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Tracce di Abetine Originarie e Possibilità di Reintroduzione Dell'Abete Bianco Nell'Appennino...

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This article was downloaded by: [Princeton University] On: 27 August 2014, At: 15:00 Publisher: Taylor & Francis Informa Ltd Registered in England and Wales Registered Number: 1072954 Registered office: Mortimer House, 37-41 Mortimer Street, London W1T 3JH, UK Giornale botanico italiano: Official Journal of the Societa Botanica Italiana Publication details, including instructions for authors and subscription information: http://www.tandfonline.com/loi/tplb19 Tracce di Abetine Originarie e Possibilità di Reintroduzione Dell'Abete Bianco Nell'Appennino Genovese Dott. Giuseppe Banti Published online: 14 Sep 2009. To cite this article: Dott. Giuseppe Banti (1956) Tracce di Abetine Originarie e Possibilità di Reintroduzione Dell'Abete Bianco Nell'Appennino Genovese, Giornale botanico italiano: Official Journal of the Societa Botanica Italiana, 63:1, 77-111, DOI: 10.1080/11263505609431620 To link to this article: http://dx.doi.org/10.1080/11263505609431620 PLEASE SCROLL DOWN FOR ARTICLE Taylor & Francis makes every effort to ensure the accuracy of all the information (the “Content”) contained in the publications on our platform. However, Taylor & Francis, our agents, and our licensors make no representations or warranties whatsoever as to the accuracy, completeness, or suitability for any purpose of the Content. Any opinions and views expressed in this publication are the opinions and views of the authors, and are not the views of or endorsed by Taylor & Francis. The accuracy of the Content should not be relied upon and should be independently verified with primary sources of information. Taylor and Francis shall not be liable for any losses, actions, claims, proceedings, demands, costs, expenses, damages, and other liabilities whatsoever or howsoever caused arising directly or indirectly in connection with, in relation to or arising out of the use of the Content.
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Page 1: Tracce di Abetine Originarie e Possibilità di Reintroduzione Dell'Abete Bianco Nell'Appennino Genovese

This article was downloaded by: [Princeton University]On: 27 August 2014, At: 15:00Publisher: Taylor & FrancisInforma Ltd Registered in England and Wales Registered Number: 1072954Registered office: Mortimer House, 37-41 Mortimer Street, London W1T 3JH,UK

Giornale botanico italiano:Official Journal of the SocietaBotanica ItalianaPublication details, including instructions forauthors and subscription information:http://www.tandfonline.com/loi/tplb19

Tracce di Abetine Originarie ePossibilità di ReintroduzioneDell'Abete BiancoNell'Appennino GenoveseDott. Giuseppe BantiPublished online: 14 Sep 2009.

To cite this article: Dott. Giuseppe Banti (1956) Tracce di Abetine Originarie ePossibilità di Reintroduzione Dell'Abete Bianco Nell'Appennino Genovese, Giornalebotanico italiano: Official Journal of the Societa Botanica Italiana, 63:1, 77-111, DOI:10.1080/11263505609431620

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Dott. GIUSEPPE BANTI

TRACCE DI ABETINE ORIGINARIE E POSSIBILITA DI REINTRODUZIONE

DELL‘ABETE BTANCO NELL’APPENNINO GENOVESE

(CON 1 FIGURA NEL TESTO) (*)

presentato il 24 febbraio 1956

I1 Genovesato si estende sulla parte centrale dell’Appennino Ligure e ne occupa I’intero versante meridionale e lembi variamente estesi del versante s’ettentrionale: k quindi compreso fra il livello del mare ed i m. 1799 del M. Maggiorasca ed include una notevole varieti di ambienti fitoclimatici che (trascurando la strettissima striscia di Litorideserta e le piccole superfici di Petrideserta) vanno dal caldo Lauretum della stretta fascia littoranea (fascia ad andamento quanto mai irregolare, pressochl: interrotta allo sbocco della valle longitudinale del Polcevera, allargantesi, per contro, sulla penisola di Portofino, ove, in alcune parti, raggiunge la quota 550 circa) a1 Fagetum dei vertici montani piti elevati, su alcuni dei quali non pub escludersi l’esistenza di una ristretta zona di Alpinetum o Polaretum che perb l’azione antropica esercitatasi intensamente e per un lungo periodo, rende arduo accertare con sicurezza.

Sul versante marittimo, la maggior diffusione k assunta dall’oriz- zonte delle caducifoglie eliofile (NEGRI, 1947) corrispondente a1 Casta- netum (PAVARI, 1916) che ha inizio sulle basse colline prospicienti a1 mare e che occupa il versante considerato, pub dirsi fino alla linea di cresta (la superfici nude sono qui da addebitarsi sicuramente all’azione antro- pica) con poche eccezioni nelle valli piG interne.

Se invece si valica il crinale appenninico passando dal versante marittimo (meridionale) a quello padano (settentrionale) si nota una mag- giore estensione del Fagetum dovuta a1 fatto che su questo second0 ver- sante si ha un clima notevolmente pili freddo che non su quello prece- dentemente considerato.

La molteplicitA delle esposizioni determinata dall’andamento spesso capriccioso delle valli, altera variamente e non di rado profondamente,

(*) Pubbliazione no 104 del Centro per lo Studio della Flora e della Vegeta- zione Italiana del Consiglio Nazionale delle Ricerche diretto dal Prof. GIOVANNI NECRI; presso I’Istituto Botanico dell’universiti d i Firenze.

771 [Nuovo Giornale Botanico Ilaliano, n. s., vol. LXIII, n. 1, 1966

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la successione dei piani altimetrici della vegetazione, successione talora addirittura sconvolta per il sommarsi dell'azione antropica a quella dei grandi fattori del clima.

I dati climatici dei quali si dispone, non costituiscono, d'altra parte, un aiuto notevole alla individuazione dei piani in questione, dato I'insuf- ficiente numero di stazioni e la loro cattiva distribuzione spaziale. Si riportano comunque, di seguito, per dare un'idea di larga massima su alcune parti dell'ambiente considerato:

ratura ' annuil

< 100 -__-

18 1684 19 1911 18 1448 9,5 1301 1 1 1020 18 1740 13 1351 18 2332

i u I Temperatura media j Piovosith c i .- I - 1 .; I

'S 2 .- 5 .5 a I del periodo 1 2

.- E 9

primaw ra cstal

726 789 628 460 423 656 513 997

(1) Chiavari ' Fontanigorda

~ Rovegno ' Torriglia

Genova (Universiti)

Cc = Castanetum caldo Lc = Lauretum caldo

Stazione

[2) Busalla Creto Fontanigorda Genova (Polc.) Portofino Alto

15,5 7,2 23,8

16,l 7,5 25,3 11,l 1,6 , 19'6 10,l 0,5 19,l

11'1 1,6 21-

4 __ --

-2,2 ~ 1140 -8,2 1223 -2,4 1114 -7,7' 1740 -7,5 2329

primivera , estate

413 (35) 538 (38)

. 383 (35) 656 (50) 923 (50)

Temperatura media ! Decadi ; Piovositi __

el mer pid caldo

19,7 19,2 19,9 24,l 23,s

~

el mese pid

freddo

max. 1 min. I con del el mese del mese tempe- 1 media I Deriodl pi" ' piti

caldo i freddo -t-

22,6 i -2,3 25,l 1 -1,2 26,--, -2, 27.4 i 5,7

I 5,9 i 28, 1 2,4 Rovegno I 19,6 ~ 1,6 I 27,4 -2,9 S. Maria Sturla I 21,6 I 5,3 ! 26,8 1,3

1 19,l i 0,5 /-23,6 1,5 Torriglia i

-I ! .

Lc I

c c I cc I

cc I Lc I

Classificazione

BSM - Q e p BMM - Q a BMM - F , m BMS - Q 1 BMS - Q 1 BMM - F m

BMM - F m BMS - Q 1

BMS = Biocora mediterranea sempreverde; BMM = Biocora montana mediterra-

Q 1 = Quercetum litorale; Q a = Quercetum apenninicum; F m = Fagetuni medi-

Q e p = Quercetum aemilianum-pedemontanum.

nea; BSM = Biocora submediterranea;

terraneum;

(I) Vedasi Bibliografia, opera nD 14. (*) Vedasi Bibliografia, opera no 18.

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Nell’ambiente generale sommariamente indicato avvennero in pas- Sat0 ritrovamenti di tronchi di Abete allo stato di fossili conservati. GiA il CHIAPPORI nel 1875, dopo aver rilevato in linea generale I’esistenza di (( coniferi fossili a varia profondit; nel fondo delle nostre valli, da gi- gantesche frane preistoriche ivi accatastati e sepolti )) sparsi (( a profusione intorno all’Antola, in Val d’Aveto, sul Piacentino, a Busalla, per lo spa- zio di pid che ottanta chilometri )) cita il particolare ritrovamento da lui fatto a Torriglia (( in una prateria che rasenta la nuova Via Nazionale, rimpetto alla Stazione dei Carabinieri Reali N. Quivi egli pot6 riconoscere un Nocciolo, un Faggio, un Abete ed un Tasso e che tale riconoscimento sia stato esatto pub desumersi anche dal fatto che I’A. suddetto pot& effettuare l’accertamento non solo sul legname, ma anche su (( le foglie, i frutti e le gemme N. Altri tronchi sparsi irregolarmente potevano in base a1 legno ed alla corteccia essere ascritti ai generi Quercus, Crataegus, Fraxinus, Ostrya, Sanzbucus; quelli di conifere venuti in luce mostra- van0 di aver subito (( pochissima alterazione ed i: per questo che frequen- temente sono ancora adoperati come materiale da fabbrica n. Le intac- cature di alcuni tronchi, testimoniavano che l’uomo fu contemporaneo a quei giacimenti che, quindi, sono da ritenere prossimi all’epoca storica e che si estenderebbero per circa sei chilometri.

Successivamente ~’ISSEL trattando di alberi sepolti, riprese in esame il caso del deposito di Torriglia e ne citb due consimili di cui uno in si- nistra del Laccio (( sopra lo stesso paese di Torriglia 1) e l’altro (( in quei pressi, nel punto detto Nemoglie )). Un terzo deposito veilne segnalato nel torrentello Caransina in comune di Varese Ligure e, per sentito dire, venne riferito di tronchi d’Abete rovesciati (( che si vedevano, anni sono, nel fondo di uno dei laghetti delle Lame, non lunge da Sopra la Croce )),

il cui legname era poco alterato, e se mai indurito, di colore poco pih scuro del normale, cosi da poter essere utilizzato normalmente, tanto che (( si accerta che di tal legname sia stata fatta la travatura della Chiesa di San Colombano in Bobbio N.

Sia i ritrovamenti del CHIAPPORI che quelli dell’IssEL sui due ver- santi Appenninici vennero citati successivamente dal GOLA che vi ag- giunse quelli di M o h o di Negruzzo in Valle Staffora, mentre chi scrive vi aggiungeva, successivamente, quelli della Val Curone.

Non risultano altre segnalazioni relative all’ Appennino Genovese o zone ad esso prossime; lo stesso CAVAFU che pure studii, profondamente l’argomento, non indici, reperti per la zona che ci ‘interessa. Le segna- lazioni citate, peraltro congiunte a1 casuale rintraccio di tronchi, poi risultati di Abete, (I) , awenuto in comune di Rovegno nel 1950, erano

(l) L‘accertamento della specie, in questo come negli altri casi che saranno citati, -_ - _ _ - ~ _

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sufficienti per provocare il desiderio di una indagine approfondita, volta a controllare le singole stazioni, di alcune delle quali gli AA. citati par- ’lano per sentito dire, mentre di altre riferiscono in termini troppo gene- rici la posizione topografica e cii, a1 fine d i istituire confronti con la vege- tazione attuale e determinare, per quanto possibile, i reali Iimiti entro i quali la specie in questione signoreggih sulla montagna genovese e la presumibile ragione della sua scomparsa: conseguentemente la possibilita e convenienza di una sua reintroduzione artificiale.

