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TERRA - quotidiano - 27/02/2011

Date post: 27-Jan-2015
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Mario Draghi è uno dei migliori central banker contemporanei, e senz’altro il miglior candidato per la direzione della Bce quan- do scadrà il mandato di Trichet. Come molti suoi colleghi pe- rò vive in un luogo che, a volte, appare assai lontano dal piane- ta di noi cittadini, consumatori, imprenditori. Nella relazione tenuta ieri al Fo- rex il governatore di Bankitalia ha ribadito il grande problema italiano: la mancanza di cresci- ta. I motivi per cui l’Italia langue però sono solo sfiorati dall’ana- lisi di Draghi. Pochi e fuggevo- li gli indizi “qualitativi”. L’impo- stazione resta essenzialmente quantitativa e monetaria. Sul pianeta Draghi il problema del- le banche è che la loro struttu- ra di costi è troppo alta e i patri- moni ancora da rafforzare. Sul nostro pianeta succedono inve- ce cose così: Terra e’ una piccola azienda. Poco piu’ di 20 dipen- denti. Che usufruisce di finan- ziamenti pubblici legati, teori- camente, alla propria struttura di costi. Il finanziamento pub- blico arriva, normalmente, cir- ca un anno dopo la chiusura del periodo di riferimento. Ma negli ultimi due anni, con Tremonti, i tempi si sono allungati. L’anno scorso ci sono voluti 18 mesi per l’incasso. Quest’an- no siamo già a 15. Nella pratica poi un costo sostenuto a genna- io 2009 verra’ rimborsato forse a marzo 2011, superando quindi i due anni di tempo. Nel frattem- po, per sopravvivere, una picco- la azienda come Terra ricorre al credito bancario. Stendendo un velo pietoso sugli interessi che dobbiamo pagare per la sem- plice anticipazione di un credi- to verso lo Stato, quest’anno, la banca (Banca di Credito Coope- rativo) una di quelle che fa tan- to business “tradizionale” come piace al governatore, ha ridotto la disponibilita’ del 70 percento. Il risultato è che siamo indietro con gli stipendi, con i pagamenti ai collaboratori, con i fornitori. Quelli più robusti reggono, alcu- ni non ce la fanno e falliscono. Anche noi quindi stiamo con- tribuendo alla contrazione del- la crescita italiana. Non possia- mo assumere, programmare, in- ventare un bel nulla se non mo- di per sopravvivere. Luca Bonaccorsi IL GOVERNATORE E IL PIANETA TERRA In fondo Segue a pagina 5 A scuola da Berlusconi 9 7 7 2 0 3 6 4 4 3 0 0 7 1 0 2 2 7 Duro attacco del presidente del Consiglio all’istruzione pubblica, «dove gli insegnanti inculcano idee diverse rispetto a quele della famiglia». Poi, l’ennesimo tentativo di riavvicinamento al mondo cattolico: «Mai adozioni per i single» Mal Trattato Fine della luna di miele. «Gheddafi non ha più il controllo del Paese». Ora il Cavaliere segue l’Onu. Dal ministro della Difesa La Russa l’affondo decisivo: «Il trattato d’amicizia è sospeso» Politica Sabato pieno di impegni per il premier. Prima il messaggio a un convegno del Pri. Poi, comizio contro prof e comunisti Libia Garzia a pagina 2 Sped. in Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB - Roma Anno VI - n. 49 - domenica 27 febbraio 2011 - E 1,50 Prima, il testamento biologico e la pillola anticoncezionale del giorno dopo. Ora l’aborto. Con governo e maggioranza in grave difficoltà nel tenere insieme la componente cattolica a causa dei “bunga bun- ga” di Arcore, sale in continuazio- ne il prezzo della moneta di scam- bio con il Vaticano. Per recuperare la faccia nei confronti dell’influen- te vicino non passa giorno senza che, in osservanza dell’“etica” cat- tolica, non spunti fuori un inter- vento mirato a sacrificare il dirit- to costituzionale dei cittadini ita- liani all’autodeterminazione. Ieri è stato Benedetto XVI in persona a dettare l’ordine del giorno. Attac- cando frontalmente, pur senza nominarla, la legge 194/78. Federico Tulli Segue a pagina 2 Aborto, il papa contro chi applica la legge Salute Nevi dei veleni Napoli 3D News 4 «I traffici nel Mediterraneo sono una questione di Stato». Lo denuncia Bratti, capogruppo Pd in commissione ecomafie 8 Nel capoluogo campano è boom di voltagabbana. Sono venti i consiglieri comunali che hanno cambiato anche tre volte “idea” Editoria, un grido da destra: “Silvio, killer del dissenso”. Fumetto, dalla Cina con orrore: web-torture agli animali I parchi e le aree naturali protette devono essere rilanciate Dabbous a pagina 3 Ambiente Carlo Alberto Graziani essun problema sul fronte dei parchi? A leggere i giornali na- zionali gli unici problemi sembrerebbero quelli suscitati dal- le scorribande di orsi e di lupi: ma più che problemi appaiono richiami di colore che si aggiungono a quelli promozionali di caratte- re turistico-gastronomico. Qualche notizia è stata data sullo smem- bramento del Parco nazionale dello Stelvio tra Regione Lombardia e Province autonome di Trento e Bolzano, ma solo perché è stato og- getto di trattativa per la sopravvivenza del Governo; scarsissime no- tizie su un raccapricciante progetto neve di questi giorni che, pren- dendo a pretesto il terremoto de L’Aquila, incide pesantemente su due parchi abruzzesi (Parco regionale Sirente Velino e Parco nazio- nale Gran Sasso e Monti della Laga). N Segue a pagina 5 Il domenicale Olof Palme 25 anni dopo, i tesori della Libia, utopisti multimediali, Scampia nei murales di Pignataro, la scalata di Fujimori junior in Perù, il sud di Peppe Voltarelli
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Page 1: TERRA - quotidiano - 27/02/2011

Mario Draghi è uno dei migliori central banker contemporanei, e senz’altro il miglior candidato per la direzione della Bce quan-do scadrà il mandato di Trichet. Come molti suoi colleghi pe-rò vive in un luogo che, a volte, appare assai lontano dal piane-ta di noi cittadini, consumatori, imprenditori. Nella relazione tenuta ieri al Fo-rex il governatore di Bankitalia ha ribadito il grande problema italiano: la mancanza di cresci-ta. I motivi per cui l’Italia langue però sono solo sfiorati dall’ana-lisi di Draghi. Pochi e fuggevo-li gli indizi “qualitativi”. L’impo-stazione resta essenzialmente quantitativa e monetaria. Sul pianeta Draghi il problema del-le banche è che la loro struttu-ra di costi è troppo alta e i patri-moni ancora da rafforzare. Sul nostro pianeta succedono inve-ce cose così: Terra e’ una piccola azienda. Poco piu’ di 20 dipen-denti. Che usufruisce di finan-ziamenti pubblici legati, teori-camente, alla propria struttura di costi. Il finanziamento pub-blico arriva, normalmente, cir-ca un anno dopo la chiusura del periodo di riferimento. Ma negli ultimi due anni, con Tremonti, i tempi si sono allungati. L’anno scorso ci sono voluti 18 mesi per l’incasso. Quest’an-no siamo già a 15. Nella pratica poi un costo sostenuto a genna-io 2009 verra’ rimborsato forse a marzo 2011, superando quindi i due anni di tempo. Nel frattem-po, per sopravvivere, una picco-la azienda come Terra ricorre al credito bancario. Stendendo un velo pietoso sugli interessi che dobbiamo pagare per la sem-plice anticipazione di un credi-to verso lo Stato, quest’anno, la banca (Banca di Credito Coope-rativo) una di quelle che fa tan-to business “tradizionale” come piace al governatore, ha ridotto la disponibilita’ del 70 percento. Il risultato è che siamo indietro con gli stipendi, con i pagamenti ai collaboratori, con i fornitori. Quelli più robusti reggono, alcu-ni non ce la fanno e falliscono. Anche noi quindi stiamo con-tribuendo alla contrazione del-la crescita italiana. Non possia-mo assumere, programmare, in-ventare un bel nulla se non mo-di per sopravvivere.

Luca Bonaccorsi

il governatore e il pianeta terra

In fondo

Segue a pagina 5

A scuola da Berlusconi

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Duro attacco del presidente del Consiglio all’istruzione pubblica, «dove gli insegnanti inculcano idee diverse rispetto a quele della famiglia». poi, l’ennesimo tentativo di riavvicinamento al mondo cattolico: «Mai adozioni per i single»

Mal Trattato

Fine della luna di miele. «Gheddafi non ha più il controllo del Paese». Ora il Cavaliere segue l’Onu. Dal ministro della Difesa La Russa l’affondo decisivo: «Il trattato d’amiciziaè sospeso»

Politica Sabato pieno di impegni per il premier. prima il messaggio a un convegno del pri. poi, comizio contro prof e comunisti

Libia

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Anno VI - n. 49 - domenica 27 febbraio 2011 - E 1,50

Prima, il testamento biologico e la pillola anticoncezionale del giorno dopo. Ora l’aborto. Con governo e maggioranza in grave difficoltà nel tenere insieme la componente cattolica a causa dei “bunga bun-ga” di Arcore, sale in continuazio-ne il prezzo della moneta di scam-bio con il Vaticano. Per recuperare la faccia nei confronti dell’influen-te vicino non passa giorno senza che, in osservanza dell’“etica” cat-tolica, non spunti fuori un inter-vento mirato a sacrificare il dirit-to costituzionale dei cittadini ita-liani all’autodeterminazione. Ieri è stato Benedetto XVI in persona a dettare l’ordine del giorno. Attac-cando frontalmente, pur senza nominarla, la legge 194/78.

Federico Tulli

Segue a pagina 2

Aborto, il papa contro chi applica la legge

Salute Nevi dei veleni Napoli 3D News4«I traffici nel Mediterraneo sono una questione di Stato». Lo denuncia Bratti, capogruppo Pd in commissione ecomafie

8Nel capoluogo campano è boom di voltagabbana. Sono venti i consiglieri comunali che hanno cambiato anche tre volte “idea”

Editoria, un grido da destra: “Silvio, killer del dissenso”. Fumetto, dalla Cina con orrore:web-torture agli animali

I parchi e le aree naturali protette devono essere rilanciate

Dabbous a pagina 3

AmbienteCarlo Alberto Graziani

essun problema sul fronte dei parchi? A leggere i giornali na-zionali gli unici problemi sembrerebbero quelli suscitati dal-le scorribande di orsi e di lupi: ma più che problemi appaiono

richiami di colore che si aggiungono a quelli promozionali di caratte-re turistico-gastronomico. Qualche notizia è stata data sullo smem-bramento del Parco nazionale dello Stelvio tra Regione Lombardia e Province autonome di Trento e Bolzano, ma solo perché è stato og-getto di trattativa per la sopravvivenza del Governo; scarsissime no-tizie su un raccapricciante progetto neve di questi giorni che, pren-dendo a pretesto il terremoto de L’Aquila, incide pesantemente su due parchi abruzzesi (Parco regionale Sirente Velino e Parco nazio-nale Gran Sasso e Monti della Laga).

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Segue a pagina 5

Il domenicaleOlof Palme 25 anni dopo,i tesori della Libia, utopisti multimediali, Scampia nei murales di Pignataro, la scalata di Fujimori junior in Perù,il sud di Peppe Voltarelli

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domenica 27 febbraio 20112

Dal transatlantico

Salute

in titoli pubblici, che oggi sono venduti al 2% e in caso di cam-pagna elettorale salirebbero al-meno al 7-8%». Non può manca-re in un discorso berlusconiano uno sberleffo ai comunisti. Que-sta volta il premier dà prova di ridicola preveggenza: «A dodici anni avevo già chiaro quale fosse l’ideologia comunista. Ho cono-sciuto un giovane sacerdote che mi raccontava cose quasi incre-dibili sull’Urss. I comunisti di ca-sa nostra erano e rimangono an-cora oggi comunisti». Ecco per-ché, spiega per la milionesima volta, la sua discesa in campo nel 1994 voleva «impedire che la più atroce ideologia della sto-ria dell’umanità, e cioè il comu-nismo, prendesse il potere in Ita-lia». Malgrado l’ottimismo da im-prenditore, Berlusconi ha rice-vuto ieri due ceffoni (metafori-ci s’intende). Il primo glielo ha ri-filato la Confindustria rendendo pubblico il suo ultimo rapporto sugli indicatori economici regio-nali, dove si legge: “L’elevato di-vario che divide in termini di svi-luppo il Sud dal resto del Paese permane in tutta la sua gravità, con un gap che riguarda non so-lo il Pil ma anche gli aspetti so-ciali del territorio e la qualità del-la vita che vi si riscontra”. Il se-condo schiaffo arriva da Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, impegnato in un conve-gno a Verona: «I salari d’ingresso dei giovani sul mercato del lavo-ro, in termini reali, sono fermi da oltre un decennio su livelli al di sotto di quelli degli anni Ottanta. Il tasso di disoccupazione giova-nile sfiora il 30%». Quella descrit-ta da Confindustria e Draghi è la condizione reale dell’Italia.

ttenuto ieri il “sì” da par-te del Senato sul decre-to Milleproroghe dopo quello della Camera, sta

prendendo forma un Berlusco-ni in versione da inginocchiato-io, quasi clericale. Ma senza al-cun pentimento per le notti bra-ve di Arcore, che anzi sostiene facciano invidia «a quelli della sinistra». Su questo punto il pre-mier non transige, anche perché sta per schierare sui canali Rai le sue artiglierie (Vittorio Sgar-bi e Giuliano Ferrara) che spare-ranno le parole “libertà” e “no ai puritani” a ogni scatto di teleco-mando. L’occasione delle ester-nazioni sono il Congresso dei Cristiano riformisti (boh?) e un convegno dei gio-vani Pdl: «Andremo avanti sulla riforma per le intercettazio-ni perché non c’è li-bertà in un Paese in cui appena si alza la cornetta del tele-fono altre persone ascoltano. In nes-sun Paese civile le intercettazio-ni si possono portare in processo come prova». Berlusconi non de-morde e annuncia fuochi e fiam-me sulla giustizia, ma dà pure l’annuncio che essendo quasi fi-

nita la campagna acquisti alla Ca-mera ci sarà un rimpasto dell’ese-cutivo rimasto

monco in alcune caselle a causa del divorzio dei finiani: «A bre-ve faremo una rivisitazione del-la squadra di governo chiedendo l’aumento del numero dei sotto-segretari perché ora i ministri e

i sottosegretari devono stare di più in Parlamento». Per svelare il suo animo cristiano in una se-de dove pullulano democristiani, annuncia che ci sarà la novità di un sottosegretariato per i disa-bili. Altra rassicurazione per de-mocristiani con il pelo sullo sto-maco che si guardano bene dal parlare di etica pubblica: «Fin-ché governeremo noi, non ci sa-

Silvio rassicura i suoi e annuncia battagliaAldo Garzia

O

Dal transatlantico Dopo il via libera del Senato al decreto Millepropoghe, il premier rende noto che a breve ci sarà un rimpasto del governo rimasto monco in seguito al divorzio dei finiani

ranno mai equiparazioni tra le coppie gay e la famiglia tradizio-nale, cosi come non saranno mai possibili le adozioni di bambini per le coppie omosessuali». Se-gue annuncio di battaglia contro il testamento biologico.Berlusconi si dice convinto che il governo andrà avanti «perché le elezioni sarebbero molto ne-gative per i 250 miliardi di debito

I medici, ha detto Benedetto XVI all’assemblea plenaria del-la Pontificia accademia per la vita, «non possono venire me-no al grave compito di difende-re dall’inganno la coscienza di molte donne che pensano di tro-vare nell’aborto la soluzione a difficoltà familiari, economiche, sociali, o a problemi di salute del loro bambino. Specialmente in quest’ultima situazione, la don-na viene spesso convinta, a volte dagli stessi medici, che l’aborto rappresenta non solo una scel-ta moralmente lecita, ma persi-

Tulli dalla prima

didascalia didascaliaGait alit nibh etue vulla commy nosto dolobor sim eu fe

Aborto, il papa contro chi applica la legge 194

Salute Benedetto XVI alla Pontificia accademia per la vita: l’interruzione di gravidanza non è mai terapeutica, i medici non ingannino le donne. La replica della ginecologa Elisabetta Canitano

«Finchè governeremo noi non ci saranno mai equiparazioni tra coppie gay e la famiglia tradizionale»

>>Politica>

no un doveroso atto terapeuti-co per evitare sofferenze al bam-bino e alla sua famiglia». L’abor-to non è mai terapeutico, i me-dici non ingannino le donne di-ce Ratzinger.Parole chiare, inequivocabili che puntano il dito contro un pas-saggio chiave della legge 194, l’articolo 6: “L’interruzione vo-lontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può esse-re praticata: quando la gravidan-za o il parto comportino un gra-ve pericolo per la vita della don-na; quando siano accertati pro-cessi patologici, tra cui quelli re-lativi a rilevanti anomalie o mal-

formazioni del nascituro, che determinino un grave perico-lo per la salute fisica o psichica della donna”.Terra ha chiesto il parere di Eli-sabetta Canitano, ginecologa e presidente di Vita di donna: «La dolorosissima vicenda di un fe-to gravemente ammalato e del-la coppia di genitori che lo por-ta è strettamente materia che ri-guarda la relazione fra la coppia o la madre e il medico o l’equipe, a cui si affidano. Mi auguro che l’Ordine dei medici di fronte a questo attacco alla categoria in-tervenga prontamente, come ha fatto in altre occasioni. I medici

sono da sempre orgogliosamen-te testimoni rispettosi della vo-lontà dei loro pazienti. E, al con-trario, qualcuno vuole trasfor-marli in portatori di ideologie. Se la coppia o la madre decide di accogliere un feto malforma-to nessuno fa loro pressione. Fa-re questa ipotesi - conclude Ca-nitano - è grave-mente offensivo per tutta la cate-goria». Il 7 marzo prossi-mo sarà in discus-sione alla Camera il disegno di legge sulle dichiarazio-

ni anticipate di trattamento, defi-nito dal senatore Pd Ignazio Ma-rino (presidente della commis-sione d’inchiesta sul Servizio sa-nitario nazionale) e dal Comitato laico nazionale una «norma “con-tro” il testamento biologico» per-ché impedisce di scegliere se es-sere sottoposti ad accanimento terapeutico o meno.Il 24 febbraio scorso sull’ara sa-crificale dei sedicenti difenso-ri della “vita” è finita la pillo-la del giorno dopo con il pare-re del Comitato nazionale per la bioetica, organo di consulenza della presidenza del Consiglio dei ministri, che ha detto sì al-la possibilità per i farmacisti di appellarsi al diritto all’obiezio-

ne di coscienza per non vendere que-sto anticoncezio-nale. Al momento non esiste alcuna legge a cui i farma-cisti obiettori pos-sano appellarsi.Sarà la prossima?

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La dottoressa è presidente di Vita di donna: «Ipotesi del genere sono gravemente offensive per la nostra categoria»

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domenica 27 febbraio 2011 3

Libia

Intervista

non saranno le grandi imprese come Finmeccanica e l’Eni, ma le piccole e le medie. Molti ita-liani che stanno abbandonan-do il Paese lasciano fabbrichet-te e capannoni e si chiedono se ritroveranno tutto così come l’hanno lasciato. Si tratta per lo più di imprese tessili. Ad ogni modo l’Italia esporta in Libia di tutto: dai fiori ai trattori, pas-sando per i generi alimentari. Il Paese ha il petrolio ma non pro-duce nulla: importa quasi tutto ciò di cui ha bisogno. È invero-simile pensare che da domani possano fare a meno di questi beni. Il problema però è nell’im-mediato: tutte le commesse re-stano in sospeso, se non ven-gono confermate si tradurran-no necessariamente in perdi-

te». Solo il tempo potrà dire se l’Ita-lia ha mollato il re-gime del Colonnel-lo troppo tardi per meritare la fiducia della nuova clas-se dirigente. Intan-to il figlio di Ghed-dafi, Saif al Islam,

ha proposto una tregua ai rivol-tosi. Tra questi oltre all’intera classe intellettuale, anche alcu-ni membri della famiglia presi-denziale. La moglie e la figlia sa-rebbero già Vienna.

a battaglia di Tripoli non è stata un bagno di sangue. A fare la differenza, forse, la presenza dei giornalisti

nella capitale, perché una cosa è certa: l’assenza della stampa ha nuociuto gravemente al popolo di Bengasi, ormai liberata, dove si contano almeno 1.600 morti accertati. Ieri nell’ultima rocca-forte del Colonnello l’emittente al Jazeera ha riferito di una de-cina di morti: le vittime sono tutte persone che hanno tenta-to di manifestare contro il regi-me dopo la preghiera del vener-dì. Le forze di sicurezza, in bor-ghese, hanno sparato diretta-mente al petto o intesta. Secon-do alcune testimonianze, diver-si feriti sarebbero stati preleva-ti dagli ospedali e portati via. La gente ha ancora paura, ma non manca il coraggio di parla-re con le tv straniere. Una don-na, per esempio, ha raccontato alla Cnn di aver assistito all’uc-cisione dei suoi due vicini di ca-sa: «I loro corpi sono stati pre-levati dalla strada e portati via - racconta -. Nessuno sa dove». Un Paese dove accadono cose del genere non merita di sedere nella Commissione diritti uma-ni. Ne è convinta l’Onu che nella stessa giornata in cui ha stabili-to le nuove sanzioni ha stabilito anche la sua espulsione dall’or-gano legale che ha sede a Gine-vra. Formalmente la defenestra-zione avverrà domani: la presen-za del segretario di Stato ameri-cano, Hillary Clinton, in Svizze-ra non farà altro che ribadire la gravità della situazione. Mentre Unione europea (Francia e Gran Bretagna in primis) e Stati Uniti

hanno già reso operativo il con-gelamento dei Beni della fami-glia Gheddafi e di diversi per-sonaggi (in totale sono 26) lega-ti all’entourage. Con la votazio-ne delle sanzioni di ieri, al palaz-zo di vetro dell’Onu, la comuni-tà internazionale quindi si è ri-scoperta insolitamente compat-ta. Il dietrofront più clamoroso è stato quello dell’Italia che pri-

ma col premier Silvio Berlusco-ni e poi con ministro della Dife-sa, Ignazio La Russa, ha di fatto scaricato pubblicamente lo sto-rico alleato. «Sembra che Ghed-dafi non controlli più la situa-zione nel suo Paese», ha detto il presidente del consiglio. «Di fat-to il trattato di amicizia tra Italia e Libia non c’è più, è inoperan-te, è sospeso», ha aggiunto La

Così Berlusconiscarica il Colonnello

Susan Dabbous

L

Libia Con molto ritardo il governo italiano prende le distanze dal dittatore nordafricano.Il premier e il ministro La Russa scelgono di seguire la linea dell’Onu: «Stop al trattato d’amicizia»

Russa. Conferme arrivano anche dalla Camera di commercio ita-lo-libica: «È tut-to sospeso - dice una fonte che chiede di rimanere anonima - gli ottimisti sperano di ricucire presto con il prossimo governo. Ci stiamo giocando una partita importante e certo a rimetterci

aid Mahmoud è portavo-ce di Hambastagi, partito progressista afgano. Con il contributo del Coordi-

namento italiano donne afgane, lo abbiamo incontrato a Roma.Mahmoud, che impatto può avere un piccolo partito co-me il vostro?Puntiamo a coinvolgere la po-polazione con manifestazioni che contestano l’attualegoverno. Stiamo scommetten-do in un futuro senza Karzai.Alle ultime elezioni è stato eletto qualche rappresentan-te svincolato dal potere?Come in altre occasioni il vo-to è stato oggetto di forzature e brogli, dopo sei mesi neanche noi riusciamo a conoscere con chiarezza i risultati. Molti degli eletti sono signori della guerra o personaggi legati ai clan, cri-minali dediti ai traffici di eroi-na, armi, persone. Taluni sono vicini a Karzai e a membri del

Enrico Campofreda

S Anche l’Afghanistanvuole la democrazia

Intervista A colloquio con Said Mahmoud del partito progressista afgano. «Sogniamo un futuro senza Karzai». Il presidente è sempre più inviso alla popolazione per la gestione corrotta del potere

Saif al Islam Gheddafi chiede una tregua, ma l’opposizione a Bengasi sta già scrivendo una nuova costituzione

>>Esteri>>

suo governo. Purtroppo manca-no esponenti della parte demo-cratica del Paese. Come vedono gli afgani l’Isaf ?Gli afgani sono delusi e infuria-ti perché vivono un reale peg-gioramento delle proprie condi-zioni di vita, della sicurezza, dei diritti umani, della corruzione presente all’interno di istituzio-ni piccole e grandi. La sofferen-za non è solo legata agli attac-chi militari pur costati un’infini-tà di vittime civili. Va ricordato che buona parte degli aiuti, un fiume di denaro che ha invaso la nazione, è stato convogliato

verso il governo e da questo di-viso coi signori della guerra, coi clan che spartiscono e control-lano il territorio e con gli stessi talebani. Il popolo ha visto il 5% delle risorse.Potrà mai giungere un risar-cimento per le vittime civili?I familiari delle vittime non han-no ricevuto nulla. Lo slogan oc-cidentale “portare la democra-zia” ci ha regalato solo un’inva-sione di cui non si vede la fine. Non credo, con simili condizio-ni, che ci potrà mai essere un ri-sarcimento reale.Quanto incidono gli interven-ti economici dell’Occidente

nella corruzione?Con un forte ampliamento di questo fenomeno che ha coin-volto tutti i meandri delle isti-tuzioni afgane. Chi va a Kabul può osservare che fine hanno fatto questi fondi: sono serviti a costruire enormi palazzi dove risiedono i signori della guerra. Gli aiuti militari ed economici hanno ingrassato il marcio che già esisteva nel mio Paese au-mentando il potere delle fami-glie e delle organizzazioni per le quali non si può che usare un aggettivo: mafiose.La realpolitik di Karzai ripor-terà i Taliban a Kabul?

