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CHIESA e CONVENTO
di S.DOMENICO (già S.MARIA DELLE GRAZIE)
a GIOIA DEL COLLE
2
1. Localizzazione
Il convento gioiese è localizzato ai margini del nucleo storico urbano, a ridosso del tracciato delle antiche
mura. Essendo sede del municipio, oggi risulta ben integrato nel tessuto sociale cittadino.
3
2. Notizie storiche
Il complesso conventuale di S.Maria delle Grazie di Gioia del Colle, divenuto poi di S.Domenico, sorge nel
quartiere sviluppatosi intorno al Castello tra il XV e il XVI secolo, che si raccordò al convento dei Domeni-
cani esistente fuori le mura, inglobandolo. Nei documenti relativi al periodo è sempre indicato come ex-
tra moenia, ma nel 1810 era ormai inserito all’interno del primitivo nucleo cittadino, con sporadiche case
intorno disposte secondo una trama a scacchiera tipica dell’espansione ottocentesca.1
Si presume che il convento sia stato fondato nel 1460, in qualità di vicariato nel quartiere degli Slavi o
Schiavoni, come riportato da alcuni storici locali i quali indicano che un certo Bartolomeo da Barletta fissa
la data di fondazione al 1460. I coloni di questa zona, gli Slavi appunto, pur supponendo che fossero di
fede cattolica, probabilmente erano di tradizione più bizantina che latina: per questo motivo si può pen-
sare che i Domenicani ebbero il ruolo, da predicatori, di latinizzare gli abitanti del nuovo quartiere.2
Le origini tradizionalmente si fanno risalire ad un nobile di origine spagnola, di nome Federico De Silva o
Silvio, giunto a Gioia al seguito degli Aragonesi, il quale fece erigere un convento per i Domenicani con
annessa chiesetta proprio nei pressi dell’imponente castello normanno svevo. Tuttavia, tale informazione,
riportata nel Quadro istorico-poetico ottocentesco dello storico locale Losapio, è priva di una precisazione
temporale e di dettaglio: “Venne dicato a Maria delle grazie/ Da Federico Silva e suoi parenti/ L’altro famo-
so de’ Domenicani,/ Emulando lo zelo degli Andrani” […] “Spicca…/ …Federico/ De Silva che fondò co’ suoi
parenti/ A Domenico sacro il gran convento”.3
Probabilmente il complesso non era di nuovo impianto, bensì sembra che modificasse ed ampliasse un
edificio preesistente, probabilmente l’Ospedaletto di S.Giovanni di cui si ha traccia nelle antiche cronache,
ma privo di una collocazione topografica precisa.4
Le cronache della sacra visita a Gioia del Colle del 1593 da parte di Mons. Giulio Cesare Riccardi, menzio-
nano “un convento di Santa Maria delle Grazia che possiede un altare privilegiato tenuto da Frati Predica-
tori”.5
L’Apprezzo del 1611 cita una chiesa “nominata S.Maria della Grazia servita da Monaci Domenicani, et ivi
dimorano tre Frati più o meno secondo la volontà de’ Superiori, celebrandosi dalli detti continuamente, e
giornalmente le sacre messe con molta frequenza del Popolo, e devozione di particolari benefattori. Vivono
detti Frati parte con elemosine, e parte con le poche entrate, che tengono. Vi è l’altare maggiore con la Co-
na della Madonna, et altre Cappelle, delle quali ne sono Padronate”.6
Dal successivo Apprezzo del 1640 si apprende inoltre che “Fuori da detta terra dalla parte del Castello, ac-
costo la Porta Maggiore è uno Convento di S.Domenico, dove risiedono 2 Padri Sacerdoti, et 2 Laici; tengo-
no l’abitazione e comodità necessaria, et vivono d’intrate. Vi è la Chiesa ad una nave coverta con lamia. In
testa vi è l’Altare Maggiore, dove risiede il SS.o, tiene li Apparati necessarii; vi è la Sacrestia, et altre comodi-
tà”.7
Nel 1652 ci fu la cosiddetta soppressione dei “conventini” da parte di Papa Innocenzo X. Infatti, con
un decreto fu deciso che tutti i conventi che non fossero stati in grado di sostenere dodici religiosi pro-
fessi andavano soppressi ed i loro beni incamerati dall’amministrazione vescovile. A seguito di questo de-
creto anche il convento di Gioia del Colle fu soppresso.8
Nel 1654, però, la posizione economica del convento di Gioia del Colle fu riesaminata e ne fu con-
sentita la riapertura.8
La descrizione più completa riguarda l’anno 1662, fornita dalla sacra visita di Mons. Diego Sersale: da qui
si desume che la chiesa possedeva molti altari: l’Altare maggiore dedicato a S.Maria delle Grazie, e quelli
dedicati a S.Domenico “cum statua lapidea”, S.Domenico da Soriano, S.Maria di Costantinopoli, SS. Rosa-
rio, S.Maria dei Miracoli di Andria, SS. Crocifisso, S.Francesco da Paola “cum statua”, SS. Annunciazione e
S.Giacinto. Si parla anche di un altare portatile da costruire provvisto di baldacchino.9 Ad oggi la statua di