Le ricerche relative sono state compiute nella maniera pid estesa possibile e non sono rimaste senza risultato, pur dovendosi convenire che di moltissimi reperti si I: indubbiamente perduta la memoria per cui t stato impossibile averne notizia e che molti altri potranno essere effet- tuati in prosieguo di tempo: nel riferire sui risultati conseguiti non si pensa di sviscerare la questione, ma solo di stabilire un punto di riferi- mento e di portare un non inutile, seppur modesto, contributo alla com- pleta conoscenza dei reali termini del problema posto.

Le tracce di Abe‘te repertite possono essere riunite in due grandi gruppi a seconda della lor0 posizione rispetto a1 crinale appenninico.

I1 gruppo settentrionale di gran lunga piG importante, t localizzato nelle alte valli del Trebbia e dello Scrivia, mentre il gruppo meridionale non comprende che un nucleo nell’alto bacino di una delle tre convalli che formano 1’Entella.

In particolare i singoli reperti risultano cosi distribuiti (Fig. 1):

Bacino del Trebbia

1 - Valle del Brugneto - . Localith (( Moglie )) in comune di Propata

2 - Valle del Pescia - Localita (( Moggia d’u Chirlo.)) in comune di

3 - Abitato di Rovegno. 4 - Colonia di Rovegno.

. (frazione Caffarena).

Rovegno (fraz. Casanova).

S o t t o b a c i n o d e l l ’ A v e t o

d’Aveto.

fano d’Aveto (fraz. Amborzasco).

5 - Valle del Gramizza - Monte Cantomoro in Comune di S. Stefan0

6 - Valle del Gramizza - Localiti (( Roncobarile )) in comune di S . Ste-

6 dovuto alla cortesia e cornpetenza del Prof. Guglielmo GIORDANO dell’univer- sit5 di Firenze.

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Valle del Lovaria - Localiti Gera di Burrio e Roncagne in comune di S. Stefano d’Aveto (fraz. Alpicella). Valle del Rio Molini - Abitato di S. Stefano d’Aveto. Valle del Fosso Grosso - Localit; (( Roncolungo 11 in comune di S. Stefano d’Aveto. Valle del Rezzoaglio - Alto versante settentrionale della catena M. degli Abeti - M. Aiona in comune di Rezzoaglio. Valle del torrente Cugno - Abitato di Vicosoprano in comune di Rezzoaglio. Valle del Rio di Molineggi - Localit3 (( Le Moglie . e (( Sorgente dcl Pozzo )) in coinune di Rezzoaglio (fraz. Esola). Valle del Rio del Salto - LocalitB (( Pian degli Avei )) in comune di Rezzoaglio (fraz. Salto).

Bacino dello Scrivia 14 - Valle del Laccio - Abitato di Torriglia e dintorni. 15 - Valle del Brevenna - Rio di Nenno in comune di Savignone. 16 - Valle del torrente Vallenzona - Localit.? (( Fo& in comune di Vob-

bia (fraz. Alpe).

Bacino dell’Entella. 17 - Valle del Rio Calandrino (Sturla) - Localit.? (( C o h o Rondio )) in

Le singole Stazioni vengono descritte di seguito una per una, rite- nendosi che la maggior chiarezza della trattazione compensi largamente qualche inevitabile ripetizione, cui il sistema pui, dar luogo.

cornune di Borzonasca (fraz. Sopralacroce).

A) ALTA VALLE DEL TREBBIA.

L’alta valle del Trebbia subi nel Paleolitico vicende glaciali le cui tracce sono rappresentate sia da una serie di laghetti nella zona del M. Aiona, sia dalla congerie di pezzi (principalmente massi di brecce ofio- litiche, di ftanite, di calcare siliceo ecc.) che si vedono sul dosso dei poggi a valle di Rovegno e sopra Fontanigorda, che non si spiegano che col convogliamento ad opera di piccoli ghiacciai dei detriti caduti dalle vette.

Col . soprawenire del Neolitico una attivissima erosione fluvio-gla- ciale affondi, la valle di oltre 300 metri e successivamente, nella preistoria, grandiosi movimenti franosi, che continuarono fino a tutta l’eth del bronzo, dettero alla valle l’aspetto generale attuale.

Le frane sopraddette si presentano come grandi letti di argilla che includono massi di rocce diabasiche (San Stefano d’Aveto) od ofiolitiche

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(Rovegno) ; l’azione erosiva dell’acqua o gli scavi effettuati dall’uomo 0,

infine, piccoli movirnenti di assestamento del terreno che in esse si verifi- cano, portano talora in luce antichi tronchi che analizzati, spesso risul- tan0 essere di Abete.

Dell’alta valle del Trebbia si considera far parte la valle dell’Aveto, nome questo dall’etimologia controversa: mentre infatti & abbastanza diffusa la convinzione della derivazione da Abeto, non manca chi osserva che l’antico nome dell’Aveto 6 (( Avanto )) per cui si dovrebbe ricorrere alla radice (( ar )) iranica ed aramica che significa fiume e che si modifich poi in (( ava )) o (( ave 1).

La posizione topografica delle stazioni di ritrovamento nella valle in questione, mostra un particolare addensamento nell’alta valle dell’Aveto in confront0 alle poche stazioni della valle del Trebbia vero e proprio: poicht non vi sono ragioni che possono far ritenere che nella prima zona citata vi sia stata una ricerca particolarmente attiva, si deve rite- nere che la densit5 delle stazioni in parola corrisponda grosso modo alla effettiva distribuzione passata dell’Abete sull’Appennino Genovese.

Se poi si considera la distribuzione di tutte le stazioni di ritrova- mento, si rileva una diluizione crescente via via che si procede da levante verso ponente, con un addensamento secondario nella zona di Torriglia e la presenza di una sola di esse sul v$rsante meridionale, Quando si ponga tale distribuzione in relazione alla altitudine via via minore dei rilievi, si ha un’altra indiretta conferma della supposizione avanzata prima.

1 - Localitci (( Moglie )) in comune d i Propata - fraz. Caffarena. A circa 350 metri dall’abitato di CafTarena in un prato posto a quota

850 circa, di proprieti di certo Signor Bruno Fraguglia fu Emilio, lungo un piccolo’awallamento in cui l’acqua scorre solo nei period0 piovosi, t stato recentemente praticato uno scasso per la riduzione del terreno a terrazze ai fini della coltura: alla profonditi di m. 1,20-1,50 i: venuta in luce per la lunghezza di sei metri, l’estremith di un tronco di Abete bianco di 90 centimetri di diametro alla base, il cui legno si presenta ben conservato e di color marrone, cioi: molto pih scuro del normale.

I1 terreno all’intorno ? totalmente a coltura; i versanti circostanti ospitano gruppi di piante e boschi, del tutto analoghi a quelli di cui si dirh trattando della stazione di Torriglia (no 14).

2 - Localitd (( hgoggia d’u Chirlo )) in coniune di Rovegno - fraz. Casanova. I1 grande anfiteatro Rocca Bruna (m. 1418), M. Gifarco (m. 1381),

M. Castello Fante (m. 1389), Rocche di Fontanigorda presenta pareti ripide e scheggiate in netto contrast0 con la parte centrale occupata da

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dolci ondulazioni (veri e propri mammelloni degradanti) dalla cui super- ficie spuntano grossi trovanti, ancora ben riconoscibili nonostante il suc- cessivo modellamento superficiale operato dall’acqua; denunzia quindi antichi franamenti di proporzioni ragguardevoli per effetto dei quali grandi masse di terra cambiarono sede e si spostarono verso valle rag- giungendo certamente il margine inferiore dell’attuale Bosco delle Fate, se non spingendosi oltre.

La fisionomia del paesaggio i: caratterizzata da cedui di Faggio che occupano la parte pid a h dell’anfiteatro, nei quali alla specie principale si mischiano in ridotta misura Evonymus curopaeus, Sambucus racemosa, Pirus Aria, Cytisus Laburnum, Ostrya carpinifolia, Rhamnus Frangula; le rocce si presentano per lo pid colonizzate da Amelanchier ovalis oltre che da Saxifraga cuneifolia, Sedum rupestre e muschi; le radure pre- sentano una cotica pid o meno densa ed infeltritrt da muschi, di grami- nacee e ciperacee non individuate cui si mischiano Orchis maculata, Orchis Morio, Orchis sp. pl., Daphne Mezereum, Viola silvestris, Poten- tilla Tormentilla, Valeriana officinalis, Anemone Hepatica, Anemone tri- folia, Alchemilla vulgaris, Taraxacum officinale, Fragaria vesca, Anten- naria dioica, Gentiana acaulis, Lathyrus silvester var. latifolius, Luzula nivea, Helleborus foetidus, Polystichum sp., Euphorbia sp., Juniperus com- munis, Calluna vulgaris, Erica cprnea e Vaccinium Myrtillus; quest’ultimo si nota spesso nascere ed affermarsi entro le dense colonie di Calluna che vengono lentamente aperte e quindi disgregate.

Alcuni tratti di terreno furono rimboschiti circa venti anni or sono con Abies alba, Picea excelsa, Larix decidua, Pinus nigra e Pinus silvestris e le relative piantagioni si presentano generalmente in buone condizioni di vegetazione; particolarmente Larix decidua presenta accrescimenti in lunghezza di oltre un metro per anno, E qui da notare che Vaccinium Myrtillus ed Erica carnea si insediano anche nella pineta densa !a cui om- bra impedisce ogni altra vegetazione.

A valle di questa zona boscosa se ne trova una di pascoli, con ciuffi o striscie di vegetazione arborea costituita da ceppaie di Faggio, Alnus glutinosa e Rhaninus Frangula e con individui isolati di Juniperus communis e Prunus spinosa sparsi gli uni e le altre con grande irregolarith, ma con una certa abbondanza, sia lungo gli impluvi (ove domina Alnus glutinosa) che sulle pendici ed anche sulle coste. Poichk la zona i: di popolaniento assai antico ed a tale popolamento si accompagni, l’utilizzazione dei ter- reni mediante il pascolo (come i: dimostrato dalla denominazione (( Casoni ))

che si riscontra in pili luoghi), t da ritenere che si tratti di riconquista del terreno da parte del bosco per diminuzione della pressione del be- stiaine pascolante. Quivi si riscontrano le specie erbacee prima indicate

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ed in piit, particolarmente, Helichrysuin italicum sui tratti di terreno de- tludato e Centaurea sp. pl. nel tappeto erboso; esiste anche una certa rinnovazione naturale di Larix decidua in mezzo a Calluna‘ ed Erica carnea, ma specialmente a ridosso dei Ginepri.

E in questa zona e precisamente sotto le Ripe di Fontanigorda, a quota 1000 circa,. che il materiale franante dovette trovare un ostacolo alla ulteriore discesa; fu, forse, una cresta secondaria dipartentesi da Le Ripe stesse, o l’occasionale confluire di grossi massi che, precipitati con la frana, poterono costituire un argine; sta di fatto che si formb una palude di piccola estensione, limitata a mezzodi dalla parte pih bassa del versante de Le Ripe, a settenttione dal fossatello che dalla localit3 prende il nome (Moggia d’u Chirlo) ed a ponente, cioi: verso il basso, dal punto d’arresto, poi nascosto anche a valle dal materiale distaccatosi dal tratto piit occi- dentale de Le Ripe stesse. A levante invece il terreno sale dolcemente ed ospita una delle zone rimboscliite a Pinus nigra di cui si i: detto prima, mentre gli altri margini sono occupati da ceppaie di Alnus glutinosa ed il tappeto erboso della conca i: ricco di giunchi, Eriophorum sp., Achillea sp., Scabiosa sp.

In questa piccola palude sono visibili tronchi di Abete affioranti in posizione varia ed inoltre cumuli allungati simili a lunghe toinbe e piccoli rilievi tondeggianti, che privati della cotica erbosa, hanno posto in luce altri tronchi della stessa specie, quasi affioranti in posizione pid o meno orizzontale od inclinata fino a quasi verticale; i: quindi da presumere che essa nasconda molto di tale materiale irregolarmente disposto. La misura di tre diametri ha dato i valori di m. 0,60, m. 0,75 e m. 0,80.

