuale o quantità au-
mentano rispetto ai valori nor mali, l’altera-
zione può essere un segnale di anemia per-
ché tra le b-globuline è presente la transfer-
rina, che aumenta quando il ferro nel l’organi-
smo è basso;
• g-globuline: abbiamo già descritto il caso
dell’agammaglobulinemia; se invece si os-
serva un aumento delle gammaglobuline in
forma policlonale è in corso un processo in-
fiammatorio (acuto o cronico), se aumenta
una frazione con carattere di malattia mo-
noclonale in forma elevata la diagnosi pro-
babile è quella di plasmocitoma o mieloma
multiplo; se il piccolo monoclonale è limi-
tato ci si trova di fronte a una gammopatia
monoclonale talora di incerto significato (il
quadro delle forme “minori” di gammopa-
tia monoclonale è abbastanza diffuso e si as-
socia a malattie infettive o infiammatorie a
carattere cronico): l’andamento può miglio-
rare con l’evolvere della malattia di base,
ma è comunque necessario un accurato mo-
nitoraggio.
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4141
ALLARME bAMbInI sovRAPPEso o
obEsI
http://www.asca.it/news-Salute_30_PERCENTO__bimbi_in_sovrappeso__ma_a_rischio_anche_10_PERCENTO__dei_normopeso-1137413-ATT.html
Alcuni interessanti dati di uno studio effettuato
dal Secondo “Osservatorio Nutrikid” della Ne-
stlé‚ in collaborazione con la Clinica Pediatrica
dell’Ospedale San Paolo di Milano, con la SPES
– Società per l’educazione alla salute e il Centro
di Ricerca “Ales Research” – mettono in evi-
denza che in Italia quasi un terzo dei bambini
(29%) è in sovrappeso o obeso e un ulteriore
10% è considerato “a rischio” cioè piú predispo-
sto a ingrassare a causa di fattori familiari, abi-
tudini alimentari non corrette e sedentarietà. Gli
oltre 4400 questionari compilati nel 2011 dai ge-
nitori nell’ambito del progetto didattico “Nu-
trikid” (giunto alla 4^ edizione in corso con
200.000 bambini coinvolti nel territorio nazio-
nale) mostrano infatti alcuni trend significativi
utili per valutare possibili interventi preventi-
vi/educativi. Gli esperti hanno individuato 10
principali fattori di rischio nelle abitudini dei
bambini o nelle caratteristiche familiari, e han-
no visto che l’85% dei piccoli ha la metà di que-
sti fattori, come ad esempio il fare spuntini e me-
rende non corretti, l’abitare in città e/o anche il
bere bevande gassate o zuccherate fuori o du-
rante i pasti.
“Il rischio relativo per un bambino obeso di
diventare un adulto obeso aumenta con l’età ed è
direttamente proporzionale alla gravità dell’ec-
I bEnEFICI CLInICI DELLA RICERCA:sELEZIonE DALLA LETTERATURA sCIEnTIFICA
42
cesso di peso. Fra i bambini obesi in età prescola-
re dal 26 al 41% sarà poi obeso da adulto” com-
menta la dottoressa Elvira Verduci dell’Ospedale
San Paolo “come anche fra i bambini in età sco-
lare le percentuali salgono dal 42 al 63%. Infine,
questa percentuale sale al 70% per gli adolescen-
ti obesi. L’avere uno o entrambi i genitori obesi, è
poi il fattore di rischio piú importante per la com-
parsa dell’obesità in un bambino”.
Inoltre, dallo studio emerge che “la colazio-
ne, che dovrebbe essere il pasto piú importante
della giornata, nel 10% dei bambini non è con-
sumata con regolarità. Tra quelli che la consu-
mano, poi, il 44% dei bambini lo fa in maniera ri-
petitiva, mangiando sempre gli stessi cibi. An-
che pesce e verdure non vengono consumati o
solo occasionalmente” (solo dal 21-31% dei
bambini). “In generale – commenta la dottores-
sa Verduci, – il consumo di frutta e di verdura so-
no abitudini strettamente collegate tra di loro. Per
questo è utile sensibilizzare le famiglie al consu-
mo di frutta durante gli spuntini, così da abitua-
re il gusto e fare da traino per il consumo di ver-
dure durante i pasti”.
In ogni caso i dati dell’“Osservatorio Nu-
trikid”, se pur confermano abitudini ancora da
migliorare e la necessità di mantenere alto il li-
vello di attenzione e di intervento educativo, evi-
denziano come sia possibile innescare un positi-
vo ‘circolo virtuoso’ di nuove buone abitudini e
di atteggiamenti corretti, fino allo stimolare l’at-
tività fisica e sportiva nei bambini.
