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Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea
dell’Università Kore di Enna
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SPORT E UNIONE EUROPEA: UN BINOMIO
VINCENTE?
Alessandro Tomaselli
Assistant Professor di Diritto dell’Unione Europea nell’Università Kore di Enna
ABSTRACT: L’articolo intende ricostruire in chiave critica l’attuale regolamentazione relativa
allo sport in ambito europeo e derivante dal Trattato di Lisbona, sottolineandone
incongruenze, lacune e contraddizioni, sostanzialmente derivanti dall’ormai consueto tacito
dialogo intercorrente tra il legislatore di Bruxelles e la Corte di Giustizia dell’Unione
Europea: in particolare, si rimarca come il diritto europeo, in forza della sentenza Meca –
Medina della stessa CGUE, riduca, rectius, sia costretta a ridurre anche l’attività sportiva al
rango di attività economica ai fini della comprensione della stessa all’interno dell’orbita
normativa dell’ordinamento UE. Ciò si spiega facendo rimando all’architettura
fondamentalmente mercantilistica e d economicistica caratterizzante già dalle proprie origini
il comparto normativo – istituzionale medesimo, a nulla sostanzialmente valendo i reiterati
quanto sterili tentativi, di matrice dunque essenzialmente politica, compiuti al livello
extraterritoriale in esame di caratterizzare l’azione dell’UE anche in direzioni aliene rispetto
a rationes e finalità di mercato
PAROLE CHIAVE: Sport, Unione Europea, Trattato di Lisbona, Mercato
1. Lo sport nel diritto europeo: gli atti delle Istituzioni UE
Ai sensi dell’art. 165 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (di seguito
TFUE), norma d’apertura del titolo XII del medesimo relativo all’istruzione, formazione
professionale, gioventù e sport, ambiti a loro volta espressamente attribuiti alla competenza
dell’Unione Europea in forza del contenuto di cui all’art. 6 TFUE1, l’Unione Europea, tra
l’altro, “contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue
specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale ed
1Il quale, ricompreso all’interno del titolo I appunto riguardante le categorie e settori di competenza dell’Unione,
individua proprio l’istruzione, la formazione professionale, la cultura e lo sport come quelle materie, tra le altre,
relativamente alle quali “L'Unione ha competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o
completare l'azione degli Stati membri”. Per dovere di completamento e precisione, a tal ultimo riguardo è da
aggiungere come la disposizione in esame vada ricondotta alla previsione generale di cui all’art. 2, § 5 TFUE a
norma della quale “In taluni settori e alle condizioni previste dai trattati, l'Unione ha competenza per svolgere
azioni intese a sostenere, coordinare o completare l'azione degli Stati membri, senza tuttavia sostituirsi alla loro
competenza in tali settori. Gli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione adottati in base a disposizioni dei trattati
relative a tali settori non possono comportare un'armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari
degli Stati membri”.
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educativa” (comma 1). Inoltre, e più specificamente, il disposto in questione rimarca che
l’azione della stessa è anche “intesa a sviluppare la dimensione europea dello sport,
promuovendo l'equità e l'apertura nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli
organismi responsabili dello sport e proteggendo l'integrità fisica e morale degli sportivi, in
particolare dei più giovani tra di essi” (comma 2), aggiungendo al riguardo che “L'Unione e
gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni
internazionali competenti in materia di istruzione e di sport, in particolare con il Consiglio
d'Europa”(comma 3), e statuendo infine che “Per contribuire alla realizzazione degli obiettivi
previsti dal presente articolo il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando in conformità
della procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale
e del Comitato delle regioni, adottano azioni di incentivazione, ad esclusione di qualsiasi
armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Il Consiglio,
su proposta della Commissione, adotta raccomandazioni” (comma 4).
Al riguardo pare necessario specificare come in forza del contenuto delle norme testé
richiamate, e dunque solo grazie all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’Unione
Europea sia stata finalmente investita di una competenza specifica in materia di sport2, e ciò
nonostante il processo d’integrazione affondi, come noto, le proprie radici nei Trattati di
Roma risalenti a più di cinquant’anni or sono.
Ciò, tuttavia, non significa che l’Unione non si sia occupata di sport antecedentemente
alla recente riforma dei propri Trattati istitutivi: al riguardo è, infatti, noto come le istituzioni
di Bruxelles abbiano già da tempo palesato un certo interesse nei confronti della materia
2A tal proposito v., tra gli altri, BASTIANON, Sport, antitrust ed equilibrio competitivo nel diritto dell’Unione
Europea, in Il Diritto dell’Unione Europea, 3/2012, pp. 495 ss.; Ib. (a cura di), L’Europa e lo sport. Profili
giuridici, economici e sociali, Milano, 2012; Ib., La funzione sociale dello sport e il dialogo interculturale nel
sistema comunitario, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2009, pp. 391 ss.; Ib., Da Bosman a
Bernard: note sulla libera circolazione dei calciatori nell’Unione Europea, in Il Diritto dell’Unione Europea,
3/2010, pp. 707 ss.; NASCIMBENE – BASTIANON, Diritto europeo dello sport, Torino, 2011; Ib., Lo sport e il
diritto dell’Unione Europea, in GREPPI – VELLANO( a cura di), Diritto internazionale dello sport, Torino, 2010;
TOGNON – STELITANO, Sport, Unione Europea e diritti umani, Padova, 2011; CARBONE, Lo sport ed il diritto
dell’Unione Europea dopo il Trattato di Lisbona, in Studi sull’integrazione europea, 2010, pp. 597 ss.;
COLANTUONI, Diritto sportivo, Torino, 2009; TOGNON(a cura di), Diritto comunitario dello sport, Torino, 2009;
ZYLBERSTEIN, The specificy of sport: a concept under the threat, in BLANPLAIN( a cura di), The future of sports
law in the European Union: beyond the EU reformTreaty and the White paper, The Hague, 2008, pp. 95 ss.;
SANINO – VERDE, Il diritto sportivo, Padova, 2008; ALVISI(a cura di), Il diritto sportivo nel contesto nazionale ed
europeo, Milano, 2006.
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oggetto del presente studio, e non solo con riferimento all’attività in tal direzione svolta dalla
Corte di Giustizia dell’Unione Europea (di seguito, CGUE). “Tale apparente contraddizione
trova la sua naturale spiegazione nella duplice dimensione che lo sport può rivestire. Lo sport,
infatti, soprattutto quando praticato ad alti livelli, può costituire a tutti gli effetti un’attività
economica (c.d. dimensione economica dello sport), come tale assoggettata alle regole
europee in materia di mercato interno e concorrenza e, pertanto, certamente rientrante nel
novero delle competenze generali dell’Unione Europea. Lo sport, tuttavia, rappresenta anche
un fenomeno sociale di straordinaria importanza: basti pensare, ad esempio, ai benefici dello
sport e dell’attività fisica in genere per la salute degli individui, ovvero alla funzione
educativa che lo sport svolge, soprattutto nei giovani, ”veicolando” valori fondamentali quali
l’amicizia, la solidarietà, il rispetto degli altri e la tolleranza (a loro volta in grado di produrre
effetti sotto il profilo dell’integrazione sociale), ovvero ancora alla natura volontaristica e
gratuita che caratterizza l’attività di tutti coloro che si adoperano per promuovere lo sport a
livello locale offrendo a chiunque la possibilità di praticare attività sportive a livello
dilettantistico (c.d. funzione sociale dello sport)”3. Oltretutto, al riguardo non va trascurato
che “L’Europa, inoltre, è caratterizzata dalla capacità di accogliere ed organizzare grandi
eventi sportivi e lo sport comunitario (adesso UE, ndr) essendo strutturato, organizzato e
portatore di valori e tradizioni secolari, non può che rappresentare un’immagine altamente
positiva del “vecchio continente”4.
Ma procediamo con ordine.
I principali atti delle istituzioni UE relative al fenomeno sportivo, da sempre investito in
ambito europeo di un ruolo preponderante sotto il profilo sociale – pedagogico – culturale,
che paiono meritare certamente menzione sono innanzitutto rappresentati:
1. dalla c.d. “Europa dei cittadini” (meglio nota come Relazione ADONNINO),
presentata al Consiglio Europeo di Milano del 1985, a tutti gli effetti da considerarsi come
l’input decisivo alla base delle azioni di comunicazione e di sensibilizzazione del cittadino
europeo con riguardo alla sua appartenenza all’UE;
3 Così BASTIANON, Sport, antitrust ed equilibrio competitivo nel diritto dell’Unione Europea, cit., p. 486. 4 Così TOGNON, Unione Europea e sport: evoluzione e sviluppi di un rapporto “particolare”, in Ib. (a cura di),
op. cit., p. 5.
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2. dalla Comunicazione della Commissione del 31 luglio 19915 relativa al tanto
delicato quanto controverso tema dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, ed in occasione
della quale l’esecutivo di Bruxelles ha sottolineato come lo sport debba essere preso in
considerazione in sede di sviluppo delle politiche europee in materia di salute, ambiente,
tutela dei consumatori, turismo ed educazione;
3. dalla Dichiarazione n. 29 allegata al Trattato di Amsterdam del 1997, ove si
rimarca la rilevanza sociale dello sport con particolare riguardo ai processi di formazione
dell’identità personale e di ravvicinamento tra i cittadini dell’Unione Europea: “La conferenza
sottolinea la rilevanza sociale dello sport, in particolare il ruolo che esso assume nel forgiare
l’identità e nel ravvicinare le persone. La conferenza invita pertanto gli organi dell’Unione
europea a prestare ascolto alle associazioni sportive laddove trattino questioni importanti che
riguardano lo sport. In quest’ottica un’attenzione particolare dovrebbe essere riservata alle
caratteristiche specifiche dello sport dilettantistico…”;
4. dalla Relazione della Commissione al Consiglio Europeo “nell’ottica della
salvaguardia delle strutture sportive attuali e del mantenimento della funzione sociale dello
sport nel quadro comunitario (c.d. Relazione di Helsinki)6 del 1999, attraverso la quale la
Commissione ha fornito una visione globale dello sport e della sua fondamentale funzione di
integrazione sociale ed educativa, suggerendo al riguardo una strategia finalizzata al
contemperamento della dimensione economica dell’istituto in oggetto con quelle popolare,
educativa, sociale e culturale allo stesso afferenti. In tale sede, oltretutto, l’esecutivo UE si
sofferma su ciò che a ragione ritiene costituiscano vere e proprie minacce ad un armonioso
dipanarsi del compito socio – pedagogico di cui sopra, nello specifico da individuarsi nel
tristemente noto fenomeno della violenza negli stadi, nell’aberrante diffusione ed espansione
delle pratiche di doping, nel bieco sfruttamento a fini di lucro dei giovani sportivi da parte di
sedicenti procuratori e/o comunque di soggetti privi di scrupoli in cerca di guadagni facili,
con conseguente pregiudizio di un’equilibrata crescita dell’intero sistema, nonché, con i
dovuti distinguo, nella pericolosa deriva economicistica (al riguardo v. oltre p. 3) che dunque
già alla fine del secolo scorso almeno astrattamente turbava gli animi delle istituzioni di
5In GUCE-SEC (91) 1438, 31 luglio 1991 dal titolo “La Comunità Europea e lo Sport”. 6In GUCE.,COM (1999) 644 def.