Il disegno in base al quale Kar-zai sta provando, su suggeri-mento statunitense, a coinvol-gere in unpossibile prossimo governo an-che parte dei Taliban che se ne stanno a Quetta o altrove, po-trebbe essere una mossa di re-alismo. Forse per un periodo gli spari cesserebbero però questa soluzione non avvantaggerebbe la gente comune. Riunire in una coalizione componenti tanto diverse e rissose lascia seri dub-bi sulla riuscita del piano, tutti costoro sono guerrafondai cro-nici che non faranno un passo per favorire la popolazione.

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RIT

S/A

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PRES

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domenica 27 febbraio 20114

Intervista

Ambiente

Giorgio Comerio è un perso-naggio chiave di questa vicen-da. Nei giorni scorsi si è detto disponibile a essere ascoltato da voi. Siete stati contattati?No, anzi. Noi avremmo piace-re di ascoltarlo, pendenze pena-li che lo riguardano permetten-do. Tempo fa, ci è stato segnala-to fosse in Liguria.

Perchè per voi è così importan-te risalire all’identità dell’in-formatore Pinocchio?Se è vero quello che dice, non è u informatore di poco conto. Parla di traffico di rifiuti radioattivi, ti-ra in ballo il senatore Noè, parla di navi che da La Spezia partono per l’Asia cariche di sostanze ra-dioattive. Posso dire con ragione-vole certezza che non si tratta di un semplice cittadino.

Cosa manca per raggiungere la verità?In tutta questa vicenda, ci sono una serie di questioni che non tornano. A cominciare dalla mor-te del capitano De Grazia. Per fi-nire ai legami con la morte di Ila-ria Alpi e Miran Hrovatin. Ed epi-sodi inquietanti. Aldo Anghes-sa, uomo legato ai servizi, venne ascoltato dal pool di Reggio Ca-labria. Nel corso dell’interroga-torio, l’uomo prevede quello che da lì a un anno accadrà al pool investigativo. Compreso lo spo-stamento di competenza dell’in-chiesta.

Intervistato da Terra, nelle scorse settimane il maresciallo Scimo-ne, che faceva parte della squa-dra del pm Neri, ha rivelato che dietro questo spostamento c’era la mano del Sisde.

lavori della commissione bi-camerale d’inchiesta sul ci-clo dei rifiuti sono giunti a un punto di svolta. In spe-

cial modo per quello che riguar-da la vicenda relativa alle cosid-dette navi dei veleni. Alessan-dro Bratti è capogruppo Pd della commissione, ed è uno dei mem-bri dell’organismo presieduto da Gaetano Pecorella che più ha la-vorato sulla vicenda.

A che punto siete con i lavori?Siamo in una fase molto delicata, perchè sta emergendo che i traf-fici dei rifiuti non sono solo una questione di natura ambienta-le, Il tema che emerge e sul qua-le indagheremo è capire quanto il nostro governo sia stato o sia ancora coinvolto, attraver-so pezzi di appara-ti dello Stato. Abbia-mo rilevato in diver-si situazioni la co-stante presenza nei traffici di aziende di Stato. Un elemen-to che emerge dalle dichiarazioni e audizioni di alcuni pentiti, dal-le carte dei lavori fatti dalle pre-cedenti commissioni e dagli atti delle vecchie inchieste. L’aspetto che emerge è il coinvolgimento

dei servizi segreti cosiddetti deviati.

Di quali aziende parliamo?

Debbo premettere che non ho motivi per dubitare che le attività di smaltimento dei rifiuti non si siano svolte in maniera regolare. È un fatto, però, che la Monteco si sia occupata del trattamento

dei rifiuti pericolosi in Libano. La Monteco era un’azienda dell’Eni, che ha operato su una commes-sa del ministero degli Esteri. Così come Nucleco e Enea erano le re-altà statali che lavoravano su ri-fiuti nucleari.

In un documento secretato, pubblicato da Terra, c’è la pro-va del coinvolgimento del Si-

«Il traffico delle navi è una questione di Stato»Vincenzo Mulè

I

Intervista Morte del capitano De Grazia e legami con l’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin: i lavori della commissione ecomafie sono a una svolta. Ne parla Alessandro Bratti

smi e del governo nei traffici...Abbiamo chiesto al Copasir di togliere il segreto, anche se ormai di segreto c’è ben poco. L’unico dubbio rimasto è sui fondi stan-ziati. Bisogna cercare di capire che tipo di attività riguardasse-ro. Comunque, l’intervento dei servizi è certo, compreso quel-lo di personaggi anomali ad es-si legati.

lla terza Conferenza dell’industria solare che si è tenuta a Roma il 24 e 25 febbraio si è parla-

to anche di termico. Di quei pan-nelli che non producono elettri-cità ma trasformano i raggi del sole in acqua calda. In pratica del «fratello povero» del fotovol-taico, come lo definiscono molti addetti ai lavori. «L’Italia è il se-condo mercato europeo del ter-mico dopo l’Austria, Paese dove ormai sono quasi su ogni casa», spiega Sergio D’Alessandris, pre-sidente dell’associazione di cate-

Alessandro De Pascale

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Solare termico, tanti benefici a costi ridotti

Ambiente I moderni impianti producono fino a 1 gigawatt l’ora di energia e garantiscono acqua calda agli edifici, così da ridurre le emissioni di CO2 e il consumo di combustibili fossili

«Un uomo legato ai servizi aveva previsto l’esito delle indagini della Procura di Reggio con un anno d’anticipo»

>>Attualità>>

goria Assolterm. I moderni pan-nelli consentono di produrre fino a 1 Gw l’ora e oltre a garantire ac-qua calda agli edifici consentono di integrare il riscaldamento, co-sì da ridurre le emissioni di CO2 e il consumo di combustibili fos-sili. Inoltre, a differenza del foto-voltaico, il termico non è sogget-to a speculazioni perché l’ener-gia prodotta viene consumata in loco. Fino al 31 dicembre 2011 c’è la possibilità di ottenere una de-trazione fiscale del 55 per cento in dieci anni. «Inoltre - continua D’Alessandris - il decreto attua-tivo che il governo dovrà mette-re a punto entro il 5 marzo pre-

vede un Conto energia tabellare anche per il termico e l’obbligo delle rinnovabili sulle nuove co-struzioni». Gli operatori sono co-munque preoccupati. La scaden-za è vicina e se il decreto non vie-ne approvato si rischia l’assenza degli incentivi per i prossimi due anni. «Sarebbe un vero pecca-to perché il settore ormai è ma-turo: il 75 per cento degli inter-venti, riguardano l’installazione di pannelli solari termici», rileva Paola Ferroli, presidente di Asso-termica. Al punto che gli opera-tori la ritengono «la misura più conveniente in edilizia, perché consente un notevole risparmio

energetico». Per la Ferroli «con caldaie moderne e con un buon isolamento agli infissi e alle pa-reti, il fabbisogno energetico si riduce del 50 per cento». E una famiglia media che vive a Milano in un appartamento di 85 me-tri quadri consuma ben 11.000 kW/h l’anno per il riscaldamen-to e 2.050 per l’acqua calda. Pec-cato che nel nostro Paese la lob-by dello scaldabagno elettrico e delle caldaie a gas l’abbia fatta da padrone per decenni. Tanto che i fabbisogni termici degli italiani sono tuttora coperti in larga par-te da queste tecnologie obsole-te. In Italia, secondo Assolterm,

c’è infatti «un parco di 19 milio-ni di caldaie a rendimento basso, che generano un elevato inqui-namento e creano problemi di sicurezza». D’Alessandris si dice però «perplesso perché il nuovo decreto nelle ristrutturazioni di edifici oltre i mille metri quadri, non recepisce l’obbligo di copri-re con il solare termico almeno il 50 per cento del fabbisogno». Una misura che da sola darebbe la possibilità di sostituire 70mila vecchie caldaie l’anno. Aiutando l’Italia a raggiungere l’obiettivo stabilito dall’Europa di portare le rinnovabili al 20 per cento en-tro il 2020, dall’attuale 7 per cen-to. Per farlo, gli addetti ai lavori chiedono un sistema incentivan-te semplificato, oltre ad una mi-gliore comunicazione e forma-zione degli installatori. Perché spesso l’idraulico che viene nelle nostre abitazioni nemmeno co-nosce questa tecnologia. Figu-riamoci i benefici, i costi ridotti degli impianti e il risparmio che garantiscono.

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domenica 27 febbraio 2011 5

Non fa invece alcuna notizia il fatto che i parchi nazionali e re-gionali, che pure sono state le istituzioni forse più interessan-ti e dinamiche tra quelle sorte e sviluppatesi negli ultimi decen-ni, stiano oggi soffocando insie-me alle altre aree naturali protet-te. Non si tratta soltanto di restri-zioni finanziarie, ma di una mor-sa più sottile e per questo più grave.Certo, gli ultimi gravissimi tagli operati sia dal Governo nazio-nale che da molte Regioni stan-no portando al di sotto del limi-te di sopravvivenza i parchi e le altre le aree protette che finora, pur operando con risorse finan-ziarie sempre inferiori alle neces-sità, erano riusciti a resistere e a progredire grazie all’abnegazione e all’entusiasmo di operatori e di volontari. Ma oggi è subentrata una questione ancor più perico-losa che consiste nel travisamen-to e nella banalizzazione del ruo-lo di queste aree e che rischia di cancellare una delle più belle pa-gine della storia della conserva-zione della natura in Italia. Da un lato l’ideologia dell’ “an-tropizzazione” - l’uomo maschio che domina la natura femmina - ignora la riflessione pluridecen-nale sul complesso rapporto tra la persona umana e la natura e risospinge il dibattito ai livelli di quella demagogia (“prima gli uo-mini e poi gli animali”) che aveva eretto uno degli ostacoli più insi-diosi nel difficile cammino parla-mentare della legge quadro del 1991. Dall’altro tende a prevale-re una concezione tutta turisti-co-gastronomica che finisce per appiattire perfino quelle specifi-cità che vorrebbe esaltare. Que-sti due fattori oscurano comple-tamente la vera funzione delle aree protette che è una funzio-ne strategica perché apre nuove prospettive all’intera società . Soprattutto i parchi, che del-le aree protette rappresentano il modello più complesso, sono og-gi infatti in grado di offrire indi-cazioni, e già hanno comincia-to a farlo, per contrastare il ri-

In difesa dei parchie delle aree naturali

Graziani dalla prima

Iniziative Il gruppo di San Rossore ha convocato un’assemblea nazionale nel capoluogo toscano per mettere a punto una strategia comune contro le nuove aggressioni al territorio

schio della catastrofe causato dall’attuale processo di sviluppo, a fronte della quale l’imperativo categorico dovrebbe essere quel-lo di arrestare la perversa spirale distruttiva e di ricercare la stra-da di un diverso sviluppo in gra-do di conservare la natura e perciò di sal-vare la terra. Certo, i parchi e le altre aree protette non possono da soli raggiungere un risultato salvifico perché tutelano solo porzioni limitate, sia pur non trascurabili, di territorio (secondo alcune stime si trat-terebbe del dieci per cento del-le terre emerse dell’intero piane-ta); ma essi, oltre a essere serba-toi di biodiversità di importanza fondamentale, costituiscono la-boratori di eccezionale rilevanza per sperimentare nuove moda-lità di gestione territoriale e per dimostrare concretamente che è possibile un altro tipo di svilup-po, che è possibile cioè coniuga-re sviluppo e conservazione. La grande missione dei parchi, il cui numero è in forte crescita in tutto il pianeta, è dunque di con-tribuire ad arrestare la folle cor-sa dell’umanità verso la catastro-fe, di contribuire cioè a salvare la terra. E’ una missione che esalta lo stesso loro ruolo tradizionale che è quello di conservare terri-tori di particolare rilevanza am-

bientale e nello stesso tempo di fare scoprire, o riscoprire, l’im-portanza del rapporto tra le per-sone e la natura. E’ una missione comune ai parchi di tutto il mon-do e perciò è in grado di avvici-nare i popoli, offrendo così uno

straordinario con-tributo alla pace. Per fare un solo esempio, il proget-to di un’Associazio-ne dei Parchi del Mediterraneo pro-mosso qualche an-no fa da Federpar-chi (la Federazione delle aree protette italiane), se ripreso

e rilanciato, potrebbe essere par-ticolarmente prezioso in questo momento decisivo per il futuro dell’area mediterranea. Proprio per affermare questa grande missione dei parchi con-tro l’attuale banalizzazione del loro ruolo e per sostenere l’azio-ne di coloro che, tra tanti osta-coli, si stanno adoperando per la loro causa è nato nello scor-so ottobre il Gruppo di San Ros-sore (dal nome del Parco regio-nale di Migliarino San Rossore Massacciuccoli dove si sono te-nute le prime riunioni) su impul-so di Renzo Moschini, uno dei protagonisti importanti di ora-mai decennali battaglie per la di-fesa delle aree protette. In poco tempo l’appello per il rilancio dei parchi lanciato dal Gruppo ha ri-

scosso oltre 700 adesioni di am-ministratori, operatori e volonta-ri di aree protette, studiosi tecni-ci e progettisti, ambientalisti ed esponenti politici e sindacali.Non si tratta di dar vita a un nuo-vo soggetto associativo – ce ne sono fin troppi – ma di solleci-tare una riflessione profonda su una questione di decisiva impor-tanza e colpevolmente trascura-ta e soprattutto di dare impulso all’aggregazione del cosiddetto “popolo dei parchi”, cioè di quel movimento poco conosciuto ma reale, che in questi anni si è svi-luppato attorno alle oltre mil-le aree protette del nostro paese e che deve ancora prendere co-scienza delle sue straordinarie potenzialità da esprimere nell’in-teresse del paese. L’incontro di Firenze di lunedì 28 febbraio, che si svolge in que-sta chiave di aggregazione, ha lo scopo di sollecitare l’opinio-ne pubblica, le associazioni e le istituzioni a prendere coscienza del vero ruolo delle aree protet-te e della missione dei parchi, a reagire in profondità contro l’at-tuale degrado culturale che si sta accompagnando a una nuo-va ondata di aggressioni al terri-torio, a rilanciare il sistema del-le aree protette italiane e a col-locarlo nel contesto internazio-nale che rappresenta oggi la di-mensione necessaria per dare si-gnificato e forza alle politiche di conservazione.

L’appuntamento è previsto a via Cavour, presso la sede del Consiglio comunale, a partire dalle ore 9.15

>>Ambiente>>

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Ricapitolando: i ritardi del-la burocrazia italiana e la dra-coniana riduzione di credi-to bancario ci impediscono di crescere. Il governo non ha fat-to assolutamente nulla per ov-viare a questi problemi stra-noti. Anzi. Sul pianeta Draghi però non c’e traccia di questi problemi. Un caso troppo spe-cifico? Vediamo. Sul pianeta Draghi le nostre scuole sono poco competitive per la man-canza di meritocrazia e l’in-troduzione delle nuove regole della Gelmini vanno nella dire-zione giusta. Sul pianeta terra gli studenti scendono in piaz-za in massa per chiedere risor-se a fronte di tagli selvaggi. Sul pianeta Draghi a dir il vero si sono accorti che i giovani han-no salari inferiori a quelli di 30 anni fa. E pure che la precarie-tà dilaga. Ma nessuno ha fat-to il nesso con le politiche di li-beralizzazione del mercato del lavoro invocate da Bankitalia negli ultimi 30 anni. O con la globalizzazione senza regole. Eppure non è difficile. Sul pia-neta Draghi la rimozione delle politiche espansive dei gover-ni europei non causerà proble-mi alla crescita, anche perché gli Stati periferici pagheranno tassi ridotti sul loro debito. Sul pianeta terra, qui vicino a Ma-drid, Atene, Dublino, Parigi e anche da noi, la gente scende in strada perché vivere è sem-pre più difficile. Perché per te-nersi una fabbrica ormai ai la-voratori viene chiesto di salta-re pausa pranzo e pipì. è come se sul pianeta Draghi non si congiungessero i pun-ti. L’analisi degli aggregati mo-netari e contabili appare co-sì drammaticamente inutile. Possibile che sul pianeta Dra-ghi non si colga il nesso che va dalla gerontocrazia italia-na, alla mancanza di investi-menti, innovazione, idee alla mancanza di crescita? Il nesso tra un sistema che margina-lizza e impoverisce quelli che, strutturalmente in ogni paese e tempo, rischiano tutto e in-novano e la stagnazione? Op-pure. Possibile che sul piane-ta Draghi non si colga il nes-so (qui in Italia nel Paese del-la natura mozzafiato, del pa-trimonio artistico ineguaglia-bile) tra mancanza di inve-stimenti nel territorio e cre-scita? Quale perfida divini-tà condanna i banchieri cen-trali a non fare analisi quali-tative della crescita? Perché se così è, non dovrà stupire che al central banker si rico-nosca una qualche utilità solo quando interviene sui merca-ti a salvare Paesi in difficoltà. Violando, di solito, le sue stes-se regole.

Bonaccorsi dalla prima

Il pIaneta teRRae dRaghI

In fondo

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domenica 27 febbraio 20116

i più apprezzati della categoria del mi-glior film, Il Cigno nero di Darren Aro-nofsky da poco nelle nostre sale, com-pete con 5 candidature (tra cui anche quella alla regia e alla bellissima Nata-lie Portman, come migliore protagoni-sta) mentre l’originale e claustrofobico 127 Ore di Danny Boyle..con un bravis-simo James Franco accede ai premi con 6 menzioni. L’Italia si sà, dopo l’esclusio-ne del film di Paolo Virzì, La prima co-sa bella, è fuori la competizione, tran-ne con la pellicola di Luca Guadagni-

no, Io sono l’amore, che gareggia per i costumi. Ma, a parte ribadire la no-stra preferenza per l’opera dei Coen (Il Grinta) e in assoluto per il film di Inarritu, Biutiful, che merita in-discutibilmente il premio come mi-

glior film straniero e che apprez-ziamo più della furbesca e per

noi sopravvalutata prova della Bier, In un mondo mi-gliore, vorremmo spende-re qualche parola proprio per il film di Danny Boyle, l’eclettico regista di The Mil-

lionaire, che da questo fine settimana nelle sale, confe-ziona un opera sperimentale,

forse non da Oscar, ma sicura-mente originale. Apparentemen-te distante dal suo film preceden-te (vincitrice di ben 8 premi Oscar nel 2009) in realtà il film, 127 Ore, sul drammatico incidente acca-duto all’escursionista statuniten-se Aron Ralston, rimasto bloccato per 5 giorni in un crepaccio, offre l’essenza della visione artistica del bravo regista inglese, che più che in altre parti mostra un’immagine ci-nematografica capace prima di tut-to di raccontare i sogni dei prota-gonisti. In The Millionaire attraver-so una storia che poi era una favola e qui attraverso un racconto che no-

nostante sfrutti la tecnica del vi-deoclip riesce a trasmettere

tutta la ricchezza del mon-do interiore del protago-

nista. Emozionante. Da non perdere.

