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The Sign

Date post: 29-Mar-2016
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Magazine School, design, graphic
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Art / Design / Architecture Issue 1 Gennaio
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Page 1: The Sign

Art / Design / Architecture

Issue 1 Gennaio

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Credo che il design abbia a che fare profondamente

con la vita, le manie, i tic, gli aspetti ludici, comici,

tragici del quotidiano, con le difficoltà di tutti i giorni.

Avere a che fare con tutto ciò mi piace molto.

/ I believe design has a pro-

found relationship with life, our manias, our tics, the

playful and tragic aspects of the everyday world, the

difficulties of day-to-day existence. I really like co-

ming to terms with all that.

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KOSTANTIN

GRICIC

interview by

Valentina Ciuffi

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This guide is based on the document “Cognitive Interviewing and Questionnaire Design: A Training Manual,” by Gordon Willis (Working Paper #7, National Center for Health Statisti-cs, March 1994). In revised form, this document describes the cognitive interviewing techniques appropriate for questionnai-re development and testing, and which are used by the staff of Research Triangle Institute (Laboratory for Survey Methods and Measurement, Research Triangle Park, NC; Cognitive Research Laboratory, Rockville, MD). Although there are several cognitive laboratories currently in operation that may utilize various procedures, the specific me-thods described were adopted from those used at the National Center for Health Statistics (NCHS), Centers for Disease Con-trol and Prevention, where the author previously worked as a senior staff member in the Questionnaire Design Research Laboratory.

LE LUCI si spengono sul dibattito parlamentare; ma il tema della fecondazione assistita non esce di scena. Vi sono proble-mi di contenuto che restano aperti: lo stesso ministro Sirchia ha accennato a possibili ritocchi e perfezionamenti della leg-ge. Ma si vorrebbe che la questione fosse discussa da esperti su toni più pacati di quelli degli ultimi giorni, al di fuori di astratti ideologismi. Proprio un cattolico, rettore di una univer-sità cattolica, Giuseppe Dalla Torre, invitava ieri l’altro, dalle pagine del cattolico “Avvenire”, a considerare il problema in termini di conflitto di interessi: non si potrebbe immaginare una posizione più laica.

Personalmente non sono un esperto e non entro nella discus-sione sui contenuti; devo solo confermare l’opinione contra-ria alla fecondazione eterologa che espressi su queste pagine quando la discussione ebbe inizio: ero e resto contrario per la ragione che essa vanificherebbe nella sostanza il diritto del na-scituro al riconoscimento della paternità. Ricordavo allora le grandi battaglie per il riconoscimento della paternità condotte fra ‘800 e ‘900 dai partiti socialisti e condivise dai nascenti partiti di democrazia cristiana; una eco di quelle battaglie si trova nella nostra Costituzione là dove riafferma il principio della “ricerca della paternità” secondo norme e limiti fissati dalla legge (art. 30 ultimo comma).Mi interessa invece ragionare sul modo in cui il dibattito si è svolto in Parlamento e fuori, e ?per venire subito al nodo - sulla pesante caduta di livello che esso ha segnato in tema di rapporti fra laici e cattolici nella società e nella politica italiana. Un tema che ha assunto forme e spessore nuovi con la fine della Democrazia cristiana e con il passaggio, sia pure incompiuto, a un sistema bipolare.

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Dovrebbe essere chiaro che nel nuovo sistema i due schiera-menti si formano e si confrontano per il governo del Paese e non per esprimere identità ideologiche, culturali o tanto meno religiose: un tema come quello della fecondazione assistita non è per sua natura tema di governo; è un tema che la legge e per-ciò il Parlamento può e deve affrontare perché è tema presente e vivo nella società; è legittimo e doveroso che il ministro della Sanità se ne occupi; ma è scorretto che il governo in quanto tale intervenga e prenda posizione; il suo intervento è in con-trasto con la logica del bipolarismo e risponde a motivazioni diverse, di tipo elettorale, sulle quali subito torneremo.

Credo Che il design abbia a Che fare profondamente Con la vita, le manie, i tiC, gli aspetti ludiCi, ComiCi, tragiCi del quotidiano, Con le diffiColtà di tutti i giorni.

