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toffetti

Date post: 13-Jun-2015
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«D ire di un artista che è allievo di questo o quell’altro, è un paravento. Bisogna usare come paragone le capacità di ognuno: perché ciascuno, bravo o meno, ha la sua personalità». E di personalità, lo scultore bergamasco Mario Toffetti, ne ha davvero tanta. Sincero fino alla ruvidezza, usa le parole come i suoi scalpelli: lasciano sempre un segno forte e chiaro, privo di ambiguità. Schiette e inequivocabili come sono pure le sue opere in marmo, bronzo, legno, alabastro. Nette, come lo è la sua scelta espressiva: quella dell’arte sacra, eminentemente figurativa. Ma con un’applicazione poliedrica, che abbraccia anche l’architettura e la pittura. Tra le sue opere più famose vanno ricordate il fonte battesimale per la Cappella Sistina e le tre anfore per gli oli utilizzati nella Messa crismale in Vaticano. Ci sono poi le grandi sculture, come il bronzo di papa Giovanni XXIII a Camaitino di Sotto il Monte o il gruppo in marmo rosa del Portogallo per la chiesa parrocchiale di Tabaka (Kenya). Moltissimi gli altari e gli amboni, tratti fuori da blocchi monolitici e levigati fino ad assumere la morbidezza e la dinamicità di un organismo vivente, entro cui s’iscrivono scene bibliche o storie di santi: si vedano la chiesa del Policlinico Gemelli di Roma o la basilica di L’ARTE DELLA P ERSONALITÀ Lo scultore bergamasco Mario Toffetti ci racconta la sua idea dell’arte. E dell’arte sacra. Mario Toffetti con la moglie Caterina e i figli Michelangelo e Fidia davanti alla Porta del Giubileo realizzata dall’artista per la Basilica di Santa Maria Maggiore. A fianco: bozzetto per il monumento commissionato dal Patriarcato di Damasco.
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«D ire di un artistache è allievo di questo o quell’altro, è unparavento. Bisogna usare come paragone

le capacità di ognuno: perché ciascuno, bravo o meno,ha la sua personalità». E di personalità, lo scultorebergamasco Mario Toffetti, ne ha davvero tanta. Sincerofino alla ruvidezza, usa le parole come i suoi scalpelli:lasciano sempre un segno forte e chiaro, privo diambiguità. Schiette e inequivocabili come sono pure lesue opere in marmo, bronzo, legno, alabastro. Nette,come lo è la sua scelta espressiva: quella dell’arte sacra,eminentemente figurativa. Ma con un’applicazionepoliedrica, che abbraccia anche l’architettura e lapittura. Tra le sue opere più famose vanno ricordate ilfonte battesimale per la Cappella Sistina e le tre anforeper gli oli utilizzati nella Messa crismale in Vaticano.Ci sono poi le grandi sculture, come il bronzo di papaGiovanni XXIII a Camaitino di Sotto il Monte o il

gruppo in marmo rosa del Portogallo per la chiesaparrocchiale di Tabaka (Kenya). Moltissimi glialtari e gli amboni, tratti fuori da blocchimonolitici e levigati fino ad assumere lamorbidezza e la dinamicità di un organismovivente, entro cui s’iscrivono scene biblicheo storie di santi: si vedano la chiesa delPoliclinico Gemelli di Roma o la basilica di

L’ARTE DELLAPERSONALITÀLo scultore bergamasco Mario Toffetti ciracconta la sua idea dell’arte. E dell’arte sacra.

Mario Toffetti con la moglie Caterina e i figliMichelangelo e Fidia davanti alla Porta del Giubileorealizzata dall’artista per la Basilica di Santa MariaMaggiore. A fianco: bozzetto per il monumentocommissionato dal Patriarcato di Damasco.

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Sant’Alessandro in Colonna (Bg).E infine ecco i maestosi portali inbronzo per le chiese di Cortenova,Aprilia, Vigevano, Bariano, per laBasilica bramantesca di Crema...e soprattutto la Porta del Giubileorealizzata per la Basilica di SantaMaria Maggiore in Roma.

