+ All Categories
Home > Documents > Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il...

Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il...

Date post: 05-Feb-2018
Category:
Upload: nguyenngoc
View: 223 times
Download: 3 times
Share this document with a friend
26
Treviso e il Graal Giovanni Golfetto Introduzione Il termine “Graal” è ormai associato all’immagine di una coppa, ma riguardo a questo bisogna fare alcune precisazioni. Fra la fine dell’Ottocento e il principio del Novecento fu sviluppata una notevole trattatistica che individuava le radici del ciclo arturiano nei miti celti e in particolare in quelli irlandesi e gallesi. Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda 1 che resuscitava i guerrieri morti in battaglia 2 . Non è il solo riferimento possibile. A essa corrisponde anche la pentola, il sacco, il corno (cornucopia) dell'abbondanza, la “fontana della giovinezza” 3 e altro. Nei racconti medioevali i vari oggetti miracolosi si possono mescolare fra loro ed essere i protagonisti di vicende secondarie. La Coppa e la Lancia, ad esempio, appaiono assieme nella processione del Graal, descritta in Perceval le Gallois ou le Conte du Galle di Chrétien de Troyes, risalente al 1190. La confusione parte dalla ricerca storicistica che cercava di trovarne l’origine in eventi remoti di cui si era perduta la traccia 4 . A questo devono essere aggiunti gli aspetti cavalleresco-cristiani che hanno la funzione di cornice e di filo conduttore per racconti mitici ripresi spesso dalla tradizione orale. Può essere tralasciato, invece, quanto di fuorviante è stato prodotto nell’immaginario collettivo dai romanzieri che hanno sfruttato il fascino di quelle vicende. Sono poco conosciuti così gli studi che hanno cercato di chiarirne i significati simbolici. In questo lavoro esamineremo alcuni aspetti che ritrovano le radici del ciclo in miti cosmogonici che vanno ben al di là dell’area celtica. Ciò porterà nella penisola scandinava, alle colonie vichinghe in Islanda 5 , in India, in Grecia e in Italia. Che l’Europa del XIII secolo e del XIV fosse pervasa da un vasto sentire nei confronti di un ideale legato ad antichi miti che si stavano dimenticando. Lo mostra un mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto, risalente al 1163. Nell’opera musiva, realizzata prima della stesura del ciclo arturiano, appare un re a cavallo con scettro al quale è abbinata la scritta “Rex Arturus”. Questo avviene nell’area governata dai Normanni, provenienti dalla Scandinavia, ai quali probabilmente si deve anche la presenza del mito di Morgana in Sicilia. 1 Nei racconti celtici irlandesi, appaiono quattro oggetti dai poteri magici: la Pietra di Fal, la Spada di Nuada, il Calderone di Dagda e la lancia di Lugh. 2 Nella storia di Peredur figlio di Evrawc, nel Mabinogion, i guerrieri uccisi dal mostruoso Addonac, che vive in una grotta, ogni giorno sono immersi in una tinozza e resuscitati. È palese il riferimento al ciclo giornaliero del Sole che durante la notte era immaginato scendere agli Inferi o regno dei morti e poi risorgere all’alba, i guerrieri quindi sono i giorni. In I racconti gallesi del Mabinogion, a cura di GABRIELLA AGRESTI e MARIA LETIZIA MAGINI, Oscar Mondadori, Milano, 1982, p. 242. 3 Nel Castello della Manta (Saluzzo) essa appare, non casualmente, al centro delle dodici figure che hanno accanto gli stemmi delle casate del marchesato. 4 Va tenuto conto, inoltre, che le prove a sostegno di una teoria sono sempre relative all’ipotesi che lo studioso porta avanti e per la quale presenta i dati che sono più confacenti ai suoi presupposti. Spesso così sfuggono aspetti importanti la cui revisione chiede molto tempo prima di imporsi. 5 I colonizzatori dell’isola, anche se originari soprattutto dalla Norvegia, provenivano in parte dalle colonie nordico- celtiche dell’Irlanda e di altre isole. E. O. G. TURVILLE-PETRE, Religioni e miti del Nord, il Saggiatore, Milano, 1996. pp. 114-116. Per molto tempo gli studiosi hanno ritenuto che alcuni aspetti dei miti nordici non fossero originali, ma il risultato di una contaminazione perché trascritti un secolo dopo la diffusione del cristianesimo in Islanda. In realtà l’affermarsi di questa religione non avvenne in modo integrale e molti furono i tentativi di conservare l’antico credo. 1
Transcript
Page 1: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

Treviso e il GraalGiovanni Golfetto

IntroduzioneIl termine “Graal” è ormai associato all’immagine di una coppa, ma riguardo a questo bisogna

fare alcune precisazioni. Fra la fine dell’Ottocento e il principio del Novecento fu sviluppata una notevole trattatistica che individuava le radici del ciclo arturiano nei miti celti e in particolare in quelli irlandesi e gallesi. Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri morti in battaglia2. Non è il solo riferimento possibile. A essa corrisponde anche la pentola, il sacco, il corno (cornucopia) dell'abbondanza, la “fontana della giovinezza”3 e altro. Nei racconti medioevali i vari oggetti miracolosi si possono mescolare fra loro ed essere i protagonisti di vicende secondarie. La Coppa e la Lancia, ad esempio, appaiono assieme nella processione del Graal, descritta in Perceval le Gallois ou le Conte du Galle di Chrétien de Troyes, risalente al 1190.

La confusione parte dalla ricerca storicistica che cercava di trovarne l’origine in eventi remoti di cui si era perduta la traccia4. A questo devono essere aggiunti gli aspetti cavalleresco-cristiani che hanno la funzione di cornice e di filo conduttore per racconti mitici ripresi spesso dalla tradizione orale. Può essere tralasciato, invece, quanto di fuorviante è stato prodotto nell’immaginario collettivo dai romanzieri che hanno sfruttato il fascino di quelle vicende.

Sono poco conosciuti così gli studi che hanno cercato di chiarirne i significati simbolici.In questo lavoro esamineremo alcuni aspetti che ritrovano le radici del ciclo in miti cosmogonici

che vanno ben al di là dell’area celtica. Ciò porterà nella penisola scandinava, alle colonie vichinghe in Islanda5, in India, in Grecia e in Italia.

Che l’Europa del XIII secolo e del XIV fosse pervasa da un vasto sentire nei confronti di un ideale legato ad antichi miti che si stavano dimenticando. Lo mostra un mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto, risalente al 1163. Nell’opera musiva, realizzata prima della stesura del ciclo arturiano, appare un re a cavallo con scettro al quale è abbinata la scritta “Rex Arturus”. Questo avviene nell’area governata dai Normanni, provenienti dalla Scandinavia, ai quali probabilmente si deve anche la presenza del mito di Morgana in Sicilia.

1 Nei racconti celtici irlandesi, appaiono quattro oggetti dai poteri magici: la Pietra di Fal, la Spada di Nuada, il Calderone di Dagda e la lancia di Lugh.2 Nella storia di Peredur figlio di Evrawc, nel Mabinogion, i guerrieri uccisi dal mostruoso Addonac, che vive in una grotta, ogni giorno sono immersi in una tinozza e resuscitati. È palese il riferimento al ciclo giornaliero del Sole che durante la notte era immaginato scendere agli Inferi o regno dei morti e poi risorgere all’alba, i guerrieri quindi sono i

giorni. In I racconti gallesi del Mabinogion, a cura di GABRIELLA AGRESTI e MARIA LETIZIA MAGINI, Oscar Mondadori, Milano, 1982, p. 242.3 Nel Castello della Manta (Saluzzo) essa appare, non casualmente, al centro delle dodici figure che hanno accanto gli stemmi delle casate del marchesato.4 Va tenuto conto, inoltre, che le prove a sostegno di una teoria sono sempre relative all’ipotesi che lo studioso porta avanti e per la quale presenta i dati che sono più confacenti ai suoi presupposti. Spesso così sfuggono aspetti importanti la cui revisione chiede molto tempo prima di imporsi. 5 I colonizzatori dell’isola, anche se originari soprattutto dalla Norvegia, provenivano in parte dalle colonie nordico-celtiche dell’Irlanda e di altre isole. E. O. G. TURVILLE-PETRE, Religioni e miti del Nord, il Saggiatore, Milano, 1996. pp. 114-116.

Per molto tempo gli studiosi hanno ritenuto che alcuni aspetti dei miti nordici non fossero originali, ma il risultato di una contaminazione perché trascritti un secolo dopo la diffusione del cristianesimo in Islanda. In realtà l’affermarsi di questa religione non avvenne in modo integrale e molti furono i tentativi di conservare l’antico credo.

1

Page 2: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

Immagini di personaggi arturiani, scolpite fra il 1120 e il 1140, si ritrovano anche nell’archivolto della cattedrale di Modena6.

È riconosciuto che le varie saghe sono la trascrizione di materiale mitologico tratto da fonti sconosciute e ormai perdute, perché tramandate solo oralmente. Già in epoche precedenti alla loro stesura scritta, erano stati compiuti riadattamenti e razionalizzazioni al fine di renderle più comprensibili agli ascoltatori. Quanto a volerle far derivare da fatti storici, ciò non è un’ossessione ottocentesca ma fu attuata anche in altre epoche. Questo perché avevano perso l’originario “scopo religioso” ed erano ormai solo racconti d’intrattenimento in cui potevano intrecciarsi versioni diverse dallo stesso tema mitico.

Nel complesso simbolico della mentalità medievale la Coppa, la Lancia e la Spada non erano oggetti aventi una valenza magica, ma andavano visti anche in relazione alle tre classi del sistema sociale dell’epoca. La Coppa andava riferita al clero (orator) e la spada al guerriero (bellator)7.

La Lancia non era esattamente un’arma ma, connessa allo scettro del monarca, era analoga al bastone dell’augure avente valore sacerdotale. Quanto al re, benché nell’immaginario collettivo sia visto come il vertice della scala sociale, come si ritrova nei testi indù8, è solo il primo fra i guerrieri alla cui classe appartiene.

Nella società teocratica antica, diversamente da quanto molti credono, al primo posto c’era l’orator. In termini moderni la preminenza spettava agli “intellettuali”, perché essi detenevano la conoscenza da cui discendeva la scrittura. Superiorità in seguito usurpata dal guerriero, dedito all’azione, che riponeva il prestigio nella forza e nel valore militare.

