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Tempeste

Date post: 27-Mar-2016
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Tempeste, il clima che lasciano in eredita i nostri nipoti, l'urgenza di agire. Di James Hansen
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TEMPESTEil clima che lasciamo in eredità ai nostri nipoti,

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Edizioni Ambiente

James Hansen

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TEMPESTE

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James HansenTEMPESTEil clima che lasciamo in eredità ai nostri nipoti, l’urgenza di agirerealizzazione editorialeEdizioni Ambiente srl

titolo originaleStorms of my GrandchildrenThe Truth About the Coming Climate Catastrophe and Our Last Chance to Save HumanityCopyright © 2009 by James Hansen, Bloomsbury USAPublished by arrangement with Marco Vigevani Agenzia LetterariaIllustrations copyright © Makiko Sato

traduzione: Erminio Cella

edizione italiana a cura di: Stefano Caserini e Luca Mercalli

revisione scientifica del testo a cura di: Stefano Caserini, Luca Mercalli, Guido Barone, Claudio della Volpe, Paolo Gabrielli, Marina Vitullo e Antonio Zecca

coordinamento redazionale: Diego Tavazzi

progetto grafico: GrafCo3 Milano impaginazione: Roberto Gurdo immagine di copertina: © REHAN KHAN/epa/Corbis

© 2010, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milanotel. 02.45487277, fax 02.45487333

ISBN 978-88-96238-67-7

Finito di stampare nel mese di settembre 2010presso Genesi Gruppo Editoriale – Città di Castello (Pg)

Stampato in Italia – Printed in ItalyQuesto libro è stampato su carta riciclata 100%

i siti di edizioni ambientewww.edizioniambiente.itwww.nextville.itwww.reteambiente.itwww.verdenero.it

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sommario

introduzione 7di Luca Mercalli

perché tempeste è un libro importante 13di Stefano Caserini

prefazione 17

1. la task force sul clima del vicepresidente 25

2. l’a-team e l’imbarazzo del segretario 41

3. una visita alla casa bianca 51

4. salto nel tempo 83

5. reticenza pericolosa 95

6. il patto con faust 117

7. siamo ancora in tempo? un tributo a charles david keeling 139

8. obiettivo co2: a quale valore dovrebbe puntare l’umanità? 167

9. un percorso credibile ed efficace 201

10. la sindrome di venere 255

11. l’era delle tempeste 271

conclusione 305

ringraziamenti 313

appendice 1 differenze con i negazionisti 314

appendice 2 forzanti climatiche e feedback radiativi 316

bibliografia 317

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introduzionedi Luca Mercalli

Ventinove marzo 2001: è da qui che Hansen inizia a raccontare la suaesperienza di climatologo alle prese con la politica in occasione della con-vocazione a Washington della Task Force governativa sul clima. Due mesiprima anch’io avevo vissuto la mia prima esperienza “ufficiale” con la poli-tica e con lo stesso obiettivo: un modestissimo intervento in Consiglioprovinciale di Torino il 30 gennaio, nell’ambito della giornata sui cam-biamenti climatici organizzata dall’Unione province d’Italia. Non soquanto di quell’incontro sia rimasto ai distratti amministratori, ma devodire che a livello locale, qualche traccia si direbbe sia riemersa in nume-rose azioni che tanto in Provincia di Torino quanto in altre province ven-gono ora compiute a sostegno dell’efficienza energetica e delle energierinnovabili, sia pure tenendo conto che, come scrive Hansen, “l’ambien-talismo di facciata è la risposta pressoché universale della politica al pro-blema dei cambiamenti climatici”. A differenza di Hansen la mia attività di ricerca non è concentrata sullamodellistica del clima futuro, bensì sulla ricostruzione del clima passato,tramite la salvaguardia di antichi osservatori meteorologici, l’analisi diserie storiche e le campagne di misura sui ghiacciai alpini. Ho semprededicato circa la metà dei miei sforzi professionali alla diffusione delleinformazioni, fondando la rivista specializzata Nimbus, tenendo confe-renze, firmando articoli su quotidiani, partecipando a programmi televi-sivi, e parlando spesso con i politici, pur senza assumere posizioni di par-tito. In sostanza, facendo quanto Hansen auspica: “Il paleoclima, e spe-cialmente i cicli delle ere glaciali, è qualcosa su cui dovreste comunqueessere informati”.Studiare e informare, stando lontani dalla politica, era ciò che pensavonei primi anni Novanta, proprio come Hansen: “Quando la politica entra