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Dunque le due coalizioni non avrebbero dovuto schierarsi e ri-mettersi al libero confronto in Parlamento. Ma, si dice, le due coalizioni sono formate da partiti con le loro storie, le loro cul-ture: è logico che essi prendano posizione pur lasciando libertà di voto in nome della libertà di coscienza. Non credo che sia questa la giusta impostazione e se ne sono viste le conseguenze nella polemica che si è aperta da un lato nella Casa delle libertà e dall’altro nell’Ulivo e in particolare nella Margherita: anche nei singoli partiti e non solo nelle due coalizioni di governo e di opposizione convivono ormai culture e sensibilità diverse, vi sono laici e cattolici: è più che legittimo che un problema come quello della fecondazione assistita sia discusso; è meno legit-timo che su di esso si voti lasciando alla minoranza diritto al dissenso, in nome della libertà di coscienza.

La libertà di voto in un partito che fa parte di una coalizione - di governo o di opposizione - non si fonda sul diritto al dissenso in nome della libertà di coscienza, ma sulla incompetenza della coalizione e dei partiti che la formano ad assumere posizioni unitarie su temi che non sono oggetto di una proposta di go-verno. Insomma, per andare al concreto, non si sarebbe dovuto votare nella Margherita! Ma torniamo alla anomala presa di po-sizione del governo, in Senato, a favore della legge. Nessuno, mi sembra, ha notato una singolare contraddizione: quando più di venti anni fa si discusse il tema dell’aborto, sia in Parlamento che nel Paese nel successivo referendum, prevalse la tesi laica. Oggi sul tema della fecondazione assistita prevale in Parlamen-to la tesi che possiamo definire cattolica. Nessuno pensa, io cre-do, che il Paese si sia “convertito” in questi venti anni; si è anzi ulteriormente secolarizzato. E’ evidente allora che la apparente contraddizione nasce dal mutato sistema politico: allora, quando c’era la Democrazia cristiana, nessun altro partito immaginava di potersi ingraziare le gerarchie cattoliche con concessioni e favori. come un velo o dura come il marmo. Colorata, bianca, nera, duttile o inflessibile. Nelle sue mille varianti, la plastica è senza dubbio il materiale che ha dominato gli artefatti prodotti dall’uomo nell’ultimo secolo. Con i suoi pregi e i suoi difetti, questo materiale si è imposto come supporto per gli oggetti più vari, fino a diventare protagonista di opere d’arte e pezzi unici nella storia della creatività. Dalle Barbie ai lettori mp3, dai tele-foni agli utensili della cucina siamo quotidianamente circondati da materiali plastici. Se fino agli anni Settanta si pensava alla plastica come a qualcosa di indistruttibile, oggi il suo tallone d’Achille è ben noto agli esperti di conservazione: la plastica, infatti, non solo non è immortale, ma subisce un processo di

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decomposizione tra i più insidiosi e difficili da arginare. Proprio per questo - cercare di salvare i “tesori di plastica” e rendersi conto per tempo dei primi segni di cedimento - da un paio d’an-ni scienziati di tutta Europa sono al lavoro al cosiddetto Popart Project, progetto finanziato dall’Unione Europea per la preser-vazione degli artefatti in plastica esposti in musei e gallerie.

La degradazione della plastica è una bomba a orologeria”, spie-ga Yvonne Shashoua, ricercatrice di conservazione al National Museum of Denmark di Copenhagen. In termini molecolari, in-fatti, la plastica è costituita da polimeri, gruppi di molecole fatte di lunghe catene di carbonio. Nel tempo, i legami chimici che tengono insieme queste catene si rompono man mano che ven-gono attaccati dall’ossigeno o dai raggi ultravioletti, o semplice-mente si indeboliscono per effetto del calore ambientale.Le conseguenze di questi processi hanno lasciato un segno in-delebile su oggetti risalenti al XIX secolo o all’inizio del XX, come le pellicole fatte di celluloide o gli artefatti realizzati in cellulosa acetata. “Per questo e altri tipi di plastica - spie-ga ancora la ricercatrice - la decomposizione è autocatalizzata: quando i legami iniziano a rompersi, rilasciano degli agenti chi-mici che attaccano le catene stesse dei polimeri. In sostanza, si tratta di un meccanismo autodistruttivo difficile da blocca-re, una volta avviato”. Una strategia per arginare il problema consiste nell’aggiungere composti anti invecchiamento capaci di bloccare la degradazione fin dalle sue fasi iniziali. Alcune di queste sostanze agiscono come degli schermi solari che pro-teggono le catene da ossigeno, luce e raggi ultravioletti. Spesso, però, gli additivi sono costosi e vengono centellinati in fase di manifattura. Oppure possono perdere la loro efficacia, lasciando “scoperto” il polimero e aprendo così la strada alla degrada-zione. Una delle difficoltà maggiori per la conservazione è la varietà dei modi in cui diversi tipi di plastica si degradano”, sottolineano i ricercatori del Popart Project. “Ciò che funziona bene per preservare un materiale può rivelarsi completamente deleterio per un altro”. La maggior parte delle plastiche moder-ne, ad esempio, decade principalmente a causa delle reazioni con l’ossigeno, ed è quindi più protetta se sigillata in un’atmo-sfera priva di ossigeno. La cellulosa acetata, invece, necessita di un trattamento diametralmente opposto: senza una ventilazione adeguata, i vapori di acido acetico che originano dall’invecchia-mento del materiale ne accellerano il processo di decadimento. Tra gli strumenti più innovativi utilizzati dal gruppo del Popart Project c’è una pistola ai raggi infrarossi utilizzata per misura-re la composizione fisica degli oggetti in plastica. La pistola, denominata Phazir in virtù della sua somiglianza alle armi tipi-che della saga di Star Trek, è uno spettrofotometro che emette radiazioni nella lunghezza d’onda dell’infrarosso e, registrando la radiazioni assorbite dall’oggetto, è in grado di stabilire con precisione la composizione dell’oggetto analizzato. “L’obiettivo - spiega Matija Strlic, una delle ideatrici della Phazir - è for-nire ai restauratori un mezzo non invasivo capace di valutare i diversi materiali plastici”.