6 NUCCIO D’ANNA, Fra draghi, orsi e re, in www.simmetria.org.7 La parola=scrittura ha significato di preghiera=rito, ma anche di canto. Sul piano umano, infatti, i testi sacri (parola) corrisponderebbero al suono-vibrazione-moto che ha dato origine al cosmo.8 Śatapatha Brāhmana, V, 4, 2, 3 in CARLES MALAMAUD, Cuocere il mondo, Adelphi editrice, Milano, 1994, p. 61, nota n. 6.

2

Page 3: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

Nello sviluppare il nostro argomento, oltre ai riferimenti che derivano dal ciclo arturiano, utilizzeremo un testo gallese medioevale: Peredur, figlio di Evrawc, narrato nel Mabinogion9. Esso, come la maggior parte dei racconti di quel periodo, è un palinsesto cavalleresco-cristiano che funge da cornice a una serie di eventi mitici.

Artù e la Spada[ARTÙ] - Il nome Artù deriverebbe da una radice indoeuropea *ar che ha dato origine a vari

termini, non tutti immediatamente riconoscibili come suoi derivati. Ar-te, ar-monia, ar-ma; aretē=virtù (greco); artus=giuntura, arto (latino), arm=braccio, arma (anglosassone); artous=reciproco, sodalizio; Ares (dio della guerra), Artemide (dea della caccia); aryos=valoroso e aristocratico (greco); infine Artico (gallico artos=orso) e ciò, come “polo”, lega Artù al concetto di asse.

La madre di Arthur, in Roman de Merlin, è Ygraine o Yg(u)erne, simile all’irlandese gigren/giugrann e al brettone goirann. Il termine significherebbe “oca selvaggia”, assimilabile al cigno10 e alla colomba. Nel contesto indù il cigno-hamsa (Sarasvatī) è quella che cova il brahmanda (l’uovo cosmico). Non va dimenticata la cicogna, che nella tradizione popolare è la portatrice dei nuovi nati. Nella mitologia greca, Leda, fecondata dal cigno (Giove), partorisce un uovo dal quale nascono i due Dioscuri, uno immortale (luce/giorno) e l’altro mortale (oscurità/notte).

In questo senso potrebbe spiegarsi l’inserimento nella storia di Pererdur dell’uccisione dell’oca11. Tema simile si ritrova nel Parzifal di Wolfran von Eschnbach12 e nel Perceval di Chrétien de Troyes.

Quanto al padre Uther Pendragon sarebbe il “Drago meraviglioso”, perché il termine uther, nell’antico gallese, dovrebbe significare “meraviglioso”13.

Nella mitologia greca, il grande serpente Ofione [ophis=serpente], Vento del Nord (Borea, da cui boreale), feconda Eurinome emersa nuda dal Caos. Eurinome, secondo alcune versioni, era una colomba14 che volava sopra il mare (acque cosmiche) e a un certo punto depose l’Uovo universale attorno al quale Ofione si arrotolò sette volte. Quando l’uovo si schiuse, da esso uscirono tutte le cose e gli esseri15.

Riguardo alle origini cosmologiche di Artù16, Morgan le fay (la fata), la sorellastra di Artù dotata di poteri magici, è la minore di tre sorelle. Le altre erano Margawse ed Elaine.9 GABRIELLA AGRESTI e MARISA LETIZIA MAGINI, op. cit., pp. 215-258. 10 NUCCIO D’ANNA, op, cit.11 GABRIELLA AGRESTI, MARIA LETIZIA MAGINI, op. cit. p. 231. L’uccisione di un’oca da parte di un falco, presso la grotta di un eremita, è razionalizzata o usata come pretesto dall’autore per far pensare all’eroe la sua amata. In questo modo è posto l’accento sui colori coinvolti: il bianco della neve (e forse dell’oca), il nero del corvo, che ne sta beccando il corpo dopo che il falco l’aveva uccisa e infine il rosso del sangue. Nel richiamo all’amata e nell’insistenza sui colori potrebbe celarsi l’influenza dei Trovatori (in Italia saranno i “Fedeli d’Amore”) nei cui versi si celano riferimenti esoterici. Nei poemi scandinavi il corvo di Odino è detto “cigno o oca del sangue”. E. O. G. TURVILLE-PETRE op. cit., p. 78.12 ESCHENBACH, Parzifal, UTET, Torino, 1967, p. 226.13 “Uther (meravigliosa) Benn (testa)” è la definizione di quella tagliata di Bran nei racconti del Mabinogion. BRIAN BRANSTON, Gli Dei del Nord, Oscar Mondadori, 1991, p. 162.14 Nella nostra cultura la colomba è sinonimo o simbolo di amore e per traslato di pace.15 ROBERT GRAVES, I miti greci, Longanesi, Milano, 1955, p. 21.16 MALORY, La storia di re Artù, titolo originale, Le morte d’Artù, UTET, Torino, 1965, p. 31.

3

Page 4: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

I suoi legami con il cosmo e più precisamente con il ciclo annuale del Sole si ritrovano nella Tavola Rotonda. Nel racconto di Malory, Artù è invitato da Merlino ad allearsi con i re Ban e Bors (in questo modo è formata una triade). Ciò in vista dello scontro con 11 (6 + 5), numero che richiama i Marut e gli Aditya indù. Essi, con l’aggiunta di Artù, divengono però dodici. La conferma dell’importanza di questi numeri è data dalla sua paredra o controparte femmine (nel ciclo del Graal è Morgana). In Bretagna era venerata la dea Artio alla quale, come la greca Artemide e, come suggeriscono i nomi, corrispondeva l’orso17. Nell’agiografia cristiana diviene Santa Orsola e parte in viaggio accompagnata da “undicimila” vergini. Anche con lei quindi avremmo il “dodici”.

[La SPADA] - Diversamente dalle lance, alcune delle quali sarebbero ancora “presenti” nel mondo, le spade18 appaiono restituite alla “fonte” che le aveva date, come se il loro possesso fosse un fatto personale. La provenienza dell’arma, in genere, è acquea. È data dalla “Dama del lago” o ritrovata su una nave in cui c’è un frammento dell’Albero dell’Eden. Le acque richiamano quelle cosmiche o, secondo un’interpretazione alchemica, il mercuriale soffio vitale fluido che deve essere imbrigliata dalla sulfurea volontà rappresentata dalla spada. Quanto alla roccia, in cui è infissa la lama, essa ha attinenza con la Montagna cosmica e alchenicamente corrisponde al rendere fisso il volatile.

Nella La storia di re Artù di Malory, nel camposanto dietro l’altare19, appare una pietra quadrangolare su cui è posto un incudine nel quale è infissa la spada. Sulla lama è scritto: “Colui che trarrà questa spada da questa pietra e da questo incudine è legittimo re di tutta l’Inghilterra”.

Il curioso ritrovamento in un cimitero richiama il significato del māhavedi indù, detto appunto “altare cimitero”, nel quale avvenivano gli antichi rituali del fuoco. Questa denominazione potrebbe derivare dal fatto che i riti erano riferiti agli antenati o che in esso avvenivano le cremazioni funebri. Era uno spazio a forma di trapezio le sue dimensioni derivavano dai numeri in cui poteva essere scomposta la durata del Grande anno cosmico o processionale di 25 920 anni. Esso è una rappresentazione di Prajāpati, il dio creatore o Megantropo, detto appunto il “Grande anno”20. Nel ciclo arturiano e ancora di più nel racconto di Peredur, il simbolismo annuale è la base di molte gesta compiute dall’eroe.

L’incudine appare nel Libro dei Re21, persiano dove forse è descritto un antico rituale legato alla regalità. L’eroe Giustap, per estrarre la spada e così liberare la potenza creativa, deve spaccare-frantumare l’incudine di ferro fuso dal fabbro (artefice divino) Burab. Il simbolismo è connesso al battere, al far risuonare il metallo colpito dal martello, e ciò è in relazione con il suono primordiale creativo.

Il comparire dei questo oggetto, base dell’officina, in due contesti geograficamente così lontani, si spiega con la considerazione che la Persia rientra nel flusso migratorio delle popolazioni paleo europee e conferma che il mito è antecedente al celtismo e appartiene a una tradizione più antica.

Nella Völunga (str. 3), la spada di Odino è infissa in una quercia (axis mundi) e da essa è estratta

17 Nel caso di Artemide, perché denominata la “casta”, è la sua ninfa Callisto a essere sedotta da Zeus e per rabbia o gelosia, dalla dea trasformata in orsa e in seguito, da Giove, nella corrispondente costellazione.18 Le spade avevano spesso un nome, quella di Artù si chiamava Excalibur (Caliburnus, Caledfwich o Caladbolg) che significherebbe “Fulmine solido”. Era stata forgiata da Wieland il fabbro degli dei e donata a re Artù da Viviana, la Signora del Lago.19 MALORY, op. cit., p. 35. 20 «Prajāpati, l’anno, ha creato tutti gli esseri viventi e le cose…». (Śatapatha Brāhmana, X, 4, 2, 2).21 NUCCIO D’ANNA, op. cit.

4

Page 5: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

da Sigmundr, figlio del re. Nella Hrolfs Saga Kraco (str. 20) a farlo è Elgfrodi, figlio di Björn (Orso, come Artù). (Elg)frodi richiama Frodi e la macina “cosmica”; mito al quale De Santilana ha dedicato un testo ponderoso22.

La Lancia, l’Albero e il Pilastro[LANCIA] - Nel Medioevo numerose furono le reliquie identificate con la cosiddetta Lancia di

Longino. Se ne trovano a Parigi, a Norimberga, a Bordeaux, a Mosca, a Vienna e Cracovia. In Vaticano ne erano esposte ben due23.

Quelle sotto indicate sono le più famose.- La Lancia Sacra di Ottone I, simbolo del Sacro Romano, in cui fu inserito un presunto chiodo

della crocefissione. Essa è conosciuta come Heiliege Lance (Lancia Sacra) è esposta nella Weltliche Schatzkammer (Stanza del Tesoro) del palazzo dell’Hofburg a Vienna. Da Ottone I il Grande essa passo agli Hohenstaufen nella persona di Federico Barbarossa24 e quindi agli Asburgo. È quella che interesso Hitler25.

- La Lancia Sacra di Antiochia.- La Lancia portata in Europa durante le Crociate da Luigi IX e che andò persa durante la

Rivoluzione Francese.- La copia della lancia di Ottone che si trova a Cracovia in Polonia.

