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Simona Fregoni
Tesi di diploma
Corso triennale di formazione in Counseling a indirizzo biogestaltico
della SIBiG, Scuola Italiana di BioGestalt®, riconosciuto da AssoCounseling (CERT- 0078-2012)
TATTO, CONTATTO, MANIPOLAZIONE
NEL COUNSELING
relatore Riccardo Sciaky
Milano, 18 aprile 2015
SIBiG – Scuola Italiana di BioGestalt®, di Brunella Di Giacinto - Via Fiamma 13, Milano - P. IVA 05228810965 Sedi didattiche: via Marcona 24, Milano; via Moroni 8, Sesto San Giovanni (MI); Case Sparse, Varallo Sesia (VC);
E-mail: [email protected] - Sito web: www.biogestalt.it
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Indice
IL RUOLO FONDAMENTALE DEL CORPO E DEL TATTO ....................................... 3
LA PELLE ORGANO PSICOSOMATICO .................................................................... 5
La creta e il tatto ........................................................................................................ 6
LABORATORIO ESPERIENZIALE “CON-TATTIAMO LE EMOZIONI” ....................... 8
OSSERVAZIONI E FEEDBACK ................................................................................ 20
SEDUTA DI COUNSELING INDIVIDUALE CON L’UTILIZZO DELLA CRETA.
L’esperienza di Francesco ...................................................................................... 22
SEDUTA DI COUNSELING INDIVIDUALE.
Il racconto dell’esperienza di Marco ...................................................................... 27
RIFLESSIONI E OSSERVAZIONI SUI LAVORI SVOLTI .......................................... 30
Bibliografia ............................................................................................................... 31
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IL RUOLO FONDAMENTALE DEL CORPO E DEL TATTO
“La vita di un individuo è la vita del suo corpo”, come affermava Alexander
Lowen (1998); Oliverio (2001) sostiene: “Perdere il controllo sul proprio
corpo significa, di conseguenza, perdere il controllo sui propri pensieri ed
emozioni”. Morosini e Pacini (2002) affermano: “Qualsiasi malattia mentale,
psicotica o nevrotica, spezza l'unità psichica e corporea. In tali casi, la prima
cosa da fare sarebbe ridare al soggetto l'unità corporea”. “Nulla è
nell'intelletto che prima non sia stato nei sensi” (Aristotele).
Il tatto è il senso più importante che abbiamo. Da esso dipende la coscienza
di noi stessi e la percezione del mondo intorno a noi. Il tatto ci dà il senso
della profondità, dello spessore e della forma delle cose che stanno al di fuori
della nostra mente e del nostro corpo. Emozione, odio, amore, tenerezza,
calore, affetto, vengono filtrati attraverso il nostro corpo, penetrando dentro di
noi, per i corpuscoli tattili della nostra pelle.
Il senso del tatto è il primo a svilupparsi nell'embrione umano. Infatti, già a
otto settimane di vita, quando l'embrione nell'utero è lungo appena tre
centimetri e non possiede ancora né occhi né orecchie, è sufficiente un
superficiale sfioramento delle sue labbra perché lui reagisca allontanando la
testa. Secondo i principi dell'embriologia, una funzione vitale è tanto più
importante quanto più precocemente si sviluppa. Pertanto, è logico
presumere che il contatto sia un bisogno primario per l'uomo. Dal tatto
dipende la coscienza di noi stessi e la percezione del mondo intorno a noi. Il
tatto ci fornisce il senso della profondità, dello spessore, della forma degli
oggetti; è un senso al quale gli esseri umani sono particolarmente reattivi. La
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cute, con la sua ricchissima innervazione, rappresenta un involucro sensitivo
e riflessogeno d'eccellenza: da essa iniziano e finiscono i confini dell'“io”.
Il tatto e il bisogno di contatto rappresentano un condizionamento
neuroassociativo, un imprinting psicobiologico che si installa fortemente
durante la vita fetale e che è quindi in grado di rappresentare un bisogno
vitale. Infatti l'embrione, all'interno della cavità uterina, è immerso e cullato
nel liquido amniotico, da cui riceve una leggera stimolazione tattile. In questa
prima fase della vita intrauterina, l'embrione sperimenta un continuo dolce
idromassaggio, che non si arresta neanche di notte, quando la mamma
dormendo lo cullerà con la sua respirazione, lentamente e ritmicamente.
Dal secondo mese di gravidanza in poi, l'embrione cresce rapidamente fino a
riempire completamente l'utero. Verso l'ottavo mese, la stimolazione tattile è
effettuata direttamente dalle morbide pareti muscolari uterine. Quello che
prima era un idromassaggio è divenuto ora un vero e proprio massaggio
avvolgente, profondo e ritmico, che culminerà con un ultimo energico
massaggio durante il parto. Anche se non possiamo ricordare a livello
conscio il periodo trascorso nell'utero di nostra madre, il nostro inconscio, la
nostra pelle e il nostro corpo lo rammentano bene (Leanti La Rosa, 1992).