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in una discussione, subito iniziano a reagire un sacco di forze. Io preferi-sco dedicarmi solo alla scienza. È più piacevole, specialmente quando sistanno ottenendo dei successi nelle proprie ricerche”. Ma un giorno, men-tre percorrevo i piccoli ghiacciai del Carro, nel Parco nazionale del GranParadiso, capii che la politica aveva qualcosa a che fare con il loro rapidodisfacimento. Se la temperatura aumentava per cause umane, per via delmodello economico ed energetico, allora era la politica il mezzo per inter-venire. Anche Hansen infatti è oggi convinto che “la scienza e la politicanon possono essere separate”, ma io sento ancora molti colleghi che pre-feriscono vivere nella torre d’avorio della ricerca pura, credendo che inter-venire in un dibattito politico equivalga a sporcarsi le mani. Ma allora acosa servirebbe la scienza, almeno quella che ha a che fare con il benesse-re dell’umanità, che poi è quasi tutta? “Non volevo che i miei nipoti, infuturo, potessero guardarsi indietro e dire: il nonno aveva capito cosa sta-va succedendo, ma non è riuscito a spiegarlo abbastanza chiaramente”,questo ha spinto Hansen a esporsi.In quegli anni, sebbene la consapevolezza sul problema climatico nonmancasse, l’argomento rimaneva tuttavia una curiosità scientifica e nonprovocava reazioni né da parte della politica, né del pubblico. Sui giorna-li iniziavano a comparire articoli sul riscaldamento globale, la copertinadi Time con il titolo “The heat is on” è del 19 ottobre 1987, e anche inItalia, già nel 1991 su alcuni testi scolastici di fisica, come il noto Dalpendolo al quark di Ugo Amaldi, edito da Zanichelli, si cita il problemadell’effetto serra antropogenico invitando i giovani studenti a ridurre leemissioni di CO2 e a ricorrere alle energie rinnovabili.Vent’anni dopo, e sulla scorta di un’immensa mole di ricerca scientifi-ca, le conclusioni sono sempre le medesime, semmai le conferme clima-tiche sono divenute via via più evidenti, ultime le alluvioni in Pakistane gli incendi in Russia dell’estate 2010, che ancora non figurano in que-ste pagine. Ma sono forse i provvedimenti economici sul mercato del-l’energia e delle emissioni emersi con il Protocollo di Kyoto che hannosuscitato e incoraggiato il cosiddetto negazionismo climatico, del qualeHansen è stato bersaglio. Senza peli sulla lingua, egli afferma che “ilnostro più grande problema è dovuto all’influenza degli interessi deigruppi di potere, incarnati da orde di lobbisti che indossano scarpecostose ed eleganti”, e “il più grande ostacolo alla soluzione del proble-ma del riscaldamento globale rimane comunque il ruolo del denaro nel-la politica”.

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Per questo Jim sceglie di testimoniare (non di profetizzare) sui rischiche l’umanità corre per il proprio immediato futuro: “Ero preoccupa-to: le generazioni future avrebbero potuto guardarsi indietro e chiedersicome avevamo fatto a essere così stupidi da non fare niente”. A questopunto Jim incontra due problemi: la sua scarsa dimestichezza con gliincontri in pubblico (“anche se avevo cercato di migliorare la mia capa-cità di comunicare, mi sentivo ancora goffo e impacciato”) e il rischiodi essere considerato un estremista (“un fattore che rafforza la reticenzapotrebbe essere la preoccupazione di essere accusati di essere inutilmen-te allarmisti”). Ma supera entrambe queste remore concludendo che “gliscienziati possono rendersi utili facendo di tutto per comunicare al pub-blico la questione dei cambiamenti climatici in maniera credibile e com-prensibile”.Ed ecco che oltre alle sue conferenze, alle interviste e alla militanza con-tro le centrali a carbone, nasce pure questo libro, che è insieme unmanuale sul clima, un vademecum sulla nostra vita futura, un umanissi-mo sfogo e un’autobiografia un po’ amara. Le soluzioni che Hansen trac-cia sono note da tempo, ma qui vengono poste in una prospettiva dimaggiore urgenza: “La spina dorsale di una soluzione al problema delclima è una tassa uniforme sulle emissioni di carbonio”, in grado di faremergere senza bisogno di incentivi le energie rinnovabili e le buone pra-tiche di efficienza energetica. Anche la massiccia reintroduzione dell’e-nergia nucleare è particolarmente caldeggiata da Hansen, e forse su que-sto punto a mio parere è opportuno riflettere ancora un po’, in quantole scorie nucleari costituirebbero un’eredità lasciata ai nostri nipoti tantoscomoda quanto quella del caos climatico.Ma questa sua veemenza è in parte giustificata dal drammatico scenarioche egli traccia con dovizia di dettagli: “Queste domande riguardano ilquando, non il se. Se bruciamo tutti i combustibili fossili, le calotte gla-ciali si fonderanno completamente, con un innalzamento finale del livel-lo del mare di 75 metri, e gran parte di questo processo si svolgerà nel-l’arco di qualche secolo”. Non è uno scherzo, e quanti fossero tentati ditacciarlo di allarmismo, troveranno in queste pagine la dimostrazionepacata e serena di queste crude affermazioni: non è uno scenario da fan-tascienza nato nell’immaginazione di Hansen o dei suoi colleghi, bensìil quadro della paleoclimatologia che semplicemente evidenzia che tuttociò è già successo sul nostro pianeta allorché sono state superate alcunesoglie di equilibrio nel sistema geosfera-biosfera. E la rapidità di libera-

