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Tesi Definitiva Remix

Date post: 01-Jul-2015
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[Digitare il no- me dell'autore] [Digitare il nome della so- cietà] [Digitare l'in- dirizzo della società] [Digitare il numero di te- lefono] [Digitare il numero di fax] [Selezionare la data] [Digitare qui il sunto del do- cumento. Il sunto è in genere un breve riassunto del conte- nuto del documento. Digitare qui il sunto del documento. Il sunto è in genere un breve riassunto del contenuto del documento.]
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[Digitare il no-me dell'autore]

[ D i g i t a r e i l n o m e d e l l a s o -

c i e t à ] [ D i g i t a r e l ' i n -

d i r i z z o d e l l a s o c i e t à ]

[ D i g i t a r e i l n u m e r o d i t e -

l e f o n o ] [ D i g i t a r e i l

n u m e r o d i f a x ] [ S e l e z i o n a r e

l a d a t a ]

[Digitare qui il sunto del do-cumento. Il sunto è in genere un breve riassunto del conte-nuto del documento. Digitare qui il sunto del documento. Il sunto è in genere un breve riassunto del contenuto del documento.]

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1-introduzione Il presente lavoro si propone l’interpretazione di dati sismici al fine di ottenere una correlazione geologico-sistematico di ba-cini sedimentari adiacenti al Mar Jonio, il cui scopo è di fornire un quadro geologico semplificato ma esauriente, tale da con-sentire un confronto con le situazioni geologiche osservabili in zone adiacenti, siano esse a terra o in mare. Oltre a costituire un elemento per uno studio integrativo, tale lavoro dovrebbe anche servire come base per pianificare successivi ricerche, mi-rate a investigare particolari problematiche da riportare a scale di maggior dettaglio. Più in generale con l'avvio di questo pro-getto cartografico si persegue un adeguamento alla politica di gestione territoriale e ambientale riguardante anche le aree marine, già operativa in altri paesi europei. E' opportuno ricor-dare che per mari italiani s’intendono tutte le aree marine comprese fra la linea di costa del territorio nazionale italiano (isole comprese) e le linee di mezzeria stabilite o riconosciute in parte ufficialmente con gli stati confinanti (Francia, Spagna, Tunisia, Libia, Malta, Grecia, Albania ed ex-Jugoslavia). Un aiuto rilevante per la realizzazione di questo progetto deriva dal fatto che si può fare riferimento alle esperienze conseguite in questo campo da Servizi Geologici, Enti Petroliferi come l’Eni S.p.A., di altri paesi che hanno avviato ma mai finito progetti di ricerca similari a quello che si propone di elaborare anche per il nostro paese. E' stata importante un'ampia e approfondita disamina e analisi dei progetti di cartografia geologica marina "ufficiale" realizzati o in corso di realizzazione in altri paesi, prendendo in considerazione principalmente quelli di paesi molto attivi e avanzati nel settore della ricerca geologico petrolifera e con una particolare attenzione fra questi e quelli di paesi europei. Quasi tutti i progetti a media scala (in genere 1:200.000-1:250.000), per lo meno quelli più organici e a più ampio respi-ro, prevedono la realizzazione per ogni foglio di carte sia geolo-giche sia geofisiche; in genere le carte geologiche sono almeno due: una che descrive le caratteristiche geologiche (sedimento-logiche e geomorfologiche) del fondo marino e un'altra che traccia la geologia del sottofondo evidenziandone soprattutto l'assetto strutturale e stratigrafico. In questo lavoro mi sono li-mitato ad analizzare dettagliatamente l’ultimo aspetto ovvero un’analisi Geologico sequenziale stratigrafica mostrando anche le caratteristiche biostratigrafiche dell’area introducendo an-che un possibile lavoro su base fisica eseguito su piattaforma Matlab. Tutto questo tenendo in considerazione che in gran parte delle aree marine (es. piattaforme continentali, margini continentali, bacini sui margini o profondi, piane batiali e abis-sali) la sedimentazione è intensa e continua nel tempo, per cui spessori anche di diverse centinaia o migliaia di metri di sedi-menti ricoprono i termini e le strutture geologiche più antiche. L'assetto geologico del fondo marino è quindi indicativo solo dei processi geologici più recenti (in genere tardo pleistoceni-co-olocenici). Per conoscere invece l'evoluzione geologica dell'area da tempi più antichi occorre riferirsi a dati rilevati nel

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sottofondo marino. si presenta anche per la maggior parte del-le aree marine italiane che sono caratterizzate da ampie zone di piattaforma (Mare Adriatico, Canale di Sicilia, Arcipelago To-scano) e di scarpata continentali. 2 – Scelta delle unità stratigraficheda rappresentare I margini continentali centro Mediterranei sono stati oggetto di numerosi studi di geologia marina durante gli ultimi cinquanta anni. Si tratta d’indagini eterogenee che hanno prodotto una base di dati ingente, ma piuttosto disomogenea e di non facile utilizzo. Durante questo periodo sono stati raccolti dati con scopi diversi e metodi soprattutto convenzionali (sismica a me-dia risoluzione e registrazione analogica monocanale e cam-pionature tramite carotiere limitate ai primi 4 o 5 metri del sot-tofondo marino). I risultati di questa fase di studi sono stati presentati nella maggior parte dei casi in modo descrittivo e con scarsa attenzione alla natura dei processi sedimentari e al loro potere di preservazione nella registrazione geologica. An-che per questa ragione il confronto tra zone diverse, fino ad ora poco immediato, può essere facilitato da un approccio mul-tidisciplinare basato sull'utilizzo della stratigrafia sequenziale. Un altro problema riguarda la rappresentazione dei corpi geo-logici che affiorano in aree dove la sequenza deposizionale tar-do-quaternaria non è presente; ciò avviene in aree soggette a erosione e sottoalimentate durante il tardo Quaternario o su margini continentali interessati da notevole attività vulcanica. In questi casi potrebbero essere distinti e cartografati tre tipi di depositi: a) depositi sedimentari più vecchi della sequenza deposizionale tardo quaternaria (per la suddivisione dei quali si adottano cri-teri lito e cronostratigrafici con definizione di Unità a grande scala) ; b) depositi vulcanici e vulcanoclastici (suddivisibili per età e composizione) c) rocce cristalline (suddivisibili per età e composizione), in questo lavoro si prenderà in esame solo il primo punto ovvero un’analisi di dettaglio sulla stratigrafia sequenziale; 2.1.1. - Unità stratigrafiche e stratigrafia sequenziale Allo scopo di suddividere e rappresentare in carta i depositi se-dimentari sui margini continentali italiani si potrebbe scegliere un approccio simile a quello adottato dalla cartografia terrestre basato sul riconoscimento di unità litostratigrafiche, inquadrate cronostratigraficamente (Formazioni e altre unità di rango ge-rarchico inferiore o superiore). La definizione di un’unità lito-stratigrafica si basa sulle differenze dei caratteri litologici e di facies rispetto alle altre unità con cui essa viene a contatto la-teralmente e/o verticalmente. Così individuata, ogni unità è poi collocata nel tempo geologico attraverso il riferimento a unità geocronologiche e cronostratigrafiche. Ciò si ottiene attraverso

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metodologie di varia natura (biostratigrafiche, magnetostrati-grafiche, geochimiche, radiometriche, etc.) su campioni presi all'interno di ogni unità litostratigrafica senza una particolare attenzione alla natura e al significato cronostratigrafico dei li-miti fisici che la definiscono. Un determinato intervallo di tem-po sarebbe così registrato da una o più unità di spessore ed estensione areale variabili. Un passo ulteriore potrebbe essere quello di riconoscere superfici di non conformità estese a scala regionale delimitanti corpi rocciosi complessi costituiti all'in-terno da una o più unità litostratigrafiche; le unità definite sulla base di limiti non conformi prendono il nome di Unconformity Bounded Stratigraphic Units (UBSU). Queste unità hanno un si-gnificato genetico legato alla natura delle superfici che le deli-mitano; in questo senso esse concettualmente comprendono una vasta gamma di unità stratigrafiche, tra cui le unità ciclo-stratigrafiche. Queste ultime si differenziano in base al tipo di ciclicità che le caratterizza (eustatico, climatico, tettonico). L'u-tilizzo a fini cartografici delle unità ciclostratigrafiche, in parti-colare delle sequenze deposizionali, è al momento ancora piut-tosto difficile nel campo della geologia di superficie, per quel margine ancora ampio di soggettività che ne caratterizza la de-finizione, soprattutto in mancanza di riferimenti temporali cer-ti. L'adozione dei concetti guida della stratigrafia sequenziale nell'esecuzione dei rilievi cartografici viene comunque viva-mente consigliata dalla Commissione CNR per la Cartografia Geologica e Geomorfologica, riconoscendone la potenzialità per una migliore comprensione dei rapporti spazio-temporali dei corpi geologici. La situazione delle aree marine italiane è di-versa rispetto alle aree terrestri; le aree marine sono, infatti, in larga misura caratterizzate dalla presenza di depositi tardo qua-ternari, raramente deformati e ben inquadrabili mediante op-portune metodologie (sismica ad alta risoluzione e datazioni assolute) in quadri temporali definiti; questi depositi notoria-mente registrano i vari eventi eustatici e climatici tardo-quaternari; per questi motivi un progetto che ne prevede la rappresentazione cartografica costituisce un'occasione quasi unica per sperimentare la potenzialità delle unità stratigrafico sequenziali. La principale unità cartografabile su cui si basa la stratigrafia sequenziale è la sequenza deposizionale, definibile come l'insieme dei depositi sedimentari che si formano durante un ciclo completo di variazione relativa del livello del mare; i limiti sono costituiti da superfici di discontinuità e da superfici di continuità a esse correlabili, che si formano durante le fasi di abbassamento relativo del livello del mare. All' interno di una sequenza le varie fasi del ciclo sono definite dalla risposta dei sistemi deposizionali o meglio dei tratti di sistemi contempora-nei (systems tracts); si possono così definire in modo relativa-mente oggettivo delle sottounità che hanno una precisa conno-tazione genetica e temporale; queste sottounità stratigrafico sequenziali costituiscono i corpi sedimentari più utili ed espres-sivi per la rappresentazione cartografica. Si tratta, infatti, di unità rigidamente inquadrabili dal punto di vista temporale e all’interno delle quali sono facilmente definibili i vari sistemi

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deposizionali; questi ultimi corrispondono in ultima analisi a unità litostratigrafiche (Formazioni), che possono essere quindi definite e rappresentate cartograficamente, realizzando un le-game concettuale e pratico con l’approccio cartografico terre-stre. Seguendo tale approccio ad esempio, i depositi di stazio-namento alto (HTS) tardo-olocenici sarebbero suddivisi in tre unità formazionali con limiti eteropici: argille e sabbie conti-nentali, sabbie costiere o di foce, argille di pro delta (vedi Le-genda). Sarebbe di conseguenza possibile che un deposito co-me i fanghi di pro delta che circondano in continuità ampi tratti delle coste italiane siano artificiosamente separati e rinominati in modi diversi in aree geografiche diverse; ne risulterebbe un proliferare di nomi non necessario o controproducente. La fig. 1 schematizza i rapporti tra systems tracts e i vari tipi di unità stratigrafiche più usati nella cartografia terrestre. In questo quadro e in base alle esperienze acquisite sui margini continen-tali che circondano il territorio nazionale, si propone di utilizza-re la stratigrafia sequenziale come metodo per caratterizzare e confrontare tra loro le successioni stratigrafiche tardo quater-narie sui margini continentali italiani. Quest’approccio offre tre vantaggi principali: - permette di stabilire una relazione stratigrafica e genetica tra depositi messi in posto in diversi ambienti deposizionali entro domini fisiografici distinti su uno stesso margine continentale (ambiente continentale, costiero/paralico, di piattaforma, di scarpata e di bacino) - consente una maggiore uniformità semantica - facilita la correlazione e il confronto tra zone geograficamente distinte e il riferimento ad altri margini continentali extra medi-terranei. 2.1.2. - Risoluzione sismica ed espressione sedimentologica del-le superfici guida Le superfici guida costituiscono i limiti fisici che permettono di definire e suddividere al proprio interno un ciclo deposizionale: superficie di trasgressione (che marca l'inizio della risalita rela-tiva di livello del mare su un margine), superficie di massima inondazione (che registra il massimo spostamento verso terra della linea di riva) e la superficie di esposizione subaerea for-matasi durante condizioni di caduta di livello del mare. Altre superfici significative sono quella di ravinement (SWIFT, 1975; DEMAREST & KRAFT, 1987; NUMMEDAL & SWIFT, 1987) e quel-la regressiva di erosione sottomarina (PLINT, 1988). Entrambe queste superfici (fig sono formate da erosione da parte della spiaggia sommersa (shoreface) in condizioni rispettivamente trasgressive e regressive; queste superfici, spesso di più facile identificazione rispetto ad altre, possono essere presenti all'in-terno dei systems tracts e non hanno significato cronostratigra-fico poiché sono diacrone. Altre superfici possono formarsi per erosione sottomarina per opera di correnti di fondo; tali super-fici anche se di grande estensione regionale non trovano un’ovvia posizione in nessuno degli schemi stratigrafici che si

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sono sviluppati dalla stratigrafia sismica (CHRISTIE-BLICK, 1991). La correlazione a scala regionale di superfici fisiche di di-scontinuità stratigrafica alla base e all'interno della sequenza deposizionale tardo-quaternaria rappresenta il punto di par-tenza per l'individuazione dei corpi geologici da cartografare e per la pianificazione di una strategia di campionatura del sotto-fondo marino mirata a risolvere problemi stratigrafici e a carat-terizzare gli ambienti deposizionali. A questo scopo ci si riferi-sce a corpi sedimentari sismicamente risolvibili e non a sedi-menti superficiali. Su questa base, depositi definibili solo in ca-rota e non risolvibili in sismica ad alta risoluzione non sono rappresentati in carta, ma considerati come semplici superfici fisiche. In generale, si stabilisce come limite pratico per la riso-luzione verticale quello che deriva dall'utilizzo di subbottom a 3,5 kHz standard; tale limite varia in funzione della lunghezza dell'impulso del segnale trasmesso (tipicamente da 1 a 4 me-sci.) e aumenta con il crescere della profondità che si vuole raggiungere (piattaforma, scarpata o bacino profondo). In piat-taforma ad esempio 10-40 cm di sabbie bioclastiche associate alla superficie di ravinement (T RINCARDI et ali, 1994) non sono cartografabili, mentre in bacino il limite di risoluzione aumenta al punto che un drappeggio di fango di 1-2 m non è risolvibile in assenza di carote (T RINCARDI & FIELD, 1992; M ONGARDI, 1994). 3.1 – La Sequenza Tardo Quaternaria La suddivisione stratigrafica proposta deriva dal tipo di dati uti-lizzati in geologia marina (prevalentemente rilievi di sismica a riflessione con carotaggi di taratura) e dal metodo d’interpretazione (stratigrafia sequenziale ad alta risoluzione); i corpi geologici che sono rappresentati sono i systems tracts della sequenza deposizionale tardo-quaternaria. La legenda prevede una matrice che definisce ogni corpo cartografabile in base a due criteri: a) la posizione stratigrafica relativa ai corpi sotto e soprastanti; b) le facies e gli ambienti deposizionali da cui ogni systems tracts è costituito. Il primo tipo di classificazione è realizzato attraverso l'utilizzo di colori, il secondo tipo di classificazione può essere sovrapposto al precedente utilizzando simboli grafici. In particolare, entro la sequenza deposizionale tardo quaternaria ci si deve proporre di individuare e caratterizzare sistemi deposizionali riferibili a fasi rispettivamente di: (1) caduta del livello del mare (Falling sea-level systems tracts, HELLAND HANSEN & GJELBERG, 1994) (2) stazionamento basso del livello del mare (Lowstand systems tracts) e relative suddivisioni interne ove possibile (POSAMEN-TIER et ali, 1991) (3) risalita di livello del mare (Trasgressive sy-stems tracts, POSAMENTIER & ALLEN, 1993; T RINCARDI et ali, 1994) (4) stazionamento alto del livello del mare (High-stand systems tracts, POSAMENTIER & VAIL, 1988). I systems tracts così definiti verranno da seguito indicati rispettivamente dalle seguenti sigle: FST, LST, TST, HST ( fig. 4 ). La scelta di rappre-

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sentare nella carta superficiale i systems tracts della sequenza deposizionale tardo-quaternaria ( fig. 4 ), in particolare quelli trasgressivo e di stazionamento alto, costituisce un punto di partenza logico e soddisfa le seguenti esigenze: 1) individuare e cartografare corpi deposizionali definiti come oggetti tridimensionali, riferiti alla loro posizione stratigrafica relativa; Fig.1 – Sezioni schematiche riguardo alla profondità A e al tem-po B che evidenziano i rapporti geometrici tra systems tracts e la distribuzione delle facies silicoclastiche all’interno delle se-quenze deposizionali limitate da discontinuità. System tracts:

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SMST= margine di piattaforma; HST= stazionamento alto; TST= trasgressivo; LST=stazionamento basso. Limiti di sequenza: sb2=limite di sequenza di tipo 2; sb1= limite di sequenza di tipo 1. Superfici significative: mfs=superficie di massima inondazio-ne; ts= superficie trasgressiva; sf= conoidi di scarpata; bff= co-noidi di bacino ( I: da VAIL, 1977; C RISTIE-B LICK, 1991 modifi-cati; II: da HELLAND -HANS EN e GIELB ER G, 1994, modificato).

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. Fig.2 – Schematizzazione dei rapporti nei vari tipi di unità stra-tigrafiche più usati nella cartografia terrestre e i system tracts (ZAGWIJN W. H., 1979; 1985; 1989.)

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2) fornire informazioni circa la natura dei sedimenti superficiali attraverso un inquadramento stratigrafico fisico ad alta risolu-zione calibrato con campionature e datazioni assolute di livelli guida, che permette di caratterizzare indirettamente anche i sedimenti superficiali e di comunicare informazioni stratigrafi-che complementari circa la natura dei corpi deposizionali indi-viduati e i processi che ne hanno controllato la deposizione e la preservazione. Su queste basi, inoltre, i sistemi deposizionali ri-costruiti possono essere messi in relazione Alle variazioni del li-vello del mare tardo quaternarie; 3) ottenere informazioni con-frontabili tra tutti i margini della penisola senza essere eccessi-vamente influenzati da aspetti locali o particolari. L'ultima risa-lita di livello del mare tardo quaternaria, con un’escursione di circa 120 metri e un tasso massimo nell'ordine dei 10 metri per 1000 anni (fig.7), ha lasciato un’impronta sull'assetto morfolo-gico e stratigrafico di tutti i margini continentali mondiali. I de-positi associati a tale processo sono fortemente differenziati da zona a zona in funzione dei diversi apporti sedimentari, degli assetti morfologici e dei regimi oceanografici; cartografare questi depositi permette quindi di correlare le superfici guida (erosive o non deposizionali) e confrontare le facies, le geome-trie interne e gli spessori dei depositi che registrano il processo di risalita del livello marino in modo differenziato sui vari mar-gini. 3.1.1. - Componenti principali e rappresentazione cartografica in mare Di seguito sono riassunte le caratteristiche essenziali dei sy-stems tracts associati alle fasi principali dell'ultimo ciclo di flut-tuazione eustatica del livello del mare. Per ogni systems tracts sono brevemente discussi il significato stratigrafico e la rappre-sentabilità in carta. Maggiore enfasi e dettaglio saranno posti nella rappresentazione dei systems tracts di stazionamento alto e trasgressivo; informazioni essenziali riguarderanno quelli di stazionamento basso e caduta del livello marino. Tutti i deposi-ti da cartografare sono innanzitutto riferiti alla loro posizione stratigrafica entro la sequenza tardo-quaternaria. Interpreta-zioni sulla genesi dei corpi deposizionali (basate sulle geome-trie interne, l'espressione morfologica e sulle facies sedimenta-rie) contribuiranno a una migliore caratterizzazione dei systems tracts ma non costituiranno il criterio principale per la rappre-sentazione cartografica. 3.1.2 Depositi di stazionamento alto (Hst) I depositi di stazionamento alto (HST), sono successivi alla fase di massima ingressione marina avvenuta al termine della risali-ta di livello del mare (ca’. 4-5000 anni fa), e presentano i mas-simi spessori in piattaforma interna presso i principali apparati deltizi (ad es.: Po, Tevere, Arno) lungo la costa italiana e si ridu-cono a pochi metri di spessore in piattaforma esterna. Eccezio-

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ni a quest’andamento si trovano su alcuni tratti del margine Adriatico Centrale, Ionico e Tirrenico orientale, dove gli apporti fluviali in condizioni di stazionamento alto del livello del mare sono tali da consentire la deposizione di un drappeggio distale di fanghi in piattaforma esterna e scarpata (a es. piattaforma circostante le Isole Tremiti, CORREGGIARI et ali, 1992; piatta-forma antistante al delta del fiume Sele, T RINCARDI & FIELD, 1991, piattaforma a Nord-Ovest del delta del Tevere, T RIN-CARDI & NORMARK, 1988; BELLOTTI et ali, 1994). Nel caso di apporti estremamente abbondanti si osserva deposizione tur-biditica e costruzione di apparati di argine/canale in scarpata e bacino (a es. Conoide del Crati, RICCI LUCCHI et ali, 1984). Nell'esempio del bacino Adriatico, la distribuzione degli spesso-ri dei depositi di stazionamento alto è influenzata dagli apporti (Po e fiumi minori) e dalla circolazione geostrofica che ridistri-buisce i sedimenti parallelamente alla costa italiana, da NO ver-so SE, prevenendone la dispersione verso il centro del bacino (fig.8). Un’interazione tra la distribuzione degli apporti fluviali e il regime oceanografico è stata osservata anche su altri margini della penisola italiana, quale ad es. il margine tirrenico orienta-le (delta del Tevere, T RINCARDI & NORMARK, 1988; delta del Sele, T RINCARDI & FIELD, 1991). Depositi Trasgressivi (TST) I depositi trasgressivi (TST) originatisi in ambiente continentale, costiero-paralico o marino durante le fasi successive della risali-ta di livello del mare tardo-quaternaria appaiono generalmente ridotti di spessore e studiabili con metodi sismici ad altissima risoluzione e campionature tramite carotaggio. In aree di piat-taforma caratterizzate da basso gradiente (a es. piattaforma adriatica), al procedere della risalita del livello del mare la tra-slazione verso terra dei sistemi deposizionali associati all'am-biente costiero e paralico è massima (tipicamente da 10 a 20 km per ca. 10 m di innalzamento del livello del mare). I margini continentali della penisola Italiana documentano la variabilità delle facies e delle geometrie interne allo TST tardo-quaternario e dell’espressione sedimentologica delle superfici guida che lo delimitano al tetto e alla base (T RINCARDI et ali, 1994). La fig.8 rappresenta un esempio di mappa strutturale della Ravinement surface (Rs) che all'interno del TST separa depositi paralici, sottostanti, da depositi marini, sovrastanti (fig.5). La Rs si forma per il processo di ritiro erosivo dello sho-reface in funzione della variazione del rapporto tra tasso di ri-salita del livello del mare relativo e tasso di variazione degli ap-porti (NUMMEDAL & SWIFT, 1987; T HORNE & SWIFT, 1991). Si noti che nella maggior parte dell'area adriatica tale superficie coincide con quella di massima inondazione (maximum floo-ding surface) per la mancanza di depositi marini attribuibili allo TST (fig.5). 3. 1.3 Depositi di stazionamento alto (Lst) I depositi originatisi durante lo stazionamento basso del livello del mare durante l'ultimo episodio glaciale quaternario (Stadio Isotopico) possono essere schematicamente suddivisi dal basso

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verso l'alto stratigrafico in: depositi da trasporto in massa, si-stemi torbiditici di base di scarpata e cunei progradazionali di margine di piattaforma. Tipicamente, ogni settore di margine non comprende tutti e tre i tipi di depositi ma solo uno o due. Lo sviluppo di ognuno dei tre tipi di depositi di stazionamento basso è funzione dell'assetto morfologico e del regime degli apporti clastici. I depositi da trasporto in massa tendono ad avere grande estensione areale e appaiono caratterizzati da ri-flessioni caotiche o trasparenza acustica, base erosiva e spesso-ri da alcuni metri a molte decine di metri. Tipici esempi di que-sti depositi provengono dalla parte più profonda della Depres-sione Meso Adriatica (T RINCARDI et ali, 1994) e da alcuni baci-ni peri tirrenici (T RINCARDI & NORMARK, 1988; M ONGARDI et ali, 1994). Sistemi torbiditici di base di scarpata sono caratteriz-zati da rilievi deposizionali di limitata estensione areale e cana-lizzati nella porzione prossimale; argini costituiti prevalente-mente da sedimenti fangosi possono essere associati ad alcuni canali più stabili nel tempo o caratterizzati da un maggiore ap-porto di sedimenti fini. Esempi di questo tipo di depositi di sta-zionamento basso provengono soprattutto da margini fisiogra-ficamente immaturi in aree caratterizzate da ingenti apporti sedimentari durante il Quaternario (ad es.: Bacino di Paola, Tir-reno Orientale). Cunei progradazionali di geometria varia carat-terizzano ampi settori di margine di piattaforma continentale; cunei progradazionali di questo genere possono comprendere anche le prime fasi di risalita relativa di livello del mare, in zone sottoposte a grandi apporti clastici. In questo caso sarà eviden-te una componente di aggradazione verticale nella regione dei topsets e una tendenza al progressivo spostamento verso terra dell'onlap costiero. Il bacino Adriatico presenta un esempio di cuneo progradazionale caratterizzato da dimensioni ingenti (circa 200 km di progradazione da Nord verso Sud per uno spessore di 250 m, T RINCARDI et ali, 1994). Cunei prograda-zionali di minore entità ma analoga collocazione temporale provengono da settori del margine Tirrenico Orientale (M ARANI et alii, 1986). Rappresentazione in carta: i depositi di stazionamento basso saranno rappresentati soltanto in forma schematica allo scopo di identificare la possibile linea di riva al termine del periodo glaciale e perciò all'inizio della risalita rela-tiva del livello del mare. Poiché il riconoscimento e la correla-zione fisica della base di questi depositi sono in molti casi con-troversi (così come la datazione precisa dei depositi immedia-tamente soprastanti a essa), non si ritiene possibile ottenere l'elaborazione di carte delle isocronopache per questi depositi in modo sistematico. Il tipo di deposito di LST potrà essere messo in luce attraverso la scelta di simboli grafici diversi. 3.1.4 Depositi di caduta del livello del mare (Fst) E' noto che i cicli di variazione relativa di livello del mare duran-te il Quaternario sono caratterizzati da cadute relativamente lente e discontinue e da risalite molto più rapide. Circa il 90% del tempo durante cicli di questo genere è assorbito da fasi di