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Bruxelles ed infine nella c.d. internazionalizzazione dello sport seguito della moltiplicazione
delle competizioni sportive europee e mondiali7;
5. dalla Dichiarazione del Consiglio Europeo di Nizza risalente al dicembre del
2000 e “relativa alle caratteristiche specifiche dello sport e alle sue funzioni sociali in Europa
di cui tenere conto nell’attuazione delle politiche comuni”8, ispirata al principio guida della
salvaguardia della coesione e dei legami di solidarietà che uniscono tutti gli aspetti delle
pratiche sportive, l’equità delle competizioni, gli interessi morali e materiali e l’integrità fisica
degli sportivi (specie se minorenni) ed in occasione della quale è stata per la prima volta
teorizzata la tesi della c.d. specificità sociale dello sport. In particolare, “Nell'azione che
esplica in applicazione delle differenti disposizioni del trattato, la Comunità deve tener conto,
anche se non dispone di competenze dirette in questo settore, delle funzioni sociali, educative
e culturali dello sport, che ne costituiscono la specificità, al fine di rispettare e di promuovere
l'etica e la solidarietà necessarie a preservarne il ruolo sociale”. “In quest’ottica le istituzioni
europee e gli Stai membri sono stati invitati ad esaminare le proprie politiche in materia di
sport nel rispetto dei Trattati, in base alle rispettive competenze e in conformità ai principi
generali enunciati nella dichiarazione stessa, che possono essere così riassunti: a) lo sport è
un’attività umana che si fonda su valori sociali, educativi e culturali essenziali e costituisce
pertanto un fattore di inserimento, di partecipazione alla vita sociale, di tolleranza, di
accettazione delle differenze e di rispetto delle regole; b) la pratica delle attività fisiche e
sportive rappresenta, per i disabili, fisici o mentali, un mezzo privilegiato di sviluppo
individuale, di rieducazione, di integrazione sociale e di solidarietà; c) le federazioni sportive
svolgono un ruolo centrale nella solidarietà necessaria fra i vari livelli di attività in quanto
consentono l’accesso di un vasto pubblico alle manifestazioni sportive, il sostegno umano e
finanziario alle pratiche dilettantistiche, la promozione della parità di accesso da parte delle
7 A tal ultimo proposito la Commissione, in particolare, evidenzia le principali fonti di tensione e di
contraddizione che, tra l’altro, minaccia il fenomeno sportivo nel perseguimento dei fini innanzi descritti: il
sovraccarico dei calendari quale causa di espansione delle pratiche dopanti, l’esponenziale moltiplicazione degli
avvenimenti sportivi a scopo di lucro che va a discapito della funzione sociale, la tentazione di alcuni operatori
di uscire dal quadro delle federazioni sportive per sfruttare al meglio il potenziale economico ad uso
commerciale, la ricerca di guadagni immediati come effetto diretto dell’eccessiva commercializzazione. 8Consiglio Europeo di Nizza, 7 – 10 dicembre 2000, Conclusioni della Presidenza, Allegato IV – Dichiarazione
relativa alle caratteristiche specifiche dello sport e alle funzioni sociali in Europa di cui tener conto
nell’attuazione delle politiche comuni, consultabile in www.europarl.europa.eu/summits/nice2_it.htm.
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donne e degli uomini all’attività sportiva a tutti i livelli, la formazione dei giovani, la tutela
della salute degli sportivi, la lotta contro il doping, la lotta contro la violenza e le
manifestazioni razziste e xenofobe; d) è indispensabile assicurare un’attenzione particolare
all’educazione e alla formazione professionale dei giovani sportivi di alto livello, affinché il
loro inserimento professionale non sia compromesso dalla carriera sportiva, al loro equilibrio
psicologico e ai loro legami familiari nonché alla loro salute”9.
6. dalla Dichiarazione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati
del 5 maggio 2003 relativa al valore sociale dello sport, tramite la quale è stato rimarcato che
“promuovendo la tolleranza, l’accettazione e il rispetto della diversità nei confronti di altri
giovani atleti lo sport può fornire un importante contributo alla comprensione interculturale e
per combattere il razzismo, la xenofobia, il sessismo e altre forme di sfruttamento10;
7. dalla Decisione n. 291 del 2003 adottata dal Parlamento Europeo e dal
Consiglio11 mediante la quale il 2004 veniva dichiarato l’Anno Europeo dell’educazione
attraverso lo sport, “creato (…) per accrescere la consapevolezza sul potenziale dello sport
quale strumento sociale di elevata ed estesa portata. Il messaggio che si voleva trasmettere era
quello dell’integrazione nelle società moderne, pluri culturali e pluri etniche, quale veicolo da
utilizzare nell’apprendimento formale e informale: e un tanto si poteva fare incoraggiando la
collaborazione tra istituti scolastici, organizzazioni sportive e Istituzioni”12;
8. dal Libro Bianco sullo Sport presentato dalla Commissione in data11 luglio
200713, a detta di molti “il più corposo e completo documento attraverso il quale la
Commissione ha cercato di dare un orientamento strategico sul ruolo dello sport in Europa,
evidenziando quelle che costituiscono le tre principali aree d’intervento dell’azione europea,
vale a dire il ruolo sociale dello sport, la dimensione economica dello sport e le regole di
9 Così BASTIANON, Regole sportive, regole del gioco e regole economiche nel diritto dell’Unione Europea, in ID.
(a cura di), L’Europa e lo sport, cit., pp. 78 - 79. 10In GUUE.,C 134 del 7 giugno 2003. 11In GUCE L 43 del 18/02/2003. 12Così TOGNON – STELITANO, Sport, Unione Europea e diritti umani, cit., p. 124. 13COM (2007) 391 def.. Al riguardo è da specificare come l’atto atipico da ultimo citato sia accompagnato da un
documento di lavoro dei Servizi della Commissione quale sintesi della valutazione d’impatto [SEC (2007) 936],
dal d.c. Piano d’azione De Coubertin [SEC (2007) 934], dai documenti accompagnatori del Libro Bianco [SEC
(2007) 935 ed infine dalla vera e propria valutazione d’impatto [SEC (2007) 932].
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organizzazione dello sport”14. In particolare, il Libro Bianco sullo sport si pone l’obiettivo di
“fornire un orientamento strategico sul ruolo dello sport nell’Unione Europea, incoraggiando
il dibattito su alcuni problemi specifici, migliorando la visibilità dello sport nel processo
decisionale europeo e sensibilizzando – per quanto di ragione – il pubblico in merito alle
esigenze e alle specificità del settore. L’iniziativa è tesa a creare la massima chiarezza
giuridica per le parti interessate facendo, per la prima volta, il bilancio della giurisprudenza
della Corte di Giustizia del Lussemburgo e delle decisioni, specialmente in materia di
concorrenza, della Commissione nel settore sportivo. Viene ripreso e sviluppato il concetto di
specificità dello sport seppure, probabilmente, non nella direzione che i grandi players
dell’organizzazione dello sport mondiale auspicavano precisando che le organizzazioni
sportive e gli Stati membri hanno una responsabilità di primo piano nel gestire le questioni
relative allo sport con un ruolo centrale attribuito alle Federazioni sportive nazionali e
internazionali”15. Inoltre, pare utile specificare come con riguardo all’accennato e dibattuto
tema della specificità dello sport il documento in questione, dopo avere differenziato la
specificità delle attività e regole sportive, da intendersi come le gare distinte tra uomini e
donne, nonché come il mantenimento dell’equilibrio fra le società che partecipano alle
medesime competizioni, dalla specificità della struttura sportiva, comprendente l’autonomia e
la diversità delle organizzazioni dello sport, una struttura a piramide delle gare dal livello di
base a quello professionistico di punta e meccanismi organizzati di solidarietà tra i diversi
livelli e operatori, l’organizzazione dello sport su base nazionale e il principio di una
federazione unica per sport, in pratica conferma il principio di un’autonomia “a scartamento
ridotto” del fenomeno sportivo, le cui regole cioè non potrebbero mai comunque sottrarsi alla
forza cogente del diritto UE. Segnatamente, a tal ultimo proposito viene espressamente
confermata la valenza di un’indagine caso per caso come linea interpretativa principale in
sede di esame di compatibilità di una regola sportiva con la normativa europea, con ciò, tra
14Ancora BASTIANON, Regole sportive, regole del gioco e regole economiche nel diritto dell’Unione Europea, in
Ib. (a cura di), L’Europa e lo sport, cit., p. 79. 15Ancora TOGNON – STELITANO, Sport, Unione Europea e diritti umani, cit., pp. 133 – 134.