Second0 informazioni locali fino’a circa 10 anni fa, la superficie del terreno non denotava alcuna irregolarith, per cui sembra potersi affer- mare che essa si i: abbassata in questo ultimo period0 di almeno 50 cen- timetri, forse per assestamento dovuto a maggior sgrondo dell’acqua: +i certo che meptre il legno si altera con una certa rapiditl quando si trova esposto all‘aria, non si notano accumuli di terriccio che possano essere attribuiti a decomposizione di tronchi.

Subito a valle dell’argine che, come detto, delitnita la palude, co- mincia il Castagno che aumenta gradatamente di importanza fino a dare il castagneto del Bosco delle Fate.

3 - Abitato di Rovegno. Sorge sulla pendice in destra del Trebbia a quota 580 e si snoda

lungo la strada provinciale. Immediatamente a mezzodi dell’abitato scorre il Fosso Rol6 che con breve percorso da levante a ponente si getta nel Trebbia a mezzodi dell’abitato di Isola. Poco a monte della provin-

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ciale il fosso in questione 6 intersecato, perpendicolarmente a1 suo corso, da una carrareccia che volgendo a ponente dopo pochi metri di direzione a settentrione, individua un appezzamento di terreno di forma approssi- mativamente trapezoidale: le due basi del trapezio sono rappresentate rispettivamente, la minore dal tratto di carrareccia che si svolge in dire- zione mezzodi settentrione e la maggiore da una specie di argine natu- rale che individua nettamente la fine di una giacitura e l’inizio di un’altra. Nel tratto compreso fra il predetto argine e la strada si 6 rinvenuto, in occasione di sondaggi vari, uno strato di terreno contenente brecciolina minuta e sotto a questo uno strato di argilla minuta rimaneggiata, con- tenente pezzi di piante di Abete. La conformazione del terreno fa pen- sare ad una frana, della quale l’argine di cui si I: detto in principio costi- tuiva il mammellone terminale, 0, se si vuole, l’ultima espansione verso valle e I’argilla’ rimaneggiata il riempimento (causato dal trasporto idrico) della depressione, specie di laghetto, formatasi a monte del mammellone stesso. Le piante di Abete furono quindi, evidentemente, travolte dalla frana e parte di esse rimasero sporgenti alla superficie e furono poi del tutto seppellite successivamente.

Lo stato di conservazione del legno, almeno per le parti reperite, 6 piuttosto cattivo che mediocre, ma permette tuttora di riconoscere nella disposizione dei cerchi Iegnosi una notevole regolarith di accrescimento; non mancano pezzi di corteccia conservati abbastanza bene e perfetta- mente riconoscibili.

Attualmente la zona i: occupata da colture agrarie a base di foraggi, Grano, Patate, Granturco e, in misura limitata, ortaggi (principalmente Fagioli) con fruttiferi vari (Pero, Melo, Noce, Ciliegio); qua e l i si trova qualche coltivazione minima di Dalie e l‘anno scorso si rintraccib anche un ciuffo di Datura Stramonium. Lungo il fosso Rolb si trovano Populus nigra, A h u s glutinosa, Robinia Pseudo-Acacia (impiantata) ; nelle zone circostanti vegetano selve di Castagno e cedui di Castagno e Nocciolo; nella parte piii alta del fosso si riscontra uti boschetto di Pinus nigra impiantato artificialmente: in prossimiti dell’abitato due Cipressi impian- tati da alcuni anni, vivono senza troppo soffrire il freddo invernale.

4 - Colonia d i Rovegno in comune di Rovegno. Lungo la strada Rovegno - Colonia di Rovegno, a quota 900 circar

furono, in passato, aperte due cave, poi abbandonate, di cui una a po- nente della strada stessa, per l’estrazione di terra refrattaria e l’altra a levante per l’estrazione di torba; mentre la prima dette un materiale me- diocre e fu ben presto abbandonata, la seconda fu sfruttata per un certo tempo e poi abbandonata per ragioni economiche,

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Durante l’esercizio, i due scavi, che distavano I’uno dall’altro poche diecine di metri, misero in luce, a circa cinque metri di profonditj, alcuni tronchi a110 stato di fossili conservati; non t stato possibile rintracciare alcun pezzo di tali fossili, ne per ragioni contingenti, effettuare nuovi scavi per rintracciarne altri, per m i resta incerta la specie legnosa a cui essi appartennero ed il fatto viene riferito solo per completezza di tratta- zione. Dati peraltro i non lontani ritrovamenti di cui si t detto a1 n. 3 t verosimile che anche questi fossero di Abete.

E da tener presente che la zona ha l’aspetto di un antico lago da frana poi colmatosi per l’apporto solido provocato dalle acque scorrenti, mentre l’argine verso valle veniva inciso da un piccolo emissario; le de- pressioni degli scavi presentano infatti pareti costituite da scarpate di materiale‘ sottile evidentemente rimaneggiato e quindi deposto, senza tracce di stratificazione.

I1 terreno circostante t rivestito da una pineta di Pinus nigra del gruppo Laricio, derivante da impianto artificiale su terreno precedente- mente colonizzato da castagneto: di quest’ultimo si notano ancora qua e 13 le tracce rappresentate da esemplari vetusti ed ormai in cattive con- dizioni di vegetazione, liiiiitati quasi esclusivamente alle parti sopraele- vate, in contrast0 con le piante di pino di bella forrna e di sviluppo vigo- roso. Dove la pineta si dirada compaiono Corylus Avellana, Prunus spi- Rosa, Juniperus, communis (molto scarso), Rosa sp., Sarothamnus scopa- rius, Rubus fruticosus su strato erbaceo di Mirtillo (raro), Vinca minor, Anemone trifolia, Anemone nemorosa, Chrysanthemum Leucanthemum, Pte- ris aquilina, Polystichum Filix-Mas, Calluna vulgaris, Lotus corniculatus, Trifolium pratense, Melampyrum pratense. I1 fondo delle cave, ove l’acqua ristagna per periodi pia o meno lunghi, ospita piccole macchie di Atnus incana, Alnus glutinosa, Salix sp. pl., .Populus tremula, con Typha angu- stifolia, Juncus sp., Tussilago Farfara, Achillea Millefolium, Fragaria vesca.

Dei versanti circostanti quelli esposti a settentrione ospitano ca- stagneti, mentre passando ad esposizioni meridionali pih asciutte a1 pre- detto consorzio si sostituisce la cerreta.

5. - Monte Cantomoro in comune d i S. Stefano d’Aveto I1 versante settentrionale del M. Cantomoro nell’alto bacino del

Rio Gramizza ospita le sezioni VII ed V I I l della Foresta Demaniale M. Penna ed t caratterizzato da pareti rocciose a strapiombo (le cosid- dette (( Rocce di Cantomoro n) cui segue un versante a pendenza assai dolce popolato da ceduo di Faggio nel quale si riscontrato sparsi e non frequenti, Salix caprea,’ Pirus Aria, Pirus Aucuparia, Sambucus racemosa,

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Juniperus communis; lo strato erbaceo di tale consorzio comprende Vacci- nium Myrtillus, Rubus Iclaeus e feltro di graminacee e ciperacee non iden- tificate, includente individui e piccole colonie di Arabis a lpha , Doroni- cum cordatum, Viola odornta, Valeriana officinalis, Alcfiemilla vulgaris, Gentiana acaulis, Fragaria vesca, Convallaria majalis, Myosotis palustris, Tussilago Farfara (queste due in prossimith dell‘acqua), Felci.

A tale consorzio evidentemente spontaneo, si frammischiano Abies alba, Picea excelsa, Pseudotsuga Douglasii e Pinus nigra impiantati arti- ficialmente in epoca recente e recentissima.

Lo stato vegetativo di queste piante t generaltnente ottimo: t per6 da rilevare che l’anno scorso un numero notevole di piante di Pseudot- suga Douglasii che avevano gih raggiunto l’altezza di alcuni metri, seccb in breve tempo e non t stato possibile accertare finora le ragioni di tale mortalita, che gli abitanti del luogo pongono in relazione con la cir- costanza di nebbie particolarmente intense e durature, che, insolitamente, si sarebbero verificate proprio l’inverno precedente a1 fatto lamentato.

In tale zona a dolce pendenza si trovano due piccole superfici for- manti piccole conche pochissimo profonde ove l’acqua ristagna solo nei periodi piovosi e per un tempo non lungo: si tratta in maniera evidente della zona pianeggiante, od addirittura in contropendenza, formatasi su- bit0 a monte di mammelloni di frana ed t qui che sono stati, in passato, disseppelliti tronchi dichiarati con sicurezza di Abete, ma dei quali non si t potuto esaminare alcuna parte.

6. - Localitci Roncobarile in comune d i S. Stefano d’Aveto - fraz . Ambor- zasco. I1 versante settentrionale del M. Aiona ospita n e b parte pi6 alta

gli estesi rimboschimenti di Abies alba, Picea excelsa e Larix decidua della Foresta Demaniale (( M. Penna )) e subito a valle m a faggeta che fu uti- lizzata durante l’ultima guerra.

Second0 le notizie che si sono potute raccogliere, questo bosco era costituito solo da piante assai vecchie e da allievi molto giovani, questi dt imi in numero piuttosto scarso; all’atto del taglio le piante vecchie’ furono eliminate totalmente salvo su un piccolo costone (la quota 1376) .ove furono poi distrutte da un incendio verifidtosi nel luglio od agosto 1945. In definitiva, allo stato attuale la faggeta 6 molto rada e costituita da piante di scarso sviluppo e mediocrernente atte alla disseminazione che hanno dato luogo ad una rinnovazione insufficiente cui si mescolano vari Pirus Aria e Salix caprea: qua e Ih si trova Juniperus communis che, scendendo, diventa dominante e costituisce con Crataegus Oxyacantfia e Rosa sp. il rado soprassuolo dei pascoli cespugliosi che occupano la parte

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L’ABETE BIANCO NELL’APPENNINO GENOVESE 89 - media del versante. Lo strato erbaceeo t costituito da Vaccinium Myrtil- lust Vinca minor e Cytisus scoparius; i tratti sassosi piit esposti ospitano dense colonie di Rubus Idaeus e nella parte pitl bassa si inseriscono Calluna vulgaris, Erica carnea, Ononis spinosa, Helleborus foetidus.

I1 piccolo costone di cui si t detto prima, rimasto totalmente nudo in conseguenza del passaggio del fuoco, fu rimboschito artificialmente con Pinus nigra ed Abies alba e le colture dettero buoni risultati, nono- stante la completa mancanza di cure successive all’impianto; ai due lati il terreno ha una caratteristica formazione a terrazze alte alcuni metri, per cui le vallette che deliniitano la b’ase del costone stesso sono come sbarrate da argini di trovanti e terra che hanno determinato riempimenti del tipo torbiera le cui superfici libere sono generalmente nude ed al- quanto piii basse della linea di cresta degli argini che, per contro, ospitano una vegetazione forestale di una certa eta. Si t rilevato inoltre che l’acqua che ha determinato la formazione delle piccole torbiere, si t poi aperta un varco nei predetti argini e, asportando la terra lungo il suo percorso, ne ha mess0 in evidenza la struttura a massi disposti disordinatamente.

E appunto~in almeno due di queste piccole torbiere che furono trovati in epoca imprecisata tronchi di Abete utilizzati per travature: l’informazione t stata fornita da certo Ernest0 Lucian0 Focacci di Ambor- zasco deceduto nel 1954 all’et3 di 80 anni, dopo avere trascorso tutta la vita nella zona, prima in qualit5 di guardian0 della Foresta del Penna, poi di Guardia Forestale. E che i ritrovamenti siano stati piuttosto abbon- danti si pui, desumere per via indiretta dal fatto che le pili vecchie case della prossima frazione Amborzasco, sicuramente costruita prima che la zona fosse percorsa da strade, via via che vengono demolite mettono in luce strutture di tetti e di solai in legno di Abete; anche la casa del Fo- cacci predetto ha un trave di Abete ricavato da una pianta scavata nella zona di cui sopra si i: detto.