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LA PELLE ORGANO PSICOSOMATICO
Esiste tutta una serie di considerazioni etologiche, psicologiche,
psicodinamiche, anatomo-fisiologiche, patologiche e cliniche che fanno della
pelle un’entità complessa dal punto di vista psicosomatico:
• quale superficie avvolgente tutto il corpo, la pelle è contemporaneamente
organo di separazione/confine da quanto è fuori di noi e struttura di
comunicazione/relazione con il mondo esterno.
La pelle con le sue funzioni di sacco che contiene il “bene” (“cure materne e
bagno di dolci parole”), è anche una barriera contro il male esterno e le
aggressioni (dagli esseri viventi, dagli oggetti, dagli estranei in genere),
mezzo di scambio e relazione, analogamente alle mucose e alla bocca. Se
tutto questo funziona in modo soddisfacente, si ha una soddisfacente
strutturazione della personalità.
La pelle protegge, in quanto esamina, filtra e, se necessario, attenua, modula
non solo gli stimoli esterni, ma anche quelli interni, trattandoli né più né meno
come se fossero esterni (inclusi gli impulsi repressi).
La pelle è un’importante struttura esogena, connessa con la freudiana “fase
orale” dello sviluppo e perfino allo stimolo del dolore, anch’esso sorgente di
piacere erogeno cutaneo. In questo caso il legame tra sensorialità ed
erotismo diviene importante, talvolta molto più importante degli stessi stimoli
visivi o uditivi.
La pelle e il sistema nervoso derivano dallo stesso foglietto embrionario
chiamato “ectoderma”.
Dice Panconesi (1990) che l’acme del “desiderabile” è dato dal
ricongiungimento dei due fratelli ectodermici, brain and skin, cervello e pelle,
da cui scaturiscono tutte quelle sensazioni date dal contatto della pelle
propria con quella dell’altro.
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La pelle appare quindi indispensabile per tracciare il confine tra il sé e il non-
sé, tra il corpo e l’ambiente. Rappresenta un organo di “periferia”, un organo
limite.
Il tatto, che è l’organo di senso legato alla pelle, è diverso dagli altri sensi
perché implica sempre la presenza, congiunta e inseparabile, del corpo che
si tocca e del nostro corpo con il quale tocchiamo. Nonostante sia un senso
legato alla superficie del corpo, contrariamente alla vista e all’udito, il tatto ci
fa sentire le cose all’“interno” di noi stessi.
Il tatto, infatti, ha la sua massima espressione nelle mani, le strutture del
nostro corpo più periferiche; ed effettivamente, c’è un modo di toccare che è
affettivo, comunicativo, carezzevole, che conforta e dà gioia e trasmette ai
corpi coinvolti emozioni benefiche e gioia.
La creta e il tatto La manipolazione tattile è la prima forma di comunicazione del bambino ed è
un linguaggio di amore e di conoscenza. Il termine manipolazione è utilizzato
nella prima infanzia per indicare quelle attività che consentono al bambino di
esplorare, di scoprire le caratteristiche dei materiali attraverso le mani e di
creare.
La creta è un materiale che stimola fortemente il senso del tatto.
La creta è definito materiale di “regressione”: ciò significa che rievoca
nell’uomo, dal bambino all’adulto, un bisogno ancestrale di abbandonarsi ai
sensi e all’esperienza, in un luogo interiore ove ci si abbandona o si resta
spaventati e sbigottiti nell’osservare e nel sentire ciò che si plasma e si
trasforma fra le mani, in un “contesto di non controllo” da sperimentare.
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Manipolare la creta significa prima di tutto lasciare delle impronte di sé,
appropriarsi quindi della consapevolezza della propria corporeità; significa
esprimere in primis il proprio corpo e dare forma alle proprie emozioni,
facendo sì che l'invisibile che difficilmente si riesce a verbalizzare diventi
visibile. I propri stati d'animo e la sfera esperienziale influiscono notevolmente
sul nostro modo di agire.
L’arteterapia è un metodo preventivo e/o terapeutico che si basa sulla
creatività per ottenere lo scioglimento di eventuali nodi emozionali. È uno
strumento piacevole e adatto a tutte le personalità, sia quelle naturalmente
inclinate verso una visione istintiva e animica, sia quelle più razionali e
matematiche. L’arteterapia mette in moto parti del cervello solitamente non
utilizzate.
Il counseling è un intervento professionale che mira a riequilibrare e
rafforzare la capacità e le risorse di una persona, al fine di migliorane la
qualità della vita.