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caduta e stazionamento basso del livello del mare. I margini continentali Mediterranei presentano numerosi esempi di de-positi di caduta che possono essere caratterizzati da geometrie, spessore, estensione areale e litologie estremamente diverse (T ESSON et ali, 1990; T RINCARDI & FIELD, 1991; HERNANDEZM OLINA et ali, 1994). Si tratta di depositi progradazionali messi in posto attraverso un meccanismo di regressione erosiva (CUR-RAY, 1964) o forzata (POSAMENTIER et ali, 1992) riconoscibile per il progressivo spostamento verso mare e verso il basso dell'onlap costiero. Questi depositi possono essere tra loro contigui o separati da una zona di non deposizione e trasporto quasi estesa. Nel primo caso i depositi di regressione forzata rappresentano un continuum che inizia con la progradazione di stazionamento alto e termina con lo stazionamento basso. Rappresentazione in carta: nel caso di depositi di regressione forzata è virtualmente impossibile definire un limite fisico più importante degli altri alla base di unità progradazionali che rappresentano fasi successive di caduta; in questo contesto sa-rà perciò preferibile mappare l'estensione del deposito di cadu-ta più recente allo scopo di meglio approssimare la posizione raggiunta dalla linea di riva al termine della caduta di livello del mare. Limit i di sequenza Si definiscono due tipi di limiti di se-quenza in funzione del rapporto tra tasso di caduta di livello del mare e tasso di subsidenza al ciglio della piattaforma (VAIL et ali, 1984; POSAMENTIER & ALLEN, 1993): limiti di tipo 1 si for-mano dove e quando il tasso di caduta eustatica supera il tasso di subsidenza e si ha esposizione subaerea dell'intera piatta-forma continentale; limiti di tipo 2 caratterizzano margini in cui la subsidenza in piattaforma esterna è superiore al tasso di ca-duta di livello del mare e parti in parte estese della piattaforma rimangono sommerse e soggette a deposizione I limiti di tipo 1 sono caratterizzati da più estesi fenomeni di incisione fluviale. Rappresentazione in carta: i margini continentali centro medi-terranei offrono esempi di entrambi i tipi di limiti di sequenza. Qualora presenti, le incisioni fluviali vanno rappresentate per definire l'estensione dell'erosione subaerea. 3.2 - Analisi di facies e rappresentazione schematica degli am-bienti deposizionali Tutti i systems tracts all'interno della sequenza deposizionale tardo-quaternaria contengono idealmente depositi caratteriz-zati da facies riconducibili ad ambienti deposizionali continen-tali, costieri-paralici, di piattaforma e marini profondi. Le super-fici guida che costituiscono la base e il tetto dei systems tracts possono avere espressioni sedimentologiche estremamente variabili da zona a zona a seconda delle differenze tra le facies che vengono a trovarsi a contatto diretto, e della presenza ed entità di processi erosivi a esse associati. La revisione di tutti i dati (pubblicati o in possesso dell'Istituto di Geologia Marina di Bologna) sulla sequenza deposizionale tardo-quaternaria sui margini italiani documenta la massima complessità e variabilità delle facies entro i depositi trasgressivi. La normativa per il fo-

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glio superficiale prevede maggiore enfasi nella caratterizzazio-ne delle facies entro i depositi trasgressivi e di stazionamento alto. Dove possibile, saranno caratterizzate anche le facies dei depositi di stazionamento basso o caduta di livello del mare. La determinazione delle età dei depositi entro i vari systems tracts si baserà principalmente sull'utilizzo di dati già reperiti dai vari cutting nei siti investigati dall’Eni S.p.A. La rappresentazione schematica delle età così ottenute sarà riferita all'andamento delle linee di riva riconoscibili a fasi particolari della caduta o della risalita del livello del mare in carta tematica ottenuta tramite l’applicazione del software Seismic Micro Technologies attraverso un’analisi in dettaglio di sismica 3D. 4.0 - Depositi continentali Depositi continentali possono essere presenti sul fondo o nell'immediato sottofondo soprattutto in zone di bassa pro-fondità soggette a esposizione subaerea durante i periodi gla-ciali quaternari. Si tratta principalmente di depositi di piana al-luvionale all'interno dei quali sono riconoscibili sistemi fluviali, caratterizzati da depositi canalizzati con alvei incisi e argini rile-vati sulla pianura circostante. Le zone di interfluvio sono carat-terizzate dalla formazione di suoli. I riempimenti delle incisioni fluviali possono essere caratterizzate da sedimenti di granulo-metria estremamente variabile (in funzione della litologia degli apporti, della lunghezza del percorso fluviale, del clima, della tettonica ecc.) e da geometrie di riempimento riconducibili a depositi di meandri o braided. Tali geometrie possono essere riconosciute su profili sismici di buona risoluzione. Ovviamente, i depositi continentali riconoscibili entro la sequenza deposi-zionale tardo-quaternaria in mare appartengono essenzialmen-te ai systems tracts di stazionamento basso e a quello trasgres-sivo. 4.1- Depositi paralici e costieri I sistemi deposizionali costieri e paralici presentano una gran-dissima variabilità morfologica e di stile deposizionale. Tale va-riabilità riflette diversi bilanci tra i sedimenti disponibili, quanti-tà e tipo, e il regime oceanografico (dominato da onde, maree o misto). Il Mediterraneo è caratterizzato in genere da un re-gime microtidale e la grande maggioranza dei sistemi costieri sui margini italiani è dominata dalle onde. Depositi costieri e paralici possono teoricamente formarsi in ogni fase di un ciclo di fluttuazione del livello del mare relativo ma sono caratteriz-zati da facies differenti; sistemi regressivi si formano in condi-zioni di caduta di livello del mare (regressioni forzate, POSA-MENTIER et ali, 1992) o quando gli apporti sono tali da contro-bilanciare il tasso di risalita relativa di livello del mare. Sistemi trasgressivi in zone precedentemente di pianura alluvionale che sono progressivamente annegate, sono sottoalimentati e caratterizzati dalla presenza di in parte estesi ambienti interti-dali e subtidali nella zona di retrospiaggia. Questi sistemi sono particolarmente presenti nel TST. In questa fase gli alvei fluviali

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incisi dai fiumi durante la precedente esposizione subaerea del-la piattaforma sono annegati e danno luogo a sistemi di estua-rio. In molti casi una componente rilevante del riempimento di estuari e lagune proviene da mare ad opera di correnti lungo costa, maree e tempeste. 4.2 -Depositi di piattaforma I sedimenti che caratterizzano le piattaforme continentali at-tuali possono essere ricondotti a tre tipi principali: sedimenti depositatisi in una fase in cui la linea di riva era più a mare ri-spetto alla posizione attuale e successivamente annegati (se-dimenti relitti) o annegati ma successivamente rielaborati ad opera di correnti onde di tempesta o maree (sedimenti palinse-sti) e sedimenti riconducibili al HST tardo quaternario in equili-brio con i processi attuali. Durante lo stazionamento alto tardo quaternario un cuneo progradazionale fangoso costituito da sedimenti fini intensamente bioturbati caratterizza ampi settori dei margini italiani. All'interno di questo possono talora essere parzialmente preservati depositi di piena fluviale (fanghi omo-genei ricchi in frustoli vegetali e materia organica) o di tempe-sta (lags più grossolani a conchiglie). Analoghe facies fangose di piattaforma/scarpata possono depositarsi entro gli altri sy-stems tracts. A causa della generale sottoalimentazione che ca-ratterizza i sistemi costieri durante le fasi di risalita di livello del mare, tuttavia, queste facies sono meno sviluppate in spessore all'interno del TST. Zone di piattaforma che non ricevono ap-porti durante fasi particolari del ciclo tardo quaternario tendo-no a sviluppare depositi o concrezioni biogenici di spessore ri-dottissimo (in genere inferiore al metro) assimilabili a superfici condensate o di omissione stratigrafica. Esempi di questo tipo di depositi provengono da ampi settori di margine continentale rimasti privi di apporti clastici durante fasi dell'ultima risalita del livello marino (M argine Tirrenico Orientale, T AVIANI & T RINCARDI, 1987; M ARANI et ali, 1988; M ONGARDI, 1994; Ba-cino Adriatico: STEFANON, 1981; CORREGGIARI et ali, 1995; Canale di Sicilia: COLANTONI et ali, 1985). 4.2 Depositi marini profondi Zone di scarpata, bacino o rilievo sottomarino risentono in mo-do meno diretto delle fluttuazioni di livello del mare durante il Quaternario. Sulla base dei dati di carotaggio acquisiti negli ul-timi 30 anni in tutto il Mediterraneo appare chiaro che in gene-re l'ultima risalita di livello del mare e il successivo periodo di stazionamento alto sono rappresentati da sedimenti argillosi in drappeggio. Questi depositi sono spesso al limite o sotto il limi-te della risoluzione dei profili 3.5 kHz e appaiono perciò difficili da mappare in assenza di carotaggi. Eccezioni a questa situa-zione si osservano in aree di instabilità gravitativa (T RINCARDI & FIELD, 1992; M ONGARDI, 1994; M ONGARDI et ali, 1995) o deposizione torbiditica (e.g.: Conoide del Crati, RICCI LUCCHI et ali, 1984). In aree dove i depositi trasgressivi e di stazionamen-to alto tardo quaternari sono ridotti a un sottile drappeggio di

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sedimenti pelitici (fino a uno spessore massimo di 2 m), ver-ranno cartografati i diversi sistemi deposizionali formatisi du-rante il periodo immediatamente precedente la risalita di livel-lo del mare. Di sotto i depositi di drappeggio superficiali, infatti, si possono distinguere, e rappresentare in carta, quattro tipi principali di depositi: 1) depositi torbiditici di varia natura (rife-ribili a elementi deposizionali specifici come sistemi argine ca-nale, lobi, o depositi non canalizzati distali) 2) depositi da tra-sporto in massa 3) depositi originati da correnti di fondo e cor-relative superfici erosive o condensate 4) depositi di drappeg-gio pelagico. 5.1 Forme di Fondo a grande scala in piattaforma, scarpata e bacino Forme di fondo a grande scala sono presenti in alcune aree di piattaforma e scarpata continentale e bacino; queste sono co-stituite da sedimenti di granulometria varia: da accumuli fango-si in bacini di scarpata influenzati dal passaggio di correnti di fondo (mud drifts, M ARANI et ali, 1992) ad accumuli di sabbia rimaneggiati dopo il loro annegamento trasgressivo in zone di piattaforma (CORREGGIARI et ali, 1995). La presenza di forme di fondo fornisce, qualunque siano la collocazione fisiografica e il contesto stratigrafico, informazioni circa importanti variazioni del regime oceanografico su un dato margine. Per questa ra-gione è necessario, nell'ambito della cartografia a scala 1:250.000, segnalarne la presenza e l'orientazione prevalente. Dove consentito dal contesto geologico, è necessaria la cam-pionatura diretta di tali depositi e la caratterizzazione delle fa-cies al loro interno, la descrizione delle geometrie interne in base a profili sismici ad alta risoluzione e la definizione della batimetria qualora si tratti di depositi non coperti da unità più recenti. 5.1.2 Depositi da trasporto gravitativo e systemtracts Depositi gravitativi di varia natura, organizzazione interna ed estensione areale sono riconoscibili nelle successioni tardo-quaternarie di tutti i margini continentali della penisola Italia-na. La messa in posto di depositi gravitativi può, infatti, avveni-re in condizioni di stazionamento basso, risalita relativa o sta-zionamento alto del livello marino (GALLOWAY et ali, 1991; CORREGGIARI et ali, 1992; T RINCARDI & FIELD, 1992). Questi depositi saranno rappresentati in base all'età di messa in posto indipendentemente dall'interpretazione del processo specifico di trasporto (interpretazione che sarebbe comunque in molti casi congetturale, a causa dei limiti inevitabili nell'acquisizione dei dati in mare). Infine, nella carta 1:250.000 non saranno rappresentati depositi da trasporto in massa che siano indivi-duati su un solo profilo sismico e la cui posizione stratigrafica non sia definita a causa della limitata risoluzione verticale e areale nei rilievi di sismica a riflessione. A questo proposito oc-corre ricordare che, dati questi limiti di risoluzione, sui margini

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continentali attuali sono risolvibili soltanto depositi gravitativi di estensione areale e spessore molto maggiori di quanto ri-scontrato in equivalenti osservati in affioramenti di campagna (WOODCOCK, 1979). 5.2 – Depositi sedimentari più antichi della sequenza deposizio-nale tardo quaternaria Alcuni settori dei margini continentali che circondano la peni-sola e le isole sono caratterizzati dalla presenza di affioramenti di depositi sedimentari di età e composizione varia. Questi de-positi saranno schematicamente rappresentati secondo i criteri definiti per la carta geologica del sottofondo. In generale, sa-ranno riportate informazioni essenziali circa l’età (usando i co-lori convenzionali stabiliti per i vari piani geologici) e la natura dei depositi sedimentari suddivisi in tre gruppi principali: silico-clastici, carbonatici, evaporitici (usando simboli da sovrapporre ai colori). 5.3 – Apparati vulcanici e depositi vulcanoclastici Una parte significativa dei mari italiani risente in modo diretto o indiretto dell'attività vulcanica, particolarmente intensa an-che durante il Quaternario. Nei fogli che comprendono aree particolarmente interessate da apparati vulcanici o depositi la-vici la rappresentazione cartografica sarà molto sintetica e ten-derà a riportare estensione areale di prodotti caratterizzati da età e/o composizione diversa. I dati petrografici e geocronolo-gici necessari a questo scopo saranno desunti principalmente da bibliografia. L'attività esplosiva di alcuni apparati può dare luogo a depositi di tefra, cioè depositi vulcanoclastici di grande estensione areale e spessore variabile. Questi depositi possono essere mappati sulle carte tematiche relative al systems tracts entro il quale sono rinvenuti attraverso carte delle isopache in cm desunte da dati di carotaggio. Questo tipo di rappresenta-zione ha il vantaggio di essere schematico, inquadrato tempo-ralmente e indicativo della direzione di dispersione del deposi-to; informazioni circa la composizione del deposito e l'apparato di provenienza possono essere rappresentati da una sigla e/o da un simbolo grafico. Ad esempio, il deposito di tefra pliniano del 79 AD emesso dal Vesuvio può essere rappresentato su tut-to il margine tirrenico orientale dal Golfo di Napoli a Capo Vati-cano con curve di ugual spessore interpolate da tutti i dati di carotaggio disponibili, nella carta tematica relativa all'HST. 5.4. – Rocce Ignee e Metamorfiche In alcuni settori dei margini continentali italiani, soggetti a più intensa deformazione tettonica e non alimentati da apporti se-dimentari durante il ciclo tardo-quaternario, si osservano affio-ramenti rocciosi di estensione areale variabile; questi affiora-menti possono essere costituiti da rocce ignee o metamorfiche. Dati gli scopi del seguente lavoro se individuati sarà sufficiente

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procedere a una loro differenziazione semplificata in base alla composizione litologica e all’età. 5.5. – Aquisizione , Elaborazione e rappresentazione di dati L'elaborazione della carta geologica superficiale in ogni data area si basa quindi sull'integrazione di informazioni provenienti da tre tipi di fonti principali: lavori pubblicati, dati non pubbli-cati, elaborazione e interpretazione progettuale di dati "ad hoc". Il primo tipo di informazione è eterogeneo per approccio concettuale e disomogeneo per distribuzione areale; informa-zioni utili preliminari possono essere acquisite da una vasta let-teratura filtrando interpretazioni che appaiono a volte con-traddittorie, allo scopo di estrarre i dati oggettivi disponibili in ogni data area e pianificare in modo più efficiente l'acquisizione che nuovi dati. Il secondo tipo di dati si tratta di dati di tipo geofisico, batimetrico e di campionatura dei sedimenti superfi-ciali ottenuti da istituti di ricerca (Università, Eni S.p.A.) nell'a-rea corrispondente a uno o più fogli geologici ma con scopi e metodi diversi; poiché molte campagne in mare da parte di Isti-tuti di Ricerca nel corso degli anni '70 e '80 non hanno portato alla pubblicazione dei dati se non fino ad oggi con questo lavo-ro. Pozzetti geognostici e site surveys in zone di interesse per compagnie petrolifere rappresentano dati non pubblicati che risultano essere particolarmente utili per la preparazione del foglio superficiale. Sulla base dei dati pubblicati e non pubblica-ti o confidenziali in una data zona si procede all'acquisizione di nuovi dati geofisici batimetrici e di campionatura: la densità con la quale questi nuovi dati vanno acquisiti può variare in funzione della copertura già esistente. In generale, è necessario che la maglia dei profili sismici consenta di definire compiuta-mente corpi deposizionali di estensione superiore ad alcuni km. Nel caso di forme di fondo a grande scala (dune o Sand Waves) è necessario aumentare la densità della copertura allo scopo di definirne orientamento e geometria interna discriminando, quando possibile, se si tratti di strutture attive, palinseste o re-litte. La rappresentazione finale può comunque essere molto schematica e riassuntiva. Per le specifiche tecniche relative agli strumenti e alle strategie di lavoro per l'acquisizione di nuovi dati si rimanda alla parte 6. Per quanto riguarda l'acquisizione dei dati di campionatura si ritiene, in generale, preferibile ubi-care i punti di carotaggio sui profili sismici cercando di raggiun-gere tutte le principali unità che si vogliono rappresentare, ca-ratterizzarne le facies e definirne le età relative e, ove possibile, quelle assolute. Campionature distribuite in modo "statistico" su un margine sono da considerarsi sorpassate date le cono-scenze preliminari disponibili, dispendiose in termini di tempo (sia tempo nave che in laboratorio) e dispersive dal punto di vi-sta dell'interpretazione e rappresentazione stratigrafica. In ba-se a quanto fino ad ora discusso potrà darsi il caso che in una data zona la copertura di carotaggi appaia molto disomogenea

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dal punto di vista della copertura areale ma soddisfi l'esigenza di una più completa copertura stratigrafica. 5.5.1 - Carta Principale In base a tutte le considerazioni sopra svolte, la carta principale a scala 1:250.000 dovrà riportare le seguenti informazioni: - linea di costa e batimetria di dettaglio - estensione HST (in piattaforma dove gli spessori sono supe-riori a 2 msec e in scarpata dove c'è presenza di drappeggio ri-solvibile); - estensione TST dove non coperto da depositi più recenti; in scarpata può essere mappato l’onlap marino originatosi duran-te la prima fase di risalita di livello del mare (healing phase); - estensione LST+FST (dove non coperti da depositi più recenti; ad es. Adriatico Centrosettentrionale sulla mezzeria; M argine Cilento-Punta Licosa) con particolare risalto per la fase progra-dazionale immediatamente precedente l'inizio della trasgres-sione e/o all'andamento degli assi delle principali incisioni flu-viali di stazionamento basso; - affioramenti di depositi sedimentari precedenti l'ultimo sta-zionamento basso di livello del mare suddivisi secondo gli schemi adottati per il foglio profondo; - prodotti vulcanici se di facile e chiara interpretazione (colate laviche, apparati vulcanici, caldere ecc.) mappati per grandi raggruppamenti di età e composizione; -analisi di microfossili utili per delimate i limiti di sequenza e dare loro la giusta datazione temporale. Tutti i systems tracts mappati nella carta principale saranno caratterizzati per ambiente deposizionale seguendo i grandi raggruppamenti proposti sopra: depositi continentali, depositi paralici e costieri, depositi di piattaforma e depositi di scarpata e bacino. 5.5.1 - Carta tematiche e schemi stratigrafici Accanto alla carta principale, si prevede anche una carta ag-giuntiva alla scala ‘1:1.000.000’ riportante l'ubicazione dei pro-fili sismici ad alta risoluzione utilizzati ed una alla stessa scala con l'ubicazione dei campioni (qualora questi ultimi non possa-no essere riportati sulla carta principale per ragioni di spazio). Altre carte aggiuntive saranno di tre tipi: 1) carta/e tematiche a scala 1:1.000.000 rappresentano esten-sione, spessori (isocronopache in msec) e facies (schematiche) dei principali systems tracts della sequenza deposizionale tardo quaternaria: rispettivamente il LST, o la superficie erosiva e le incisioni fluviali ad esso equivalenti, il TST, e la superficie di ra-vinement ad esso associata, ed il HST, con eventuali informa-zioni circa l'estensione e le facies dell'ultima parasequenza al suo interno;

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2) una o più carte di dettaglio a scala 1:100.000 per esprimere con massimo dettaglio una o più sottoparti della carta principa-le che siano particolarmente significative per la comprensione dell'assetto stratigrafico recente o della natura dei processi se-dimentari che interessano zone particolari; 3) sezioni geologi-che e schemi interpretativi necessari alla comprensione dei rapporti stratigrafici tra le unità cartografate e le superfici gui-da che le delimitano.

1) Le tre carte tematiche a scala 1:1.000.000 hanno la funzione di rappresentare se presenti i systems tracts che compongono la sequenza deposizionale tardo-quaternaria: HST: su questa carta sarà riportato lo spessore del deposito di stazionamento alto riferito alla carta strutturale della sottostante superficie di massima inondazione. Ove possibile sarà opportuno riportare da bibliografia l'andamento della linea di riva relativa alla fase di massima ingressione marina (per avere un riferimento relati-vo all'inizio della progradazione di stazionamento alto) ed eventualmente l'andamento della linea di riva durante le suc-cessive fasi di progradazione. TST: questa carta riporta gli spes-sori totali dei depositi trasgressivi tra le superfici di trasgressio-ne e massima inondazione; se possibile tali spessori saranno ri-feriti all'andamento della sottostante superficie di trasgressio-ne.

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Fig. 9- Schema semplificato dei principali elementi geologici del Mar Adriatico. Sono evidenziati i fronti della catena appennini-ca e di quella dinarica e la di-stribuzione delle relative avan-fosse. All'interno dell'avanfossa appenninica sono marcati i due depocentri principali. Nel Golfo di Taranto è presente la conti-nuazion meridionale dell'avan-fossa appenninica. (da AR GNANI et alii, 1993). Il profilo di fig.10 è localizzato nel depocen-tro settentrionale.