7. - Torrente Lovaria in comune d i S. Stefan0 d’Aveto - fraz . Alpicella. I1 torrente Lovaria costituisce una delle ultime diramazioni del tor-

rente Gramizza affluente in sinistra dell’Aveto. In localit3 Gera di Burrio posta a quota 924, a pochi metri dal punto in cui il piedetto Lovaria ri- ceve il Burrio, esiste una vecchia fornace di calce ora abbandonata ed in rovina. Nel 1939, appunto in occasione di lavori di esercizio della sud- detta fornace, fu trovata una pianta che, scavata in parte, dette un tronco lungo m. 1,50, del diametro di m. 0,40-0,50, in ottime condizioni, tanto che fu adoperato per farne tavole.

I1 cuneo fra i due torrenti zembra provenire dal modellamento su- perficiale di h a antica frana e si presenta qua e 12 sistemato a ripiani,

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sostenuti da muri a secco o da ciglioni erbosi, sui quali vienc esercitata una mediocre coltura agraria; per il resto &. occupato,,come la zona cir- costante, da boschi cedui piii o meno matricinati di Faggio con poco Castagno e Cerro. I1 Castagno ed il Cerro sono limitati alla parte pitl bassa e di essi il primo si trova quasi solamente sui ripiani ed 6 rappre- sentato prevalentemente da piante molto vecchie che rinnovano stentata- mente il bosco, mentre il Cerro vegeta rigoglioso anche in terreni meno fertili e piii asciutti e si .riproduce vigorosamente. Non pud da questo dedursi con sicurezza che il castagneto sia di origine totalmente artifi- ciale; potrebbe darsi che esso fosse stato solo rimaneggiafo rnolti anni or sono mediante sistemazione del terreno ed allontanamento d i tutte le piante di specie diversa’e che ora mancando la ragione economica che determind tale azione e con l’aggravante della raccolta del frutto e dell’erba, del pascolo e dell’abbruciamento dello strame (azioni tutte atte ad osta- colare la rinnovazione naturale del bosco) si tenda a tornare alla situa- zione primitiva probabilmente rappresentata dal bosco misto; non pub peraltro neppure escludersi che sia in corso una Vera e propria evolu- zione del castagneto verso la cerreta. Conforterebbe in certa misura tale tesi l’osservazione che ripiani abbandonati dalla coltura ospitano una ab- bondante rinnovazione di Cerro di eta scalare, rnentre il novellame di Castagno vi 1: oltremodo scarso, quando non manca del tutto.

Le radure sono poi colonizzate da Quercx cerris (scarso), Fraxinus Omus, Acer campestre, Cornus sanguinea, Juniperus communis, Cratae- gus Oxyacantha, RGsa sp., Prunus spinosa, Corylus Avetfana, Sarnbucus nigra, Clematis Vitalba, su strato di Scabiosa Columbaria, Eupatorium cannabinum, Digitalis lutea, Taraxacum offcinale, Geranium nodosum,.

Lungo il torrente vegeta in abbondanza Sa,lix sp. e Alnus incana fra le piante legnose, Tussdago Farfara fra le erbacee.

Discendendo il corso del Lovaria, in Iocalita Roncagne posta a quota 850 circa di fronte all’abitato di Alpicella, dalla sponda sinistra del torrente sporge un tronco di Abete che alternativamente resta esposto all‘aria e viene seppellito dal rnateriale convogliato dalle acque. I1 detto versante in sinistra 6 costituito da roccia in posto rivestita da uno strato di terra di spessore variabile: deve essere stato questo strato che franando in epoca molto lontana deve avere ostruito l’alveo travolgendo e seppel- lendo la pianta in questione; la asportazione della terra ha poi riportato in luce l’ultimo vestigio di un antico popolamento vegetale. Non & perb neppure da escludere che il tronco in questione derivi da zone pili a monte e che trasportato dalle acque durante un parossismo, si sia fer- mato nel luogo in cui attualmente si trova ed ivi sia stato ricoperto da una frana locale di importanza relativamente piccola.

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Questa pianta k in pessime.condizioni col legno in stato di avanzata decomposizione; il suo diametro, che non ha potuto essere rnisurato con esattezza, viene valutato in 60 centimetri nel punto in cui il tronco emerge dal terreno, punto deI quale non si & potuto determinare la distanza del calcio.

La pendice in sinistra del torrente k colonizzata da ceduo rado di Faggio nelle cui radure vegetano le stesse specie segnalate prima, mentre la pendice in destra ospita prevalentemente colture a base di. Patata, Grano, Granturco, Avena, legurninose da foraggio (Medica e Trifoglio) ; sui muri di sostegno dei ripiani si notano Chefidonium majus ed Asplenium Trichomanes; fra le piante legnose da frutto Prunus avium e Junglam regia; lungo le strade e qua e 1i anche sui terreni a coltura, si trovano Ulmus campestris e, pili o meno, le stesse piante del versante in sinistra con la digerema che il Faggio k raro mentre i: frequente il Cerro sia ad alto fusto che a ceppaia; k pure presente Sanibucus Ebulus.

Second0 notizie raccolte ad Alpicella (paese tuttora privo di strada rotabile), durante la demolizione di un vecchio muro centrale della casa di certo Francesco Mazza i: stato rinvenuto nella muratura un tronco di Abete, evidenternente in funzione di chiave, in cattive condizioni di conservazione. Non si k potuto accertare quando la casa sia stata cos- struita, ma essa aveva fama di essere una delle pi^ antiche deila frazione.

8. - Abitato d i S . Stejano d’Aveto. 8E posto alla confluenza del Fossato Grosso che lo lambisce a set-

tentrione con altro fosso senza nome che penetra nell’abitato dalla parte di rnezzodi ed k dominato dai ruderi di un castello, eretto, pare, fra il 1200 ed il 1250 dai Marchesi Malaspina. I1 paese, posto a quota 1012, ebbe il primo Parroco nel 1315 per cui probabilmente preesisteva a1 castello e si sviluppb poi in relazione alla presenza di questo. Data la pesantezza di tale ultima costruzione, k verosimile che il terreno sul quale essa sorge dovesse presentare tutta l’apparenza della stabilita e d’altra parte Ie lesioni che attualmente si riscontrano nelle sue murature, sono relativamente esigue, in proporzione dell’eti se paragonate con quelle che si riscontrano nella rnaggior parte dei fabbricati di S. Stefano. E da ritenere quindi che il terreno su cui l’abitato sorge sia pressochk stabiliz- zato e che i piccoli movimenti cui conseguono le lesioni lamentate di- pendano da assestamento secondario provocato dal peso dei fabbricati, specialmente verso le sponde dei fossi ovc l‘aerosione lineare dell’acqua riaccende continuarnente, .sebbene su scala ridotta, il fenomeno.

La zona k occupata da colture agrarie a base di Grano, Patate e fo- raggi (Medica, Trifoglio, Lupinella, Ginestrino) ; Segale e Granturco

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sono presenti in misura ridotta; gli ortaggi vengono coltivati su scala minima. Lungo i fossi si riscontra un consorzio a base di Alnus incana, A h u s glutinosa, Populus. Nei boschi circostanti sono molto d i h i Quercus Cerris, Alnus incana, Alnus glutinosa, Carpinus Betulus, Ostrya carpini- folia (in quantith ridotta), Corylus Avellana, Castanea sativa, Fraxinur Ornus, Cytisus Laburnum.

Impiantati (specie lungo le strade) si riscontrano Picea excelsa, Celtis australis, Tilia, Aesculus Hippocastanurn, Platanus, Robinia Pseudo-Acacia; quest’ultima, molto diffusa anche dai proprietari privati, tende a sfug- gire alla coltura e si diffonde nei boschi fino a circa m. 1100 di quota.

In questa zona gli scavi, sia per fondazione di costruzioni che per sbancamento a qualunque fine, pongono in luce piante di Abete in posi- zioni diverse, per lo piG coricate, talora addirittura capovolte, general- mente ben conservate, con i’apparato radicale ed aereo ancora in buono stato, giacenti a profonditi quasi sempre compresa fra i 3 ed i G metri. Nella trattoria (( Leon d’Oro )) gestita dal Sig. Giuseppe Rocco Monte- verde si t avuto mod0 di osservare una tavola per mensa di arredamento dell’esercito pubblico, la cui parte centrale k costituita da un asse di Abete bianco lungo m. 3,16, largo alle due estremita rispettivamente m. 0,465 e m. 0,485, proveniente da un tronco portato alla luce nel 1931; quest’asse ha una resistenza all‘incisione sensibilmente eguale a quella del legname di abete bianco del commercio e presenta nodi fissi non nu- merosi e colore un PO’ pib scuro del legno stagionato; la disposizione delle venature permette di affermare che esso t stato ricavato da una sezione pib o meno tangenziale.

9. - Localitd Roncolungo in comune d i S. Stefano d’Aveto. Si trova a quota 1150 ed t situata in quello stesso Fossato Grosso

di cui si t detto pariando della Stazione di S., Stefano d’Aveto. Tale fossato, detto localmente Rio Freddo, scorre in mezzo a terreni sistemati grossolanamente a terrazze per l‘esercizio della coltura agraria, ricchi di trovanti di dimensioni varie, ma sempre piuttosto notevoli che affiorano o sporgono pih o meno dalla superficie del terreno stesso. Lungo il corso d‘acqua vegetano Salix sp. pl. ed Ahus incana sia a ceppaia che a pieno vento; qua e la sulle ripe esistono piccolissime superfici incolte sulle quali si k insediata Rosa sp., Rhamnus Frangula Crataegus Oxyacantha. Le colture sono,a base di Patate, Grano e prato di Medica e Trifoglio; le piante arboree sono scarse e si riducono a rari esempfari di Ciliegio e Melo, quest’ultimo spesso derivante da innesto su Biancospino.

In questo ambiente, circa 35 anni or sono, affiorB un tronco di Abete dall’alveo del Rio; esso fu ricuperato ed il silo legname fu destinatoad

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llsi vari: fra l’altro servi alla costruzione di panche che si possono vedere ancora nelle abitazioni della frazione Roncolungo.

Un second0 tronco pure di Abete, sporgente dalla sponda sinistra dell0 stesso Rio Freddo, 2 stato recentemente ricoperto di materiale per la costruzione di un ripiano da destinare alla coltura.

10. - Alto versante settentrionale della catena Monte degli Abeti - Monte Aiona in comune di Rezzoaglio. La displuviale M. B o d e - M. degli Abeti - M. Aiona corrisponde

all3 displuviale appenninica e segna, quindi, la linea divisoria fra ilver- sante marittimo e quello padano.

L’alto versante settentrionale della catena reca ancora manifeste le tracce delle vicende relativamente recenti collegate sia a. fenomeni fluvio- glaciali, sia a franamenti di vasta portata. D i particolare interesse ai fini della presente nota t il gruppo di laghi Agoraie (a quota 1328) e degli Abeti (a quota 1267) che occupano piccole fosse, il lago di pendio delle Lame (a quota 1043), infine la zona torbosa a valle di quest’ultimo.

La parte pid alta del versante t colonizzata da una faggeta cedua, che presenta radure di varia estensione, in parte rimboschite artificial- mente mediante piantagione di Pinus nigra (il cui legname, peraltro, & assai fragile), Pinus silvestris, Abies alba, Picea excelsa.

A Fagus silvatica si mescola talora Pirus Aria (in alcune parti in quantita notevole) e Pirus Aucuparia; sullo strato erbaceo si notano Vaccinium Myrtillus (molto abbondante), Erica carnea, Chrysanthemum Leucanthemum, Luzula nivea, Potentilla sp., Fragaria vesca, Rubus Idaeus, Geranium nodosum, Saxijraga rotundijolia; sulle rocce vegetano Polypo- dium vulgare ed Adiantum Capillus- Veneris; nelle parti rocciose o co- munque pid asciutte e pih intensamente soleggiate vegetano Calluna vulgaris, Epilobium hirsutum; sui margini del bosco verso. le stradelle si ritrova infine abbondante Galium Cruciata e Cytisus scoparius.