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>>Spettacoli>>

Aspettando la NotteArrivano gli Oscar

Un pop contro l’uomo qualunque

a notte degli Oscar è arrivata. Questa sera (alle ore 2.30 italia-ne sky Cinema presenterà in di-retta l’evento) dal Kodak Thea-

tre di Los Angeles la coppia di bellissi-mi, Anne Hathaway e James Franco (no-minato alla statuetta come miglior at-tore per 127 Ore), annunceranno i film vincitori dell’ambita statuetta, soprat-tutto quella per il Miglior film. Tra le 10 pellicole nominate Il discorso del re di Tom Hooper, la storia di re Giorgio VI d’Inghilterra e delle sua grave balbu-zie, è il favorito con 12 candidature: Mi-glior film, regia, attore protagonista (Co-lin Firth, tra i più probabili premiati, an-

Alessia Mazzenga

L

CinemaQuesta sera dal Kodak Theatre di Los Angeles Anne Hataway e James Franco condurranno la serata di premiazione della festa più attesa dell’anno

che se per noi il Javier Bardem di Biuti-ful è senza dubbio il migliore tra i nomi-nati), attore non protagonista, attrice non protagonista, scenografia, fotogra-fia, costumi, montaggio, colonna sono-ra, sceneggiatura, missaggio e sonoro. seguono tra i più probabili vincitori: The Social Network di David Fincher (uno dei registi più apprezzati a Hollywood), sul-la nascita di Facebook, con 8 nomina-

tions come quelle per Inception, il sogno “delirante” di Christopher Nolan con Le-onardo Di Caprio (che però non si gua-dagna nessuna menzione), il buon we-stern dei Coen, Il Grinta, (per noi la mi-gliore pellicola della categoria), 10 no-mination (tra cui oltre quella al miglior film anche al sempre apprezzabile Jeff Bridges, come attore protagonista e al-la vera rivelazione del film, la “grintosa”

quattordicenne Hailee stein-feld, come migliore attrice non protagonista, che però gareggia con la strepitosa Jacki Weaver di Animal Kingdom) e The Fighter, il film di David O. Russell, non uscito ancora in Italia, con 7 menzioni. Infine, solo per nominare

cce homo degli Egokid è una di-chiarazione d’intenti: rompere il qualunquismo e l’asfissia cultura. E lo fa a suon di pop citando Niet-

zsche, conducendoci nell’animo dell’uo-mo qualunque, quello che vive nella me-diocrità, “che accetta il nucleare per scal-darsi al posto del sole” e che giudica tut-to in base al denaro. Diego Palazzo e Pier-giorgio Pardo, i due cantanti e autori del gruppo, ci portano a riflettere sul presen-te con le parole, e con le orecchie ci gui-dano lungo percorsi che si sposano a Raf-

E

non hanno più voglia di partecipare né al-la vita politica né a quella culturale. Non c’è il desiderio di assumere conoscenza, vera fonte di emancipazione.

In ogni testo c’è un significato profon-do in contrapposizione con una musi-ca leggera che fa da contraltareQuesta è una scelta stilistica. “L’uomo qualunque” è nato sugli stilemi della can-zone pop da Raffaella Carrà alla Mina più spensierata c’è l’idea di circo, di messa in onda televisiva e della ricerca del ritor-nello tormentone con un retrogusto serio come facevano Cochi e Renato che.

In “Con stile” fate uno spaccato di Mi-lano dai modi di vestire ai locali.Milano è una città che deve ritrovare la sua storia. sta diventando un parcheg-gio, un grande centro commerciale. Dal punto di vista politico non c’è nessuna at-tenzione alla cultura se non a quella fin-ta che da un po’ di anni monopolizza tut-to con le solite quattro cose. E se parlia-mo di una città che ha la pretesa di essere

Nella categoria del miglior film il preferito con 12

nominations è Il discorso del re con Colin Firth in

gara come migliore attore

faella Carrà, Mina, i ritornelli di Cochi e Renato fino al rock inglese degli anni No-vanta.

Diego, come mai un titolo come Ecce homo?Tutto nasce con l’idea di fare un proget-to forte con un titolo incisivo. Ecce homo funzionava perché l’intenzione dei pez-zi è quella di costruire una nuova uma-nità che deve fare i conti con se stessa, deve essere avulsa dal condizionamen-to non tanto ideologico, quanto semmai religioso, eliminare l’idea che esista qual-cosa di trascendentale anche a livello di ispirazione poetica. Volevamo trasmette-re questa necessita che avevamo di con-durre tutta l’arte, la cultura, la spiritualità dell’uomo a un ambito molto terreno.

L’ album ha più livelli di lettura?L’occasione era quella di fare un disco sull’Italia, toccare tematiche vive ogni giorno come l’ingerenza della chiesa nel-la politica e nella cultura, l’italiano medio, il ritorno dell’uomo passivo, persone che

MusicaCon il quarto album, Ecce Homo, gli Egokid fanno uno spaccato del presente provando a rompere, con melodie leggere, l’asfissia culturale e i mitidel nostro Paese

il punto di riferimento dell’Italia in Euro-pa mi sembra assurdo. Lo sport naziona-le a Milano è parlare dei reality show co-me fenomeno di costume rilevante, que-sta cosa qua è allucinante.

Come mai la scelta di proporre una traduzione di Girls Vs Boys dei Blur?Quindici anni fa descriveva lo spaesa-mento di una generazione davanti al vuo-to lasciato dalle politiche della Tatcher, tutti esultavano perché se ne erano libe-rati, ma il peggio doveva ancora arriva-re. Quel pezzo è ancora attuale in Italia e me ne sono accorto traducendolo. E poi ci sono richiami, come nel verso “ragaz-zi che fanno le ragazze” ad esempio, che possono essere inseriti in considerazioni di genere. In Italia vedi tanti modelli omo-sessuali impiegati nello spettacolo, nella moda. Abbiamo gay che operano in set-tori cruciali dell’economia ma non fanno nulla dal punto di vista politico per avere qualche diritto. Finché fai l’eccentrico va bene, ma se vuoi diritti allora no, si parla di famiglia, matrimonio, chiesa.

Pierpaolo De Lauro

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Chi è

Il ricordo>>Cultura>>

Luigi di Ruscio, tanti poeti dentro uno solo

uigi di Ruscio is dead. The 23 of february 2011 at 4:00 AM. Un’email aperta troppo tardi. Par-

tita dallo stesso indirizzo di po-sta elettronica che era di Lui-gi, da vivo. L’ho letta che era po-meriggio. È firmata dal figlio, Adrian. Nient’altro. Cosa c’en-trava con la letteratura italiana un operaio? Uno che lavorava in una fabbrica di chiodi, a Oslo, in Norvegia? Luigi Di Ruscio, classe 1930, era un poeta italiano. Una voce vera, potente e originale co-me poche altre. Poeta autodidat-ta nell’Italia del dopoguerra, mu-ratore disoccupato e militante di base nel Pci di Palmiro Togliatti, poi emigrante in Norvegia. Di Ruscio è stato molti uomini insieme. Molti poeti dentro uno. Lo hanno chiamato poeta ope-raio. Definizione senza dubbio riduttiva. Ha vissuto, ha scritto ed è morto altrove, lontano. Più di 50 anni trascorsi nell’estre-mo Nord d’Europa. È vissuto in Norvegia dal 1957, quasi ininter-rottamente, fino al giorno che è morto. C’era arrivato da Fermo, città delle Marche dove era nato. La scelta di emigrare dopo i pri-mi stenti, le frustrazioni e le lot-te sociali del dopoguerra. La ci-vile e fredda Scandinavia, me-glio dell’angustia bigotta e dispe-rata di certa provincia italiana anni ‘50. Viveva a Oslo. Una moglie, una famiglia e una vita in quel paese. Di Ruscio principia tutto sfon-dando confini, frequentando gli antipodi. «Io amo la Norvegia e anche mia moglie nordica, in Italia non avevo mai capito bene che vivevo in un pianeta, tanto ero immerso nel mio specifico», aveva scritto. In Norvegia Di Ru-scio era rimasto per conquistar-si una soglia di vita minima, uno status umano definitivo. Sposa Mary Sandberg. Hanno quattro figli e vivono in una piccola ca-sa popolare. La sua vita non sarà mai quella del poeta o del lette-rato. È quella anonima del lavo-ratore salariato, del metalmec-canico nella grande fabbrica me-tallurgica. Già le sue prime poesie dicono di una fatica senza rimedio, di un mondo operaio segregato e dolente. La condizione margina-le invece che affievolirlo col tem-po ha acuminato il suo sguardo. Libri, vita di fabbrica e passio-ne politica, tutt’uno con lo spi-rito sovversivo e fluviale. La sua lingua quotidiana era per forza di cose il norvegese. Ma la sua poesia e la sua lingua ciancica-ta e fantasiosa rifluivano ampie da una mescola di italiano ul-tracolto e sgrammaticato, im-pastato alle fonte mai inaridita del dialetto di casa. Le sue Mar-che e l’Italia del dopoguerra re-stavano coinvolte in ogni paro-la, indimenticate. A lui si deve una lingua d’invenzione, un bo-lo continuamente rianimato e

Mauro Francesco Minervino

L

Il ricordo Mercoledì 23 febbraio si è spenta una delle voci più potenti e originali del panorama letterario italiano. Più di 50 anni trascorsi nell’estremo Nord Europa

rimasticato a memoria, nel van-taggio dialettico e straniato del-la distanza. Parole di una poe-sia dura e vera, ironica e sacrale, da grande eresiarca medievale. L’italiano lo riservava alla poe-sia, prodotta a ondate inarresta-bili nell’arco di decenni, nelle ore rubate al sonno e dopo la fatica del lavoro. Un lavoro di fatica che stritolava muscoli e nervi. Nervi che dopo restavano scoperti di rabbia, medicati di poesia. Sfrut-tamento che però Di Ruscio non ha mai isterilito nell’odio. Nella sua poesia c’è spazio per l’epica del lavoro (l’alienazio-ne primitiva di una fabbrica di chiodi), un sentimento religioso kantiano e mangiapreti, un’an-tica e robusta fame di giustizia che si manifesta in invettiva rau-ca e copiosa. Di Ruscio è stato il poeta ruzzante di un corpo mai separato dall’anima e della quo-tidianità. La sua ostinazione eti-co-politica, il suo comunismo poetico, unito alla sua olimpica trascuratezza per le strategie let-terarie, hanno fatto il resto. Di Ruscio ora da morto resta davvero unico, «operaio tra i professori» (ossia Fortini, Vol-poni, Sanguineti etc). Lo scarso impegno della critica ufficiale e degli editori italiani nei confron-ti della sua scrittura si spiega og-gi con agli stessi smottamenti di senso e di valore che hanno fini-to per rincoglionire il Paese. Av-vantaggiato e svantaggiato insie-me proprio dalla lontananza (ra-ramente ha abbandonato Oslo), dalla posizione sociale (sempli-ce operaio in fabbrica, poi solo pensionato), dal rifiuto di ade-rire alle dominanti ideologiche globali, alle mode culturali e let-terarie, per fortuna Di Ruscio ha continuato a distanza a vivere e a scrivere a modo suo; fregando-sene di tutto, curioso, vitale, im-perterrito fino alla morte. La marginalità, il lavoro in fab-brica, un orizzonte politico e umano che il dopoguerra presto richiude senza speranze di re-denzione: sono molti i temi che lascia in vita con la sua poesia. Ma Luigi Di Ruscio diventa po-eta di una condizione totale che ormai va al di là della sua biogra-fia letteraria: quella dello stranie-ro, del disintegrato in un mon-do di outsiders, sempre più mi-nacciato dal caos e dal pericolo. Un orizzonte di consapevolezze spaesanti infiammato però dalla speranza di senso in una poesia assoluta che, come lui, si partiva per il mondo in cerca di univer-sali umani. Di Ruscio aveva pensato di scri-

vere un libro, Istruzioni per l’uso della poesia. Del progetto però c’è solo una prima pagina for-midabile, che attacca così: «Non scrivete le poesie se nello scrive-re non ne ricavate rilassatezza, felicità sessuale, leggerezza nei

contatti con il prossimo tuo, se non senti lo stesso iddio in pros-simità della tua ombra, gioia la-vorativa in fabbrica, scioltezza nel lavoro manuale, aumento vertiginoso della creatività men-tre scrivi, sviluppo imprevedibi-le della personalità, leggermente inebriato, come a precipizio. Se tutto questo non succede smetti subito. La gioia della poesia è so-lo nello scriverla». Cantava la vita in presa diretta, ed era capace di scaraventare la sua verità in faccia al mondo con la violenza e la sapida tene-rezza che le sue parole sapevano richiamare sulla pagina. Una sua poesia parla di Zamora, il portie-re più famoso di quando era ra-gazzo. Lo paragona a Cristo in croce che sembra «parare tutti i peccati del mondo». Le prime poesie che ha scritto in Non pos-siamo abituarci a morire le aveva pubblicate nel 1953, a 23 anni. Il libro uscì con una prefazione di Franco Fortini, che di lui scrive-va: «Gli aspetti risentiti del par-lato e del gergo si sovrappongo-no intenzionalmente alle strut-ture della lingua colta e lettera-ria, per più forti risultati». A che gli chiedeva se si sentisse più po-eta o scrittore di narrativa, ri-spondeva così: «Io semplifico molto: quando le cose vanno per le lunghe è prosa, quando le cose sono molto corte è poesia». Fortini e Quasimodo tra gli anni ’50 e ’60 lo hanno accreditato per primi tra i maggiori poeti della letteratura italiana contempora-nea. Dopo si sono aggiunti i giu-dizi di Sebastiano Vassalli, Gian-carlo Majorino e Antonio Por-ta. In questi tempi molli Di Ru-scio riporta dentro la letteratura una fierezza di sguardo autora-le conquistata senza traccheggi letterari. Quella di un esule che ha continuato sempre a sogna-re e a celebrare l’utopia, in una specie di contromano laico e ir-riverente alle code del conformi-smo nostrano. Cantava il tem-po, le sue glorie, le sue meschi-nità. Di Ruscio ora che è morto lo disconoscono in molti in Ita-lia. Ma per pochi di noi ancora inclini a combattere con le paro-le, resta un gigantesco testimo-ne della verità. Uno che nonostante la lonta-nanza ha saputo raccontare il nostro paese con tenerezza e di-scordia, da utopista, nell’urgen-za del presente, per buttarlo sot-tosopra. Conservava un ricordo limpido e felice dei luoghi per-duti, delle persone e delle parole che nella vita di un uomo conta-no più di tutto. Quelle che ci dan-

no un’impronta, qualcosa che ci identifica e non cambia neanche nel caos che tutti attraversiamo per restare vivi. Negli ultimi anni sentiva l’urgen-za di pubblicare in Italia, di rico-noscimenti che avrebbero po-tuto risarcirlo. Affioravano tor-menti. Sentiva che la vita con-sumata ‘altrove’ e con fatica nel mondo iperboreo di quel suo stranissimo esilio, stava finendo. Alla scrittura aveva dedicato co-sì anche gli ultimi tempi, le ulti-me energie, quando tutto sem-brava affliggerlo col silenzio e il fraintendimento. Sopravviveva lottando contro la lontananza e i dolori di una vita spaesata in un crepuscolo remoto, che spesso è un anticipo di morte. Avrei voluto fare di più per lui. Mi aveva chiesto lui stesso di aspettare un po’ prima di pubbli-care un libro nuovo, per dare la possibilità a La neve nera di Oslo (il suo ultimo uscito, bellissimo e travolgente, pubblicato in Italia da Angelo Ferracuti nella collana “Carta Bianca” di Ediesse) di cir-colare ancora un poco. Almeno farò un suo libro. Mi aveva dato da pubblicare una raccolta flu-viale, dal titolo che suonava co-me un presentimento, Raccon-ti estremi, e le bellissime Cartoli-ne da Fermo, i ricordi di una vita. Tra qualche mese usciranno per l’editore calabrese Abramo. Li-bri postumi, purtroppo. Conser-vo molte delle sue email. Le ho rilette in questi giorni. Messag-gi lunghissimi, fuochi d’artificio linguistici, zeppi di interpellan-ze un po’ cervellotiche e diver-tentissime – ma anche di richie-ste caritatevolmente tormento-se, di precisazioni timide e uma-nissime. Poeta sempre. Il lessico sempre stralunato e folgorante. Di Ruscio col tempo era diven-tato un esempio di come si può essere scrittori oggi: stranieri ovunque, innamorati della ve-rità e della vita del mondo co-sì com’è, dove si può, nonostan-te tutto. Restando accanto a un desidero formidabile di utopia e di bellezza, con un’idea di pa-tria che si scava il suo nido solo tra le parole, con una lingua che spacca le pietre, come un lavoro dell’anima. Considerato dove si è spinta in solitudine la sua vita e la sua ar-te, meritava grandi riconosci-menti, che non ci sono stati. Leggerlo ci restituisce a quel re-sto di bellezza e di umanità che con persuasione e commoven-te fedeltà si oppone al vuoto, nel cui fondo buio tutto è destinato a scomparire.

Luigi Di Ruscio era nato a Fermo nel 1930. Emigra dalla sua città natale nel 1957, do-po l’esordio poetico nel 1953 con “Non possiamo abituar-ci a morire”, presentato da Franco Fortini. Si stabilisce ad Oslo, dove per trentasette anni è operaio metallurgico. in Norvegia sposa Mary San-dberg. Hanno quattro figli. Ha pubblicato: “Le streghe s’arrotano le dentiere”, con la prefazione di Salvatore Qua-simodo, Marotta 1966: “Ap-prendistati”, Bagaloni 1978; “Istruzioni per l’uso della re-pressione”, con presentazio-ne di Giancarlo Majorino, Sa-velli 1980; “Epigramma”, Va-lore d’uso 1982; il roman-zo “Palmiro”, con postfazio-ne di Antonio Porta, Il lavo-ro editoriale 1986 poi Baldi-ni & Castoldi 1996; “Enuncia-ti”, presentazione di Eugenio De Signoribus, Stamperia dell’Arancio 1993; “Firmum”, con presentazione di Massi-mo Raffaeli, peQuod Ancona 1999: “L’ultima raccolta”, con prefazione di Francesco Leo-netti, Manni 2003; “Le mito-logie di Mary”, con postfazio-ne di Mary B.Tolusso, Lieto-colle 2004. “Poesie operaie”, con prefazione di Angelo Fer-racuti e postfazione di Mas-simo Raffaeli, Ediesse, 2006, La neve nera di Oslo, con prefazione di Angelo Ferra-cuti e postfazione di Massi-mo Raffaeli, Ediesse, 2010.

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Napoli, è boom di voltagabbanaPolitica Su sessanta consiglieri comunali venti hanno cambiato almeno tre volte casacca, e il bipolarismo resta un’utopia

ei paesi normali il volta-gabbana è una figura lo-sca che, non appare mai in pubblico, per nascon-

dere alla buona e meglio, il rosso vergogna. In Italia, invece, il vol-tagabbana è un uomo furbo, go-de di ampia consenso e massima considerazione, convoca confe-renze stampa, rilascia dichiara-zioni alle emittenti nazionali e locali, da persino lezioni di mo-ralità, lancia, nello stesso tem-po, appelli di finto buon senso e duri moniti. se poi è un rivolta gabbana, il personaggio in que-stione potrà vantarsi di fronte all’opinione pubblica, addirittu-ra di due svolte. Di questo model-lo, fino a pochi mesi fa, esisteva-no pochi esemplari, il cui prototi-po era il parlamentare Clemente Mastella, che nel corso della sua lunga esperienza politica, è sta-to capace di passare da destra a sinistra per poi tornare a destra. Il comune di Napoli, è senza om-bra di dubbio, luogo dove si anni-dano tanti volta e rivolta gabba-na, tanto è vero che, su 60 con-siglieri comunali, ben venti han-no cambiato almeno tre volte ca-sacca. Qualche addetto ai lavori, in totale buona fede, sostiene che i cambi di casacca sono da im-putare alla nascita dei due mag-giori partiti italiani, il partito de-mocratico, dove sono confluiti i consiglieri comunali dell’ex mar-gherita e del partito democrati-

Giuseppe Parente

N

co della sinistra, e il popolo del-le libertà, al quale gruppo han-no aderito i consiglieri comuna-li dell’ex Forza Italia e di Allean-za Nazionale. I continui cambi di casacca, hanno modificato la ge-ografia politica del consiglio co-munale, rendendo difficile la vi-ta al sindaco Rosa Russo Jervo-lino che negli ultimi due anni ha goduto di una maggioranza inco-stante e variabile. Campioni di ri-

volta gabbana, sono senza ombra di dubbio, il neo futurista Roberto De Masi, eletto consigliere comu-nali nei socialisti democratici Ita-liani, dopo aver militato più volte nel gruppo misto, nell’unione di centro, nel partito democratico. Chissà cosa penserebbero di lui i veri futuristi, come Marinetti che nel manifesto futurista parlava-no di amore per il pericolo,culto per il coraggio e per l’audacia, lot-

ta contro il passato, il consiglie-re Achille De simone, fedelissi-mo dei Martusciello, eletto con-sigliere comunale con i Comuni-sti Italiani, al momento nel mi-sto, cercando collocazione nel se-no del centro destra dopo rifiuti avuti dal pdl prima da la Destra poi ed infine, last but non lost, co-me direbbero i britannici,il “ne-crofilo” Pietro Mastranzo,eletto con l’Udc, passato poi con Ini-

Terra Napoli A cura di Francesco Emilio BorrelliInfo: [email protected]