S.Domenico non è più esistente, mentre l’altra raffigurante S.Francesco da Paola è quella posta oggi sul
primo altare a destra, incassata nella parete. Lo stesso documento afferma che nel convento vi erano un
“frater Marcus a’ Solofra Magister”, un “frater Iacintus a’ Iovia lector” e due conversi. Si legge inoltre che
dal suddetto Vicario Marco erano state erette nuove fabbriche.9 Ma ancora alla fine del ‘600 il convento
era un semplice “Vicariato in fabrica” di dimensioni alquanto modeste, che ospitava due sacerdoti, quat-
tro conversi ed un terziario.10
4
Prima pagina dello Statuto della Confraternita del Rosario
Lo stato della chiesa e del convento di S.Domenico relativo al XVIII secolo è difficilmente ricostruibile at-
traverso i documenti ritrovati. Sembra tuttavia che all’interno delle sue mura si tenevano talvolta i “Parla-
menti” ossia le votazioni per le cariche cittadine che si facevano con i ceci e le fave.11
Nel 1766 fu effettuato un intervento di restauro e di ampliamento del convento: Padre Domenico
Bradascio, anche grazie al contributo dei fedeli, riuscì a finanziare i lavori, spendendo complessivamente
300 ducati. L’operazione fu possibile attraverso la concessione ottenuta dal Cardinale Cavalchini con il
Decreto della Congregazione dei Vescovi e Regolari del 6 maggio 1766. Grazie a questo intervento, ne-
cessario in quanto la fabbrica era “scoperta”, il piccolo convento diventa grande come è adesso.12 A tal
proposito lo stesso Losapio riporta che il convento, in pessime condizioni, fu ricostruito da Padre Brada-
scio, Provinciale dei Domenicani: “Che poi distrutto altri rifè più bello…/ Il Provincial Bradascio…/ Tu
l’eretto da Silva Monastero/ Già crollante rifesti assai più bello,/ Più vasto, frutto di risparmi e cure/ Indefes-
se e di tuo zelo incessante”.3
La chiesa, in tale occasione, fu adornata con stucchi e decorazioni, e dotata di arredo pittorico di scuola
napoletana.13 Tuttavia sembra che Padre Bradascio sia purtroppo morto prematuramente, poiché, come è
riportato in una lettera data 1812 del Sindaco Pietro Nicola Favale a seguito della soppressione del con-
vento, egli “non lo perfezionò ed un quarto di detto Monastero, propriamente quello a man dritta quando si
entra, restò nell’antico stato”.14
Il convento fu compreso nella generale soppressione murattiana del 1809. Gli inventari redatti al
momento dell’incameramento demaniale forniscono una descrizione che rivela una vocazione tipicamen-
te rurale, poco usuale per un Ordine come quello dei Domenicani: a pian terreno vi erano dieci magazzi-
ni, una cantina e un sottano; dietro i magazzini vi erano delle dipendenze, attaccate al cortile e al giardi-
netto, ad oriente (un lamione per deposito di paglia ed alcune capanne ad uso di stalla); nella parte di
mezzogiorno si trovavano un magazzino e alcune case soprane usate per abitazione privata, date in fitto
dai Domenicani. Al primo piano vi erano i soprani: stanza di abitazione, corridoi, refettorio e cucina. Al se-
condo piano i soprasoprani, ossia quattro magazzini.15 Il convento inoltre aveva anche una stanza adibita
a libreria e possedeva parecchi quadri, qualche statua e pochi oggetti preziosi.16
Dal 1812 si riscontrano numerosi solleciti indirizzati
all’Intendente di Bari da parte del Sindaco del Co-
mune di Gioia del Colle Pietro Nicola Favale, affin-
ché il palazzo fosse adibito a “padiglione militare,
Casa Comunale e Giudicato di Pace del Circonda-
rio”.17 In una parte di questi carteggi si legge lo sta-
to di conservazione del tempo, oltre l’elenco di tut-
te le dipendenze già ritrovato: l’estensione di tutta
la superficie occupata è di Canne quadrate 600;
“l’edificio è costruito di una pietra detta tufo, che na-
sce nel Paese e con tutta la solidità di un edificio ri-
staurato ultimamente, meno il quarto vecchio che
per vetustà è caduto in rovina”; “dacchè ha cessato
di essere Monastero, le degradazioni sono molto cre-
sciute ed ha bisogno di urgenti e grandi riparazioni e
nel solido, e nei vani, come lo sono finestre, balconi
delle quali non vi sono… oltremodo rovinati… delle
rovina delle fabbriche”.18
Il 25 ottobre 1813 il convento fu consegnato al
sindaco di Gioia del Colle per adibirlo a caserma
per le truppe di passaggio. Tuttavia questi ebbe
ben presto a lamentare l’ulteriore degrado derivan-
te dall’acquartieramento dei gendarmi; per questo
motivo propose di confinare l’alloggiamento della
truppa al pian terreno, dove suggeriva ci fosse la
possibilità intorno al chiostro di poter ospitare tutti