Scendendo, alle specie impiantate si aggiunge Pinus Strobus; nel sottobosco si inserisce Juniperus cornmunis, Rosa sp., Alnus incana, Salix sp. pl., Sambucus EbuIus; nel tappet0 erboso compaiono Centaurea mon- t a m , Eupatorium cannabinum, Pteris aqsilina, Asplenium Adiantum ni- grum, Asplenium Trichornanes, Polystichum Filix-mas; nelle parti aride si riscontra ancora Epilobium hirsutum; Erica carnea e Calluna vulgaris discendono entrambe, la prima nelle stazioni fresche, la seconda in quelle pid asciutte,

A1 centro di questa zona boschiva si trova il lago degli Abeti profondo circa 7-8 metri le cui acque in gran parte libere da vegetazione lasciano scorgere sul fondo tronchi assai lunghi disposti in diverse direzioni e

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tutti privi di rami; le sue acque assai fredde ospitano,' a quanto risulta, solo due trote: Trota Fario indigena e Trota Iridea introdotta 4-5 anni or sono. Si trovano inoltre i laghi delle Agoraie costituiti pih che altro da lame d'acqua la cui profondita massima raggiunge il paio di metri e che ospitano estese e dense colonie di Typha angustifolia; la quota del pelo libero di questo gruppo di laghetti (veri e propri acquitrini) t un PO' aumentata da quando, dopo la fine dell'ultima guerra, ne t stato rialzato lo sbocco con I'idea di provocarvi lo'sviluppo di una abbondante fauna acquatica che peraltro attualmente risulta composta dalle due Trote citate per il lago degli Abeti e da Tinca, oltre che da anfibi (rane). Alcuni anni or sono vi fu effettuata una semina di Carpa, pare con risultati assai discutibili.

Anche il gruppo dei laghi delle Agoraie ospita tronchi di Abete che per6 anzicht semplicemente immersi, sono sepolti a profondita nella melma, fino a livello del fondo: alcuni di tali tronchi furono estratti nel 1940 da certi Signori Ccsare e Giovanni Fontana fu Francesco da Cerisola e trovati in ottimo stato di conservazione.

A1 limite inferiore del bosco si trova, infine, il lago delle Lame in parte morenico (t da tener presente che il glaciale del M. delle Lame - M. degli Abeti 6 sicuro) in quanto non di circo, ma di pendio, essendo sbarrato da una caratteristica morena, ma esarato in serpentina. Questo laghetto t piuttosto profondo ed in passato gli fu aperto artificialmente un piccolo emissario per derivarne acqua per irrigazione: per esso.non si t potuta raccogliere alcuna sicura testimonianza circa la presenza di tronchi: quella dell'1ssaL riferendosi ad uno dei laghetti delle Lame k considerata troppo generica. A valle, si trova una zona torbosa (le Moro- sasche) tenuta a prato naturale, in cui vegeta C d t h palustris e ricca di tronchi di Abete variamente disposti; uno di essi pressochk orizzontale e, in parte, affiorante, t stato riportato in luce mediante lavori di scavo e si t rivelato lungo 16 metri: all'estremith, alla quale appariva spezzato, i I suo diametro misurava 40 centimetri; alla inferiore raggiungeva i 70. La parte di tronco verso la superficie presentava inizio di decomposi- zione mentre la parte opposta conservava lembi di corteccia; all'interno il legname si presentava in ottime condizioni di conservazione.

Sotto questo tronco se ne 6. trovato un second0 pure di Abete, pe- raltro in posizione quasi verticale, il cui diametro, nel punto di affiora- mento dalle pareti del cavo, misurava centimetri 42; altri tre tronchi in posizione orizzontale, ma presso a poco perpendicolari a1 primo, uno di Abete, uno di Faggio ed uno di Ciliegio sono affiorati pure durante lo scavo. Di almeno un altro tronco si sa con certezza che t stato recente- mente estratto ed asportato. E da presumere quindi che tutta la torbiera

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sia ricchissima di fusti delle piante che in altri tempi vegetavano sulle al- ture circostanti. Nella torba sono inoltre perfettamente riconoscibili semi di Abete e particolare interessante t che rnolti di tali semi presentano il tegument0 in perfette condizioni di conservazione.

Sullo stesso versante, nei pressi della frazione Magnasco e precisa- mente sopra a1 Molino, furono trovati altri tronchi di Abete in perfetto stato di conservazione. Tale ritrovarnento, giusta dichiarazione di certo Giovanni Biggini fu Luigi da Magnasco, awenne fra il 1922 ed il 1925 in occasione dell’apertura della strada provinciale, alla profondit3 di circa due rnetri. I1 luogo considerato t ubicato a quota 820-830 circa, molto pili in basso ciot delle localit3 prima considerate.

11. - Abitato d i Vicosoprano in comune d i Rezzoaglio. In occasione degli scavi compiuti per la costruzione dell’acquedotto

frazionale, a quota 1100 circa, venne in luce un tronco di Abete di grosse dimensioni una parte del quale fu conservato per alcuni anni nell’archivio parrocchiale.

La zona t attualmente occupata da terreni sistemati a terrazze so- stenute da ciglioni o da rnuretti a secco e adibiti a coltura agraria per la produzione prevalentemente di cereali (Grano, Granturco e poca Se- gale ed Orzo) foraggio (prati naturali e prati pascoli) Patate e Fagioli. Lungo gli scoli ed i corsi d’acqua sono frequenti le piante di Pioppo nero; a valle dell’abitato si riscontrano Quercus Cerris, Ostrya carpinifolia, Corylus Avellana, A h u s incana; in un piccolo appezzarnento ove scola la fontana del paese sono presenti anche Fraxinus excelsior, Fraxinus Ornus, Salix sp. pl., Robinia Pseudo-Acacia, Sambucus nigra, su strato erbaceo di Petasites officinalis, Tussilago Farfara, Geranium nodosum, Chrysanthemum Leucanthemum, Dipsacus fullonum e sui rnuri a secco che sostengono la strada Chelidonium majus e Anagallis arvensis; pili in basso comincia Castagno ed Ostrya carpinifolia. Gli alti versanti ospitano cedui di Faggio pih o meno matricinati; Juniperus cornmunis e Cytisus Laburnum sono sparsi un PO’ dovunque.

12. - Localitci (( L e Moglie )) e (( Sorgente del Pozzo )) di Esola in comune di Rezzoaglio. Nell’alto bacino dell’Aveto le sorgenti del Rio di Molineggi sono

alimentate dalle acque che sgorgano da due torbiere poste sul versante sud-orientale della displuviale Groppo Lamette-Groppo Seghire fra quote 1050 e 1120. Entrambe si presentano come piccole conche occu- pate da prato naturale la cui cotica i: assai ricca di Antennaria dioica e

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Plantago media: di esse la piii elevata denominata (( Moglie )) t posta pro- prio sotto il Groppo SeghCre a quota 1120-1150 e presenta a1 margine meridionale una incisione, specie di piccolo taglio, dal quale spuntano due grossi tronchi di Abete, uno dei quali pressocht verticale ma capo- volto e I’altro quasi orizzontale. I1 legno di questi tronchi i: in stato di mediocre decomposizione nella parte piii francarnente esposta all’aria, mentre, subito sotto, t in condizioni di conservazione ancora buone e resistente alla scure; i diametri misurati sono di m. 0,60 per la pianta capovolta e di m. 0,45 per quella orizzontale, ma tali misure hanno scarso significato in quanto non t stato possibile appurare con sufficiente appros- simazione la distanza delle sezioni misurate dal colletto.

Dalla sezione del terreno, quale si manifesta in corrispondenza del taglio predetto, si rileva l’esistenza di uno strato di terriccio, terreno ve- getale e sfatticcio di spessore veriabile da cm. 35-40 e cm. 120-130, limi- tat0 da un altro strato di potenza imprecisata costituito da una argilla bianca o leggermente verdolina fortemente plastica e ricca di frammenti minerali di grossezza fino a centimetri 0,l. 11 tronco verticale si presenta confitto in tale strato argilloso. Nello strato soprastante si notano numerosi rami e tracce di rami, alcuni ancora con la corteccia, altri profondamente alterati.

Da informazioni raccolte sul posto i: risultato che molti tronchi della stessa natura furono asportati in passato: circa 50 anni fa, certo Mario De Negri di Esola ne prelevb un numero imprecisato e ridottili in tavole li utilizzi, per costruire alcuni tramezzi nella propria abitazione. Ancora 50-60 anni or sono, certo Giuseppe Coari usava correntemente questo legname per fare zoccoli (testimonianza di Attilio Coari figlio del pre- detto Giuseppe).

La torbiera piii bassa (m. 1100 circa) t attraversata da un fossatello detto Crosa del Pozzo che trae origine dalla sorgente omonima e che co- stituisce una delle ultime diramazioni del Rio di Molineggi; questo mi- nuscolo corso d’acqua, col tempo, ha scavato il proprio letto incidendo la torbiera stessa per profonditi variabili fino ad oltre un metro e su una sponda ha, prima mess0 in luce, poi ricoperto con materiale alluvionale, un altro tronco di Abete. Qui, peraltro, almeno in epoca recente, non sono stati effettuati ritrovamenti od almeno non se ne sono verificati di abba- stanza importanti per esserne conservata la memoria. Riferisce infatti certo Francesco Sbertoli nato nel 1922, che fino intorno a1 1935-1938 egli stesso us6 tagliare la torba in questa zona e portarla a casa ove veniva usata per il fuoco, ma di non aver mai trovato tronchi sepolti di alcuna specie.

Tutta la zona t attualmente occupata da boschi cedui misti preva- lentemente di Fagus silvatica e Quercus Cerris e in minor misura- Castanea

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sativa. Fagus silvatica scende a quota 700 circa spingendosi nel casta- gneto e, pid scarsamente, nella cerreta; per contro Quercus Cerris oltre ad invadere il castagneto, colonizza rapidamente le radure della faggeta, specie quelle rocciose ed i margini delle strade, comprese le piccole scar- pate costituite da sfatticcio e prive di terreno vegetale, sulle quali resiste bene a1 tormento che gli deriva dal passaggio delle persone e degli animali.

Partendo da questi centri tale specie tende ad invadere anche la fag- geta cedua per cui si assiste in definitiva a1 formarsi di un nuovo equi- librio in cui Quercus Cerris avri una parte importantissima a cui presu- mibilmente conseguira, con una generale ritirata di Castanea sativa, la trasformazione del castagneto in cerreta od almeno in bosco misto. 2 anche presumibile che tale trasformazione awenga rapidamente: ap- pezzamehti che fino a 15-20 anni or sono erano sicuramente castagneti puri, in seguito a1 taglio delle vecchie piante per us0 dell’industria del tannin0 o per altra ragione, si presentano attualmente occupati da gio- vani cerrete pressocht monofitiche.

I motivi che determinano il fenomeno segnalato che i: di carattere generale in quanto si verifica su area vastissima e non nella sola zona considerata, possono essere facilmente intuiti se si ammetta, come si pub ammettere, il decadere di un interesse antropico, precedentemente assai forte, alla coltura del Castagno; se si ammetta ciot l’origine antro- pica e la conservazione colturale dei castagneti manofitici che coloniz- zavano la zona.

Si osserva infatti che, da qualche tempo, a1 taglio delle piante vec- chie ed ormai infruttifere, non segue il reimpianto di individui giovani 0, se esso segue, questi non ricevono le cure loro necessarie per superare il period0 critic0 conseguente a1 collocamento a dimora stabile, mentre d’altra parte la raccolta del frutto, che ancora, nonostante tutto, viene praticata, impedisce il sorgere del novellame; si deve aggiungere,. poi- chk un certo numero di semi non pub non sfuggire a tale raccolta, che, appena nate, le piantine di Castanea sativa sono, pili di quelle di Quercus Cerris danneggiate dal morso e dal calpestio degli animali; non va infine trascurata la maggiore rusticiti di Quercus Cerris nei confronti di Castanea sativa; il primo si trova infatti abitualmente localizzato sulle pendici assolate e pili povere, sul cui rovescio, normalmente, vegeta il secondo. La diffusione di Fagus silvatica trae, anch’essa, origine dal diminuito interesse antropico per il castagneto e pub essere spiegata con la dispo- nibilita sul terreno .di un numero di semi incomparabilmente pid ele- vat0 che non per Castanea, per cui il novellame della prima specie avrebbe possibiliti di soprawivenza e di definitiva affermazione assai superiori a quello della seconda.