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zione di gas serra nell’atmosfera terrestre da parte delle attività umane èun fatto che non ha eguali nella storia nota, al punto che “se bruciamoanche le sabbie bituminose e l’olio di scisto, credo che la sindrome diVenere sarà una certezza matematica”. Il messaggio ottimista di un Han-sen, sessantanovenne all’anagrafe ma ventenne nell’animo, è questo: “Laresistenza civile potrebbe essere la nostra migliore speranza. È fondamen-tale che tutti partecipino, specialmente i giovani”.

Alla fine dell’estate del 2007 ricevetti un fax dal Senato della Repubbli-ca Italiana che mi convocava a un’audizione presso la XIII Commissio-ne permanente territorio, ambiente, beni ambientali. La commissionedella XV Legislatura era presieduta da Tommaso Sodano e la sedutapomeridiana n. 114 si intitolava: “Audizione del Presidente della Societàmeteorologica italiana nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle proble-matiche relative ai cambiamenti climatici e alle misure di mitigazione edi adattamento da adottare anche con riferimento agli anni successivi al2012”. In piccolo, era un po’ come la task force di Washington. L’in-contro era fissato per martedì 16 ottobre, il mio soggetto di esposizioneera “I cambiamenti climatici: stato dell’arte”. In un tiepido e luminosopomeriggio romano, arrivai con un po’ di trepidazione a Palazzo Mada-ma, e fui cordialmente accolto tra le boiseries della saletta della Commis-sione ambiente. Allestimmo una piccola zona proiezioni e qui presentaiuna trentina di immagini a un gruppetto di senatori, assai pochi devodire, alcuni scettici, altri convinti, tutti comunque interessati e corretti.Passata una mezz’ora tra curve termiche e ghiacciai in ritiro, conclusi lamia relazione ricordando che ci sono alcune possibilità tecnologiche uti-lizzabili già da ora per produrre energia senza emettere CO2. È vero, nonsono sufficienti e ne dobbiamo sviluppare altre, non bisogna illudersisul fatto che per esempio oggi si possa fare tutto con l’energia solare;però, molto si può fare con il risparmio energetico e se si imbocca lastrada giusta, può anche essere conveniente, possiamo imparare tantebuone pratiche prima di averne un’effettiva necessità. Mostrai la foto delmio tetto: la mia casa e il mio ufficio funzionano interamente a energiasolare, e ricordai che la presentazione che avevo mostrato era stata scrit-ta completamente a energia solare, come lo sono queste stesse pagine.Dopo aver risposto a alcune domande pertinenti, fui gentilmente con-gedato e rientrai a Torino in serata. Jim, dopo il suo intervento aWashington annota con un po’ di frustrazione: “La mia presentazione

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alla Task Force sul Clima era stata inutile”. In effetti anch’io durante ilviaggio da Roma a Torino pensai, sospeso in volo sopra il Tirreno, chequel pomeriggio in Senato non fosse servito a nulla, ma almeno avreipotuto dire ai miei nipoti Marta, Francesco, Lia, Gaia, Nicolò e Jacopoche il loro zio aveva compiuto a fondo il suo dovere di cittadino e ricer-catore consapevole e informato dei fatti.

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Il libro di Jim Hansen non è solo un grande racconto scientifico, è la sto-ria di una vita, la biografia di uno dei più grandi esponenti della scienzadel clima.Un racconto umano e schietto, diverso dal classico racconto scientifico,schematico e asettico. Dalle parole di Hansen emerge la passione per lascienza assieme all’amore per i propri nipoti, il gusto per la sfida dellacomprensione del funzionamento del sistema climatico assieme alla pas-sione civile del cittadino nordamericano. Hansen descrive bene la gravità della situazione climatica, l’evidenza del-le responsabilità umane nell’alterazione dell’equilibrio energetico del pia-neta, e fornisce alcune indicazioni per cercare di porvi rimedio. Anche sealcune delle posizioni di Hansen possono non convincere, il libro è impor-tante per diversi motivi.