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l’altro, sgombrando il campo dalle c.d. regole puramente sportive, ultimo appiglio per
l’ordinamento sportivo lato sensu inteso in ottica autonomista16;
9. dalla Comunicazione della Commissione “Sviluppare la dimensione europea
dello sport”, risalente al 18 gennaio 2011, tramite la quale, secondo le espresse indicazioni
fornite dall’esecutivo UE medesimo all’interno dell’introduzione, non si intende certamente
sostituire il Libro Bianco del 2007, ma al contrario nata sulla base dei risultati ottenuti proprio
in forza dell’implementazione dell’ultimo documento innanzi richiamato. Non a caso, ad
esempio, viene ribadito l’approccio già indicato all’interno del Libro Bianco con riguardo al
controllo caso per caso da svolgersi in riferimento al giudizio di compatibilità o meno di una o
più regole sportive con il diritto europeo, ed in genere vengono confermati altri principi
richiamati dallo stesso atto atipico innanzi sommariamente esaminato: libera circolazione e
nazionalità degli sportivi, equità della competizione sportiva, la lotta al doping anche in ottica
di protezione della salute degli atleti, rispetto della normativa riguardante la concorrenza;
10. ed infine dalla conseguente Risoluzione del Parlamento europeo del 2 febbraio
2012 sulla dimensione europea dello sport (2011/2087(INI)17, documento che sostanzialmente
conferma le linee guida per lo sviluppo di una "dimensione" continentale del fenomeno
16A tal ultimo proposito v. anche qui TOGNON – STELITANO, Sport, Unione Europea e diritti umani, cit., pp. 138
– 139. Tuttavia, sembra utile fin d’ora rimarcare come l’indirizzo ermeneutico cui si è appena fatto cenno
all’interno del corpo principale del testo sostanzialmente riprenda quanto “suggerito” in sede giurisprudenziale
dalla CGUE, per un’analisi maggiormente dettagliata delle cui posizioni al riguardo si rinvia al p. successivo. 17COM (2011) 12 def.. Relativamente agli atti emanati ed alle iniziative intraprese in ambito sportivo da parte
delle Istituzioni di Bruxelles meriterebbero astrattamente attenzione anche l’art. III-282 della Costituzione
sull’Europa, il cui contenuto è stato quasi interamente trasposto all’interno del citato art. 165 TFUE, nonché la
Risoluzione del Parlamento Europeo del 29 marzo 2007 relativa al calcio professionistico in Europa; a causa
della mancata entrata in vigore del primo documento citato, e dell’estrema settorialità del secondo, tuttavia, si
preferisce in tale sede non soffermarsi più di tanto sugli stessi. Inoltre, ed a prescindere da in iniziative più o
meno ufficiali da parte dell’UE, è da dire come il contesto oggetto del presente lavoro sia stato, dagli anni ’80 in
poi, fortemente influenzato da vari fattori, i più rilevanti dei quali vanno certamente individuati a)
nell’abolizione da parte del Comitato Olimpico Internazionale dell’ormai anacronistica distinzione tra sport
dilettantistico e professionistico, con conseguente autorizzazione da parte del CIO stesso alla sponsorizzazione
commerciale dei Giochi Olimpici (evento epocale e da iscriversi anche come momento di svolta con riguardo
all’ormai irreversibile processo di commercializzazione generalizzata dello sport), b) nell’avere infranto il tabù
della televisione di Stato come unico soggetto abilitato a trasmettere eventi sportivi attraverso l’introduzione di
una libera concorrenza in materia di diritti televisivi, a tutt’oggi da ritenersi la fonte principale di finanziamento
dello sport di vertice e c) nella dissoluzione dell’ex blocco sovietico a seguito della caduta del muro di Berlino,
evento che ha di fatto segnato la fine di ogni restrizione nei confronti di coloro che si dedicano allo sport, tra
l’altro con conseguente allargamento dell’Unione Europea, e dunque moltiplicazione a dismisura del fenomeno
sportivo.
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sportivo, di cui viene riconosciuto il contributo per la “realizzazione degli obiettivi strategici
dell'Unione, poiché pone in rilievo valori pedagogici e culturali fondamentali e costituisce un
vettore di integrazione, nella misura in cui si rivolge a tutti i cittadini, a prescindere dal sesso,
dall'origine etnica, dalla religione, dall'età, dalla nazionalità, dalla condizione sociale o
sessuale. In particolare, si ribadisce come l'attività sportiva comporti vantaggi diffusi sul
piano sanitario sociale, culturale ed economico. Essa, da un lato, richiede un adeguato
sostegno a livello finanziario e politico, ma, al contempo, apporta un contributo enorme a
valori positivi quali la correttezza, il rispetto e l’inclusione sociale. Dai “considerando” che
aprono la Risoluzione emerge l'apprezzamento delle molteplici peculiarità e caratteristiche
che fanno dello Sport un settore con dinamiche, finalità e meccanismi originali, tanto da
affermarne la irriducibilità a “... qualsiasi altro settore di attività, comprese le attività
economiche”, caratteristiche cui il Parlamento auspica sia tenuto conto nelle sentenze della
Corte di Giustizia e nelle decisioni della Commissione. Fermo il riconoscimento dello sport
professionistico, viene in particolare valorizzata la funzione sociale e promozionale che
compete allo sport.
Si enfatizza, soprattutto, la dimensione volontaristica ed associativa di un fenomeno che
coinvolge 35 milioni di sportivi non professionisti, contribuisce in maniera determinante alla
protezione della salute nella società moderna, e rappresenta un elemento essenziale per una
istruzione di qualità, in grado di aiutare, anche, i cittadini più anziani alla realizzazione
personale e che contribuisce, altresì, al risparmio di una quota importante della spesa pubblica
in ambito sanitario. La Risoluzione riconosce le peculiarità che caratterizzano il fenomeno
sportivo, per le specificità proprie e quelle del suo modello organizzativo, basato sulle
federazioni “il cui funzionamento non è simile a quello delle aziende commerciali” e che
rendono detta attività non equiparabile ad una normale attività economica, nonostante
l'incidenza e l'impatto che lo sport ha nel contesto economico generale. Inoltre, Si menziona la
valenza che può avere come traino al turismo che si lega ai c.d. grandi eventi sportivi; emerge
la sensibilità alle problematiche legate alla instabilità finanziaria per i riflessi che la stessa può
avere sullo sport (professionale e di base); vengono evidenziate le problematiche legate ai
trasferimenti internazionali dei giovani atleti, piuttosto che quella legata alla difficoltà per le
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singole federazioni di prendere provvedimenti efficaci contro le partite truccate. Con
riferimento al "Ruolo sociale dello sport", il Parlamento esorta la Commissione “... a
proporre, nell'ambito del prossimo quadro finanziario pluriennali, una dotazione di bilancio
dedicata e ambiziosa destinata alla politica in materia di sport ...”. Si chiede di potenziare il
ruolo sociale dell'attività, istituzionalizzando in ogni ordine di scuola le lezioni di educazione
fisica, promuovendone le potenzialità, anche, “... per aiutare giovani socialmente vulnerabili a
rimettersi in carreggiata", e per proteggere la salute e l'interazione sociale degli anziani
attraverso la pratica sportiva. Viene espressamente riconosciuto il lavoro svolto dalle
organizzazioni che offrono attività sportive alle persone con disabilità intellettuali o fisiche, e
sono incoraggiati gli Stati membri e le istituzioni della UE a incrementare le sovvenzioni
offerte a quelle che operano per l'integrazione, attraverso lo sport, delle persone a rischio di
esclusione sociale o che promuovono la pratica sportiva per le persone fisicamente o
mentalmente disabili ed, ancora, alle iniziative utili a realizzare effettiva parità di genere e per
il superamento delle discriminazioni, anche di carattere sessuale. Il Parlamento si esprime
auspicando che anche nello sport venga valorizzata la presenza delle donne, creando i
presupposti affinché possano continuare nella pratica anche in età adulta, e possano assumere
maggior peso e presenza tra gli organi direttivi delle organizzazioni sportive”. Il Parlamento
auspica, più in generale, una maggiore cooperazione tra Commissione e Stati membri in
materia di aspetti tecnici e di ricerca correlata allo Sport che, nella sua componente di base
dovrebbe “... beneficiare del Fondo europeo di sviluppo regionale e del Fondo sociale
europeo, i quali dovrebbero prevedere investimenti in infrastrutture sportive”, ed esorta la
Commissione e gli Stati membri a dotare l'Unione di uno specifico programma di bilancio nel
settore dello sport, come è ormai consentito in virtù dell'articolo 165 del TFUE. Nella sezione
dedicata alla “Organizzazione dello sport “ si prende atto della esistenza del principio di
nazionalità e territorialità su cui poggiano le strutture sportive continentali, e viene ribadito
l'impegno in favore di un “modello sportivo europeo” che sappia tutelare e valorizzare le
realtà locali, riaffermando il proprio favore verso la norma di formare i giocatori localmente
(«home-grown player rule») ritenendo che la valorizzazione di nuovi talenti rappresenti una
delle attività principali delle società sportive e che un'eccessiva dipendenza dal trasferimento
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dei giocatori possa minare i valori dello sport, sottolineandosi, altresì, l'importanza delle
indennità di formazione quale efficace meccanismo di protezione dei centri di formazione,
atto a garantire una giusta redditività del capitale investito. Insomma, la Risoluzione 2
febbraio 2012, comunque, riconosce ancora una volta la peculiarità originale di un sistema e
mondo che non può essere, sic et simpliciter, ridotto a fenomeno da regolamentare
esclusivamente per la sua sia pur rilevantissima componente economica, proponendo linee
guida articolate affinché lo Sport possa assumere ed interpretare al meglio il ruolo che gli
viene attribuito nella sua doppia valenza di contenitore e promotore di valori ed obiettivi fatti
propri dal Parlamento europeo18.
2. (segue) La giurisprudenza della Corte di Giustizia in ambito sportivo
Un’analisi, per quanto sommaria, del fenomeno sportivo con riferimento
all’ordinamento giuridico europeo non può non tenere conto del decisivo apporto prestato
anche in tale ambito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione, in particolare
(e non a caso) avuto riguardo all’individuazione delle peculiarità e dei limiti della dimensione
economica dello sport nel confronto con tutte le altre attività riconducibili al contesto
mercantile.