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6.1- Mare Adriatico 6.1.2 Il mare Adriatico Il mare Adriatico è una zona prevalentemente di mare basso compreso fra la penisola italiana e quella balcanica. Solo nel settore meridionale antistante le coste pugliesi raggiunge pro-fondità elevate (circa 1200 m). Dal punto di vista geologico il mare Adriatico si presenta assai differenziato: la parte occiden-tale costituisce l’avanfossa della catena appenninica, mentre nel lato orientale è presente l’avanfossa della catena dinarica (ARGNANI et ali, 1993). Fra queste due aree si estende l’avampaese relativamente indeformato delle due catene (fig. 9). Le anomalie di Bouguer presentano un minimo a nord del Conero, in continuità con quello che marca l’avanfossa padana, e un altro minimo nella zona di Pescara. Un’altra regione con valori gravimetrici molto negativi è presente sul alto orientale, nell’area adiacenti alle coste albanesi. Le rimanenti aree adria-tiche sono caratterizzati da valori che si discostano di poco da 0; due massimi gravimetrici sono comunque presenti nella zona del Gargano ed in Istria. I valori crostali sono piuttosto omoge-nei su tutta l’area e si aggirano sui 35 km. Un’area con spessore leggermente più elevato si estende a sud del Gargano (NICO-LICH & DAL PIAZ, 1991). La occidentale dell’Adriatico centro-settentrionale è occupata dalla più recente (plio-quaternaria) di una serie di avanfosse originate al fronte della catena appenni-nica e migrate in tempi successivi verso Est (RICCI LUCCHI, 1986). In questa regione la base della successione plio-quaternaria si trova flessurata con pendenza verso la catena appenninica e corrisponde a una forte riflettore sul quale ter-minano in onlap i depositi plio-quaternari costituiti da corpi torbiditici, emipelagici e sedimenti relativi ad apparati deltizi in progradazione (SCHWANDER 1989) (fig.10). L'avanfossa plio-quaternaria adriatica è caratterizzata da due d’epicentri sepa-rati da un'area dove la base del Pliocene è più elevata (AR-GNANI & GAMBERI, in stampa). I due d’epicentri corrispondono alle due zone di minimo delle anomalie di Bouguer e a zone di accumulo sedimentario rappresentato da 4 sec. (in tempi dop-pi) di depositi di avanfossa. Il fronte esterno della catena ap-penninica è inoltre presente nelle zone prospicenti le coste ita-liane. Esso presenta stili strutturali molto variabili (ARGNANI & GAMBERI, in stampa). In alcune aree la deformazione frontale è diffusa su zone abbastanza ampie che passano gradualmente all'avampaese (low strain front end; M ORLEY, 1986) mentre in altre si concentra su una fascia ristretta nettamente separata dall'avampaese indeformato (high strain front end; M ORLEY, 1986). Il settore adriatico orientale è invece occupato dall'avan-fossa della catena dinarica affiorante nella penisola balcanica. Nella sua porzione centro-settentrionale l’individuazione dell’avanfossa dinarica precede il Pliocene. La base dei sedi-menti Pliocenici si trova a scarsa profondità e ha andamento praticamente orizzontale, mentre di sotto a questa superficie è visibile un cuneo di sedimenti che s’inspessisce rapidamente

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verso Est e rappresenta il riempimento dell'avanfossa dinarica di età eocenico-oligocenica ( 6.1.3 Catena Appenninica Si tratta di un complesso edificio a falde di ricoprimento costi-tuito attraverso una serie di fasi tettoniche succedutesi dal Burdigaliano al Pliocene medio. Ognuna delle falde s’identifica con un originario dominio paleogeografico e la loro successio-ne, procedendo da posizioni geometricamente basali verso po-sizioni apicali, è la seguente: Unità della piattaforma inter-media (Abruzzese-Campana) Con tale denominazione sono in-tesi i sedimenti carbonatici che nell'area in esame affiorano in finestra tettonica a M. Te Alpi. Si tratta di una successione cal-carea mesozoica su cui trasgrediscono depositi terrigeni del Serravalliano superiore e del Tortoniano inferiore (OR-TOLANI & TORRE, 1971 ). 6.1.3.1 Unità lagonegresi Nell'ambito di tutta la catena appenninica occupano una posi-zione assiale affiorando estesamente nel lagonegrese e nel po-tentino. Sono costituite da due sub unità, unità lagonegrese I e II (SCANDONE, 1967) rappresentate prevalentemente da una successione di bacino del Trias medio Miocene inferiore ( SCANDONE, 1972 ). Sulle porzioni più esterne che queste unità, già raddoppiate, inizia, nel Langhiano, la deposizione dei sedi-menti del bacino irpino (PESCATORE, 1978 ). L’Unità della piat-taforma interna (Campano-Lucana). Affiorano lungo una fascia che si estende dal massiccio del Pol-lino verso NW ed ancora in Calabria settentrionale in finestre tettoniche di sotto alle unità della catena alpina. Sono rappre-sentate da diverse sub unità tettoniche i cui rapporti sono in par-te noti ed in parte ipotizzabili; ogni sub unità occupava una posizione ben precisa nell'ambito più generale dell'intera piat-taforma. Procedendo da posizioni interne verso posizioni-ni più esterne è possibile distinguere l'unità di Verbicaro, l'unità di S. Donato, l'unità del Pollino, l'unità Timpone Pallo-ne, l'unità M.te Foraporta e l'unità dei M. Ti della Maddalena. In particola-re i rapporti tra l'unità eli Timpone Pallone e le altre unità sa-ranno discussi in seguito. Nel complesso queste unità sono co-stituite da successioni calcareo dolomitiche del Trias medio-Paleogene su cui trasgrediscono sequenze terrì-gene del Mio-cene inferiore. Le porzioni più esterne che questa piattaforma, già tettonicamente sovrapposte, nel Langhiano fungono da margine interno al bacino irpino (PESCATORE, 1978 ). 6.1.3.2Unità irpine Sono designati con questo nome tutti i depositi sedimentatisi, a partire dal Langhiano, in un bacino caratterizzato da fasi com-

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pressive durante tutta la sua evoluzione ed ubicato tra un piat-taforma non ancora deformata ad oriente (piattaforma inter-media) ed una serie di coltri dì ricoprimento tettonicamente giustapposte ad occidente (Pescatore, 1978). Pro-cedendo da posizioni interne è possibile distinguere nell'area in esame: il Flysch di Castel Tevere, caratterizzato da facies , il Flysch di Gorgoglione e la Formazione di Serra Palazzo ed il Flysch di Fae-to. L'insieme delle successioni presentano un'età compresa tra il Langhiano ed il Tortoniano inferiore. In queste unità è stato compreso anche il Flysch numidico sulla base dei suoi rapporti stratigrafici con il Flysch di Gorgoglione e con le Marne arena-cee di Serra Cortina nonché con la Formazione eli Serra Palazzo (LENTINI, 1979). 6.1.3.3 Unità sicilidi Affiorano prevalentemente lungo il margine esterno della ca-tena e costituiscono le unità in posizione geometricamente più elevata. Sono rappresenta-te da depositi essenzialmente argil-losi ed argilloso-calcarei del Cretacico superiore-Miocene infe-riore. Corpi più o meno estesi, costituiti da terreni di queste unità, si ritrovano interposti come olistostromi nelle successio-ni fliscioidi del bacino irpino le quali, per contro, risultano in-tercalate come scaglie tettoniche in seno alle unità sicilidi stes-se. Olistostromi sicilidi si ritrovano anche nelle sequenze torto-niano messiniane del bordo ionico della Calabria settentrionale (OGNIBEN, 1955; 1962; RoDA, 1967) che nel modello propo-sto sono state distinti come unità crotonicli. In quest'ultima unità sono stati collocati anche i terreni della Falda di Cariati i quali erano stati interpretati da Roda (1967) come una prosecuzione verso E dei depositi tortoniani. Con questa denominazione so-no designate una serie di unità tettoniche accavallatesi tra il Cretacico superiore e l'Eocene medio sovrascorse a loro volta, in toto, sulla catena appenninica nel Miocene. In questo ele-mento strutturale che affiora prevalentemente in Calabria set-tentrionale, le unità geometrica-mente più basse sono rappre-sentate da rocce ofiolitiche con relative coperture metasedi-mentarie caratterizzate da gradi di metamorfismo variabili. Tet-tonicamente sovrapposte si ritrovano unità derivanti dalla de-formazione della crosta continentale del paleomargine africano talora con resti eli originarie coperture sedimentarie mesoce-nozoiche. Alla catena alpina sono ascritte anche le unità silen-tine affioranti nel Cilento e lungo il confine calabro-lucano. Queste unità infatti pur non facendo parte in senso stretto del-la catena alpina, ne sono però condizionate strettamente per quel che riguarda la loro evoluzione tettonosedimentaria. L'età delle successioni sedimentarie di questo dominio allo stato at-tuale delle conoscenze è controverso (VEZZANI, 1968a; 1968b; 1970; DE BLASI et al., 1978 ). Sull'intera catena già formata, co-stituita ormai dalla sovrapposi-zione delle unità alpine su quelle appenniniche, trasgrediscono dapprima i sedimenti del Torto-niano-Pliocene inferiore costituiti prevalentemente da depositi molassici e successivamente i depositi del ciclo Pliocene medio

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superiore Pleistocene inferiore dei bacini intrappennìnìci come quello eli S. Arcangelo e della valle del Crati. Depositi più recen-ti sono rappresentati da sedimenti marini terrazzati in vari or-dini e da sedimenti continentali i quali affiorano estesamente nelle depressioni del F. Mercure e del Vallo eli Diano. 7.1 Elementi per l’elaborazione dei Profili Gli elementi utilizzati per la stesura dei profili geologici si basa-no essenzialmente su rilievi dì superficie e, ove è stato possibi-le, sull'analisi dei logs eli perforazioni eseguite per ricerche di idrocarburi. Per quel che riguarda la struttura della catena ap-penninica, essendo questa totalmente occultata nell'area in esame dalle coltri alpine, essa è stata ricostruita assumendo come riferimento situazioni note in Appennino. Il profilo n. l (Tav. I) interessa la porzione più settentrionale dell'Arco cala-bro peloritano dove le coltri alpine sono rap-presentate con esigui spessori; esse sono state raggruppate in due grandi complessi di cui quello geometricamente più basso è rappre-sentato dalle unità ofiolitiche con le relative coperture e dall'u-nità del Frido così come definita da LANZA-FAME et al. (1979). Questo complesso affiora in finestre tettoniche in tutta la cate-na costiera e lungo la dorsale Tar-sia-S. Lorenzo del Vallo; esso è stato rappresentato come un corpo continuo, caratterizzato da spessori decrescenti verso NE, lino alla bassa pianura di Si-bari dove è stato incontrato, per limitate potenze, da sondaggi profondi. Il complesso superiore comprende l'unità di Bagni e l'unità di Polia Copanello ed affiora solo in Catena costiera con spessori massimi di 400 m; è attraversato da sondaggi profon-di, solo per qual-che decina di metri, nella bassa pianura di Si-bari. Le coltri alpi-ne costituiscono solo la porzione pellicolare della catena ca-labrese la quale risulta costituita essenzialmen-te da falde appenniniche le più interne delle quali affiorano in finestre tettoniche nella Catena costiera. Estrapolando i dati noti in Appennino immediatamente a N della traccia del profi-lo, le unità della piattaforma interna sono state distinte in unità di Verbi-caro, unità di S. Donato, unità del Pollino ed unità Tim-pone Pallone. Si ritiene che quest'ultima unità, nota in affiora-mento, possa essere considerata come una sub unità Pollino. Le unità lagonegresi sono state rappresentate nel profilo come un unico complesso indifferenziato. In Appennino tutte le unità finora descritte si ritrovano accavallate su elementi della piat-taforma intermedia a M. Te Alpi (D'ARGENIO et al., 1972) o an-cora più a N a Campagna (TL'RCO, 1976) si è ritenuto pertanto che questo elemento strutturale potesse estendersi anche nel settore interessato dal profilo proposto. Un problema di parti-colare complessità nella stesura del profilo n. l è stato quello eli col-locare le unità irpine, note in letteratura anche come Flysch esterni. Allo stato attuale delle conoscenze sembrerebbe di po-terle rappresentare in posi-zione esterna rispetto alla catena tenendo però presente la loro originaria provenienza. In que-st'ottica le unità irpine sono state collocate al fronte dell'edifi-cio evidenziando comunque anche i parziali accavallamenti tar-

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divi eli elementi della piattaforma intermedia su parte eli que-ste unità. L'elemento geo-metricamente più alto rappresentato nei profili è costituito dalle unità sicilicli la cui superficie di rico-primento è stata estesa fino a suturare il contatto tra le coltri alpine e quelle appenniniche costituite dalle unità della piatta-forma interna; non sono noti infatti affiora-menti di depositi tortoniani, in queste aree, su queste ultime. L'intera catena si trova attualmente accavallata, per almeno 30 km, sull'avam-paese apulo ribassato a gradinata verso l'avanfossa e i cui se-dimenti si ritrovano interposti fino a livelli probabilmente ciel Pliocene mediosuperiore. Il profilo n. 2 ( Tav. I) si estende in di-rezione WSW-ENE da Paola fino alla costa ionica attraversando tutto il massiccio silano dove le coltri alpine assumono spessori considerevoli. Queste sono rappresentate da un complesso in-feriore comprensivo delle unità ofìolitiche e di Frido su cui pog-giano le unità derivanti dalla deformazione del paleomargine continentale africano, le quali sono state distinte in unità eli Bagni, unità eli Castagna ed unità eli Polia Capannello. Il profilo n. 2 interessa nella sua porzione orientale anche l'unità di Lon-gobucco la quale, in quest'area presenta il suo massimo svilup-po. Essa è costituita fra un basamento fillaclico con graniti in-trusi e da due coperture sedimentarie; la prima è rappresenta-ta da una successione prevalentemente terrigena eli età meso-zoica la quale nel Cretacico superiore assume, insieme al suo substrato, il ruolo di margine eli un bacino ubicato su un fronte di catena in compressione in cui si sedimentava una sequenza fliscioide infraterziaria (LANZA-FAME & TORTORICI, 1980). La posizione geometrica di questa unità, allo stato attuale delle conoscenze, è nota solo lungo i suoi margini settentrionali do-ve si ritrova sopra le unità ofìolitiche e viene a sua volta rico-perta dall'unità Polia Copanello (DE Rosa et al., 1981 ). Per quanto riguarda il significato del contatto con l'unità di M. Te Bariglione, così come riportato in Sila da AMO428 GIUSEPPE CELLO ET Ali MORELLI et al., ( 1976), esso non è del tutto chia-ro giacché in parte non presenta alcuna evidenza sul terreno ed in parte perché corrisponde a parziali accavallamenti tardivi ti-po ecaillage AcriCaloveto (DuBOIS, 1976) che interessano o porzioni granitiche della medesima unità o elementi dell'unità Polia Copanello. Sulla base di questi dati e su quelli derivanti da studi eli tipo petrografico sulle provenienze del terrigeno della copertura mesozoica (ZUFFA et al., 1980), tenuto conto dell'as-senza di metamorfismo alpino e considerate le più probabili posizioni paleogeografiche assumibili per questa unità si ritiene che essa viene ad occupare una posizione apicale nell'ambito della catena alpina; successivamente essa viene poi scagliata in sud vergenza durante la costruzione dell'edificio appenninico (Bo-NARDI et al., 1981 ). Per quanto attiene alla catena appen-ninica essa è rappresentata in quest'area dalle unità della piat-taforma interna le quali per analogie con situazioni al con-torno sono state rappresenta-te, dal basso verso l'alto, dall'uni-tà eli Verbicaro, di S. Donato e dall'unità del Pollino; quest'ul-tima, così come le sottostanti unità lagonegresi, è stata traccia-ta per confronti di-retti con il profilo n. l. Un'analisi più partico-

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lareggiata si è resa necessaria per le unità sicilidi le quali, pur non affiorando lungo la traccia del profilo, sono riconoscibili sia come intercalazioni olistostromiche in seno alle successioni mioinfraplioceniche sia come elementi nei depositi clastici in-frapliocenici. Sequenze sicilicli sono state inoltre attraversate da sondaggi profondi eseguiti per ricerche di idro-carburi nel bacino crotonese e sulla piattaforma continentale ionica. Que-ste unità si ritrova-no attualmente in posizione apicale e fron-tale rispetto alle coltri cristalline calabresi suturandone il con-tatto con le unità appenniniche. Tale posizione, unitamente a considerazioni stragrafìche e sedimentologi-che, vedrebbe, al-meno in questa porzione dell'Appennino, una loro originaria posizione tra la catena alpina, in parte già formata, ad occiden-te e la piattaforma interna ad oriente (BONARDT et al., 1981). Le successioni sicilidi in questa acce-zione rappresenterebbero un equivalente laterale, almeno nelle prime fasi di individua-zione del bacino, della formazione di Paludi. Tale posizione sa-rebbe in accordo con la geometria attuale di queste coltri le quali sarebbero state trasportate al fronte della catena alpina durante il suo accavallamento sulle unità appenniniche. Suc-cessive fasi plicative, potrebbero avere, in parte, fatto accaval-lare il margine più esterno della catena alpina, qui rappresenta-to dal basamento dell'unità di Longobucco, Nelle unità sicilidi vengono a sovrapporsi ai depositi molassici miocenici. Tale meccanismo avrebbe pro-vocato raddoppiamenti e/o erosioni tettoniche eli parte delle sequenze mioceniche ed infra-plioceniche, come documenta-to dall'analisi dei pozzi profondi, e a possibili fenomeni parziali del tipo Falda di Cariati. Per la definizione delle caratteristiche, crostali lungo i profili sono sta-ti utilizza dati di sismica a riflessione (FINETTI & Mc RELLI, 1972) e a rifrazione (MORELLI et al. 1975; GUERRA et al., 1981); si è altre-sì tenuto conto di dati relativi al flusso di calore (GIESE, 1978) ed alle anomalie gravimetriche (MORELLI, 1975). Per avere informazioni relative ai livelli crostali più superficiali del profilo n. l sono stati, in particolare, utilizzati i dati della sezione M 25 di FINETTI & Morelli (1972 ). Sulla base delle funzioni di velocità allegate so-no state calcolate le profondità reali relati-ve agli orizzonti riflettenti i quali, in accordo con l'interpreta-zione data dagli Autori, evidenziano un complesso di depositi di copertura del Pliocene-Quaternario e del Terziario, un corpo al-loctono ed un basamento mesozoico. Per quel che riguarda la struttura crostale profonda sono stati utilizzati i dati relativi ad una sezione orientata in direzione NE-SW che si estende dalla penisola salentina fino al mar Tirreno. Morelli et al. ( 1972) ri-portano l'andamento delle isolinee di velocità le quali per il tratto compreso tra la penisola salentina ed il Golfo di Taranto evidenziano la presenza di due strati lenti con velocità inferiori rispettivamente a 6,3 e 6,5 km/sec a profondità comprese tra 8 e 28 km. Nel segmento compreso tra la catena calabrese ed il mar Tirreno è stato individuato un altro canale a bassa velocità ubicato tra circa 11 e 17 km di profondità e de-limitato da isoli-nee con velocità pari a 6,5 km/sec. Per quel che riguarda l'an-damento della superficie caratterizzata da velocità 8 km/ sec, è

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possibile osservare come essa si raddoppi in corrispondenza della Calabria settentrionale (GUERRA et al., 1980); le due su-perfici, le quali delimitano un ulteriore canale a bassa velocità, potrebbero essere raccordate rispettivamente con la Moho apula, quella inferiore, e con la Moho tirrenica, quella superio-re. I dati relativi al flusso di calore (EL ALI& GJESE, 1978) con-traddistinguono tre aree; un'a-rea adriatica caratterizzata da un basso flusso, un'area calabrese, corrispondente alla catena, in cui si osserva un gradiente estremamente basso fino a circa 20 km di profondità, successivamente tendente a zero, ed un'a-rea tirrenica caratterizzata da elevati flussi di calore. Emerge quindi come questo settore dell'Arco calabro-peloritano sia ca-ratterizzato dallo scorrimento dell'avampaese apulo sotto la catena appenninica che determina, nei livelli crostali più super-ficiali, una struttura a scaglie delimitate da piani generalmente poco inclinati e vergenti verso il mar Ionio. Su questo motivo, lungo il margine tirrenico, si imposta un block faulting che de-termina la formazione di de-pressioni, come il bacino del Crati, riempite da sedimenti plio-pleistocenici. Questo pro-cesso, ini-ziato nel Pliocene me-dio-superiore per le aree considerate, potrebbe essere ricollegabile con una progradazione verso E dell'apertura tirrenica il cui inizio è collocabile al passaggio Ser-ravalliano-Tortoniano ( ScANDONE, 1978 ). Come messo in evi-denza dai profili l'insieme della catena, in questo settore, è rappresentato prevalentemente dalla sovrapposizione di falde appennini-che, le quali sono ricoperte solo con esigui spessori dalle coltri alpine calabresi. In tal modo viene quindi a definirsi il corpo alloctono, evidenziato nei profili sismici a riflessione, il quale risulta costituito dalle va-rie unità appenniniche la cui geometria è stata ricostruita sulla base delle conoscenze geolo-giche regionali. La struttura crostale profonda risulta essere ca-ratterizzata da due zone a bassa velocità, una rilevata in corri-spondenza dello avampaese apulo, l'altra in prossimità del bor-do tirrenico. Sebbene il significato dei canali a bassa velocità sia argomento tutt'ora dibattuto, ci sembra comunque opportuno proporre alcune ipotesi interpretative al fine di tentare una ri-costruzione più completa delle caratteristiche geologico petro-grafiche della crosta. In quest'ottica, sulla base dei dati geofisici e tenuto conto che per l'area dell'avampaese gli spessori delle coperture carbonatiche superano i 6000 m, si ritiene di poter assegnare all'isolinea di velocità 6,3 km/sec, posta a profondità poco sopra gli 8 km, il significato di zona di transizione copertu-ra-basamento. Le due zone a bassa velocità, tenuto conto an-che del limitato flusso di calore che caratterizza l'area, potreb-bero essere spiegate con la presenza di un basamento differen-ziato costituito probabilmente da un edificio a falde connesso con l'orogenesi ercinica. Le caratteristiche di questo basamento sarebbero tali da determinare una funzione velocità-profondità con due minimi. Significato sostanzialmente differente potreb-be esser e invece assegnato allo strato a bassa velocità che si estende dal bordo occidentale della catena verso il mar Tirre-no. Sulla base del regime termico ipotizzabile in conseguenza della risalita di mantello astenosferico nella porzione centrale

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tirrenica, si sarebbero realizzate, in questa zona, condizioni fa-vorevoli a parziali fusioni differenziate della crosta. Si ritiene pertanto che questo secondo canale a bassa velocità possa ca-ratterizzare una possibile zona di << magmatizzazione ». Di sot-to alla catena e nelle sue porzioni orientali il raddoppio della Moho potrebbe rappresentare l'interposizione di un cuneo di mantello soffice tra la crosta della catena ed il mantello lito-sferico apulo. La natura di questo cuneo potrebbe essere de-terminata da condizioni chimico-fisiche connesse in parte con la presenza di mantello astenosferico tirrenico ed in parte con un raddoppiamento crostale che porterebbe la por-zione più profonda della crosta apula a scorrere sotto il mantello tirreni-co stesso. In parti-colare quest'ultimo fenomeno determine-rebbe una zona, di sotto alla catena, in cui le caratteristiche del mantello sarebbero influenzate da processi di mescolanza tet-tonica, tipo melange, i quali condurrebbero a parziale serpenti-nizzazione delle originarie rocce ultra basiche associate al man-tello tirrenico. Apporti di fluidi provenienti dalla sottostante crosta apula favorirebbero i supposti processi di serpentinizza-zione. Le considerazioni svolte sembrano trovare supporto an-che nei dati relativi ai valori delle velocità delle onde di taglio che caratterizzano queste porzioni crostali ( PANZA et al., 1980) ed in quelli relativi al flusso di calore (EL ALI & GrEsE, 1978 ). Questi ultimi dati in particolare, sembrano confortare le ipotesi formulate in relazione al significato delle zone a bassa velocità. Per la zona apulo-adriatica si hanno valori di poco superiori ai 400"C in corrispondenza del passaggio crosta-mantello i quali consentono di escludere fenomeni di fusione parziale della cro-sta. Per l'arca tirrenica i gradienti di temperatura sono tali da condurre a valori superiori agli 800"C a profondità intorno ai 20 km e per-tanto potrebbero giustificare l'interpretazione fornita per il canale a bassa velocità del bordo tirrenico. Per la zona di catena si osserva un gradiente grossomodo normale fino a 20 km di profondità dove si raggiungono temperature intorno ai 250"C; a partire da questa profondità il gradiente tende verso valori nulli fino ad oltre il passaggio crosta-mantello dove si hanno valori di temperatura di circa 300"C. L'andamento delle isoterme in questa zona sembra pertanto rendere plausibile l'i-potesi della presenza di un corpo freddo interposto tra il man-tello tirrenico e quello apulo. 8.1 - Mare Ionio Il mar Ionio è compreso fra l'Arco Calabro e la scarpata di M al-ta ad Ovest, e la dorsale apula ad Est (fig.11). Si tratta di un ba-cino profondo fino a 4000 m che rappresenta i resti di una vec-chia zona oceanica o a crosta continentale molto assottigliata originatasi durante le fasi distensive che hanno portato all'a-pertura della Tetide (HINZ, 1974; BOCCALETTI et ali, 1984). Il mare Ionio è oggi in via di consumazione a causa dei processi di subduzione ancora attivi nell'area centro mediterranea (M AN-TOVANI et ali, 1992; PATACCA et ali, 1992). Le anomalie di Bouguer presentano generalmente valori che dai margini au-