Il counseling a indirizzo gestaltico può essere considerato un’“arte
esistenziale”: è di fatto un processo di consapevolezza e di conoscenza di sé
e del proprio mondo interiore.
Attraverso questo processo la persona può contattare tutte le parti della
propria essenza, anche quelle sconosciute e disconosciute. In questo modo
diventa consapevole dei “nodi” che ostacolano la piena realizzazione della
propria vita, integrandoli e trasformandoli così in canali energetici di
costruzione e rinnovamento.
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LABORATORIO ESPERIENZIALE “CON-TATTIAMO LE EMOZIONI”
Questo seminario, condotto da me insieme con Riccardo Sciaky, era
finalizzato alla ricerca, al contatto e alla conoscenza delle proprie emozioni
attraverso la manipolazione della creta.
La proposta privilegia l’attività di manipolazione della creta come canale
esplorativo d’indagine delle proprie emozioni e capacità auto-rigenerative.
Un’esplorazione creativa che attraverso la manipolazione della materia è in
grado di dar forma a un percorso di riconoscimento, per raccontarsi in un
continuo gioco di svelamento/riconoscimento di se stessi.
L’argilla è il processo lento di erosione, è la parte finale di un processo di
trasformazione e in questa occasione la creta viene utilizzata con la stessa
modalità. Sarà la parte finale e tangibile di una trasformazione attraverso le
mani: attraverso la manipolazione, la creta trasporterà all’“esterno” ciò che è
all’interno di ognuno.
Il setting è una casa – laboratorio, organizzata come un open space. Al
centro della stanza più grande è presente un tavolo molto grande intorno al
quale facciamo sedere i partecipanti. Dopo una breve presentazione poniamo
davanti a ogni partecipante un quadrato di creta delle dimensioni di circa 15 x
15 cm appena tagliata da un blocco più grande. La creta è appoggiata su una
asse di legno poco più grande che serve per isolare il materiale dal tavolo.
PARTECIPANTI
Alice, Lara, Lorella, Ester, Marco, Stefania, Luisa.
Tutti i partecipanti si sperimentano con la creta per la prima volta. Li introduco
a questa esperienza invitandoli a entrare in contatto con la materia partendo
dal tatto, semplicemente toccandola, e a osservare le sensazioni percepite a
partire dal tatto. Osservarne la temperatura, la consistenza, la duttilità. Invito
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a seguire i propri tempi, ad ascoltarsi e a lasciarsi andare nel toccare le creta,
nel manipolare, affinché sentano la creta come un prolungamento di loro
stessi e siano le mani, liberamente, a esprimere, a plasmare, a dare forma al
proprio sentito emozionale. Che ognuno di loro diventi creatore della propria
emozione.
I partecipanti sono seduti intorno a un tavolo, ognuno con la propria argilla.
Invito a fare questa esperienza a occhi chiusi.
OSSERVO
A occhi chiusi ognuno entra in contatto con la creta toccandola. Rimangono
tutti con le mani appoggiate sul pezzo di argilla come se ascoltassero con le
mani.
Dai loro visi, dalle loro espressioni si coglie che ognuno entra in contatto con
la propria emozione piano piano, ognuno con i propri tempi.
Ester inizia a manipolare piano piano, con un ritmo lento ma costante.
Impasta e poi si ferma a lungo con le mani nella creta e china il capo in
avanti, in chiusura su di sé e anche la sua espressione si chiude. Sta in
questa posizione a lungo, ferma, in ascolto.
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Marco accarezza la creta con delicatezza, dolcemente. La sua espressione
accompagna questi gesti: è piacevolmente distesa e china la testa da un lato
mentre accarezza e liscia la creta. Lavora tutto il tempo con gli occhi chiusi.
Spesso porta le mani sulla sua forma piana appoggiandole, e alza la testa
rivolgendo lo sguardo in alto come se entrasse in contatto profondo con le
mani. La sua espressione è distesa e attenta come se stesse ascoltando e il
suo respiro è lento e profondo.
Lara prende la creta e inizia ad appallottolarla, le mani si muovono
velocemente. Forma una sfera quasi perfetta, liscia. Le mani cercano le
imperfezioni, le dita rimodellano, aggiustano cercando la perfezione.
Con le mani accarezza questa forma liscia e sferica. La tiene tra le mani, la
passa da una all’altra. Il corpo, la postura e l’espressione trasmettono una
certa calma, tranne le mani che si muovono nervosamente e a un tratto
iniziano a bucare la sfera liscia e perfetta. I polpastrelli affondano nella creta
nervosamente fino a che la forma sferica liscia e perfetta diventa l’opposto,
imperfetta con dislivelli e buchi.