Segnatamente, la prima sentenza rilevante ai fini indicati può ben essere identificata con
quanto dalla CGUE sancito in occasione della pronuncia Walrave e Koch del 1974, tramite la
quale i giudici lussemburghesi, interrogati in ordine alla compatibilità del regolamento
dell’Union Cycliste Internationale con gli artt. 7, 48 e 59 dell’allora Trattato CEE (adesso
sostanzialmente art. 13 TUE e artt. 54 e 66 TFUE) nella parte in cui lo stesso prevedeva che la
nazionalità degli allenatori dovesse coincidere con quella degli atleti, dopo avere specificato
che lo sport deve ritenersi assoggettato alle regole del diritto europeo solo ove costituisca
un’attività economica ai sensi dell’art. 2 del Trattato CEE (adesso art. 3 TUE), hanno
provveduto a limitare l’operatività della regola testé richiamata rimarcando come esuli dal
divieto di non discriminazione “la composizione di squadre sportive e in particolare delle
18In tal senso v. CARANCI, Sulla Risoluzione del Parlamento Europeo del 2 febbraio 2012,
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rappresentative nazionali – operata esclusivamente in base a criteri tecnico-sportivi; è perciò
impossibile configurare tale attività sotto il profilo economico”19.
Il successivo arresto della CGUE di sicuro rilievo relativamente al contesto sportivo
europeo è costituito da quanto dalla stessa sancito un paio di anni più tardi con riguardo al
caso Donà/Mantero del 14 luglio 197620. Specificamente, in tale sede alla Corte era stato
domandato di pronunciarsi in merito alla compatibilità con le medesime disposizioni di cui
all’accennato proprio precedente Walrave e Koch questa volta di alcune disposizioni del
regolamento della Federazione Italiana Giuoco Calcio a norma delle quali poteva riconoscersi
il diritto di disputare incontri in qualità di professionisti o semi-professionisti solamente a
favore di coloro ad essa legati da un vincolo di affiliazione, oltretutto in linea di principio non
attribuibile a calciatori non in possesso della nazionalità italiana. Secondo l’interpretazione
fornita in tale occasione dalla CGUE le regole di diritto UE non si oppongono “ad una
disciplina o prassi sportiva che escluda i giocatori stranieri dalla partecipazione a certi incontri
per dei motivi non economici, ma inerenti al carattere ed alla fisionomia specifica di detti
incontri, ed aventi natura prettamente sportiva, come ad esempio è in occasione di incontri tra
squadre nazionali di Paesi diversi”.
Da quanto sommariamente esposto ed anticipando brevemente fin d’ora quanto si
tenterà successivamente di specificare in forma maggiormente esaustiva, appare piuttosto
evidente lo sforzo (sostanzialmente rivelatosi poi volutamente vano – v. oltre) compiuto dai
giudici europei, già a partire dagli anni ’70, al fine specifico di distinguere all’interno del
vasto complesso delle regole c.d. sportive (ossia, di quelle regole disciplinanti lato sensu
l’attività sportiva) le regole economiche, riguardanti cioè gli aspetti economici che la singola
attività sportiva può rivestire, dalle regole c.d. puramente sportive, nello specifico relative
invece ai soli profili tecnico-sportivi, ed a loro volta riconducibili alla c.d. eccezione sportiva
(o sporting exception), ossia a quella sfera di autonomia che l’ordinamento sportivo da
sempre rivendica nei confronti dei tradizionali apparati normativi - istituzionali. Ciò, si ripete,
allo scopo della sottomissione al diritto dell’Unione delle norme rientranti solo nella prima
della categorie testé indicate, in particolare in nome di un concetto di specificità che non può
19Corte di Giustizia, sentenza 12 dicembre 1974, causa 36/72, Walrave e Koch, in Raccolta, p. 145. 20In Racc., p. 1333.
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tuttavia significare, nell’opinione della Corte, sottrazione generalizzata delle attività sportive
ai principi del diritto dell’Unione europea.
Proseguendo nel breve excursus giurisprudenziale con riferimento al contesto sportivo
in rapporto al diritto europeo, pare imprescindibile il richiamo alla “storica” sentenza Bosman,
pronunciata dalla CGUE dopo quasi vent’anni di assordante silenzio dall’ultimo arresto
riguardante il fenomeno che in tale sede ci occupa21, e che, pur ponendosi nel solco
dell’accennata giurisprudenza della CGUE, è fuor di dubbio tuttavia da considerarsi un punto
di svolta decisivo con riguardo ai rapporti tra diritto dell’Unione e diritto sportivo.
Segnatamente, in forza dell’arresto da ultimo richiamato la Corte lussemburghese ha
innanzitutto statuito che la normativa nazionale che impone il pagamento di un’indennità in
occasione del trasferimento di un calciatore (nel caso specifico, il belga Bosman, appunto) in
scadenza di contratto costituisce un ostacolo alla libera circolazione degli atleti all’interno del
territorio dell’Unione Europea, pronunciandosi poi sulla illegittimità della regola che limita il
numero degli atleti stranieri partecipanti ad un incontro (c.d. regola del 3+2) in quanto ipotesi
di discriminazione fondata sulla nazionalità con riferimento all’accesso al mondo del lavoro,
così facendo in sostanza sconfessando la ratio decidendi alla base delle citate sentenze
Walrave e Koch e Donà con precipuo riguardo alla distinzione tra regole economiche e regole
puramente sportive.
A tal ultimo proposito, la CGUE, infatti, dopo avere evidenziato che relativamente alla
fattispecie adesso in questione “le norme sulla cittadinanza non riguardano incontri specifici
tra rappresentative nazionali, ma si applicano a tutti gli incontri ufficiali tra società calcistiche
e, quindi, alla parte essenziale dell’attività esercitata dai calciatori professionisti”, non ha
21Corte di Giustizia, sentenza del 15 dicembre 1995, causa C-415/93, in Racc., p. I-4921. Al riguardo v., tra gli
altri, DI FILIPPO, La libera circolazione dei calciatori professionisti alla luce della sentenza Bosman, in Rivista
italiana di diritto del lavoro, 1996, pp. 232 e ss.; CLARICH, La sentenza Bosman: verso il tramonto degli
ordinamenti giuridici sportivi?,MANZELLA, L’Europa e lo sport. Un difficile dialogo dopo Bosman?,TIZZANO .
DE VITA, Qualche considerazione sul caso Bosman, ROMANI – MOSETTI, Il diritto nel pallone. Spunti per
un’analisi economica della sentenza Bosman, ANASTASI, Annotazioni sul caso Bosman, DIEZHOCHLEITNER –
MARTINEZ SANCHEZ, Le conseguenza della sentenza Bosman per lo sport spagnolo ed europeo, BASTIANON, LA
libera circolazione dei calciatori e il diritto della concorrenza alla luce della sentenza Bosman, COCCIA, La
sentenza Bosman: summumius, summa iniuria?, tutti in Rivista di diritto sportivo, 3/1996; BASTIANON, Bosman,
il calcio e il diritto comunitario e VIDIRI, Il caso Bosman e la circolazione dei calciatori professionisti
nell’ambito della Comunità Europea, entrambi in Foro italiano, 1996, IV, 1 ss..
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esitato a ritenere la disposizione controversa in contrasto con l’attuale art. 54 TFUE22, in
quanto tale norma “sarebbe altrimenti privata del suo effetto utile e il diritto fondamentale di
accedere liberamente ad un’occupazione, che essa conferisce individualmente ad ogni
lavoratore della (allora, ndr) Comunità sarebbe vanificato”. “Ritenendo che l’eccezione
sportiva come teorizzata nelle precedenti pronunce potesse trovare applicazione solo con
riferimento alle regole relative alla composizione delle squadre nazionali, la Corte di giustizia
ha sancito il carattere restrittivo della regola del 3+2 ed escluso l’esistenza di qualsiasi
giustificazione, posto che l’asserito legame tra una società calcistica e lo Stato membro non
può considerarsi inerente all’attività sportiva, mentre, con riferimento alla necessità di tutelare
l’equilibrio competitivo impedendo alle squadre più ricche di ingaggiare i migliori calciatori
stranieri, la regola del 3+2 non risulta idonea a conseguire questo scopo giacché nessuna
norma limita la loro facoltà di ingaggiare i migliori calciatori nazionali, che compromette in
misura non diversa il detto equilibrio”23.
Dunque, in occasione della pronuncia sul caso Bosman la Corte, preso atto che l’attività
sportiva rappresenta oggetto di disciplina da parte del diritto dell’Unione Europea in quanto
configurabile come attività economica e considerato che l’attività svolta dai calciatori
professionisti è da considerarsi a tutti gli effetti caratterizzata dai crismi dell’economicità, non
ha conseguentemente esitato nel ricondurre le regole sottoposte al suo esame, in quanto non
puramente sportive, al novero delle materie regolate dal diritto UE, oltretutto specificando,
sulla scia dell’accennata sentenza Donà, come il principio dell’eccezione sportiva non possa
di certo essere richiamato al fine di escludere un’intera attività dalla sfera di applicazione del
diritto in questione, né con riguardo a norme o prassi giustificate da motivi economici.
L’arresto della Corte di Giustizia successivo alla sentenza Bosman che si ritiene meriti
attenzione è certamente rappresentato da quanto lo stesso organo giudicante lussemburghese
22A norma del quale “Le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede
sociale,l'amministrazione centrale o il centro di attività principale all'interno dell'Unione, sono equiparate, ai fini
dell'applicazione delle disposizioni del presente capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati
membri. Per società si intendono le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società
cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società
che non si prefiggono scopi di lucro”. 23Così BASTIANON, Regole sportive, regole del gioco…, cit., p. 84.
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ha statuito con riguardo al caso Meca Medina e Majcen24, principalmente contraddistinto
dalla presunta incompatibilità, a detta dei ricorrenti, tra alcune norme regolamentari emanate
dal Comitato Olimpico Internazionale in materia di controlli antidoping e quanto stabilito in
materia di concorrenza e libera prestazione di servizi dai Trattati istitutivi dell’Unione.