La vera scuola e i veri maestriToffetti i suoi figli non li ha mandatia studiare all’Accademia. Ai titoli distudio non hai mai creduto:«Mi dicevano che senza il diplomanon avrei fatto niente, e invece...io scolpisco, mentre quelli che stavanodietro al professore sono finiti tutti ainsegnare». Li ha cresciuti alle suemaestranze, “in bottega”, come sifaceva un tempo. Perché è in unabottega di marmorari, ci racconta,che lui ha imparato tutto: non pressoartisti, ma alla scuola di sempliciartigiani che conoscevano però ilsegreto dello scegliere il giusto bloccodi pietra, di come tagliarlo e di comescolpirlo. «In Accademia – continuaToffetti – ci sonoandato per qualcheanno, alla buona.Ci ho imparatopoco: qualcosa diarchitettura, qualcosa dianatomia, di sculturaniente. T’insegnanotroppo a copiare e poiquest’abitudine ti restaaddosso per tutta la vita.Durante gli esercizi conl’argilla, ad esempio, iofacevo la gamba dellamodella in certo modo eil professore ne tagliavasempre un pezzo. E iopoi lo rimettevo al suoposto. Ci sono momentiin cui l’artista non puòsottomettersi, altrimentinon crea. E alla fine tuttodiventa solo un commercio».Questo è un punto fermo, perl’artista bergamasco: il GrandePeccato è non essere se stessi.Guai a copiare da altri, per modao per comodo: alloral’anima dell’arte èsmarrita persempre, e rimanesoltanto il gioco

stanco della compravendita. Ed èanche per questo che Mario Toffettinon sopporta di venire paragonato adaltri artisti contemporanei, fosseropure i più affermati. A lui interessaessere Mario Toffetti, e nessun altro.E se proprio bisogna avere deimodelli, meglio puntare in alto.«Guarda i due pulpiti dell’Amadeo nelduomo di Cremona, scolpiti prima diMichelangelo: è allo stesso tempomoderno e anche classico! Uno cosìnon ti porterà mai fuori strada.Se uno deve “peccare”, che pecchi lì.Ma seguire il mercato o lo stile in vogaal momento... è sbagliatissimo. Invecedevi trovare i tuoi tasti e seguire la tuastrada. Io ho sempre fatto così».

A proposito di modelli,hai dato ai tuoi figli duenomi molto significativi:Michelangelo e Fidia…«Sì, perché questi maestridella scultura sono i verimiti dellastoria, quelliche hanno

superato i limiti e che resterannoper sempre! Una volta il cardinaleRuini mi disse che erano due nomimolto impegnativi. “Per forza! – horisposto. – Proprio come voi, che vichiamate come san Giovanni, sanGiuseppe, san Pietro… così anch’ioho voluto onorare gli artisti, che sonosanti anche loro”».

Ma come nascono le tue opere?da dove parti?«Mi devono dare carta bianca.E poi uno crea, e basta, senza ascoltaretanti consigli o suggerimenti. L’artistadeve sentire l’opera, la deve fare sua,in modo da metterne in primo pianole qualità essenziali... oppure nasconoopere fatte solo di ornamenti...foglie, spighe di frumento... che sonopiacevoli, ma non dicono niente.Bisogna essere originali, invece, sianella scelta del tema che nella suaesecuzione. Ma non si trattad’inventare: uno vede com’èla chiesa, quali sono i suoi spazi,e gli deve nascere spontaneo comeè più adatto completarlo».

Mi sembra checi sia un soggettoricorrente a cui seimolto affezionato,cioè san Paolo…

«Ne ho realizzatisicuramente dieci o quindici, pernon parlare dei tantissimi schizzie bozzetti. Perché san Paolo mientusiasma. A me piacciono i santicosì, vigorosi, aggressivi anche,che hanno fede ma sono praticie realizzano... non quelli“mollicci” che s’inchinano.E poi nella sua storia c’èmovimento, dramma, energia,c’è l’uomo con tutta la suaresponsabilità... insomma, luiaveva qualcosa di speciale e lo

sento molto vicino, anche nel suoatteggiamento religioso». Tra i tanti“San Paolo” creati da Toffetti vasicuramente menzionato ilmonumento posto davanti la

basilica dell’Apostoloa Damasco,commissionatogli dal

Patriarcato: un’operamaestosa di bronzo emarmo, alta ben sette metri.