Hansen racconta di come per tanti anni ha limitato il suo lavoro ai labo-ratori e alla scrittura scientifica, evitando per quanto possibile i contatticon il mondo della comunicazione. Davanti al peggioramento della situazione climatica, all’avanzare del sur-riscaldamento globale e al verificarsi dei primi impatti, e assistendo all’e-norme ritardo delle risposte da parte della politica, Hansen ha scelto direagire e mettersi in gioco in prima persona, scrivendo articoli divulgati-vi, tenendo conferenze prima delle elezioni politiche, partecipando amanifestazioni pubbliche, contattando i manager delle aziende energeti-che, fino a scrivere il suo primo libro, all’età di 68 anni.Hansen ha verificato, in prima persona, come la politica riesca a nascon-dere la realtà, come possa spudoratamente agire per fabbricarsene una dicomodo. Come sappia approfittare dell’ingenuità degli scienziati, che purse di altissimo livello possono essere strumentalizzati e neutralizzati dagliuffici stampa.

perché tempeste è un libro importante di Stefano Caserini

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Il racconto di Hansen è sincero, ammette errori, debolezze, ingenuità. Èla “scoperta della politica” da parte di uno scienziato. Parla in primo luo-go a tutti gli studiosi della scienza del clima, dice della necessità di testi-moniare, di raccontare a tutti quanto si è capito, e di farlo bene. Gli scien-ziati che comprendono la gravità della situazione climatica, i pericoli chepossono correre le specie viventi sul pianeta, non possono solo attendereche le loro previsioni si avverino, cosa peraltro successa negli ultimi 20anni. Il rapporto fra scienza e politica è certamente delicato, ed è indub-bio il rischio che gli studiosi non sappiano distinguere le posizioni chedipendono dai propri valori da quanto obiettivamente emerge dal discor-so scientifico. Anche gli scienziati, dopo tutto, sono esseri umani, ed è aquesta umanità che parla Hansen, della necessità di tutti, scienziati com-presi, di riscoprire il ruolo di cittadini, di sentirsi responsabili del futuro,per sé o per i propri nipoti, per il pianeta.

Il libro è poi importante per la chiarezza con cui vengono esposti la situa-zione climatica del pianeta, le possibili evoluzioni e gli impatti conse-guenti. Alcuni passaggi molto complessi della scienza del clima sono spie-gati con grande chiarezza da Hansen, in virtù di una profonda conoscen-za teorica e una grandissima esperienza. Il quadro della situazione climatica dipinto da Hansen è indubbiamentepesante. Mostra la lentezza ma anche la grande inerzia della perturbazio-ne al sistema climatico, spiegandone i perché, la pericolosità delle possi-bili “sorprese” che ci potranno essere se il clima del pianeta sarà modifi-cato massicciamente. I motivi di preoccupazione sono tanti e non lascia-no spazio a ingenue speranze e illusioni.

Un ulteriore aspetto è che Hansen fornisce alcune coordinate su comeaffrontare il problema.Hansen ha definito un obiettivo di concentrazione di CO2 in atmosfera,350 ppm, limite a cui si dovrebbe tendere per “mettere in sicurezza” ilpianeta. È un numero importante per far capire la vastità del compitoche attende, per favorire le azioni sia a livello degli accordi internazionalisia delle azioni dal basso, di mobilitazione dei cittadini.Sulla base della sua esperienza, che gli ha reso evidente la cecità della poli-tica statunitense, condizionata dalla prepotenza degli interessi particolari,Hansen invita a una mobilitazione dal basso da parte di tutti quanti han-no a cuore il futuro del pianeta. Alcune delle proposte e dei giudizi di

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Hansen possono non essere condivisibili (per esempio la necessità di unblocco immediato della costruzione delle centrali a carbone, la fiducianell’importanza dell’energia nucleare, la preferibilità di una carbon taxrispetto ai sistemi di scambio dei diritti di emissione di CO2, la scarsaimportanza delle azioni “dal basso”); qualcuno storcerà il naso nel sentir-gli definire “treni della morte” i treni che portano carbone alle centralitermoelettriche. Altri potranno essere infastiditi dai continui richiami aipossibili disastri per le future generazioni.

Ma è per tutti un motivo di riflessione se un grande e schivo climatologoarriva a farsi arrestare durante una manifestazione e a difendere nelle auledei tribunali chi protesta contro la costruzione delle centrali a carbone, ainvocare la necessità della resistenza civile per svegliare il mondo politico.Dopo aver letto il libro, le sue ragioni sono comprensibili.

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A Sophie, Connor, Jake, e a tutti i nipoti del mondo