In particolare, in tale occasione la Corte, con un deciso passo indietro rispetto a quanto
in precedenza stabilito, ha affermato che “la sola circostanza che una norma abbia un carattere
puramente sportivo non sottrae tuttavia dall’ambito di applicazione del Trattato la persona che
esercita l’attività disciplinata da tale norma o l’organismo che l’ha emanata (…). Dunque,
quand’anche si consideri che tali norme [antidoping, ndr] non costituiscano restrizioni alla
libera circolazione perché riguardano questioni che interessano esclusivamente lo sport e,
come tali, sono estranee all’attività economica, tale circostanza non implica né che l’attività
sportiva interessata esuli necessariamente dall’ambito di applicazione degli artt. 81 e 82 CE
[adesso artt. 101 e 102 TFUE, ndr] né che le dette norme non soddisfino i presupposti per
l’applicazione di detti articoli25”.
24Corte di Giustizia, sentenza 18 luglio 2006, causa C-519/04, in Raccolta, p. I-6991. A dire il vero, anche
precedentemente alla pronuncia da ultimo citata la CGUE aveva avuto modo di esprimersi con riguardo al
fenomeno oggetto del presente studio, in particolare con riferimento al concetto di regola puramente sportiva ed
ai criteri differenziatori rispetto alle regole sportive dotate del carattere dell’economicità: in particolare, sia in
occasione del caso Deliège(sentenza 11 aprile 2000, cause riunite C-51/96 e C-191/97, in Raccolta, p. I-2549)
che in relazione alla causa Lehtonen(sentenza, infatti, 13 aprile 2000, causa C-176/96, in Raccolta, p. I-2681) la
Corte ha, infatti, specificato come per regola puramente sportiva sarebbe da intendersi quella che preclude ai
giocatori stranieri la partecipazione ad alcuni incontri per motivi non economici, ma inerenti al carattere e alla
fisionomia specifica di detti incontri e che hanno quindi natura prettamente sportiva, nonché quella relativa ai
periodi entro i quali è possibile effettuare il trasferimento di un atleta da una squadra all’altra. In considerazione,
tuttavia, del maggiore clamore e, soprattutto, dei numerosi spunti critici di riflessione suscitato e derivanti dalla
sentenza Meca Medina, si è in tale sede optato per un’analisi maggiormente approfondita solo dell’ultimo arresto
della Corte richiamato. 25Art. 101 “1. Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di
associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e
che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del
mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel:a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto
o di vendita ovvero altre condizioni di transazione;b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo
sviluppo tecnico o gli investimenti;c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;d) applicare, nei
rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioniequivalenti, così da determinare
per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da
parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non
abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi.2. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente
articolo, sono nulli di pieno diritto.3. Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate
inapplicabili:— a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese,— a qualsiasi decisione o categoria di
decisioni di associazioni di imprese, e— a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate,che
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In sostanza, attraverso l’arresto sul caso Meca Medina e Majcen la CGUE ha
definitivamente sancito l’abolizione del concetto, peraltro dalla stessa in precedenza
teorizzato (v. pp. precc.), di regola puramente sportiva, in quanto tale sottratta all’applicazione
del diritto europeo, con la non indifferente conseguenza, tra l’altro, della totale assimilazione
di ogni attività sportiva (economica o puramente tale) ad ogni altra attività economica.
Infine, un’ultima pronuncia dei giudici lussemburghesi meritevole di citazione, non
fosse altro per il mutamento di prospettiva rispetto al suo precedente orientamento, pare
quanto dagli stessi statuito con riguardo al caso Bernard v. Olympique Lyonnais26, in forza
della quale la CGUE ha ritenuto compatibile con il diritto europeo una normativa nazionale che
prevedeva il pagamento di un’indennità di formazione nel caso in cui un giovane calciatore
avesse stipulato, al termine della propria formazione, il suo primo contratto da professionista
con una società diversa da quella che lo aveva formato, a condizione che l’importo di detta
indennità sia commisurato soltanto agli effettivi costi di formazione sostenuti dalla società e
non rappresenti, al contrario, una sorta di risarcimento del danno conseguente alla perdita del
calciatore. Segnatamente, dopo avere anche in tale sede ricordato che l’attività sportiva è
disciplinata dal diritto dell’Unione Europea se ed in quanto configurabile come attività
contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o
economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne deriva, ed evitando dia) imporre
alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi;b) dare a tali
imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi”.Articolo
102 “È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al
commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante
sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo. Tali pratiche abusive possono consistere in particolare:a)
nell'imporre direttamente od indirettamente prezzi d'acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non
eque;b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;c) nell'applicare
nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioniequivalenti, determinando
così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza;d) nel subordinare la conclusione di contratti
all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi
commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi”. 26Corte di Giustizia, sentenza 16 marzo 2010, C-325/08, in Raccolta, p. I-02177. Al riguardo sembra opportuno,
tra gli altri, segnalare COLUCCI – VACCARO (a cura di), Vincolo sportivo e indennità di formazione. I regolamenti
federali alla luce della sentenza Bernard, Sports Law and Policy Centre, 2010; AGRIFOGLIO, Diritto
comunitario, diritto interno e classificazione dei contratti: il contratto di lavoro sportivo punto d’incontro tra
ordinamenti, in Europa e diritto privato, 2011, 1, pp. 257 ss.; CAPUANO, La libera circolazione dei calciatori
nell’Unione Europea tra vecchie questioni e nuovi scenari: il caso “Bernard”, in Rivista italiana di diritto del
lavoro, 2011, v. 30, 1, parte II, pp. 189 ss.; CARINI, Libertà di circolazione degli sportivi extracomunitari e la
tutela dei vivai giovanili, in Europa e diritto privato, 2011, 1, pp. 287 ss.; BASTIANON, Da Bosman a Bernard:
note sulla libera circolazione dei calciatori nell’Unione europea, in Il diritto dell’Unione europea, 2010, 3, pp.
707 ss..
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economica, ed altresì ribadito che qualora un’attività sportiva rivesta il carattere di prestazione
di lavoro subordinato essa vada ricondotta alla disciplina di cui all’art. 45 TFUE27, la Corte
rimarca come il regime oggetto della causa principale appaia astrattamente idoneo a
dissuadere il giocatore stesso (nel caso specifico Bernard) dall’esercizio del suo diritto alla
libera circolazione, rappresentandone quindi a tutti gli effetti una restrizione.
La CGUE, in conclusione, ammette l’esistenza di una misura che ostacoli la libera
circolazione del giocatore a condizione, però, che a) persegua uno scopo legittimo e
compatibile con il Trattato, b) sia giustificata da motivi di interesse generale e c)
l’applicazione di una simile misura sia idonea a garantire il conseguimento dell’obiettivo di
cui trattasi senza peraltro eccedere quanto necessario per conseguirlo, ammettendo in ultima
analisi che in applicazione del principio di specificità di cui all’art. 165 TFUE sia possibile
derogare ad alcuni fino ad ora intoccabili dogmi del diritto dell’Unione Europea.
3. Profili critici del diritto sportivo europeo
Il quadro normativo – giurisprudenziale innanzi sommariamente descritto lascia spazio
a non poche perplessità, in primis riconducibili alle posizioni assunte dai giudici
lussemburghesi nei termini testé esposti.
In particolare, ciò che innanzitutto non convince appieno è certamente rappresentato
dall’accennata sostanziale assimilazione dell’attività sportiva lato sensu intesa (e dunque a
prescindere dall’esistenza al suo interno di elementi di cui al contesto mercantile) a qualunque
altra attività economica operata dalla CGUE in occasione della pronuncia sul caso Meca
Medina e Majcen, decisione non sufficientemente suffragata, nell’opinione di chi scrive, da
motivazioni giuridicamente fondate e dunque condivisibili: ricondurre, infatti, ogni regola
27A norma del quale “1. La libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione è assicurata.2. Essa implica
l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto
riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.3. Fatte salve le limitazioni giustificate da
motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto:a) di rispondere a offerte di
lavoro effettive;b) di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri;c) di prendere dimora in
uno degli Stati membri al fine di svolgervi un'attività di lavoro,conformemente alle disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative che disciplinano l'occupazione dei lavoratori nazionali;d) di rimanere, a
condizioni che costituiranno l'oggetto di regolamenti stabiliti dalla Commissione,sul territorio di uno Stato
membro, dopo aver occupato un impiego.4. Le disposizioni del presente articolo non sono applicabili agli
impieghi nella pubblica Amministrazione”.
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afferente il contesto sportivo alla regolamentazione normativa di Bruxelles, per tal via
sancendo, come detto, l’abolizione della distinzione tra regole puramente sportive e regole
sportive economiche, il tutto in funzione specifica dell’allargamento delle logiche e dei
meccanismi caratterizzanti il mercato, non sembra giustificabile non fosse altro perché,
contraddicendo tra l’altro la giurisprudenza della stessa CGUE dei precedenti quindici anni,
costituisce il decisivo colpo di grazia alle velleità autonomiste da sempre rivendicate da parte
del fenomeno in esame, in re ipsa al contrario contraddistinto da assolute peculiarità
naturalmente fondanti, almeno parzialmente, un comparto a sé stante in qualche modo
indipendente. In altri termini, e richiamando al riguardo autorevole dottrina, si sottolinea
come “fino al 2006, lo sport godeva nel diritto comunitario di un regime giuridico particolare
a causa della sua specificità. Per quanto difficile da definire, questo concetto può essere
espresso come l’insieme degli aspetti singoli ed essenziali dello sport che lo distinguono
fondamentalmente da qualsiasi altro settore di attività e prestazione di servizi. La specificità
dello sport sta nel suo carattere poliedrico – lo sport svolge allo stesso tempo una funzione
sociale, educativa, ricreativa culturale e di tutela della salute pubblica -, nella sua
organizzazione piramidale28, nei valori morali che esprime, nella dipendenza sportiva
reciproca tra le squadre o gli atleti che vi partecipano”29.