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FRONZONIA G Mila Gradosvilovakz

« Il senso pIù pro-fondo del pro-

gettare non è tanto dI costru-

Ire una casa, quanto quello

dI costruIre noI stessI. progetta-

re la proprIa esI-stenza è un Im-

pegno che deve costItuIre la no-

stra prIncIpale preoccupazIone:

e questo Impe-gno deve essere

contInuo e tota-le, non saltuarIo

e relatIvo. »

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A G Fronzoni nasce a Pistoia nel 1923. Grafico in-nanzitutto, ma anche designer e architetto. Ha realizzato tutta la sua opera e la sua stessa esistenza all’insegna della sobrietà formale e della geometria quale fonte primaria di ispirazione, differenziando e superando l’imitazione della natura. Intransigente e senza com-promessi, la sua decisa ed originale ricerca ha spaziato in tutti i settori articolando una filosofia “minimalista” basata sulla sintesi e sulla sottrazione che trova nella frase di Mies van der Rohe “Less is more” il punto di partenza del suo pensiero profondamente raziona-lista. Per Fronzoni il superfluo, l’eccedente, il ridondante è definito “spreco” inteso in senso estetico, morale ed etico.

Inizia l’attività a Milano nel 1949. È insegnante all’Umanitaria di Milano, all’Istituto di Comunicazione Visiva di Milano, Istituto Sta-tale d’Arte (ISA) di Monza e in altre scuole, fino a creare nel 1982 una propria “Bottega” in via Magenta che accoglie studenti da tutto il mondo.

Con la “Bottega” sviluppa un nuovo tipo di insegnamento, lontano da modelli di scuole professionali, ma immensamente ricco rispetto agli scambi e le relazioni che instaura con gli studenti. Per Fronzoni il progetto prende vita dalla realtà: ogni evento è soggetto ad analisi progettuale e la pratica della provo-cazione è sempre la spinta al confronto, alla riflessione ed alla formazione del senso critico. L’insegna-mento, come tutte le altre forme di comunicazione sociale, è per Fronzoni essenziale.

« La mia ambizione

non è progettare un manifesto,

è progettare uomini »

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« La mia ambizione

non è progettare un manifesto,

è progettare uomini »

La filosofia illuminista ed antropocentrica di Fronzoni lo porta a considerare il bianco ed il nero come i colori rappresentativi del progetto dell’uomo, specchio della sua razionalità e cultura, mentre il colore appartiene al mondo naturale ed è quindi estraneo, ma non alternativo all’opera dell’uomo. Coerente-mente i suoi progetti grafici e di design rispecchiano questa filosofia: il rigore del contrasto del bianco e del nero, il rapporto di tensione dinamica tra pieno e vuoto ne esprimono l’aniconica purezza con-cettuale. Il manifesto è lo spazio della libertà di pensiero, senza limiti né regole, l’obiettivo è chiamare l’intelletto dell’osservatore allo sforzo costruttivo dell’interpretazione. I caratteri tipografici sono per Fronzoni la “grammatica” della progettazione grafica: piccolissimi se bisogna sottolineare lo spazio della lettura, se rappresentano il pensiero sono invece grandi, tagliati, segnati, manipolati. La gabbia grafica è apparentemente libera anche se nell’anarchia dell’impaginazione -i blocchi di testo sono un ulteriore strumento per comunicare- si percepisce la ricerca intellettuale ed il rigore. Nei suoi progetti ricerca ogni elemento che stimoli l’osservatore a non essere passivo: avvicinarsi, girare i fogli, unire le pagine, ad “agire” con il proprio senso critico e l’immaginazione. È importante progredire con la trasgressione:

Fronzoni crede nella capacità di trasformare il mondo attra-verso il progetto ed il progetto attraverso la cultura. Persona gentile e discreta, non esita a combattere con grande energia per il senso della forma, attri-buendole responsabilità salvifi-che, anche solo se si tratta di di-fendere un carattere tipografico minuscolo. La scarsa influenza storica in Italia della corrente della Bauhaus gli fa mantene-re un atteggiamento di critica intransigente e permanente per ciò che è convenzionale, for-male e conformista, che si ri-flette nel suo particolare modo di vivere la trasgressione, una trasgressione assolutamente "disciplinata piuttosto che di-sobbediente".

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I progettiFronzoni persegue la sua attività grafica curando l’impaginazione di varie riviste tra cui “Casabella”; nel settore del design industriale sono significativi i progetti delle valigie “Forma Zero” per Valextra, la lampada “Quadra” per Viabizzuno, i set di mobili “Serie ‘64” per Cappellini; ha realizzato l’allesti-mento del museo di cultura Walser ad Alagna Valsesia. A Genova cura il restauro di Palazzo Balbi Se-narega, sede dell’istituto di storia dell’arte dell’Università di Genova e quello dell’Orangerie di Palazzo Bianco, sede della galleria d’arte moderna e la progettazione dell’immagine culturale “Arte e città”. Ha disegnato l’immagine coordinata di varie aziende ed suoi lavori sono riconosciuti ed esposti nei più importanti musei, come il MoMA di New York. La sua inconfondibile impronta minimalista resta perfettamente attuale. Molte opere sono parte di collezioni permanenti: nella Bibliothèque Nationale e Musée des arts décoratifs a Parigi, nel Kunstgewerbe Museum a Zurigo, nel Musée Cantonal des beaux-arts di Losanna, nel Deutsches Bucherei di Lipsia, Deutsches Plakat Museum di Essen, nel Muzeum Narodowe di Varsavia, nella Morovska Galerie di Brno, nello Stedelijk Museum di Amsterdam, nel Royal Ontario Museum di Toronto.

“Negli anni del dopoguerra Luigi Einaudi scris-se un articolo sul “Corriere della Sera” nel quale

indicava l’uso delle maiuscole come un limite, anzi una malattia degli italiani. Ebbene, malgrado il tempo

passato, non sembra che siano guariti (...). Le scritte tutte maiuscole non hanno solo contenuto intimidatorio

e antiquato, sono anche un errore: come hanno dimostrato con apposite ricerche gli studiosi di semantica, perdono cir-

ca il 15/20 per cento in termini di efficacia di comunicazione, perché essendo mono-tono, provocano una caduta percettiva.

Scrivendo invece maiuscolo-minuscolo si conferisce un ritmo alla parola, che dal punto di vista della percezione visiva è la

condizione migliore. E non è una scoperta di pochi giorni fa. Que-sti semplici errori compositivi sono l’ennesimo esempio della sot-

tocultura del Paese(...)”. “Uno dei simboli più interessanti, corretti e soprattutto ricchi di contenuti è il cerchio rosso su sfondo bianco della

bandiera giapponese: il colore è calibrato, il significato profondo è di un’attualità impressionante, soprattutto se si pensa che è stato realizzato

nell’anno Mille e non certo da un tecnico. È stata la geometria, una compo-nente importante, non solo nell’architettura. Mi chiedo perché siano riusciti

a farlo i giapponesi mille anni fa e non i nostri partiti oggi. Tutti i simboli pre-sentati hanno inoltre un’altra caratteristica: sono simmetrici. Ma la simmetria

appartiene al passato, mentre l’asimmetria è moderna, perché è dinamica, ed un punto fermo per il progettare contemporaneo. Quanto è stato fatto non solo non è

moderno: è lo specchio di una società non avanzata”. (da LCD, rassegna stampa, giugno 1994)

La mia ambizione non è progettare un ma-nifesto, è progettare uomini.

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