in dieci capacissimi magazzini. Nel contempo, per
5
Progetto del prospetto del nuovo Palazzo Municipale ad opera dell’ing. L. Castellucci 17
impedire qualsiasi accesso ai piani superiori, proponeva di murare la scala, lasciando l’utilizzo della porta
carrese e di una scala secondaria. L’ipotesi avanzata dal sindaco, porta dunque a dedurre che l’ingresso
conventuale fosse adiacente a quello della chiesa e di conseguenza la porta carraia fosse ubicata nella
parte retrostante all’attuale facciata.17
Nel 1816 l’ex-convento cambiava ulteriormente destinazione per essere adibito in parte a carcere
mandamentale e in parte e sede municipale.19 Da una perizia redatta dall’architetto G. Baldassarre del
1839 si desume che le carceri furono allocate nei locali a pian terreno. Interessante senza dubbio è la de-
scrizione dei lavori proposti per la manutenzione e la ridesti nazione dei locali alle nuove funzioni.20
Il 23 ottobre 1838 la chiesa, ormai nota come di S.Domenico, venne ceduta alla Confraternita di
S.Maria del Rosario: essa è retta da uno statuto avvallato da regio assenso di Ferdinando II di Napoli.21
Nel 1842 venne sistemato il largo antistante il complesso ove avevano sede le fiere cittadine.
All’indomani dell’unificazione dell’Italia, le autorità amministrative di Gioia del Colle, in virtù del maggiore
potere d’intervento conferito alle municipalità dal governo sabaudo, e, per ottemperare a disposizioni di
quest’ultimo in materia di istruzione pubblica e ammodernamento delle funzioni amministrative dello
Stato sul territorio, avviarono un programma di ristrutturazione di alcuni edifici pubblici. In questo pro-
gramma di lavori, l’ex-convento di S.Domenico occupa un ruolo preminente.
Il 3 novembre 1861 il sindaco Donatantonio Taranto conferisce all’ingegnere Luigi Castellucci di
Bitonto l’incarico di redigere un progetto di ristrutturazione ed ampliamento. Durante la seduta
consiliare tenutasi in questa data si scrisse: “Il Comune possiede vecchi edifizi in parte consumati dagli anni
come questo di S.Domenico ma suscettivi sempre ai miglioramenti adattarli ai bisogni del Secolo. Epperò io
dietro l’avviso della Giunta Municipale e nella certezza che il Consiglio darebbe il suo appoggio ad attuare
così nobile idea mi rivolsi al Principe degl’Ingegneri Signor D. Luigi Castellucci, perché elevandosi all’altezza
del pensiero voglia compiacersi ideare un piano di fondamentali riforme ed ingrandimento che risponda al-
la Civiltà dei tempi e metta Gioja al livello delle città Sorelle. Gli significai pure di tener mente a costruire
ampio e magnifico Portone con ai lati delle superbe Colonne, sulle quali poggerebbe l’orologio del Paese e
nel contempo apportare delle debite riforme alle case del pianterreno onde servire un lato per la Guardia
Nazionale e l’altro per le Scuole ad aprirsi senza perdere di mira le Carceri Civili e Criminali non che quella
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Fastigio dedicato all’Asilo d’infanzia Emanuele De Deo su via Rossini
separata per le donne. All’affetto accompagnai il rapporto con la pianta dell’intero locale; e ducati trenta
come invito ed acconto dell’opera da farsi, che prelevai dall’articolo 92 del corrente stato finanziere destina-
to per lo mantenimento degli edifizi pubblici. […] Io attendo di giorno in giorno il desiderato progetto che
intendo sottoporre al Vostro sano criterio e non sarà che dietro la Vostra approvazione che lo stesso avrà
piena esecuzione”. Il consiglio Comunale approvò all’unanimità.22
L’anno successivo, nella seduta dell’8 maggio 1862, il Consiglio Comunale adottò la delibera di approva-
zione del progetto dell’ingegnere Castellucci: “Il Consiglio letto il dettaglio del sig. Castellucci da lquale
apprende l’esito occorrente per l’ammontare di d. 5000, visto il disegno che è conforme ai suoi voti e di
quelli del pubblico di cui si è il fedele interprete, […] all’unanimità dietro appello nominale delibera che a
norma della perizia sommaria del sig. Castellucci e dal disegno da questi presentato approva la spesa da
erogarsi per le necessarie riforme di questo locale”.23
Da queste descrizioni si evince pertanto che il nuovo intervento architettonico, pur rispettando all’interno
l’antica struttura claustrale, portò ad una radicale trasformazione della facciata principale esterna, che
perse così la sua sobrietà originaria per assumere i fastosi e monumentali caratteri architettonici del neo-
classicismo, nonché alla realizzazione dell’androne e della scala d’ingresso.