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mentano verso le regioni centrali del bacino dove si raggiungo-no i 300 mgal. Una regione distinta dal punto di vista gravime-trico coincide con il golfo di Taranto che è caratterizzato da un minimo gravimetrico con direzione NO-SE in continuità con quello relativo all'avanfossa bradanica. Lo spessore crostale diminuisce gradualmente dal margine calabro, dove si raggiun-gono valori di 35 km, verso le aree più profonde caratterizzate da uno spessore crostale ridotto a 15 km (NICOLICH & DAL PIAZ, 1991). La scarpata di M alta, che costituisce il limite occi-dentale del bacino, ha direzione circa N-S (fig.13) e lunghezza di circa 300 km; la sua individuazione risale al Lias, durante le fasi di apertura della Tetide, come faglia distensiva attraverso la quale si attuò lo sprofondamento del blocco ionico. Attualmen-te è caratterizzata da una componente minore di movimento laterale sinistro (GRASSO et alii, 1985). Essa determina un bru-sco abbassamento del fondo marino e un assottigliamento del-lo spessore crostale che passa dai circa 25 km del Canale di Sici-lia ai valori già citati per il mar Ionio (NICOLICH & DAL PIAZ, 1991; REUTHER et alii, 1993). Le rocce del substrato sono state dragate nelle scarpate che delimitano le aree bacinali profon-de. I dati stratigrafici evidenziano successioni sedimentarie si-mili a quelle dell'area adriatica con rocce carbonatiche di mare basso fino al Lias seguite da rocce carbonatiche pelagiche (ROSSI & BORSETTI, 1977; SCANDONE et alii, 1981). Questa successione è confermata da vari carotaggi effettuati in una successione caotica nelle zone esterne della scarpata di Croto-ne-Spartivento e nel rialzo esterno che ha evidenziato, all'in-terno del corpo caotico, termini simili a quelli presenti nelle scarpate (M ORLOTTI et alii, 1982). 8.2 Profili sismici . Vengono brevemente esposti i primi risultati dello studio di al-cuni dragaggi eseguiti nel Mare Ionio settentrionale (a N di 36° 30') lungo profili sismici a riflessione continua. In base al mate-riale raccolto si è potuto finora costatare quanto segue: nella scarpata superiore della penisola salentina e sulla dorsale pu-gliese sono presenti un substrato calcareo cretacico o dolomiti-co e delle marne e argille plioceniche e pleistoceniche; al largo di Capo Rizzuto, sulla scarpata calabrese, sono state dragate argille del Pliocene inferiore e del Pleistocene. Infine sulla scar-pata meridionale del seamount Alfeo affiorano calcari del Dog-ger e argille del Pliocene c del Pleistocene. L'esplorazione si-stematica dei fondali del Mare Ionio settentrionale (a N di 36° 30') è stata iniziata dal Laboratorio per la Geologia Marina di Bologna nel 1971, nel quadro del pro-gramma di studi sulla geologia dei Mari italiani. A tale scopo sono state organizzate nume-rose crociere (J-71, J-72, J-73 e l-74) sia eseguendo profili sismici a riflessione continua (sparker 30 KJ), sia raccogliendo numerosi campioni di fondo. I profili sismici sono stati fatti rea-lizzando una rete a larghe maglie e via via raffittita, sulla base della carta batimetrica di Finetti & MORELLI (1972). Successi-

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vamente è stata costruita una carta morfologica che permet-tesse di avere un inquadramento generale di tutta l'area in esame. Infine, su indicazione dei profili sismici, sono stati ese-guiti numerosi dragaggi per poter ricostruire la stratigrafia cor-relando gli orizzonti che risultavano in affioramento con i cam-pioni raccolti a profondità nota 8.2.1 Inquadramento morfologico Nel Mare Ionio settentrionale sono state distinte le seguenti unità morfologiche (SELLI, 1974) (fig. 1.):piattaforma continen-tale molto ridotta o assente da Siracusa alla foce del fiume Cra-ti. Si allarga notevolmente attorno alla penisola salentina (fino a 33 km) e segue grosso modo la batimetrica dei 200 m. Lo shelfbreak è quasi sempre ben distinguibile; scarpata superiore seguibile da Capo Passero alla foce del fiume Bradano con pen-denze medie da 2" a 20" e larghezza fino a 7 5 km; ripiani in-termedi che corrispondono in parte ad attivi bacini di sedimen-tazione recente (di Catanzaro, Spartivento ed altri minori); scarpata inferiore a pendenze molto variabili che si estende fi-no a 3.200-3.600 m di profondità; piattaforma continentale fig. 1 - Inquadramento morfologico del Mare Ionio settentrionale. valle di Taranto il cui asse ha un orientamento NW -SE che in-terrompe le tre unità prece-denti e raggiunge la piana batiale; dorsale pugliese che costituisce il prolungamento in mare della penisola salentina. E' un rilievo anticlinalico parallelo alla valle di Taranto, inter-rotto a SE dal canyon di Cefalonia; bacino di Corfù compreso tra la dorsale pugliese e la scarpata greco-albanese. Rap-presenta un'area ad intensa sedimentazione; piana batiale ionica che limita a S tutte le unità precedenti. Ha una morfologia generalmente pianeggiante caratterizzata però da una grande irregolarità nei particolari (struttura a cobble-stone, HERSEY, 1965; SIGL et al., 1973) e da una sedimentazio-ne molto scarsa. Questo tipo morfologico, anche se con irrego-larità molto più accentuate, si ripete nella scarpata inferiore ca-labro-sicula. Tralasciamo di descrivere altre due unità morfolo-giche che interessano i fondali di questo mare e cioè la dorsale mediterranea e la fossa ellenica. Esse saranno oggetto di studio nei prossimi anni. 8.2.2 Scarpata superiore della Penisola Salentina I profili sismici possono ben rappresentare la situazione gene-rale di quest'area, mostra una zona fortemente tettonizzata per la presenza di faglie subverticali con rigetti di varia entità e senso, che hanno de-terminato delle strutture ad Horst e Gra-ben. L'orientamento prevalente è NW-SE. Lungo le scarpate che spesso sono costituite da questi piani di faglia, possono ve-nire alla luce le diverse unità litologiche. I dragaggi sono gene-ralmente eseguiti lungo tali scarpate. Sul profilo sismico si no-tano almeno 4 orizzonti principali che sono descritti dal basso verso l'alto: il primo, sismicamente sordo, dovrebbe rappresen-

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tare il substrato; il secondo è costituito da una doppietta ben marcata (Messiniano evaporitico ?) e discordante. Il terzo oriz-zonte, pure discordante con i riflettori sottostanti, è ancora co-stituito da una doppietta e fa da tetto ad una sequenza di alte frequenze. Il quarto costituisce la base discordante della coper-tura sedimentaria più recente, scarsamente interessata da mo-vimenti tettonici. 8.2.3 Scarpata della Dorsale pu gliese Le principali caratteristiche sismiche individuate sui profili in corrispondenza delle stazioni di campionatura, sono le mede-sime sia per la scarpata della penisola salentina, che per la dor-sale pugliese. E' possibile evidenziare almeno quattro orizzonti principali con altrettante bande di riflettori ad essi intercalati. Dal basso verso l'alto essi sono: I unità: è rappresentata dal substrato acusticamente sordo; I orizzonte (z): non è sempre presente sui profili sismici e corri-sponde al top del substrato; II unità: discordante sul sub-strato, è caratterizzata da una se-rie di riflettori con tratti spesso discontinui, ma paralleli tra lo-ro, con spessore misurato fino a 0,6 sec.; II orizzonte (y): è rappresentato da una doppietta ben marcata e discordante. Presenta forti analogie sismiche con l'orizzonte noto come Messiniano in profili di altre aree mediterrane e mostra una tendenza all'ispessimento con l'aumentare della profondità; III unità: caratterizzata da riflettori ad alta frequen-za; III orizzonte (x,): è ancora una doppietta discordante e ben se-guibile che fa da tetto all'unità sottostante; IV unità: si tratta di riflettori a frequenza quasi costante meno alta della III unità, sempre ben individuabili e paralleli tra loro; IV orizzonte (x,): discordante sull'unità precedente, rappresen-ta la base della copertura più recente, scarsamente interessata da movimenti tettonici; V unità: ha caratteristiche non dissimili dalla precedente, ma si distingue per una maggiore continuità. Altri dragaggi sono stati eseguiti sulla parte più elevata della dorsale pugliese in zone tettonicamente strutturate ad Horst e Graben, lungo le scarpate formatesi per faglia.

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Fig.12 - Profilo sismico monocanale (sorgente Sparker) attra-verso il Golfo di Taranto (ubicazione in fig.11). La presenza di serie caotiche sul margine continentale calabro (AS) limita for-temente la risoluzione dei dati sismici. Il riempimento plio-quaternario presente nella Valle di Taranto costituisce la conti-nuazione meridionale dell'avanfossa appenninica. I depositi dell'avanfossa terminano in "onlap" sulla placca adriatica fles-surata verso sudovest. (da ROS S I & SAR T OR I, 1981).

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9.1 Golfo di Taranto Nel golfo di Taranto sono presenti i tre elementi che caratteriz-zano l' Appennino meridionale: la catena, l'avanfossa bradani-co-ionica e l'avampaese (ROSSI, 1984) (fig.9). Le zone di catena sono caratterizzate da numerose coltri plastiche il cui movi-mento si è protratto fino al Pleistocene; il loro assetto caotico limita notevolmente la risoluzione dei dati sismici (fig.12). In al-cune aree il fronte delle coltri alloctone è praticamente in con-tatto con l’avampaese apulo rialzato, in altre a questi due ele-menti si frappongono i depositi indeformati più recenti (Plioce-ne inferiore) dell’avanfossa bradanico-ionica: la regione del gol-fo di Taranto è anche sede di tettonica distensiva che si attua tramite faglie con orientamento NO-SE e NE-SO, a modesto ri-getto nella piattaforma apula e con rigetto maggiore sul margi-ne calabro dove risultano nella formazione del Graben di Sibari. 9.1.1 Immagine crostale del bacino Ionio calabrese e dei suoi margini Le precedenti indagini sismiche della struttura crostale del ba-cino Ionico sono state limitate dalla poco profonda indagine si-smica del 1970, caratterizzata dalla fonte di alimentazione ina-deguata e piega bassa (low fold) . All'inizio l’OBS e gli esperi-menti ESP a rifrazione sismica non sono stati in grado di risolve-re con fermezza uno dei principali problemi scientifici per que-sta regione ossia, se il bacino dello Ionio è pavimentato da cro-sta oceanica o da un’elevata crosta continentale. Un secondo problema è la natura elusiva del passaggio dei confini tra il ba-cino Ionio e del suo margine. Qui si descrivono brevemente i nuovi dati a riflessione sismica e dei dati grandangolare raccolti nel Mar Ionio occidentale e nella regione Calabria. Una delle caratteristiche principali di dati delle nostre riflessioni multi-canali applicati nel bacino dello Ionio è una banda di 'strati' a ri-flessioni ad alta ampiezza vicino alla base della crosta. Questa banda si presenta con una frequenza quasi monocromatica (circa 8-10 Hz) ed uno spessore del tempo di ritorno di 1 a 1,5 s. Queste immagini contrastano con i modelli di riflessione ben noti di crosta oceanica mesozoica già indagata nell 'Oceano At-lantico. Ci sono prove che la banda immerge a bassa frequenza verso il bordo della scarpata di Malta (Malta Escarpment) de-nominata ME, dove verso terra avviene un immersione con ri-flettori separati tra la crosta continentale e intermedi nel trat-to centrale della ME. Il ‘traveltimes’ ovvero il tempo di ritorno aumenta con dei riflettori inferiori crostali e della Moho, dal bacino verso i margini meridionali ed orientali della Calabria meridionale, questo potrebbero essere in parte dovuto alla velocità di pull-down ovvero l’effetto del cumulo sedimentario dell’arco, anche se un vero dip del 15 al 18%, oltre 60 km di di-stanza non può che esserne il motivo. Inoltre, la banda man-tiene il suo potere riflettente e il suo spessore fino al suo arre-sto improvviso sotto la continuazione delle strutture di com-

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pressione della crosta nello Ionio Calabrese. L'acquisizione di dati sismici coincidenti grandangolari e di dati a riflessione si-smica marina hanno fornito un’estensione verso terra del son-daggio che va a completare le informazioni geologiche esistenti sulla struttura profonda del bacino Ionio e il suo margine cala-brese. Il bacino dello Jonio è localizzato in una zona geologicamente complessa e ha svolto un ruolo cruciale nel Terziario e Quater-nario attraverso il contributo di un’interazione tettonica tra i margini continentali africani ed europei. I processi estensionali e compressivi hanno sviluppato nel corso di un breve periodo nel Mediterraneo centrale a partire dal Tortoniano: aree della crosta allungate, con un’underplating crostale, mentre le strut-ture ad arco hanno sviluppato interessanti caratteristiche che comprendono la tettonica di questa regione. Tuttavia, i dati geofisici e strutturali distinguono domini crostali e delimitano l'evoluzione cinematica dei loro margini, che era strettamente controllata dalla collisione N/S tra le placche africane ed euro-pee: - il blocco Pelagico che esibisce una normale sottile crosta con-tinentale è colpita da processi di rifting; - la zona si assottiglia e si allarga lungo domini meridionali tir-renici e ionici, caratterizzata da una transizione o crosta ocea-nica, - la cintura orogenica è stata rappresentata dal sistema appen-ninico e la spinta del Maghreb e dell’arco calabrese (struttura-zioni dettagliate CNR, 1983). I tempi della deformazione sugge-riscono che la tettonica del Tortoniano e del Quaternario del Mediterraneo centrale è dominata dalla estrusione dell'arco calabro verso est, lateralmente ristretta dall’impingement me-diante l'urto NS dell’intrusione del dominio pelagico continen-tale. (Reuther et al., 1993 ). Il meccanismo di interazione tra il blocco calabrese e il dominio dello Jonio e la natura della crosta ionica e del suo ruolo attivo o passivo nel processo collisionale, sono punti cruciali per la comprensione della recente evoluzio-ne di questo settore complesso. Secondo un modello del Me-sozoico-Cenozoico l’evoluzione delle placche tettoniche del Mediterraneo orientale (Dercourt et al., 1986), l'estensione del bacino dello Ionio ha avuto inizio nel tardo Giurassico (150-130 Ma). Nel Aptiano (circa 110 Ma) è avvenuta una rotazione della piattaforma Apula (Puglia) rispetto all'Africa mentre si era av-viato un rapido cedimento del bacino ionico. Il bacino in espan-sione nel tardo Cretaceo cessò la sua diffusione nel Cretaceo-Paleocene, che corrisponde generalmente al nord della colli-sione Pugliese. Gealy (1988) assegna la diffusione dell'evento, che ha portato allo sviluppo del Mediterraneo orientale, al Cre-taceo medio. I dati geofisici (sismici, gravimetrici e di flusso di calore) sono coerenti con i modelli proposti di diradamento e la formazione di bacino. In particolare, nella parte occidentale del Mar Ionio, la profondità della Moho sale a 19-20 km e raggiun-ge infine circa 16-18 km sotto la pianura abissale dello Ionio. Makris e Coll. (1986), Ferrucci et al. (1991), de Voogd et al. (1992) e Trnffert et al. (1993) hanno identificato la profondità

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di Moho , almeno 8,1-8,2 km / s, che corrisponde alla velocità di rifrazione sulla OBS e profili ESP. Questa velocità dell'onda P corrisponde a una densità di 3.350-3.450 kg / m 3 (Truffert et al., 1993) che, a sua volta, mette in relazione, o un mantello impoverito o con la presenza di eclogite (trasformazione di len-ti basalto magmatica in fitto rocce eclogite dopo il raffredda-mento del bacino). Le anomalie positive di Bouguer, che vanno fino a circa 310 mgal al centro della piana abissale ionica (Mo-relli et al., 1975) nonostante la Moho piuttosto profonda, forni-sce prove convincenti di lenti dense lungo la parte superiore del mantello. Inoltre, nel bacino occidentale ionico i valori di flusso di calore non superano i 40 MW / m 2 (Della Vedova e Pellis, 1992). Ciò forniscono la prova del raffreddamento gene-rale legato alla subsidenza tettonica del bacino ionico. L'indagi-ne fornisce nuovi vincoli aggiuntivi per lo sviluppo della tettoni-ca di questa regione attraverso l'immagine della struttura con più alta risoluzione disponibile rispetto al passato. 9.1.2. Il quadro geologico 8.1.2.1. La piana abissale di fronte al settore centrale della Scarpata di Malta (ME) I dati geofisici indicano che la ME separa due ambiti distinti corrispondenti alle Pelagie e al Mar Ionio. Casero e Roure (1994) interpretano l'evoluzione della ME come una caratteri-stica essenzialmente del Tortoniano, distinguendo, lungo una direzione NS, in tratti, ciascuno dei quali ha avuto un evoluzio-ne geodinamica distinta grazie a importanti dislocazioni con trend direzionali SW-NE. Ogni tratto presenta strutturalmente diverse caratteristiche: al centro e quelli più meridionali hanno sviluppato in parallelo a zone caratterizzate da facies di uguale deposizioni durante il Mesozoico, ma nel tratto settentrionale questi sono srati troncati. (Casero et al, 1988). Il settore centra-le corrisponde a un margine continentale di fronte a un antico mare. Tuttavia, in analogia con altri margini del Mesozoico, la centrale della ME potrebbe essere stata affetta i da faglie li-striche e suddiviso da blocchi tiltati di varie dimensioni. 9.2.3. Il margine ionico della Calabria meridionale L'arco Calabro è diviso in due settori. Quella settentrionale comprende le unità di Sila cristallino e uno stack di formazioni appenniniche carbonatiche dovuto in parte dal sovrascorri-mento” nappes” granitico della Sila. Poiché il Cretaceo, nel set-tore settentrionale, era strettamente legato all'evoluzione del-la catena appenninica, ha subito una deformazione quasi inin-terrotta lungo una zona perpendicolare ai movimenti più im-portanti dell'Appennino orogenico. Il settore meridionale è le-gato all'evoluzione della catena siciliana Maghrebides (Bocca-letti et al., 1984). Un uplift (sollevamento) drammatico di que-sta regione (1-2 mm / anno.) Si è verificata nel Medio-Tardo Pleistocene con lo sviluppo della tettonica a faglie normali.

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Studi dettagliati nell’onshore dettagliata e alcune informazioni geologiche sono riportati nel modello strutturale d'Italia (CNR, 1983). Da un punto di vista tettonico, il settore meridionale è la zona più attiva del Mediterraneo centrale. Cassinis e Ranzoni (1987) hanno riconosciuto, sotto la Calabria, una cintura con una densa concentrazione di terremoti, suborizontali distribuiti e confinati nei pressi del confine crosta-mantello da 20 a 25 km di profondità. Questa informazione è supportata dal record ot-tenuto da una rete locale sismologica (Carabelli et al., 1988) che rivela un livello in possesso di una forte sismicità in un in-tervallo di profondità da 15 a 25 km. Un secondo strato sismi-camente attivo è stato trovato a 50 km di profondità. Queste strutture sismicamente attive si accostano realmente nel Mar Tirreno, con sismicità profonda (ipocentro situato a una pro-fondità che raggiunge più di 400 km). Dalle osservazioni di cui sopra è stata ipotizzata, subduzione attiva della crosta ionica di sotto all’Arco Calabro . Altri autori (Patacca e Scandone, 1989) sostengono che il sistema di subduzione è ormai composta solo da una stretta lastra che ora è meccanicamente debole. Inoltre, il collasso di blocchi litosferici per gravità nel mantello può es-sere collegato alla moderna attività sismica. Tuttavia, l'apertu-ra del Mar Tirreno può essere interpretato come un rifting pas-sivo asimmetrico sviluppato a seguito della collisione NS tra la placca africana ed europea che possono essere la conseguenza del taglio spostamento dal basso (cioè, un piano di taglio spo-sta l'intera crosta ed è seguita da una uniforme stiramento del-la parte inferiore e più duttile della litosfera). Un tale modello di delaminazione potrebbe spiegare lo stile di deformazione della litosfera continentale e il sollevamento del mantello a causa di denudazione tettonica. Un altro modello potrebbe es-sere proposta che comporta il ruolo attivo del mantello con in-trusioni astenosferica come prodotti di una trasformazione del mantello litosferico (e crosta), impreziosita da un anomalia termica e la fornitura di fluido da fonti profonde del mantello. Il movimento sud-est di una massa meno viscosa e mobilitata da una massa astenosferica sarebbe poi la fonte cinematica del obduction delle unità crostale calabrese sulla crosta oceanica quasi-Ionica (Locardi e Nicolich, 1988). Ferrucci et al. (1991, e riferimenti ivi citati) hanno riconosciuto la base della crosta (Moho calabrese?) A profondità di circa 30 km, al largo della punta meridionale della Calabria a una profondità di circa 18 km nella regione di Serre. Più recentemente, un profilo di si-smica a riflessione è stata acquisita in una zona montana Serre (Luschen et al., 1992). L'interpretazione di questi dati conferma la relativamente sottile crosta del blocco della Calabria, carat-terizzata da strutture interne e riflessive con la base a una pro-fondità di circa 18 a 20 km, immersione verso sud. La distribu-zione delle velocità di intervallo all'interno del blocco, come ri-velato da tecniche di sismica a rifrazione e modellistica applica-ta alla sezione di riflessione, non supera mai i 6,0-6,4 km / s fi-no alla base del blocco è raggiunta a 6,5-7,5 s (circa 20 km di profondità) . Alla base, la velocità è poco frenata ma non è maggiore di 7,5 km / s. Pertanto, possiamo considerare le strut-

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ture crostali riportata dal profilo Serre come rappresentante di una stack di forti deformazioni e troncate da unità metamorfi-che associate i alla collisione appenninica orogenica. 9.3.3. Esempi di profilo e interpretazione linee sismiche La linea di disegno dei profili sismici sono dati in fig. Il disegno delle linee rappresenta una prima interpretazione delle linee sismiche, segnando solo le riflessioni principali che hanno una buona correlazione spaziale. Solo su la linea ION 1-1dove la stratificazione di riflessione è sub-orizzontale e senza interru-zioni tettonica complessa, è stato possibile riconoscere unità stratigrafiche. La correlazione stratigrafica è stata fatta se-guendo l'interpretazione fornita da Casero et al. (1984, 1988). L'orizzonte più in alto (Fig. 3) corrisponde alla base del Pliocene superiore e argille Quaternario. Sotto questo abbiamo identifi-cato il Pliocene inferiore all'unità Trubi, e il sale Messiniano. Questa ultima unità non può essere molto spessa (solo poche centinaia di metri), perché non vi è alcuna prova di domi salini e, basandosi su affioramenti in Sicilia e Calabria, è preferita l'interpretazione di uno strato semi-trasparente di marne pree-vaporitiche e sabbie, più di 1 km di spessore, per essere il componente principale stratigrafico del Messiniano. Il pinchin-gout del Messiniano e gli scisti ben stratificato Tortoniano e marne verso il ME (Casero et al., 1988) testimonia l'importanza dell'evoluzione post-Tortoniano tettonica dell’area. In realtà, il Tortoniano è localmente assente nei pozzi perforati nella piat-taforma Malta-Ragusa (ad esempio l'est e Pilade 1, Fig., 1). La correlazione delle linee sismiche nei carotaggio confermano la continuità attraverso la scarpata del Serravalliano alle forma-zioni Oligoceniche. I carbonati cretacei sono alla base dei car-bonati giurassici ma non possiamo fare inferenze circa il Trias-sico ole più profonde unità cristalline. Tuttavia, il calcare triassico è stato raccolto alla base della parete della scarpata (al Bizon et al., 1985). L’immersione sembra formare un arco, che diventa più drammatico verso il tratto settentrionale del ME (al Cernobori et al., 1994). Nel mezzo del profilo ION-1, la base della crosta terrestre può essere individuato a 1.617 km di pro-fondità. Un importante lineamento tettonico (L nella sezione di fig. 3) separa questa parte della pianura abissale dello Ionio ca-labrese dalle strutture ad arco e del Mar Ionio centrale. Un'in-terpretazione strike-slip è stata fatta per questa funzione (si veda anche CNR, 1983) e la sua attività recente è suggerito dal-la presenza di depositi di syn-rift, apparentemente all’ età Plei-stocenica (P in fig. 3). Il lineamento taglia nettamente la pila dei riflettori sotto i depositi Messiniano pre-evaporitico fino alla base della crosta. Ad est di esso, si entra in un dominio molto mobilitato, in cui le tracce di motivi riflettenti delle formazioni di carbonato della zona Ragusa-Malta sono ancora riconoscibili e in cui la topografia della base della crosta appare variabile a causa della deformazione e / o la velocità pull-up o pull-down nei tempi di riflessione da variazioni di velocità laterali. Profilo ION-2 (Fig. 4) si sposta verso nord nel dominio arco calabro. I sedimenti di spessore consistono in una serie di spinte che in-