PER RIPARARE IL CUoRE InFARTUATo
sI sTA sPERIMEnTAnDo In svIZZERA
L’Uso DI Un CERoTTo bIoLoGICo
http://journals.alphamedpress.com/index.php/stem-cells-translational-medicine
Secondo due ricercatori svizzeri, la dr.ssa Jaco-
ni dell’Università di Ginevra e il dr. Hubbell del
Politecnico di Losanna, un cerotto di cellule sta-
minali biologico degradabile potrebbe aiutare il
cuore colpito da infarto. La tecnica innovativa è
stata sperimentata su topi e ha dato buone spe-
ranze. Nella Rivista Internazionale Stem Cells
Translational Medicine, dove è stato pubblicato
questo lavoro, viene descritta la composizione di
questo farmaco: fibrina (proteina filamentosa),
cellule staminali e un fattore di crescita. I ricer-
catori l’hanno inserito in alcuni topi che aveva-
no subito un infarto al cuore, e dopo sei settima-
ne hanno constatato che le loro funzioni cardia-
che erano decisamente migliorate rispetto a quel-
le del gruppo di controllo che non aveva ricevu-
to cellule staminali. Il cerotto si è decomposto,
le cellule si sono insediate nelle parti di tessuto
danneggiate dall’infarto, e intorno alla sede del-
l’impianto si sono formati nuovi vasi sanguigni.
Il miglioramento non è stato notato nella sola zo-
na circoscritta al luogo dell’impianto, ma è stato
riscontrato in tutto il muscolo cardiaco.
Sono anni che gli studiosi lavorano sulle tec-
niche rigenerative per il cuore, e le cellule sta-
minali sono ritenute molto promettenti in questo
senso. Queste cellule, inoltre, devono essere in-
serite nel punto esatto dove è avvenuto il danno
e secondo alcune valutazioni fatte in questo stu-
dio, il 10% delle cellule staminali impiantate rie-
sce a sopravvivere, e solo il 2% di quelle so-
pravvissute si stabilisce veramente nel cuore.
RIDURRE IL sALE nEI CIbI è sALUTA-
RE E IL GUsTo non CI RIMETTE
http://www.swissinfo.ch/ita/societa/Meno_sale_non_e_per_forza_sinonimo_di_insipido.html?cid=31998096
Si può diminuire la quantità di sale senza com-
promettere qualità e sapore dei cibi. Questo è il
risultato di una ricerca della Scuola Universitaria
Professionale di Scienze Agronomiche, Foresta-
li e Alimentari di Zollikofen in Svizzera. Lo stu-
dio è stato fatto in seguito alla campagna nazio-
nale per convincere la popolazione a ridurre il
consumo di sale, che incide sulla pressione alta,
con effetti negativi per la circolazione del san-
gue e per il cuore. Va detto che in Svizzera il con-
sumo medio giornaliero è di 9,1 grammi, molto
al di sopra dei 5 gr raccomandati dall’Organiz-
zazione Mondiale della Sanità. I ricercatori han-
no perciò esaminato varie opzioni per abbassare
in modo significativo la quantità di cloruro di so-
dio in alcuni tipi di alimenti, e hanno concluso
che è possibile centrare l’obiettivo senza pregiu-
dicare né la qualità, né la conservazione dei pro-
dotti. La ricerca ha riguardato gli alimenti pre-
parati come pane, prodotti a base di carne, cibi
pronti, e la loro ricetta è stata rielaborata con me-
no sale. Il pane è risultato il prodotto che più si
presta alla diminuzione. Ed essendo basilare per
l’alimentazione di molte persone, intervenire su
quell’alimento ha indubbiamente un effetto po-
sitivo. Il sale non dà solo sapore, ma ne favorisce
anche la cottura perché modifica la struttura del-
la pasta e incide su consistenza e colore.
Il sale è un ingrediente a basso costo, utiliz-
zato per rendere più saporiti i cibi, e lo studio in-
dica che si possono operare riduzioni modeste
senza alterare il gusto. Per esempio, alcuni test
hanno mostrato che la maggior parte dei parte-
cipanti a sperimentazioni hanno apprezzato
cracker al frumento preparati con il 15% di sale
in meno. Ora spetterebbe al mercato. Tre grandi
aziende alimentari Nestlé, Migros e Coop si so-
no già impegnate in questo senso. La Coop dice
che il suo pane non contiene più dell’1,5% di
cloruro di sodio; la Migros ha cominciato a li-
mitarlo già nel 2009 e l’anno scorso ha deciso di
intervenire su 171 prodotti; in quanto alla Nestlé,
annuncia che nei prossimi cinque anni lo ridurrà
del 10% nei suoi cibi preparati.
Dalla ricerca si evince che esiste un possibi-
le potenziale di riduzione del sale nei cibi e quel-
lo che conterà, dunque, sarà la somma degli sfor-
zi individuali.