Nel 1864 sono completati i lavori al Palazzo Municipale e comincia a funzionare il nuovo orologio
costruito a Napoli dal ginevrino sig. Bernard.24
Poiché dal 1 gennaio 1866 la spesa per le carceri mandamentali sono a carico a dei Comuni, nel Consiglio
Comunale del 6 novembre del 1865 si ricorda che nella sacrestia della chiesa erano state costruite due
stanze per sistemarvi il carcere civile, essendo molto anguste quelle esistenti nel locale stesso.24
Il 21 dicembre 1869 viene fondato l’Asilo d’infanzia E. De Deo a spese del Municipio e delle Opere
Pie locali.24
Presumibilmente negli stessi anni viene costruito, al secondo piano, anche il nuovo carcere, i cui
locali derivano certamente dalla ristrutturazione ed ampliamento dei vecchi magazzini del convento.20
Nel frattempo nel 1893 la chiesa fu ristrutturata a cura della Confraternita del Rosario.25
Nel 1908-9 si delibera sulla volontà di ampliare l’Asilo d’infanzia, a scapito del cortile retrostante la
chiesa.24
Durante le guerre mondiali si hanno poche notizie sulle vicende del complesso. Nel 1940 il Podestà deli-
bera di resistere in giudizio contro l’Amministrazione finanziaria dello Stato circa la restituzione sia
dell’ex-monastero dei Conventuali sia di quello dei Domenicani concessi in proprietà al Comune da Re
Ferdinando IV con decreto del 6-11-1816.24
Da un carteggio del 1952-55 tra Comune di Gioia, Genio Civile e Procura della Repubblica di Bari, si viene
a conoscenza del notevole stato di degrado in cui versava l’ex-convento. Le cause del degrado sono da
attribuirsi principalmente ai danni provocati sull’immobile dalla deflagrazione, durante la II Guerra Mon-
diale, di una vicina polveriera, fatta brillare dai Tedeschi in ritirata, e dall’installazione di antenne ed appa-
7
recchiature radiofoniche. Furono così smantellate le coperture a tetto degli ambienti prospicienti su via
Manin e via Rossini, per essere risistemate a terrazza.20
Dal 1998 fino al 2008 l’ex-convento ha subito diversi lavori di restauro, suddivisi in più periodi, che
hanno restituito lo splendore alla fabbrica e convertito l’antico chiostro interno in uno spazio polifunzio-
nale disponibile per congressi ed incontri cittadini. Oggi, inoltre, l’edificio è sede unicamente del Munici-
pio ed è detto Palazzo San Domenico, in memoria degli antichi fruitori del convento.
Note bibliografiche:
1 G. GUERRA, Carta Generale del Regno di Napoli (Archivio I.G.M. Firenze), tav. 17, 1810 2 AA.VV., Gioia, una città nella storia e civiltà di Puglia, vol. III, Fasano, 1986 3 F.P. LOSAPIO, Quadro istorico-poetico sulle vicende di Gioia in Bari detta anche Livia, Palermo, 1834 4 L. D’ERASMO, Gioia del Colle: guida alla città, Gioia del Colle, 1982 5 Archivio Capitolare di Gioia del Colle, Santa Visita di Mons. Giulio Cesare Riccardi, 1593, busta 1, fasc. 2 6 Archivio Capitolare di Gioia del Colle, Apprezzo del tavolario Federico Pinto, 1611, ff. 2v – 3r 7 Archivio Capitolare di Gioia del Colle, Apprezzo del tavolario arch. Honofrio Tangho, 1640, f. 32r e 1653, ff. 43v – 44r 8 G. CARANO DONVITO, Storia di Gioia del Colle, dalle origini ai primi del secolo XX, vol. II, Putignano, 1966 9 Archivio Capitolare di Gioia del Colle, Santa Visita di Mons. Diego ersale, 1662, busta 1, fasc. 7 10 L.G. ESPOSITO, Dati statistici sui Domenicani in Puglia nel Seicento, articolo della rivista annuale Archivio Storico Pugliese, Bari,1980 11 N. BITETTI, Le chiese di Gioia nella storia e nell’arte, Fasano, 1986 12 L.G. ESPOSITO, I Domenicani in Puglia e Basilicata, articolo della rivista semestrale Nicolaus Studi Storici, anno IX, 1998, n. 1 13 Archivio della Soprintendenza dei beni AA.AA.AA.SS. di Bari, Catalogo, schede OA 14 Archivio di Stato di Bari, Amministrazione Comunale Antica, b. 7, fasc. 25/I 15 Archivio di Stato di Bari, Atti del Demanio (Monasteri Soppressi), anno 1809, b. 56, fasc. 222