22 GIORGIO DE SANTILANA, HERTA VON DECHEND, Il Mulino di Amleto, Adelphi, Milano, 1990.Non a caso il personaggio principale della trilogia del Signore degli anelli di Tolkien, grande conoscitore dei miti

nordici, il “portatore dell’anello” si chiama Frodo. 23 Di queste ultime si conosce solo un disegno eseguito alla fine dell’Ottocento. Il Vaticano non nega né conferma la loro esistenza. Una di esse potrebbe essere la più vera, perché entrata in possesso dei Musulmani nel VII secolo con la conquista di Gerusalemme e donata, alla fine del Quattrocento, a papa Innocenzo VIII da un capo musulmano per avere l’aiuto cristiano contro un proprio congiunto. 24 Quella posseduta da questo imperatore, secondo una diversa tradizione, sarebbe stata persa durante la sua ultima crociata, mentre attraversava il fiume in Turchia in cui affogò.25 Sarebbe stata fortunosamente ritrovata, nascosta in un muro, da un soldato alleato alla fine della Seconda Guerra Mondiale, proprio il giorno del suicidio di Hitler.

5

Page 6: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

- Quella conservata in un monastero armeno e portata là dall’apostolo Tadeo26. Nell’Hávamál (138-139), Odino, ferito con una lancia, è appeso per 9 giorni e 9 notti all’Albero,

in quanto immolato a se stesso27. La lancia è la sua arma prediletta ed egli è chiamato lo “scuotitore di lancia” o “Signore della lancia”28.

Le connessioni fra la lancia e l’albero sono più evidenti nelle vicende dell’eroe “maledetto” Starkadh, in particolare nella Gautreks Saga (cap. VII) e in forma un po’ diversa nella Starkadh Saga (cap. X) di Saxo.

È narrato che una notte l’eroe è condotto in barca a un’isola, dove in una radura ci sono 12 seggi dei quali sono occupati solo 11, finché in quello vuoto non siede il suo accompagnatore, che a quel punto si palesa come Odino. Ciò ricorda il Seggio Periglioso della Tavola Rotonda. C’è subito una disputa di previsioni fra Odino e Thor riguardo agli atti malvagi che l’eroe compirà in futuro. Alla fine Odino consegna a Starkadh una lancia che ha l’aspetto di un’innocua canna palustre, i due quindi tornano all’accampamento da cui erano partiti. Là si sta preparando il sacrificio simbolico del re che era stato scelto dalle sorti (legnetti con sopra delle rune) quale vittima da immolare per sfuggire al naufragio che li bloccava su quella costa. Il re intanto era stato appeso al ramo di un alberello, con le budella del vitello sacrificato. A quel punto Starkadh gli lancia contro la canna palustre che improvvisamente si trasforma in una lancia e lo trapassa. Contemporaneamente il ramoscello, al quale il malcapitato è appeso, si trasforma in un albero alto e le budella in un robusto cappio di canapa. Il re è quindi l’equivalente di Odino appeso all’Albero, narrato nell’Hàvamal.

La lancia ha corrispondenza con il fulmine (attributo di Giove o degli dei del vento e della tempesta) e con il tridente di Nettuno o di Visnù29. Essa è l’asse, l’Albero del mondo, quello che s’innalza sulla Collina o Monte primordiale emerso dalle Acque cosmiche del caos30. Il monte rappresenta l’aspetto sostanziale della creazione, in altre parole il cosmo materiale in cui stiamo.

È il bastone secco che rifiorisce nelle mani di San Cristoforo31, il gigantesco portatore di Cristo, mentre attraversano le acque tumultuose. Uscendo dall’agiografia cristiana, il fiume in realtà è il Serpente Oceano o le Acque del Caos che avvolgono l’universo materiale sempre sul punto di esserne sommerso e disciolto, per poi essere nuovamente ricostituito. Cristoforo è l’equivalente umano del Monte cosmico sul quale s’innalza l’Albero della Vita o, meglio ancora, il Megantropo creatore, dalla cui frammentazione nascono tutti gli esseri.

26 Essa non ha la forma di una punta di lancia ma di un quadrato con incisa una croce a più punte.27 E. O. G. TURVILLE-PETRE, op. cit., pp. 161-162.28 Ibidem, p. 61.29 Questo come vedremo porta al Re pescatore, che è un’altra delle figure del ciclo arturiano.30 La corrispondenza, nel racconto, della “lancia” con l’Albero e le Acque cosmiche è riassunta nell’essere una “canna palustre”.31 Alcuni degli elementi dell’agiografia di Cristoforo erano già presenti nel mito di Kumarbi sommo divinità degli Hurriti. Questa era una popolazione della Turchia settentrionale che attorno al 1500 a. C. aveva dei governanti con nomi e divinità di origine sanscrita. Nei loro miti il dio è spodestato dai due gemelli che ha partorito in vario modo. Concepisce poi con una montagna un gigante di pietra, Ullikumi, che posto nell’oceano continua a crescere fino a toccare e scuotere i Cieli, A questo punto è fatto crollare tagliandogli i piedi con il coltello divino che in altri miti era servito per dividere a metà Tiamat, il “Grande uovo”. TEODOR GASTENER, Le più antiche storie del mondo, Oscar Mondadori, 1991, pp. 118-141.

6

Page 7: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

Non a caso, mentre Cristoforo è immerso nel fiume, il Bambino sulle sue spalle diventava gigantesco e il bastone, novello albero cosmico, mette foglie e germogli32. Secondo la teologia cristiana l’Ecclesia, il corpo mistico del Cristo, è composta da tutti credenti: presenti, passati e futuri, perché in ciò egli adombra il Megantropo.

L’immagine di San Cristoforo ebbe una notevole diffusione nel trevigiano fra il XIII e il XV secolo. L’Albero (Lignum vitae) è rappresentato nella chiesa dell’abbazia benedettina di Sesto al Reghena (Pordenone)33, a San Venafro (Isernia) e altrove. Un’immagine simbolicamente simile,

32 Può essere accostato alla cosiddetta “Torre di Babele” o meglio agli ziqqurat babilonesi che erano chiamati È-temen-an-ki (Casa del Fondamento del Cielo e della Terra). Essi rappresentavano il monte cosmico, ma la definizione di “fondamento/sostegno del cielo e della terra” vale anche per il titano Atlante che regge il globo.33 Esso è l’Albero di Jesse, che è un antenato di Davide e quindi di Gesù.

7

Page 8: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

risalente al V-VI secolo, è scolpita su un pluteo34 conservato nella cappella dell’Annunziata nel Duomo di Treviso. Su esso appare un piccolo monte, posto fra due agnelli contrapposti35. Sul colle si innalza una croce, da cui si dipartono dei tralci, simbolo dell’espansione spaziale e di tutte le esistenze.

In San Nicola a Bari, in cui è rappresentata la Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze, Adamo, prossimo alla morte, chiese al figlio Set di recarsi in Paradiso per ottenere dall’arcangelo Michele l’olio della misericordia. Quello, invece, dà un ramoscello dell’Albero della vita (Eden) per porlo nella bocca di Adamo al momento della sepoltura. In un’altra versione, a Set sono invece consegnati tre semi36. In ogni caso dalla bocca (o dal cuore) del primo genitore spunta un albero, da cui sarà ricavato il legno della croce di Cristo37.

In alcuni racconti legati al Graal, un tralcio dell’Albero sarebbe stato portato nel mondo direttamente da Eva che lo aveva staccato, dalla pianta, assieme alla mela. Il ramo seguì i Progenitori nell’esilio, fu piantato e le sue foglie bianche divennero rosse con la morte di Abele. Quest’albero era conosciuto da Salomone. In seguito egli, con la moglie, fece costruire un’imbarcazione in cui pose un letto38, e su questo una spada. La consorte ordinò ai due carpentieri di recidere un ramo dell’Albero, ma essi si rifiutarono, allora lo fece lei e dal legno uscì del sangue. Con il ramo fu realizzata una colonna che fu posta nell’imbarcazione. Durante la notte una forza sovrumana strappò la nave dagli ormeggi e di essa si persero le tracce, finché non fu ritrovata da alcuni eroi del ciclo del Graal39.

Stando a Origene (III sec. d. C.), che riporta una tradizione ebraica, il sepolcro del primo uomo sarebbe stato sul Golgota40, esattamente dove poi sarebbe avvenuta la crocefissione. Nei miti ebraici41, e in alcune rappresentazioni medioevali-rinascimentali, Adamo appare disteso o dormiente. Non è altro che il Megantropo cosmico e, come nel caso della Collina primordiale, tutti i mondi e gli esseri sorgono da lui, cioè dall’albero che spunta dal suo corpo.

Nella Bibbia questo aspetto è ridotto allo strano compito di Adamo di assegnare un nome a tutti gli animali e le piante. Nella mentalità antica conferire un nome, significava portare all’esistenza e questa è la funzione del creatore.

L’albero, nel ciclo del Graal, ha anche altre correlazioni. Gwalchemei (figlio di Gwyar) assieme

34 Lastra della balaustra che delimitava il presbiterio nelle chiese antiche.35 Essi sono la rappresentazione dei due principi complementari cosmici, nati dall’unicità divina originaria, dai quali si dispiega il cosmo.36 Sono i tre guna indù o “fili”, da cui deriva il concetto di “trama”. Per questo le Parche greche sono definite “tessitrici dei destini divini e umani”. I tre guna sono le dinamiche che caratterizzano il cosmo, ovvero, espansione, conservazione e riassorbimento.37 Nella simbologia metafisica islamica, legata alla cosiddetta “scienza delle lettere”, che in parte svolge la stessa funzione dell’iconografia occidentale, il nome di Adamo forma un triangolo, stilizzazione in un monte. Le lettere del nome di Eva invece ne formano uno capovolto. È la caverna, contenente il teschio, che appare nel piccolo rialzo che sostiene la croce in molte crocefissioni rinascimentali e barocche. Cfr. GIOVANNI GOLFETTO, Le origini precristiane del culto di San Sisto, in questo magazine.38 Il quadrato dell’espansione cosmica corrisponde il letto dell’unione dei principi complementari alchemici, Sole e Luna. Richiama il talamo nuziale “quadrato” di Ulisse realizzato su un ceppo d’albero, ma di esso parleremo più avanti. OMERO, Odissea, XXIII, 180-200.39 A. PAUPHILET, La queste du Graal, Parigi, 1923, pp. 137 e seg., citato in M. DAVY, Il simbolismo medioevale, Edizioni Mediterranee, Roma, 1999, pp. 267-269.40 Il Golgota, come “Luogo del cranio”, riporta ai molti miti della creazione. GIOVANNI GOLFETTO, Le origini precristiane del culto di San Sisto, in questo magazine.41 ROBERT GRAVES, RAPHAEL PATAI, Miti ebraici, Tea, Milano, 2003, pp. 73-74.