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fluenzano la copertura sedimentaria. I sedimenti si accumulano sulla parte anteriore del bacino e sono gravemente deformate, come suggerito dalle basse velocità P(Makris et al., 1986). Non abbiamo riconosciuto una caratteristica eccezionale sotto i se-dimenti deformati, diverse analisi di velocità integrata con i da-ti DSS da Makris et al. (1986). La brusca interruzione della firma profonde della crosta terrestre, tipiche del dominio Ionio, sotto la punta meridionale del bacino Spartivento, può essere colle-gato a un povero rapporto segnale-rumore a 15 s. Potrebbe anche essere un effetto di un aumento di velocità di punta nel corrispondente strati della sovrascorrimento calabrese unità cristalline, o eventualmente per tuffi estremi, o anche disconti-nuità tettoniche in profondità nella zona di collisione I sedi-menti accumulati sopra la parte superiore della crosta della proroga del blocco dello Ionio calabrese. La base di questa uni-tà crostale può essere situato a 9 - 1 0 TWT s, mentre una spes-sa del punto indica la profondità dello Ionio Moho dai dati grandangolare (Ferrucci et al, 1991).I blocchi presenti rappre-sentano argille Plio-Quaternario, sabbie messiniana, scisti e calcare, marne e argille Tortoniane e una stack di altre unità, probabilmente composto da carbonati mesozoici, che affiorano in Calabria (CNR, 1983) e trasportato nel downsloop per gravi-tà . L'immagine della struttura interna della crosta cristallina fi-no alla base della crosta a 21-22 km di profondità (circa 10 s) sono simili a quelli registrati a terra in Serre (al Ltischen et al., 1992). L'immersione di queste strutture (circa 10 ° verso il sud-est) è confermata. Al limite orientale del profilo ION-4 osser-viamo le strutture di collisione all'interno della crosta ionica. Secondo i dati grandangolare, la Moho dello Ionio è di nuovo a 30 km di profondità con una risoluzione appena sotto l'esten-sione verso il mare della crosta calabrese cristallina (spessore punto nero nella fig. 6). La firma della crosta ionica inferiore è di nuovo ben ripreso dal profilo ION-5. La flessione della Moho Ionio è dell'ordine di 15 ° su una distanza di circa 60 km. Le strutture ad arco calabresi vengono descritte , con i grandi thrusts di trasporto dei sedimenti consolidati, derivati dalla velocità più elevata, 2,7-4,0 km / s, presi dalla velocità stack e da Makris et al. (1986). Sul profilo ION-6 (Fig. 7) si ritorna a una crosta molto sottile (Moho ad una profondità di circa 16 km, fondo del mare a 3 kin, come su ION-l). Su questa linea noi non osserviamo alcuna influenza importante dall'arco calabrese, ma la risposta sismica non rivela significativa stratificazione o assestamento della crosta sedimentaria. La banda inferiore crosta riflettente è chiaramente arcuata, con indicazione del deep sia verso l'arco calabro (ovest) e l'arco ellenico ad est , un modello analogo a quello descritto da Ferrucci et al. (1991, fig.3). Precedenti problemi nel rapporto segnale-disturbo e la corrispondente penetrazione nella crosta del Mar Ionio e dei suoi margini potrebbero essere superati utilizzando moderne tecniche di riflessione sismica nell’esplorazione petrolifera. L’Avanzata elaborazione dei dati è volta a migliorare la defini-zione della stratigrafia sismica all'interno del bacino e delle strutture anche al margine di collisione. Un intervallo molto ri-

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flettente all'interno della crosta inferiore è stato riconosciuto. Questo intervallo di riflessione termina contro i margini che so-no stati deformati dalla collisione o in cui la crosta si ispessisce verso un margine continentale passivo (cioè, neltratto centrale del ME). Le sue variazioni topografiche indicano recente mobili-tazione del mantello, eventualmente associata a strutture di-stensive del tratto settentrionale del ME. In alternativa, la va-riazione topografica può essere legata alla subsidenza del ba-cino , come movimento trascorrente lungo le faglie che taglia-no la crosta in risposta alle sollecitazioni applicate ai margini attivi (Ceruobori et al., 1994), e al caricamento dei materiali su una crosta sottile, freddo e fragile. Abbiamo notato le differen-ze con le immagini dei dati profonde della crosta terrestre nel Mesozoico orientale dell'Oceano Atlantico. Dati comparativi nel Mediterraneo non confermano la presenza di una banda riflet-tente delle aree oceaniche (de Voogd et al., 1991),ma i riflettori che immergono verso terra e il crostale ispessimento con un fattore superiore a 5,questi dati sono stati osservati nel margi-ne passivo del Golfo dei Leoni. Queste caratteristiche possono essere confrontate con i dati sismici sul prolungamento della linea ION-1 in tutto il ME (Nicolich et al., 1995). La subsidenza rapida del bacino Ionico rimane ancora poco chiaro nel quadro della ricostruzione di Dercourt et al. (1986): perché la rotazio-ne della Puglia per quanto riguarda l'Africa, durante la L’arco Calabro Bacino di Crotone-Spartivento ed Arco Calabro Esterno Il bacino di Crotone-Spartivento è limitato da faglie distensive variamente orientate e contiene una successione di più di 2 sec. di spessore di depositi plio-quaternari e messiniani interes-sati spesso da fenomeni di instabilità gravitativa (BARONE et alii, 1983). La penetrazione del segnale sismico è spesso limita-ta alla sommità del Messiniano, che è rappresentato da spesse (fino a 400 msec in tempi doppi) sequenze evaporitiche con li-velli saliferi, che danno origine a strutture da deformazione sa-lina. I sedimenti che riempiono il bacino sono interessati da frequenti strutture compressive attive fino al Pliocene. La scar-pata del bacino di Crotone-Spartivento e l’Arco Calabro Esterno sono caratterizzati da faglie inverse ed accavallamenti con dire-zione NNE-SSO e con immersione prevalente verso terra, anche se sono presenti frequenti retroscorrimenti. A sud dell’Arco Ca-labro Esterno si estende la cosidetta “zona a cobblestones”, la cui immagine sismica sembra dovuta alla presenza di sovra-scorrimenti con rigetti scarsi e scollamenti superficiali (ROSSI & SARTORI, 1981). 4.1.3. La caratteristica forma dell'Arco Calabro Peloritano è stata og-getto di interpretazioni varie e contrastanti (Care, 1962; SCAN-DONE, 1975; Morelli et alii,1976; GHISETTI & VEZZANI, 1979, 1981, 1982). Essa risulta principalmente dal comporta-mento

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differenziato delle aree esterne (avampaese apulo, bacino ioni-co, Sicilia e 358 AUGUSTO FABBRI, SER(;JO ROSSI, RENZO SAR-TORI & ANGELA BARONE Canale di Sicilia) rispetto alla geome-tria di «apertura» di quelle interne (Mar Tirreno) (BARONE et a/ii, 1982). Lungo il margine tirreni-co dell'Arco si trovano, da N a S, i tre ampi bacini di Paola, di Gioia e di Cefalù (fig. 1). Essi sono impostati sopra l’edificio a coltri calabrese sono limitati al largo dagli apparati vulcanici coli ani. Tutti si impostano come aree subsidenti nel Tortoniano, ma ognuno di essi segue una propria evoluzione tettonico sedimentaria. Lungo il margine io-nico si individuano pure tre grandi zone con caratteri diversi. Da NE a SW esse sono il Golfo di Taranto col Bacino di Crotone, il Bacino di Spartivento con l'Arco Calabro Esterno, ed il Rise di Messina (fig. 1). In questo lavoro si tratterà dell'evoluzione post-tortoniana di queste aree e dei suoi riflessi sulla storia di deformazione dell'Arco. I dati stratigrafici e tettonici derivano dai rilievi di sismica a riflessione eseguiti in massima parte dall'Istituto di Geologia Marina del CNR di Bologna e da altri Istituti. La loro ubicazione è riportata con maggiori dettagli in BARONE et a/ii (1982). I PRINCIPALI SETTORI DELL'AR-CO CALABRO-PELORITANO Dal punto di vista delle deformazioni neogeniche, l'Arco Ca-labro può essere suddiviso in tre settori principali, separati da hiatus triangolari e/o da sistemi di faglie trascorrenti. Tali strut-ture trovano un'estensione nelle aree marine adiacenti. I setto-ri che si individuano so-no: Calabria settentrionale. È orientata circa NNE-SSW e limi-tata a N dal fascio di strutture Sangineto-basso Crati (ENEWSW) c a S da quello di Catanzaro (E-W). En-trambi questi elementi strutturali si estendono con le stesse di-re-zioni nell'area tirrenica (BARO-NE, 1981; COLANTONI et alii, 1981; BARONE et alii, 1982). Nel Mare Ionio, un possibile si-stema di faglie sinistre sembra continuare la struttura di Catan-zaro poco a N dell'alto strutturale di Punta Stilo, ma la prosecu-zione di questi elementi verso zone ancora più esterne non è chiara. I margini marini di questo settore sono il Bacino di Paola (interno) ed il Golfo di Taranto col Bacino di Crotone (esterno). Calabria meridionale. È orientata circa NE-SW ed è limitata a N dal Graben di Catanzaro e sue prosecuzioni marine, ed a S dallo Stretto di Messina. E da notare tuttavia che anche la parte orientale dei Peloritani, ad E della linea Tindari-Letojanni e del-la sua prosecuzione nel Tir-reno lungo l' allineamento vulcanico Salina-Lipari-Vulcano, potrebbe appartenere a questo settore. Il margine tirrenico di questo settore è dato dal Bacino di Gioia, quello ionico dal Bacino di Spartivento con l'Arco Calabro Esterno. Sicilia orientale. Ha un generale orientamento E-W (nord-siciliano) nella porzione ad occidente della linea Tindari-Letojanni. Il margine tirrenico è occupato da parte dei Bacini di Gioia e di Cefalù, quello ionico dal Rise di Messina, che par-tendo dalla Scarpata di Malta interessa un'ampia zona a S .dello Stretto di Messina.

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LA CALABRIA SETTENTRIONALE È un settore sbloccato in vari Horst e Graben (il più impor-tante è quello del Crati) ed in sollevamento dal Miocene inferiore-medio (AMOMO-MORELLI et alii, 1976), con movimenti che so-no migrati nel tempo verso aree più esterne, in connessione con la migrazione del fronte di compressione verso l'avampae-se (GHISETTI & VEZ-ZANI, 1982). Le dislocazioni neotettoniche hanno prodottosollevamenti ed abbassamenti differenziali (DAMIANI & PAN-NUZI, 1979; GHISETTI & VEZ-ZANI, 1979; TORTORICI, 1979). I margini marini interno ed esterno mostra-no la seguente evoluzione: l) BACINO DI PAOLA Si estende dalla prosecuzione in mare del-la zona di Sangineto fino circa a Capo Vaticano, ed è orientato NOW. I principali andamenti strutturali, marcati da faglie di-stensive tortoniane e post-tortoniane, sono NS (principali) e NW-SE (secondari). Divengo-no invece E-W a S, in corrispon-denza dell'importante linea tettonica Stromboli Angitola, pro-secuzione della zona di Catanzaro, attualmente attiva e proba-bilmente sinistra, che si ,. Fig. 1 -Carta batimetrica delle aree marine circostanti l'Arco Ca-labro (equidi stanza 200 m) con indicazione dei principali ele-menti fisiografico -strutturali richiamati nel testo. incrocia più al largo con un altro sistema NE-SW marcato dall'allineamento Stromboli, Panarea, Lipari. L'attività attuale di questa linea sembra anche confermata da dati sismo tettonici (RUSCETTI & SCHICK, 1975; DEL PEZZO et alii, 1979), di flusso di calore (DELLA VEDOVA & PELLIS, 1979, 1981) e gravimetrici (MORELLI, 1970). Le principali fasi distensive del bacino sono di età tortoniana, intra-messiniana, pliocenica basale, pliocenica media ed intrapleistocenica (alcune fasi n1inori). Il fatto più pe-culiare è che col" Pliocene basale si instaura nel bacino un ele-vatissimo tasso di sedimentazione e di subsidenza-za, con de-posizione di oltre 4000 m di sedimenti. Tali valori decrescono poi passando al Pliocene superiore ed al Pleistocene, mentre si assiste ad una migrazione depocentrale verso E SE. 2) GOLFO DI TARANTO E BACINO DI CROTONE Nel Golfo di Taranto sono pre-senti i tre principali domini che formano gli Appennini me-ridionali: catena, avanfossa ed avampaese (CELLO et a/ii, 1981;Rossi et alii, 1982). Anche in quest'arca la messa in posto finale delle coltri plastiche avvenne nel Pliocene medio, con qualche scivolamento gravitati-vo fin nel Pleistocene inferiore (MASCLE & MASCLE, 1981), quando il fronte delle coltri venne praticamente a trovarsi in contatto, dopo il coln1amento della fossa bradanica, con il bordo stabile rialzato dell'avampaese apulo. Dopo il Pliocene medio, tutta l'area del Golfo fu interes-sata da tettonica distensiva, con fa-glie di orientamento ap-penninico (NW-SE) cd anti appenninico (NE-SW) c con forma-zione di una serie di Horst e Graben asimmetrici (ROSSI et alii, 1982), il più importante dei quali è i Bacino di Sibari. A S del Golfo di Taranto si estende il Bacino di Crotone che occupa una struttura tipo Graben. A differenza del più meridionale Bacino di Spartivento, da cui è separato dalla prosecuzione della zona

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di Catanzaro, il Bacino di Crotone è largamente affiorante in terraferma, ove mostra un inizio di sedimentazione nel Torto-niano c numerosi corpi caotici messiniani di provenienza ester-na. L'evoluzione pleistocenica del Bacino, con emersione post-calabriana, è correlabile con quella dei più settentrionali Bacini del Crati e di S. Arcangelo (BARONE et a/ii, 1982). 3) EVOLUZIONE DELLA CALABRIA SETTENTRIONALE Con l'inizio del Pliocene inferiore si assiste ad una forte subsi-denza nel Bacino di Paola e ad un marcato sprofondamento del margine occidentale dell'avampaese apulo con formazione del-la fossa bradanica (BA-RONE et alii, 1982). Tale sincronismo po-trebbe essere spiega-to secondo il seguente schema. Con l'ini-zio del Pliocene il settore calabro settentrionale fu interessato, nel suo complesso, da movimenti di bascula mento verso E-NE compensati sul margine tirrenico da forte subsidenza e sedi-mentazione (oltre l ,5 mm/ anno) nel Bacino di Paola. Sul mar-gine ionico, il basculamento generò un piano inclinato, a gran-de scala, verso E-NE, che facilitò gravitativa-mente la messa in posto delle coltri plastiche, causata probabilmente anche da meccanismi compressivi profondi. Dopo il Pliocene medio, in concomitanza con il riempimento della fossa bradanica e del Golfo di Taranto e con la conseguente «collisione)) delle coltri caotiche con l'avampaese apulo rialzato, sollevamenti c disten-sioni della catena e dell'avanfossa cominciarono a migrare ver-so NE ed ENE. Ciò portò all'emersione di zone esterne come la parte settentrionale del Bacino di Crotone ed il Graben del Cra-ti. Contemporaneamente, nel Bacino di Paola diminuivano gra-dualmente i tassi di subsidenza e sedimentazione, ed il depo-centro migrava verso E-SE. Attualmente, la situazione della Ca-labria settentrionale non differisce in maniera sostanziale (se non nell'entità dei sollevamenti esterni) da quella del resto dell'Appennino meridionale, settore di cui tra l'altro con-divide l'orientamento parallelo al bordo dell' avampaese. LA CALABRIA MERIDIONALE Come quello settentrionale, anche il settore sud calabrese è in-teressato da un generale sollevamento differenziale, che ha originato strutture tipo Horst e Graben (come quello del Mes-sina). Benché suddiviso in numerosi blocchi neotettonici e smembrato da altre importanti radiali come la linea Marina di Nicotera-Marina di Gioiosa Ionica, esso sembri mostrare un ca-rattere geodinamico unitario. I suoi margini marini interno ed esterno mostrano la seguente evoluzione. l) BACINO DI GIOIA Si estende nel Tirreno al largo della Calabria meridionale e dei Peloritani orientali, ed è limita-to allargo dall'allineamento eo-liano Salina-Stromboli. L'origine è tortoniana, fase cui è da rife-rire la maggiore subsidenza dell'area (fino a 3.000 m di sedi-

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menti). A questa prima di-stensione ne seguono altre nell'in-tramessiniano, nel Pliocene basale e nel Pliocene me-dio. Non si osservano però dopo il Tortoniano significative variazioni nei tassi di subsidenza. Sistemi di faglie E-W, estensione orientale di analoghe strutture del Bacino di Cefalù, produssero nel Tor-toniano dei basculamenti verso N. Questi sistemi sono tagliati ed intersecati da altri NE-SW e NW-SE. I primi delimitano un al-to del basamento che congiunge la struttura dei Peloritani con quella di Capo Vaticano, gli altri sono in genere connessi a strutture ben note in terraferma, come quelli che formano la linea Nicotera Marina di Gioiosa Jonica (FABBRI et a/ii, 1980). 2) BACINO DI SPARTIVENTO CON ARCO CALABRO ESTERNO Questo bacino non differisce come significato strutturale e co-me età da quello più settentrionale di Crotone; ha invece carat-teri sismo stratigrafici ab-bastanza differenti, ed inoltre è ed è stato sommerso, a pre-scindere dall'estremo margine interno, dal momento della sua formazione. Ad E del Bacino di Sparti-vento si estende l'Arco Calabro Esterno, insieme di strutture complesse che ricordano i caratteri di un margine attivo. Orien-tate da NNE-SSW a NS, queste strutture compressive sono in-terpretate da Rossi & SARTORI (1981) come originate dall'acca-vallamento dell'Arco Calabro sulla piana abissale ionica. Questo movimento verso E-SE sarebbe prodotto da estensioni di pari verso avvenute nel Tirreno sud-orientale e produrrebbe a sua volta compressioni attive e fenomeni di caoticizzazione e tet-tonizzazione delle coperture sedimentarie della piana ionica stessa. Ancora più ad E dell'Arco Calabro Esterno si estende l'a-rea con morfologia a cobblestones, caratterizzata da possibili sistemi di Pieghe e faglie di vario orientamento (fig. 2), ed in-terpretata da Rossi & SARTO-RI (1981) come zona a debole tet-tonica di copertura, sopra livelli plastici di scollamento corri-spondenti alle evaporiti messiniane. 3) EVOLUZIONE DELLA CALA-BRIA MERIDIONALE In questo settore i fenomeni di subsidenza e di sollevamento sono sfasati temporalmente e spazialmente rispetto alla Cala-bria settentrionale. Infatti i maggiori sollevamenti plio-quaternari sono ancora confinati in zone relativamente in-terne, come i massicci dell'Aspromonte c delle Serre, in sol-levamento fin dal Tortoniano Di conseguenza, il Bacino di Spar-tivento è tuttora presso-ché completamente sommerso, a dif-ferenza di quello strutturalmente simile di Crotone. Non si os-servano inoltre fenomeni di intensa subsidenza plioquaternaria nel Bacino tir-renico di Gioia, i cui tassi di sedimentazione sono circa tre volte inferiori, per lo stesso periodo, a quelli dell'adia-cente Bacino di Paola. Anche il fatto che i vulcani eoliani retro-stanti la Calabria meridionale siano ancora in buona parte su-baerei, al contrario di quelli al retro della Calabria settentriona-le, sembra un ulteriore indizio della modesta subsidenza in cor-so in questo margine inter-no. Nelle zone più esterne (Arco Ca-labro Esterno), i fenomeni compressivi, iniziati nel Tortoniano, sembrano tuttora attivi come risultato di un accavallamento del settore calabro meridionale sulla piana batiale ionica, pas-

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sivamente subdotta. Le strutture risultanti sono orientate da NNE-SSW a N-S e possono essere considerate prodotte da stress distensivi orientati da E-W a NW-SE che hanno interessa-to l'area tirrenica nello stesso periodo. Si può ipotizzare che lo sprofondamento pliocenico inferiore del margine apulo occi-dentale nella fossa bradanica e nella sua prosecuzione lungo la di-rettrice Metaponto Cefalonia, essendo avvenuto in posizione molto esterna rispetto al settore calabro meridionale ed a bas-so angolo rispetto alla presunta direzione di scorrimento di quest'ultimo, non ne abbia influenzato in maniera determinan-te l'evoluzione. Per tale ragione la Calabria meridionale è anco-ra in fase di accavallamento sulla piana ionica, non avendo an-cora <<colliso» con l'avampaese, da cui è tuttora separata- dall'ampia fascia caratterizzata dalla blanda de-formazione a cobblestones. LA SICILIA ORIENTALE Anche questo settore è in sollevamento dal Miocene medio-superiore, con movimenti complessi nelle zone marginali (GHISETTI & VEZZANI, 1979 e 1981). In corrispondenza della linea NNW-SSE Tindari-Letojanni, probabile-le trascorrente destra rilevata più a S dalla scarpata di Malta, l'area è suddivisa in un settore occidentale con tipico andamento EW nord-siciliano ed in un orientale con andamento NE-SW sud-calabrese. I margini marini interno ed esterno n1ostrano la seguente evoluzione. l) BACINO DI CEFA-LÙ Si prolunga lungo il margine settentrionale della Sicilia dal largo di Palermo alle isole di Salina, Lipari e Vulcano che, alli-neate NNW-SSE, si ubicano sull'alto strutturale che segue il prolungamento in Tirreno della linea Tindari-Letojanni. Ad una marcata fase tettonica distensiva di età tortoniana fanno segui-to altre fasi intramessiniane, pliocenico basali e pliocenico-medie. L'assetto strutturale a blocchi, veramente complesso, è determinato da sistemi di fa-glie principali EW (che si rial-lacciano alle omologhe del Bacino di Gioia), WNW-ESE, NW-SE, NNW-SSE, NE-SW, come accade in terraferma (fig. 2). I sistemi E-W e WNW-ESE operarono nel Tortoniano come faglie di rota-zione e/o come trascorrenti destre connesse probabilmente a fenomeni di estensione crostale del Tirreno sud-orientale. Nel tardo Miocene e nel PlioQuaternario i loro rigetti sono però es-senzialmente verticali. È probabile in-vece che l'attività di stri-ke-slip dci sistemi coniugati NWSE o NNW-SSE (destro) c NE-SW (sinistro) sia persistita fino al Pleistocene. 2) RISE DI MESSINA Occupa un'ampia zona a S dello Stretto omonimo, almeno fino al M. Alfeo, ed è limitato a W dalla scarpata di Malta e ad E dal Bacino di Spartivento e dall'Arco Calabro Esterno. Sopra un ba-samento acustico, che a N dovrebbe comprende-re termini ri-bassati dell'Arco Calabro-Peloritano e a S carbonati e vulcaniti n1esozoiche-terziarie dell'avampaese ibleo (ScANDONE et alii, 1981), giace una successione potente e non datata, che almeno fino a S del M. Alfeo mostra caratteri sismici che ricordano se-dimenti caotici. Nelle arce depresse situate soprattutto vicino alla scarpata di Malta, tale successione è ricoperta da sedimen-ti indisturbati e sub orizzontali che, mancando i termini sismici tipici delle evaporiti messiniane, è riferita come inizio ad un in-determinabile Pliocene. Co-me già visto per le aree del Golfo di

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Taranto, il quadro tettonico attuale appare indipendente e so-vraimposto ai meccanismi tettonici responsabili della caoticiz-zazione sepolta. Esistono tre maggiori sistemi di faglie attive, tutti caratterizzati da di-stensioni e trascorrenze (fig. 2). Il pri-mo è orientato circa NS e occupa le aree della scarpata di Mal-ta. Come in terraferma (GHISETTI & VEZZANI, 1981) dovrebbe comprendere tra-scorrenti destre e loro coniugate. Il secondo è orientato circa NW-SE ed è pressoché parallelo alla inflessione più orientale della linea M. Kumeta Alcantara in terraferma. Il terzo sistema collega la scarpata di Malta all'Arco Calabro Esterno, ed è orientato WSW-ENE a settentrione, NESW e ENE-WSW più a S e nei dintorni del M. Alfeo. Esso produce: l) un forte abbassamento del margine calabro meridionale a W del Bacino dì Spartivento; 2) trascorrenze sinistre nelle aree più meridionali. Questi tre sistemi, e soprattutte le trascorrenti si-nistre ENE-WSW, sono la causa della distensione in quest'area, determinando bacini sub triangolari con apice verso lo stretto di Messina ed un lato parallelo alla scarpata di Malta che sono occupati dai sedimenti indeformati prima descritti. Ne risulta un quadro di distensione per trascorrenze con perno verso lo Stretto di Messina, che permettono lo svincolo della Sicilia orientale dalla Calabria meridionale. Ad oriente, nelle zone di interferenza con l'Arco Calabro Ester-no in avanzamento, si producono limitate strutture con1prcssivc a vergenza SW, uni-che con1prcssioni tuttora attive nell'arca del Rise. 3) EVOLUZIONE DELLA SICILIA ORIENTALE La linea Tindari-Letojanni, che separa i Peloritani orientali dal resto della Sicilia e prosegue nel Tirreno con l'allineamento NNW-SSE Salina-Lipari Vulcano, segna internamente il limite di questo settore, che va quindi ricollegato alla Calabria Meridio-nale. Per le zone esterne, il limite ricade invece lungo la scarpa-ta di Malta e/o nella zona dello Stretto di Messina e in quella del Rise di Messina, e quindi il settore esterno non è più colle-gabile come evoluzione a quella delle omologhe zone della Ca-labria Meridionale. Entrambi i lin1iti sembrano attivarsi dopo il Messiniano; non è quindi da escludere che altri diversi limiti possano aver agito prima di tale periodo. Nelle zone del Rise di Messina sembra in atto una estensione con meccanismi che ricordano uno sfenocasma attivo (in crosta continentale), con apici verso lo Stretto di Messina a lungo la scarpata di Malta (BARONE et alii, 1982). L'inizio di questo pro-cesso non è determinabile, ma probabilmente è post-Miocene superiore. L'effetto è di produrre uno svincolo fra Sicilia c Cala-bria Meridionale. Si può ipotizzare che ciò avvenga con una ro-tazione oraria della Sicilia stessa, ed in questo quadro si po-trebbero spiegare an-che la genesi, come rombocasmi, dei ba-cini del Canale di Sicilia (lLLIES, 1981; CATALANO & D'ARGENIO, 1982), oppure con un arretramento tettonico ver-so W della scarpata di Malta (ScANDONE et alii, 1981). I due meccanismi possono tuttavia coesistere. In particolare, si può ipotizzare che nel Pliocene le faglie della scarpata di Malta siano state forte-