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Apre gli occhi. Inizia a lavorare la creta con gli occhi aperti, prende la parte
restante e forma due sfere delle medesime dimensioni, una perfetta come la
sua prima forma e l’altra una via di mezzo tra le due.
Alice inizia a toccare la creta quasi timidamente, le mani iniziano a
schiacciare e lisciare la creta. Mano a mano che manipola le mani iniziano a
muoversi più nervosamente aumentano il ritmo che si fa sempre più veloce.
Schiaccia la creta, la allarga, tocca la superficie sfiorandola accompagnando
il gesto con la testa chinata e l’espressione gentile ma risoluta, come le sue
mani. Stende la creta e poi la riprende, la sposta, la avvicina e poi con la
punta delle dita la sfiora, con i polpastrelli la schiaccia e poi la rischiaccia.
Per tutto il tempo ha mantenuto gli occhi chiusi.
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Lorella appoggia le mani sulla creta. Ha un’espressione fredda, distaccata.
Inizia piano piano a toccarla e a manipolare impastandola. Più le mani
lavorano e impastano, più la sua espressione si modifica. Il suo respiro è
diventato più profondo. Inizia a utilizzare i polpastrelli delle mani, con la punta
delle dita spinge e modella dei lembi esterni che nelle sue mani si
assottigliano sempre di più. Minuziosamente trasforma la sua figura, che
inizialmente era massiccia e chiusa, in una forma più aperta e leggera.
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Luisa inizia a manipolare subito il suo pezzo di argilla. Lo divide in tre parti e
impasta il primo poi il secondo poi il terzo con un ritmo cadenzato. Modella,
crea più forme, schiaccia, preme. Nei movimenti delle mani c’è energia e il
suo corpo rispecchia l’energia che si vede nelle mani. È seduta, schiena
diritta ma non rigida, spalle allineate al bacino, i polsi appoggiati al bordo del
tavolo e le mani che non si fermano mai, in un ritmo lento e costante.
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Stefania inizia posando le mani sulla creta. Gli occhi sono chiusi e la testa è
chinata leggermente in avanti. Rimane così a lungo. Il respiro è lento e
profondo. Inizia a lavorare la creta impastandola con tutte le mani, la
schiaccia, la appiattisce fino a darle una forma stretta e lunga. Inizia così un
lavoro minuzioso: con la punta delle dita tocca i bordi della creta
assottigliandoli sempre di più. Lavora sempre chinata leggermente in avanti,
come se fosse raccolta in ascolto.
Il lavoro di manipolazione ha la durata di un’ora, ognuno rispettando i propri
tempi ha aperto gli occhi, ha riportato l’attenzione all’esterno osservando la
forma del proprio pezzo di creta.
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I partecipanti vengono invitati a dare un nome a ciò che hanno fatto, a dare
suono a quella forma, a dare voce alla propria emozione.
Ester: “Sono la gioia. Non sono bellissima ma non è quella la mia importanza.
Meglio brutta ma funzionale. Per Ester provo simpatia anche se la conosco
da poco. Io servo a Ester per farle vedere l’altro lato delle cose, quello bello.
La proteggo. Se fossi un suono sarei un suono fastidioso”.
Lorella: “Sono la paura. Rappresento gli incubi di Lorella da bambina. Sono la
parte più terrificante. Sono composta da due parti, una è l’incubo e l’altra è
innocente. Non può esistere una parte senza l’altra. Sono grigia.
Rappresentarmi davanti a voi non mi fa sentire più tanto sicura e Lorella ne è
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felice. Se fossi un suono sarei il suono battente dei tamburi nel film Il signore
degli anelli prima della battaglia”.
Lara: “Non so dare un nome a quello che ho fatto però ho chiaro dentro di me
che c’è stato un passaggio dalla perfezione all’imperfezione. Per la prima
volta sento che preferisco l’imperfezione, è meglio, mi fa stare meglio. Mi
sento in evoluzione. Prima ero tutta testa. La palla iniziale era sferica, liscia,
perfetta, poi ho fatto un’altra palla che ho bucato con le dita, imperfetta, e ho
scoperto che la preferisco. È strano per me. Se fosse un suono sarebbe un
bongo che risuona dall’interno, non invasivo ma costante”.
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Stefania: “Sono la gioia, mi rappresento come un bocciolo, qualcosa che si
sta aprendo. Sono senza base, contorta ma stabile. Mi sento come la
primavera, in cambiamento, in evoluzione. Sono la parte di Stefania che la
sgancia dagli obblighi e dai doveri. Porto ossigeno e libertà, colore,
spensieratezza e profumi. Se fossi un suono sarei un quartetto di violini”.