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prefazione

Il pianeta Terra, la creazione, il mondo nel quale si è sviluppata la civiltà,il mondo con i regimi climatici che conosciamo e con le linee costiere sta-bili, corre un pericolo imminente. L’urgenza della situazione è diventatachiara solo negli ultimi anni. Abbiamo prove solide della crisi, informa-zioni sempre più dettagliate su come la Terra ha risposto alle perturbazio-ni durante la sua storia (con grande reattività, e con un certo ritardo dovu-to all’inerzia degli oceani), oltre all’osservazione dei cambiamenti che stan-no iniziando a verificarsi in tutto il mondo in risposta ai cambiamenti cli-matici in corso. La conclusione sorprendente è che il continuo sfrutta-mento di tutti i combustibili fossili presenti sulla Terra minaccia non solole specie, milioni, che vivono sul pianeta, ma anche la sopravvivenza del-l’umanità stessa – e i tempi sono più brevi di quanto pensassimo.Ma davvero ci troviamo sull’orlo di un precipizio, se i cambiamenti cli-matici locali sono ancora piccoli se paragonati alle fluttuazioni meteoro-logiche giornaliere? L’urgenza è legata alla prossimità delle soglie criticheper il clima, oltre le quali le dinamiche climatiche possono causare cam-biamenti rapidi e al di fuori del controllo dell’umanità. I punti critici sipresentano a causa dei feedback amplificanti – come quando un microfo-no viene messo troppo vicino a un altoparlante che amplifica ogni mini-mo suono captato dal microfono, il quale a sua volta capta il segnaleamplificato dall’altoparlante, che, captato di nuovo dal microfono, vie-ne trasmesso ancora all’altoparlante, finché, molto rapidamente, il rumo-re diviene insopportabile. I feedback correlati al clima comprendono laperdita dei ghiacci del Mare Artico, la fusione delle calotte glaciali e deighiacciai montani, e il rilascio di metano via via che il permafrost dellatundra si degrada. Questi e altri argomenti scientifici verranno chiaritiin seguito.

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* Il termine “greenwashing” indica l’ingiustificata appropriazione di qualità ambientali-ste da parte di aziende, industrie, entità politiche o organizzazioni. Il greenwashing vie-ne usato da questi soggetti allo scopo di creare un’immagine positiva per le proprie atti-vità o prodotti, o per distogliere l’attenzione da proprie responsabilità nei confronti diimpatti ambientali negativi, ndR.

C’è un altro elemento che contribuisce alla crisi: il greenwashing* deigoverni. Spesso, mentre valuto i dati, rimango sconcertato nel vedere ladiscrepanza tra quanto affermato dal governo e la realtà. Questo atteg-giamento, esprimere preoccupazione riguardo al riscaldamento globale oall’ambiente mentre non vengono intraprese azioni mirate a stabilizzareil clima o a preservare l’ambiente, è predominante negli Stati Uniti e inaltri paesi, persino in quelli ritenuti più “verdi”.

La vera tragedia è che le azioni mirate a stabilizzare il clima, che illustreròpiù avanti, non sono solo attuabili ma portano anche svariati benefici.Com’è possibile che non vengano intraprese le azioni necessarie? Potreisuggerire delle spiegazioni – il potere degli interessi privati sui nostrigoverni, la brevità delle legislature che fa passare in secondo piano lepreoccupazioni sulle conseguenze a lungo termine – ma lascerò che sianoi lettori a valutarle, basandosi sui fatti che esporrò in seguito.Il mio ruolo è quello di testimone, non di predicatore. Lo scrittore RobertPool arrivò a questa conclusione quando usò queste metafore religiose inun articolo che riguardava Steve Schneider (un predicatore) e me nelnumero di Science dell’11 maggio 1990. Pool definì il testimone come“qualcuno che crede di avere delle informazioni così importanti da nonpoterle tacere”. Sono a conoscenza delle affermazioni secondo cui negliultimi anni mi sarei trasformato in un predicatore. Anche se non sonocorrette, in effetti qualcosa è cambiato. Ho capito che non posso tacere,non solo su quanto sta accadendo al clima, ma anche sul greenwash. Ipolitici sono felici se gli scienziati forniscono loro le informazioni e poise ne stanno zitti. Ma la scienza e la politica non possono essere separate.Quello di cui mi sono reso conto è che i politici spesso adottano politi-che che sono solamente convenienti; basandosi sui dati scientifici e sulleevidenze empiriche disponibili è però facile capire che nel lungo terminenon possono avere successo.Credo che il maggiore ostacolo alla soluzione del problema del riscalda-mento globale sia il ruolo del denaro nella politica, l’interferenza indebi-