Un “coso” misterioso per l’ispet-tore Coliandro Giampaolo Morelli è sempre stato uno dei più corteggiati ragazzi di Napoli. sin dagli anni ’90 quando per mantenersi agli stu-di faceva il barman al Mephisto (si trovava a Via Medina ed era diventato il ritrovo di quei napoletani internazionali che non san-no più dove andare la sera) e donne e gay si bevevano l’impossibile pur di cogliere l’oc-casione di farsi notare da questo bello e non solo che con garbo e savoir- faire da nobi-le- scugnizzo sapeva come far sentire tutti protagonisti. Ma veniamo a oggi. Quando ci siamo ritrovati tra le mani l’intervista al no-stro Giamp che silvia Nuccini ha firmato sull’ultimo numero di Vanity Fair abbiamo quasi sobbalzato!Morelli- Coliandro dice: Mi depilo le ascelle perchè non voglio puz-zare. e fin qui: ok. Poi aggiunge: Mi racco-mando non fateci iltitolo del servizio si que-sta cosa così come faceste quando vi con-fessai che ce l’ho piccolo perchè io volevo dire che si, ce l’ho normale come tutti. Di pi-sello vero si può parlare dalle dimensioni di Rocco siffredi in su. Allora, spioni- inciucio-ni quali siamo, ci siamoprecipitati a chiama-

re XXXX che proprio in quel periodo del Me-phisto faceva coppia con lui. ecco il riassun-to della telefonata in questa brevissima ma chiarificatrice auto- intercettazione:Napo: Ciao XXXX, tutto bene?XXXX: si tutto bene ma bando ai convene-voli perchè mi hai chiamato?Napo: Vedo che hai già capito che si tratta di una telefonata interessata (risatina ruf-fiana)…XXXX: Da quando lavori per Napospia so già che mi cerchi solo per inciuciare. stavol-ta che vuoi sapere?Napo: Allora… Ricordo benissimo che tra il 93 e il 94 uscivi e ti facevi il Morelli…XXXX: Me lo ricordo anch’io. Quanto mi pia-ceva! era il ragazzo più intelligente della si-tuazione… Ma che vuò sapè?Napo: ecco…Insomma… Giampaolo ha di-chiarato ad un settimanale di avercelo pic-colo! Ma da quello che mi raccontavi tu one-stamente non ci credo. Mi dai una confer-ma o mi spieghi come stiano veramente le cose?XXXX: (Risata fragorosa e convintA) Ma qua-le piccolo! Giampaolo aveva un pisello molto molto interessante. Credo fosse di 17- 18 cm

se non sbaglio. e’ passato così tanto tempo… Ma di sicuro ricordo che era un bel pisello. Teso, orgoglioso e … anche abbastanza largo. Diciamo che ti ti confermo 18 cm… Edoardo “bannato” dai fans? Al sontuoso party tenutosi a Roma per fe-steggiare il compleanno numero 80 di Mar-ta Marzotto edoardo Bennato incontra Lit-tle Tony e Pupo. Tra i tre scatta subito una clamorosa intesa da vecchi compagni di li-ceo: ridono, devono, ricordano e si riempio-no di complimenti. Poi, d’improvviso, ciò che poi avrebbe fatto inorrdire (le foto dello scoop sono state considerate un tradimen-to) i fans del rockettaro di Bagnoli autore di alcune delle pagine più belle della storia dei cantautori italiani: i tre fanno trio e cantano per quasi tutta la sera. si tranquillizzino i bennatiani schifati: il nuovo Cd del loro beniamino si chiama Le vie del Rock sono infinite. Sex and the provincia Probabilmen-te lo sanno tutti che la ventennale segretaria di quell’assessorato della Provincia di Napoli spesso si trattiene fuori orario per poter me-

glio assistere il nuovo assessore giallo limo-ne. Qualcuno dello stesso piano ha origliato con scrupolosità per poi raccontarci che… Godono a lavorare insieme! Fiorello non torna in radio: colpa di un doppio bacio?A Radio1 stanno facendo l’impossibile per riportare Fiorello in onda. Ma di fronte si-trovano ostacoli, quasi insormontabili, di carattere economico. Per aggirare lo scoglio ecco allora l’idea di trovare una sponda tv con Raiuno per spalmare i costi dell’ingag-gio. Inoltre c’è una clausola capestro per re-scindere il contratto che lega l’amico e spalla dello showman, Marco Baldini, a Radio Kiss Kiss fino al 2012. e ovviamente in Rai nessu-no si sogna di pagarla.quattro look- maker che devono vestire (in certi casi svestire) adeguatamente: orche-strali,

Gossip

Morelli, Fiorello e companyLa rubrica dello speaker di Radio Marte Stereo, autore del blog www.napospia.it

ziativa Popolare, in seguito dive-nuto democratico, per poi aderi-re all’Udeur di Clemente Mastel-la, divenuto poi, grazie ad un son-daggio sul noto sociale network face book, popolari per il sud, ora consigliere di Forza Italia, partito che a livello nazionale non esiste più ma che a Napoli, presenterà la solita lista comunale alle pros-sime elezioni amministrative in alleanza con il centro destra. I cambi di casacca, per amore del-la verità, non sono da imputare a motivi di alta politica a soffer-te scelte ideologiche o program-matiche ma unicamente al fatto che anche un solo consigliere co-munale, capogruppo di sé stesso, gode di tanti benefit a spese del contribuente, come la sede da far diventare proprio comitato elet-torale a costo zero, con funziona-ri pagati dal comune, segno evi-dente che il bipolarismo a Napoli come in Italia sia una vera e pro-pria utopia.

di Gianni Simioli

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LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA

Inserto del quotidiano Terra. Settimanale di Cultura, Spettacolo e Comunicazione. Ideato e

diretto da Giulio Gargia.Progetto grafico: Bottega Creattiva/Pippo

Dottorini. In redazione: Arianna L’Abbate. Webmaster: Filippo Martorana

domenica 27 febbraio 2011 anno 2 n. 8

Virus alert

tVSi aggrava sempre più il caos delle fre-quenze digitali. Al Nord intere zone vedo-no i TGR delle altre regioni, altre non si sintonizzano più sui canali RAI, e così na-scono comitati spontanei per costringere il servizio pubblico a fare il suo dovere.

satira“L’ho amato, ma non ricordo quando”. La fidanzata smemorata è solo l’ultima figu-ra del catalogo delle patacche di Arcore. Da Igor Marini al dossier Mortadella, pic-colo excursus nella memoria delle bufale imbastite dai “media-à-penser” di Silvio

COMiCsSiti speciali dove ci si collega per veder torturare piccoli animali usando i tacchi a spillo. Un business cinese, con ragazze in maschera come star . Ma poi scatta il ricatto verso chi smette. Un noir di Stieg Larsson? No, solo cronaca. A fumetti

www.3dnews.it - [email protected]

la rivoluzione di al Jazeeradi Giulio Gargia

I due clowns

Sono entrambi autocrati, identificano se stessi con lo Stato e il partito al potere, hanno grandi mezzi finanziari, hanno la stessa concezione delle donne, e sono pronti a schiacciare le rivolte con l’im-piego di mercenari ingaggiati per l’occa-sione. Se ci si pensa un attimo, le cose in comune tra i due clown ancora al potere in Libia e in Italia sono tante anche se – per rispetto a chi sta morendo- eliminia-mo il lato grottesco, che pure esiste, del Bunga Bunga .In Italia, basta sostituire armi e carri armati con direttori di TG e media, per avere una corrispondenza abbastanza impressionante tra i com-portamenti dei due, entrambi dediti allo schiacciamento del dissenso, interno ed esterno, con tutti i mezzi. La storia del Secolo d’Italia, ex-organo del MSI e poi di AN, che riportiamo all’interno, è si-gnificativa della concezione selvaggia e senza limiti del potere che anima i ber-luscones,.

Non è quello del comunismo. E, per ora, non lo si può chiamare “fantasma della democrazia”. E’ una rivolta da fine dell’Im-pero. E’ uno dei sintomi della crisi globa-le del pianeta, che progressivamente sta sostituendo, e sostituirà completamente in pochi anni, tutte le agiografie adoranti della globalizzazione imperiale. E’ un fi-glio di molti fattori, che non possono es-sere ridotti a uno, come gran parte della stampa occidentale sta scribacchiando in questi giorni. Non è la rivoluzione dei “social network” americani, anche se vi hanno contribuito. Non è la rivoluzione democratica all’occidentale, anche se questo aspetto fa capolino, per esempio in Egitto. E’ piuttosto la rivoluzione di Al Jazeera. Nel senso che milioni di arabi, e non solo arabi, stanno ormai guardando quelle notizie prima d’ogni altre, e capi-scono di non essere isolati. Ma è soprat-tutto la rivoluzione di milioni di giovani, nati guardando Al Jazeera, che vedono le

ton e Israele stanno costruendo barriere per difendere l’Arabia Saudita, perchè se crollasse anche quella tutto il mondo sa-rebbe sull’orlo della catastrofe petrolifera . In Libia è esplosa una cosa che chiamare guerra civile è improprio, perché in realtà è guerra con molti fronti, tribali, di classe. Ma dovunque, dove più, dove meno, man-cano leadership dotate di prospettiva. I militari egiziani non potranno tenere a lungo l’ordine marziale. Ed è la situazione meno pericolante tra quelle che si sono aperte. Tutte le altre appaiono peggiori. Una via d’uscita rapida non c’è. Di rapido c’è solo la catastrofe umanitaria che si ri-verserà sull’Europa. E alla quale l’Europa è totalmente impreparata, perchè non ha saputo e voluto vedere, e prevedere. Che fare? Certo si dovranno prendere misure urgenti per fare fronte all’emergenza. Ma, altrettanto certamente, si deve cambiare modo di pensare. Perché la tempesta sarà più grande. da www. megachip.info

ingiustizie del mondo e guardano all’occi-dente con disincanto, perchè l’occidente è stato amico e sodale dei loro aguzzini. Ed è anche la rivoluzione dei disperati – che in larga parte coincidono con i giovani – senza lavoro, senza cibo, senza speranza per il futuro. E’ un fantasma inedito, che non ha una teoria, o una ideologia a soste-nerlo, ma che sembra avere una sensibilità acuta: capisce che non c’è più un centro di comando capace di fermarlo. Gli imperi che crollano lasciano aperti molti varchi. Wikileaks è uno di questi. La rivolta della gioventù araba è un altro sintomo. Ovvio che adesso le truppe imperiali rimaste cercheranno di mettere ordine, dove pos-sibile. Ma non potranno farlo “democrati-camente”. Non ci sono, sul terreno, le forze politiche e sociali organizzate. Gli amici dittatori dell’Impero hanno fatto terra bru-ciata per 30 anni, in Egitto e in Tunisia; per 40 anni in Libia. Analoga situazione negli Emirati, in Algeria, in Marocco. Washing-

di Giulietto Chiesa

continua a pagina 3

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LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA Anno 2 Numero 8- febbraio 2011

è un giornale che non vuole morire berlu-sconiano. Erano fasci-sti, militanti tosti, an-

ticomunisti duri pronti anche a menare i compagni, se non peg-gio. Ma anche anticapitalisti, sindacalisti come l’attuale re-sponsabile del CdR, che parla del suo CdA come “ i padroni di cui è sempre bene non fidarsi “. Poi il passaggio verso la legitti-mazione democratica con Fiug-gi, l’abbandono della “ casa del padre” e l’incontro con l’Uomo della Provvidenza, Silvio da Ar-core, che li portò al governo.“ Un attimo, ma chi lo dice ? Lui ha portato noi come noi abbia-mo portato lui “ dicono oggi al Secolo d’ Italia, ormai abitua-ti alle revisioni piccole e grandi cui la politica costringe spesso. Comunque, ora ci hanno pre-so gusto, alla libertà di scrivere controcorrente, e non ci stanno a rinunciarci. Almeno non sen-za combattere. Così Flavia Pe-rina , direttore e deputato FLI , continua a fare il giornale con l’energia di sempre, incurante delle notizie che la danno già destituita, e che fanno anche i nomi dei suoi successori : But-tafuoco, Guerri, Malgeri. Direttore, vi hanno accusa-to di essere l’organo ufficia-le di FLI , ma anche di esse-re di sinistra, per cui se ne ri-cava che o una delle due im-putazioni cade o FLI è di sini-stra...Io sono di FLI , certo, non il gior-nale, tanto che abbiamo dato spazio anche a intellettuali cri-tici nei confronti di Fini, fa par-te del nostro modo di fare dibat-tito di idee, quello che ci voglio-no impedire. Poi, dire a me che sono di sinistra, guardi è ridico-lo . Se poi vogliamo dire che po-sizioni come quella su Ghedda-fi, contro l’islamofobia, contro le ronde e la giustizia fai-da-te, sull’unità d’ Italia e le tentazioni del secessionismo leghista più o meno strisciante, quelle sui di-ritti civili e la polemiche sule ve-line candidate sono roba di si-nistra, allora vuol dire che vera-mente hanno finito i pretesti . Senta, ma qual’è la sensazio-ne personale ad essere in una situazione così ? Non vi sen-tite un po’ come quelle fami-glie che fanno fronte comune contro la polizia e poi scopro-no che il cadavere in casa ce l’hanno davvero e che è pro-prio lo zio a cui volevano tan-to bene il serial killer ? Lei parla ovviamente del con-flitto d’interesse sull’informa-zione. Guardi, il fatto è che fi-no al 2008 non era così eviden-te, c’era ma in qualche maniera era stato contenuto …

«Noi non moriremo berlusconiani»Parla Flavia Perina, il direttore del Secolo d’Italia che il premier vuole rimuovere

Siamo la destrache non c’è

II

C’

Mi scusi, ma questa è una sua percezione. I fatti sono diver-si. Le cito a memoria: la cac-ciata di Montanelli, la con-tinua occupazione della RAI con uomini Mediaset , l’editto bulgaro con Biagi e Luttazzi, la legge Gasparri, la guerra a Santoro, la richiesta di dimis-sioni dei direttori de La Stam-pa e del Corriere...Allora diciamo che erano epi-sodi che noi percepivamo come più o meno fisiologici in un cli-ma di guerriglia politica in cui si diceva che alla sinistra doveva essere tolta l’egemonia dell’in-formazione. Ma la differenza è stata con l’avvento del “ parti-to unico “, nel 2008. Là c’è sta-to il salto di categoria, si è per-sa ogni moderazione. Là abbia-mo capito che Berlusconi è un autocrate che non tollera al-cun dissenso, innanzitutto cul-

turale, prima che politico. Ave-va una maggioranza di 70 depu-tati, poteva governare con tran-quillità . E invece ,a cominciare con la vicenda delle veline euro-deputate, è cominciata la deriva che poi oggi esplode con l’azze-ramento verso ogni voce di dis-senso, a cominciare dalla no-stra. Silvio come Gheddafi, senza le armi ? No, questo non me la sento di dirlo. Qui ci sono state le ele-zioni, Berlusconi ha il consen-so. O meglio, lo aveva. Ora biso-gna vedere. Sondaggi a parte , cos’è che la fa sperare che l’ Italia si rivol-ti contro il suo Rais ?L’emergere di un dissenso civi-le che non sentivo così forte dai tempi di Tangentopoli. La ma-nifestazione delle donne che ha risuscitato dignità e coraggio in

tutta quella parte dell’ Italia che non si sente rappresentata dai valori di Berlusconi e dalla sua idea delle donne. I ragazzi del-la destra che sono venuti qui in questi giorni a dire che la libertà di stampa è un valore civico.

Mi dica 3 cose sulle quali sie-te ancora d’accordo con Ber-lusconi.Non mi vengono in mente. So che il problema è che ci sono delle pre-condizioni della po-litica sulle quali bisognerebbe rimettere le fondamenta di un patto con i cittadini : senso delle istituzioni e dello Stato, dignità della donna, libertà d’informa-zione vera e non solo presunta, lotta alla corruzione. Su questi valori dobbiamo ricompattare un paese che ora è spaccato ar-tificialmente . E poi ritrovare la differenza tra destra e sinistra .

Luciano Lanna , condiret-tore del giornale, non ha dubbi «Sì, c’è un’emergenza democratica. Oggi, in Italia. E’ in pericolo il rapporto tra i tre poteri classici, esecuti-vo, legislativo e giudiziario. E quello tra essi e un Quar-to Potere squilibrato e fa-gocitato dal padrone della maggioranza e del gover-no, manovratore di media che formano le coscienze e spostano voti. Un elemen-to di questa emergenza è anche la legge elettorale, soprattutto per l’abnorme maggioranza che dà a chi NON vince, cioè a chi pren-de anche un solo voto in più degli avversari. In questo contesto si colloca la nostra vicenda, quella del Secolo d’Italia, un giornale che dà fastidio perchè vuole una destra repubblicana, liber-taria, legalitaria. La destra di Ambrosoli, Montanelli, Borsellino , quella che espri-me una cultura che non potrebbe mai riconoscersi in Drive In, nell’arrivismo sociale come modello pre-valente, nella giustificazio-ne del regime di Gheddafi, nella richiesta di arresti preventivi per gli studenti che manifestano, nel be-cerume anti immigrati. Di fronte a questa posizione, Berlusconi si comporta con noi come Gheddafi con i libici. Vuole annientarci, farci sparire.» Beve un so-srso d’acqua e continua tutto d’un fiato. «Un atteg-giamento che segna la defi-nitiva trasformazione della sua parabola da “ movimento politico” - quel-lo nato nel ‘94 che raggrup-pava forze di diverse estra-zioni - a regime, quello che adesso si dibatte con i suoi pericolosi colpi di coda, animale ferito e perciò tan-to più rabbioso e pronto a usare tutta la sua forza an-cora grande, per quanto de-clinante. Ecco, a questa si-tuazione si può rispondere solo con un patto democra-tico sui valori fondamenta-li tra destra e sinistra, che rifaccia i confini del campo da gioco, che separi il popo-lo dai populisti, e rimetta in mano ai cittadini i po-teri base della democrazia, ora sequestrati da questo regime. A cominciare dalla libertà d’informazione»

Editoria

Il giornale con le sue prese di posizione eterodosse crea continui disagi nel PdL

Di Giulio Gargia

Fuori dal coro del Burqa Bunga

l timore dichiarato è che ora vogliano farne un fo-glio alla Lavitola, renderlo irrilevante come l’Avanti.

Prendere una testata storica e farne un passacomunicati di Gasparri e La Russa. Proprio ora che Il Secolo si era conquistato una sua dimensione specifica, anche a suon di polemiche, era una sorta di contraltare pensan-te de Il Foglio di Ferrara. Così , il giornale che il nuovo CdA, in-sediatosi ieri, ha in mente , non è chiaro. Mentre chiarissimo è che non vuole più sentire voci dissonanti nel coro della mag-gioranza. E’ questa la mission con cui agirà il nuovo presiden-te del Cda, l’avvocato Giuseppe Valentino, senatore del PdL. Che intanto dichiara : “ Spero che il giornale possa proseguire la sua attivita’ nel solco di una tradi-zione verso la quale nutrono il massimo rispetto i membri del Consiglio d’Amministrazione. Tutto cio’ con l’auspicio di non

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alterare gli equilibri nell’ambito della struttura che opera all’in-terno de Il Secolo d’Italia’’. L’altra preoccupazione sono i livelli oc-cupazionali su cui non si hanno garanzie chiare. E’ chiaro che la nuova parola d’ordine è: «nor-malizzare». Lo dichiara anche l’ex-amministratore Enzo Raisi «Avevamo offerto di prendere in affitto la testata», ha dichiarato «ma mi hanno riferito che Ber-lusconi in persona ha disposto di uccidere Il Secolo, per non

lasciarci un’arma in vista del-le elezioni». Potrebbe però ora aprirsi una nuova possibilità: una iniziativa editoriale nuova, tipo La Voce di Montanelli, che cominci subito sul web e poi ar-rivi di nuovo in edicola in tempi brevi. Un prodotto in qualche modo simmetrico a Il Fatto Quotidiano. Con un’ambizio-ne storica: creare un’opinione pubblica di destra per portare definitivamente l’Italia fuori dal berlusconismo.

Alla ricerca di uno spazio libero, in fondo da destra

Flavia Perina Giuseppe Valentino

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Anno 2 Numero 8 - Febbraio 2011 LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA IIIMonitor

Passaggio al digitale: danni solo alla RaiZone d’ombra, nuovi costi d’antenna, e in Emilia si prende il TGR veneto

a nuova tv digitale non si vede in molte aree del Nord a causa di interfe-renze tra segnali che pro-

vocano ampie zone d’ombra. Gli antennisti, inondati da richieste di aiuto, dicono che il decoder non basta: bisogna salire sui tet-ti, girare le antenne o cambiarle del tutto. Totale? Si parte da 300 euro nella speranza di trovare il tecnico onesto. “Non parlarmi, non ti vedo”: non è la parodia del celebre film con Gene Wilder “Non parlarmi non ti sento” ma la realtà che si trovano ad affrontare numero-si nuclei familiari quando ten-tano di sedersi sul divano per guardare un po’ di televisione. L’immagine si dissolve in pic-coli quadratini prima dell’appa-rizione del nero sul nuovissimo schermo ultra piatto full Hd: è un problema tecnico e forse per questo non se ne parla, eppu-re – tra Lombardia, Piemonte, Friuli, Veneto ed Emilia Roma-gna – sono migliaia gli italiani che non hanno potuto vedere il messaggio di fine anno del pre-sidente Napolitano sulle reti Rai e neanche il recente Festival di Sanremo. L’impressione è che,

di Eugenio Bonanata

Lin barba alla propaganda, l’arri-vo del digitale abbia trasforma-to la fruizione televisiva in un vero e proprio incubo. Per scon-giurarlo sono scesi in campo dei supereroi, cioè gli antennisti: da un lato stanno realizzando lauti guadagni e dall’altro hanno sve-lato alcune preoccupanti falle del sistema sfuggite alla pianifi-cazione ministeriale. Sono stati loro ad accorgersi che la sinto-nizzazione dei decoder è solo una perdita di tempo e di soldi, mentre il dicastero delle Comu-nicazioni insiste che per vede-re la nuova tv basta munirsi di decoder. A monte – spiegano

invece i tecnici – ci sono i nuovi segnali che si danno fastidio tra di loro. A valle tutta una serie di conseguenze perverse. Rai Uno, Due e Tre sono oscurati in gran parte delle abitazioni del Vene-to orientale e del basso Friuli. Il motivo? Il segnale della Rai ora arriva da un’altra parte e le antenne sopra i tetti non pren-dono nulla perché sono punta-te nella direzione sbagliata. Ed è in questo momento che sbuca l’antennista: tutti ormai hanno liste d’attesa sterminate per lun-ghi interventi ostacolati spesso dal gran freddo. “Lavoro ce n’è e a me non dispiace”, dice Mario

Bottos di Pordenone che preve-de la stabilizzazione del quadro nel giro di due-tre mesi. Stessa diagnosi per la zona di Como dove pochi hanno potuto ammi-rare l’esordio sul palco dell’Ari-ston del beniamino locale Davi-de Van Des Sfroos. “Sono arrab-biatissimi”, afferma Mario Ma-gno di Porlezza: “per Mediaset e La 7 – aggiunge – non c’è stato bisogno di toccare l’antenna mentre la decisione della Rai di accendere una nuova frequenza ha provocato il caos”. Inevitabi-li, dunque, i disagi: si riscopre la radio o il libro e avanzano le let-ture politiche della situazione.