Oltretutto, è da dire come la Corte, in modo perlomeno contraddittorio, intanto non
chiarisca affatto come possa una regola relativa a mere questioni sportive, in quanto tale
dunque estranea a qualunque attività e logica economica, nello stesso tempo rientrare
nell’ambito di applicazione della normativa in materia di concorrenza, in ultima analisi
arrestandosi quindi ad una sostanziale petizione di principio; poi, e richiamando anche qui
autorevole e già citata dottrina, va rimarcato come la stessa CGUE non abbia “dato prova di
alcun discernimento nella sua analisi e nella metodologia applicata alla realtà: le regole del
28“Le modalità di organizzazione dello sport in Europa (il famoso “modello sportivo europeo”) si basano su una
struttura a piramide. La base più ampia è costituita dai giocatori e dai club in cui giocano. I club sono affiliati
alle federazioni nazionali responsabili per l’organizzazione dei campionati e della gestione della loro disciplina a
livello nazionale. Le federazioni nazionali costituiscono poi le federazioni continentali. Il vertice assoluto della
piramide si compone della federazione internazionale. Ne esiste solo uno per disciplina. La Commissione
europea, il Consiglio europeo ed il Parlamento europeo si sono espressi a favore di questo modello, prodotto
della società civile europea e vera e propria espressione della nostra cultura”. 29Così ZYLBERSTEIN, La specificità dello sport nell’Unione europea, in Rivista di diritto ed economia dello
sport, IV, 1, 2008, pp. 59 – 60.
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Trattato sulla concorrenza possono valere soltanto per i comportamenti delle compagnie e
allora, come ha potuto la Corte applicare tali norme a delle entità che si occupano di
regolamentare le attività sportive (le federazioni sportive, ndr)? (…) Questo errore di
valutazione è ulteriormente aggravato dal fatto che sin dall’inizio, i giudici hanno omesso di
rilevare che la pratica sportiva non sia, per sua natura, un’attività economica: la relazione tra
gli atleti è di natura unicamente sportiva. Essi si affrontano sul campo di gioco e non, come le
imprese, su un mercato per beni e servizi. Le norme sportive non soggiacciono ad alcuna
considerazione economica o di carattere discriminatorio. (…) Inoltre l’errore della Corte è di
non avere definito l’oggetto stesso della pratica separandolo dall’elemento secondario di
natura economica”30.
Ma vi è di più. Ritenere applicabile allo sport le regole di diritto europeo sulla
concorrenza, si ribadisce in funzione dell’allargamento delle competenze UE, presta il fianco
ad un’ulteriore critica laddove si consideri che peculiare in ambito sportivo appare anche il
concetto stesso di concorrenza, radicalmente differente da quello afferente il contesto
economico tradizionalmente inteso: mentre con riguardo a quest’ultimo, infatti, concorrenza
equivale a presenza, all’interno del medesimo contesto commerciale, di più soggetti in
competizione tra loro al fine di sottrarre ai rivali il maggior numero possibile di utenti –
consumatori, e dunque all’interno di una prospettiva sostanzialmente monopolistica, con
conseguente necessità di una normativa atta a prevenire ed eventualmente porre rimedio ad
atti od iniziative di c.d. concorrenza sleale, con riguardo al fenomeno sportivo, invece, per
concorrenza è da intendersi come un imprescindibile elemento al fine, non solo e non tanto
del corretto svolgimento della singola gara o competizione, ma della sussistenza della stessa,
atteso che in mancanza di concorrenti nessun evento sportivo potrebbe mai avere luogo. In
altri termini, mentre nel caso della concorrenza “commerciale” la presenza di più soggetti è da
intendersi come un’eventualità (che nella speranza di ogni singolo azienda concorrente non si
verifichi o che, perlomeno, si riduca il più possibile), con riferimento al caso di concorrenza
sportiva la stessa è da intendersi come una necessità.
30Ancora ZYLBERSTEIN, La specificità dello sport nell’Unione europea, cit., p. 66.
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Preso, dunque, atto della totale diversità assiologica tra i due differenti significati
attribuibili all’accezione in questione nei termini testé sommariamente esposti, appare ancor
più incongruo ogni accostamento tra i due concetti, soprattutto avuto riguardo all’estensione
all’ambito sportivo della normativa in materia di concorrenza.
Tuttavia, a ben guardare, la pronuncia in esame non dovrebbe stupire più di tanto, e ciò
nonostante le incongruenze ed i dubbi di varia natura che presenta e cui dà adito; anzi, proprio
la presenza di dette contraddizioni sembra ahimè confermare i sospetti in altre sedi sollevati31.
Non rappresenta certamente, infatti, una novità l’imbattersi in pronunce dei giudici
lussemburghesi sfrontatamente ispirate a rationes essenzialmente mercantili e segnatamente
funzionali all’allargamento delle competenze dell’Unione, e dunque al rafforzamento della
normativa di cui alle medesime istituzioni di Bruxelles nei confronti degli ordinamenti dei
singoli Stati membri: la teoria del primato del diritto europeo, di matrice appunto
giurisprudenziale, o anche il quantomeno discutibile avallo prestato dalla CGUE alle c.d.
direttive self executing, vere e proprie violazioni del Trattato, solo per citare un paio di
esempi, possono a pieno tiolo accomunarsi alla sentenza da ultimo richiamata, ennesima
allarmante tappa di un percorso di auto rafforzamento ed auto legittimazione già da tempo
intrapreso dalla complice giurisprudenza lussemburghese, anch’essa in ultima analisi
rivelatrice dell’autentico orizzonte di senso ed, al tempo stesso, della natura ultima ascrivibile
all’intero progetto integrazionista, la costruzione sempre più incondizionata di un mercato
unico, appunto. Non può né deve, infatti, dimenticarsi come l’idea stessa di Europa unita non
fosse certamente contraddistinta, perlomeno nei suoi intenti originari, da finalità sociali o
solidaristiche che dir si voglia, al contrario caratterizzandosi per una funzione essenzialmente
mercantilistica: in particolare, gestire in comune le risorse carbo – siderurgiche prima, ed
eliminare poi ogni ostacolo alla libera circolazione persone, ma soprattutto di merci, servizi a
capitali tra gli Stati membri32.
31Al riguardo sia consentito, ad esempio, rinviare a TOMASELLI, Corte di Giustizia, primato del diritto e direttive
dell’Unione Europea, Roma, 2011. 32In tale prospettiva essenzialmente di natura economicistica si ritiene vadano inserite anche le nuove adesioni
all’UE, composta adesso da 28 paesi non certo desiderosi di condividere un’esperienza normativo – istituzionale
idealmente finalizzata alla tutela ed esaltazione di valori quali la pace, l’uguaglianza o l’armonia tra i popoli, ma
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Sbandierare ogni altra utopica velleità di stampo umanistico, in tal direzione
introducendo all’interno dei Trattati istitutivi (v. ad esempio Maastricht) norme e principi
almeno astrattamente alieni al contesto mercantile, somiglia più al tentativo di volere ad ogni
costo recitare un ruolo non proprio, da considerarsi dunque più come il frutto di
un’operazione sostanzialmente politica, che il risultato di un concreto mutamento di
prospettiva. Il tentativo di conseguire, cioè, risultati estranei alla creazione al consolidamento
del mercato unico sostanzialmente contraddice la natura stessa di Europa unita, teorizzata e
conseguentemente forgiata in una ben precisa direzione. A tal ultimo riguardo, l’anomala
architettura istituzionale dell’ex Comunità Europea, non certamente contraddistinta da una
netta suddivisione tra il potere legislativo, giudiziario ed esecutivo ma, al contrario,
decisamente ispirata ad un’ibrida commistione tra gli stessi, per quanto valga ad attribuire
all’UE il carattere dell’unicità in ambito gius – internazionalistico, al tempo stesso, ed anzi
proprio per questo, sembra confermare quanto in tale sede sostenuto, rivelandosi come
ulteriore indizio in merito allo svelamento dei reali intenti originari dei padri fondatori
dell’Europa stessa: quest’ultimi, intuendo le potenzialità insite nella gestione comune di
alcuni beni e quindi interessati semplicemente alla creazione di una super entità capace di
rappresentare il punto di sintesi tra le diverse volontà statali fin a quel momento quasi
permanentemente in conflitto per ragioni unicamente economiche, non nutrendo dunque
desiderio od aspettativa alcuni, in altri termini, al fine della costruzione di basi per la nascita
di un soggetto istituzionale extraterritoriale che ricalcasse le orme dei singoli ordinamenti
nazionali in quanto a compiti, funzioni ed obiettivi, non si preoccuparono affatto degli
eventuali risvolti socialisti o solidaristici riconducibili al progetto unitario, continuando
invece a considerare tali ultimi aspetti e scopi citati come materia esclusiva dei singoli Stati.
L’idea di Europa, insomma, si contraddistingue già ab origine per i suoi palesi intenti di
natura meramente mercantile.
D’altro canto, tale ultima richiamata peculiarità rappresenta, in quanto limite all’azione
dell’UE, anche una sorta di seppur parziale giustificazione dogmatico – operativa con
riferimento alle decisioni prese in ambito europeo, avuto particolare riguardo all’attività della
più realisticamente e brutalmente interessati ai benefici (ammesso che ancora ve ne siano…) derivanti dal
mercato “comune”.
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Corte di Giustizia. Dovendo, cioè, necessariamente e permanentemente confrontarsi con
l’orizzonte mercantilistico appena descritto, i giudici lussemburghesi sono quasi costretti a
“tradurre” in termini economicistici qualsivoglia materia sottoposta alla propria attenzione, e
ciò a pena di irrilevanza della stessa per il diritto UE: quanto sopra esposto, in altri termini,
sembra comunque recare con sé (anche) il carattere dell’inevitabilità, attesa la sostanziale
impossibilità a carico della CGUE di prendere cognizione di un quiche non sia in qualche modo
suscettibile di valutazione economica. E tale necessaria transizione di una determinata materia
o di un certo bene dall’ambito del giuridicamente irrilevante all’economicamente
rimarchevole ai fini della considerazione dello stesso da parte dell’ordinamento UE
costituisce, inutile a dirsi, l’inoppugnabile precipitato logico – sistemico gravante su
un’architettura istituzionale inserita fin dagli intenti originari all’interno di una ben precisa
prospettiva: emblematica, in tal ultimo senso indicato, la bislacca sentenza pronunciata
relativamente al caso Meca Medina e Majcen.