Archivio di Stato di Bari, Amministrazione Comunale Antica, anni 1812-1838, b. 7 16 Archivio di Stato di Bari, Sezione Finanziaria (Intendenza, Ramo Finanze), anni 1806-1835, b. 69 17 C. CHIEPPA, Luigi Castellucci e l’architettura dell’Ottocento in Terra di Bari, Fasano, 2006 18 Archivio di Stato di Bari, Intendenza 1098, b. 7, fasc. 166 19 N. BITETTI, V.U. CELIBERTI, Onomastica stradale di Gioia del Colle e del suo agro, Putignano, 1969 20 M.A. D’AMATO, Dal sapere manoscritto alla cultura telematica: una proposta per il recupero dei complessi conventuali domenicani
pugliesi. Tesi di laurea in ing. Edile, Politecnico di Bari, 2001 21 Archivio di Stato di Bari, Opere Pie, b. 102, fasc. 1832 22 Archivio Biblioteca Comunale di Gioia del Colle, Registro delle Deliberazioni Decurionali, ano 1861, pp. 215-217 23 Archivio Biblioteca Comunale di Gioia del Colle, Registro delle Deliberazioni Decurionali, ano 1862, f. 1-4bis, delibera dell’8-5-1862 24 Ricerche condotte dallo storico locale Francesco Giannini e pubblicate sul sito www.gioiadelcolle.info 25 G. CAPPELLUTI, Soppressione dei Domenicani in Puglia, articolo della rivista annuale Memorie Domenicane, n. 22, 1991
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Cartolina postale degli anni ‘40
Cartolina postale degli anni ‘60
Cartolina postale degli anni ‘40
Cartolina postale degli anni ‘60
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3. Rilievo architettonico
La chiesa rinascimentale di S.Domenico è uno dei piccoli gioielli misconosciuti che la città di Gioia del
Colle conservi. La facciata, molto sobria e quasi compressa dalle costruzioni adiacenti, si compone di un
paramento lapideo in tufo in analogia a quello costituente il convento e di piccoli dettagli architettonici e
scultorei. Il portale d’ingresso, che occupa la maggior parte della superficie muraria nella porzione infe-
riore del prospetto, si compone di una cornice suddivisa in tre fasce raccordate tra loro da modanature a
toro, e di un frontone timpanato di gusto classico rialzato da due mensole a voluta. Queste ultime pre-
sentano una decorazione a foglia di acanto alla base e un profilo segnato da dentelli che richiama visi-
vamente la sottocornice dentellata del timpano. Questo, infatti, è costituito da una sottocornice modana-
ta in gola rovescia, fascia dentellata e ovolo, e da una cornice in fascia e cavetto, mentre la sua sima di
coronamento è una modanatura a gola diritta.
In asse con il portale, vi è in alto un piccolo finestrone ellittico da cui prende luce l’aula liturgica, oggi a-
dornato con una vetrata raffigurante la Madonna del Rosario.
Facciata della chiesa
10
Il fastigio
La cella campanaria
Il portale d’ingresso
A coronamento della facciata vi è un piccolo fastigio gradonato
aggraziato da una minuta statua della Madonna coronata di
stelle su un piedistallo in pietra a doppia voluta ornato con tre
cherubini, unici elementi scultorei dell’apparato decorativo e-
sterno. Affiancato al lato destro della facciata si trova un piccolo
campanile: sovrapposto ad un maschio murario in soprasqua-
dro, esso si compone di due ordini architettonici di lesene e cel-
la campanaria; il primo livello presenta lesene geometricamente
semplificate, una cornice aggettante modana-ta in ovolo e ca-
vetto, e una cella purtroppo murata; il secondo livello, invece,
architettonicamente più ricercato, esibisce un’apertura ad arco
dotata di balaustra ed affiancata da un ordine di lesene tuscani-
che idealmente sorreggenti una trabea-zione modanata; a com-
pletamento vi è in cima un pinnacolo a pianta quadrata dalle
superfici plastiche, che reca in punta una sfera con la Croce.