«Paghiamo per non vedere»Veneto: comitati guidati da un ex antennista fanno causa al servizio pubblico

arallelamente al mal-funzionamento della tv digitale cresce il malcon-tento nei confronti della

Rai e del Ministero dello Svilup-po Economico. I due soggetti sono finiti al centro di un’azione legale intrapresa in Veneto dal comitato ‘contro i disagi causati dal passaggio al digitale’ sorto in questi mesi nella parte orien-tale della regione. Un migliaio di cittadini battaglieri, capita-nati dall’ex antennista Batti-ston, che, abbandonata l’idea di non pagare il canone, punta sul giudice di pace per chiedere – fatture alla mano - un risar-cimento in relazione alle spese non previste, sostenute o da sostenere, a cominciare dalla sostituzione dell’antenna. Bat-tiston prevede “un pronuncia-mento rivoluzionario per tutto il Paese” mentre una delle due interrogazioni parlamentari sui disservizi nell’area, presen-tate in queste settimane (una è targata Pd l’altra Pdl), sottoli-nea che un ponte radio da 200 mila euro potrebbe potenziare il segnale del Tg3 Veneto evi-tando di imporre la visione del

P

Tg3 Friuli. La Rai, però, non è interessata a causa dello scarso numero di utenti coinvolti. Ep-pure il documento ricorda che Viale Mazzini nell’era Gentiloni ha beneficiato di uno stanzia-mento di oltre 130 milioni per gestire il passaggio. Nel bacino veneto, inoltre, ci sono alcune frequenze libere di cui i ver-tici dell’azienda pubblica non parlano. Questo per l’ex anten-nista dimostra che “soluzioni

dietro l’angolo non ce ne sono”. Il messaggio per le famiglie suo-na beffardo: nonostante la crisi si chiede uno sforzo aggiuntivo per un servizio peggiore rispetto al passato. E non sono mancate le truffe in tutto lo stivale. Altro-consumo, oltre ad incrementi fino al 20% sul prezzo dei deco-der, ha segnalato finti antenni-sti in azione in Trentino, Lazio e Campania. Nei giorni caldi sem-plici sintonizzazioni sono co-

state più di 50 euro nonostante gli accordi tra regioni e artigiani su tariffari e codici etici. E i nuo-vi contenuti promessi in pompa magna? Sia la ‘casalinga di Vo-ghera’ che la ‘signora Maria di Trastevere’ sono rassegnate. Gli intoppi, che sono sempre colpa degli altri, fanno lievitare i costi mandando i tilt ogni previsio-ne. I circa 300 milioni messi sul tavolo in Emilia Romagna, per esempio, rischiano di coprire soltanto il 50% del necessario. Per ora il vantaggio sembra es-sere tutto dei produttori e dei distributori di decoder e di tele-visori integrati. E’ indubbia, in-fatti, l’impennata delle vendite spinte da un passaggio che si è avuto cura di sistemare a ridos-so del Natale. Nessuno, però, ha calcolato il fattore neve che ha complicato le operazioni sui tet-ti e in montagna dove si trovano i ripetitori. (eu.bon.)

Ribellioni &RePRessioni

Una classe politica, qeul-la della maggioranza,

ormai non dissimile, per-sa ogni parvenza di fina-lità ideali, alle bande tri-bali che hanno appoggia-to Gheddafi fin qui, e che

ora lo hanno abbandona-to. In Italia il nostro au-

tocrate mantiene per ora un certo consenso, ma

tutti e due sono costretti a ricorrere a mercenari,

per restare aggrappati al potere. Inseguiti entram-bi, l’uno dalla legge, l’al-

tro dai ribelli , sono co-stretti a mostrare la fac-

cia feroce. I libici sono in strada a rischiare la vi-ta per conquistare la li-

bertà, qui noi ancora non abbiamo capito davve-

ro che ce la stanno levan-do, piano piano. Con dol-

cezza finchè non ne sia-mo consapevoli, con fero-cia mediatica, appena ci ribelliamo. Per informa-

zioni, chiedere ai colleghi del Secolo d’ Italia.

Continua dalla prima

nord italia, saltano i canali e montare il decoder diventa un incubo

“Arriva soltanto l’informazione di Mediaset che è univoca”, la-menta l’ex antennista veneto Gianfranco Battiston. Maligna la sua ipotesi: la Lega, al timone nella regione, non ha interesse di risolvere la faccenda visti an-che i continui proclami contro Annozero e Ballarò. Zaia aveva promesso tanto, ma da queste parti si pensa all’annessione al Friuli. La matassa è ancora tutta da sbrogliare anche sul fronte dell’Emilia Romagna. Secondo Alessandro Fortini responsabile provinciale della Cna istallazioni e impianti di Ferrara – “il Ministero non ha avuto le idee molto chiare e ha elaborato un piano sulla base di congetture”. Oggi si vede il Tg3 Veneto o in alternativa quello Lombardia: un imprevisto spia-cevole a fronte dell’indiscussa importanza dell’informazione locale e del canone pagato dagli utenti. Succede a Forlì, Reggio Emilia e in particolare nell’80 per cento delle case di Ferrara. “Per risolvere – spiega – la Rai deve potenziare il segnale da Bologna altrimenti i decoder, abituati a pescare il segnale più potente, continueranno prefe-rire quello che arriva dal confi-nante Veneto”.

Giulio Gargia

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LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA Anno 2 Numero 8- febbraio 2011

Diego Di Donato, annotazionepersonale: oggi ho rischiato di rimetterci la pelle, il lavoro e la donna della mia

vita. E siamo solo a lunedì.

La settimana scorsa, il sublime vicedirettore della mia attuale rivista, avanzò una richiesta con il suo innato savoir-faire.

vi sbatto a vendere accendini e fazzoletti

per strada, sonostato chiaro?

Didonà, se non mi rintracci il tuo

collega Petrillo entro 1 ora...

Sono già sulle sue tracce. Piuttosto, ha fatto un corso per motivare gli stagisti o è

tutto talento naturale il suo?

Non è giornata,‘a regazzì. Petrillo mi doveva

consegnare un “pezzo” sulla ristorazione cinese, ma quello è un giornalaio ,

altro che giornalista!

Rione Esquilino, orario assurdo. Come in un pessimo filmaccio, ero “sotto copertura”.

… e così ho sorpreso unimprenditore locale che usciva

dal privè. Il pass gli sporge dal taschino. Bam! gli scatto la foto.

La ingrandisco …et voilà,il nostro falso pass!

E qui entro in gioco io con il mio frac a nolo: dentro

non conoscono la mia faccia e sono sacrificabile. C’è un inferno apposito per quelli

come te, lo sai?

Con il suo “pezzo” sulla ristorazione cinese era finito sulle tracce di un losco giro di prostituzione. Roba da quartieri alti.

Lavorare con Petrillo era come lanciare la spoletta e tenere in bocca la granata.

Non mi restava che servire ilfinto pass agli energumenie incrociare le dita. ?

Regolare: un pacco di luoghi comuni sui cinesi e mi capita a tiro il figlio di puttana più alto del mondo.

Chi credi di prendere per il culo, ragazzo?

Ehi…

…non vale la pena sporcarsi le mani

con lui, no?

Salvato da una donna. Tipico.Vestito da pinguino in borghese, avevo riservato a Lin il più goffo approccio

nella mia carriera da scapolo.

IV Fumetto

L’istinto animale del capitalismo Torture cinesi in tacchi a spillo

Il mondo dei media visto con gli occhi di un precario, poco meno che trentenne, sempre in cerca di lavoro come cameraman e/o fotografo

Treddì I fatti e i personaggi illustrati da questo racconto sono basati su notizie di cronaca. Le fonti sono

consultabili su www.3dnews.it

In Cina, ci sono studentesse che

per arrotondare

schiacciano frutta

con i tacchi a spillo,

davanti a una webcam .La prestazionevale 10 euro

Huang Xiao, 19 anni, però ha fatto il salto di qualità. Ora si esibisce con animali vivi : inchioda coi suoi tacchi pesci, grilli, topi.

Per 40 euro, si siede

sopra una lastra di

vetro e schiaccia un

coniglio infilato là

sotto. Finito il lavoro,

spesso vomita. Per 40

euro, si siede sopra

una lastra di vetro e

schiaccia un coniglio

infilato là sotto. Finito il

lavoro, spesso vomita.

Wang Jue, un’infermiera,

si esibisce con i canarini.

Li fa gorgheggiare, poi

gli stacca la testa con un

morso Sorride e dice . “

Ecco,un po’ di silenzio..”

Le ragazze agiscono

mascherate. Una

di queste, scoperta,

stava per essere

linciata. Così, se

vogliono smettere,

il loro committente

web può ricattarle.

Page 13: TERRA - quotidiano - 27/02/2011

Anno 2 Numero 8 - Febbraio 2011 LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA

Funzionò

Lin era bella come l’invenzione del Pur-gatorio e non mi andava di sfruttarla per incassare il mio gagliardo stipendio da precario piagnone. Eppure il “caso” continuava a tormentarmi.

Il mio regno per un goccio di latte

nel caffè!

Gente di classe a Chinatown? Se un riccone vuole un po’ di passera in salsa di soia, la ordina pronta consegna o take away. Decisi di prenderla alla lontana.

Che roba èquel tatuaggio?

Smettila di ronzarci attorno. Facciamo quattro passi e ti racconto tutto.

Pioveva che Dio la mandava. Lin vuotò il sacco. Una parte di me avrebbe preferito non sapere.

Prima si esibiva schiac-ciando frutta con i

tacchi a spillo, ci tirava su qualche spicciolo.

Xiao ha 19 anni,vive in Cina ed è una

studentessa.

Pensavo parlassimo di prostituzione, non di

vendemmia sui tacchi alti o macedonia per feticisti.

Tu come la chiameresti quando il cliente sceglie la donna, le scarpe e un animale da farle

calpestare a morte??

Xiao si tiene agli studi facendosi riprendere

mentre calpesta piccoli animali. Li tortura con le scarpe, li soffoca

col tacco!

Quello non è un privè, è più un cinema a luci rosse. È la legge della domanda e dell’offerta: pagano per vedere Wang Jue che inchioda un gatto ad un’asse e lo schiaccia con le decolté firmate.

Lo spettacolo è per loro. Per i paganti che guardano lo schermo, scrutano la bestia immolata, offerta in sacrificio alla loro montagna di denaro.

Le “Regine”, è così che le chiamano in Rete, guadagnano fino a mille euro ad esecuzione con gli spettacoli online.

In Cina gli uomini non hanno diritti, pensa te gli animali. Le donne, con merda simile, pagano le rate del mutuo all’insaputa del marito.

E non ne escono vive! Con la minaccia di rivelare la loro identità le tengono in gabbia come topi, schiacciate dal senso di colpa, calpestate dalla vergogna!

Perché hai deciso di rivelare tutto a me?

Sei della stampa, no? Se la racconti questa

storia finirà, vero?

La legge della domanda e dell’offerta. Non so se rabbrividire più per la prima o per la seconda.

La abbraccio, mentendole.

Ho scoperto poi cosa diavolo fosse il suo tatuaggio. Era un drago, il demone dell’avarizia

che divora ogni cosa. E finisce col fagocitare sé stesso.

VFumettoSCUOLA ITALIANA DI

FUMETTOIllustrazione graphic design

web designsceneggiatura

Animazione 2D 3dsceneggiatura: Alessandro Cennidisegni : Marco Castiellocolore: Fiorenzo Torino

In Cina, ci sono studentesse che

per arrotondare

schiacciano frutta

con i tacchi a spillo,

davanti a una webcam .La prestazionevale 10 euro

Huang Xiao, 19 anni, però ha fatto il salto di qualità. Ora si esibisce con animali vivi : inchioda coi suoi tacchi pesci, grilli, topi.

Guo Yang, fondatore del

sito di donne

che torturano gli

animali con le

scarpe, assicura

che le sue star

guadagnano almeno 700 euro

a mese, 5 volte

un professore.

Wang Jue, un’infermiera,

si esibisce con i canarini.

Li fa gorgheggiare, poi

gli stacca la testa con un

morso Sorride e dice . “

Ecco,un po’ di silenzio..”

Le ragazze agiscono

mascherate. Una

di queste, scoperta,

stava per essere

linciata. Così, se

vogliono smettere,

il loro committente

web può ricattarle.

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LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA Anno 2 Numero 8- febbraio 2011VI Satira

BBrrr..... che Bufaledi prefe

Puntuale come un Ma Va Là di Ghedi-ni ecco che arriva alla redazione de Il Giornale una lettera di minacce delle

Brigate Rosse con proiettile. Preoccupatissima la fidanzata di Berlusconi, che dice di aver visto l’attentatore di Belpietro girare attorno alla redazione del Giornale, mentre stava seduta a leggere il dossier Mitrokin cercando la prova definitiva che legasse Prodi al KGB e agli Kh-mer Rossi. Altre voci indicano il colpevole nel tizio che ha dato uno sberlone a Capezzone, che tra l’altro si dice essere un componente della Federazione Anarchica Informale. Il caposcorta di Belpietro nel frattempo spara ad un passero di passaggio e viene promos-

so sul campo a sergente maggiore di brigata. Nessuno invece pensa che Francesco Guzzardi, fantasioso giornalista de Il Giornale, si sia inviato un’altra lettera di minacce delle BR, dal momento che era impegnato a cosparge-re di sangue una cucina Scavolini da piazzare in casa a Fini. Forti sospetti gravano anche sull’amante omosessuale di Boffo: l’ambiente frocio è attenzionato anche perché potreb-be trattarsi di una vendetta trasversale di Nichi Vendola, il quale soleva scrivere missive di minacce fra una passeggiata in una spiaggia nudista e un bamburger (sì, è un hamburger di bambino). Alcuni sostenitori di Berlusconi che stavano spontaneamente manifestando per 80 euro al giorno da quelle parti riferiscono agli inquirenti di aver notato un losco in-dividuo aggirarsi nei pressi de Il giornale indossando dei calzini turchese. Ovviamente fra i sospettati ci sono i Rom che si sono schiantati a 150 all’ora contro la Panda parcheggiata di Renato Farina, spostandola di qualche metro e facendo così multare il povero parla-mentare colluso coi servizi segreti (se non lo conoscete leggete quel pezzo, è la bibbia del Fantagiornalismo) . Scagionate di diritto le due milioni di persone nonchè 5% dell’intera popolazione italiana presenti alla manifestazione contro Prodi in una singola piazza nel 2006. Lo zio di Ruby non è tra gli indiziati, legittimamente impedito com’è dai troppi pro-blemi in casa sua. Nonostante la presenza di vistosi errori grammaticali nella lettera al momento l’indagine sembra non puntare sull’Inside Job.

le visioni di catodicodi Ugo Catodico

Ugo Catodico è critico televisivo, cinematografico, pubblicitario e delle canzoni sulle

prostitute. Ha lavorato per reti importanti come TeleFrittole e Canal Etto, oltre a network internazionali quali la TBC e la CNO. Assurto alla fama per aver ideato il telequiz “Perchè

Sanremo è Sanremo?” e la sitcom “Di a tua mamma che è una macchia di latte”, tiene una rubrica di critica televisiva in braille per il mensile “Sordi&”. Ama i colori a gruppi di

tre, Pippo Baudo e pagare un call center per barare al televoto.

DVD: Mu’Ammar Gheddafi’s This is itDocu-propaganda aspramente critico nei confronti del buon gusto. Numerose le comparse,

le scomparse ma ancora di più i truccatori e i costumisti. Carico di extras ridicoli, come il videoclip del Bunga Bunga in cui la Guida della Rivoluzione esegue la coreografia assieme a dei veri morti finti zombie. Parecchie le guest stars, come Silvio Berlusconi e Justin Bieber.

La spilla da balia incorporata nella custodia rende questo capolavoro indossabile.Quiz: Samarcadabra

Ai concorrenti verrà chiesto di indovinare cos’è allo stesso tempo: oasi protetta per Trica-rico, pena per contrabbasso per Patty Pravo e Istituto Nazionale di Previdenza Sociale per

Max Pezzali.Reality Show: Finchè la barca va a picco.

I concorrenti vengono scelti in base ad affinità politiche e ideologiche, fino a formare un gruppo apparentemente coeso. Dopodichè vengono messi su un canotto in mezzo all’ocea-no circondati dagli squali. Il gioco è salvarsi prima degli altri, possibilimente lasciando per

ultimo Fini e la sua ombra. A quel punto scatta il televoto pilotato da Masi.Musical: La piccola bottega padana degli orrori

Il giovane Umberto B. ha una pianta carnivora che si nutre di corpi umani e che gli promet-te soldi e potere. Con l’aiuto dell’amico dentista R. Calderoli e di altri liberi professionisti

la riesce a sfamare e Lega, questo il nome dell’essere, cresce e fa crescere la fortuna dei personaggi, ormai soggiogati. Immancabile la scena in cui Umberto tenta di ribellarsi al

vegetale e questo gli fa venire un cactus al cervello. Definito l’Olympia del Potapotismo, la regia è di Renzo Bossi.

Buone visioniU. Le precedenti trasmissioni sono quelle che il buon Ugo Catodico consiglierebbe a tutti voi di vedere se non

fosse che sono solamente il bacato frutto della sua mente convessa e perversa in 14:9, no-led, anal signal e QHH. Indi rassegnatevi, per riceverle non è sufficente nè il decoder digitale terrestre nè l’LSD nè Lorena Bian-

chetti a pecora. Se però riuscite ad avere le tre cose assieme, il consiglio è di darci dentro e di non preoccuparvi di altro.

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Anno 2 Numero 8 - Febbraio 2011 LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA VII

Come Google ha aiutato ad aggirare la censuraIl ruolo di Internet nelle rivolte arabe e il ritorno dei media analogici

nternet si è rivelata un ec-cezionale strumento di mobilitazione nelle insur-rezioni nordafricane, ma

nelle stesse occasioni ha anche mostrato la sua intrinseca fra-gilità. Nel momento in cui era maggiore la mobilitazione sul web infatti, tutti i paesi interes-sati hanno provato a limitar-ne l’uso, riuscendoci, anche so-lo per poche ore. Perché è co-sì facile “disconnettere” un pae-se e perchè è così difficile impe-dire alle persone di usare la re-te? La prima risposta è facile: In-ternet viaggia prevalentemente su linee telefoniche commercia-li e quindi se un governo ordi-na alle aziende che le gestisco-no di bloccarne il traffico, nazio-nale e internazionale, sia voce che dati, diventa impossibile co-municare. E’ una misura drasti-ca che provoca danni economi-ci tanto ingenti che pare sia sta-ta utilizzata solo in Nepal e Bur-ma, mentre più frequenti sono i blocchi a livello nazionale. Un tipo di intervento che è possibi-le superare con le radio analogi-che, collegamenti satellitari, pa-cket radio, oppure occupando

Di Arturo Di Corinto

I

le frequenze militari e gli “spazi bianchi dell’etere”. Più spesso però per “blocca-re Internet”, i governi chiedo-no agli internet service provider di inibire i servizi di accesso al-la rete oppure di “spegnere” DNS (Domain Name System) o singo-li Ip, impedendo di raggiungere siti specifici, che è quello che secondo la Open Net Initiative succede “normalmente” in circa

36 paesi nel mondo che censu-rano così contenuti politici, re-ligiosi, pornografici e gioco d’az-zardo. Ma allora perchè nono-stante tutto gli insorgenti della rete riescono lo stesso a comu-nicare via web, facebook, twit-ter, eccetera? Perchè se la rete telefonica o cellulare funziona, ovvero si possiede un telefono satellitare, si può tentare la con-nessione a un fornitore di acces-

si straniero, anche usando un normale modem dialup a patto di conoscere il numero di telefo-no dell’operatore che ci apre la porta su Internet (come Teleco-mix.org), fuori dal dominio d’in-fluenza del governo che ha or-dinato il blocco, accedendo a e pubblicando informazioni su siti residenti all’estero. Nel caso del-la rivolta egiziana la stessa Goo-gle ha messo a disposizione un

Il Giurì blocca lo spot del nucleare

Media

elenco di questi numeri (http://www.google.com/crisisrespon-se/egypt.html). Il problema con il modem è che la prima parte della connessione è analogica, quindi se il governo intercetta le comunicazioni telefoniche so-no guai. Ma se un computer usa Tor, le normali connessioni ven-gono cifrate e l’Isp censore non è capace di bloccarne il percor-so consentendo al computer di raggiungere un altro nodo Tor all’esterno del paese che opera la censura e da qui può raggiun-gere il sito altrimenti proibito. http://it.peacereporter.net/libe-ra Un sistema particolarmente resistente che permette di sfug-gire alla censura è Speak2Twe-et, un software che consente di registrare o di ascoltare i mes-saggi vocali inviati via telefono a Twitter: http://twitter.com/speak2tweet Tunisia, Egitto, Ly-bia, hanno rinunciato a spegne-re la rete solo quando hanno compreso che era come tura-re la falla di una diga col sughe-ro. In Egitto è stato ordinato ai maggiori provider, anche della rete mobile, di sospendere tutte le attività, mentre solo il provi-der Noor continuava ad opera-re per servire banche e operato-ri di borsa. Ma abbiamo scoper-to che molti dirigenti e funzio-nari simpatizzavano coi rivol-tosi aprendogli le porte di Inter-net. In Tunisia sono state usa-te tecniche di jamming, di inter-ferenza e blocco selettivo come il Dns poisoning e l’Ip filtering, insufficienti, tanto che il grup-po Anonymous (salito alla ribal-ta per gli attacchi a difesa di Wi-kileaks), era stato comunque in grado di realizzare defacement di siti (ne cambiavano la home-page) e di mandare messaggi di rivolta ai server tunisini.Non si sa invece cosa sia suc-cesso una notte in Libia dove gli strumenti di monitoraggio di Google hanno rilevato un bloc-co totale dei suoi servizi che è durato dalla mezzanotte del 19 alle sette del mattino, per poi la situazione si sta normalizzarsi.Oggi nessuno nega che le mi-gliaia di tweet e il lavoro inde-fesso dei blogger, soprattutto egiziani, abbiano contribuito a creare un contesto favorevo-le alle rivolte, ma è stato notato che senza l’occupazione di piaz-ze e strade, difficilmente i me-dia arabi indipendenti e quelli occidentali ne avrebbero parla-to, forse derubricandolo a feno-meno di costume invece di mol-tiplicarne la forza. Con buona certezza si può dire che senza gli scontri a Tunisi, le pressioni internazionali, i morti e l’occu-pazione continua di piazza del-la Liberazione al Cairo, i dittato-ri di entrambi i paesi non sareb-bero stati costretti a fuggire.www.articolo21.org

lla luce del blocco del-lo spot “nucleare” del Forum Italiano da par-te del Gran Giurì del-

la Pubblicità (IAP - Istituto dell’Autodisciplina Pubblicita-ria) per via dell’Art.2 “Comuni-cazione commerciale inganne-vole” (leggi la pronuncia ufficia-le del Giurì http://is.gd/6Scd6y) assumono un altro sapore “per le masse” le parole di Chicco Testa a “La Stampa” in una pur-troppo misconosciuta intervi-sta di Francesco Manacordia (http://is.gd/43AIKe), realizza-ta subito dopo i bagordi della feste (9 Gennaio 2011).Manacordia chiede a Testa: “Una campagna ingannatrice, accusano i critici. Non si capi-sce che dietro il forum ci sono le aziende filonucleari” e Chic-co Testa risponde: “Non na-scondiamo affatto di essere un’associazione di aziende a fa-vore del nucleare. E’ tutto scrit-to chiaramente. Ma mi stupisce che ci si accusi di parzialità” e continua spiegando che sul suo sito “le organizzazioni ambien-taliste hanno tutto lo spazio che vogliono” e che per questo vorrebbe “avere lo stesso spazio sul sito di Legambiente o Gre-enpeace”. Certo è che i milioni

di euro investiti per lo spot nu-cleare hanno un peso non indif-ferente sulla pluralità dell’infor-mazione che non ha a disposi-zione lo stesso budget. Qualcu-no potrebbe legittimamente far notare che non esiste infatti un “concorrente” televisivo all’in-formazione del Forum Nuclea-re. Lo strapotere di chi può en-trare nel piccolo schermo fa an-dare “fuori mercato” qualsiasi tentativo di “controspot”, come sa bene Greenpeace. Salvatore Barbera, responsabi-le della “campagna Nucleare”

di Greenpeace, propone quindi una soluzione: “Vista la decisio-ne del Giurì, chiediamo di tra-smettere anche il nostro spot in televisione per avere un ve-ro equilibrio nella discussione sul ritorno del nucleare in Ita-lia. Temiamo, invece, che ver-rà applicata la strategia del si-lenzio, per evitare di far sape-re che tra qualche mese si svol-gerà un referendum anche sul nucleare”. Ma qual è il contro-spot di Greenpeace sul nuclea-re? E’ uno spot di cui vi abbia-mo già parlato (“Nucleare: Gre-

enpeace contro il “bombarda-mento mediatico nucleare” ht-tp://is.gd/j7OJnf) e dove scrive-vamo, a proposito di “strategia del silenzio” che: “Qualcuno si sarà chiesto chi ha aiutato Gre-enpeace a realizzarlo. Onufrio svela un particolare inquietan-te: ‘Vogliamo ringraziare l’agen-zia che ha realizzato gratuita-mente questa campagna e di cui non possiamo fare il nome. Il motivo? Aver realizzato un video per Greenpeace e contro il nucleare potrebbe creare pro-blemi con ‘certi’ clienti’ “. Ovviamente nessuno trasmet-terà lo spot di Greenpeace in TV, meno che mai le reti di pro-prietà dei cittadini (cioè le TV di Stato), quelli “ingannati” dal-lo spot del Forum Nucleare. Ma rimane internet, la stessa rete che, volenti o nolenti, fa cadere i regimi. Quindi per chi voles-se vedere lo spot di Greenpea-ce antinucleare (youtube.com/watch?v=XJs0lP9Y3wI); per chi volesse vedere la bella campa-gna “Il problema senza la solu-zione” (greenpeace.it/stopnu-cleare), e ultimo ma non meno importante, per chi volesse in-formarsi sui pericoli del nuclea-re, ecco un bel PDF da stampa-re (http://bit.ly/f7OOEE)