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ta degli interessi privati. Potreste dire: “Ma è impossibile fermare la loroinfluenza”. Sarebbe meglio se non fosse così, ma le persone, e in partico-lare i giovani, dovranno essere coinvolti in modo più significativo.“Cosa?” direte voi. Avete già lavorato come matti per l’elezione di Oba-ma. Certo, anch’io (un noto indipendente che negli anni ha votato siaper i Repubblicani sia per i Democratici) ho votato per il cambiamen-to, e avevo gli occhi lucidi durante il discorso di Obama nell’ElectionDay a Chicago. Quello fu e sarà per sempre un grande giorno per l’A-merica. Ma lasciate che vi dica una cosa: Obama non può farcela. Luie i suoi consiglieri sono soggetti a forti pressioni, e fino a ora l’approc-cio è stato: “Troviamo un compromesso”. Quindi non avete scelta, viaspetta una gran mole di lavoro. La vostra predisposizione deve essere“yes, we can”.Mi dispiace, ma gran parte di quello che i politici stanno facendo sulfronte dei cambiamenti climatici è puro greenwashing – e anche se le loroproposte sembrano buone, stanno ingannando voi e se stessi. I politicipensano che se un problema appare di difficile soluzione, il compromes-so sia un buon approccio. Sfortunatamente, la natura e le leggi della fisi-ca non scendono a compromessi – sono quello che sono.Ogni giorno, politici che non hanno una piena conoscenza scientifica delproblema dei cambiamenti climatici deliberano sull’argomento, e questedecisioni sono spesso influenzate da campagne internazionali di disinfor-mazione sostenute da interessi privati. Ho scritto questo libro nel tentati-vo di cambiare questa situazione. I cittadini devono acquisire familiaritàcon la scienza, esercitare i loro diritti democratici e prestare attenzionealle decisioni dei politici. In caso contrario, gli interessi privati a brevetermine continueranno a prevalere in varie capitali sparse per il mondo –e il tempo sta per scadere.

In questo libro descriverò le mie esperienze come scienziato che negli ulti-mi otto anni ha interagito con i decisori politici, a partire dal mio ses-santesimo compleanno nel 2001, il giorno in cui parlai al vice presidenteCheney e alla Task Force sul clima.In ogni capitolo verrà discusso un aspetto della scienza che studia il cli-ma, e spero che la trattazione risulti di facile comprensione. Il capitolo 1potrebbe essere il più impegnativo. Parla degli agenti forzanti climatici –o, più semplicemente, forzanti climatiche – il soggetto della mia presen-tazione alla Task Force.

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La definizione di forzante climatica può incutere timore: “Una perturba-zione imposta all’equilibrio energetico del pianeta che tende ad alterarela temperatura globale”. Un esempio può chiarirla: se il sole diventassepiù luminoso, costituirebbe una forzante climatica che tenderebbe a ren-dere la Terra più calda. Anche un cambiamento della composizione del-l’atmosfera indotto dall’uomo è una forzante climatica.Nel 2001 ero più ottimista a proposito della situazione climatica. Sem-brava che gli impatti climatici avrebbero potuto essere tollerabili se laconcentrazione di CO2 in atmosfera fosse rimasta entro le 450 parti permilione (ppm; quindi 450 ppm significano lo 0,045% delle molecole nel-l’atmosfera). Fino a ora, gli uomini hanno provocato una aumento dellaCO2 dalle 280 ppm del 1750 alle 387 ppm del 2009 (392 nel maggio2010, ndR).Negli ultimi anni, comunque, è diventato chiaro che una concentrazionedi 387 ppm è già nella fascia di pericolo. È fondamentale uno sforzoimmediato per ridurre la concentrazione di CO2 in atmosfera entro le350 ppm per evitare disastri per le generazioni future. Una tale riduzioneè tuttora realizzabile, ma abbiamo davvero poco tempo. Richiede unarapida interruzione delle emissioni provocate dall’uso di carbone, e unmiglioramento delle pratiche forestali e agricole. Approfondirò questiargomenti nei prossimi capitoli, ma dobbiamo riconoscere fin d’ora l’ur-genza di un cambio di direzione. È la nostra ultima possibilità.

Io stesso sono cambiato negli ultimi otto anni, specialmente dopo chemia moglie Anniek e io siamo diventati nonni. A volte, all’inizio di que-sto periodo, durante le mie conferenze sul riscaldamento globale mostra-vo la foto della nostra prima nipote che vedete nella pagina a fianco. Dap-prima lo facevo in parte per sdrammatizzare, e infatti i giornali comin-ciarono a parlare di me come del “nonno del riscaldamento globale”, e inparte perché ero orgoglioso di questa bambina che era diventata un ange-lo nelle nostre vite. Ma, gradualmente, la mia consapevolezza di essereun “testimone” è cambiata, e sono arrivato a posizioni più intransigenti.Non volevo che i miei nipoti, in futuro, potessero guardarsi indietro edire: “Il nonno aveva capito cosa stava succedendo, ma non è riuscito aspiegarlo abbastanza chiaramente”.Se non fosse stato per i miei nipoti e per la mia consapevolezza di cosapotrebbero trovarsi ad affrontare, avrei continuato a concentrarmi sullascienza pura, e non avrei persistito nel sottolineare la sua rilevanza per le

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La mia prima nipote, a quasi due anni di età. Grazie a lei e agli altri miei nipoti è cambiatala mia percezione del problema del riscaldamento globale.

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decisioni politiche. Quando la politica entra in una discussione, subitoiniziano a reagire un sacco di forze. Io preferisco dedicarmi solo alla scien-za. È più piacevole, specialmente quando si stanno ottenendo dei succes-si nelle proprie ricerche. Se devo essere un testimone, intendo comunquetestimoniare e poi tornare al laboratorio, dove mi sento a mio agio. Que-sto è quello che voglio fare quando questo libro sarà terminato.