ANNO II - N. 17 DICEMBRE 2009 - 65

FOTO M. TOFFETTI

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La bellezza invoca l’eternitàC’è un altro punto fermo nell’arte di MarioToffetti, cioè l’idea che la bellezza è fatta perl’eternità. L’arte, se è veramente tale, resiste alloscorrere del tempo e attraversa i secoli, come ilmessaggio di un naufrago chiuso in una bottiglia.E ci spiega: «Le cose belle che il Padre Eterno hafatto sono sempre state belle. È a queste cose cheun artista si deve sempre più avvicinare, non alconsumismo di galleria, spacciato per artemoderna, che oggi vale tantissimo e domaniniente... invece una tela del Caravaggio non perdemai valore, perché lì c’è la vera arte. Lì esiste ilBello. E ogni artista, al di là delle sue capacitàpersonali, non deve mai abbandonare il Bello!Il Bello è l’essenza di un’opera, insieme allacreatività. Mai deformare le figure. Mai.Soprattutto nell’arte sacra, non si devono fare

“mostri”, anche sefirmati da unoche va per lamaggiore.Non si può

rovinareil luogodella

preghiera, la chiesa,perché quello è un luogodiverso da qualsiasi altro.E da Michelangelo inavanti le cose più bellehanno sempre presoforma nelle chiese».È a questo ideale diarmonia che Toffettisi è sempre sforzatodi rimanere fedele,concretizzandolonelle sue operearchitettoniche escultoree. Se si entranegli spazi da luiconcepiti, come laCappella Papale delSantuario di Caravaggio (Bg) o la cappellaaffrescata nel santuario della Madonna dellaBozzola (Pv), si avverte un’atmosfera di grandenaturalezza. Le delicate linee tondeggianti chesolcano le pareti e plasmano le forme dannol’impressione di trovarsi dentro lo scorrere placidodi un fiume, o dentro un nembo, o nella corolladi un fiore. Anche nei grandi portali in bronzole figure vigorose – anche spigolose, dure –si adagiano in un grembo di curve sobrie edeleganti, che rendono il complesso compostoma al medesimo tempo dinamico. C’èproporzione, equilibrio, ma non la fredda staticitàpurtroppo comune a troppe chiese recenti.Il che mi spinge a una domanda…

Ti sembra si sia persa la cognizione della bellezzanell’arte sacra contemporanea?«Sì, e continuando sulla strada dell’astratto non sitroverà mai uno sbocco. È un genere che puòandare bene altrove, ma non in chiesa. Anche

perché, altrimenti, uno non ci va più per pregare,ma per vedere le opere d’arte. Allora diventanomusei. È consumismo. Invece, davanti al Bello,possiamo ammirare e allo stesso tempo pregare.Ma, se l’arte sacra è in decadenza, anche la Chiesa

dovrebbe dare più istruzioni in materia…».

Dov’è che l’arte potrebbe ritrovarela sua identità?«Proprio nel sacro. Perché nel sacro –anche se è un mistero – c’è il contenuto

di tutto. I grandi artisti del passato si sonoappoggiati al sacro proprio perché era la viamigliore per eseguire un’opera d’arte grandenel tempo. L’arte della deformazione, invece,

ne sarà sempre esclusa. I grandi credevano.Vedevano il Bello e per questocredevano. Non erano obbligatia farlo: lo sentivano».

Paolo Pegoraro

66 - ANNO II - N. 17 DICEMBRE 2009

Due “San Paolo”in bronzo delmaestrobergamasco.In alto, anforacon Conversionee Battesimodell’Apostolo.A lato: Ananiaridona la vistaa Paolo.


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