E Greenpeace propone di trasmettere il suo controspot

A

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LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA Anno 2 Numero 8- febbraio 2011VIII LA TERZADIMENSIONEDELLACRONACA Anno 2Numero 1 - Gennaio 2011VIII schermi

CINEMA E FILOSOFIA

“Un gelido inverno”: l’uomo è un fucile puntato su se stessoIl paradosso del “homo homini lupus” di Hobbes e i deboli di oggi

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“Un romanzo di immagini.”Paolo Gioli

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TICOTTIMISMO DEMOCRATTIMISMO DEMOCRATICOezzaAntonio Re ella via Mastr

“Due visionari!”

di Riccardo TavaniLa moderna filosofia politica è nata po-nendo un “modello”, ovvero un originariostato di natura del tutto ipotetico ma nonper questo inefficace ai fini teorici e pratici.Il modello più famoso è quello di Hobbes,riassumibile nella celebre espressione“homo homini lupus”, ripresa dalla Asinariadi Plauto. Nello stato originario di natural’uomo è lupo per l’altro uomo, di qui la ne-cessità di un obbligo di obbedienza a un so-vrano assoluto, allo Stato cui gli uomini sisottopongono per garantirsi la sopravvi-venza e la sicurezza. Ma tutti i grandi filosofidel ‘700, da Rousseau, a Locke, a Kant elabo-rarono altrettanti studiatissimi ipotetici mo-delli. Ora la funzione di porre un modello,dalla filosofia politica, sembra essere passataegregiamente alla letteratura e al cinema. Ladifferenza è che queste ultime il modello lopongono non nel passato ma nel presente onel futuro. Ne abbiamo già parlato a propo-sito del film “The road”, tratto dal romanzodi Cormac McCharty. Adesso la cosa ci vieneriproposta da questo film, tratto anch’essoda un romanzo di Daniel Woodrell. Nelloscabro scenario naturale dei Monti Orzak,Missouri, una ragazza di 17 anni deve difen-dere dalla requisizione giudiziaria la propriacasa prefabbricata in cui vive con una madrepazza e due fratellini. A causa del padre chesi è messo in guai seri e non si sa dove sia fi-nito, ha davanti soltanto una settimana pertrovare una qualche fottuta soluzione. Tutti,sopratutto i parenti, le sbattono la porta infaccia, quando non gliela spaccano addirit-

tura la faccia. Il gelo invernale incombe giànelle ossa e un branco di feroci lupi umani,anche nelle sembianze amministrativa-mente spietate della Legge, è pronto a sbra-nare la debole preda. I quesiti che il“modello” pone è: come possono i deboli dioggi sottrarsi alla sorte certa di essere fatti apezzi e divorati in un solo boccone? Comepossono strappare un velo appena di veritàe di giustizia che permetta loro di sopravvi-vere, di nutrirsi, di conservare un tetto sullatesta? Primo, la ragazza da sola non ce lapuò fare, ha bisogno di un alleato. Uno checonosca perfettamente le leggi non scrittema inesorabili di quel suo ambiente e sappiacome muoversi sul filo del loro micidiale ra-soio. Il modello di Hobbes è fondato su unparadosso: la sottomissione all’obbedienza

a cui gli uomini volontariamente si obbli-gano nello stato naturale originario non hanessun valore in assenza di uno stato civilee politico che la imponga e la faccia rispet-tare. Ovvero, la legge è insieme causa ed ef-fetto di se stessa. Il Sovrano, lo Statoprecedono e insieme seguono la loro fonda-zione. L’obbligo all’obbedienza è proclamatonon dentro una cornice civile ma fuori diessa, nella boscaglia ululante dei lupi. Si ob-bedisce allo Stato a priori, senza sapere an-cora se le leggi veramente garantiranno lasopravvivenza, la sicurezza e la giustizia.Locke aveva cercato di porre rimedio a que-sto paradosso delineando un diritto alla ri-bellione contro il Sovrano degenerato. Soloche un conto è prevederla, un conto è at-tuarla non catastroficamente una ribellione.

L’alleato della ragazza, lo zio paterno, perciònon insegue nessuna pia illusione di pattocivile fondante o di successivo diritto alla ri-bellione. Con la sua pesante ascia da fustodi alta quota va a fracassare i vetri del pick-up di altri lupi e quando lo sceriffo lo ferma,invece di eseguire l’ordine di scendere dal-l’auto, gli fa ben sentire il suono del meccani-smo di carica del suo fucile e lo mette benein mostra attraverso lo specchietto laterale.Uno straccio di instabile patto provvisorio,di giustizia, di verità, di democrazia, di pacesi può ottenere, garantire giorno per giorno,step by step solo in questo modo. Senza illu-sioni, senza facili speranze, senza le preseper i fondelli della retorica ideale e politica.Non c’è alcuna uscita dalla crudeltà dellostato originario naturale: l’America di oggi, enon solo essa, è ancora questo per i deboli.Prima di suonare bene il banjo, non restaloro che mostrare caparbiamente di non vo-lersi arrendere, mettendo bene in vistal’arma della propria forza sociale. Così, ilbanjo, l’arte è questo stesso film, ma lo scattodell’otturatore della macchina da presa nonpuò essere dissimile da quello di una cara-bina.

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Schermi

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della domenica

ArcheologiaIl tesorodella Libiapag. 12

ArteUtopisti multimediali pag. 13

LibriFelice Pignataro,l’artista di Scampiapag. 14

MondoUna Fujimorialla riconquista del Perùpag. 15

Creatività meridianePeppe Voltarelli:«Perché ho lasciato il Sud»pag. 16

Il delittoPalme

Il delittoPalme

Il 28 febbraio 1986, venticinque anni fa,il premier svedese Olof Palme veniva ucciso nel centro di Stoccolma.Un omicidio politico restato senza colpevoli e mandanti, come quello del presidente John Fitzgerald Kennedy nel 1963

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10 domenica 27 febbraio 2011 Memoria

fare a piedi il tratto di strada che conduce alla loro abitazione o prendere la metro-politana come hanno fatto nel tragitto di andata. Un uomo si rivolge d’improvviso al primo ministro. Palme si volta d’istinto. Lo sconosciuto spara alcuni colpi di pistola contro il premier. Uno dei proiettili ferisce di striscio la moglie. Il killer lascia indisturbato il luogo del de-litto. Le prime persone a prestare aiuto ai coniugi Palme sono Ana Haga e Karin Johansson, due ragazze che studiano per diventare infermiere. Dice in seguito ai giornalisti Ana Haga: «Io e la mia amica eravamo sedute nella nostra auto, quan-do abbiamo visto un uomo stramazzare al suolo. Ho pensato che fosse colto da un at-tacco di cuore. Ho riconosciuto solo dopo qualche attimo il primo ministro, perché era disteso su un fianco. Perdeva sangue a fiotti dalla bocca». La prima ricostruzione è quella di un agguato premeditato. L’as-sassino di Palme non può essere capitato lì per caso. Come ha trascorso Olof Palme le ore pre-cedenti al suo assassinio? In mattinata gioca a tennis con l’amico Harry Schein, tra i fondatori dello Swedish Film Institu-te e marito dell’attrice Ingrid Thulin. Arri-vato nel suo ufficio, si concentra sulla ste-sura di un discorso che deve pronunciare al Consiglio dei Paesi nordici in calenda-rio per il lunedì successivo a Copenaghen. Prima della pausa per il pranzo, incontra l’ambasciatore di Baghdad a Stoccolma. Con lui discute della guerra tra Iraq e Iran, cercando di capire come svolgere al meglio il ruolo di mediatore internazio-nale che gli è stato affidato dalle Nazioni Unite già nel 1980. Nel pomeriggio, riceve Ingvar Ygeman, giornalista del periodico

uando si torna a Stoccolma, bisogna andarsele a cercare le tracce della politica socialde-mocratica svedese dei decenni

passati. Un simbolico triangolo della no-stalgia è racchiuso nella centralissima via Sveavägen. Di fronte alla fermata della metropolitana, una targa incastonata sul marciapiede ricorda il luogo dove fu as-sassinato il premier Olof Palme nella notte del 28 febbraio 1986, ormai venticinque anni fa. La tomba dello statista si trova a pochi metri di distanza, nel prato della Chiesa protestante Adolf Fredrik. Sempre in via Sveavägen, al numero 68, ci sono le sedi del Partito socialdemocratico svedese e della Fondazione Olof Palme presieduta da Pierre Schori, che del premier svedese fu il maggiore collaboratore per la politica estera. La tela socialdemocratica non si è più riannodata dopo quel 28 febbraio 1986. Resta la memoria del glorioso passato. Perfino il boom della letteratura poliziesca made in Sweden - da Henning Mankell a Stieg Larsson - viene analizzato dai critici come il prodotto di un immaginario alle prese con le fobie contemporanee ma an-che con una sorta di innocenza perduta dalla società svedese che fino all’assassinio di Palme viveva il sogno del welfare social-democratico più progressista del pianeta. La crisi dell’intera sinistra europea non ha inoltre risparmiato la Svezia, dove oggi - per la seconda legislatura consecutiva, evento senza precedenti - governa una coalizione moderata. Torniamo però a ciò che accadde venticinque anni fa.

Una tragica notteVenerdì 28 febbraio 1986, via Sveavägen, una delle arterie principali di Stoccolma, a poche decine metri da piazza Sergerls. Sono appena passate le 23. È una notte fredda e buia, tipica del rigido inverno di Stoccolma. Olof Palme e la moglie Li-sbet, accompagnati dal figlio Mårten e dalla sua fidanzata, sono usciti da alcuni minuti dal cinema Grand dove hanno vi-sto I fratelli Mozart della regista Suzanne Osten. Il primo ministro è senza scorta. I problemi di sicurezza personale non lo hanno mai preoccupato eccessivamente. Il numero del suo telefono di casa è re-stato nella guida telefonica di Stoccolma e non è cambiato per l’intero 1970, anno successivo alla prima nomina a premier. Lui e sua moglie non hanno rinunciato alle passeggiate estive in bicicletta nel centro della capitale, o a quelle serali d’inverno nel quartiere Gamla Stan della loro resi-denza. I coniugi Palme, dopo aver saluta-to Mårten e la fidanzata, sono indecisi se

Q

Con l’omicidio di Olof Palme muore anche il più avanzato

esperimento di Stato sociale che sia mai stato costruito in Europa. La ricostruzione del delitto avvenuto il 28 febbraio 1986 rende improbabile la pista del balordo ubriaco che uccise il premier socialdemocratico per pura fatalità. Dopo venticinque anni di indagini andate a vuoto, il caso potrebbe cadere in prescrizione proprio in questo 2011

Aldo Garzia

Monica Quirico

Stoccolma, tre nuove biografie

Statsanställd. Gli rilascia un’intervista sui problemi della riduzione degli armamen-ti in Europa. Nel pomeriggio, corregge il testo di una lettera sui temi del disarmo e della sicurezza comune che ha intenzio-ne di inviare a Ronald Reagan e a Mikhail Gorbaciov. Sono da poco passate le 18, quando fa ritorno nella sua residenza a Västerlånggatan. Alle 20,35 i coniugi Palme lasciano il loro appartamento. Raggiungono in metropo-litana il cinema Stand, dove ad attenderli ci sono il figlio Mårten e la fidanzata. Esco-

no dal cinema poco dopo le 23. I coniugi Palme restano soli. Tutto si svolge in pochi secondi. Le prime testimonianze parlano di un uomo di alta statura che dopo aver sparato si è allontanato contando sul fat-tore sorpresa.

Città sotto shockL’indomani, le prime pagine dei giornali di tutto il mondo danno enorme risalto alla notizia della morte del premier. I primi commenti parlano di un assassinio politi-co che ricorda quello del presidente John

a riluttanza degli svedesi a con-frontarsi con una figura “ingom-brante” come quella di Olof Palme è stata spezzata negli ultimi anni

dall’uscita di tre biografie (e altre due sono attese).In due poderosi volumi usciti fra il 2008 e il 2009 lo storico Kjell Östberg ricostruisce la carriera politica di Palme alla luce della stra-tegia, e dei dilemmi, del movimento social-democratico. Il Palme degli anni Cinquanta e Sessanta fu un uomo al passo con i tempi (è il titolo del volume I): rappresentò al meglio lo spirito dell’epoca, con la sua fiducia nella

L

delL’assassinio socialismosvedese

a casa propria - derivavano in realtà, spie-ga Östberg, dal suo essere insieme idealista e pragmatico, ma anche dall’impatto sulla socialdemocrazia svedese della crisi econo-mica e del neoliberalismo.Il volumetto dell’economista Klas Eklund (Palme, 2010) è un’agile biografia politica, con due particolarità: una sorta di storia contro-fattuale - cosa sarebbe successo se Palme non fosse stato ucciso - e un bilancio (monco) della sua eredità. Sul primo punto, l’ipotesi di Eklund è che Palme avrebbe la-sciato nel 1987-1988, e a succedergli sareb-be stata una donna, Anna-Greta Leijon. Il modo in cui è affrontato il secondo punto ben riflette il fastidio dei socialdemocra-

tecnica e nel futuro ma anche nello Stato, sommo garante di libertà e uguaglianza. Fu l’interlocutore privilegiato della nuova sinistra, che conquistò con la sua vivacità intellettuale e con la sua ferma condanna dell’intervento degli Stati Uniti in Vietnam. Tuttavia, Palme raggiunse il vertice del po-tere quando il vento cambiò (titolo del volu-me II). Promosse, sì, nel suo primo mandato (1969-1976) riforme che fecero della Svezia un caso unico nel panorama mondiale, ma dovette affrontare un vero e proprio cambio di paradigma: dalla fede nel progresso infini-to alla coscienza della crisi. Le contraddizio-ni che spesso sono state imputate a Palme - di essere radicale all’estero ma moderato

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11domenica 27 febbraio 2011

In Svezia si riapre il confronto sulla politica di Olof Palme e sulla storia più recente della socialdemocrazia. E c’è chi scrive di un “capitalismo dal volto umano”

Fitzgerald Kennedy a Dallas nel novembre 1963. L’emozione è grande, non solo in Eu-ropa. Palme, che aveva 59 anni, era all’api-ce della carriera di statista e di leader: pre-mier in Svezia, mediatore per le Nazioni Unite, vicepresidente dell’Internazionale socialista, pacifista convinto, interlocuto-re di tutti i movimenti progressisti in Afri-ca, America Latina e Asia. Sabato 1 marzo Stoccolma è tramortita. Fin dalle prime ore del mattino, gruppi di cittadini si dirigono spontaneamente sul luogo del delitto in via Sveavägen. Sono in

tanti ad avere tra le mani una rosa rossa, il simbolo del Partito socialdemocratico. Nel pomeriggio si svolge la conferenza stampa del ministro degli esteri Sten An-dersson che serve a presentare all’opinio-ne pubblica internazionale la personalità di Ingvar Carlsson e a spiegare che la sua designazione a primo ministro è avvenuta all’unanimità. Militante socialdemocrati-co fin dagli anni giovanili, considerato tra gli intellettuali di spicco del partito e del governo, di una generazione più giovane di Palme, Carlsson ha sempre fatto parte

dello staff più ristretto dei collaboratori del premier assassinato.Francesco S. Alonzo, l’inviato del Corriere della Sera, scrive il 2 marzo una ricostru-zione a caldo di quando è accaduto la sera del 28 febbraio: “Sui moventi e sull’autore del delitto si fanno parecchie congetture. C’è chi preferisce addossare le colpe a un folle, a un irresponsabile. Altri pensano di trovarsi di fronte all’opera di un killer pro-fessionista. Infatti, come poteva un paz-zoide sapere che proprio quella sera Pal-me e la moglie sarebbero andati al cinema privi di scorta? E per quale coincidenza si sarebbe trovato armato di pistola?”. Comunicati di condoglianze giungono al governo svedese da tutti i leader mondia-li, Reagan e Gorbaciov in testa. Papa Gio-vanni Paolo II, che aveva ricevuto Palme in Vaticano nel 1983 e nel 1984, invia a re Carl XVI Gustaf di Svezia un messaggio in cui lo invita a esprimere al governo e al popolo di Svezia la sua “partecipazione addolora-ta e commossa di fronte a questo atto di insensata violenza”. Il presidente francese François Mitterrand rilascia una emozio-nata dichiarazione: “Devo dire che presto ci renderemo tutti conto dell’importanza e della gravità della perdita che abbiamo subito. Non sarà solo la Svezia ad accor-gersene, ma il mondo intero”. Messaggi di cordoglio arrivano dal presidente cubano Fidel Castro e dal presidente nicaraguense Daniel Ortega (Palme aveva visitato L’Ava-na nel 1975 e Managua nel 1984). Molti le-ader dei movimenti africani contro l’apar-theid ricordano l’azione del premier sve-dese a favore dell’autodeterminazione dei popoli. Felipe González, premier del gover-no di Madrid, sottolinea il contributo dato da Palme alla democratizzazione di Spa-gna, Grecia, Portogallo: «L’Europa perde uno dei protagonisti della lotta per la pace e la democrazia. Personalmente, mi sento duramente colpito dalla morte prematura e violenta di un amico indimenticabile».