Poiché il libro comincia dal giorno del mio sessantesimo compleanno,farò meglio a dare alcune informazioni sulle mie origini. Ho avuto la for-tuna di nascere in un tempo e in un luogo – in Iowa, dove frequentavole scuole superiori mentre veniva lanciato lo Sputnik – che mi permiserodi essere avviato alla scienza in un modo molto speciale.Sono cresciuto nell’Iowa occidentale, in una famiglia con sette figli. Miopadre era un contadino che aveva finito le scuole medie, e i miei genitoridivorziarono quando ero ancora giovane. A quel tempo, però, frequenta-re un college pubblico non era ancora troppo costoso, quindi riuscii arisparmiare abbastanza soldi per potermi iscrivere alla University of Iowa.Mossi i miei primi passi nella ricerca scientifica una sera del dicembre1963. Il giorno prima io e Andy Lacis, un mio compagno di studi, ave-vamo spazzato via foglie, ragnatele e topi da un edificio che si trovava suuna collinetta in un campo di grano appena fuori Iowa City. La sera suc-cessiva, in quell’edificio a cupola, uno studente laureato più vecchio dinoi, John Zink, ci aiutò a usare un telescopio per osservare un’eclissi di

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luna. Quando l’eclissi cominciò, e la Luna entrò nel cono d’ombra dellaTerra, fummo sorpresi di non vedere nulla – solo una zona nera nel cie-lo, senza stelle, nel punto dove avevamo visto la luna piena; la luna eradiventata completamente invisibile a occhio nudo. Di solito questo nonaccade durante un’eclissi. Normalmente la luna diventa meno luminosama rimane visibile, perché la luce solare viene rifratta dall’atmosfera ter-restre nella zona d’ombra. Nove mesi prima, nel marzo del 1963, si eraperò verificata una grande eruzione vulcanica dal Monte Agung nell’isoladi Bali, che aveva emesso polvere e biossido di zolfo nella stratosfera ter-restre. Il biossido di zolfo si era combinato con l’ossigeno e l’acqua for-mando una nebbia di acido solforico, le cui particelle, sospese nella stra-tosfera, bloccavano la maggior parte della luce solare che viene normal-mente rifratta nella zona d’ombra proiettata dalla Terra.Misurammo la luminosità della luna con un fotometro collegato al tele-scopio, e l’anno successivo riuscii a valutare la quantità di materiale chedoveva essere stato presente nella stratosfera terrestre per rendere la lunacosì scura. Dovetti leggere alcuni articoli (in tedesco) scritti dall’astrono-mo cecoslovacco Franti!ek Link, che aveva elaborato le equazioni per lageometria dell’eclissi, e fu necessario scrivere un software per eseguire icalcoli. Il risultato fu il mio primo articolo scientifico, pubblicato dalJournal of Geophysical Research – la mia prima esperienza di testimone,quantomeno di testimone della scienza.Per nostra fortuna, al Physics and Astronomy Department incontrammoun uomo straordinario, James Van Allen. Un professore di astronomiadel dipartimento di Van Allen, avendo notato che Andy e io eravamo stu-denti dotati, ci convinse ad affrontare al nostro ultimo anno l’esame diammissione alla scuola per laureati in fisica. Fummo i primi non laureatia superare l’esame e ci venne offerto un tirocinio per laureati alla NASA,che coprì interamente i costi della frequenza alla scuola per laureati. Ero così timido e insicuro che evitai di frequentare i corsi di Van Allen,per non rivelare la mia ignoranza. Ma Van Allen mi notò comunque –probabilmente perché avevo superato l’esame con uno dei voti più alti.Mi raccontò dei dati ricavati dalle ultime osservazioni di Venere, che sug-gerivano che la sua superficie fosse molto calda o che la sua atmosferafosse altamente ionizzata e che irradiasse microonde. Quando cominciaia lavorare sui dati riguardanti Venere per una tesi di dottorato, Van Allensi elesse presidente della commissione che avrebbe valutato la mia tesi. Senon fosse stato per l’attenzione di questo uomo gentile, dalla voce sua-