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Marco: “Sono la gioia. Sono liscia e piatta. Sono così, semplice come mi
presento, ma sono la parte autentica di Marco. Se fossi un suono sarei un
tamburo”.
Luisa: “Sono tante cose, tante emozioni insieme. Sono coraggio e paura.
Infatti la mia forma ha più forme. Sono accogliente e se fossi un suono sarei
un urlo”.
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Alice: “Sono la felicità. La mia forma è allargata, occupo spazio. Sono la parte
leggera e spensierata di Alice. Non ci sono da molto tempo, ma sono
importante e mi piace esserci. Se fossi un suono sarei il suono di un flauto”.
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OSSERVAZIONI E FEEDBACK
Luisa: “Esperienza intensa. Lavorare la creta ha tirato fuori delle emozioni
fortissime che sono riuscita a plasmare, rendere reali… Le ho viste
concretizzarsi dando forma animata, le ho toccate con mano!
Straordinariamente d’effetto è vedere realizzato e prendere “forma” il lavoro
interiore. A livello fisico e mentale è stato davvero sfiancante… La forza che
ho messo nella manipolazione è stata incredibile e credo dovuta all’incontro
del mio essere in quel preciso momento con quello che stavo facendo… Non
esiste la paura di non riuscire a creare la forma, tutto quello che viene è
forma e nello stesso tempo si smaterializza nell’istante, esaltando il
simbolismo di ciò che si porta, un incontro con l’anima, caldo e freddo
contemporaneamente… E ancora, lavorare con gli occhi chiusi lascia
“vedere” quelle emozioni e sensazioni che si manifestano con il senso del
tatto… La creatività non deve essere un ostacolo per chi non pensa di
possederla. Vi assicuro che è più difficile per un creativo che crede di saper
fare e possedere i mezzi, che per chi non la “possiede”. Surrealismo? Da
vivere…”
Marco: “La parola che mi porto a casa oggi è “consapevolezza”. La creta è
stato un veicolo molto forte. È stato chiaro per me vedere chi sono, sentire e
vedere che cosa ho all’interno. Sono proprio io, ho rappresentato una parte di
me e ho la consapevolezza di ciò che sono e di come sono. Posso darmi la
grandezza che voglio, sono io che agisco. Consapevolmente”.
Lorella: “Sono sorpresa di come sia uscita quella “cosa”. Ho lavorato a occhi
chiusi e quando ho visto ciò che ho fatto sono rimasta stupita. È potente
vedere che ci sono diverse modalità per affrontare le emozioni. Se è istintiva
come in questo caso, aiuta”.
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Ester: “Lavorando la creta ho compreso che posso lasciarmi andare. Ora ho
la consapevolezza che, se voglio, posso lasciarmi andare. Ho contattato la
non voglia di perfezione, che è una cosa nuova per me. Ho sempre aspirato
alla perfezione, oggi ho sentito che è un limite e mi piace l’idea della non
perfezione. Anche pensare al suono mi ha chiarito le idee. Cercherò la
raganella, voglio dare fastidio”.
Stefania: “Prima di iniziare il lavoro con la creta avevo paura del pregiudizio.
Non sapevo come e che cosa fare. Mi domandavo se sarei stata in grado di
fare qualcosa. Invece è uscito tutto da solo e ho tirato fuori una parte di me
che non sapevo di avere. Sono una persona abbastanza introversa, avevo
qualche preoccupazione, invece mi sono trovata molto bene e sono riuscita a
esprimermi. Ho portato consapevolezza a una parte di me nuova”.
Lara: “Esperienza molto positiva. Ho sentito mentre lavoravo la creta che
l’energia si stava trasformando, aumentava. Attraverso la manipolazione
sentivo e provavo sensazioni che riuscivo a esprimere con le mani. All’inizio
della manipolazione sentivo i pensieri che guidavano le mie mani e più
continuavo a manipolare, più i pensieri si trasformavano in sensazioni, e le
mani trasformavano le mie sensazioni in qualcosa di concreto, che riuscivo a
toccare”.
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SEDUTA DI COUNSELING INDIVIDUALE CON L’UTILIZZO DELLA CRETA
L’esperienza di Francesco
F: “Sono in un momento di crisi profonda di me con me. Per me è una cosa
strana perché non sono abituato. Sono abituato ad affrontare le cose, a
superare il gradino per andare oltre… Guardo, osservo, misuro e faccio il
passo. E vado. Le mie risorse le conosco, generalmente ho già sperimentato
nel corso della mia vita di trovarmi di fronte a degli ostacoli. Ora invece mi
trovo in una situazione di confusione da cui non so uscire, nella quale non
vedo nemmeno il gradino. Non so dove sono. Una confusione… e mi sta
emergendo questa emozione di paura che non è definita. Credo che sia la
stessa paura che non mi fa vedere il gradino, che non mi fa andare oltre.