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I1 contrast0 Quercus Cerris - Fagus silvatica I: infine condizionato da fattori locali quali freschezza e fertilit2 del terreno: si k infatti osser- vato in precedenza che la diffusione di Quercus Cerris nella faggeta muove dalle radure dovute spesso a presenza di roccia affiorante e comunque sempre invase dal cespugliame.

Alle specie in questione si frammischiano Fraxinus Ornus special- mente sui terreni poveri, Cornus sanguinea e Corylus Avellana; que- st’ultimo cresce di importanza via via che si sale; lungo gli scoli ed in genere dove ristagna l’umidith, vegeta abbondantissimo Alnus incana e colonie di Spiraea Ulmaria, Tussilago Farfara e Petasites officinalis. Non mancano poi, ove affluisce maggior copia di luce, Juniperus commu- nis, Juniperus Oxycedrus, Rosa sp., Crataegus Oxyacantha, Prunus spinosa, Rubus fruticosus, Clematis Vitalba, Sarothamnus scoparius, Helichrysum italicum, mentre all’ornbra, sia delle piante legnose che delle arbustive, vegetano Genista germanica, diffusissima, sia nel castagneto, che nella cerreta e nella faggeta, come nel cespugliame e talora anche presente in pieno sole, Digitalis lutea a1 margine delle strade, Hypericum perfora- tum, Helleborus foetidus, Pteris aquilina, Polystichum Filix-mas, Asple- nium Trichomanes particolarmente sulle rocce, Geranium nodosum, Fra- garia vesca, Luzula nivea e Lotus corniculatus. Nei prati naturali che qua e 12 interrompono la continuit2 del bosco abbondano Plantago media e Carlina acaulis. Hedera Helix si riscontra principalmente strisciante sul terreno e, meno di frequente, su rocce; solo eccezionalmente arrampi- cantesi su tronchi. Nella parte pih alta esistono esemplari di Salix ca- prea, Sambucus racemosa, Pirus communis, Pirus Malus, Prunus Aviuni su strato erbaceo di Erica carnea, Calluna vulgaris e piccole colonie di Urtica dioica e Vaccinium Myrtillus. Altre piccole colonie di tale ultima specie si ritrovano nel prato delle Moglie. Calluna vulgaris e Vacci- nium Myrtillus sono infine piuttosto abbondanti sul versante in sinistra del Rio di Esola ove si spingono in basso a costituire, unitamente a Pteris aquilina, Genista germanica, Luzula nivea, Chrysanthemum Leucanthemum, Achillea Millefolium lo strato erbaceo delle selve, anche di quelle in corso di invasione da parte di Quercus Cerris e Fagus silvatica. In questa zona sulle scarpate delle strade compare Plantago serpentina. I1 primo tratto della strada che da Esola sale a Le Moglie attraversando terreni a coltura, dai quali k separata da muri a secco, ospita sui margini vigorose colonie di Sambucus Ebulus.

13. - Rio del Salto in comune d i Rezzoaglio. Fra gli affluenti in sinistra del torrente Aveto, uno dei primi i: il

Rio del Salto che trae origine dalla pendice sud occidentale del M. La-

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ghicciolo e svolge il suo corso su formazioni di scisti galestrini con stra- terelli di calcare palombino e di arenaria. Nel primo tratto il suo alveo & piuttosto incassato, ma si allarga poi in corrispondenza dell'abitato di Salto ed t ovunque tappezzato da grosse pietre. L'esame delle sponde permette di affermare con sicurezza che esse sono quasi ovunque costi- tuite da rocce in posto: il materiale proveniente dalle grandi frane post- glaciali t, ciok, ormai eliminato in gran parte, ma ci6 non toglie che qua e 1h ve ne siano ancora accumuli di una certa importanza in corrispon- denza dei quali si lianno tuttora piccoli movimenti.

Uno di tali accumuli si trova in localit2 Piano degli Avei a quota 960 circa ed & precisamente in tale localith che si sono rintracciati due grossi tronchi risultati di Abete. I1 primo di essi & un troncone del dia- metro di circa m. 0,55 che sporge per 2 metri dalla sponda in destra, in. 1,50 sopra il fondo dell'alveo; il secondo, pochi metri a valle del pre- cedente, i: costituito da un troncone sporgente dalla sponda in sinistra per circa m. 2,50, con diametro di m. 1,20, pressochk a h e l l o dell'alveo attuale, nel quale costituisce come una traversa di modesta altezza.

Gli abitanti di Salto affermano di aver sempre visto questi due tronchi il che significa che essi si trovano nella posizione attuale almeno da diversi decenni; in effetti il lor0 legno, pur presentando ancora ben chiari i cerchi annuali di un be1 colore marrone, comincia a non essere pili molto consistente.

La zona in cui si trova la localith in esame k occupata da cedui di Faggio che nella parte piir bassa dei versanti, lungo ciot i corsi d'acqua, sono sostituiti da consorzi di Alnus incana. Mescolati a1 Faggio si riscon- trano esemplari di Corylus Avellana; negli spazi vuoti sono presenti Juniperus communis, Crataegus Oxyacantha, Rosa sp., Sarothamnus sco- parius, Rubus fruticosus, Pteris aquilina. L'alveo del torrente ospita co- lonie di Tussilago Farfara e, ove si allarga, anche numerosi esemplari di Helleborus foetidus ed Helichrysum italicum, che per6 non fornia vere e proprie colonie, il primo dei quali risale anche le sponde infiltrandosi all'ombra del Faggio; sulle sponde si riscontra un denso feltro di grami- nacee punteggiato da Carex sp., Bellis perennis, Viola odorata, Anemone trifolia, Ranunculus acer.

Circa 20-30 anni'fa si verifici, sul medio versante in destra, a valle del tratto in cui si sono riscontrati i due tronchi di Abete, una frana di una certa entith, in conseguenza della quale varie piante di Faggio fini- rono nel Rio; tali piante sono scaglionate lungo il Rio stesso e sono, an- Cora oggi, perfettamente riconoscibili.

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B) ALTA VALLE DELLO SCRIVIA.

L’alta valle dello Scrivia non conserva, come quella del Trebbia, palesi tracce di molteplici ed importanti fenomeni franosi collegati a1 period0 della erosione fluvio-glaciale, salvo nei dintorni di Torriglia ed in qualche tratto della Valbrevenna. E quindi naturale che i reperti siano molto limitati pure essendo di importanza non minore dei precedenti.

Si deve rilevare che nonostante accuratissime ricerche non si t potuto raccogliere alcuna notizia di ritrovamenti nella zona di Busalla che pure t citata dal CHIAPPORI ed anche (( intorno all’Antola )) ove gli alberi di antiche foreste sarebbero, sempre second0 il CHrAPPoRr, (( se- polti a profusione 1) non si k trovata alcuna traccia all’infuori di quella in localitA Moglie di Caffarena nella valle del Brugneto, di cui si k detto a1 numero 1.

14. - Abitato di Torriglia e dintorni. E questa la stazione dei cui ritrovamenti, a quanto risulta, k stato

riferito con maggior esattezza di indicazioni topografiche e ricchezza di particolari da pili vecchia data. Di essa infatti scrisseparticolarmente il CHIAPPORI (CHIAPPORI 1875) indicando la presenza di tronchi sepolti in Laccetto, nelle Smoglie, in Costadonica, nel Rio di Preli, a1 Prato infe- riore e genericamente da Torriglia a Gaietta e quindi fino a S. Olcese; per I’abitato di Torriglia veniva indicata particolarmente (( una prateria che rasenta la nuova Via Nazionale, rimpetto alla Stazione dei Cara- binieri Reali )) ove fu riscontrata la presenza di fossili conservati di Corylus Avellana, Fagus silvatica, Abies alba, Taxus baccata oltre ad altri dei generi Quercus, Crataegus, Fraxinus, Ostrya.

Si i? ritenuto cib nonostante di riprendere in esame anche questa per quelle pili precise testimonianze che si sarebbero potute raccogliere. Sono stati cosi accertati ritrovamenti di tronchi di Abete in occasione dello scavo delle fondazioni dell’attuale Municipio e di quelle della casa di certo Dott. Costa, posta di fianco alla Chiesa: questi ultimi erano anzi in cosi buono stato che furono usati dallo stesso Dott. Costa per costruire i serramenti della erigenda costruzione.

I n localiti Fornace, ove esisteva una piccola e rudimentale fabbrica di mattoni e tegole, durante gli scavi compiuti per l’approwigionamento del materiale necessario all’irnpasto, vennero in luce, in pili riprese, di- versi tronchi ritenuti di Pino dagli abitanti del luogo e dei quali non si k potuto avere alcun campione.

In localiti Moglie t stato assicurato esistere tronchi sepolti nella proprieth di certo Signor Pasquale Asciutto, ascrivibili alle specie Quercus

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e Corylus. Alcuni saggi condotti fino alla profonditi di m. 0,SO hanno dato risultato negativo nk si i: avuta, per ragioni contingenti, la possibi- lit3 di eseguirne altri o di spingersi a profondit3 superiore in quelli ese- guiti: si ammette quindi per Vera l’asserzione dell’esistenza delle piante, senza pronunziarsi peraltro sull’esattezza della assegnazione alle due specie sopraddette.

A1 Prato inferiore, nel fondo di proprieth del Signor Raffaele Pasquale Brassesco, sono stati rinvenuti in epoche diverse tronchi di Abete. I1 primo sul quale si sono raccolte notizie precise, venne in luce nel 1908 in occasione della riduzione del terreno a terrazze ed aveva un diametro a1 piede di cm. 180: a m. 20 dal calcio, punto in cui esso era spezzato, il suo diametro era ancora di centimetri 60. L’ottimo stato di conserva- zione cdnsenti di ridurlo in tavoloni e tavole adoperati gli uni e le altre per la costruzione dei serramenti della casa del Signor Eugenio Dondero posta nella frazione Casaleggio e di suppellettili varie da cucina fra le quali una cassa da farina tuttora esistente.

I pezzi che si sono avuti in visione, costituiti da tavolette dello spes- sore di cm. 1,5 confermano l’ottimo stato di conservazione e permet- tono di rilevare la buona tenuta dei cliiodi e la mancanza di imbarca- mento.

Nella stessa proprieth, un piccolo Rio in fase di scavo pone tuttora in luce altri tronchi della stessa specie, coricati con la punta verso il basso e sporgenti m. 1,20 dalla superficie del terreno (i cirnali risultano peraltro essere stati asportati in precedenza fino a1 diametro di m. 0,25 circa). Di uno di essi si 6 potuta avere una sezione trasversale che ha permesso di effettuare le seguenti osservazioni: grande regolarit3 di accrescimento con cerchi dello spessore di mm. 1 a mm. 5 regolarmente decrescente dal centro verso la periferia; diametro all’eth di anni 36: cm. 24 sotto scorza; numero degli anelli nel centimetro pid esterno 6.

Non si k potuta raccogliere alcuna attendibile testimonianza di ri- trovamenti negli altri luoghi indicati dal CHIAPPORI per cui 6 da presu- mere che i ritrovamenti stessi siano stati molto limitati e se ne sia quindi perduta la memoria.

Nei riguardi della vegetazione attuale si rileva che attorno agli abitati fino ad una certa distanza dagli stessi, sono assai diffuse le colture agrarie a base di cereali, Patate e foraggi su terreno sistemato a terrazze; sono anche presenti piante di Noce, Ciliegio, Pero, Melo. In prossimith delle case dell’abitato di Torriglia esistono piante di Picea excelsa, Cedrus sp. pl., Abies alba ed altre attualmente estranee alla zona, impiantate dai privati per conferire un aspetto piti vario e gradevole a quella sta- zione di villeggiatura.