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mente riprese e, anche a seguito di trascorrenze destre, si sia-no forte-mente accentuate la separa-zione fisiografica fra Sici-lia e Rise di Messina e quella strutturale per quanto riguarda la continuità, precedentemente molto più evidente, del fronte delle coltri alloctone nelle due aree. Come la Calabria Meridio-nale, anche la Sicilia Orientale sembra dunque essere tuttora attiva, come dimostrerebbero tra l'altro i numerosi eventi si-smici riscontrati nei Peloritani orientali e nello Stretto di Messi-na, nonché l'attività degli apparati eoliani connessi c dell'Etna (GHISETTI et alii, 1982). A W della linea Tindari-Letojanni, la Si-cilia Orientale sembra invece trovarsi in una situazione analoga a quella della Calabria settentrionale.L'Arco Calabro-Peloritano è costituito da differenti settori, la cui diversa evoluzione a par-tire dal Tortoniano è ricostruibile sulla base della storia strati-grafica e tettonico-sedimentaria delle aree tirreni-che e ioniche adiacenti. La situazione attuale dell'area è schematicamente il-lustrata in fig. 3. Per la Calabria settentrionale hanno giuocato un ruolo di fondamentale importanza le fasi tettoniche del Pliocene inferiore e medio, concordemente cioè alle fasi che hanno interessato l'avanfossa appenninica. Questo settore dell'Arco possiede ormai un'orientazione pressoché simile a quella dell'Appennino meridionale, c come quest'ultimo pre-senta forti sollevamenti anche nelle zone più esterne. Il margi-ne tirrenico della Calabria meridionale è interessato da stresses distensivi orientati da W~E a NW-SE, compensati nel margine ionico da strutture di compressione orientate da NNE-SSW a N-S. Dal Tortoniano ad oggi la Calabria meridionale è in corso di accavallamento sull'area ionica, e lo spazio restante fra essa e l'avampaese apulo sprofondato è ancora ampio. A differenza della Calabria settentrionale, sollevan1enti plioquaternari di forte entità sono qui propri solo di zone interne. Come la Cala-bria n1eridionale, anche il settore dell'Arco comprendente la Sicilia nordorientale sembra corrispondere ad un'area ancora attiva, a differenza del settore siciliano occidentale che sembra trovarsi rispetto all'avampaese in rapporti simili a quelli della Calabria settentrionale e dell'Appennino Meridionale. Il movi-mento verso E-SE del settore di Arco ancora attivo (Calabria meridionale più Fig. 3 - Schema illustrativo delle principali strutture c deforma-zioni delle aree marine che circondano l'Arco Calabro-Peloritano. Le frecce bianche schematizzano direzione e ver-so degli stress tettonici in atto. Le linee tratteggiate indicano le maggiori linee disgiuntive radiali che hanno operato dal Torto-niano e le principali scarpate tettoniche. Le lince con triangoli indicano i fronti dell'alloctono in Sicilia e nel Golfo di Taranto, nonché gli accavallamenti con caoticizzazioni recenti dell'Arco Calabro Esterno. Per maggiori spiega-zioni vedere nel testo. Sicilia orientale, separati dallo Stretto dì Messina), è reso pos-sibile da linee di fratturazione profonda (Stromboli Angitola Ca-tanzaro- Punta Stilo o Marina di Nicotera Marina di Gioiosa Jonica; Sali-na Lipari Vulcano Tindari-Letojanni-scarpata di Malta; Strombo-

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li-Panarea-Lipari). Le prime due linee, rispettivamente sinistra e destra, agiscono come svincoli per il movimento di questo set-tore; ad esse sono associati anche apparati vulcanici ad attività recente o attuale. In questo quadro, il Rise di Messina risponde come un'a-rea di estensione crostale grossolanamente triango-lare, con apice verso lo Stretto di Messina. Esso rappresente-rebbe dunque una sorta di sfenocasma attivo in crosta conti-nentale, che permetterebbe lo svincolo fra Sicilia, forse in rota-zione oraria, e Calabria meridionale in avanzamento verso E-SE. Queste osservazioni potrebbero essere consistenti con la for-mazione di bacini tipo rombocasmi nel Canale di Sicilia, con un arretramento tettonico e ringiovanimento della scarpata di Malta, e con la brusca discontinuità nel «fronte dell'alloctono» passando dalla Sicilia allo Jonio. L'inizio di questi fenomeni è forse da far risalire alla fine del Messiniano. Manoscritto con-segnato il24 settembre 1982. Canale di Sicilia Il Canale di Sicilia è un’area di mare basso situata sul margine settentrionale della placca africana (CATALANO & D'ARGENIO, 1982) che rappresenta l'avampaese della catena sud-vergente appenninico maghrebine. Nella porzione centrale è presente un insieme di strette depressioni caratterizzate da elevata pro-fondità (fig.13). Questa zona centrale coincide con un massimo gravimetrico (80 mgal) orientato in direzione NO-SE e con una regione di assottigliamento crostale caratterizzata da spessori ridotti a 20 km (NICOLICH & DAL PIAZ, 1991). Le anomalie di Bouguer evidenziano anche una regione, in prossimità della co-sta siciliana meridionale, con valori negativi in continuazione con il minimo (-110 mgal) centrato sul bacino di avanfossa di Caltanissetta. Sono differenziabili domini geologici Falda ed avanfossa di Gela La parte del Canale di Sicilia com-presa fra il Banco Avventura ed il plateau di M alta è occupata dalla falda e dall’avanfossa di Gela. Il fronte della falda di Gela si estende in mare e rappresenta la struttura più esterna appar-tenente al sistema deformativo delle Maghrebides Siciliane (ARGNANI, 1987). La falda di Gela è costituita da terreni silico-clastici di età miocenica medio-superiore e da evaporiti messi-niane, entrambi fortemente caoticizzati (ARGNANI et alii, 1987) (fig.15). Il suo movimento è avvenuto in età pliocenico-pleistocenica inferiore ed i sedimenti sui quali è sovrascorsa mostrano età via via più recenti procedendo verso Sud (DI GE-RONIMO et alii, 1978). Attualmente l’interpretazione della fal-da di Gela come un melange tettonico, originato da una serie di sovrascorrimenti densamente spaziati all’interno di sedimenti soffici, prevale sull’ipotesi di un corpo caotico causato da un franamento sottomarino (ARGNANI et alii, 1987). A sud del fronte della falda, e parzialmente di sotto a essa, si sviluppa l’avanfossa di Gela, la cui direzione E-O è marcata dall' anoma-lia gravimetrica che continua il trend negativo coincidente con l'avanfossa di Caltanissetta. L'avanfossa di Gela ha iniziato ad evidenziarsi nel Pliocene inferiore, e contiene 2500 m di torbi-

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diti silicoclastiche di età plio-pleistocenica (ARGNANI et alii, 1987). Nella parte meridionale del bacino un grosso pacco di sedimenti di circa 600-800 msec di spessore è coinvolto in una frana di grandi dimensioni avvenuta nel Pleistocene superiore (T RINCARDI & ARGNANI, 1990). Plateau di Malta Occupa la parte sudorientale del canale di Sicilia. I dati sismici individuano uno spessore di sedimenti, sovrastanti rocce cristalline del ba-samento di tipo africano, di circa 5000 m. Essi sono costituiti da successioni pre-plioceniche simili a quelle descritte per le zone adriatica e ionica (M ORELLI et alii, 1975; CASERO & ROURE, 1994). I sedimenti di età plio-quaternaria costituiscono al più gli ultimi 500 m di successione e giacciono sopra una netta super-ficie erosiva originata durante l'episodio messiniano (WIN-NOCK, 1981). Il Banco Avventura è ubicato nella parte nord oc-cidentale del Canale di Sicilia ed è occupato dal fronte della ca-tena appeninico-maghrebide e dalla relativa avanfossa di età tortoniana (chiamata appunto Avventura) (ARGNANI et alii, 1987; ANTONELLI et alii, 1988). La catena è costituita da un in-sieme di scaglie tettoniche scollate dal loro substrato e sovra-scorse verso SE. In alcune aree (zona della catena Nilde; AN-TONELLI et alii, 1988) i sedimenti tortoniani e il loro basamento sono stati interessati nel Pliocene da tettonica compressiva a pieghe e faglie inverse. La successione stratigrafica, se si eccet-tua la presenza dei depositi tortoniani di avanfossa, è simile a quella del plateau di M alta. Fosse di Pantelleria Malta,Linosa e Bacino delle Isole Egadi I principali fra i bacini, che frammentano l'avampaese africano, sono quelli di Pantelleria (profondità massima 1317 m), di Lino-sa (profondità 1529 m), di M alta (profondità 1721 m) e i bacini delle Egadi (profondità massima 900 m). Essi sono originati da faglie distensive con prevalente direzione NO-SE (fig.16), che, relativamente ai depositi miocenici superiori, determinano ri-getti di 500 m a Pantelleria e di 1000 m a M alta e Linosa (AR-GNANI, 1990). I vari bacini sono delimitati assialmente da faglie trasversali con orientazione N-S. I sedimenti plio-pleistocenici che ne costituiscono il riempimento sono di tipo torbiditico (M ALDONADO & STANLEY, 1977) con spessori di 1000 m a Pantel-leria, di 1500 m a M alta e di 2000 m a Linosa (WINNOCK, 1981) e di 2500 m nei bacini delle Egadi (GAMBERI & ARGNANI, 1993). Fig.16- Profilo sismico multicanale (sorgente Sparker) perpen-dicolare a uno dei bacini a sud ovest delle Isole Egadi (ubicazio-ne in fig.13). E' evidenziata la faglia distensiva immergente ver-so est che origina il Bacino. La successione plio-quaternaria che costituisce il riempimento del Bacino è rappresentata da riflet-tori che terminano in "onlap" sulla base della successione stes-sa. (da G AM B ER I, 1994). GEOMORFOLOGIA DEL GOLFO DI TARANTO

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Il Golfo di Taranto è stato esaminato da un punto di vista ba-timetrico e morfologico sulla base di numerosi profili ecografici e sismici. Sono state riconosciute le principali unità fisiografiche ed è stata fatta un'analisi particolareggiata dei diversi tipi di fondali e dci primi 8O m del sottofondo. Ne e ri-sultato che la morfologia su-perficiale del Golfo è influenzata notevolmente dalle strutture profonde ed è pertanto molto diversa nei ver-santi orientale ed occidentale della Valle di Ta-ranto. Complessivamente sono state registrate nel Golfo di Taranto 1.393 mn di profili ecografici ad alta e bassa frequenza. Quelli ad alta frequenza sono stati realizzati con un ecoscandaglio « EDO 15 kHz }) collegato ad un registratore « P.G.R. »; quelli a bassa frequenza con un ecografO ultrasono « S.B.P. 3.5 kHz ))_ Per il posizionamento dei profili sono stati eseguiti punti-nave ogni 15' con il sistema di radiolocalizzazione « LORAN. C »o con il sistema radar. Per il nostro studio sono state inoltre utilizzate anche 470 m n di profili ecografici a bassa frequenza messici gentilmente a disposizione dall'Osservatorio Geofisico Speri-mentale di Trieste. INQUADRAMENTO GEOLOGICO Il Golfo di Taranto, per la sua posizione geografica, rappre-senta una delle aree geologi-camente più complesse ed in-teressanti di tutto il Mediterra-neo centrale. Esso corrisponde ad una grande depressione valliva (Valle di Taranto) subrettili-nea orientata NW-SE. I suoi bordi costituiscono il limite fra i fondali del versante NE e quello SW, notevolmente diversi tra loro. Il versante NE infatti presenta fondali pressoché uniformi ed a debole pendenza; il versante SW ha un fondo estrema-mente irregolare e spesso inciso con elevazioni, depressioni e grandi estensioni pianeggianti. La differenza fra i due versanti è dovuta princi-palmente al fatto che i corpi profondi hanno in-fluenzato la morfologia superficiale del Golfo di Taranto. Ciò è da imputare alle diverse condizioni strutturali: infatti nella Valle di Taranto vengono a contatto l'avampaese pugliese, l'avanfos-sa bracianica e le coltri alloctone dell'Appennino meridionale. L'avampaese pugliese, di cui fa parte il versante NE della Valle, presenta un substrato calca-reo-mesozoico, ricoperto da terre-ni terziari e plio-quaternari con numerose faglie ad andamento NW-SE, che scendono a gradinata verso SW, cioè verso il fondo della VaHe di Taranto. Il versante SW invece è la continuazione in mare dell'alloctono dell'Appennino meridionale. Le coltri gravitative che poggiano su un substrato calcareo mesozoico o su terreni mio-pliocenici, rendono il fondale estremamente ir-regolare. Il fronte delle coltri si spinge ad E fino al limite del fondo-Valle ed anzi ne rappresenta il bordo occidentale. Il fon-do Valle è impostato lungo direttrici tettoniche ad andamento appenninico che si continuano dalla fossa bradanica lungo tut-to il Golfo ed oltre. Il suo substrato è formato dai calcari mur-giani sui quali giacciono sedimenti clastici a partire dal Terziario (ROSSI & BORSETTI, 1974). ll fondo-Valle rappresenta proba-bilmente parte l'avanfossa che, parten-do dal Piemonte riempi-

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ta da terreni miopliocenici, attraver-sando poi l'Italia centro-meridionale con terreni sempre più recenti, giunge nel Golfo di Taranto riempita solo in parte da terreni pleistocenici. Continua quindi lungo le Fosse elleniche, quasi completamente priva di sedimenti recenti e con sprofondamenti ancora in atto, per giungere fino a Cipro e for-se in Anatolia (SELLI & Rossi, 1975). Il fondo-Valle del Golfo dì Taranto può corrispondere perciò ad un tratto del solco Metaponto Cefalonia che è oc-cupato da bacini di sedimenta-zione che collegano ,l'avanfossa plio-pleistocenica sudappenninica con le Fosse elleniche. BATIMETRIA E MORFOLOGIA L'area in esame occupa 12.830 km2 e corrisponde ai 4/5 dì tut to il Golfo di Taranto. il Golfo di Taranto è occupato da una grande depressione rettilinea orientata NW-SE, che indiche-remo come {(Valle di Taran-to>>, La sua testata si trova all'in-circa al largo della foce del Bradano. Nel suo versante NE i fon-dali sono pressoché unifor-mi, con pendenze deboli e quasi co-stanti. Nel suo versante SW invece il fondo è irregolare, inter-rotto da incisioni, elevazioni, depressioni più o meno accentua-te e da grandi esten-sioni quasi pianeggianti. Sono presenti in-fatti 2 aree semipia-neggianti al traverso di Sibari (circa a 39°58' Lat. N e 17oQQ' Long. E) e di Nova Siri (circa a 39°45' Lat. N e 16"45' Long. E). La prima si trova a 450 m di profondità, mentre la second da giace a -800 m e culmina in una piccola elevazione a 764 m di profondità. Sono presenti anche alcuni ri-lievi che culmi-nano fra i -26 m del Banco dell'Amendolara (ROSSI e CO-LANTONI, 1976) e 764 m. Infine al traverso di Me-taponto, inci-sioni e valli secondarie con an-damento NW-SE, confluiscono direttamente nella valle di Ta-ranto; altre, al tra-verso di Capo Trionto, confluiscono in una depressione orienta-ta dappri-ma verso NW-SE, poi verso NE-SW e che si spinge fino al largo dì Cariati. Nel Golfo di Taranto si distinguono 4 princi-pali unità morfologiche: piattaforma continentale, scarpata continentale, fascia intermedia e fondo della valle dì Taranto. PIATTAFORMA CONTINENTALE Nel versante NE del Golfo di Taranto il limite della piatta-forma continentale ( « shelf-break )} ) ha una profondità media di 225 m: si aggira intor-no ai -180 m fino al traverso di Torre dell'Ovo e si approfondi-sce nuovamente (-280) fino a Punta del Pizzo. In questo ver-sante è presente un ampio terrazzo. Il suo limite supe-riore, marcato da una netta rottura di pendenza, si trova ad una profondità media di 140 m. Il limite inferiore coincide con lo « shelf-break )) della piattaforma stessa. Il terrazzo se-gue in generale l'andamento dello « shelf >>, mantenendosi ampio nella zona meridionale, restringendosi poi al traverso di Torre dell'Ovo, per terminare al traverso di Capo San Vito. An-che la sua pendenza si mantiene intorno ai valori della piatta-forma (0'>48'). Nel versante SW lo « shelfbreak )) oscilla intor-

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no ai 113 m di profondità: dalle foci del fiume Bradano fino a Scanzano oscilla intorno ai 100 m, da Scanzano a Trebi sacce è di 135 m, da Trebisacce a S di Punta Fiume Nicà è di 113 m. Le caratteristiche della piatta-forma del versante SW sono molto diverse da quello di NE: essa risulta infatti piuttosto ri-stretta e tormentata per le incisioni formate dalle testate dei numerosi « canyons >>. Queste ultime non sono però sempre raccordate direttamente alla foce dei fiu-mi: secondo MooRE (1967) ciò dipende dalla dinamica del trasporto dei sedimenti ad opera delle correnti che agiscono sottocosta. Al traverso di Capo Spu-lico la piattaforma presenta una ca-ratteristica propaggine di limi-tate dimensioni (lunghezza 6 km) da cui si eleva il Banco dell'Amendolara; la sua super-ficie è di 20 km2, mentre la sua altezza dal fondo ragiunge i 74 m, con una profondità minima di 26 m (fig. 3). SCARPATA CONTINENTALE Nel versante NE del Golfo di Taranto essa ha un andamento molto regolare, sia in ampiezza che in pendenza, e si estende dal ciglio della piattaforma al margine orientale del fondo della Valle di Taranto. Il suo piede coincide con una diminu-zione di pendenza, in genere ben individuabile. La regolarità del pendio risulta interrotta so-lo al traverso di Torre Castel-luccia, dove è presente un ter-razzo con una superficie di 836 km2. La parte centro-meridionale della zona di scar-pata è interessata da al-cune incisioni, di cui solo una sembra prolungarsi fino al fondo valle. Si tratta di incisioni i cui fianchi non sono molto ripidi e sono sempre costituiti da sedimenti non consolidati. Nel ver-sante SW la scarpata continentale ri-sulta notevolmente meno am-pia, molto irregolare ed acci-dentata. Una fascia ad inclina-zione media molto più dolce suddivide la scarpata in due parti: superiore ed inferiore. La scarpata superiore si estende dal ci-glio della piattaforma con-tinentale fino ad una profondi-tà media di 660 m, in corri-spondenza ad una netta rottu-ra di pendio. Essa è interessata da profondi canyons per lo più attivi e in fase erosiva, senza apprezzabili accumuli di sedi-menti sul fondo; quasi tutti sboccano nei bacini e nelle valli della fascia intermedia. La scarpata inferiore si estende dal margine ester-no della fa-scia intermedia al fondo della valle di Tar an t o. Es-sa non si presenta sempre continua ma, al traverso di Punta Fiume Nicà, risulta interrotta da pro-paggini della scarpata su-perio-re e dei piani ondulati. Compare successivamente, e solo in parte, più a S. Anche nella scarpata inferiore sono presenti numerosi canyons attivi, in genere postati sulle depressioni del-la fascia intermedia, che convogliano i sedimenti per lo più nel fondo della Valle di Taranto. Partico-larmente nel versante NW del-la Valle dì Taranto, ma in generale in tutto il Golfo, sono presenti numerose frane sottomarine, accumulate alla base della scarpata continenta-le. Si tratta di scivolamenti di tipo gravitativo estesi anche parecchi chilometri (figg. 4 e 5). Nella fascia intermedia presente tra la scarpata superiore e quella inferiore, maggiormente nel versante SW del Golfo di Taranto e

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solo in un'area molto ristretta del versante NE. In questa unità morfologica sono comprese 4 unità secondarie e cioè: bacini di sedimentazione, piani ondulati, valli e colline. Due bacini di se-dimentazione si trovano nella parte settentrio-nale del Golfo di Taranto fra 450 m e 836 m di profondità con una debolissima inclinazio-ne verso il largo dove sono li-mitati da colline. Il baci-no al largo di Capo Spulico occupa 465 km2 ed è alimentato dai canyons che, numerosi, sol-cane la scarpata superiore. La forte sedimentazione recente è ben visibile sulle registrazioni eco-grafiche a bassa frequenza (S.B.P. 3.5 kHz), dove compaio-no nel sottofondo riflessioni numerose e parallele. Talvolta il fon-do dei bacini è interessato da piccole ondulazioni che pos-sono indicare sia una certa at-tività delle correnti sia accumuli di ma-teriali ai margini del ba-cino. I piani ondulati sono rap-presentati da aree semipianeggianti occupate da piccole de-pressioni o leggeri rilievi che talora possono rendere più tor-tuoso il trasporto dci sedimenti verso il fondo della Valle di Ta-ranto. Le valli, talora molto estese, corrono, in genere, parallele alla terraferma per poi deviare di 90" c collegarsi infine con il fondo della Valle di Taranto. Solo in alcuni tratti si riesce a rico-noscere l'andamento del loro asse: esso è spesso in concomi-tanza con un canale di erosione. Le colline (fig. 6) hanno un ge-nerale alli-neamento ed allungamento in direzione NW-SE. I versanti delle colline al traverso SW del Golfo di Taranto di Ca-po Trion-to sono asimmetrici: hanno in-fatti pendenze fino a 15" quelli sovrastanti la valle che li sepa-ra, 6"42' quelli oppo-sti. L'altez-za delle colllne varia da un mi-nimo di 60 m ad un massimo di 761 m. Generali della zona in-feriore della scarpata continentale. Sul fondo, e prevalentemente nel margine occi-dentale, si seguono canali con andamento sinuoso mostrando diverse culminazioni. Alla loro base sono individuabili accumuli di sedimenti caotici staccati dai fianchi (« slumps l>). Pochi so-no i canyons che solcano la fascia intermedia. Più numerose in-vece sono le testate dei canyons che poi scendono lungo la scarpata inferiore. FONDO VALLE DI TARANTO Il fondo valle (fig. 2 a, b) ha in generale un andamento pia-neggiante con inclinazione ver-so SE. La sua larghezza varia da l a 13 km. Il suo limite con il versante di NE è molto netto. Nel la-to W invece il fondovalle risulta in parte limitato dal pie-de cor-so. Oltre il Golfo di Ta-ranto il fondo-valle continua ad appro-fondirsi sino ad arrivare alla piana batiale ionica (SELLI & Rossi, 1974 ). ln base all'acci-dentalità ed alla pendenza è stato possi-bile suddividere il fondovalle in più parti morfo-logicamente di-stinte. Nella parte settentrionale (da Lat. 40"25'.5 a Lat. 40°14') il fondo-valle è molto stretto e corri-sponde a quello del ca-nyon del Braciano. Questo confluisce insieme agli altri del Bra-dano fra i traversi di Ginusa e Scanzano ad alimentare più a S il fondo vero e proprio della Valle (figg. 7, 8). Nella parte centro-settentrionale (da Lat. 40°14' a Lat. 39"51') inizia il fondo-valle, che raggiunge su-bito una larghezza di 13 km.