Entro quindi in una confusione, in un risucchio di energia. In questo momento
per me è importante, per salvarmi e conservarmi, partire dalle cose più
piccole e primitive che possiedo e la prima cosa è il corpo. Contatto il corpo,
ascolto le sensazioni e l’esperienza con la creta mi trasmette molta “terra”,
molto lavoro primitivo e ciò mi commuove tanto.”
C: “Nel tuo racconto, nel descrivere il tuo qui e ora e quello che stai vivendo,
hai parlato di ‘paura’. Hai detto che in questo momento della tua vita stai
contattando la paura. L’avevi già contattata altre volte?”
F: “Consapevolmente no, però rileggendo alcune cose che scrivevo anni fa,
la parola ‘paura’ c’era. Quando ho letto la parola ‘paura’ ho provato stupore,
perché mi sono reso conto che in realtà la conoscevo come parola, ma la
sensazione della ‘paura’ la contatto solo adesso.”
C: “Ora che contatti la paura, dove la senti? In quale parte del corpo?”
F: “Nello stomaco.”
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C: “Che cosa senti?”
F: ”Congelamento, incapacità di muovermi.”
C: ”Bloccante?”
F: “Sì, quando la contatto è totalizzante, è come se non avessi vie d’uscita.
Recentemente, partecipando a un lavoro di gruppo, nell’immaginare di
trovarmi solo in un luogo isolato e immaginandomi di vivere in quel luogo,
avevo paura. Non era un luogo accogliente. Solo all’idea che mi sarei dovuto
muovere in quello spazio che non era confortevole, dove io non avevo un
posto sicuro dove poter stare, mi faceva paura.”
C: “Quello che mi stai raccontando, che hai vissuto in questa esperienza
dove hai contattato la paura, si collega in qualche modo alla situazione
presente di confusione, di paura attuale?”
F: “Sì, è come se fosse la stessa situazione. Mi sentivo smarrito e impaurito
come nel mio momento attuale. Provo la stessa sensazione di smarrimento.”
C: “Hai parlato di luogo sicuro dove poter stare nella tua esperienza di
gruppo, e nel tuo qui ed ora hai raccontato di confusione e di non sapere
dove sei. È come se tu non avessi un posto sicuro dove stare?”
F: “Sì, è questo. La mia paura è di affrontare una situazione e sapere di non
avere un posto sicuro nel quale ritornare. In questo momento il mio
argomento è la situazione sentimentale che è a un bivio: prosegue o non
prosegue. Qualsiasi direzione prenda, so che sarà un cambiamento a 360
gradi. E questo mi spaventa perché vuol dire prendere una decisione per la
vita che però io non ho ancora preso. È come decidere di continuare la
relazione e quindi seguire una parte di me che esiste, però è in conflitto con
altre mie parti con le quali devo lottare perché remano contro, ma che si
dovranno adattare a questa nuova condizione. Mi spaventa il cambiamento,
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sento che è una contraddizione perché la situazione attuale non mi piace,
però il pensiero che cambiandola non potrò tornare indietro mi spaventa.
Nonostante la situazione attuale non mi piaccia.”
C: “Hai parlato di cambiamento. Sei spaventato dal cambiamento. Cambiare
una situazione che cosa significa per te?”
F: “Significa non poter più tornare… e questo mi spaventa.”
C: “Non poter tornare nella situazione che non ti piace più ti fa paura?”
F: “No, è vero… Ecco: ci sono due parti in me, una è la parte di tensione e di
paura e di rischio che sento nella pancia, e l’altra è più in basso e la sento
come una spinta energetica di desiderio di trasformazione. È questo che mi
genera confusione.”
C: “Ora che descrivi le tue parti, quale senti presente in questo momento?”
F: “La paura; è qui nella pancia, la sento.”
C: “Rimanendo su questa emozione ti propongo di lavorare con la creta,
utilizzando il tatto e la manipolazione per esprimere ciò che senti dandogli
una forma, una consistenza.”
F: “Sì, d’accordo.”
L’invito è di fare questa esperienza a occhi chiusi.
Chiude gli occhi e posa le mani sulla creta. Inizia a toccarla, a schiacciarla.
Spinge le dita, le affonda, impasta. La manipolazione continua, lenta,
costante. Le mani lavorano, il respiro diventa più profondo e l’espressione
diventa profonda come il respiro. Lavora la creta per 40 minuti
ininterrottamente.
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Apre gli occhi, guarda la forma.
F: “Questa è la mia confusione.”
C: “Se potesse parlare, che cosa direbbe ?”
F: “Illuminami.”