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Qua t 13 si riscontrano gruppi di Pinus nigra derivanti da vecchi impianti ed appezzamenti di castagneto. 11 bosco vero e proprio t rap- presentato da cedui di Castanea sativa Quercus Cerris, Quercus Robur, Ostrya carpinifolia, Corylus Avellana, Carpinus Betulus, Rhamnus Fran- gula; salendo, a Castanea subentra Fagus che in passato dovette coloniz- zare superfici assai pili estese delle attuali, sulle quali fu poi soppiantato dalla prima specie per azione diretta dell’uomo e da altre piti rustiche, quali Corylus Avellana e Carpinus Betulus per regressione del consorzio, conseguenza anche questa, sebbene indiretta, dell’azione dell’uorno.

Alle specie suddette si frammischiano Fraxinus Ornus, Cornus san- guinea, Pirus Aria, Pirus communis, Pirus Torminalis, Acer campestre, Acer platanoides, Acer Pseudo-Platanus, Cytisus Laburnum, Populus nigra, Populus tremula, Sambucus nigra, Tilia vulgaris. Con una certa frequenza, specialmente in prossimita delle strade e verso i fossi, fino a quota 1000 circa, si trova Robinia Pseudo-Acacia. Nel sottobosco sono presenti’Erica carnea, Calluna vulgaris, Rubus fruticosus, Crataegus Oxya- cantha, Sarothamnus ~coparius, Pteris aquilina, Rosa sp., Juniperus Oxy- cedrus, Sal ix caprea; nelle radure e lungo i sentieri si trova spesso Urtica dioica; nelle zone umide compare Tussilago Farfara e, in minor misura, Petasites officinalis; in prossimita dei corsi d’acqua esistono piccole co- lonie di Spiraea Aruncus : non mancano infine Chrysanthemum Leucan- themum, Polygala vulgaris e, pili raramente, Polygala Chamaebuxus.

All’ombra del Faggio vegetano estese colonie, talora interi popola- menti, di Vaccinium Myrtillus. Sui muri a secco sono abbastanza fre- quenti individui isolati di Chelidonium majus e Geranium Robertianum ; nei ‘prati si notano per la lor0 frequenza Lotus corniculatus, Plantago lanceolata, PZantago media, Galium sp. PI., Rhinanthus Crista-galfit que- st’ultimo diventa spesso invadente con colonie numerose ed estese.

Nella faggeta si riscontrano Alnus glutinosa ed AZnus incana general- mente sporadici, ma talora tendenti a raggrupparsi in piccoli popola- menti pressochk puri (in uno di questi si t riscontrato un abbondante strato erbaceo di Senecio nemorensis var. Fuchsii) ; scendendo tali specie si localizzano lungo gli impluvi 0, comunque, in corrispondenza di zone di terreno nettamente pih fresche insieme a Salix. Le rocce ospitano spesso Helichrysum italicum.

Da notare che il bosco non forma in genere una fascia sensibilmente continua, ma I: largamente interrotto da terreni piii o meno sommaria- mente terrazzati ed adibiti a coltura agraria od occupati da prati naturali o prati pascoli fino a quota 1200 circa e da pascoli nudi a1 disopra di essa.

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15. - Rio d i Nenno in comune d i Savignone.

In seguito all'alluvione del 19 settembre 1953, venne in luce sulla sponda in destra del Rio di Nenno (localmente detto Rih della 'Moggia o RiA d'u Piaso) poco a monte del punto in cui esso k intersecato dalla strada Nenno-Sorrivi un tronco di Abete; un secondo tronco pure di Abete, venne in luce nel Rih di Carpegna, affluente in destra del predetto Rio di Nenno, in prossimith della confluenza; un terzo tronco, di specie imprecisata, risulta essere stato trasportato a valle dalla piena e di esso non si t potuta ritrovare alcuna traccia.

Svolte indagini in proposito i: risultato che nella zona i ritrovamenti predetti non sono i soli: di almeno un altro infatti esiste la documenta- zione nella bella Chiesa di Nenno la cui porta fu costruita, secondo quanto afferma il Rev. Arciprete Don Ernest0 Scorza, che esercita il minister0 di Parroco del luogo fino dal 1900, nel 1860, appunto con tavole ricavate da tronchi di Abete rinvenuti localmente.

La sezione dei tronchi ritrovati che si i: potuta esaminare, ha un diametro di cm. 45 ed etA di 90 anni: nei 32 centimetri piii interni gli anelli annuali hanno spessore di 5-6 mm. che poi diminuisce: il legno i: molto leggero ma ancora duro sebbene con inizio di alterazione su un lato: la corteccia t quasi totalmente mancante.

La valle del Rio di Nenno t contenuta fra il M. Schigonzo (m. 1014) e la Costa Suia culminante nel M. Suia (m, 960): il primo con pendici a moderata pendenza, piii o meno ricche di terra, colonizzate da prati pascoli intervallati da appezzamenti boscati prevelentemente di Quercus Cerris, Quercus Robur, Fagus silvatica, Ostrya carpinifolia, Fraxinus Ornus, Corylus Avellana, Cytisus Laburnum.

La Costa Suia invece h i pendici dirupate, costituite dall'afiora- mento di potenti strati di molassa formanti la piccola catena longitudinale M. Maggio-M. Suia: la terra vegetale, in ragione della pendenza, i: limi- tata a superfici ridottissime, spesso ai soli crepacci, ove alligna un rado cespugliato di Ostrya carpinifolia, Quercus Robur, Fraxinus Ornus, Corylus Avellana, Castanea sativa, Cornus sanguinea ed in minor misura Quercus Cerris e Cytisus Laburnum. Qua e lA vegetano Calluna vulgaris, Prunus spinosa, Crataegus Oxyacantha, Rubus jruticosus, Rosa sp., Juniperus Oxycedrus.

Entrambi i bassi versanti ospitano castagneti in buone condizioni di vegetazione, su tappet0 di specie nemorali utilizzato generalmente mediante sfalcio dell'erba.

Nei fossi ed il genere negli impluvi abbondano Populus, Salix, Alnus glutinosa, Alnus incana. t

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Le colture agrarie che si spingono dal fondo valle fino in alto sulle pendici, sono a base di Grano, Patate e poco Granturco. I fruttiferi sono rappresentati da Fico, Melo, Ciliegio e scarse piante di Pesco.

16. - Localitci Fod in comune di Vobbia. Su questa stazione posta a quota 950 circa sul versante settentrio-

nale del M. Rinudo (costituente una delle estremitl della propaggine occidentale del grande massiccio stellare dell'Antola) si k raccolta solo la testimonianza di certo Stefan0 Oberti abitante nella frazione Alpe di Vobbia il quale afferma di aver sentito dal proprio padre che nell'eseguire gli scavi per costruire una carbonaia venne in luce un grosso tronco semi- fossilizzato, ma ben conservato: il ritrovamento sarebbe awenuto, se- condo l'Oberti, fra 100 e 150 anni or sono alla profondit3 di 2-3 metri; la specie legnosa cui la pianta apparteneva non k precisata ma date le accennate condizioni di conservazione k quasi certo che doveva trattarsi di una conifera per cui, in via analogica, non b assurdo pensare che anche in que! caso il tronco fosse di Abies aIba; mancando peraltro indizi sicuri, il fatto viene riferito solo per completezza di trattazione.

Attualmente la zona b occupata da un ceduo di Fagus silvatica e, in minor misura, Ostrya carpinqolia, cui si uniscono Acer campestre, Acer Opalus, Acer Pseudo-Platanus, Carpinus Betulus, Cornus sanguinea, Corylus Avellana, Cytisus Laburnum, Fraxinus Ornus, Pirus Aria, Pirus Aucuparia, Populus tremula (specialmente nelle vecchie aie carbonili), Salix caprea. Sono altresi presenti Crataegus Oxyacantha, Genista tincto- ria, Prunus spinosa, Rosa sp. Rubus fruticosus. Qua e 15 si ritrovano spora- dici esemplari di Prunus avium.

C) ALTA VALLE DELLO STURLA (ENTELLA).

Delle tre convalli che unendosi formano l'Entella, quella dell0 Sturla, che trae origine dal versante meridionale del M. Aiona, k in po- sizione centrale rispetto alle altre due ed attinge le maggiori altezze hi tutto il bacino raggiungendo i m. 1701 (M. Aiona).

Questa valle dalla caratteristica forma a triangolo col vertice in basso, pur essendo in larga parte costituita da masse di serpentina negli scisti ga- lestrini e da masse diabasiche, presenta isole di detrito di falda montana ed ospita poco sotto a1 tratto pili alto del crinale, fra la Cappella delle Lame ed il passo Prt de Lame, il grande acquitrino del Pian delle Mo- glie, Vera e propria spugna noii ancora esplorata, ma che probabilmente conserva testimonienze di alto interesse.

Questa zona k di particolare importanza in quanto k situata sul ver-

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sante marittimo dell’Appennino Ligure per il quale non risultano, fino ad ora, segnalazioni di ritrovitnenti del genere di quelli dei quali si tratta.

17. - Localitci Colmo Rondio in comune d i Borzonasca. La displuviale che separa i sottobacini dei torrenti Rezzoaglio (Aveto-

Trebbia) e Penna (Sturla -Entella) t costituita per un certo tratto dalla linea di cresta del Monte degli Abeti sul cui versante settentrionale giace la stazione del gruppo dei laghi degli Abeti, delle Agoraie e delle Lame (di tale stazione t stato detto a1 no 10).

Sul versante meridionale di tale monte, a quota 1050 - 1170 & ubi- cat0 il Colmo Rondio occupato da pascoli nudi ai quali fra il 1950 ed il 1952 furono apportati miglioramenti vari di carattere colturale compresa una calcitazione a110 scopo di combattere la vegetazione delle allora dif- fusissime Calluna vulgaris, Erica carnea e Pteris aquilina e favorire, per contro, l’affermarsi di foraggere pabulari, di alcune delle quali fu anche effettuata la trasemina: tale calcitazione peraltro, eseguita una sola volta dette risultati limitati per cui attualmente le tre specie in questione sono ancora presenti con numerose piccole colonie, sebbene in misura un PO’ minore di prima. Oltre alle predette, lo strato erbaceo ospita Carlina acaulis, Ononis spinosa, Antennaria dioica (in piccole colonie, sia ad infel- trire la cotica, sia a colonizzare piccole superfici denudate dall’erosione delle acque meteoriche), Genista aspalathoides, Helichrysum italicum, Hel- Ieborus foetidus, Ranunculus sp. pl., Euphrasia officinalis, Dianthus Caryo- phyllus, Knautia integrifolia, Scabiosa Columbaria, Potentilla reptans, Potentilla Tormentilla, Festuca ovina, Pca annua, Dactylis glomerata, Agrostis alba, Lotus corniculatus, Trifoliurn sp. pl., M e u m athamanticum, Viola odorata, Viola tricolor; Rubus fruticosus t piuttosto raro. Su tale strato erbaceo si elevano scarsi Crataegus Oxyacantha, Prunus spinosa e Juniperus communis oltre a rarissima Erica arborea. Inoltre su piccole superfici erose si t constatata la presenza di pochi individui di Cichorium Intybus di ridottissimo sviluppo.

La zona pascoliva t limitata inferiormente da una cimosa di boschi di Faggio generalmente governati a ceduo piii o meno matricinato; pic- Cole fustaie della stessa specie sono limitate alle parti piii fresche, come impluvi, valloncelli e simili e vengono conservate per us0 di meriggi del bestiame.

Tutte queste faggete hanno densit5 molto varia, perchi: danneggiate da ripetuti incendi e dal pascolo.

Nella zona a settentrione del lago di Giacopiane esistono pianta- gioni di Pinus nigra, Pinus silvestris, Larix decidua dell’eti di 25-30 anni. Mentre Pinus nigra e Pinus silvestris si rinnovano naturalmente e si pre-

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sentano con invididui vigorosi e ben conformati, Larix decidua dirnostra una vegetazione assai mediocre.