Amato e odiatoCome tutti i grandi leader, Palme era molto amato dai suoi sostenitori e molto odiato dagli avversari politici. Olof La-gercrantz scrive sul quotidiano Dagens Nyheter del 2 marzo: “Permettetemi, in questo momento di profondo dolore, di rivolgere un pensiero di commiserazio-ne per coloro che hanno ingiuriato e calunniato Palme, presentandolo come un oppositore delle libertà economiche e dell’individualismo, come il costruttore di un assurdo settore pubblico e come un traditore della patria”. Vincenzo Lanza, il corrispondente da Stoccolma di Repubblica, scrive il 2 mar-zo: “La polizia non scarta e non sposa la pista politica, ma in realtà non ve ne sono

altre. Minacce? La prima lettera minato-ria Palme la ricevette il 4 ottobre 1969, quando divenne contemporaneamente primo ministro e presidente del Partito socialdemocratico. Poi, via via, molte al-tre. Nel 1969, la minaccia di un’inesisten-te bomba al Congresso del suo partito. L’anno dopo, il ritardo imposto all’aereo che lo portava a Washington per un altro finto attentato. Palme considerava tutto ciò parte integrante della vita di un uomo politico”.Le indagini precipitano nel buio. Come avviene per qualsiasi delitto politico, l’in-terrogativo è facile: a chi giovava l’elimi-nazione di Palme? Tra le molte ipotesi, ce ne sono due che riguardano le dinamiche interne della politica svedese. La prima indaga sul viaggio che Palme avrebbe dovuto compiere in Unione Sovietica su invito ufficiale di Gorbaciov nel corso del 1986. L’annuncio di quella visita si sareb-be scontrato con l’opposizione di alcune componenti dei servizi segreti e delle forze armate. La seconda ipotesi segna-la l’insoddisfazione crescente di settori economici e politici svedesi rispetto alla politica ritenuta eccessivamente radicale di Palme. L’indice era puntato da tem-po contro due idee-forza dell’azione del premier: la mediazione svolta in tutti i conflitti internazionali (dall’America La-tina all’Africa, dal Golfo Persico ai postu-mi della guerra americana in Vietnam); l’avvio della progressiva cogestione delle imprese (il Piano Meidner) che dando più potere ai lavoratori avrebbe tendenzial-mente portato al superamento della pro-prietà privata. Quale soluzione migliore che eliminare il leader e l’ideologo della socialdemocrazia svedese per dare uno stop alla sua politica? Il “neutralismo at-tivo” praticato da Palme aveva fatto della Svezia una grande potenza dal punto di vista politico. Una parte dei servizi segre-ti e dell’apparato statale - come dell’opi-nione pubblica - non gradiva la fine dell’isolazionismo che aveva prodotto il benessere svedese degli anni precedenti. Ma la pista dei mandanti dell’assassinio può essere anche internazionale. In quel 1986 si parlava con insistenza del futuro di Palme come segretario generale delle Nazioni unite (c’era stato il preceden-te dello svedese Dag Hammarskjöld dal 1953 al 1961) o come successore del tede-sco Willy Brandt alla presidenza dell’In-ternazionale socialista. Gli Stati Uniti, come il Sudafrica dell’epoca, non amava-no la politica di Palme mentre Mosca non ostacolava il dialogo con l’Est proposto dal primo ministro di Stoccolma.Nel 1988, le indagini si indirizzano di col-po verso l’identikit di Christer Pettersson, un quarantenne noto alla polizia per esse-re un uomo violento, alcolizzato e che fa uso di droghe. Pettersson è fermato dalla polizia il 14 dicembre 1988. Dodici uomi-ni vengono selezionati per un confronto all’americana con Lisbet e Mårten Palme. La moglie del premier assassinato non ha dubbi nel riconoscere in lui l’autore del delitto. La polizia cerca di ottenere la con-fessione da parte dell’indiziato. Pettersson rifiuta ogni addebito.La confessione di Christer Petersson ar-riva solo alla vigilia della sua morte nel 2004, dopo essere stato assolto nei proces-si che lo hanno visto imputato dell’accusa dell’assassinio di Palme. Gli inquirenti non danno credito a questo tardivo mea culpa. L’idea che fosse un balordo ad aver ucciso Palme non ha mai convinto. In questo 2011, a venticinque anni dal 28 febbraio 1986 e senza novità nelle inchie-ste, le autorità di Stoccolma potrebbero essere costrette a considerare prescritto il caso dell’assassinio del primo ministro.

tici di oggi nel pronunciarsi su un politico che aprì, nel suo secondo mandato (1982-1986), alla liberalizzazione dell’economia ma non cessò mai di ribadire il suo appog-gio al settore pubblico. Pur tributando il rituale omaggio al talento di Palme come riformatore, Eklund nell’insieme esprime un giudizio tiepido: Palme incarnò la mai risolta oscillazione del suo partito fra de-mocrazia sociale e socialismo democratico, senza avere sufficiente coraggio. Per fare cosa? Per ridimensionare le rivendicazioni del sindacato, onde poter “modernizzare” l’economia (in senso liberale, naturalmen-te). Non dovrebbe allora essere difficile ca-pire perché Eklund eviti di pronunciarsi su

ciò che di Palme è rimasto, nel suo partito: perché non c’è nulla da dire.L’opus magnum (quasi 900 pagine) di Henrik Berggren, dall’accattivante titolo Giorni mera-vigliosi ci attendono. Una biografia di Olof Pal-me (2010), è un ambizioso affresco della sto-ria della cultura svedese nel XX secolo. Ma, appunto, di questo si tratta, più che di una biografia di Palme: i cui passi il lettore deve andarsi a cercare nella fiumana di scrittori, giornalisti, musicisti e quant’altro che l’autore tratteggia. Con grande maestria, va detto: di cultura appunto Berggren si occupa, sulle pa-gine del principale quotidiano svedese, il Da-gens Nyheter, di orientamento “indipendente liberale”. La precisazione è opportuna perché

il principale interesse di Berggren sembra essere proprio quello di ri-leggere la politica di Palme, e in fondo l’intera storia svedese del dopoguerra, in chiave individualistica: il partito socialdemocratico storicamente ha rappresentato un potente fattore di “moder-nizzazione” (ritorna il mantra dei liberali di destra e di sinistra); grazie allo Stato forte, di cui Palme ha rappresentato uno dei più alti interpreti, in Svezia ha trionfato… il capitali-smo dal volto umano. E con ciò il contributo del movimento operaio alla storia nazionale, e la tenacia di Palme nel definirsi socialista - democratico, certo, ma pur sempre socia-lista - vengono ingoiati nella riscrittura della storia da parte dei vincitori.

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Mondo12 domenica 27 febbraio 2011 Archeologia

spinta dal Ghibli, vengono in luce strumenti in pietra scheggiati dall’uomo, punte di frecce, amig-dale, quarziti e frammenti di reci-pienti in ceramica Si tratta delle tracce eloquenti degli accampa-menti sfruttati stagionalmente e poi abbandonati dall’uomo prei-storico giunti come “congelati” sino ai nostri giorni. Poi c’è la costa frequentata dai Cartaginesi, dai Romani e dai Bi-zantini: un susseguirsi di grandi opere pubbliche volute da ric-chi commercianti e dalla casa imperiale. Il complesso del foro Severiano di Leptis con la lunga via colonnata, Sabratha con le terme e il teatro costruite con il particolare calcare aranciato che si confronta con il blu del mare, la preziosa villa Silin adornata di meravigliosi mosaici policromi rappresentanti i giochi del circo e scene mitologiche. Opere di una qualità straordinaria che gettano luce sulla grande produzione arti-stica su tavola dell’età greca ormai irrimediabilmente perduta. Solo per citare uno tra i tanti esempi di città che la dice lunga su quanto sia importante, storicamente, la Libia è Leptis Magna (nelle iscri-zioni anche: Lepcis Magna, per i Fenici Lebdah) che fu un’antica e influente città fiorita prima sotto i Cartaginesi e poi sotto i Romani. La città, che dal 1982 figura nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco, era una delle tre che hanno dato il nome alla Tripoli-tania. La città venne fondata da coloni fenici intorno al 1100 a.C., anche se non riuscì a diventare una potenza nel Mar Mediterra-

l dramma del popolo li-bico sembra aggiungersi in questi giorni quello

degli italiani e degli altri stranieri ancora bloccati in Libia, tra cui molti archeologi che erano lì in missione. La Libia nasconde te-sori archeologici delle civiltà gre-che, romane e bizantine rimasti sepolti per centinaia di anni sotto la sabbia. È un Paese di eccezio-nale interesse. Pochi Paesi del Mediterraneo riservano infatti una così ricca gamma di emozio-ni come quella che può provare chi intraprenda un viaggio dalle coste della Tripolitania dissemi-nate di vestigia puniche e romane fino alle dune dorate del Sahara e, oltre 800 km più a sud, alla ricer-ca delle più antiche tracce della presenza dell’uomo e delle pri-me forme d’arte concepite sulle ampie superfici rocciose del Uan Acacus. Nello Uan Matkhendush su una ampia parete rocciosa un tem-po immersa in un paesaggio di savana popolato da ippopota-mi, giraffe, varani e bufali ormai estinti, l’uomo volle incidere con maestria la grande fauna selvag-gia oggetto dei suoi sforzi di cac-ciatore; poco più in là, nel vallone dell’Acacus, dove enigmatiche scene di devozione religiosa e le rappresentazioni dei momenti culminanti della vita di villaggio sono stati dipinti sulle superfici rocciose del deserto con arte, fa-cendo semplice uso delle terre co-lorate disponibili. Sugli altipiani spazzati dalla sabbia del deserto

Maria Luna Moltedo

Il fascino leggendariodella Libia millenaria

neo orientale prima del IV secolo a.C. Leptis venne strappata dai Romani ai Cartaginesi durante la terza guerra punica (146 a.C.) e poi incorporata sotto Tiberio nella provincia Africa. Durante il dominio romano Leptis, acquisi-to l’appellativo di “Magna”, diven-ne ben presto una delle principali città romane d’Africa grazie al fiorente commercio marittimo di spezie, schiavi ed animali pro-venienti dall’Africa subsahariana. Con oltre 100mila abitanti, la cit-tà raggiunse il suo apogeo nel 193 d.C., quando Settimio Severo, na-tivo leptitano, divenne imperato-re. Negli anni successivi Settimio Severo fu un munifico propulsore dell’abbellimento della propria città natale, che in quanto a sfarzo giunse a rivaleggiare con Cartagi-ne e Alessandria. Nel 205 d.C. Set-timio Severo visitò la città, che gli tributò grandi onori. L’antico foro di Leptis Magna era il centro della vecchia città romana e, in epoca ancora precedente, il primo inse-diamento comparso lungo questo tratto della costa, come testimo-niano i resti delle case puniche che sono stati rinvenuti a nord-est. La piazza fu completamente abbandonata a se stessa, quindi ne rimane ben poco. Costituisce

comunque il cuore monumentale dei progetti urbanistici dell’impe-ratore Augusto, quindi fornisce preziose indicazioni sulla vita dei primi abitanti della città. Il porto era un altro elemento del quale la città non poteva prescindere nel-la visione urbanistica di Settimio Severo. Del faro non restano oggi che le fondamenta, ma un tempo esso era alto più di 35 metri e, a detta di alcuni storici, non era molto diverso dal più rinomato Faro di Alessandria.

L’antica CireneAnche Cirene era una importante colonia greca del Mediterraneo che si trovava nell’odierna Libia orientale, presso l’attuale cittadina di Shahhat, nella municipalità di Al Jabal al Akhdar. Cirene fu fon-data dai Dori (greci) provenienti da Tera intorno al 630 a.C. Insieme alle città di Teuchira-Arsinoe, Eu-esperide-Berenice (attuale Benga-si), Apollonia e Barce-Tolemaide, costituiva la cosiddetta Pentapoli cirenaica. In seguito passò sotto l’influenza di altre culture, per diventare poi capoluogo di una provincia dell’Impero Romano nel 96 a.C. In questo periodo Ci-rene conobbe il suo momento di massimo splendore, diventando

Questo Paese precipitato da una

settimana nella guerra civile nasconde tesori

archeologici delle civiltà greche, romane

e bizantine rimasti sepolti per centinaia

di anni sotto la sabbia. L’immenso patrimonio archeologico e artistico

libico necessita di tutela anche perché

dev’essere ancora debitamente indagato

uno snodo commerciale di pri-ma importanza per il traffico di merci fra Europa e Africa. Tra le personalità che ebbero i natali a Cirene, si ricorda Eratostene, che vi nacque nel 276 a.C. Nell’anti-chità Cirene doveva ospitare an-che una comunità ebraica, dalla quale proveniva Simone, detto “il Cireneo” e la sua famiglia. La Cire-ne odierna è una piccola cittadina di appena 8mila abitanti. È nota soprattutto per gli importanti siti archeologici con rovine della Ci-rene greco-romana, che l’hanno fatta qualificare come patrimonio dell’umanità dall’Unesco. L’acro-poli, il tempio di Apollo, il tem-pio di Zeus sono i principali resti dell’epoca greca. È rimasta anche una grande necropoli, con nume-rosi sepolcri (datati dal VI secolo a.C. al IV secolo d.C.) e tempiet-ti di Ecate e dei Dioscuri. È ben conservato anche l’impianto idri-co romano, che include condotti sia sotterranei che sopraelevati e acquedotti. Presso Cirene fu ritro-vata la Venere Anadiomene, una scultura identificata come copia di un originale di epoca ellenisti-ca, conservata presso il Museo nazionale romano di Roma fino al 30 agosto 2008, data nella quale il premier Silvio Berlusconi ricon-segnò la scultura al leader libico Muammar Gheddafi. L’immenso patrimonio archeolo-gico e artistico della Libia neces-sita di tutela contro le ingiurie del tempo e degli uomini e dev’esse-re ancora debitamente studiato. Si tratta di un compito difficile e oneroso a cui molti archeolo-gi, con le loro missioni spesso rischiose come abbiamo potuto constatare più volte, stanno dan-do un contributo di grandissimo valore.

A

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Pitture rupestri nel deserto libico. In alto: il teatro di Leptis Magna

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13domenica 27 febbraio 2011Arte

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a cura di Francesca Franco

uesta domanda pone a noi occidentali quel che sta accadendo sull’altra spon-

da del Mediterraneo, davanti agli occhi di un’Italia rincretinita da opportunismi spiccioli e abbando-nata a se stessa da uno Stato trop-po impegnato a restare al potere per essere “sociale”. Nel volgere di pochi giorni, con l’ausilio di com-puter, cellulari e collegamento internet, i giovani del Nord Africa hanno rimpiazzato miraggi indi-viduali di benessere con un sogno collettivo di speranza prima nel ciberspazio, poi in strade e piazze cittadine, vincendo la paura di cui si servono politica ed economia per soggiogare i popoli, accettan-do l’incertezza di muovere verso un “nuovo” impossibile ora anche solo a intravedersi. Teso a indagare l’utopia nella cultura contempora-nea è il progetto triennale avviato dall’ARKEN di Skovvej (Copenha-gen) che, dopo il realismo magico delle animazioni di Qiu Anxoing (2009), ospita l’installazione am-bientale di Olafur Eliasson (Cope-naghen, 1967) Din blinde passager. Potenzialità o probabilità attuata nell’attimo ineffabile che intercor-re tra un prima e un poi, l’utopia proposta dall’artista danese non è qualcosa da raggiungere una vol-ta per sempre, ma un movimento processuale teso a vedere non solo la realtà esistente ma l’invisibile del divenire: di ciò che potrebbe

essere ma (ancora) non è. E che sarebbe tanto bello da non poter non essere vero. Eliasson invita infatti il pubblico ad avventurarsi in un tunnel lungo 90 metri fatto unicamente di luce e nebbia, così fitta da precludere la visibilità oltre il metro, tanto che per percorrerlo da una parte all’altra è necessario attivare tutte le proprie capacità ricettive nei confronti dell’ambien-te circostante. Composto da gocce d’acqua in sospensione, che la ri-frazione luminosa trasforma in un alone opalescente, questo aerosol atmosferico dà corpo a un luogo mentale ma reale, dove concetti quali soggetto e oggetto, interno ed esterno, prossimità e distanza sal-tano, sfidando ciascun visitatore a ridefinirne il senso, costringendolo a rinegoziare, passo dopo passo, le coordinate del proprio spazio per-sonale e collettivo. Quale miglior tra-slato del “mondo liquido” teorizzato da Bauman, fatto di permanente transitorietà ed effimero durevole, socialità fragili e insicurezza esi-stenziale? Lungi da rimanere in scacco, Eliasson distilla da qui la possibilità di un movimento diver-

so sebbene dagli esiti incerti, ma strettamente connesso ai progressi della cultura, all’incanto della na-tura e alle scoperte della scienza. Arte e scienza, d’altra parte, lavo-rano per Carsten Nicolai (Karl-Marx-Stadt 1965) su un piano co-mune: in aree ancora relativamen-te inesplorate dall’umana intelli-genza, dove la bellezza si è rivelata essere espressione specifica di un pensiero veritiero. Esponente della scena musicale elettronica con lo pseudonimo di Alva Noto, l’artista tedesco utilizza lo spazio elettro-nico (dove gli oggetti interagisco-no con le onde elettromagnetiche producendo radiazioni, interru-zioni, click, fruscii ed interferenze), per indagare le potenzialità este-tiche e creative dei sistemi logici informatici. Giocando sia con le qualità fisiche del suono sia con

il carattere mini-male, geometrico, astratto delle sue strutture ritmiche, fonde l’immate-rialità di fenome-ni impercettibili con una nuova estetica. Per mez-zo di oscillatori e generatori di tono trasforma il suo-no, con computer e campionamen-ti crea collage di rumori, tagli di

frequenze ed errori (glitch) acci-dentali o intenzionali, oppure li vi-sualizza attraverso i principi della cinematica, come accade nell’in-stallazione audio-video creata per lo spazio-vetrina della galleria Lorcan O’Neill a Roma. Il progetto sviluppa il linguaggio audio-video codificato dall’artista nel lavoro discografico UniTxt, prodotto nel 2008 per l’etichetta raster-noton. Il titolo è traducibile come unit ex-tended, in riferimento all’unità di una griglia ritmica, o universal text, in relazione al linguaggio univer-sale della musica e alle unità, co-stanti e misure matematiche che la informano, indagate dall’uomo sin dall’antichità: dai rapporti tra i toni di una scala e i numeri interi studiati dai Pitagorici agli algoritmi della geometria frattale trasforma-ti in suono per mezzo di software, che risintetizzano sonorità senza legami a strumenti reali. UniTxt Mirrored parte per l’appunto dalla manipolazione e modulazione di pattern di segnali sonori generati dal computer, per trasformarli in una proiezione di linee orizzontali multicolori in moto perenne, che due specchi laterali replicano ed estendono all’infinito. Codifica-ta dal suono, l’immagine cambia sempre senza mai ripetersi, auto-organizzando la propria magnifica complessità a partire da semplici processi matematici.

Q

Se è così bellodeve essere vero

Sono circa 50 le opere raccolte da Andrea Bellini al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contempo-ranea per la prima antologica europea dedicata a questo ma-estro del minimalismo ameri-cano: dai primi quadri del 1962 alle celebri Planks, che precor-rono nel 1966 il monolite nero di 2001 Odissea nello spazio; dai Mandala degli anni 70 alle re-centi sculture in metallo lucida-to a specchio oppure in resina poliestere, fibra di vetro e com-pensato, come Cosmos. L’opera è composta da 8 parallelepipedi appoggiati, secondo una logica modulare, a terra contro una parte, come fossero oggetti qua-lunque, se non fosse per quei colori traslucidi e smaglianti capaci di carpire tanto il fascino oscuro di galassie aliene quanto le fasi di trasformazione della materia sperimentate dall’alchi-mia prima e dalla chimica poi. Nonostante abbia partecipato, nel 1965-71, alle mostre più im-portanti sul minimalismo, Mc-Cracken è un eretico rispetto al materialismo empirico del movimento. Anzi, la sua poetica onirica e visionaria riflette il lato più eterodosso ed enigmatico di quella ricerca ancora molto da indagare. L’arte di McCracken, d’altra parte, nasce sotto il sole della California, in mezzo alla sua cultura di strada intessuta di science fiction e nuove tecno-logie, surf multicolori e automo-bili dalle carrozzerie persona-lizzate. Da qui l’artista trae l’uso di resine colorate e gli infiniti passaggi di lucidatura delle ver-nici sintetiche delle sue opere, realizzate meticolosamente a mano fino a ottenere superfici perfette e lisce, calde e sensua-li, pronte a riflettere la luce, a liquefarsi o smaterializzarsi gra-zie a essa. Scultura e pittura al tempo stesso, questi lavori con-densano nei loro profili astratti riferimenti antropomorfi, spa-zio fisico e spazio mentale. Ca-talogo Skira. Fino al 19 giugno. Info: tel. 0119565280,[email protected]

Remix RewindJohn McCracken

John McCracken, Cosmos, 2008. Courtesy l’artista e David Zwirner, New York

In Modus Vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido (2007) Zygmunt Bauman definisce inferno la crisi dell’Utopia di Tommaso Moro di un mondo perfetto, sicuro e senza incertezze, che anestetizza le odierne democrazie occidentali. Ma in un mondo siffatto esiste ancora l’Utopia o qualcos’altro ha preso il suo posto?

Olafur Eliasson: Din blinde passager, UTOPIA project, Arken Museum for Moderne Kunst, Skovvej, fino il 27 novembre. Info: [email protected] Nicolai: Uni-txt Mirrored, galleria Lorcan O’ Neill, Roma, fino al 19 marzo. Info: 06.68892980, [email protected]

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Carsten Nicolai, Unitxt Mirrored, 2011.

Courtesy Galleria Lorcan O’Neill Roma and Eiger +

Art, Berlin.In basso: Olafur Eliasson,Din blinde Passager, 2010.

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14 domenica 27 febbraio 2011

i sono posti d’Italia che al loro ingresso, accanto alle classiche indicazioni

stradali in blu e in bianco, han-no cartelli enormi con la scritta cubitale “Hic sunt leones”. Terre di perdizione, di miseria, bolgie infernali, da cui la civiltà si tiene giustamente alla larga. Scampia, Castel Volturno, Secondigliano, la Locride, lo Zen e il quartiere Brancaccio di Palermo. Luoghi in cui, secondo l’immaginario collettivo, vale più che in qual-siasi altra parte dell’Occidente il sofocleo «meglio non esser nati». Questi posti sono abitati da tutti gli incubi della moder-nità: mafia, eroinomani, spaccio a cielo aperto, sparatorie, morti ammazzati, urbanistica da post conflitto nucleare. Infranta la frontiera dell’informazione, fan-no notizie in sé, essendo diven-tati luoghi leggendari, evocativi di una mitologia dell’orrore. In questa speciale classifica dei gironi danteschi italiani, Scam-pia si è conquistata negli ultimi dieci anni il primo posto. Se non fosse stato il palcoscenico di una sanguinosa faida di camorra all’inizio del terzo millennio, sa-rebbe forse rimasto uno dei tanti anonimi luoghi di degrado, che fuori dalla Campania rientrano nella parola Napoli. Tra il 2004 e il 2006, si sono fronteggiati tra le vie di questo quartiere monstre, grande come una città di cento-mila abitanti, il clan De Lauro e quello degli scissionisti guidati da Raffaele Amato, che si sono lasciati dietro una scia di cin-quanta morti ammazzati. Non è stato dunque un interesse socio-

Giorgio Mottola

Illustrazioni da “Sulle tracce di Felice Pignataro”

C

Quell’uomoche dipingeva muralesa Scampia

logico a concentrare l’interesse degli spettatori mediatici sulle Vele di Scampia. Ma il sangue, sbattuto sulle prime pagine e nelle aperture dei Tg, associato a uno scenario sub metropolitano estremamente pulp, degno della cinematografia hollywoodiana. In questo modo Scampia ha du-plicato la propria realtà. Da un lato quella mediatica, rappresen-tazione impeccabile dell’inferno in terra. Dall’altro, quella della quotidianità di chi ci vive, nor-malmente. Sulla prima sappia-mo quasi tutto: gli appartamenti occupati dai tossici, lo squallore delle Vele, i ragazzini che fanno i pali per gli spacciatori, gli omici-di. Della seconda non si sa pra-ticamente nulla. Nella narrazio-ne mediatica, sono rarissimi gli squarci di luce che illuminano la normale e pacifica quotidia-nità di Scampia. Una di queste eccezioni è il libro Sulle tracce di Felice Pignataro, pubblicato dal-la Marotta&Cafiero editori (10 euro), piccola e coraggiosa casa

editrice, con sede proprio nel quartiere-bolgia in via Andrea Pazienza, che negli Sessanta per prima ha pubblicato in Italia le opere di André Gide. Al libro è stato abbinato il dvd del docu-mentario Felice! di Matteo Anto-nelli e Rosaria Désirée Klain.