8

Page 9: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

a Gweir (figlio di Gwjstil) e a Owein [Galvano] (figlio di Urjen) è a caccia di un cavaliere che ha distrutto le mele alla corte di Artù42. Da ricordare che Avalon (Abalon) è associata al termine apple=mela (inglese). Essa sarebbe “l’isola delle mele” e questo richiama quelle delle Esperidi e all’Albero di Adamo ed Eva o più precisamente dell’Eden.

Snori (Gylfaginning XXVI)43, parlando dei segreti della poesia (suono creativo), la chiama “Soffio di Bragi” il dio nordico della poesia. «Sua moglie è Idhunn, che all’interno del suo nascondiglio di legno di frassino [l’Albero cosmico] veglia sulle mele che gli dei devono mordere quando diventano vecchi e cadenti e subito tornano giovani: questo continua così fino al Ragnarök».

[Il PILASTRO] - Nell’intricato carme scaldico Thórsdrápa (str. 9), Thor in viaggio, verso il paese dei giganti, deve superare un corso d’acqua accompagnato da Thjalfi che a questo punto si attacca alla sua cintura o alla correggia del suo scudo. Essi sono trascinati dalle acque impetuose fino a un albero di sorbo44.

Nella versione di Snorri, c’è sempre il fiume che s’ingrossa, ma dopo un conflitto con una gigantessa, Thor e il suo compagno giungono alla dimora di un altro gigante e il dio è fatto sedere su un seggio posto sotto una tettoia per capre (i suoi animali). Il sedile si solleva fino alle travi della capanna (sinonimo di crescere fino al cielo) e cade quando il dio colpisce con il bastone (equivalente al suo martello) le assi del tetto45. Nel precipitare il seggio spezza la colonna dorsale a due gigantesse. La schiena ha relazioni con l’asse e le costole con le travi di un tetto e il loro rompersi significa paralisi, incapacità di muoversi46.

La sedia che sale fino al tetto è Ullikumi, il Cristo sulle spalle di Cristoforo e Thor che attraversa il fiume con un compagno attaccato.

Per gli islandesi, Thor aveva attinenza con i pilastri. A lui chiedevano, dopo avergli fatto dei sacrifici, che inviasse dal mare un grande tronco, materiale di cui l’isola era sprovvista, con il quale realizzare il pilastro centrale della casa.

Nel grande poema finnico Kalevala vari simboli (asse, lancia, coppa, cosmo) sono riuniti nel misterioso sampo. Un contenitore magico dotato di un coperchio, cioè composto con due parti “separate” (cielo e terra-inferi) che ruota (eclittica) e macina senza sosta farina e sale. Esso è un contenitore e un dispensatore di abbondanza come la Coppa, ma tritura e distribuisce sia il positivo sia il negativo (notte-giorno). Il termine sampo sarebbe in relazione con il termine “sorreggere” e con parole quali “pilastro” e “perno”. Questa interpretazione troverebbe riscontro nella radice indo-aria stambhas, sanscrito stambhah “pilastro” e nel lituano stambas “gambo” di fiori e pianta, come i termini italiani “gamba” e “gambo” 47.

La Coppa

42 GABRIELLA AGRATI, MARIA LETIZIA MAGINI, op. cit., p. 216.43 BRIAN BRANSTON, op. cit., p. 156.44 E. O. G. TURVILLE-PETRE, op. cit., p. 109-119.45 Ibidem, p.112. Il martello di Thor, Miollnir, è accostato ai verbi islandesi mala (macinare) [mola] e mölva (schiacciare che è un’operazione della macina) . Il termine è simile al latino volvere (ruotare). 46 Capriata è il nome della struttura triangolare usata per sostenere il tetto. Questo, quando è privo di copertura ricorda una cassa toracica, dove la trave di colmo è simile alla colonna vertebrale, e ciò potrebbe spiegare la connessione con quelle spezzate delle gigantesse. Più in generale, nelle culture antiche, una costruzione era la rappresentazione sia del cielo sia di un essere vivente, il Megantropo o lo Zooantropo creatore.47 ELLAS LÖNNROT, Kalevala, Edizioni Mediterranee, Roma, 2010, pp. 36-37, nota n. 6.

9

Page 10: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

Essa appare in varie immagini antiche ed è associata al sangue di Cristo.Nell’Hávamál (138-139)48 è scritto che Odino fu appeso per 9 giorni e notti all’Albero e che raccolse le rune profetiche che uscivano dal suo corpo [come fossero del sangue]. Le rune (conoscenza, potere magico) sono il soffio divino che attraverso il sangue riempirà il Graal.

Nel politico di Gand (cattedrale di San Bavone), il sangue che zampilla dal costato di un Agnello mistico è raccolto in una coppa. Nel disegno di una crocefissione presente nei taccuini di Villard di Honnecourt, il fiotto riempie la coppa di Giuseppe d’Arimatea, personaggio del Graal. Così avviene anche nel Compianto di Cristo morto di Albrect Dürer, presente nella Alte Pinakothek di Monaco.

Nella Le Morte d’Artù di Malory si cita il Sangral quale sangue risanatore49, per cui “Santo Graal” è stato letto anche come “Sangue reale”50. Questa interpretazione è stata rafforzata dall’affidamento, riportato nei Vangeli, di Maria alla custodia di Giovanni. Cristo avrebbe detto: «Donna, ecco tuo figlio!». Ciò l’avrebbe poi ripetuto all'apostolo prediletto: «Ecco tua madre!». In seguito Maria avrà anche un altro protettore/custode, Giuseppe d’Arimatea. Quanto a Giovanni è spesso rappresentato con un calice in mano.

Nella Ynglinga Saga (IV)51, è narrata la creazione dell’uomo per mezzo dello sputo o del sangue (emissione divina) da parte degli dei nordici52. Essi creano Kvasir53, essere di grande saggezza, che

48 E. O. G. TURVILLE-PETRE, op. cit. p. 60.49 MALORY, op. cit., p. 105.50 Tutto questo ha portato al mito di una discendenza umana di Cristo. La conservazione per duemila anni di una genealogia senza una stretta endogamia fra i discendenti, che però porterebbe a tare genetiche, è piuttosto problematica. Nel tempo si sarebbe così diluita che in Occidente tutti o quasi potrebbero vantare una parentela con lui.51 BRIAN BRANSTON, op. cit, p. 161. 52 Invece di volervi vedere un prestito cristiano, andrebbe considerato che anche quanto narrato dalla Bibbia muoverebbe da una radice comune alle due narrazioni.53E. O. G. TURVILLE-PETRE, op. cit., pp. 53-59.

10

Page 11: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

fu ucciso da due nani, così con il suo sangue furono riempiti tre vasi che possono essere considerati sinonimo del Graal. Il liquido vitale fu mescolato al miele e così fu preparato un idromele magico, in seguito rubato da Odino (Snorri, Skáld. 4-6).Il mito di Kavasir serviva agli scaldi per spiegare il motivo per il quale la poesia era definita “sangue di Kvasir”, “acqua dei nani”, ”miele di Sutting”, o “santa coppa del dio del corvo” cioè Odino54. Questo perché era stata perduta la relazione fra i testi sacri recitati (poesia) e il suono primordiale creatore, com’è rimarcato per i Veda indù.

Il nome di Kavasir è associato al demone Kvase che avrebbe il significato di “spremere per estrarre il succo”. L’espressione si ritrova in India riguardo alla preparazione del soma. Il mito di Odino che ruba l’idromele ha un equivalente nel ratto del Soma indù da parte di Indra, che lo compì non in forma di corvo ma in quella di aquila55.

La TestaLa “testa tagliata” non è fra gli elementi che caratterizzano il ciclo arturiano classico, ma merita

dell’attenzione. Nel racconto di Peredur, nella sala in cui supera la prova dell’anello, è portata, da due uomini, una lancia gigantesca dalla quale calano tre rivoli di sangue56. Entrano quindi due fanciulle che recano un vassoio sul quale è posta una testa mozzata immersa nel sangue. A questo punto è rimarcata all’eroe la colpa di non porre la domanda, cioè di essere incapace di chiedere/comprendere il significato di tale apparizione. Quest’accusa è fatta anche a vari cavalieri arturiani57.

54 Ibidem, p. 55.55 Ibidem, p. 58.56 GABRIELLA AGRATI, MARIA LETIZIA MAGINI, op. cit., p. 224. La testa tagliata di un mostro si ritrova in un’altra avventura di Peredur (p. 243). Con la pietra magica ricevuta in dono, che permette di vedere lontano in una mano e la lancia nell’altra, il cavaliere entra nella grotta dell’Addanac, lo uccide e gli taglia la testa (come accade a Medusa). A quel punto i tre figli del Re dei Dolori gli offrono in sposa una delle tre sorelle.57 A Peredur questo, nel racconto, è rimproverato più volte. In un’avventura successiva diviene muto e contemporaneamente inizia a ingrigire e invecchiare. Il tutto è poi razionalizzato con l’aver fatto voto di non parlare prima di scontrarsi con il solito antagonista Kei. Questo gli chiede per tre volte da dove viene, ma l’eroe non gli risponde e l’avversario gli trapassa la coscia, per cui potrebbe essere visto come la copia del Re pescatore. GABRIELLA AGRATI, MARIA LETIZIA MAGINI, op. cit., p. 238.

11

Page 12: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

I rivoli di sangue che colano dalla lancia non sono un evento naturale, nella loro “abbondanza”, richiamano il concetto di fonte, come i quattro ruscelli che si dipartono dalla sorgente ai piedi del Frassino scandinavo o dal centro dell’Eden, dove c’è un altro Albero58. Il gigantismo della lancia la connette all’Albero e la Testa al mito di Mímir59.

Nel conflitto fra Vani e Ǽsir (Asi) a Mímir fu tagliata la testa60, essa fu poi inviata a Odino che la avvolse con delle erbe rendendola immortale. Su di essa il dio intonò dei canti magici che le conferiscono la capacità di rispondere a qualsiasi domanda e svelare ogni segreto.