La prende in mano, alzandola verso l’alto. Chiude gli occhi, alza la testa
verso l’alto. Muove le gambe nervosamente. Lo invito a ripetere più volte
quella parola. Alza sempre di più la voce fino a urlarla. Posa nuovamente sul
tavolo la forma. Il suo corpo si muove nervosamente. Lo invito a esprimere
ciò che sente con un gesto, con la voce… Seguono due urli.
F: “Sento che questa è la mia parte di energia che è tanta, sento che è
tantissima.”
Mentre sta parlando osservo che sta facendo un movimento con le braccia.
Porto l’attenzione sul gesto, invitandolo a rifarlo, ampliandolo e respirando. Il
suo respiro è liberatorio.
C: “Come ti fa stare questo movimento?”
F: “Bene. Sento che è energia. Sono io il produttore di energia e posso
donarla anche all’esterno.”
C: “Mi hai presentato la tua forma chiamandola confusione…”
F: “È vero, ma ora mi è chiaro che sento tanta energia, che è quello che mi
spinge, mi dà la carica che sento nella pancia in basso. Mi confonde perché
non la faccio uscire. Il gesto mi ha aiutato a sentire che posso farla uscire,
donarla.”
C: “Come ti fa stare il pensiero che, donando la tua energia, può esserci il
rischio che venga accolta?”
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F: “Sì, è vero, ho sempre considerato il rischio come negativo, invece può
essere vissuto come positivo. Questo pensiero mi piace, mi dà respiro. Mi fa
stare bene. Grazie.”
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SEDUTA DI COUNSELING INDIVIDUALE
Il racconto dell’esperienza di Marco
“Chiudo gli occhi. Le mie mani cercano, ora sono nell’acqua. Lascio che si
accarezzino ringraziandosi nel piacere, le purifico. L’incontro con la materia,
l’argilla, è fisico e tattile. Tocco la gravità quando il suo peso si fa racconto,
che è silenzioso e fatto d’inerzia. Fredda e nera si oppone con resistenza alla
trasformazione. Percepisco il senso del mio ruolo come principio attivo e
trasformativo che si completa nell’incontro con la terra passiva, ricettiva. Mi
accoglie, accoglie le mie dita che scavano, guardano, vedono e toccano,
modellano. Le emozioni sono come sospese nel mio fare. La mia mente è un
continuo confuso insieme di immagini che si rincorrono, io lascio che la
invadano libere di volare come insetti ovunque, insetti liberi di posarsi per poi
andarsene inspiegabilmente e altrove. Le mie mani lavorano autonome,
continui movimenti precisi e sconosciuti. Ho la sensazione di togliere quello
che è di troppo dal tutto, dispongo brandelli di materia in eccesso davanti a
me. Quello che rimane è il nucleo che modello come un seme o un uovo, che
riempie le mie mani che si congiungono, accogliendolo in un gesto di
preghiera. Mi fermo e mi chiedo a questo punto se siano le mie mani che
hanno dato forma o se fin dall’inizio sia stato quell’uovo di terra che ne ha
generato i gesti e i movimenti per far sì che assumessero questa forma di
mani giunte sopra di lui. Chi ha modellato chi?
Resto per un tempo indefinito a terra, accolgo nel mio ventre questo seme.
Sei il benvenuto, sei preziosa manifestazione della Vita. Un tempo di
ringraziamento, di gratitudine, di accettazione e integrazione. Un tempo di
silenzio e ascolto interiore che termina solo quando si manifesta chiaramente
l’esigenza di andare oltre, sotto forma di impulso ed energia, oltre che di
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volontà di trasformazione. Ritorno seduto e le mie mani, le mie dita iniziano di
nuovo a muoversi con gesti precisi e meno meccanici, più amorevoli e
ricettivi di quanto avessero fatto all’inizio. Distendono la materia che ora
aderisce al mio viso, ne percepisco il peso di nuovo, ma in modo differente.
Respiro con difficoltà. Le mie dita lavorano incessantemente, modellano,
scivolano sulla creta modellandola su di me, i miei occhi sono sempre chiusi
ma percepisco una maggiore più intensa oscurità, l’argilla è fredda e mi gela
il viso. La mente mi ripropone immagini di nascita, di fatica, di soffocamento,
infine le mie dita provvedono a creare due fori, le narici. Respiro ed è come
nascere. La sensazione è quella di ripercorrere una strada già percorsa ma i
ruoli si confondono… Le dita non si fermano. Lavorano silenziose, scavano
mute. Poi prendono quello che prima avevano tolto perché di troppo,
afferrano fameliche quei brandelli esterni che stanno da qualche parte lì sul
tavolo e li incorporano per ricoprire, integrare, completare, caratterizzare la
maschera che mi ricopre. Non sento il trascorrere del tempo se non come
susseguirsi di attimi fatti di singoli gesti, dove ogni singolo istante è unico e
perfetto. Respiro con i piedi che appoggiano a terra e sento che le mie
gambe sono lunghe cinque piani mentre i miei piedi affondano le dita nella
Terra.