Solo entrando in chiesa è possibile apprezzare il vero valore ar-
chitettonico di questo piccolo edificio: lo sviluppo è ad una sola
navata composta da due campate a pianta rettangolare coperte
ciascuna da una volta a spigolo (detta anche a stella), nata
dall’intersezione di una crociera e di una calotta. A scandire lo
spazio vi sono tre arconi trasversali a tutto sesto, di cui quello
centrale, più largo, è decorato con due archivolti binati in rileva-
to, impostati sulle lesene laterali, anch’esse binate. Le pareti la-
terali sono frazionate dai maschi murari in quattro cappelle ar-
chivoltate dotate di altare: entrando, sulla sinistra si ritrova la
prima dedicata all’Addolorata, la seconda, con altare del 1896,
riporta in un dipinto ellittico la rappresentazione della Madonna
di Pompei; sulla destra invece, una cappella ospita la statua cin-
quecentesca di S.Francesco da Paola, mentre l’altra riporta un
dipinto della Scuola del Caravaggio raffigurante tre santi dome-
nicani (S.Pietro da Verona, S.Tommaso d’Aquino e S.Vincenzo
Ferrer).
Tutte le superfici interne sono intonacate e l’apparato decorati-
vo presente non è troppo ridondante come avviene in altre
chiese domenicane: le tinte sono di una piacevole gradazione
pastello e variano dall’ocra chiaro (per le parti strutturali quali
archi, lesene, costoloni e cornici) al turchese (per gli intradossi
delle volte e per le lunette) passando per un leggero rosa sal-
mone (delle superfici verticali), il tutto in un’unica fusione armo-
11
L’aula liturgica Il presbiterio e l’altare maggiore
nica; l’apparato decorativo, invece, è ridotto ad alcuni medaglioni a rosetta in stucco dorato posti in chia-
ve agli archi a tutto sesto, e ai rosoni di palmette posti in chiave alle volte a stella. Alcune parti intonaca-
te, inoltre, sono decorate o con venature marmoree (le specchiature delle lesene) o con un susseguirsi di
volute dipinte e rosette ocra su campo blu di Prussia (l’intradosso delle arcate delle cappelle e le spec-
chiature delle lesene laterali).
Un arco trasversale a sesto pieno introduce al presbiterio, più ristretto rispetto all’aula liturgica in quanto
affiancato da due ambienti più bassi coperti da arconi a tutto sesto. La terminazione è rettilinea e sulla
parete di fondo è addossato l’imponente altare maggiore del 1893: anticipato da due gradini, esso è co-
stituito da tre livelli sovrapposti in marmo decorati ad intarsio con motivi geometrici di colore bruno,
giallo scuro e terra di Siena; al centro vi è il tabernacolo a forma di piccolo tempio timpanato, mentre ai
lati i capialtare sono decorati da vigorose volute in marmo; il postergale, austero nelle sue forme classi-
che, ospita nella nicchia centrale la statua della Madonna del Rosario e si innalza su quattro colonne co-
rinzie binate, dal fusto rastremato e venato e dai capitelli dorati, su cui si imposta un frontone timpanato.
Ai due lati dell’altare, in basso, vi sono due dipinti, opere eseguite dal pittore Mimmo Alfarone nel 1997,
raffiguranti S.Domenico e S.Caterina da Siena. Sulle pareti laterali, in alto a sinistra vi è un affresco del Sa-
cro Cuore di Gesù tra due angeli; nella parte destra, in alto una finestra dà luce al presbiterio, mentre nel-
la parte bassa si può ammirare un dipinto raffigurante S.Rita. La copertura, introdotta da un breve tratto
voltato a botte, è a semicupola impostata su due pennacchi sferici affrescati: suddiviso in cinque spec-
chiature trapezoidali, l’intradosso continuo è interrotto da un’apertura ellittica chiusa da una vetrata su
cui è riprodotto S.Domenico benedicente, mentre al centro vi è l’iscrizione REGINA SS.ROSARI ORA PRO NO-
BIS ed in chiave la rappresentazione dello Spirito Santo in forma di colomba.
Come per le altre chiese di Gioia annesse ai conventi, anche per questa ci doveva essere un sotterraneo,
al quale si accedeva dal centro della navata, utilizzato come sepolcro per i frati, il cui ingresso è stato si-
curamente chiuso a seguito del rifacimento della pavimentazione. Oggi su tale pavimentazione è visibile
la vistosa scritta in marmo dell’AVE MARIA.
A completare l’arredo sacro vi sono un pulpito ligneo sovrastante un confessionale e una cantoria,
anch’essa di legno, dotata di organo: il primo, posto tra la prima e la seconda arcata di sinistra, riporta un
dipinto raffigurante S.Alberto Magno di Colonia, maestro di S.Tommaso; la seconda è addossata alla con-
trofacciata e sovrasta la bussola d’ingresso.