L’esempio creativoÈ una biografia per immagini di uno dei personaggi più geniali e generosi che Scampia abbia conosciuto: Felice Pignataro. Intellettuale anticonformista, artista murale («il più prolifico muralista del mondo», lo definì

il prestigioso critico d’arte Ernst Gombrich), ma soprattutto mi-litante in ogni battaglia sociale e civile napoletana, instanca-bile e vittorioso Don Chisciot-te. «Senza titoli, senza cariche, senza attribuzioni istituzionali, ha rappresentato la persona più autorevole, più carismatica del quartiere Scampia. E non solo per la sua arte, per la sua crea-tività, ma soprattutto per il suo esempio, il suo spirito indomito a difesa dei soprusi, dei diritti dei più deboli e dell’ambiente», è la descrizione che fa di lui Aldo Bifulco, del circolo locale di Le-gambiente.Pignataro a Scampia non c’è nato, ma ha scelto di viverci. Cresciuto a Mola di Bari fino a diciotto anni, nel 1958 si trasfe-risce a Napoli, iscrivendosi alla facoltà di architettura. Nel giro di qualche anno organizza il primo doposcuola per i bambini della baraccopoli di Poggioreale e nel ’68 fonda la “Controscuo-la”, che si allarga ai centri della

periferia settentrionale della città. Proprio da queste parti, a Scampia, viene costruita in quegli anni la 167, che era ed è rimasto un’enorme complesso di case popolari, con pochi ser-vizi. Ed è proprio qui che, insie-me alla moglie Mirella, l’artista fonda l’associazione Gridas. Il nome è l’anagramma di Gruppo di risveglio dal sonno, esplicito riferimento alla frase del pittore Francisco Goya: «El sueño de la razón produce monstruos».

Una morte prematuraLa narrazione della vita di Felice Pignataro, stroncato da un tu-more al polmone il 16 marzo del 2004, non può dunque che essere necessariamente una biografia collettiva. Il racconto di una quo-tidianità piena di gioia, spensie-ratezza e speranza di un’intera comunità, che l’industria dell’in-formazione non ambienterebbe mai in un posto come Scampia. Pignataro ha trasformato un quartiere infernale in una galle-ria d’arte a cielo aperto. Il libro infatti, curato dall’associazione Gridas e dal fotografo siciliano Francesco Di Martino, è com-posto per metà da testimonian-ze biografiche e per l’altra metà dai murales dell’artista. Rosario Esposito La Rossa, dell’associa-zione Voci di Scampia, ne spiega il senso “comunitario”: «Felice non è mai stato il mammasantis-sima che arrivava e con i pennelli faceva l’opera d’arte. I murales erano fatti insieme ai bambini, erano un’opera collettiva, dove magari un bambino metteva una sola pennellata, ma si sentiva partecipe di quel murales lungo decine di metri». Nei suoi graffi-ti si parla di guerra, di sviluppo e sottosviluppo, di povertà, di de-mocrazia e persino dell’autodafé di Giordano Bruno. È arte che si fa strumento di relazione socia-le e di crescita culturale: azione didattica e progetto pedagogico si fondono nelle pennellate sui muri. Alcuni dei murales di Pigna-taro erano previsti inizialmente nell’ambito di progetti scolastici con gli studenti delle scuole su-periori. Sistemasticamente però alla loro realizzazione partecipa-vano anche le madri e i bambini del quartiere. Un’opera d’arte che diventava perciò un’autentica esperienza comunitaria. Leggendo Sulle tracce di Felice Pignataro, quello che viene de-scritto dai media come un in-ferno in terra, grazie ai colori e all’impegno testardo dell’artista napoletano si trasforma in luogo finalmente umano. Sicuramente di degrado e di disagio sociale, ma anche di speranza, proprio perché umano. Non è quindi un caso che il più bel Carnevale campano si tenga a Scampia. Pi-gnataro e l’associazione Gridas ne sono stati i promotori. L’ini-ziativa ha poi conquistato tutto il quartiere. Oggi i carri sono preparati da tante associazioni e piccoli laboratori che per mesi lavorano alle scenografie. Eppu-re non siamo né a Viareggio né a Venezia. Ma in quell’inferno chiamato Scampia.

Marotta&Cafiero editore pubblica la

biografia per immagini di Felice Pignataro,

il personaggio più geniale e generoso che abbia mai vissuto nel

quartiere di Napoli paragonato a un

girone dantesco. La sua storia è quella di un intellettuale

anticonformista e di un militante di ogni

battaglia sociale e civile napoletana. Un

instancabile e vittorioso Don Chisciotte

Libri

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Mondo 15domenica 27 febbraio 2011

eiko Sofia Fujimori non è brillante né carismatica, ma ha un cognome im-

portante. Il padre, Alberto, ha go-vernato il Perù dal 1990 al 2000. Molti peruviani lo ammirano, lo rimpiangono e lo eleggerebbero ancora, poco importa che stia scontando una condanna a ven-ticinque anni per violazioni dei diritti umani nel suo Paese. O, in vece sua, eleggerebbero la fi-glia, che ha lanciato poco più di un anno fa il suo nuovo partito, Fuerza 2011, nato dopo ventidue mesi di gestazione dai vivacissimi scampoli del fujimirismo.

Rampolla fedeleStando ai sondaggi, la trentacin-quenne Keiko (che all’inizio del 2009 aveva annunciato la sua candidatura alle presidenziali del 2011), è la seconda nelle inten-zioni di voto, con il 22 per cento, ex equo con Luís Castañeda, l’ex sindaco di Lima. In pole position, da poche settimane, il candidato di Peru Posible Alejandro Toledo, ex presidente dal 2001 al 2006.Bruna e sorridente, capelli lunghi e lineamenti nipponici, la giovane candidata guarda al padre come a un modello. «È stato il miglio-re presidente che abbia avuto il Perù», ha cinguettato di recente, annunciando che tra le misu-re del suo eventuale governo ci sarà la grazia al settantatreenne Alberto. Lei non solo è convinta della sua innocenza ma lo con-sidera il salvatore della patria: durante il suo mandato, Fujimori stabilizzò l’economia e debellò il movimento guerrigliero Sendero Luminoso, ma il suo governo fu repressivo e corrotto e nel 1992 re-

alizzò un autogolpe per garantirsi la longevità. In realtà, Fujimori fu un autentico criminale, ma i suoi delitti vengono giustificati, da una parte del Paese, con il solito pretesto dello “stato di necessità”. Nel corso del suo mandato e con la scusa di voler sconfiggere il ter-rorismo, Alberto Fujimori si mac-chiò di sequestri e lesioni gravi, e mise in moto una spaventosa macchina repressiva e di spionag-gio della cui guida incaricò Vladi-miro Montesinos, la sua anima nera e personaggio loschissimo. Tra le altre cose, Fujimori fu l’au-tore intellettuale delle mattanze commesse, materialmente, dallo squadrone dell’esercito cono-sciuto come Grupo Colina nel 1991 e nel 1992 a Barrios Altos e La Cantuta. In ogni caso, fu solo nel settembre del 2000 che il fe-nomeno Fujimori apparve nella sua luce più nera. L’ex presidente stava per cominciare il suo terzo mandato quando venne trasmes-so alla televisione un video che mostrava Montesinos nell’atto di consegnare 15.000 dollari a un parlamentare dell’opposizione che infatti passò immediatamen-te dalla parte del partito di gover-no. Travolto dallo scandalo, Fu-jimori scappò in Giappone, suo Paese d’origine, da cui mandò un fax di dimissioni. Fu invece de-stituito dal Parlamento per inca-pacità morale. Rifugiatosi in Cile alla fine del 2005, venne estrada-to nel settembre del 2007, e giu-dicato poi dalla giustizia del suo Paese che non solo lo condannò per violazione dei diritti umani ma anche per peculato doloso, appropriazione di fondi e falsità ideologica a danno dello Stato.Su questi fatti Keiko non si pro-nuncia, e glissa con eleganza.

D’altro canto fu dalla parte del padre anche quando la madre, la oggi 61enne Susana Higuchi, de-nunciò pubblicamente il marito di corruzione, un gesto che portò alla separazione della coppia nel 1995 e all’investimento di Kei-ko come primera dama (ma nel frattempo il presidente Alberto avrebbe cercato, secondo la Hi-guchi, di assassinarla).Va da sé che il programma di Kei-ko è fujimorista, seppure in ver-sione ammorbidita: un miscuglio di populismo e autoritarismo, di ricette economiche che favori-scano gli investimenti stranieri e di una indefinita attenzione ai più poveri. “Restituiremo il fu-jimorismo al Paese”, ha annun-ciato da Twitter, da cui aggiorna gli amici in tempo reale su ogni aspetto della sua vita, e molti in Perù hanno tremato. Nonostante i modi misurati, c’è chi la vede in-fatti come l’incarnazione nefasta dell’ex presidente, e fa notare le analogie tra le circostanze stori-che che avevano favorito l’avven-to al potere del vecchio Fujimori e quelle del Perù di oggi: anche nel 1990 era al governo Alan García, la cui politica disastrosa aveva portato il Paese sull’orlo del baratro economico e che ora, al suo secondo mandato, ha una popolarità di appena il 35 per cento. Questa volta le débacle del presidente non sono economi-che, dato che il Perù ha registrato nel 2008 la crescita record del 9,8 per cento (e di ben l’8,7 per cento nel 2010), il problema è che quelle entrate non hanno migliorato le condizioni di vita della stragrande maggioranza dei peruviani, né attenuato il divario tra ricchi e indigenti. A far precipitare la credibilità di

Gabriella Saba

Perù, Fujimori juniorsi butta nella mischia

García ha contribuito inoltre la deriva liberista e autoritaria del presidente, il cui partito Apra è formalmente di centro-sinistra: nel giugno del 2009, ordinò infatti la repressione delle proteste degli indigeni contro l’approvazione di una serie di decreti legge che autorizzavano lo sfruttamento di alcune zone amazzoniche senza il consenso degli abitanti. Negli scontri morirono 34 persone, e le proteste in tutto il Paese por-tarono alle dimissioni del Primo ministro e alla deroga di quei de-creti da parte del Congresso.

Incontri quotidianiKeiko è il contrario di tutto que-sto, almeno all’apparenza. All’au-toritarismo di Garcia oppone l’immagine di una ragazza dolce e vicina al suo popolo. Madre di due figlie, dichiara di identificarsi con tutte le mamme del suo Pae-se. Nel 2006 è stata la parlamen-tare più votata, con circa 600.000 voti, e da allora decine di persone ogni giorno si rivolgono a lei per le richieste più varie. «Il Parla-mento deve rappresentare e non solo legiferare», ha dichiarato ag-giungendo che proprio da quei suoi incontri sono nate alcune proposte di legge. Per esempio, quella che vorrebbe dotare i com-missariati di una poliziotta che raccolga le denunce di violenza domestica sporte dalle donne.Ha una parola buona per tut-ti, perfino per il nemico storico Alejandro Toledo che mandò in galera molti corresponsabili degli eccidi di Fujimo-ri. «Bisogna dargli atto di una buona gestione macroe-conomica, le cui basi erano state però create da mio padre», ha ammesso soa-vemente. Quan-to a García, ri-conosce anche a lui il merito di una buona politica eco-nomica, e

Si candida nelle elezioni presidenziali

del prossimo 10 aprile Keiko Sofia

Fujimori, figlia dell’ex presidente

Alberto, condannato per violazione

dei diritti umani, peculato doloso, appropriazione di fondi e falsità

ideologica a danno dello Stato. Ritratto

di una donna molto popolare malgrado

le malefatte paterne

si è schierata al suo fianco nella controversia che ha minacciato l’anno scorso i rapporti con il Cile, accusato dal Presidente di fare spionaggio in Perù.Eppure, molti pensano che die-tro quel piglio equanime ci sia ben altro che una innocente ma-dre di famiglia, inconsapevol-mente votata al culto del padre. Tra i delitti di cui viene accusa-to quest’ultimo c’è infatti l’uso di fondi di Stato per pagare gli studi negli Stati Uniti di Keiko e dei suoi tre fratelli: Kenyi, Hiro e Sachi. Più di un milione di dol-lari sulla cui provenienza né l’ex presidente né Keiko hanno dato una spiegazione credibile. La giovane congressista ha studiato negli Usa a più riprese: aveva ap-pena compiuto 19 anni quando suo padre la richiamò in patria per ricoprire il ruolo di first lady. Keiko fu la primera dama per sei anni, ma quando Fujimori tornò in Giappone lei ripartì per gli States. Si guadagnò un business degree presso la Boston Univer-sity School of Management, e nel frattempo conobbe l’italoameri-cano Mark Vito Villanella, che poi diventò suo marito.Anche Mark è uno sfegatato am-miratore del vecchio presidente e si vocifera che abbia contribu-ito parecchio al successo politico della moglie. Qualche mese fa ha ottenuto la cittadinanza peruvia-na e le sue foto su facebook lo mo-strano attivissimo nelle riunioni fujimoriste. È anche un marito adorante, così la coppia Keiko-

Mark va più forte di quelle delle soap opera. D’altron-

de la giovane Fujimori aveva dichiarato meno

di due anni fa che il suo obiettivo era quello di essere una buona parlamen-tare e soprattutto una buona mo-glie e madre. Poi, però, ha deciso di buttarsi nella

mischia.

KUn chiosco di giornali a Lima. In basso Keiko Sofia Fujimori

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16 domenica 27 febbraio 2011 Creatività meridiane

l Sud per me è un baga-glio molto pesante. Di significato, di storia, di

ricordi, di cose che vorrei ripen-sare, riscrivere». Fa una pausa. «E da cui mi tengo lontano ».È sincero, al limite del rischio fraintendimento, Peppe Voltarel-li quando parla del suo rapporto con il Sud, con la sua terra. Volta-relli viene da Mirto Crosia, in pro-vincia di Cosenza, eppure vive da sempre altrove. Per diciotto anni è stato a Bologna, oggi accade una cosa divertente: tutte le vol-te che lo senti al telefono abita in una città diversa. Da Berlino a Napoli, da Parigi fino a Firenze, dove vive adesso. E lungo questo doppio binario - tra la Calabria e l’altrove - nasce e vive il suo esse-re artista. Peppe è un cantauto-re e un musicista. E molto altro. Scrive libri, è un abile polemista, compone musiche per il teatro e il cinema, si cimenta (e si diverte) come attore cinematografico. Per quindici anni è stato front-man e anima del gruppo Parto delle nuvole pesanti, poi - nel 2006 - ha scelto la carriera solista che gli ha dato importanti soddisfazioni tra cui una targa Tenco per il suo Ultima notte a Mala Strana come migliore album in dialetto. Il dia-letto, appunto. Perché questo 41enne che sta lontano dalla sua terra scrive spesso di cose cala-bresi, per di più in dialetto. Segno di un rapporto intenso eppure scostante, che riempie e soffoca. «La verità - ammette - è che ho una sorta di timore del Sud, di questa grande mamma che ci ha generato, della cultura meridio-nale e mediterranea che ci por-tiamo dietro. Credo sia il timore storico di chi è nato in una terra perdente». È questo timore di «essere inghiottito probabilmen-te a spingermi lontano - riflette ad alta voce Peppe - È una cosa che vivo con grande amarezza». Ma questo non vuol dire certo sottrarsi, rinnegare. «Tutto que-sto significa - spiega - che ci vuole studio, analisi, impegno per fare in modo che l’esercizio di libertà, autonomia, autodeterminazio-ne diventi una scuola per tutti». O, per dirla in altri termini: «Per fare il meridionalismo militante servono un metodo, dei maestri. E purtroppo di maestri non se ne vedono molti. Così - insiste - mantenersi a una distanza di sicurezza da cui osservare forse può aiutare. Eccolo un metodo possibile: operativo, civile, anche di scrittura. Questo almeno è il bisogno da cui parto io».Per questa ragione, forse, molti dei suoi lavori raccontano la sto-ria di un uomo - spesso scrive in prima persona, Voltarelli – «im-

merso in un contesto il più possi-bile atemporale, in un luogo non identificato: mi permette di spa-ziare in epoche diverse, mi serve soprattutto per farmi sognare. È come se volessi portare l’uomo alla sua essenza». Per rende-re l’uomo meridionale uguale agli altri? Lui ride. Ci pensa su: «Sento la necessità di sentirmi alla pari degli altri», confessa. «Mi piacerebbe che il punto di partenza fosse simile per tutti: la differenza attuale rende più difficile trasformare le cose. Vor-rei che i meridionali avessero le stesse opportunità di chi nasce in Svizzera o in Finlandia». È un discorso personale, certo. Ma fortemente politico: non c’è spa-zio per rivendicazioni sterili o piagnistei. Parla di un elementa-re principio di uguaglianza, Vol-tarelli: «Non riesco neanche a fare un ragionamento compiuto su questa cosa - osserva - è tutto molto istintivo». Torna ancora a se stesso: «Forse è perché sono nato in provincia, la provincia calabrese, forse perché quando sono arrivato a Bologna parlavo soltanto il dialetto». Non c’è ver-gogna per le sue origini. Piutto-

sto: «Ti accorgi di quanto è stra-ordinario il luogo da cui vieni, di quanto sono importanti la tua storia e la tua lingua, se per tutti c’è lo stesso punto di partenza». E aggiunge un tassello: «È l’op-portunità di scegliere una cosa piuttosto che subirla a fare la dif-ferenza». E ai meridionali «serve anche il coraggio di scegliere». Provoca Voltarelli: «Paradossal-mente gli unici che hanno avu-to il coraggio sono i malavitosi: hanno bluffato e si sono presi tutto. Mentre tanta gente onesta ha scelto di subire». E a loro non è rimasto quasi niente.Nascere a Bologna allora avreb-be reso le cose diverse. Lui ri-sponde così: «Quando sono arri-vato a Bologna avevo una fame e una curiosità incredibili. Avevo certamente incentivi superiori a chi era nato lì, magari di vedere un film, di leggere un magazine rock. Per dieci anni ho vissuto a un ritmo e a una velocità incre-dibili. Ho divorato il tempo e la vita». Dopo dieci anni, «guardi le cose più serenamente». Ironizza: «Non so - sottolinea - forse avrei cantato in dialetto bolognese. Però sarei emigrato comunque». Spiega: «Siamo cresciuti con l’idea che c’è sempre qualcuno sopra di noi, qualcosa di meglio. E dopo Bologna, c’è Monaco e dopo Monaco, Stoccolma. Poi chissà, non finisce mai.». Chiarisce, raccontando un pas-saggio di Roccu u stortu, l’opera teatrale in dialetto frutto del fortunato incontro tra l’auto-re Francesco Suriano, il regista Fulvio Cauteruccio e Peppe Vol-tarelli (all’epoca con il Parto): «Diceva il contadino: se uccido il padrone e lo sfruttatore, divento padrone. Che faccio, ammazzo me stesso?». Ecco. «Ma nella no-stra nuova identità un equilibrio dobbiamo trovarlo. A partire dai nostri bisogni - precisa - Per mi-gliorare, per costruire il futuro. Come diceva un libro di Craxi». Ride, per la citazione “dotta”. «No, non voglio certo fare pub-blicità a Craxi. Ma vengo da una

Danilo Chirico

famiglia di socialisti. A casa mia - dice - c’erano i libri di Turati, Pertini, Nenni, Gramsci, Manci-ni. E di Craxi», ride ancora, di gu-sto. Dice una cosa di cui va fiero: «Mio zio è stato il primo sindaco socialista di Mirto - rimarca - ed era in prima linea quando negli anni Cinquanta ci fu la lotta per l’occupazione delle terre». Cer-te cose «si tramandano anche senza dirle e siamo cresciuti con il sogno romantico della condi-visione, dell’uguaglianza». E il sogno di diventare proprietario delle terre e di metterle in con-divisione, «l’ho visto realizzato in Emilia Romagna con le coo-perative».

Fare le cose insiemeE fa un affondo contro i suoi con-terranei: «Noi calabresi no, non ci riusciamo proprio a fare le cose insieme. Siamo abituati a cam-minare da soli. Non potremo mai concepire quello che è successo in Salento negli ultimi dieci anni. Che dovrebbe essere un punto di riferimento, che ha portato benefici a tutti. Noi al massimo pensiamo alla famiglia», nel bene e nel male, «ma la famiglia non è il gruppo, non è la città». Ma quando succede di fare le cose insieme: «È una magia. Mi è suc-cesso, mi succede ancora». Così è nata l’idea di Onda calabra, il fortunatissimo pezzo scritto da Voltarelli - quando era ancora nel Parto - che chiudeva il film Doi-chlanda, per la regia di Giuseppe Gagliardi, premiato al Festival del cinema di Torino nel 2003. E che è subito diventato un simbo-lo della Calabria che emigra e di quella che vuole cambiare. Da lì sono nate collaborazioni im-portanti con quelli che rappresen-tavano la nuova scena calabrese. «Per creare sapere», dice. «E alcu-ne cose sono cambiate», rimarca. Sono arrivati premi nazionali per molti artisti, «è nata una consa-pevolezza nuova. Credo che que-sta esperienza prima o poi avrà un riconoscimento dalla storia», dice orgoglioso. È per questa ra-

gione che vedere il brano stor-piato nel film Quantunquemente di Antonio Albanese lo ha molto rammaricato. «Dietro quella can-zone c’era raffinatezza e nessuno spazio per la volgarità. È sempre stata qualcosa di diverso - com-menta - vederla diventare simbo-lo negativo ha destrutturato tutto il nostro cammino. È sempre lo stesso discorso: se il brano avesse avuto le stesse occasioni della sua rivisitazione, forse sarebbe stato diverso. Ma - aggiunge - è come mettere a confronto una piccola bottega artigiana e un autogrill». Sono mondi diversi, che fanno percorsi completamente diversi. «C’è bisogno di attenzione per i percorsi». Ecco, attenzione «e formazione, qualità, condivisione, raffinatezza, coraggio. Sono parole difficili. Ma devono essere le parole del nostro futuro». Magari pronunciate in dialetto. Finisce l’intervista, Pep-pe si ferma un attimo. Pensa che non vuole assolutamente dare l’idea del lamento. Non l’ha data. Poi dice: «Guardo alla Libia e pen-so che noi siamo ormai la loro Svizzera… Che confusione».

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In Quebece poi in EuropaAncora una consacrazione inter-nazionale per Peppe Voltarelli. Parte infatti il 3 marzo il suo tour canadese che in dieci tappe attra-verserà l’intera regione francofona del Quebec. A fargli da anfitrione sarà l’artista italo-canadese Mar-co Calliari. Per Voltarelli si tratta della presentazione ufficiale della versione canadese del disco Ulti-ma notte a Mala Strana che è già stato pubblicato in Argentina e in Francia (dove ha suonato lo scor-so autunno). Al ritorno dal Nord America, Voltarelli partirà subito con la tournée europea che lo ve-drà suonare in tutte le principali città: da Berlino a Praga, da Bru-xelles a Lussemburgo.

«L’handicapdi nascerein una terraperdente»È Peppe Voltarelli, cantautore, musicista, attore, il protagonista di questa settimana del ciclo di incontri con intellettuali, artisti, politici, semplici cittadini meridionali che hanno piccole e grandi esperienze da raccontare alla ricerca di nuove idee, memorie disperse e buone pratiche

Peppe Voltarelli


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