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dente, dal quale nessuno studente era mai stato intimidito, probabilmen-te non mi sarei fatto coinvolgere dagli studi planetari.Nel 1978 stavo ancora studiando Venere. In quel periodo ero il respon-sabile di un esperimento che si sarebbe svolto su quel pianeta, a bordodella missione Pioneer Venus. Nei cinque anni trascorsi da quando avevoproposto l’esperimento per misurare le proprietà delle nubi di Venere ave-vo lavorato ottanta ore alla settimana. Anniek, che avevo incontrato men-tre ero in un periodo di post dottorato alla University of Leiden Obser-vatory in Olanda, continuò a credermi, ogni anno, quando le dicevo chel’anno successivo avrei avuto più tempo. Poi dovetti dirle che, dopo tuttiquegli sforzi, avevo intenzione di ritirarmi dalla missione Pioneer primache questa arrivasse su Venere, lasciando l’esperimento nelle mani di LarryTravis, un altro amico e collega all’Iowa. Il motivo: la composizione dell’atmosfera del nostro pianeta stava cam-biando sotto i nostri occhi, e stava cambiando sempre più rapidamente.Di sicuro questo avrebbe influenzato il clima della Terra. Il cambiamentopiù rilevante riguardava la concentrazione di CO2, che veniva emessa inatmosfera bruciando i combustibili fossili. Sapevamo che la CO2 avevadeterminato il clima di Marte e Venere. Decisi che sarebbe stato più utilee interessante provare a dare un aiuto alla comprensione di come sarebbecambiato il clima del nostro pianeta, piuttosto che studiare lo strato dinubi che circonda Venere. La progettazione di un modello del clima glo-bale della Terra avrebbe comportato un ulteriore aggravio di lavoro. Comesempre, Anniek cercò di credere alla mia promessa che si sarebbe trattatodi un’ossessione temporanea.

Dieci anni più tardi, il 23 giugno 1988. Questa volta ero un testimoneufficiale, quando intervenni a una seduta della commissione del Senatopresieduta da Tim Wirth, del Colorado. Dichiarai, con una certezza del99%, che era ora di smetterla di parlare a vanvera: la Terra stava subendogli effetti dei gas serra immessi nell’atmosfera dall’uomo, e il pianeta eraentrato in un periodo di riscaldamento a lungo termine. Grazie alla com-binazione di un’estate insolitamente calda e secca e grazie anche alla mag-giore attenzione che il problema del riscaldamento globale stava assumen-do a livello nazionale e internazionale, il mio annuncio ebbe un’ampiarisonanza. Divenne presto evidente, comunque, che la mia testimonian-za, combinata con la situazione meteorologica, rischiava di creare un’im-pressione sbagliata. Il riscaldamento globale aumenta effettivamente l’in-

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tensità delle siccità e delle ondate di calore, e quindi accresce le zone sog-gette a incendi boschivi. Tuttavia, dato che un’atmosfera più calda trat-tiene più vapore acqueo, il riscaldamento globale fa anche aumentare glialtri estremi del ciclo dell’acqua – il che significa piogge più abbondanti,inondazioni di entità superiore e tempeste più potenti scatenate dal calo-re latente, inclusi i temporali, i tornado e le tempeste tropicali. Mi resiconto che avrei dovuto sottolineare con più forza il fatto che con il riscal-damento globale entrambi gli estremi peggiorano.Cercai così un’altra sede in cui rendere la mia testimonianza. Il senatoreAl Gore mi fornì quell’opportunità in un’udienza nella primavera del1989. Quando mandai al senatore Gore una nota prima dell’udienza, incui spiegavo che il documento che avevo preparato era stato alterato dal-l’Office of Management and Budget della Casa Bianca per fare in modoche le mie conclusioni sui pericoli del riscaldamento globale apparisseroincerte, egli allertò i media, assicurando che alla mia udienza fosse pre-sente il maggior numero di giornalisti possibile. Sfortunatamente, il mes-saggio che riguardava il versante della piovosità e delle tempeste si persenella confusione. Madre Natura, comunque, rispose quattro anni dopocon un’inondazione “centennale”, una di quelle che si verificano una vol-ta in un secolo, che sommerse lo Iowa e larga parte del Midwest. Entram-be le aree vennero colpite da un’altra inondazione “centennale” nel 2008. Dopo la mia testimonianza all’udienza di Gore, ero fermamente deciso atornare alla scienza pura e a lasciare l’interazione con i media a personecome Steve Schneider e Michael Oppenheimer, persone che si esprimonomeglio di me e che sembravano trovarsi a loro agio in queste situazioni.Ma nel 1998, dopo altri dieci anni, decisi di fare un’eccezione e accettaidi sostenere dei dibattiti con i negazionisti Dick Lindzen e Pat Michaels,perché avevo un chiaro obiettivo scientifico: volevo presentare una tabellacomparativa delle differenze tra la mia posizione riguardo al riscaldamen-to globale e quella dei negazionisti. Ritenevo che la specificità della tabel-la avrebbe consentito di valutare le nostre posizioni e, di fatto, la usai almeeting con la Task Force del vicepresidente Cheney nel 2001.Così, per più di un decennio dopo l’udienza di Gore nel 1989, potei tor-nare a immergermi nella scienza, rifiutando molte opportunità di appari-re in documentari e altri programmi televisivi. Di quella scienza avreidiscusso con la Task Force sul clima.

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