A tal ultimo proposito, potrebbe anche sostenersi come la ratio alla base dell’arresto
della CGUE da ultimo richiamato rappresenti il riflesso di un’attenzione sempre più crescente
da parte di tutto il diritto dell’Unione Europea nei confronti del fenomeno sportivo proprio in
ragione dell’enorme sviluppo economicistico che ha interessato lo sport professionistico e non
soprattutto nel corso degli ultimi anni: non deve, infatti, trascurarsi come ultimamente lo sport
abbia sempre più acquisito i caratteri di un vero e proprio business, e ciò in considerazione di
vari fattori, i più rilevanti tra i quali sono fuor di dubbio da identificarsi nell’adozione
soprattutto da parte delle società professionistiche calcistiche di diversificare le proprie
attività e dunque le proprie fonti di ricavo in conseguenza dello sviluppo di politiche di
marketing avuto particolare riguardo alla vendita di biglietti e abbonamenti, alla cessione
temporanea o definitiva di propri atleti, al conseguimento di premi legati ai risultati sportivi
conseguiti a livello nazionale ed internazionale, alla cessione dei diritti televisivi, alle
sponsorizzazioni, al merchandising.
Dunque, se con riferimento a tale ultimo fenomeno indicato il richiamo alla normativa
europea in materia di concorrenza appare certamente più coerente, ciò non vale tuttavia a
fugare i dubbi già esposti in merito alla prospettiva economicamente orientata di cui sopra,
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valendo semmai a confermare quanto in tale sede sostenuto. In particolare, e proprio
prendendo le mosse da quanto appena descritto, la netta sensazione è che l’UE si sia
progressivamente interessata al fenomeno sportivo parallelamente all’accennato esponenziale
accrescimento in termini economici dallo stesso conosciuto nel corso degli ultimi anni33: lo
sport non era forse degno di considerazione in prospettiva sociale, educativa e formativa
anche precedentemente a quando i valori e gli ideali di cui lo stesso è portatore sono stati
improvvisamente “scoperti” dalla Corte di Giustizia? Solo adesso ci si accorge
dell’importanza da attribuire allo sport sia in termini di supporto (economico e non) che di
incoraggiamento alla sua pratica e dunque dei benefici fisici e mentali alla medesima
riconosciuti? E’ forse un caso che tutta retorica in merito alla assoluta positività di cui il
fenomeno in esame è contraddistinto caratterizzi la lettera del legislatore nonché l’opinione
dei giudici della Corte solo con riguardo a tempi recenti, coincidenti con la considerazione
dello sport sempre più come business che come attività di fatto scevra da ulteriori
implicazioni di matrice economica differenti da quelle alla stessa tradizionalmente ascrivibili
(ad esempio, il compenso riconosciuto agli atleti professionisti)?
Né quanto appena sostenuto pare possa essere realmente smentito da quanto dalla Corte
sostenuto con riguardo al citato caso Bernard, da alcuni interpretato come una sorta di
cambio di rotta rispetto a quanto testé brevemente descritto34, ma da considerarsi,
nell’opinione di chi scrive, un’ulteriore, seppur parziale, conferma di quanto appena espresso:
nel momento, infatti, in cui la CGUE considera ammissibili misure nazionali che, sebbene a
talune condizioni, abbiano l’effetto di dissuadere o comunque rendere meno agevole la libera
circolazione all’interno del territorio dell’Unione, se da un lato pare mitigare la concreta
applicabilità del “sacro” principio del primato del diritto UE, dall’altro sembra nei fatti
sconfessare quanto dalla stessa Corte statuito in occasione della sentenza Bosman, ciò facendo
attraverso, in particolare, una palese attribuzione di maggior rilievo all’elemento economico
rispetto alla componente più strettamente sportiva. In altri termini, legittimando l’effetto
scoraggiante della singola normativa statale recante la previsione del pagamento di
33Sotto tale angolazione acquisiscono un valore sostanzialmente politico le iniziative ultimamente intraprese
dalle istituzioni europee, soprattutto dalla Commissione, con riferimento allo sport. Sul punto v. oltre. 34V. ad esempio TOGNON – STELITANO, cit., pp. 181 ss..
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un’indennità con specifico riferimento alla mobilità nell’UE, i giudici lussemburghesi
sembrano sostanzialmente dare nuovamente ingresso a ciò di cui invece gli stessi sancirono
nel lontano 1995 l’insostenibile sussistenza per l’ordinamento europeo, e cioè la presenza di
un ostacolo anche allora di matrice indennitaria allo spostamento di un soggetto da un Paese
membro all’altro. Oltretutto, tale sostanziale contraddizione con quanto al riguardo stabilito
ormai diciotto anni or sono è dal medesimo organo giudicante compiuta in nome, si badi
bene, del pregiudizio economico che deriverebbe alla singola società sportiva dall’eventuale
stipula da parte dell’atleta dalla stessa formato con un club differente, e non invece, come
avrebbe dovuto essere qualora fosse davvero lo sport il reale obiettivo di tutela dell’intero
ordinamento europeo, della libertà del giovane calciatore di accasarsi con la squadra da lui
ritenuta maggiormente gradita.
Insomma, il parametro ultimo di riferimento pare anche in quest’ultimo caso richiamato
pur sempre l’elemento economicistico, e ciò a dispetto della tanto decantata (a questo punto
presunta) funzione pedagogico - sociale retoricamente attribuita al fenomeno sportivo proprio
da parte della CGUE, nonché delle Istituzioni di Bruxelles all’interno dei propri atti normativi,
tipici o atipici essi siano.
A tal ultimo riguardo, è da notare come anche la Commissione pare condividere
l’opinione della giurisprudenza lussemburghese espressa, in particolare, in occasione del caso
Meca Medina e Majcen, e ciò con riferimento ai due, con ogni probabilità, più importanti
documenti promulgati avuto riguardo al fenomeno sportivo ed alla stessa riconducibili, e cioè
i citati Libro Bianco del 2007 e la propria comunicazione del 2011: entrambi tali ultimi atti
richiamati, infatti, espressamente fanno proprio l’indirizzo ermeneutico caratterizzante la
sentenza Meca Medina e Majcen con espresso riferimento alla sostanziale indifferenza tra
attività sportive “pure” ed attività sportive contraddistinte da elementi economici, in ultima
analisi anch’essi ponendosi come ulteriore conferma di una sorta di vero e proprio dialogo
istituzionale peculiare in ambito UE. Non può certamente considerarsi, infatti, una novità la
trasposizione in termini testuali di un indirizzo interpretativo della CGUE da parte del
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legislatore di Bruxelles35 e, nell’opinione di chi scrive, anche avuto riguardo allo sport tale
non affatto casuale circostanza si è appieno verificata.
Segnatamente, il Libro Bianco dopo avere ribadito, almeno astrattamente l’autonomia
del fenomeno sportivo, si affretta a sancirne la sottomissione al diritto UE non semplicemente
con riferimento alle regole da quest’ultimo previsto in materia di mercato interno e
concorrenza, ma anche in relazione all’applicazione di altri principi (divieto di
discriminazione, cittadinanza, parità tra uomo e donna), confermando una volta di più
“un’autonomia a scartamento ridotto del fenomeno sportivo, poiché lo stesso - vieppiù
quando in gioco vi sono interessi di natura economica – è comunque sottoposto alla forza
cogente del diritto dell’Unione. La Commissione (…) esprime chiaramente il principio che la
compatibilità di una certa regola sportiva con le norme di diritto comunitario deve essere
valutata caso per caso (al riguardo v. Meca Medina e Majcen, espressamente richiamata36ndr)
con questo respingendo la nozione di regole puramente sportive ma svolgendo un controllo ex
post su qualunque tipo di norma sportiva ai fini - appunto - della compatibilità con il diritto
UE”37.
Principi ed indirizzi interpretativi del tutto analoghi a quanto contenuto all’interno del
Libro Bianco sono rinvenibili con riguardo alla lettera della Comunicazione dalla stessa
Commissione redatta con espresso riferimento allo sviluppo della dimensione europea dello
sport, ove intanto si rileva come la natura specifica dello sport sia un concetto ribadito dalla
Corte di Giustizia in varie decisioni cui fa riferimento anche il Libro Bianco medesimo, per
poi confermare ancora una volta che la specificità del fenomeno in questione debba
necessariamente prevedere un’assistenza e un controllo caso per caso.
Quanto appena sommariamente rimarcato sembra avallare i dubbi ed i “sospetti” già
avanzati in precedenza, da aggiungersi ad ulteriori considerazioni in merito alla tipologia
35V. ancora TOMASELLI, op. cit. 36P. 15 del Libro Bianco: “La Corte ha riconosciuto che la specificità dello sport deve essere presa in
considerazione nel senso che gli effetti restrittivi per la concorrenza inerenti all’organizzazione e a uno
svolgimento adeguato delle competizioni sportive non infrangono le norme UE sulla concorrenza, purché tali
norme siano proporzionate all’interesse sportivo legittimo perseguito. L’esigenza di accertarsi che tale
proporzionalità sia rispettata implica la necessità di considerare le caratteristiche specifiche di ogni caso e non
permette di formulare orientamenti generali sull’applicazione al settore dello sport delle norme relative alla
concorrenza”. 37V. TOGNON – STELITANO, Sport, Unione Europea e diritti umani, cit., p. 139.
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specifica di atti per cui ha optato la Commissione ai fini dell’esternazione della propria
posizione avuto riguardo al fenomeno sportivo, nonché alla reale valenza agli stessi
attribuibile.