Resto con la testa reclinata all’indietro seduto sulla sedia, le mani riposano.
Sensazione di vuoto nel corpo nelle emozioni e nella mente. MI sento
appagato.
Giunge poi il momento in cui sento di togliere tutto quel peso dal mio viso, e
mentre lo faccio percepisco un senso di separazione che accompagna la
tristezza. Depongo la maschera sul tavolo, sono le mie mani a farlo con
rispettoso dolore. Lascio la mia mano sinistra su di lei, con grazia. Ho ancora
gli occhi chiusi, ma ho percepito che la creta, nel momento in cui è stata
separata dalla mia faccia, ha cominciato ad accartocciarsi, a deformarsi non
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avendo più un supporto. Ho ancora gli occhi chiusi, ma percepisco una
maggiore e più intensa luminosità. Apro gli occhi e l’emozione è grande: di
nuovo una nascita. Non ho il coraggio di guardare... I miei occhi si perdono
volontariamente fuori dalla finestra, rincorrono le nuvole nel cielo, si
nascondono nelle finestre dei palazzi qui di fronte. Poi mi arrendo, abbasso lo
sguardo e osservo quel viso deforme, sconosciuto ma familiare, che muto dal
tavolo a sua volta mi osserva silenzioso. Riconosco i segni del tempo, della
guerra, e le ferite, la fatica e il dolore, l’innocenza perduta si fa materia. Sento
onore, valore e lavoro, amore e rispetto, ma soprattutto gratitudine per lei,
sento una grande fatica e che ora è giunto il tempo della resa e del riposo,
dell’accettazione, dell’impotenza. La ringrazio e, fra le lacrime, mi ringrazia.
Accade poi un nuovo bisogno, si manifesta in me il desiderio di trasformare di
nuovo, quella forma ormai non ha più senso… Mi sembra ingabbiare la
materia senza possibilità di evolvere. Ho un’immagine… l’idea di un vuoto, il
vuoto primordiale, il vaso. Plasmo la materia con questa unica potente
intenzione... creare il vuoto pieno, ricco di possibilità. Fiducia, calma e
pienezza, ora in me.”
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RIFLESSIONI E OSSERVAZIONI SUI LAVORI SVOLTI
Ho portato alcune esperienze, diverse fra loro, che hanno una sola cosa in
comune: il lavoro con la creta. Ho utilizzato questo elemento in varie
occasioni, nelle sedute individuali di counseling e in lavori di gruppo. Ho
riportato qui solo alcune esperienze, ma ho avuto modo di sperimentare e
utilizzare la creta con diversi approcci ma con la stessa finalità: conoscersi,
riconoscersi, trovarsi.
Sono partita, all’inizio di tutto questo lavoro, da me, dalla mia esperienza con
la creta che ho trovato intensa, forte, trasformativa. Ho scoperto come
l’utilizzo di questo materiale, attraverso il tatto, il contatto e la manipolazione,
apra strade nuove di conoscenza e trasformazione. Sono partita da qui.
Lavorare su di sé utilizzando una delle tante vie, quella della creta, sento che
è un’esperienza che riporta in qualche modo alle origini. Questo materiale
così semplice, primitivo, apre un canale comunicativo tra il nostro stato
primordiale, vitale, e il nostro grado di consapevolezza e di conoscenza.
Mette in contatto la parte emozionale con la parte razionale nella modalità di
ciascuno.
Osservare i lavori è stato molto emozionante e arricchente. Ogni lavoro ha
avuto un suo svolgimento e una sua storia, è stato unico. Ogni persona ha
portato la propria storia e le ha dato forma. Ognuno si è trovato a toccare,
modellare questo materiale così duttile, come se toccasse e modellasse
quella parte così intima e delicata di sé. È stato molto interessante vedere
come siamo diversi, come ognuno di noi ha i propri tempi e le proprie
modalità di entrare in contatto profondo e come la creta accompagni ognuno
in questo viaggio di scoperta, plasmandosi e adattandosi, pur mantenendo la
propria “anima”.
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Bibliografia
Leanti La Rosa G., “Il massaggio antistress”; CDE 1992.
Lowen A., “Bioenergetica”, Feltrinelli 1998.
Morosini C., Pacini T., “Pratica posturologica”, Ortho2000 N. 4, luglio-agosto
2002.
Oliverio A., “La mente, istruzione per l'uso”, Rizzoli 2001.
Panconesi E., “Lo stress, le emozioni, la pelle”, Masson 1990.