Nella saga Gylfaginning (XV)61 è scritto: «Sotto la radice (di Yggdrasil) che volge verso i Giganti del Gelo c’è la Fonte di Mímir (si chiama Mímir colui che è posto a guardia della fonte). È pieno di sapienza poiché beve alla fonte che viene da Gjallarhorn. Il Dio Padre ci giunse per attingere alla fonte, ma non poté attingere prima di aver dato in pegno un occhio: così dice il Völuspá (str. 28)». Mímir quindi è dato come divinità precedente a Odino (il monocolo) anche perché di origine indoeuropea.

Per comprendere la “testa parlante”, bisogna ricordare un mito narrato più a sud da genti emigrate dall'Europa settentrionale e trascritto 1500 anni prima della versione scandinava. È quello della nascita di Atena-Minerva, sorta già armata di scudo e di lancia dalla testa di Giove62. Il cranio del dio sovrano del pantheon greco è aperto con un colpo di scure, perché esso non è altro che l’uovo cosmico. Il nascere dalla testa del dio le conferisce l’attributo di divinità dell’intelligenza, ma è una razionalizzazione apparente, deriva dall’onniscienza ancestrale del dio nordico e della parola quale forza-energia creativa.

Fra le caratteristiche iconografiche della dea, oltre alla lancia e alla pelle del serpente Ereteo63, sul suo scudo c’è la testa della gorgone Medusa64. La dea sarebbe stata concepita dalla gigantessa Meti fecondata da Giove che la inseguiva lungo le rive del lago Tritonio65. Al dio era stato predetto che un eventuale figlio, nato dalla titanessa, lo avrebbe detronizzato come lui aveva fatto con il

Nel ciclo arturiano questo accade presso il Re pescatore. Quanto al nome “Kei”, Kay è il fratellastro e antagonista, nell’estrazione della spada dall’incudine, di Artù nel Parzifal di Eschenbach, e con leggere varianti si ritrova in molti altri racconti.

È la moglie del figlio di Lohengrin, in altre narrazioni, a chiedergli il nome. Per rispondergli egli infrange il voto del silenzio ed è così costretto ad abbandonarla. ESCHENBACH, Parzifal, op. cit., cap. XVI.58 A questo si riferisce il simbolismo dei sentieri che si dipartivano dal pozzo al centro dei chiostri medievali, similare ai quattro canali che escono dalla vasca centrale del giardino persiano, il chahar-bagh.59 In un altro racconto del Mabinogion c’è la testa parlante di Bran, detta “Uther Benn” (Testa Meravigliosa) o “Urdawal Benn” (Testa Venerabile).

La testa tagliata è un elemento ricorrente nei racconti irlandesi, come quelle di: Lomna, Finn mac Cumaill, Donn Bò e Fergal mac Maile Dùin. Si ritrova nell’opera inglese Sir Gawayne and the Greene Knigth risalente al 1400. Teste separate dal corpo sono presenti nelle sepolture mesolitiche della Baviera. In Irlanda e Scozia la pratica rimase in uso anche nel Medioevo come, pure fino a tempi recenti, in Montenegro. BRIAN BRANSTON, op. cit. p. 162.60 Ibidem, pp. 161-165.61 Ibidem, p. 163.62 Anche Core sarebbe balzata fuori dalla testa della Madre terra aperta con un’ascia. ROBERT GRAVES, I miti greci, Longanesi, Milano, 1995, p. 38, nota 1.63 In ambito greco ai miti nordici si sovrapposero quelli concernenti la triplice divinità neolitica femminile che sovraintendeva alla nascita, all’amore e alla morte. La dea accompagnava i defunti nell’aldilà e da questo le derivano gli aspetti guerrieri e la civetta. Al rapace notturno era attribuito il compito di spolpare i cadaveri dei defunti esposti affinché le loro ossa fossero scarnificate prima della deposizione definitiva in un tumulo.64 Medusa, dalla chioma serpentina e dallo sguardo che trasformava in pietra chi la fissava, era la mortale di una triade di mostri preolimpici. La trattazione dei suoi attributi esula dalla presente trattazione, può essere detto solo che le Gorgoni sono la trasformazione di una triade creativa. 65 Il nome richiama la triplicità e, infatti, secondo altri miti Minerva/Atena avrebbe fatto parte di una triade di sorelle.

12

Page 13: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

padre Crono e così inghiottì Meti. La gigantessa dal suo ventre gli dava saggi consigli 66, aspetto che richiama la capacità della testa Mímir.

Il Re PescatoreIl Re pescatore, in realtà è alternativo ad Artù, o meglio con lui il regno è “risanato” mentre nella

Bretagna arturiana ciò avviene solo per breve tempo, dove le vicende finiscono con guerre fratricide. La causa della rovina e sterilità del regno del Re pescatore è legata alla coscia ferita. Lui e il paese saranno risanati solo grazie al ritrovamento del Graal. La simbologia del pescatore e della nave (incontrata con Salomone) non è specifica del cristianesimo, perché c’è corrispondenza fra Lancia e il tridente di Visnù67. Egli, nei miti indù relativi al Diluvio, è il Pesce che trascina l’arca.

66 ROBERT GRAVES, op. cit., pp. 37-38.67 Suo attributo è il tridente, nelle cui tre punte possono essere visti i “tre mondi”, cielo, terra e inferi o le tre forze che organizzano la creazione.

13

Page 14: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

Anche Cristo, come Visnù, è visto in relazione al pesce, mentre l’arca richiama Noè68. La sterilità, che accompagna il Re pescatore, sarebbe più chiara se la ferita riguardasse i genitali e ciò la porrebbe, come narra Esiodo, in relazione con Saturno evirato da Giove. L’evento permise il dispiegarsi del tempo e l’estrinsecarsi della creazione. Saturno è ritenuto il “re” della prima età dell’umanità, quella denominata dell’oro, inoltre era ritenuto il dio dell’agricoltura, cioè dispensatore di fertilità e abbondanza.

Un personaggio simile si trova in Omero: è Ulisse. Lui e Penelope sono i simboli del giorno-notte o Sole-Luna. Non a caso Penelope disfaceva di notte quello che aveva fatto di giorno e in questo è omologa alle Parche tessitrici dei destini. Fra i vari miti greci a lei collegati appare anche con il nome di Arnea l’anatra (cosmica) e compone una triade con le sorelle Elena e Clitennestra. Secondo quanto narrato nell’Odissea, i suoi pretendenti erano 108 che è un numero collegato al Grande anno cosmico.

Ulisse al ritorno, inoltre, si rifugia da Eumeo69 guardiano di 360 stalle di maiali. Il maiale o meglio il verro (cinghiale) porta al nome dell’indiano Varuna=Uranos, e Ulisse da giovane era stato ferito a una coscia da quell’animale70. Come il Re pescatore, oltre alla ferita alla coscia, durante la sua assenza il suo regno è in preda al caos e i suoi beni divorati dai sopradetti 108 pretendenti della moglie. Egli inoltre è in relazione con il mare ed è “ostacolato” da Nettuno-Posidone, il cui animale era il cavallo che aveva suggerito di costruire per entrare a Troia. Nei poemi omerici l’eroe è definito “enosigeo”, cioè avente i capelli e la barba colore del bronzo/rame, e questo è un appellativo di Posidone. Riguardo al cinghiale, il cronachista cinquecentesco Giovanni Bonifaccio, nella Istoria di Trivigi71, ricorda che in epoca romana a Belluno era stato sconfitto il cinghiale Veruno. C’è, inoltre, qualche studioso che accosta il nome di Verona a Varuna.

L’Anno, il Mulino, l’Anello e gli Scacchi [L’ANNO] - Le vicende gallesi di Peredur iniziano con la fuga della madre e di lui bambino in

un luogo selvaggio e desolato, dove diviene il custode di un gregge di capre 72. Due di esse destano attenzione del ragazzo perché sono curiosamente prive di corna. Questo ricorda il versetto dell’Aitareya Brāhmana, dove si parla della marcia degli aditya: «Le vacche desiderose di ottenere zoccoli e corna, si riunirono per ottenere un sacrificio. Al decimo mese di esercizio rituale, ottennero zoccoli e corna…». Se fra i due racconti c’è un nesso, questo indica che la loro origine è molto antica e geograficamente non può essere riferita all’Irlanda celtica.

68 Noè sarebbe la contrazione di Manu, il mitico portare delle leggi agli uomini e il progenitore dell’umanità in ambito indù, in quanto è il primo essere umano uscito dall’arca dopo il diluvio. Il suo nome è simile a quello di altri grandi legislatori mitici, come Minosse e Mosè.69 Eumeo è un servo, ma è spesso definito il “divino porcaro”.70 OMERO, op. cit., XXII. 218.71 GIOVANNI BONIFACIO, Istoria di Trivigi, Venezia, 1744, p. 12.72 AGRATI, MARIA LETIZIA MAGINI, op. cit., p. 215. Esse sono l’attributo di Thor e del doppione di Indra, Pūsan, uno degli aditya.

14

Page 15: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

Il simbolismo annuale ritorna in modo più esplicito in altre parti delle avventure di Peredur. Esso è legato al numero 300, diviso talvolta in tre centinaia73. La cifra, per essere così spesso ripetuta e aver dato luogo a tanti racconti, doveva sollecitare la fantasia antica. In genere è riferita a un “combattimento” o a una “giostra” di guerrieri, ma in realtà riguarda lo scorrere dei giorni in relazione a un “calendario di 10 mesi da 30 giorni, come ricorda il nostro “dicembre”74.

L’alternanza del giorno e della notte assume aspetti curiosi nell’avventura in cui parla di due greggi di montoni, uno è bianco e l’altro nero, divisi da un corso d’acqua. Quando da una parte si bela, un animale dell’altro gruppo attraversa il corso d’acqua e giunto sull’altra riva muta di colore. Se era bianco diventa nero e viceversa; ciò richiama il giorno-notte delle “vacche solari” del mito indù.

Il dualismo è completato dall’albero, sulla riva del fiume, che da una parte è ardente e dall’altra verde75.

Riguardo l’anno, Geoffroy di Monmouth (XII secolo) nella sua storia del regno di Bretagna antepone, alle vicende di Artù, la vita di San Patrizio76. Al santo, che convertì l’Irlanda al cristianesimo, conferisce caratteristiche cosmologiche. Gli attribuisce la resurrezione di nove defunti77, l’aver scritto 365 raccolte di salmi, fondato 365 chiese e ordinato 365 sacerdoti e inoltre convertito a Conacth dodicimila uomini. La soprannaturalità del santo si estenderebbe al suo sepolcro che è detto essere stato occultato.