Più specificamente, si segnala innanzitutto come il ricorso ad iniziative riconducibili al
novero degli atti atipici (Libro Bianco e Comunicazione, ma anche tutti gli altri relativi allo
sport ed emanati da altre istituzioni UE), e dunque non contraddistinte dal carattere della
vincolatività, in primis non aiuta certamente nel tentativo di districarsi tra i vari input che, a
vario titolo, interessano il fenomeno in esame, dando oltretutto adito ad ulteriori perplessità
avuto riguardo alla reale posizione ricoperta dalla Commissione, ed in genere dal legislatore
UE lato sensu inteso, in merito allo sport: dall’avere, infatti, optato per atti para – normativi,
certamente non paragonabili in quanto ad efficacia ed obbligatorietà alle fonti legislative
“ufficiali”, pare potersi argomentare nel senso di una scelta fondamentalmente politica, e ciò
in considerazione del peso comunque ascrivibile ad iniziative di tal fatta, senza che le stesse
peraltro vadano a “compromettere” più di tanto l’Istituzione emanante. La scelta, cioè, per un
atto atipico, in quanto contraddistinta da un grado di flessibilità certamente maggiore rispetto
ad una direttiva o un regolamento, consente al soggetto al medesimo riconducibile di
smarcarsene alla bisogna, permettendo in ultima analisi un eventuale ed opportuno cambio di
rotta, al contempo consentendo però di tradurre in termini di diritto (quasi) positivo la propria
posizione non a caso quasi mai non coincidente da quella assunta dai giudici lussemburghesi.
E ciò ad ulteriore conferma, da un lato, e rafforzamento, dall’altro, del carattere
essenzialmente nebuloso caratterizzante l’intera architettura istituzionale dell’Unione
Europea: un apparato ordinamentale, cioè, che prevede il ricorso ad atti para – normativi dal
peso fondamentalmente politico ma non formalmente vincolanti, e dei quali si alimenta con
preoccupante regolarità, non può che rispondere ad una precisa strategia atta, si ritiene, a
furbescamente aumentare il tasso di incertezza in ordine all’autentica posizione imputabile
alla singola istituzione, legittimata quindi a non sbilanciarsi in merito alla stessa se non in casi
estremi.
Oltretutto, atteso il contenuto degli atti da ultimo richiamati, si ritiene che iniziative di
tal fatta rispondano anche all’esigenza di celare, dietro pomposi e ridondanti proclami
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sull’importanza dello sport anche in ottica socio – pedagogica, gli intenti ultimi caratterizzanti
le iniziative e le politiche dell’Unione in merito al fenomeno in questione, e cioè il suddetto
rafforzamento della propria normativa attraverso, in particolare, la riduzione anche dello sport
a bene di mercato.
Né quanto appena descritto pare possa realmente essere sconfessato dalla previsione di
cui all’accennato art. 165 TFUE, norma di cui invece si tenterà di dimostrare la sostanziale
inutilità.
In particolare, innanzitutto è da rimarcare l’estrema genericità e vaghezza dei contenuti
del disposto adesso in esame con riguardo ad espressioni quali “profili europei dello sport”
(comma 1) e “dimensione europea dello sport” (comma 2, ultimo punto) alla cui promozione
l’Unione, sempre a mente dell’articolo in questione, rispettivamente contribuisce e a
sviluppare la quale l’azione della stessa è intesa: la previsione legislativa da ultimo
richiamata, infatti, non contribuisce certamente a chiarire quali siano, né cosa si intenda
esattamente per profili europei e men che meno per dimensione europea dello sport, non
indicando altresì a tali fini criteri sussidiari di sorta.
In secondo luogo, la norma in esame non soccorre neanche in ordine all’individuazione
e specificazione della tanto decantata (ma nei fatti ignorata) specificità dello sport, meramente
citata senza il supporto o il rinvio, anche qui, di strumenti o ad elementi esterni funzionali alla
sua corretta specificazione.
Ancora, altra non indifferente questione sembra trarre origine dall’infelice utilizzo del
termine che nella versione italiana del Trattato in questione è tradotto con “equità” (altro
obiettivo cui, ai sensi dell’ultimo punto del cpv. II dell’art. 165 TFUE, sarebbe destinata
l’azione dell’UE) atteso il diverso significato, e dunque, la diversa valenza attribuibile a tale
locuzione in forza della sua trasposizione nelle varie lingue di cui ad alcuni Paesi membri:
segnatamente, se si analizzano le altre versioni del Trattato, si coglie una diversità di termini
riconducibile di fondo ad un duplice orientamento. Nel testo inglese e in quello tedesco
compare il sostantivo fairness, che evoca anche etimologicamente il fair play e può essere
sicuramente collegato alla lealtà. Nel testo olandese si è scelto il vocabolo eerlijkheid, grosso
modo corrispondente dal punto di vista letterale all’onestà, ma più vicino semanticamente alla
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lealtà. La versione danese si discosta parzialmente da questo primo orientamento,
ricorrendovi l’espressione retfærdighed, da intendere come giustizia nel senso di ciò che è
giusto. Nella sostanza, questa soluzione sembra comunque inquadrabile nel concetto della
lealtà. Al contrario, le versioni francese, spagnola e portoghese del Trattato accolgono tutte il
termine equità. Da quanto testé indicato, appare piuttosto evidente la difficoltà di individuare
un punto di sintesi tra i vari significati attribuibili alla locuzione in questione, soprattutto se si
considera che con riguardo specifico al nostro ordinamento il termine “equità” possiede una
propria peculiare utilizzazione in ambito civilistico quale fonte d’integrazione del contratto
(art. 1374 del nostro Codice Civile)38.
Inoltre, non trascurabile appare l’inciso a chiusura del disposto in esame laddove il
legislatore europeo sancisce espressamente che “per contribuire alla realizzazione degli
obiettivi previsti dal presente articolo” Parlamento e Consiglio adottino azioni
d’incentivazione “ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e
regolamentari degli Stati membri”, oltretutto prevedendo altresì l’adozione di mere
raccomandazioni ai fini appena indicati. Al riguardo, una previsione che, per quanto contenuta
all’interno di una fonte c.d. primaria del diritto UE, sancisca che gli unici atti adottabili in
materia di sport siano esclusivamente delle raccomandazioni certamente “non depone per la
vincolatività degli strumenti potenzialmente attuativi, lasciando, piuttosto, il serio dubbio che
si tratti di una misura non idonea a raggiungere gli scopi prefissati”39, per tal via ponendo di
fatto anche il contenuto di cui all’art. 165 TFUE all’interno della medesima prospettiva
fondamentalmente politica, ma non certo genuinamente giuridica, tracciata con riguardo al
Libro Bianco del 2007 ed alla Comunicazione della Commissione del 2011. La norma in
38E’ da dire, d’altra parte, come tale ultimo rilievo critico con riferimento al contenuto dell’art. 165 TFUE rimandi
ad un non trascurabile ostacolo, nell’opinione di chi scrive, sulla strada di una compiuta integrazione in ambito
europeo, e cioè quello rappresentato dalle diversità linguistiche riscontrabili all’interno dello stesso, appunto: è
innegabile, infatti, che le differenze semantiche, sovente recanti con sé anche dissimilitudini di ordine
assiologico – concettuali, non incoraggino certamente la realizzazione dell’ambizioso progetto in merito alla
costituzione degli Stati Uniti federali d’Europa, non potendo di certo sopperire nella direzione appena indicata
l’adozione dell’idioma anglosassone come linguaggio “ufficiale” dell’ex Comunità europea. Tale eventualità, in
particolare, non risolverebbe affatto la questione relativa all’individuazione della lingua europea non essendo in
grado di rappresentare un soddisfacente momento d’incontro tra le differenti istanze letterali traspositive, e ciò in
ragione, si ritiene, della radicale lontananza dalle tradizioni di civil law cui, al contrario, si rifanno la maggior
parte degli ordinamenti degli Stati membri. 39Così ancora TOGNON – STELITANO, Sport, Unione Europea e diritti umani, cit., p. 148.
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questione, cioè, lungi dal rappresentare una fonte normativa da considerarsi realmente tale
atteso a) l’estrema genericità dei propri contenuti e b) la non vincolatività degli strumenti
dalla stessa previsti al fine del perseguimento di un obiettivo comunque non uniformante, non
può che alimentare i sospetti su una valenza autenticamente strategica alla medesima
attribuibile, e ciò sia con riguardo alle istanze autonomistiche ma allo stesso tempo di tutela
da sempre avanzate dai soggetti operanti in ambito sportivo, sia in riferimento alla sua
collocazione all’interno del Trattato sul funzionamento dell’Unione: il dubbio, in altri termini,
è che tale disposizione, in virtù della propria espressa lettera in merito alla specificità del
fenomeno sportivo e forte del proprio rango di fonte primaria, si ponga come reale obiettivo
l’immediata (quanto vacua) soddisfazione dei soggetti di cui sopra, oltretutto attraverso
l’equiparazione dello sport a nobili e quanto mai attuali valori quali l’istruzione, la
formazione professionale e la gioventù (v. Titolo XII del TFUE di cui l’art. 165 costituisce la
norma d’apertura), senza che però sia in concreto al riguardo prevista l’adozione di atti dotati
di un grado di obbligatorietà sufficiente tale da conferire al disposto in oggetto la capacità di
intervenire ed operare in maniera realmente efficace con riguardo al contesto sportivo.
Infine, si ritiene non possa condividersi l’opinione di chi considera l’art. 165 TFUE
comunque necessario ai fini del riconoscimento di una competenza specifica all’Unione
Europea in materia di sport, visto che, in forza di quanto statuito dalla giurisprudenza
lussemburghese nei termini in precedenza evidenziati, altresì supportati nei propri intenti e
contenuti dalle posizioni assunte dalla Commissione attraverso il Libro Bianco e la
Comunicazione più volte richiamati, l’UE poteva già ben considerarsi legittimata ad operare,
come visto oltretutto con poteri pressoché illimitati, con riferimento al contesto oggetto del
presente studio già antecedentemente l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Al contrario,
la norma in questione, non rifacendosi, almeno in astratto, agli indirizzi giudiziali di cui sopra,
rischia concretamente anche di generare (ulteriore) confusione dogmatico – applicativa avuto
riguardo ad un ambito che di certo non ne sente il bisogno.