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Fig. 7 - Parte scttentdonale del fondo-Valle con fondale di tipo C Fig. 8 Versante destro dell’argine del canyon formato dal F. Bradano. Notare le numerose superfici di erosione. A SW il suo margine rispetto alla scarpata è molto netto; meno marcato invece a NE do-ve la pendenza diminuisce gra-dualmente fino all'asse della Valle (fig. 9). Nella parte cen-tro-meridionale (da Lat. 39o51' a Lat. 39o33') il fondovalle si re-stringe ed è ben delimitato rispetto ai due versanti. Sul fondo-valle corre per lunghi tratti un canale di erosione (fig. 10). Nella parte meridionale (da Lat. 39033' a Lat. 39°25') il fondo-valle si allarga di nuovo e solo a SW ha un limite evidente. Qui sfociano alcuni canyons che sembrano essere attivi. TIPI DI FONDALI ED ANALISI DEL SOTTOFONDO Oltre alla riflessione dovuta alla discontinuità acqua-fondo so-no molto evidenti altre riflessioni numerose c continue nel sot-tofondo. Questi fondali corrispondono a sedimenti di tipo argil-loso o ar-gillososiltosi non compattizzati. Eventualmente pos-sono essere presenti anche intercalazioni sabbiose. A1 - Fondali piani (fig. l l) In genere sono più o meno inclinati ma con rifles-sioni sempre parallele al fondo. Sono presenti in vaste zone della piattaforma continentale, nei bacini ed in alcune zone li-mitate delle valli. Si trovano pure nei piani ondulati che inter-rompono la scarpata continentale. Essi sono connessi ad una sedimentazione tranquilla e pelitica. Fondali ondulati Hanno una copertura sedimentaria e riflessioni parallele al fondo. Date le notevoli differenze nelle ondulazioni sono stati suddivisi in 3 sottotipi: Fondali a piccole ondulazioni (fig. 12) Le ondulazioni hanno generalmente una larghezza massima di 100 m ed un'altezza media di 4-5 m. Sono presenti per brevi tratti nella piattafor-ma continentale, nella parte alta della scarpata e, in limitate estensioni, nella zona interme-dia. Questo tipo di fondali Si trova soprattutto nei bacini e nei tratti più larghi del fondo della valle di Taranto (parti centrosetten-trionale e meri-dionale). Le ondulazioni po-trebbero essersi formate per accumulo di materiali grossola-ni provenienti dai canyons o per materiale franato dalla scarpata continentale ( « slumps >> ). Fondali a medie ondulazioni

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La larghezza delle ondulazioni non supera i 250 m, mentre l'al-tezza è inferiore a 25 m. So-no formati da frequenti dossi, av-vallamenti e culminazioni che spesso, sui profili sismici, vengo-no registrati come forme iperbolichc (HOFFMAN, 1957). Que-sto tipo di fondali si esten-de generalmente dove i valori di pendenza non sono partico-larmente alti; li ritroviamo lun-go la scarpata e, spesso, in cor-rispondenza dei piani ondulati. Fondali a grandi ondulazioni Questi fondali compaiono pre-valentemente nei piani ondulati, nelle larghe ed estese culminazioni delle colli-ne e in alcune li-mitate aree della scarpata, soprattutto nel versante NE. Le on-dulazioni hanno larghezza media mag-giore di 250 m cd un'al-tezza superiore ai 25 m. B) Fondali lisci con poche o senza riflessioni nel « sub-bottom » In alcuni casi si riesce ad identi-ficare nel sottofondo qualche ri-flessione discontinua cd isola-ta. L'assenza o la scarsità di pe-netrazione dell'energia acustica è dovuta alla natura sabbiosa o rocciosa del fondale. Fondali piani Sono presenti solo in una ri-strettissima zona, in corrispon-denza di un allargamento, nella parte settentrionale del fondo della valle di Taranto. L'energia acustica qui non riesce a pene-trare probabilmente a causa della compattezza dei sedimenti. Fondali ondulati Presentano spesso una leggera copertura di fango. Mancano del tutto le grandi ondu!azioni e sembrano assenti le formazio-ni rocciose. Fondali a piccole ondulazioni Sono del tutto simili a quelli del tipo a2- 1 sia per altezza che per larghezza. Sono presenti nella parte centrosettentriona-le del fondo della valle di Ta-ranto e in altre limitate aree della zona intermedia e della scarpata continentale dove forse indicano movimenti franosi in atto. Fondali a medie ondulazioni Valgono le dimensioni delle corrispondenti con riflessione. Si trovano nelle zone ad accen-tuata pendenza: sulle pendici più ripide delle colline c suJla scarpata inferiore. FONDALI ACCIDENTATI CON POCHE O SENZA RIFLESSIONI NEL « SUB-BOTTOM }) Acusticamente si definiscono « sordi » e sono presenti in alcu-ne incisioni o su certe culminazioni o su fondali generalmente considerati « in erosione ». Sono anche caratteristici di forma-

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zioni rocciose. Al riguardo di questo tipo di fondali è da notare che lo scarso numero di profili effettuati sotto costa non hanno permesso di ben delimitare tutte le zone acci-dentate che, con ogni probabi-lità, sono arealmente più vaste. C1 - Fondali mi-croaccidenlati (fig. 3) Le accidentalità sono inferiori ai 10 m. In genere sono dovuti a precedenti fenomeni di erosione subae-rea o al « co-ralligeno di piattaforma». Sono presenti soprattut-to sul Banco dell'Amendolara e a S di Punta del Pizzo. C2 – Fondali macroaccidentati Si trovano nei canyons sotto-marini dove il fondale viene pro-fondamente eroso, deter-minando alti c bassi morfologici con numerose canalizzazioni. Questo tipo è stato riconosciu-to tra Scanzano e Ginosa Mari-na dove inizia la valle di Taran-to c al largo di Cariati e Capo Trionto dove i canyons incido-no pro-fondamente sia la scar-pata che la piattaforma conti-nentale. Fondali in erosione (fig. 3) Sono molto diffusi nella piatta-forma continentale del versan-te NE e sono caratterizzati da strati che presentano riflessioni inclinate e troncate rispetto al fondo. Dalle caratteristiche geomorfologiche ottenute dal-le registrazioni sismiche S.B.P. 3.5 kHz si possono fare ancora alcune osservazioni: a) oltre ai fondali in erosione sono pre-senti anche fondali anticamen-te erosi che giacciono a pro-fondità variabili tra 30 e 100 m. Nei pressi della costa pugliese e lucana è stato notato che nel sot-tofondo si trova una marca-ta superficie di discontinuità che rappresenta una superficie di erosione. Sopra questa vi è una sedimentazione tranquilla che raggiunge anche i 20 m di spes-sore; al di sotto la stratifi-cazione risulta inclinata. Sulla carta morfologica questo fon-dale è stato interpretato di tipo liscio con riflessione in quanto l'attuale copertura sedimentaria è di notevole spessore. Sono facilmente individuabili numerose al-tre superfici di discontinuità interpretabili come il risultato de-gli innalzamenti ed abbassamenti marini. Secondo CoTECCHIA et alii (1969) tutta la piattaforma continentale è di probabile origine quater-naria e può essersi formata per le regressioni e le trasgressioni legate alle oscillazioni glacio eustatiche del Plei-stocene. La fine del Tirreniano è infatti segnata da una regres-sione di circa 100 m sotto l'attuale livel-lo marino. Anche la su-perficie di discontinuità descritta in rappresenta evidentemen-te un fenomeno erosivo sub-aereo cui ha fatto seguito una tra-sgressione (Flandriana?) con successiva sedimentazione tran-quilla. c) Le numerose rot-ture di pendenza del versante NE del Golfo di Taranto corri-spondono a faglie profonde. In contrasto, i sedimenti recenti hanno poi reso uniforme il fon-dale, mante-nendo una leggera pendenza. Pertanto la rottura situata ad una profondità me-dia di 1000 m e che si sviluppa longitudinalmen-te per quasi tutta la scarpata, viene inter-pretata come una fa-glia di grande estensione, c così pure l'ampio terrazzo del ver-

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sante NE è di probabile origine tetto-nica essendo la zona inte-ressa-ta da complessi sistemi di faglie orientate NWSE. PROFILI PROFONDI IN CALA-BRIA SETTENTRIONALE MODELLO STRUTTURALE La struttura dell'area in esame può essere schematizzata at-traverso un modello che consi-dera quattro elementi principali rappresentati dall'avampaese apulo-garganico, dall'avanfossa bradanica, dalla catena appen-ninica e dalla catena alpina ca-labrese. AVAMPAESE APULOGARGANI-CO Si tratta di un dominio costitui-to da una successione carbona-tica potente oltre i 6000 metri rappresentata da evaporiti, cal-cari e dolomie del Trias e da calcari di piattaforma del Giurassi-co-Terziario. AVANFOSSA BRADANICA Si tratta eli un bacino ubicato tra l'avampaese apulo-garganico ad oriente e la cate-na appenninica ad occidente, la quale ne rappresentava la principale fonte di alimentazione. I sedimenti riferibili al Pliocene medio-superiore-Pieistocene inferiore sono costituiti da ar-gille prevalenti le quali passano verso l'alto e verso i bordi a sabbie e calcareniti che ne rap-presentano le fasi di chiusura. 4.1.4. - Mare Tirreno Il Tirreno è un mare profondo che costituisce un bacino episu-turale di retro arco sviluppatosi in un’area di catena prodotta dalle orogenesi alpina ed appenninica (SARTORI, 1990). Esso è compreso fra la Corsica, la Sardegna, la Sicilia e le coste occi-dentali italiane. All'incirca lungo il 41° parallelo è suddivisibile in due settori meridionale e settentrionale con caratteristiche geofisiche e strutturali diverse (fig.17). Tirreno meridionale E' un bacino profondo (3620 m di profondità massima), le cui aree batiali costituite dai bacini Vavilov e M arsili sono caratte-rizzate da un basamento a crosta oceanica o pseudooceanica. In queste due aree bacinali profonde si hanno valori estrema-mente positivi delle anomalie di Bouger e spessori crostali ri-dotti a 10 km (STEINMETZ et alii, 1983; NICOLICH & DAL PIAZ, 1991). Una soglia batimetrica con direzione N-S e spessore cro-stale più elevato (15 km) divide il bacino del Vavilov da quello del M arsili. Tra queste zone batiali profonde e le aree emerse peri-tirreniche si interpone una serie di ampi bacini di scarpata (FABBRI et alii, 1981) (fig.17); le aree di scarpata continentale sono in genere caratterizzate da valori dello spessore crostale e delle anomalie di Bouguer intermedi fra quelli delle aree baci-nali profonde e quelli delle aree emerse circostanti. B a c i n i p

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e r i-t i r r e n i c i Sulla scarpata superiore della Sardegna si estende, da capo Carbonara al canyon di Caprera il bacino Sar-do. Sulla scarpata inferiore, separato dal bacino Sardo tramite il rilievo delle Baronie, si estende quello del Cornaglia. Questi ba-cini sono originati da faglie distensive orientate prevalente-mente N-S che producono una serie di graben e semi-graben (FABBRI et alii, 1981) (fig.18). Il basamento è costituito da rocce paleo-mesozoiche affini a quelle affioranti in Sardegna (BOR-SETTI et alii, 1979); sul M onte delle Baronie, che separa il baci-no sardo da quello del Cornaglia, sono presenti rocce serpenti-nitiche a presunta affinità alpina (WEZEL et alii, 1977). Nell’area compresa fra il margine sardo e la zona delle Egadi, sono anco-ra presenti unità stratigrafico-strutturali di tipo europeo (grani-toidi del basamento sardo orientale), ma sono state rinvenute anche unità di tipo calabro-kabilide e di tipo siciliano (CATALA-NO et alii, 1989) che sovrascorrono le une sulle altre con ver-genza verso Sud. I più antichi depositi all'interno di questi baci-ni, in accordo con quanto rilevabile a terra in Sardegna, sono attribuiti all'Oligocene; i depositi pre-messiniani raggiungono lo spessore di 2600 m e la loro parte basale, di età anteriore al Tortoniano, si è deposta prima dell'inizio dell'attività distensiva che ha dato origine all'apertura tirrenica; a partire dal Torto-niano invece la sedimentazione è stata coeva con la rotazione dei blocchi bordati dalle faglie distensive (FABBRI et alii, 1981). Il M essiniano è rappresentato da depositi evaporitici cui se-guono in discordanza i sedimenti pliocenico-quaternari che raggiungono lo spessore di 1600 m. Nel bacino del Cornaglia il M essiniano è caratterizzato da uno spesso e continuo livello di sale che dà origine a frequenti strutture di tettonica salina. Sul margine siciliano e su quello calabro sono presenti numerosi bacini di scarpata i più importanti dei quali sono quelli di Cefa-lù, di Gioia e di Paola. Sono originati da faglie distensive con di-rezione in prevalenza NOSE e NE-SO, che hanno portato alla formazione di blocchi ruotati spesso limitati assialmente da fa-glie trasversali (Fig.19). Le rocce del basamento affioranti nelle parti più elevate dei blocchi ruotati hanno affinità con quelle dell'arco calabro e della catena maghrebide siciliana. Sono sta-te infatti rinvenute rocce ad affinità calabra nel bacino di Paola, calabro-peloritana in quello di Gioia e simili a quelle della cate-na siciliana (Complesso Panormide, Formazione di Reitano, Ca-po d'Orlando) nel bacino di Cefalù (FABBRI et alii, 1981). Nei bacini circostanti la Calabria e la Sicilia (Cefalù, Gioia, Paola) l'i-nizio dell'attività distensiva è marcato da depositi di età torto-niana che giacciono in discordanza sul basamento e raggiungo-no lo spessore di 2500 m (FABBRI et alii, 1981; ARGNANI & T RINCARDI, 1988). Anche questi bacini sono interessati dalla se-dimentazione evaporitica messiniana; in particolare le evaporiti hanno spessore fino a 1600 m nel bacino di Cefalù dove danno origine anche a frequenti strutture deformative dovute a tet-tonica salina. Al di sopra delle evaporiti si trovano in discordan-za i sedimenti plio-quaternari che raggiungono 2000 m di spes-sore. Andando verso i bacini posti a Nord del margine calabro l'età della tettonica distensiva sembra essere più recente, infat-

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ti i depositi plio-quaternari sono in diretto contatto col basa-mento. Bacino Vav ilov e piana batiale meridionale Il bacino Vavilov ha forma triangolare e raggiunge la massima profondità tirrenica (3620 m). Dati sulle età e sul chimismo del basamento derivano dalle perforazioni del Leg 107 ODP. Il sito 655 ha infatti eviden-ziato una sequenza di 116 m di basalti con affinità di M ORB transizionali al di sotto di sedimenti di età di 3,4-3,6 M a (BEC-CALUVA et alii, 1990). Fig. 17- Carta batimetrica semplificata del Mar Tirreno. Si noti il netto cambiamento che avviene lungo il 41° parallelo. La parte meridionale è occupata dalle piane batiali profonde del Bacino Vavilov e Marsili, esse sono circondate da una serie di bacini di scarpata (il Bacino sardo e quello di Cornaglia ad ovest; il Baci-no di Cefalù, quello di Gioia e quello di Paola a Sud ed Est). Nel-la parte settentrionale caratterizzata da profondità minori la Dorsale di Pianosa separa il margine toscano dal Bacino della Corsica. Sono indicate le ubicazioni dei profili sismici di figg.18-20 M entre il sito 651 ha evidenziato rocce basaltiche simili a quelle dell'arco delle Eolie sotto sedimenti di 2 M a. I sedimenti di età pliocenico-quaternaria sono sovrapposti direttamente al basamento. Essi hanno uno spessore massimo di 1 km e consi-stono di fanghi calcarei e sedimenti vulcanogenici. Bacino Marsili Ha forma romboedrica ed è separato dal bacino Vavilov e dalla piana batiale meridionale da una soglia a direzione N-S. Anche nel bacino M arsili i dati ottenuti dal Leg 107 ODP hanno messo in evidenza la presenza di un basamento di tipo oceanico. In particolare il sito 650 ha perforato al di sotto di sedimenti con età di 1.7-1.9 M a, basalti ad affinità calc-alkalina (BECCALUVA et alii, 1990). I sedimenti di età pliocenica superiore all'interno dei quali è presente una marcata discontinuità (M ARANI et alii, in stampa) giacciono direttamente su questo basamento e con-sistono di torbiditi e altri depositi dovuti a flussi gravitativi in-tercalati a fanghi calcarei (KASTENS et alii, 1988) (Fig.20). L'area centrale del bacino è occupata dal vulcano M arsili che si eleva per 3000 m sul fondo della piana batiale. Oltre che dalla forma-zione di crosta oceanica nei bacini Vavilov e M arsili l'evoluzio-ne del bacino tirrenico è stata accompagnata da altri importan-ti fenomeni vulcanici. Al retro della zona di subduzione della placca adriatica si sono infatti susseguiti nel tempo tre archi vulcanici: il più antico in Sardegna (32-13 M a), il più recente (1-0 M a) delle isole Eolie e dei vulcani marini adiacenti e un pre-sunto arco intermedio (5-2 M a) centro-tirrenico (ARGNANI et alii, 1995). Sono inoltre presenti corpi vulcani ad affinità intra-placca e calcalcalini, i più importanti dei quali sono quelli che costitiuscono i rilievi sottomarini del M agnaghi, del Vavilov e del M arsili (BECCALUVA et alii, 1994; GASPAROTTO & SAVELLI, 1994; ARGNANI et alii, 1995). T irreno set t ent rionale Il Tirre-no settentrionale è compreso fra la Corsica, la Toscana e la Li-

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guria e raggiunge, a Sud, la massima profondità di 2200 m. L'a-nomalia di Bouguer è caratterizzata da valori leggermente posi-tivi in graduale aumento verso Sud. Lo spessore crostale dimi-nuisce dai margini verso le aree centrali dove si riduce a 22.5 km (NICOLICH & DAL PIAZ, 1991). I dati geofisici indicano quindi un assottigliamento crostale minore rispetto a quello del Tirre-no meridionale. La dorsale dell'Elba, a direzione N-S, divide questa zona in due settori: il margine toscano ed il bacino Cor-so. Margine toscano Lo smembramento della catena collisiona-le alpino-appenninica è avvenuto in questa regione tramite l'at-tività di faglie distensive con orientazione N-S e NO-SE (fig.21), che hanno talora riattivato precedenti piani di accavallamento (ZITELLINI et alii, 1986; BARTOLE et alii, 1991). Ne è risultata una strutturazione a semi-graben delimitati da faglie con mo-vimento rotazionale e separati longitudinalmente da faglie tra-sversali a direzione antiappenninica (Z ITELLINI et alii, 1986; M ARANI & Z ITELLINI, 1986; M ARIANI & PRATO, 1988) (fig.22). Il basamento è costituito da unità ad affinità liguride e da unità sedimentarie e metamorfiche simili a quelle della serie toscana sovrascorse le une sulle altre con vergenza verso Est e la cui di-stribuzione spaziale comunque non è di facile ricostruzione (BARTOLE et alii, 1991). Il riempimento sedimentario dei semi-graben, prevalentemente di tipo torbiditico, inizia nel Torto-niano superiore ed avviene contemporaneamente all'attività delle faglie distensive fino al Pliocene superiore.I sedimenti di sin-rift (Tortoniano superiore-Pliocene superiore comprendono anche la successione evaporitica messiniana che fa passaggio lateralmente e nelle zone più elevate degli alti strutturali a su-perfici di erosione subaerea. I sedimenti di post-rift sono sub-orizzontali. La tettonica distensiva è stata accompagnata anche dalla messa in posto di corpi magmatici intrusivi ed effusivi anatettici acidi (BECCALUVA et alii, 1989) che sono migrati nel tempo da Ovest verso Est. Bacino Corso E' separato dal margi-ne toscano dalla dorsale dell' Elba. Il substrato consiste di una serie di unità tettoniche sovrascorse le une sulle altre con ver-genza verso Est. Le unità strutturalmente più elevate, presenti dalle coste della Corsica fino al monte Cialdi, consistono di uni-tà alpine del basamento oceanico ligure-piemontese e delle sue coperture sedimentarie (calcescisti, ofioliti, flysch ad hel-mintoidi) (FABBRI et alii, 1981). L'inizio della sedimentazione post-orogenica è databile al Burdigaliano superiore in accordo con i dati rilevabili a terra in Corsica e di alcuni pozzi. I depositi antecedenti il M essiniano, che raggiungono lo spessore di 3000 m, sono seguiti da facies evaporitiche messiniane margi-nali la cui sommità è marcata da una netta superficie erosiva sulla quale si depositano in discordanza i sedimenti plio-quaternari (FABBRI et alii, 1981; Z ITELLINI et alii, 1986; WEZEL et alii, 1981) (Fig.23).

4.2.2.- Rilievi ex-novo di sismica a riflessione

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Qualora i dati pregressi ricavati dalle fonti sopra elencate non soddisfino le condizioni minime necessarie per poter essere uti-lizzati nella costruzione della carta del sottofondo marino, sarà opportuno integrare la copertura dell'area interessata con profili multicanale acquisiti exnovo. Un rilievo di sismica a ri-flessione con finalità di cartografia del sottofondo marino ha lo scopo di ottenere un'adeguata copertura dell'area da investiga-re, con il minimo necessario di linee. Tali linee vanno acquisite con le più avanzate metodologie tenendo presente che l'obiet-tivo è di raggiungere una penetrazione anche di alcuni chilome-tri al di sotto del fondo marino. E' ovvio che per questo scopo la prospezione da utilizzare è quella sismica a riflessione con un cavo multicanale. Questo tipo di prospezione implica l'acquisi-zione digitale del dato sismico e rende possibile l'incremento del rapporto segnale/rumore in fase di elaborazione. I dettagli tecnici ed operativi riguardanti le problematiche dell'acquisi-zione ed elaborazione dei dati geofisici sono ampiamente trat-tati più avanti nella parte tecnica (vedi App. 6A). In questa sede vengono discussi gli aspetti dell'acquisizione che influenzano più da vicino la risoluzione spaziale dei dati e che quindi costi-tuiscono il controllo fondamentale della potenzialità della suc-cessiva ricostruzione cartografica effettuata tramite l'interpre-tazione dei dati. In seguito verranno anche trattati i vari pro-cessi da attuare in fase di elaborazione dei dati, altro fattore di grande importanza nel processo di utilizzo a scopo geologico dei dati sismici a riflessione. Acquisiz ione A prescindere dalle successive fasi di elaborazione, le potenzialità del dato sismico sono strettamente vincolate dai parametri di acquisizione. Le problematiche che riguardano l'acquisizione, che maggiormen-te influenzano la qualità del dato sismico, e che quindi vanno presi in considerazione nella programmazione di una campagna di sismica a riflessione sono: 1) 2) 3) 4) Tipo di sorgente Geo-metria di sparo nella sismica multicanale Registrazione del dato sismico Grigliato delle linee sismiche. 1) T i p o d i s o r g e n t e Il tipo di sorgente di energia sismica influenza sia la profondità di penetrazione del segnale all'inter-no della successione sedimentaria sia il contenuto in frequenze dello stesso e di conseguenza il suo potere risolutivo verticale e laterale. Per gli obiettivi della carta del sottofondo, alla luce dell'esperienza maturata attraverso l'esame dei profili sismici acquisiti dall'Istituto di Geologia M arina e quelli M inisteriali la sorgente più indicata risulta essere di tipo airgun. Questo tipo di sorgente consiste in un cannone ad aria compressa che pro-duce una bolla che si espande nell'acqua liberando energia. L'energia liberata, e quindi la capacità di penetrazione nel sot-tofondo, è funzione del volume del cannone e della pressione dell'aria compressa. Per ottenere una penetrazione accettabile attraverso le sequenze clastiche neogeniche che si ritrovano nella quasi totalità dei mari italiani è necessario un volume di almeno 2,5 litri con una pressione di 120-140 bar per ogni scoppio. Attualmente, fra le sorgenti airgun il modello G.I. Gun

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è quello più indicato in quanto l'energia trasmessa presenta una forma d'onda con un picco molto marcato che concentra l'energia (vedi App. 6A, fig.25), migliorando la risoluzione verti-cale e rendendo più efficaci le successive operazioni di elabora-zione del dato acquisito. Alla prova dei fatti anche sorgenti sparker di grossa potenza (almeno 30 kJ) si sono rivelate ade-guate allo scopo. Il loro rendimento è comunque molto inferio-re a quello degli airgun. In primo luogo infatti la sorgente spar-ker emette energia con forme d'onda variabili da scoppio a scoppio rendendo meno efficace la fase di elaborazione e se-condariamente presenta lo spettro di frequenze dell'energia trasmessa spostato verso l'alto, limitando la penetrazione in profondità. 2) G e o m e t r i a d i s p a r o n e l l' a c q u i s i z i o n e m u l t i c a n a l e Questo aspetto dell'acquisizione controlla la risoluzione spaziale, sia verticale che orizzontale, del dato si-smico e risulta particolarmente importante nella fase di elabo-razione. I parametri di controllo della geometria di acquisizione sono: la distanza fra la sorgente e la parte attiva del cavo sismi-co, la distanza fra i vari canali all'interno del cavo e la distanza fra i vari scoppi. E' importante che durante il rilievo venga man-tenuta una geometria di sparo tale da garantire una copertura di almeno sei volte (vedi App. 6A, fig.26). Per sfruttare a pieno la potenzialità del sistema multicanale occorre un cavo con al-meno 24 canali. Per garantire questa copertura è di fondamen-tale importanza disporre di un sistema di posizionamento e na-vigazione estremamente preciso i cui dettagli sono descritti nella parte tecnica. Infatti la presenza di più canali di registra-zione rende possibile la copertura multipla dei punti di rifles-sione e di conseguenza, in fase di elaborazione, l'operazione di stacking che, attraverso la somma dei vari sismogrammi relativi allo stesso punto di riflessione, migliora in maniera significativa il rapporto segnale/rumore. 3) R e g i s t r a z i o n e s i s m i c a Nell'acquisizione sismica multicanale la registrazione è di tipo digitale e viene effettuata su supporto magnetico: nastro o cas-setta. Il formato utilizzato, in accordo con gli standard interna-zionali, deve essere del tipo SEG D o SEG Y. Per gli scopi della cartografia geologica del sottofondo marino il tempo di regi-strazione deve essere di almeno 6 secondi (tempi doppi). Data la natura digitale della registrazione il segnale in arrivo viene campionato con un certo passo. Questo passo influenza il con-tenuto in frequenza dello stesso e per avere un contenuto in frequenze accettabile è opportuno campionare il segnale al-meno ogni 2 msec. 4) G r i g l i a t o d e l l e l i n e e s i s m i c h e Nella preparazione della carta strutturale del sottofondo, gli elementi da cartografare devono essere correlati fra i vari pro-fili. Pertanto la spaziatura del grigliato sismico è un fattore che condiziona in maniera determinante la risoluzione tridimensio-nale degli elementi riconosciuti. In linea teorica, una spaziatura molto ravvicinata consentirebbe di tracciare da un profilo all'al-tro strutture a tutte le scale (condizione raggiunta nel caso dei rilievi sismici a tre dimensioni); tuttavia gli alti costi dell'acquisi-zione suggeriscono di trovare una soluzione di compromesso fra la spaziatura delle linee e la qualità del risultato. Per gli sco-