73 Le avventure dove a tali cifre ritornano in Peredur sono variei. Cfr. GABRIELLA AGRATI, MARIA LETIZIA MAGINI, op. cit., pp. 228, 229, 241, 244, 245.74 L. G. B. TILAK, La dimora artica nei Veda, Edizioni Culturali Internazionali Genova (ECIG), Genova, 1986.75 Il dualismo riguarda anche l’albero dell’Eden che è definito del “bene e del male”. La parte fiammeggiante di quello visto da Peredur, ricorda, senza essere un prestito biblico, il Roveto Ardente presso il quale Mosè ricevette le Tavole della Legge.76LEOPOLDO MOSCHELLA, I veda di Artù, ed. Simmetria, Roma, 1999, p. 54.77 Ibidem, p. 57.

15

Page 16: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

In Malory78 l’aspetto annuale e cosmico dell’estrazione della spada è indicato dall’avvenire il giorno di Natale, cristianizzazione del solstizio o inizio dell’antico anno, anche se tutto poi è spostato alla Pentecoste, cioè dal solstizio d’inverno a quello d’estate. Nel frattempo la pietra è coperta con un padiglione (tenda circolare) sorvegliata da 5 guerrieri di giorno e altrettanti di notte (alternanza buio-luce). I 10 cavalier con Artù e il fratellastro Kay in realtà sono 12. Quanto alla successiva incoronazione di Artù, quale rinnovamento cosmico, è accompagnata dall’amnistia delle colpe79.

Nel Roman de Merlin, la spada nella roccia è posta presso il “Cerchio dei Giganti” (Chorea Gigantorum)80. La Tavola attorno alla quale siedono i paladini è rotonda ed essi sono 12. Talvolta è definita rotante aspetto in relazione con la ciclicità celeste. A San Galgano, Montesiepi (Siena), la spada è posta in un tempietto/chiesa circolare avente la cupola a fasce chiare e scure alternate.

Nel Nuovo Titurel81, scritto fra il 1260 e il 1270, il Graal è custodito in un tempio posto su un monte che in realtà è cosmico. Il castello sul Montsalvat, prima di posarsi su di esso, era sostenuto in aria da angeli invisibili82. La fortezza-tempio è dotata di 72 cori o da 22 + 2 = 24. Settantadue è un numero cosmico fondamentale. Sono gli anni che il punto vernale dell’equinozio di primavera impiega per spostarsi di un grado lungo l’eclittica. L’intero periplo dura circa 29 920 ed entra nelle speculazioni dei cicli storici di molte tradizioni antiche. Secondo quanto scritto da Malory, la Tavola Rotonda sarebbe stata costruita a immagine del mondo e in essa l’intero universo, terrestre e celeste troverebbe riparo83. In altri testi, dello stesso ciclo narrativo84, è fatto riferimento al corso degli astri e alla rotazione del cielo rispetto a un centro immobile, non a caso i cavalieri della Tavola Rotonda, o almeno i migliori di loro, sono in numero di dodici85. La Tavola è rotonda ed è detto spesso che sta in un’isola che trema o ruota, di vetro, bianca, occidentale o è un castello in perenne movimento, tutti aspetti che richiamano il simbolismo polare e il cardine/asse.

La numerologia annuale, come detto, torna più volte in Peredur. Nell’avventura dell’Altura Dolorosa attorno ad essa è avvolto un serpente nero. Esso è il Fiume (eclittica) che circonda la Montagna cosmica, ma può rappresentare, se avvolto sette volte, i Cieli. Anche i 300 guerrieri che stanno attorno alla contessa sono i giorni dell’anno e susseguendosi ciclicamente è come se le fossero avvolti attorno. La contessa e l’altura da una parte, i guerrieri (300), i padiglioni (300) e il serpente dall’altra sono omologhi86.

Poco più avanti nel racconto, l’eroe combatte un altro serpente di cui 100+100+100 cavalieri si

disputavano il diritto di uccidere, ma sono preceduti da Peredur87.

78 MALORY, op. cit., p.36.79 Ibidem, p. 40.80 NUCCIO D’ANNA, op. cit.81 ALBRECHT von SCHARFENBERG, Nuovo Titurel, in HENRY CORBIN, L’immagine del tempio, Paolo Boringhieri, Torino, 1983, pp. 237-238.82 L’immagine riprende i versi dell’Apocalisse giovannea. «L’angelo mi trasportò in spirito su un monte grande e alto, e mi mostrò la città Santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo…» (Ap. 21, 10). Il castello cosmico e la città sul monte sono omologhi della Gerusalemme celeste o dell’Eden dantesco sulla cima del monte Purgatorio.83 MALORY, Morte Darthur, XIV, 2, in JULIUS EVOLA, Il mistero del Graal, ed. Mediterranee, Roma, 1972, p. 37.84 Cfr. F. KAMPERS, Das lichtland der seeler und der heilige Gral, Köln, 1916, in JULIUS EVOLA, op. cit., pp. 30-3185 Il simbolismo impiegato è anteriore al cristianesimo: 12 sono i troni del Midgard, 12 i supremi dei olimpici, 12 i ceppi del centro delfico, 12 i littori romani, 12 i conti palatini di Carlomagno e 12 i componenti del Collegio dei Salii romani.86 GABRIELLA AGRATI, MARIA LETIZIA MAGINI, op. cit., p. 241.87 Ibidem, p. 245.

16

Page 17: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

[Il MULINO] – Fra le molte avventure, Peredur, a un certo punto, prende all’alloggio e si fa

finanziare, per partecipare a una giostra, da un mugnaio “capo di tanti mulini”. Per questo è subito

denominato il «Cavaliere del Mulino»88. Alla fine, dopo momenti d’inerzia in cui è rimproverato dal

mugnaio di sprecare i suoi soldi senza fare nulla, vince il torneo e governa con l’imperatrice per 14

anni (metà del “mese” lunare di 28 giorni o i 7+7 mondi). L’asse del mulino simboleggia quello

attorno al quale ruotano i cieli.

Nella leggenda di Galgano, San Michele, sotto le sembianze di cavaliere, lo porta sotto un ponte sovrastato da un mulino: «… il quale si rotava e volveva… Poi parveli di entrare sotterre e venire in monte Siepi, nel quale trovava dodici apostoli in casa ritonda»89.

Il mulino si ritrova anche nelle vicende di Anlódi (Amleto) dove la macina è girata da 9 fanciulle gigantesche90. Secondo lo scaldo noreno Snæbjörn, citato da Snorri Sturluson (Scáldskaprmál =Dialogo sull’arte poetica, 34), l’oceano è un mulino perché i vortici marini sono simili al perenne movimento del cielo che genera le ere e alla fine tutto è ingoiato nelle profondità abissali.

Quanto a Fródi, al quale corrisponde l’età dell’oro, egli aveva due macine enormi e quella chiamata Grotti (Frantumatore), era mossa da due gigantesse, macinava qualsiasi cosa. Un giorno, dopo guerre e devastazioni, le fu ordinato di triturare non più l’oro ma solo del sale (amarezza, sterilità)91.

[L’ANELLO] - Peredur, nel suo peregrinare, giunge a un castello il cui proprietario è un vecchio zoppo e qui per tre volte deve tagliare con la spada un anello appeso92. Nell’azione sia l’anello sia la sua daga si spezzano, ma subito tornano integri.

Bragi (scaldo del IX secolo), nel suo Ragnarsdrápa, descrive la lotta di Thor contro Mithgrddlsorum (o Jörmungand) definito “l’orribile cintura del mare”. Questo era stato catturato dal dio con una lenza, ma il gigante che lo accompagna, preso dalla paura, la taglia prima che Thor schiacci la testa del serpente con il suo martello. Il mostro ad anello è il “Fiume oceano”, la cintura cosmica o l’eclittica del firmamento93.

In un’altra avventura, Peredur giunge a un castello. Là incontra due gigantesse e una di loro gli dice che l’indomani, nella «Valle Rotonda», dovrà scontrarsi con i giganti di suo padre, lo smisurato custode dai capelli grigi del maniero94. I giganti sono un elemento tipico dei miti scandinavi. Sconfitti i titani uccide l’ennesimo serpente gigantesco. Questo è coricato su un anello e attorno per 7 miglia non ci sono esseri viventi (il “regno devastato”). Lo uccide e s’impossessa dell’anello 95. Il racconto ricorda quello dei Nibelunghi e il drago, ucciso da Sigfrido (Sigurt), il cui sangue in alcune versioni dava invulnerabilità.

88 Ibidem, pp. 246-247.89 LEOPOLDO MOSCHELLA, op. cit. p. 27.90 GIANNA CHIESA INARDI, I miti nordici, Longanesi, Milano, 2006, p. 183.91 Ibidem, p.181.92 Ibidem, pp. 222-223.93 E. O. G. TURVILLE-PETRE, op, cit., pp. 105-106.94 GABRIELLA AGRATI, MARIA LETIZIA MAGINI, op. cit., p. 236.95 Ibidem, p. 237.

17

Page 18: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

[La SCACCHIERA] – Anche Peredur si “scontra” con il gioco degli scacchi96. Egli assiste a una partita dove i pezzi si comportano come se fossero viventi e combattono da soli. Irritato a tale vista, li getta nel lago, ma è subito rimproverato dalla dama nera perché agendo così ha danneggiato l’imperatrice; per rimediarvi dovrà riconquistare la scacchiera.

Questo gioco, o meglio la scacchiera quadrata con le ripartizioni bianche e nere ricorre spesso nel ciclo arturiano. La sua presenza nei racconti non si deve imputare semplicemente alla sua diffusione come gioco fra i nobili. Qui appare legato al lago in cui è gettato, gesto omologo alla restituzione della spada. Riguardo quest’oggetto quadrato, dotato di 64 caselle, faremmo solo un richiamo. Nella Völuspá (str. 61) le “tavole d'oro”, il gioco degli Asi nordici, durante il Ragnarők, sono sparse per terra, e saranno nuovamente raccolte da Baldr nella nuova era, quando le distruzioni dovute al Lupo Fenrir saranno emendate e il mondo tornerà verde.

Galgano gioca a scacchi con un avversario invisibile che ha le pedine d’oro, mentre le sue sono d’argento. Egli è sconfitto tre volte di seguito, per rabbia, anche lui fa a pezzi la scacchiera e poi

96 Ibidem, p. 255.18

Page 19: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

cade in preda al sonno. Il giorno dopo quando si sveglia non trova nessuno nel castello97.Parsifal invece è guidato al castello degli scacchi da un bracco e, dopo aver consegnato la testa

del cervo98, ottiene i favori della padrona del maniero.