12
La campata voltata a stella
La semicupola del presbiterio
13
La cantoria lignea
Veduta della navata dal presbiterio Il pulpito ligneo sovrastante il confessionale
14
Schema distributivo-funzionale
Il prospetto principale del Palazzo del Municipio
Il convento contiguo alla chiesa, allo stato attuale, si configura este-
riormente come un blocco geometrico compatto e simmetrico, mo-
numentale nella sua veste ottocentesca. L’ing. Castellucci, infatti, ha
prediletto una composizione classica, rispettando i canoni della mo-
dularità e della perfetta simmetria: un avancorpo centrale, asse
dell’impaginazione, crea un piacevole effetto chiaroscurale grazie alla
sua profondità e dona verticalismo alla facciata altrimenti troppo toz-
za e compatta. Questo è costituito da due arcate a tutto sesto so-
vrapposte e dal torrino dell’orologio ed incornicia il portone
d’ingresso e il balcone di rappresentanza del primo piano. Le due par-
ti del prospetto arretrate sono segnate verticalmente da delicate pa-
raste che scandiscono una chiara ritmicità nella massa monumentale,
assieme alle interposte aperture incorniciate. Le stesse finestre si mo-
strano arricchite dei motivi decorativi delle ringhiere “alla romana” al
piano terra, e di quelle dei balconi al primo piano. Separato da un
cornicione aggettante, un piano attico conclude in sommità la faccia-
ta: questo, crescendo dagli angoli verso il baricentro del torrino
dell’orologio, traccia un’immaginaria figura triangolare che racchiude
tutto il coronamento.
Esaminando nel dettaglio, si osserva che il portale d’ingresso, inqua-
drato in un ordine di paraste dal gusto quasi tuscanico, presenta
un’apertura ad arco a tutto sesto: i capitelli d’imposta sono semplifi-
cati nelle forme geometriche, l’archivolto è modanato in due fasce ed
15
Il torrino dell’orologio
La loggia di rappresentanza Il portale d’ingresso
aggraziato da una modanatura a gola diritta, men-
tre i due pennacchi laterali sono caratterizzati da
una specchiatura sottosquadro. Al si sopra, anche il
balcone di rappresentanza è contenuto all’interno di
un’arcata a tutto sesto, ma in questo caso l’intra-
dosso è impreziosito da una ricca decorazione di
riquadri con rosette; l’ordine di paraste, inoltre, più
snello e slanciato, è in stile ionico, secondo il cano-
ne classico di sovrapposizione degli ordini architet-
tonici. In particolare, la cornice della finestra, così
come le altre del primo piano, è aggraziata da due
volute reggimensola uguali a quelle viste nel porta-
le della chiesa.
La trabeazione sovrastante fortemente aggettante si
compone di architrave tripartito, fregio liscio, sotto-
cornice dentellata e cornice modanata in fascia, o-
volo e gola diritta desinente in listello. Tuttavia la
vera conclusione della facciata con avviene con il
cornicione, come solitamente si osserva negli edifici
residenziali ottocenteschi, bensì con il parapetto del
terrazzo che funge da ordine attico: lo slancio verti-
cale delle paraste prosegue per mezzo di piccole
lesene più snelle, mentre le parti centrali sono mo-
vimentate da un motivo decorativo geometrico di
specchiature.
La propulsione verticale delle forme si spinge anco-
ra più in alto con il torrino dell’orologio, elemento
che assume un’autonomia e un’identità di linguag-
gio decisa: su entrambi i lati del quadrante incorni-
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Particolare della finestra su via Manin Particolare del balcone su piazza Margherita di Savoia
Il prospetto dell’ex-convento su via Manin
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Androne d’ingresso Il portale della scala regia
ciato, due elaborati fregio in pietra decorano, come se fossero merletti, la geometria dei piedritti del ma-
nufatto, che a sua volta si corona di una lunetta con decoro di sfera alata, simbolicamente massonica,
mentre in sommità si erge un fregio traforato in ferro battuto a sostegno delle due campane.
Le superfici piane dei muri, come spesso avveniva per i Palazzi di rappresentanza ottocenteschi, erano un
tempo intonacate di rosso pompeiano, a simulacro dei mattoni in cotto, quasi a voler enfatizzare il gioco
cromatico delle paraste verticali. Degna di nota è la soluzione degli angoli del Palazzo: essa consta di un
esperimento grafico al primo piano formato da una coppia di lesene con uno spazio riquadrato interpo-
sto, segnato da tre piccoli campi, mentre il capitello ionico in sommità diviene a tre volute.
Un’idea di come la fabbrica dovesse presentarsi prima dell’intervento ottocentesco di Castellucci è data
soprattutto dal prospetto settentrionale su via Manin; con buona probabilità si può affermare che anche
il prospetto principale sulla piazza doveva avere più o meno questo aspetto: il piano seminterrato rivesti-
to di bugnato, una fila di aperture quadrate che danno luce agli ambienti del piano terra, mentre una se-
rie di finestre più ampie, allineate con quelle sottostanti, caratterizzano la parte alta del prospetto. Al di là
di sole due aperture, realizzate in occasione dell’ampliamento ottocentesco, queste conservano ancora
l’aspetto barocco delle cornici e del timpano mistilineo inflesso, facilmente riscontrabile in altri conventi
domenicani pugliesi.