Queste colture occupano superfici assai limitate e sono costituite da gruppi con sottobosco di Pteris aquilina nella meeza ombra e Calluha vulgaris verso i rnargini, ove la luce affluisce in rnaggior copia. L e scar- pate delle strade sono colonizzate da Rubus Idaeus, Sarotliamnus scoparius, Helichrysum italicum, Epilobium Dodonaei. Non mancano piante di Populus tremula, Crataegus Oxyacantha, Prunus auium, Alnus incana, Salix sp. pl., Fagus siluatica; quest’ultimo tende sempre a diffondersi formando popo- lamenti peraltro di limitata estensione.

Nella zona pascoliva e precisamente in localith Campo Mortizzo esiste una piccola superficie, pantanosa per insufficiente smaltirnento dell’acqua ivi addotta da un rigagnolo, che ospita una ricca vegetazione di Eriophorum polystachyum; a1 margine verso valle un piccolo smotta- mento ha provocato una specie di taglio verticale del terreno dal quale sono venuti alla luce tronchi fossili clie si i: potuto accertare appartenenti alle specie Fagus siluatica e Abies alba; risulta inoltre per informazioni locali, che molti altri tronchi sono seppelliti nella stessa localiti. Dei campioni prelevati, quelli di Abies si presentano in buone o discrete condizioni, mentre quelli di Fagus silvatica sono notevolmente alterati e presentano i raggi midollari ed i vasi assai corrosi.

CONCLUSIONI

L’ISSEL (ISSEL 1892) nel suo studio sulla geologia della Liguria resta in dubbio sul significato di questi alberi sepolti e si limita ad avaneare due ipotesi secondo lui egualmente possibili: che cioi si tratti di seppelli- mento da frane, oppure di avanzata di ghiacciai che con le lor0 rnorene avrebbero inva.0 tratti di bosco. La seconda ipotesi sarebbe particolar- mente possibile per uno dei depositi di Torriglia.

Non cosi il ROVERETO (ROVERETO 1939) che esclude l’origine, sia quaternaria, che, a inaggior ragione, glaciale, dei giacimenti in ques- stione: secondo tale A. l’associazione dell’Abete a1 Faggio testimonie- rebbe la lotta fra queste due specie, che si sarebbe svolta nel subboreale terminando col prevalere del secondo, alla fine dell’eti del bronzo; tale prevalenza durerebbe, attraverso una fase subatlantica, anche nella fase mediterranea attuale.

Questa interpretazione dei cicli di vegetazione concorda con gli studi del CHIARUGI, secondo i quali nel postaglaciale 1’Abete costitui sull’ Appennino foreste pure primitive, con carattere di vero e proprio climax.

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La diffusione della faggeta corrisponde all’eth del bronzo (terzo e second0 millennio a. C.) e l’inizio della sua supremazia cade fra subbo- reale e subatlantico cioi: all’inizio dell’& del ferro (prirno millennio a. C.). Attualmente 1’Abietum si trow sull’Appennino, solo nella porzione in- feriore del piano montano, ciot intercalato fra il Quercetum ed il Fage- rum, analogamente a quanto si verifica sulle Alpi, ove esso k localizzato nella porzione media ed inferiore dell’orizzonte montano inferiore ed assume il significato di un orizzonte montano superiore a differenzia- zione basipeta dal piano cacuminale della zona a regime equinoziale e percib a diretto contatto con le facies mesofile a differenziazione acropeta del Querceturn caducifoIio (Cerreto). L’ultima grande diffusione di Abies, sebbene decrescente, 6 localizzata in tempi nettamente storici e sarebbe il caiattere continentale del clima attuale, la causa della contrazione delle abetine alle ridotte aree ove ancora si trovano.

L’esame poi delle esigenze ecologiche, definisce Abies albo come specie poco esigente di fronte alla composizione del suolo purchi: pro- fondo, fresco senza essere inzuppato d’acqua e pitll o meno umificato, sensibile alla secchezza dell’aria, ai forti freddi invernali e particolar- mente tanto alle gelate tardive quanto agli eccessi di calore estivo (MATT- FELD 1926). Esso pub tuttavia sopportare per breve tempo un period0 di pib elevata siccith estiva, purchk non venga meno l’umidith e la freschezza esistente nel terreno per ragioni edafiche. La sua presenza k determinata quindi da fattori edafici locali (CHIARUGI 1939).

I pic recenti studi del PAVARI (PAVARI 1951) infine, pongono in luce che 1’Abete dell’Appennino rentro-meridionale possiede un pib marcato adattamento xerofilo ed una maggiore sensibiliti alle forti escur- sioni di temperatura e soprattutto agli estremi assoluti invernali ed ai gcli sia precoci che tardivi, nei confronti delle provenienze alpine men- tre nessuna conclusione viene tratta circa una possibile differeiiziazione fra le provenienze delle Alpi settentrionali (fresche) e quelle delle Alpi meridonali (secche).

L’esame delle condizioni generali attualmente offerte dall’Appen- nino indicano d’altra parte un clima temperato caldo con estate secca ed inverno mite, con regime di piogge solstiziali invernali (mediterraneo) che per6 t largamente modificato dalla penetrazione di quello delle piog- ge equinoziali che decorre sul 450 parallel0 e lo separa dall’altro delle piogge equinoziali estive, proprio dell’Europa centrale e settentrionale.

Sulla displuviale Appenninica Ligure e ancor piG sul versante set- centrionale si verifica poi il particolare fenomeno del brusco raffredda- mento delle correnti calde salenti dal mare sature di umidith ad opera delle correnti fresche che scendono da settentrione; tale zona t percib

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particolarmente favorita ha una piovosita abbondante e, nel complesso, ben distribuita.

Gli orizzonti effettivamente presenti nella zona montana in esame, come detto a1 principio, sono quelli del piano montano inferiore (Fage- turn) e del piano basale (Quercetuni caducifolio). Delle cenosi relative anzi, la Cerreta t , si 1: veduto, in progress0 in molte parti e la Faggeta discende nel Castagneto che non t sempre sicuramente di origine antro- pica. L’interferenza dei fattori locali, quali, soprattutto, l’esposizione e la varia presenza di acqua nel terreno, con quelli generali del clima deter- mina poi tutta una gamma di ambienti fra i quali t di fatto impossibile che non esistessero stazioni di rifugio ove 1’Abete avrebbe potuto con- servarsi, sia pure in bosco misto col faggio.

I reperti accertati presentano un caratteristico addensamento nel- l’alta valle dell’ Aveto, ciot nella zona pili nettamente montana dell’ Ap- pennino Genovese e sfumano rapidamente via via che, spostandosi verso occidente, si entra sempre pid decisamente nel dominio degli orizzonti del piano basale; di essi cinque sono situati nell’orizzonte del Quercetum, cinque in quello del Fagetum e sette sul lirnite fra i due. E notevole che uno dei reperti t ubicato sul versante marittimo.

Tale distribuzione rispecchia verosiiiiilmente quella delle antiche abetaie dalle quali i fossili descritti provengono.

Si aggiunga che i rimboschimenti di Abete effettuati a cura dell’Am- ministrazione Forestale nella zona del M. Penna ed iniziati oltre 40 anni or sono, hanno dato ottimi risultati ed anzi la specie in questione si sta diffondendo nelle contermini faggete.

Un’ulteriore considerazione da tener presente t quella relativa alla piG facile e potente rinnovazione del bosco di Faggio in confront0 con quello di Abete, rilevata dal Giacobbe, per cui nelle attuali condizioni, in massima, la seconda specie eliminerebbe la prima. Le osservazioni compiute nei boschi rnisti di Faggio ed Abete dell’Abruzzo e del Molise (BANTI 1935, 1939, (1942), limitano alquanto la portata della seconda parte dell’assunto predetto, ma non la contraddicono.

Esaminando il caso di analoghi avanzi rintracciati nella valle del Curone (BANTI 1947), si concludeva essere difficile poter addebitare alla sola azione antropica la scomparsa dell’Abete in quella zona.

Nel caso in esame si rileva che le condizioni climatiche dell’Appen- nino Ligure non escludono la possibilith di vita dell’Abete; che i ritro- vamenti di fossili pili o meno conservati indicano che tale specie era pre- sente in larga misura almeno all’inizio dell’eti del ferro (si ricorda 1’0s- servazione fatta dal CHIAPPORI circa le tracce di lavoro umano sui tronchi

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trovati nella zona di Torriglia) e formava estesi popolamenti parte puri, parte misti, sul versante padano e ciok nella valle dell’Aveto ed in quella del Trebbia vero e proprio oltre a popolamenti secondari nella valle dello Scrivia spingendosi anche su quello marittimo (alta valle dello Sturla-Entella); che, infine, le travature di abete di vecchie case, in luoghi ove certamente esse non sono state trasportate da zone lontane, indicano che tale specie t soprawissuta fino ad epoca relativamente recente, forse fino a qualche centinaio di anni fa.

Si deve quindi ammettere che l’azione antropica, sommandosi a1 fatto che 1’Abete viveva qui a1 limite della sua zona di vegetazione, abbia esercitato una influenza determinante sulla scomparsa della specie in que- stione ed il suo meccanismo deve ricercarsi verosimilmente, non solo nella intensit; dell’azione stessa, ma anche nella sua continuiti. E appena il caso di rilevare che tutta la, plaga era gii abitata all’atto della conqui- sta da parte dei Romani e tanto pili intensamente lo fu dopo tale con- quista, anche nei suoi centri minori come ad esempio Alpepiana nell’at- tuale comune di Rezzoaglio, che gii nel 718 era oggetto di un diploma di Liutprando. Va da sk che i vari centri abitati dovevano non solo consumare legname di Abete per il prioprio fabbisogno, ma anche espor- tarne verso il piano, com’k dimostrato dalla circostanza che di abete era (( stata fatta la travatura della Chiesa di S . Colombano in Bobbio )) (ISSEL 1892). Inoltre l’allevamento del bestiame doveva essere cosi largamente diffuso nella zona da costituire la principale, se non esclusiva, fonte di vita delle popolazioni locali.

D’altronde la circostanza rilevata che 1’Abete vive a1 limite della propria area di vegetazione e quindi in probabili condizioni di alter- nanza con altre specie ha una influenza da non trascurare, giacchk il prelievo continuo delle piante migliori anche nei periodi di regress0 della specie, aggravata dai danni del pascolo la cui disciplina si k avuta solo in epoca recentissima, pub avere determinato l‘estinzione della specie.

- In tali condizioni la reintroduzione di Abies nlba nel popolamento forestale del versante padano dell’Appennino settentrionale, pub essere largamente attuata con la tranquilla fiducia di dar vita a boschi ad ele- vat0 carattere di permanenza.

Per quanto riguarda il versante meridionale, l’Abete potrh essere ancora usato, ma su superfici assai limitate e previa una accuratissima valutazione delle circostanze locali.

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On dCcrit plusieurs gisenients de Abies alba, a I‘itat de fossiles conserves, dicou- verts sur les Apennins ginois et on conclut que l‘action anthropique a expliqui une action diterminante dans la disparition des peuplements de cette espice, disparition qui remonte, probablement a une Cpoque bien ricente. Par consiquent, on peiit effectuer de toute tranquilliti la riintroduction de Abies alba par voie artificielle sur le versant du PB de 1’Appennin septentrional et, dans quelque mesure, sur le m k i - dional aussi.

RIASSUNTO

Si descrivono i giacimenti di Abete bianco a110 stat0 di fossili conservati reperiti sull’Appennino Genovese e si conclude che I’azione antropica ha avuto influenza determinante nella scomparsa dei relativi popolamenti awenuta probabilrnente in epoca abbastanza recente. D i conseguenza, la reintroduzione dell’Abete a mezzo dei rimboschimenti pub essere effettuata con tutta tranquilliti sul versante padano del- 1’Appennino settentrionale e, in certa misura anche su quello meridionale.

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