Le Nove streghe o Muse

Nel racconto di Peredur, l’eroe trova soggiorno ed è istruito dalle 9 streghe di Caer Lioyw99. Per comprendere la loro funzione di educatrici, aspetto compiuto da altre maghe mitiche del

ciclo arturiano, bisogna riferirsi alle muse (in origine 3), dalle quali in Grecia discendevano le 9 arti. Come appare in un’incisione rinascimentale esse corrispondono al numero dei cieli che discendono da Apollo. Questi nella rappresentazione scendono per mezzo di un serpente a tre teste fino agli Inferi, asse cosmico. Nel Medioevo esso fu considerato diabolico e come il triforme Lucifero (“Portatore di luce”, il nome latino del pianeta Venere all’alba).

L’uccisione delle streghe, alla fine del racconto di Peredur 100, è giustificata dal triplice atto

97 C. POTVIN, Perceval li Gallois, pp. 125-126, in, Le Conte du Graal, Mons, 1866-1871, cfr. JULIUS EVOLA, op. cit., p. 128.98 Ibidem, p. 129. Fra le divinità celtiche c’era Cernunnus, rappresentato con un palco di corna cervine e ritenuto il padre di tutti gli esseri viventi.99 GABRIELLA AGRATI, MARIA LETIZIA MAGINI, op. cit., pp. 230-231.100 Ibidem, p.258.

19

Page 20: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

malvagio di una di esse. Qualcosa di analogo si ritrova nella Völuspá101. Sono le strofe in cui Gullveig è uccisa tre volte con la lancia e bruciata, ma risorge ogni volta. Dopo queste rinascite è chiamata Heidh ed è definita sibilla, saggia profetessa che canta le rune incise sulle bacchette di legno (le sorti) con cui si fanno anche gli incantesimi. A questo punto l’atteggiamento nei suoi confronti inizia a capovolgersi (str. 22) perché è detto: «essa fa sempre la gioia di donne malvagie».

Il Ponte e l’abisso

In Eschenbach, Parsifal si scontra con un villano che tiene un ponte e lo uccide102. La gente del villaggio, al di là del corso d’acqua lo rimprovera: «Messer cavaliere, peggior danno di questo non vi siete mai fatto, perché avete ucciso il principale portiere del nostro castello». La funzione del dio custode è più complessa di quanto mostrano queste vestigia narrative, essa ha anche un significato sociale e storico103.

Peredur invece arriva a una valle o pianura in cui ci sono case nere e cadenti (la terre guaste). Lì vicino c’è una roccia acuminata (monte) a ridosso della quale si apre un abisso custodito da un leone incatenato. L’eroe uccide la belva, ma deve tagliare la catena per far cadere il corpo dell’animale nel baratro. L’immagine richiama immediatamente il lupo Fenrir che spezza, all’inizio del Ragnarök, ciò che lo imprigiona. Esso dovrà essere nuovamente incatenato per porre fine all’era e dare inizio al nuovo ciclo.

Anche San Patrizio è legato al mito del pozzo senza fondo e nel Purgatorium, scritto dal monaco irlandese Enrico di Saltey attorno al 1150, Owain (Galvano) esplora un abisso con tale nome.

Heimdall, nel Gylfaginning (XV) e nel Breve Völospá (35)104, è il custode del ponte di Bisfrost (Bilrost), l’arcobaleno. Il ponte tremolante, nel senso di colore cangiante, che collega la terra al cielo e che egli difende contro l’assalto dei giganti. È la sentinella sempre vigile, pronta a chiamare con il corno gli uomini e gli dei alla lotta contro le forze oscure.

Heimdall, secondo Dumézil, corrisponderebbe all’indiano Vayu e ancora di più al romano Giano105. Quest’ultimo come guardiano-custode è rappresentato con due chiavi che corrisponderebbero al solstizio d’inverno e d’estate. Egli ha un omologo in San Pietro, altro portatore di chiavi, che dalla tradizione popolare è ritenuto il portiere del Paradiso. Nelle rappresentazioni del Giudizio Universale una chiave, alla fine di ogni era, chiude l’Abisso per “mille anni” (Apocalisse 20, 1). In tali rappresentazioni un angelo tiene la catena del dragone che deve essere nuovamente imprigionato, come deve essere fatto dopo il Ragnarök con il lupo Fenrir.

101 E. O. G. TURVILLE-PETRIE, op. cit., pp. 208-209.102 ESCHENBACH, op. cit., pp. 281-283.103 L’oscura strofa 27 della Völospá definisce gli uomini come “figli di Heimdall”, la vicenda è meglio precisata nel Rígstula, perché il racconto è legato all’origine delle classi sociali.

Thor, con il nome di Rigr, visita tre coppie dalle quali nasceranno i capostipiti di ogni classe. Quello della prima è scuro ed è il progenitore dei servi-lavoratori, della seconda non è precisato il colore, ma da lui discendono gli uomini liberi, infine, dal figlio della terza coppia, chiaro di capelli e pelle, deriverebbe la nobiltà. Ciò ha un parallelismo in ambito indù, dove l’organizzazione sociale ha relazione con il corpo del dio creatore e a ogni classe corrisponde un colore. Il termine varna, che le definisce, significa appunto: colore.

Per quanto riguarda il significato storico, il “custode” è in relazione al decadimento ciclico delle società dovuto al tempo.104 E. O. G. TURVILLE-PETRE, op. cit., p. 198.105 Ibidem, p. 203.

20

Page 21: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

Il Veneto e il ciclo del Graal

Per quanto riguarda gli aspetti territoriali del mito del Graal, essendo stato visto come un prodotto del mondo celtico, non si è notato che anche in Italia ci sono località che si richiamano da antica data a esso.

La più famosa è San Galgano, Montesiepi (Siena), dove c’è una spada infissa in un masso. Il nome Galgano, le cui varianti nordiche sono: Gawein, Galahad, Owein e Yvain, appartiene pienamente al ciclo del Graal.

A Vercelli c’è un Castel Merlino, mentre Morgano, come il nome della sorellastra di Artù il cui mito si ritrova in Sicilia, è una località in provincia di Treviso.

Per quanto riguarda i luoghi in cui sarebbero avvenute le gesta di Artù, la foresta di Breziljan rifugio di Merlino, si troverebbe in Normandia. Secondo Geoffrey di Monmouth (XII secolo) la legenda di re Artù aveva le sue radici in Armorica (Bretagna)106. Fra i 23 siti leggendari del Galles, legati al ciclo arturiano, venti si collocherebbero nella Venedotia (o Gwynedd, Galles settentrionale) o nel Gwent (Galles meridionale).

Le due zone dell’Inghilterra sono connesse alla conquista della Gallia da parte di Giulio Cesare. Più precisamente sono in relazione alla distruzione delle popolazioni dell’Armorica, in particolare dei Veneti della Bretagna. Parte di essi, essendo dei navigatori, sfuggi alla sconfitta romana e si rifugiò in quello che poi sarà il Galles107. Ne parla Tacito (Annali, XIV, 29-30) e Strabone cita appunto i Veneti dell’Armorica (Bretagna).

In Bretagna ci sono molti toponimi che iniziano con “Tre…” o “Tri…”, come pure nel Baltico (Triglav), quest’ultimo significherebbe “Tre-teste” 108 o “Tre-viso”.

Popolazioni conosciute anticamente con il nome di “Veneti” si ritrovano in più di una zona dell’Europa, fra cui la Bretagna, il Veneto e il lago di Costanza. Tutti essi si sarebbero mossi da una

106 Goffredo di Monmouth, Wikipedia.107 PIERO FAVERO, La dea veneta, Cierre grafica, Verona, 2009, p. 113.108 Ibidem, op. cit., p. 101.

21

Page 22: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

regione attorno al mare Baltico attorno a 2000 a. C. In realtà le direttrici della loro migrazione sono le stesse seguite, 2500 anni dopo dai Vichinghi o Normanni (Nord-man=uomini del nord). Questi giunsero appunto in Normandia, in Italia meridionale e, scendendo lungo i grandi fiumi russi, fin quasi il mar Nero109 dove era arrivata la precedente migrazione. Secondo la tradizione romana di Enea e quella cinquecentesca di Padova (Antenore), quelli più antichi sarebbero arrivati nel Lazio e nell’Alto Adriatico110.

Wikipedia, alla voce Veneti (25/2/2011), dichiara che sue varianti storiche sono: Veneti (Venetici), Heneti ed Eneti.

Tacito parlava di Veneti, Venedi e Venedae. Pomponio Mela cita il lago di Costanza come Venetus lacus e Plinio ricorda i Venetulani quale popolo ormai scomparso del Lazio e in qualche modo legato a Enea. Ciò riporta alla tradizione di una comune provenienza dalle sponde del Mar Nero (Turchia settentrionale) per Latini e Veneti. Nel Cinquecento a Padova si pretendeva che i suoi abitanti fossero i discendenti di quelli che avevano seguito fino a là il troiano Antenore. Non può essere casuale che, nel 1313, il novello libero Comune di Treviso permettesse che la Loggia militum o di San Michele fosse decorata con scene tratte dal Roman de Troie111.

Circa quarant’anni dopo nella chiesa di Santa Margherita a Treviso fu dipinto, da Tommaso da Modena, il ciclo di Santa Orsola che, come detto, è in relazione con Artù.

Il nome Enea è simile alla parola latina per bronzo/rame (aenea). Nei racconti omerici l’epiteto di enosigeo è riferito a Ulisse e a Netuno-Posidone, quello cioè dai capelli e dalla barba “rossi”, colore che non poteva essere proprio dei bruni mediterranei.

La frequenza dell’etnomino “Veneti”, in diverse aree europee, per alcuni autori non andrebbe (non si sa perché) spiegato come il risultato di una migrazione da una regione comune, ma piuttosto con l’impiego di una medesima radice proto europea: *wen (amore). Secondo questa interpretazione, i Veneti (Wenetoi) sarebbero gli “amati". Per Giacomo Devoto112, l’etnico *wenwt invece avrebbe un significato opposto, cioè “di conquistatori, organizzatori-realizzatori o vittoriosi”.

Non si comprende, seguendo soprattutto il primo ragionamento, perché genti in aree diverse anche linguisticamente avrebbero usato casualmente la stessa radice fonetica per definire quelli che probabilmente erano degli invasori (per quanto pacifici)113. Soltanto questi, in aree diverse potevano definirsi con lo stesso termine.