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pi della carta alla scala 1:250.000 un grigliato sismico a maglia regolare con linee spaziate di circa 15 km risulta essere adegua-to. Qualora si abbia conoscenza a priori dell'andamento strut-turale della zona è opportuno che le linee sismiche siano dispo-ste in maniera sia perpendicolare sia parallela agli elementi strutturali. Oltre a prevedere queste caratteristiche è opportu-no che eventuali pozzi presenti nell'area della carta siano ben correlabili con i profili, evitando proiezioni che risultino forzate con riferimento alla situazione geologica riscontrata. E' anche auspicabile che siano presenti nell'area uno o più profili multi-canale in posizione significativa, allo scopo di disporre di un'immagine geologica più completa Elaborazione Il dato acquisito con le tecniche della sismica a riflessione mul-ticanale è passibile di sostanziale miglioramento attraverso l'e-laborazione del segnale. A questo riguardo va tenuto comun-que presente che sono di cruciale importanza, come risulta dal paragrafo precedente, le modalità di acquisizione del dato ori-ginale. Anche nella fase di elaborazione dei dati sismici è op-portuno trovare un compromesso fra un livello di elaborazione estremamente raffinato, che comporta tempi lunghi e costi elevati, ed uno speditivo che però non sfrutta a pieno le poten-zialità del dato. Viene di seguito esposta una sequenza minima di elaborazione da applicare ai dati sismici, con lo scopo di ot-tenere, come prodotto finale, un profilo sismico in versione stack ottenuto attraverso l'analisi di velocità. La sequenza sug-gerita comporta i seguenti passi : il ricampionamento del dato sismico a 2 oppure 4 msec il rag-gruppamento dei sismogrammi appartenenti allo stesso punto di riflessione (sort) l'analisi di velocità per stabilire le correzioni da applicare nella fase di stack (la spaziatura delle analisi di ve-locità influenza la qualità dello stack e per questo è opportuno rinfittire le analisi nelle zone strutturalmente e topografica-mente più complesse) il muting per eliminare la parte del se-gnale non utilizzabile perchè rumoroso il filtraggio in tempo va-riabile per tenere conto dell'effetto filtro passa basso della Ter-ra la deconvoluzione per riportare il segnale alla sua forma ideale ed eliminare i segnali dovuti a riflessioni multiple la somma delle tracce appartenenti allo stesso punto di riflessio-ne (stack) per alcune linee, ritenute di importanza regionale, sarà opportuno ottenere sezioni migrate. Nella rappresenta-zione del profilo sismico finale la scala verticale sarà indicata in secondi (tempi doppi) e in quella orizzontale saranno indicati i punti di scoppio ed i punti comuni di riflessione (CDP). Indicati-vamente, le scale da utilizzarsi potrebbero essere le seguenti: 1 sec ogni 5 cm per la scala verticale e 250 m ogni cm per la scala orizzontale. La rappresentazione dei singoli sismogrammi che compongono il profilo sarà effettuata con la modalità dell'area variabile e della traccia continua (variable area and wiggle). 4.3.- INTERPRETAZIONE DEI DATI SISMICI Ogni singolo evento riflettivo di un profilo sismico rappresenta un contrasto di im-

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pedenza acustica fra corpi rocciosi con caratteristiche diverse che compongono la successione geologica. I profili sismici sono delle sezioni tempo nelle quali gli eventi sono rappresentati a profondità che sono funzione della velocità di propagazione nel mezzo attraversato. Nonostante la scala verticale sia in tempi, è possibile usare la geometria delle riflessioni per effettuare una interpretazione geologica. L'interpretazione dei dati sismi-ci, per gli scopi della cartografia del sottofondo marino, ha co-me obbiettivo la suddivisione delle riflessioni in unità sismo-stratigrafiche, la definizione della loro storia deposizionale e l'individuazione delle strutture deformative che le interessano. Questi vari aspetti sono intimamente connessi e perciò, in sede operativa, devono essere affrontati parallelamente. Per conve-nienza di esposizione essi saranno trattati separatamente nel procedimento di interpretazione descritto qui di seguito. 4.3.1.- Interpretazione strutturale Le strutture plicative e le faglie, sia dirette che inverse, si individuano sui profili sismici attraverso la geometria delle riflessioni, le terminazioni e le dislocazioni di riflettori di riferimento. Non di rado alle superfici di faglia sono associate zone ad iperboli. Le principali strutture che vengono riconosciute sui profili sismici sono: a) faglie dirette ed inverse, generalmente ad alto angolo b) superfici di sovrascorrimento a basso angolo c) faglie a componente di movimento prevalen-temente orizzontale; la loro corretta identificazione richiede un controllo della loro distribuzione spaziale d) assi di piega, sia sinclinali sia anticlinali e) strutture diapiriche f) intrusioni mag-matiche e subvulcaniche g) faglie e strutture di inversione che mostrano una riattivazione di senso opposto a quello origina-rio. I principali caratteri sismici delle strutture tettoniche sono i seguenti: F a g l i e - Alle faglie, che rappresentano discontinuità meccaniche che interessano i corpi rocciosi, sono spesso asso-ciati disturbi del segnale sismico dovuti a effetti di diffrazione che danno luogo ad iperboli. Per questo motivo non è sempre possibile determinare con precisione il loro esatto posiziona-mento. Verranno indicate in carta le tracce delle faglie dirette, inverse e trascorrenti; qualora esistano ambiguità riguardo alla natura della faglia questa può essere mappata come faglia in-certa.Le faglie di cui sopra dislocano la base della successione plio quaternaria. Nel caso siano presenti faglie significative che non dislocano l'orizzonte base del Plio-Quaternario, queste possono essere indicate in mappa con riferimento all'orizzonte dislocato stratigraficamente più alto. Qualora le faglie dirette presentino un elevato rigetto orizzontale dell'orizzonte di rife-rimento, è opportuno mappare l'estensione della superficie di faglia con apposita simbologia. P i e g h e Sono gli elementi strutturali più facilmente riconoscibili nei profili sismici in quanto, in genere, sono assenti i disturbi legati alle discontinuità che si riscontrano nelle faglie. Vengono map-pati gli assi delle anticlinali e sinclinali relativi alla superficie ba-se della successione plio-Quaternaria. Qualora la struttura non

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interessi la suddetta base, la traccia dell'asse sarà riferita all'o-rizzonte piegato stratigraficamente più alto. S o v r a s c o r r i m e n t i – Sono superfici di taglio a basso angolo spesso associate a zone d'intensa deformazione e pertanto piuttosto difficili da identifi-care, essendo la loro immagine sismica disturbata da numerose iperboli di diffrazione. Anche in questo caso la superficie di rife-rimento è la base del Plio-Quaternario. Nel caso che i sovra-scorrimenti non interessino questa superficie si procede come per le faglie. S t r u t t u r e d’ i n v e r s i o n e - Nel caso sia possibile riconoscere che faglie o pieghe siano dovute a riattivazione in senso opposto di preesistenti elementi strutturali sarà opportuno riportare queste strutture sulla carta con apposita simbologia. Alla struttura sarà attribuita l'età cor-rispondente al momento dell'inversione. S t r u t t u r e d i a p i r i c h e – Legate a risalita di evaporiti o argille possono essere identifica-te nei profili sismici anche se i limiti di queste strutture risulta-no spesso non ben definibili a causa delle alte pendenze dei lo-ro fianchi. Le aree interessate da diapirismo e, quando possibi-le, le singole strutture, vanno indicate nella carta con apposita simbologia. I n t r u s i o n i m a g m a t i c h e e c o r p i s u b v u l c a n i c i – Queste strutture sono difficilmente penetrabili dall'energia si-smica e possono essere identificabili sui profili come zone sor-de caratterizzate dall'assenza di riflessioni. Essendo spesso as-sociate ad anomalie del campo magnetico, la loro interpreta-zione può essere corroborata dall'analisi dei dati magnetome-trici. Le strutture tettoniche riconosciute in un singolo profilo vengono poi correlate attraverso vari profili, così da definirne l'andamento in pianta. Interpretazione sismo-stratigrafica Il riconoscimento delle principali discontinuità tettoniche, reso possibile dall'interpretazione strutturale, permette di indivi-duare aree più o meno indeformate all'interno delle quali viene effetuata l'analisi sismo-stratigrafica. Essa verte al riconosci-mento delle unità sismiche ovvero di pacchi di riflessioni relati-vamente concordanti limitati alla base e al tetto da superfici di-scordanti o dalle loro correspettive superfici concordanti. La corretta definizione delle unità sismiche richiede quindi la indi-

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viduazione delle terminazioni laterali delle riflessioni, che per-mette di riconoscere le superfici che demarcano i limiti delle unita' sismiche. L'individuazione delle singole unità sismiche è seguita dalla ricostruzione della loro geometria tridimensionale e delle superfici che le delimitano tramite la correlazione fra i vari profili. La successiva analisi della geometria delle riflessioni e delle facies sismiche, sulla base della continuità e dell'am-piezza delle riflessioni, all'interno delle varie unità sismo-stratigrafiche permette di ricostruirne la storia deposizionale e di ottenere una stratigrafia relativa fra le varie unità che ven-gono anche caratterizzate come unità deposizionali. Le unità deposizionali riconosciute tramite l'analisi dei profili sismici vengono poi caratterizzate in senso lito e crono-stratigrafico at-traverso il loro campionamento diretto nei casi in cui affiorano sul fondo marino oppure attraverso le correlazioni con le stra-tigrafie di pozzo, qualora queste siano disponibili. Il quadro cronostratigrafico ricostruito consente anche di dare un’età al-le strutture deformative riconosciute. Geologia degli idrocarburi Il termine di geologia degli idrocarburi è usato per indicare uno specifico gruppo di discipline di scienze della Terra che si sono sviluppate ed applicate alla ricerca e produzione di idrocarburi dal sottosuolo a partire dall'inizio del XX secolo. La geologia de-gli idrocarburi principalmente si occupa di individuare, definire e valutare alcuni elementi chiave, che concorrono alla forma-zione di un giacimento di idrocarburi entro un bacino sedimen-tario: Roccia madre (source rock), in cui si e' originato il petrolio, la sua assenza preclude la possibile esistenza di giacimenti di idrocarburi. Roccia serbatoio (reservoir), ossia la roccia dotata di porosità che nel sottosuolo può fungere da "contenitore" per gli idro-carburi Roccia di copertura (cap rock), è una roccia impermeabile, in posizione geometrica sovrastante la roccia serbatoio, che con-fina l' idrocarburo in un volume ben definito di roccia. Trappola (trap), ossia una combinazione di successioni rocciose con un assetto strutturale tale da intrappolare gli idrocarburi nel sottosuolo, impedendo loro di risalire fino alla superficie del suolo. Solitamente, a seconda del tipo si ha una trappola strutturale, o una trappola stratigrafica, oppure una combina-zione delle due: trappola mista. Generazione dell'idrocarburo (Maturation) per degradazione della materia organica contenuta nella roccia madre. Migrazione dell'idrocarburo (Migration) generato nella matura-zione della roccia madre, e suo accumulo nella trappola. In generale, tutti questi elementi vengono riconosciuti e studia-ti attraverso osservazioni parziali del sottosuolo, possibili con i dati e le informazioni che vengono raccolte con la perforazione di uno o più pozzi esplorativi nella area investigata. Nel valuta-

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re questi dati occorre considerare che ogni pozzo perforato co-stituisce un segmento monodimensionale entro un universo tridimensionale, caratterizzato da variazioni laterale delle pro-prietà geologiche. La capacità di estrapolare informazioni a ca-rattere tridimensionale, da dati monodimensionali rappresenta una delle maggiori sfide interpretative degli studi geologici di sottosuolo. Recentemente la disponibilità di registrazioni sismi-che in 3D, aventi alta qualità come risoluzione e facilmente analizzabili al computer ha notevolmente migliorato le possibi-lità interpretative della geologia del sottosuolo. La valutazione della roccia madre richiede analisi geochimiche per quantifica-re la presenza del carbonio di origine organica, entro la roccia, classificarlo in funzione della sua origine e valutarne la sua qua-lità naftogenica. Da queste analisi è possibile dedurre quale sa-rebbe il tipo e la qualità di idrocarburi che può o potrebbe es-sere stato generato. La roccia serbatoio o reservoir (quest'ulti-mo termine è il più comunemente usato), è una unità litologica porosa e permeabile, che può essere costituita da un unico corpo roccioso, o una successione di numerosi corpi, in grado di immagazzinare idrocarburi entro i suoi pori e con permeabili-tà tale da permetterne l'emungimento tramite i pozzi di produ-zione. L'analisi di un reservoir richiede la valutazione quantita-tiva della sua porosità, necessaria per determinare il volume in situ degli idrocarburi nel giacimento. Tipiche rocce reservoir sono le sabbie, le arenarie e le rocce carbonatiche (calcari e do-lomie). Le discipline chiave per l'analisi dei reservoir includono la stratigrafia, sedimentologia, la geologia strutturale la petrofi-sica e l'ingegneria dei giacimenti.La roccia di copertura è una unità litologica, geometricamente sovrastante il reservoir, ca-ratterizzata petrofisicamente da permeabilità molto bassa o nulla, che ferma, impedendo il fusso di fluidi al suo interno, la migrazione verso l'alto degli idrocarburi, mantenendoli accu-mulati entro il reservoir. Le rocce di copertura più comuni sono evaporiti come gessi, anidriti, salgemma e le argille. Il termine "trappola" indica una particolare conformazione geometrica, composizionale (sia stratigrafica che strutturale) che assicura una sovraposizione geometricamente verticale di un reservoir e della roccia di copertura, che permette che gli idrocarburi rimangano intrappolati nel sottosuolo, piuttosto che risalire, tramite la spinta di Archimede (essendo più leggeri dell'acqua sempre presente nel sottosuolo), galleggiando fino alla superficie terrestre[1]. L'analisi della genesi dell'idrocarburo include il riconoscimento della storia termica della roccia madre per individuare i tempi geologici della sua maturazione, generazione degli idrocarburi e loro espulsione dall'unità della roccia madre e stimare i pos-sibili volumi di idrocarburi prodotti. Il riconoscimento dei dettagli della migrazione dell'idrocarburo e del percorso seguito permette di identificare possibili zone interessate da accumuli di idrocarburi, comprendere la ragione delle possibili variazioni di qualità di idrocarburi tutti prove-nienti dalla stessa roccia madre ed infine di identificare l'area di generazione degli idrocarburi.

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Logging La registrazione di log geofisici [ in foro (o semplicemente usando l' inglese logging) è la specifica tecnica geofisica usata e sviluppata, principalmente nella ricerca petrolifera per misura-re, entro un pozzo di ricerca, produzione, piezometrico o un semplice foro di sondaggio, alcune proprietà fisiche, chimiche e geologiche delle rocce nel sottosuolo e dei fluidi in esse conte-nuti. Attualmente le registrazioni di log, per le loro caratteristiche di misurazione continua e documentazione, natura digitale del dato e necessità sempre crescenti di avere informazioni precise sulle condizioni del sottosuolo, vengono effettuate anche entro pozzi perforati per altri scopi, quali pozzi geotermici, per emungitura di acque profonde, valutazioni economiche di gia-cimenti minerari e sondaggi geotecnici profondi per opere im-pegnative di ingegneria civile. Elaborazione dati pozzi Introduzione Nel seguente lavoro si è tenuto in considerazione per un analisi sismico-stratigrafica e interpretativa i dati di pozzo della Eni S.p.A.. e Schlumberger S.p.A. e la Montecatini Edison. Nelle de-scrizioni litologiche, si è scelto per una giusta correlazione e semplificazione una descrizione litologica convenzionale. Per le descrizioni di dettaglio fare riferimento alle colonne stratigrafi-che in allegato. Pozzo Calopezzati 001 Il presente sito ha le seguenti caratteristiche: è dotato di un impianto Wilson S\38 con un’altezza della tavola Rotari posta a m 3,20, la cui data d’inizio risale al 4 luglio del 1966,mentre la data di fine Perforazione al 16 luglio 1966 . La data di comple-tamento risale al 17 luglio 1966, la cui profondità finale viene stimata a m624,8. La società è la Montecatini Edison e l’ubicazione del sito risulta essere a circa m750 a Nord-W della foce del fiume Calamitti tra la linea FF.SS. ed il mare nel comu-ne di Calopezzati(Cosenza) le cui coordinate geografiche hanno Lat.39°,33’,57,9s e Long.4°,22’,30s , e la quota P.C a m1 sul slm e la quota T.R. a m4,20. Geologia stratigrafica del sito investigato Il sito investigato risulta essere caratterizzato da età compren-denti il Tortoniano,il Pliocene Superiore e il Pleistocene fino al recente, la cui Unità nel Tortoniano risulta essere l’Alloctono,

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mentre tra il Pliocene superiore e il Pleistocene si rinviene la formazione di Mutignano. Le Zone e Subzone paleontologiche sono caratterizzate dalla presenza nel Pliocene superiore dalla Bulimina marginata,mentre nel Pleistocene si rinviene la pre-senza della Anomalina balthica. Pozzo Ciro008-03047 Il presente sito,della società Montecatini Edison, ha le seguenti caratteristiche:è dotato di un impianto MassarentiR6D con un’altezza della Tavola Rotary a m3,20,la cui data d’inizio risale al 20 agosto 1968 e la data di fine perforazione al 26 agosto del 1968. La data di completamento è il 3 settembre 1968. La pro-fondità finale di perforazione è a m610. Il sito è stto ubicato nel comune di Cariati(Frazione di S.Cataldo) provincia di Cosenza tra la FF.SS. e la linea di costa. Le coordinate geografiche hanno Lat.39°,30’ e 38s e,Long. 4°,28’ e 35s e, la quota P.C. a m2 slm e la quota T.R. a m 5,20 Geologia stratigrafica del sito investigato Il sito investigato risulta essere caratterizzato da un’età com-presa tra il Miocene medio-inferiore e il Pleistocene fino al Re-cente. Tempo di avanzamento m.\mt.e note Descrizioni: Il sito investigato ad una profondità di m100 è dotato di una co-lonna 9 a 5\8’ con scarpa a m134,60. Ha una perforazione in colonna a 5 1\2 elevazioni al s da m335 a m338 con n°.39 di carichi distruttibili. Il sito risulta essere dotato di una prova di strato n°1 tra m335 e m338( in colonna) il cui scopo è un controllo di livello indizia-to dai carotaggi elettrici. È stato riscontrato dopo 6 ore dall’inizio della seguente prova di strato un debole soffio di gas combustibile per la durata di ore3,il cui risultato è l’erogazione in superfice di acqua dolce (NaCl 1,5g\l)leggermente emulsio-nata a gas in ragione di 15mc su grammi circa colonna 5 1\2” con scarpa a m372,50 cementata con gli 95 di Adriatico 730 a profondità 355\365 circa tappo di cemento da m440 a m375 con gli 33 di Adriatico 730 posto a m390\400. Pozzo Fiume-Crati001-02581 Per il presente sito della società Snia Viscosa idrocarburi è stato effettuato un carotaggio elettrico IES-GR. Esso è dotato di un

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‘impianto Ideco Pignone H40 il cui inizio perforazione risale al 2 settembre 1969 e il suo termine al 28 settembre 1969 ad una profondità totale di m1388. Il sito è ubicato nel cantiere del fiume Crati con coordinate geografiche di 4°,02’ e 55s ad una Lat,di39°,40’ e 19s. la quota slm della tavola Rotary è a m11 e il piano terra a m8. Il seguente carotaggio elettrico ha una Scarpa di perforazione con valore 277. L’età stratigrafica è compresa tra il miocene superiore e il Recente. Le biozone ri-scontrate nel Miocene superiore sono caratterizzate da com-ponenti fossilifere sterili,mentre a partire dal Pliocene superio-re si rinviene la presenza della Globigerina Inflata, della Globi-gerina Incompta e della Globorotalia Tosaensis. Salendo di età,nel Quaternario si rinviene la presenza delle Globotruncana Truncatulinoides e della Bulimina Marginata,della Globorota-glia Oscitans e,dell’Uvigerina Bradiyana,della Globigerina Infla-ta e,Nonion Pompilioides. Nel quaternario freddo si rinviene la presenza della Hyalinea Baltica,Bulimina Marginata,Bulimina Elongata,Gyroidina Umbonata,Uvigerina Peregrina,Nonion Sol-danii. Nel quaternario caldo Gasteropodi,Quinqueloculina Pul-chella,Srebiusbeccaripapilloso. Pozzo Fiume-Crati002-02482 Per il presente sito della società Snia Viscosa idrocarburi è stato effettuato un carotaggio elettrico IES-GR. Esso è dotato di un impianto Ideco Pignone H40 il cui inizio di perforazione al 12 ottobre 1971 e, il termine di perforazione risalente all’8 no-vebre 1971 con una profondità totale di m1927. Il sito è ubica-to nel cantiere del fiume Crati con coordinate geografiche di Long.4°,02’,10s e, Lat.39°,40’ e 58.s7. la quota slm della tavola Rotary è di m13 e il piano terra di m10. L’età stratigrafica risale al Messiniano e si estende fino al Pleistocene superiore. Le bio-zone risultano avere una componente sterile a partire dal Mes-siniano fino al Miocene superiore. Mentre nel Pliocene basale si rinviene la presenza del fossile guida Sphaerodinellopsis. Nel Pliocene superiore si rinviene il Globigerinoides Obliquus e la Globorotaglia Tosaensis,la Buliminidae e lo Steblus Beccarii Pa-pillosa e il Phidium Crispum,Hyalinea Baltica,forme Bentoni-che,fauna Plantonica . nel Pleistoce inferiore ne la biozona ri-sulta possedere una componente fossilifera sterile,mentre nel Pleistocene medio si rinviene la Buliminidaee,la Hyalinea Bal-thica ,la Globorotaglia Oscitans,Globigerina Inflata. Nel Pleisto-cene superiore si rinviene la Quinqueloculina Pulcella, Ammo-nia Beccarii Papillosa,Osrtacodi,Miliolidi. Pozzo Fiume-Crati003-02453 Il seguente sito è stato dotato di un impianto National 80b,il cui inizio perforazione risale al 4 agosto 1973 e il termine di perfo-razione al 14 novembre 1973. La quota sul livello del mare della Tavola Rotary è di m25,e il corrispettivo piano di campagna di m21. Le seguenti osservazioni e le rispettive prove di strato so-

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no state analizzate attraverso un carotaggio elettrico del tipo Gamma Ray. Descrizione litologico stratigrafica: Da m0 a m24 si risulta la presenza di alluvioni ghiaiosi-sabbiosi recenti; Da m24 a m438 si hanno livelli e banchi di sabbia fine-grossolana ,quarzoso,fedspatico,micacea,talora argillosa;livelli e lenti di ghiaia e conglomerato,intercalazioni di argilla plastica azzurra; Da m438 a m847 troviamo argilla plastica grigiastra,fossilifera con livelli di sabbia fine; Da m847 a m1159 troviamo argilla marnosa e marna grigio verdastra con banchi di gesso intercalati e rare intercalazioni sottili di sabbia argillosa, Da m1159 a m1245 troviamo argilla marnosa salifera, con un banco di salgemma(m1176-m1205)calcare marnoso evaporiti-co; Da m1245 a m1281 troviamo marna argillosa; Da m1281 a m 1654 troviamo ghiaia e sabbia granitica con li-velli di gneiss con intercalazioni di marne argillosa gessifera; Da m1654 a m1825 troviamo marna argillosa gessifera con li-velli di materiale metamorfico(gneiss, quarzareniti,argilloscisti grigio scuro); Da m1825 a m1960 troviamo gneiss granatiferi ed albitici,con marna argillosa gessifera nella parte alta; Da m1960 a m2220 troviamo Ofioliti(gabri e quarzo bianco e verde)associate a quarzo siltiti verdastre e grigio nerastre e ar-gillo scisti; Da m2220 a m2540 troviamo calcari marnosi micritici grigio ne-rastri con saltuarie intercalazioni sottili di marno siltiti e calcari debolmente arenacei,micriti marnosa avana passante e calcare micritico. calcaro detritici a struttura oolitica e pseudo olitica; Da m2540 a m2790 troviamo calcare e calcare marnoso grigio scuro e struttura cristallina calcare marnoso micritico e calcare arenaceo silcifero. Tra m2680 e m2736 dolomia calcarea; Da m 2790 a m3540 troviamo argillo scisti grigio nera-stri,quarziti filladiche,marno scisti,micascisti,scisticloritici,tutti subordinati quantitativamente. Quarzareniti e quarzosiltiti, in parte a prevalente cemento calcitico microcristallino. Rare in-tercalazioni sottili di calcari marnosi silciferi; Dam 3540 a m3714 troviamo gli stessi tipi litologici e intercala-zioni via via più fitte di calcilutiti,pelspariti,pelmicriti e bio pelspariti. Biozone Si rinvengono nel Messiniano l’alloctono da m796 a m1245 la Bulimina elongata, Bulimina marginata. Nel Pleistocene inferio-

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re si rinviene l’Ammonia beccarii,la Globigerina inflata, Globi-gerina pachyderma,Hyalinaea balthica,Globorotaglia truncatu-linoides. Nel Messiniano non si rinvengono componenti bioge-niche in quanto caratterizzati da livelli sterili. Nel Cretaceo infe-riore si rinviene la Tronchiolina textularidi oftamididi, Miliolidi. Nel Titonico Heterohelix, Hedbergella, Calpionella(calcari a car-pionelle)Trocolina. Nel Cretaceo inferiore non è presente alcu-na componente biogenica in quanto sterile. Nel Giurassico su-periore e Cretaceo inferiore al tetto si rinvengono Radiolari e Foramminiferi arenacei.


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