Entrando dall’odierno ingresso principale, si accede ad un ampio androne voltato a botte: tale ambiente,
di raccordo tra l’espansione ottocentesca e la struttura dell’antico convento, ospita un largo scalone di
rappresentanza fiancheggiato da due spalle murarie. Varcato così un arco a tutto sesto, si giunge al por-
ticato intorno al chiostro: sei campate per lato voltate a crociera comunicano con lo spazio centrale me-
diante arcate a tutto sesto, oggi interamente scarificate per mettere a nudo l’apparecchiatura muraria in
tufo. I pilastri, a base quadrata e intonacati di bianco, creano un ritmo costante dello spazio, visivamente
ripreso dalle paraste che scandiscono le pareti interne.
Il chiostro, circondato su tutti e quattro i lati da pilastri quadrati, oggi risulta uno spazio chiuso ma al
tempo stesso illuminato da un grande lucernario a pagoda con struttura in acciaio. Dal primo piano si af-
facciano quattro finestre per lato in asse con le arcate sottostanti: aggraziate da un delizioso balconcino
con ringhiera in ferro battuto, esse ripresentano lo stesso motivo della cornice con timpano mistilineo
simile a quello visto sul prospetto in via Manin. Sottili lesene raccordate ad arco ad un architrave appena
accennato ritmano in maniera costante il tutto.
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Il chiostro
Veduta del lato sud del chiostro Il porticato intorno al chiostro
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Il corridoio settentrionale del primo piano La scala regia
Nell’angolo nord-ovest del porticato un portale ad arco caratterizzato da paraste dotate di capitello e da
una voluta reggimensola triglifata posta in chiave, dà accesso alla scala regia di collegamento con il pri-
mo piano: essa si sviluppa in tre rampe intorno ad un vuoto centrale e si conclude all’arrivo con due arca-
te a tutto sesto affiancate, una di ingresso, l’altra di affaccio dotata di balaustra. Il vano è coperto da
una volta a schifo affrescata con motivi a riquadro bicromi e prende luce da una coppia di finestre pro-
spicienti le due arcate. Gli ambienti al primo piano si sviluppano nella maniera usuale, con camere che si
aprono lungo il corridoio anulare che, per un lato, si affaccia sul chiostro, coperto con volte a crociera
scandite dal ritmo regolare di archi a tutto sesto traversali.
Tra gli ambienti degni di nota, vi è uno sul lato est coperto con volta a stella: durante gli ultimi lavori di
restauro degli anni 2000, eliminando le superfetazioni presenti in questa stanza, è venuto alla luce
l’intradosso originario della volta, dipinto con un motivo a stelle su fondo azzurro chiaro e recante al cen-
tro un simbolo mariano. Anche le pareti, dopo attenti lavori di restauro, hanno riacquistato l’intonaco o-
riginale di colore turchese. La conformazione dell’ambiente, quadrato con nicchia in asse all’ingresso, e il
rinvenimento della superficie affrescata hanno permesso la formulazione dell’ipotesi di un’antica destina-
zione a cappella di questo spazio.
Altri due ambienti al primo piano sono altrettanto degni di nota, seppur nati dai rimaneggiamenti otto-
centeschi. Il primo è la cosiddetta Sala Javarone ubicata sul lato sud del chiostro: coperta da volta a botte
con testata di padiglione, questa è stata adibita a piccola pinacoteca permanente comunale e spesso o-
spita conferenze e incontri pubblici. Varcato un piccolo spazio voltato a botte ed un arco ellittico, si può
osservare un altro intradosso affrescato: al di sopra di un fregio continuo verde oliva inframmezzato da
piccoli motivi geometrici quadrati, una decorazione a tema vegetale si intreccia e si distende in corri-
spondenza dei quattro angoli, mentre altri due fregi continui, di color ocra chiaro e scuro, seguono le di-
rettrici della volta.
Il secondo ambiente è quello oggi adibito a sala udienze del sindaco: collocata sul lato occidentale e pro-
spiciente piazza Margherita di Savoia, questa è coperta da una volta a schifo affrescata e decorata da
stucchi. In chiave vi è lo stemma della città, mentre i fusi sono ripartiti in campi rettangolari e triangolari
in parte dipinti e in parte decorati da rilievi in stucco raffiguranti cornucopie e temi floreali. Interposti a
tali riquadri vi sono dei fregi a tema vegetale di colore dorato su fondo bianco.
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La volta a stella affrescata
L’attuale sala udienze del sindaco La “Sala Javarone”