InFERTILITà PER DonnE obEsE
http://www.dottorsalute.info/2012/03/18/obesita-peri-colo-infertilita-nelle-donne/
L’obesità ha ripercussioni negative sulla salute
riproduttiva delle donne: riduce, infatti, le possi-
bilità di concepimento spontaneo e i successi dei
trattamenti per l’infertilità. Questi i risultati di
uno studio pubblicato sul Journal of Human Re-
productive Sciences e presentati a Roma nel
Convegno “Fertilità e disturbi alimentari”. Dal-
lo studio emerge che l’obesità nelle donne sa-
rebbe associata non solo a infertilità e sterilità,
ma anche a un aumento del tempo necessario per
il concepimento. Producendo un minor numero
di follicoli, e quindi di ovociti, le donne che sof-
frono di obesità richiedono dosi maggiori di go-
nadotropine per la stimolazione ovarica. I tassi
di fecondazione, quindi, sono più bassi, la qualità
degli embrioni risulta scarsa soprattutto nelle
donne più giovani, e si assiste a un aumento del
tasso di abortività. “Si stima che l’obesità causi
infertilità nel 12% dei casi – dichiara la dotto-
ressa Picconeri, ginecologa specialista in medi-
cina della riproduzione – e che, ripristinando un
peso normale in maniera graduale e duratura, nel
70% dei casi si recuperi anche la capacità ripro-
duttiva. Questo dimostra come nella cura del-
l’infertilità sia fondamentale svolgere esami dia-
434343
44
gnostici e approfondimenti a 360 gradi. Sarà co-
sì possibile fare una diagnosi precisa alla coppia
infertile e mettere a punto un percorso terapeuti-
co personalizzato”.
sI bEvE MEno ALCoL MA non FRA I
GIovAnI
http://www.salute.gov.it/dettaglio/phPrimoPiano-New.jsp?id=336http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazio-ni_1686_allegato.pdf
Il Ministero della Salute ha recentemente pubbli-
cato nel proprio portale (www.salute.gov.it) l’otta-
va relazione al Parlamento sugli interventi realiz-
zati da Ministero e Regioni in attuazione della leg-
ge-quadro 125/2001, in materia di alcol e proble-
mi correlati al consumo di alcol. Secondo questa
relazione diminuisce la mortalità legata alle pato-
logie connesse all’uso di alcol, ma tra i giovani il
consumo resta ancora alto. Ciò che preoccupa è la
pratica, che si diffonde sempre di più, di bere al-
colici in grande quantità, in breve tempo e fuori
pasto: il cosiddetto ‘binge drinking’. Inoltre, la per-
centuale di ragazze tra 14 e 17 anni consumatrici di
alcol è raddoppiata negli ultimi 15 anni. Il docu-
mento, trasmesso dal ministro Renato Balduzzi ai
presidenti di Camera e Senato, presenta un quadro
aggiornato sui consumi alcolici e sui comporta-
menti a rischio, su interventi di contrasto attivati
dal ministero, sui dati del monitoraggio dei servi-
zi territoriali e delle iniziative delle Regioni relati-
ve all’accesso ai trattamenti, prevenzione, infor-
mazione, aggiornamento professionale e promo-
zione della ricerca e del volontariato.
I dati confermano il passaggio dal tradizio-
nale modello mediterraneo, con consumi quo-
tidiani e moderati, incentrati prevalentemente
sul vino, a un modello più articolato, che risen-
te sempre più dell’influsso culturale nord-euro-
peo. Cresce ancora il fenomeno del ‘binge
drinking’, cioè la pratica di consumare diverse
bevande alcoliche in quantità, in un breve arco
di tempo con una conseguente ubriacatura im-
mediata, nonché la perdita di controllo. Nel
2010 ha riguardato il 13,4% degli uomini e il
3,5% delle donne. Nella fascia tra i 18 e i 24 an-
ni la percentuale di donne che pratica il ‘binge
drinking’ sale al 9,7 %. I consumatori fuori pa-
sto sono notevolmente aumentati nel corso del-
l’ultimo decennio: dal 33,7% al 41,9% i consu-
matori tra i 18 e 24 anni; dal 14,5 al 16,9%
quelli tra 14 e 17 anni. Tra le ragazze di 14-17
anni la quota delle consumatrici fuori pasto è
raddoppiata negli ultimi 15 anni, passando dal
6% del 1995 al 14,6% del 2010 e inoltre se si
analizzano solo gli ultimi due anni si trovano
dati relativamente stabili.
Il ministro Balduzzi comunque spiega che
prof. Alessandro Ciammaichella
Medico chirurgo, Specialista in Medicina Internagià Primario Medico Ospedaliero
dott. Silvana Francipane
Medico chirurgo
dott. Stefano Gaudino
Medico Specialista in Geriatria, Medicina Interna edEndocrinologia già Aiuto Primario Azienda Complesso OspedalieroS. Giovanni-Addolorata Roma
dott. Francesco Leone
Direttore sanitario Bios S.p.A.
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