Migrazione che secondo il Devoto e i linguisti che ipotizzano la parentela fra latino e venetico sarebbe iniziata fra i XX e il XV secolo a. C. partendo da un’area centro o centro-orientale dell’Europa. Secondo altri studiosi, invece, il luogo sarebbe da localizzare nell’area baltica.

La lingua venetica, ritenuta vicina al latino, sarebbe poi stata scritta con caratteri derivati dall’etrusco. La sua traslitterazione in lettere latine moderne la rende tuttavia poco simile al latino. Le parole così desunte non hanno lasciato traccia nel dialetto in cui tornano termini prossimi al latino e talvolta alcuni imparentati con il sanscrito.

Altri studiosi hanno rimarcato la notevole somiglianza fra l’antico alfabeto venetico e le rune

109 Ci sono tracce di mercenari Vichinghi al servizio degli imperatori bizantini.110 Altri racconti mitici parlano dei congiunti di Medea, principessa di quelle terre, approdati in Istria.111 ENRICA COZZI, Temi cavallereschi e profani nella coltura figurativa trevigiana dei secoli XIII e XVI, in Tomaso da Modena, a cura di LUIGI MENEGAZZI, edizioni Canova, Treviso, 1979.112 Riportato in Raixe Venete, magazine on-line (25/2/2011)113 Quanto al contrasto fra i “conquistatori” del Devoto e gli “amichevoli” è da ricordare che le parole mutano progressivamente di significato e finiscono con lo acquisirne talvolta uno opposto.

22

Page 23: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

nordiche114.Riguardo ai legami dei Venetici con l’area baltica è da ricordare la presenza dell’ambra negli

insediamenti villanoviani e veneti, materiale che non si ritrova con altrettanta abbondanza nelle culture limitrofe. Odino, inoltre, nella Valsunga Saga115 è descritto portare un capello a larghe tese, un mantello blu ed essere un auriga. Sembra la descrizione dei patriarchi o sacerdoti degli antichi Veneti che sono rappresentati con un capello simile. Gli autori classici, inoltre, dicono che il colore preferito da questa popolazione era il blu-azzurro e che erano rinomati allevatori di cavalli.

Treviso e il Graal

114 GIORGIO RAIMONDO CARDONA, Storia universale della scrittura, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1986, p. 215.

Le più antiche iscrizioni runiche su pietra sono tuttavia datate al II o al III secolo d. C. Esse comparirebbero quindi qualche secolo dopo l’abbandono più a sud di alfabeti simili. Non va dimenticato che nelle saghe si cita in continuazione il loro uso sulle sorti di legno, di cui non rimane traccia

L’archeologia ha rivelato che i romani in Inghilterra scrivevano normalmente su tavolette di legno, ma nell'Europa settentrionale anticamente sembra si scrivesse anche sulla scorza di betulla.115 E. O. G. TURVILLE-PETRE, op. cit. p. 158.

23

Page 24: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

Proprio a Treviso si trovano curiose tracce di tradizioni legate alla “mitologia del Graal”. Ciò diviene più facile se l’origine di queste si fa derivare dalla famosa provenienza baltica di una parte della popolazione che, dopo il X secolo a. C., s’insediò nel Veneto.

Abbiamo già citato Morgano, in relazione con Morgana, la sorellastra di Artù. Non casualmente nel sito internet del comune di Morgano (TV) è detto che la tradizione popolare lo fa risalire l’origine del nome della località a una figura femminile, Murgania. Questa è messa in relazione con una divinità (Venere) e ciò potrebbe essere il vago ricordo di un culto precristiano nel quale si sono fuse due diverse tradizioni116.

A Camalò, frazione del comune di Povegliano117, la tradizione popolare racconta di un pozzo che giungeva al centro della terra. Altre versioni lo collocano in “mezzo” a un bosco o meglio al centro del mondo118 e questo lo qualifica come asse cosmico.

Il nome della località ricorda le “case malandate” (malate) di Peredur119 poste vicino all’abisso in cui fa precipitare il leone incatenato. È la voragine in cui è racchiuso Fenrir il lupo del Ragnarok o il drago-demonio dell’Apocalisse, che ogni “mille anni” spezza la catena e ciclicamente devasta il mondo.

In Perlesvaus o Il Nobile libro del Graal120 è narrato che il castello della sorella del Re Pescatore

(detentore del Graal), detta la Dama Vedova, si chiama Camaalot. Camelot è anche il nome della

residenza di Artù, il suo luogo di pace, dove sta la Tavola Rotonda (asse cosmico) con dodici seggi.

Nei suoi pressi del caspello della Dama Vedova c’è la tomba del defunto marito che si aprirà

solo quando giungerà il figlio perduto, Perlesvaus, del quale in tale modo rivelerà l’identità.

Dei molteplici significati simbolici di tale evento, tralasciando le uccisioni cicliche dei re arcaici

raccontate dal Fraser nell’enciclopedico Ramo d’oro, accenno solo ai rituali mitici di Atis-Cibele,

Adone-Afrodite, Tammuz-Inanna o Iside-Osiride visti come propiziatori della rinascita annuale

della natura121.

L’apertura della tomba e il ritorno dell’erede rappresentano un rinnovamento della natura

(mondo) che, nel regno del Re Pescatore (guasto/malato), è bloccato dalla sua ferita e

dall’incapacità degli eroi, che ci giungono, di conseguire il Graal ponendo la “domanda”. C’è

quindi una stretta correlazione fra il regno-castello del Re e della Dama e della terra o case guaste-

malate che stanno nei loro pressi.

Abbiamo già parlato di Camalò e le sue relazioni con il pozzo che giunge al centro del mondo o

“pozzo al centro del mondo”. Ricorda i vari castelli “rotanti” o “mulini”, con il significato di asse

116 Prestando attenzione alla casualità delle corrispondenze in questo comune, alla fine del XVII secolo, in una zona di proprietà della famiglia veneziana dei Badoer (che diede il nome alla località), a cavallo di una via, fu costruita la doppia esedra di un mercato circolare, forma che si ritrova spesso nel ciclo arturiano.117 OTTORINO SOTTANA, Il comune di Povegliano visto dalla storia, ed. Tipo-lito Tintoretto, Treviso, 1989, p. 169.118 Infruttuose sono state le ricerche da parte degli storici di ritrovare nei documenti medievali attestazioni atte a confermare che il toponimo Camalò si doveva a un lazzaretto o simile. Tenendo conto della deriva di significato delle parole, se quel luogo era dedicato a una divinità salutifera, la reazione cristiana contro le pratiche antiche finì con il fargli acquisire un significato negativo.119 GABRIELLA AGRATI, MARIA LETIZIA MAGINI, op. cit. p. 235.120 La leggenda del Santo Graal” a cura di GABRIELLA AGRATI, MARIA LETIZIA MAGINI, Oscar

Mondadori, vol. II, p. 397 e p. 686.121 Nel parallelismo dei miti è da ricordare che i Massoni si definiscano i “Figli della Vedova”, come se fossero Perlesvaus, il rinato.

24

Page 25: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

cosmico, descritti nei racconti del ciclo graalico. Questo vale anche per l’isola di Avalon nella

quale è portato Artù morente in attesa del suo ritorno [apple = mela, Isola delle Esperidi, mele

d’oro]. L’interpretazione toponomastica di Camalò: “case malate/guaste”, è l’attributo o la

situazione in cui versa il regno del Re Pescatore.

Bisogna tener conto che nel tempo, a causa delle dimenticanze, delle incomprensioni e di

sviluppi involontari, i narratori hanno colto e sviluppato di volta in volta solo alcuni aspetti del mito

originario. A renderne l’interpretazione ancora più eterogenea i diversi svolgimenti sono in seguito

confluiti nuovamente nello stesso corpus narrativo. Nell’esservi accolti hanno subito ulteriori

alterazioni al fine di darvi coerenza secondo la logica culturale del periodo nel quale ciò è stato

fatto.

Le caratteristiche mitiche dei due luoghi, quello narrato nei racconti del Graal e quello nel

comune di Povegliano, hanno una stretta corrispondenza anche nel nome: Camaalot e Camalò.

L’apertura della tomba del consorte della Dama Vedova e il riconoscimento di Perlesvaus, che

adombrano il suo risorgere a nuova vita, definiscono un luogo salutifero o di guarigione, come

poteva avvenire anticamente nella zona di Camalò. Riguardo a ciò, un parroco, al principio

dell’Ottocento in una lettera al vescovo di Treviso, lamentava che la terra del cimitero non

consumava i morti122. Se il fenomeno era stato osservato anche in altre epoche, la stasi in cui

giacevano i corpi era in sintonia con l’attesa del ritorno di Perlesvaus o di Artù.

Va anche rilevato che il Re Pescatore (detentore in primis del Graal), visto come il “Sole”, ha

una corrispondenza femminile o lunare nella Dama Vedova che risiede in Camaalot123.

Nel trevigiano non mancano neppure i riferimenti diretti al nome di Artù. Esso era in uso fra gli

122 OTTORINO SOTTANA, op. cit. p. 153. 123 L’uso di templi dedicati al Sole e alla Luna si ritrova in molte culture, in particolare dell’America meridionale. In

occidente tali simboli appaiono in molte crocefissioni, cosa comprensibile se la croce, talvolta posta su un piccolo

monte, è l’asse o Albero cosmico che sorge dalle caotiche Acque Cosmiche.25

Page 26: Treviso e il Graal - Libroporticolibroportico.it/wp-content/uploads/2015/03/graal_tv.pdf · Il prototipo della Coppa sarebbe stato il calderone di Dagda1 che resuscitava i guerrieri

appartenenti di una famiglia della nobiltà trevigiana medioevale nel cui stemma appaiono tre lance124. Fra i suoi membri alcuni sono menzionati come Artugio, Artuzio e Artico. Le coincidenze non si fermano qui, la firma notarile di alcuni di loro comprendeva un calice125. Quanto alla loro nobiltà, nella denominazione Lançenighi-Plovenzano, Alberto Plovenzano, nel testamento con il quale nel 1005 donava alcune masserie all’abbazia di Sesto al Reghena (Pordenone), è definito di legge romana e la moglie Talia di diritto alemanno. Se egli aveva come consorte una donna longobarda significava che la sua nobiltà era notevole e antecedente alle invasioni germaniche, quindi molto antica. Tutti aspetti che contribuiscono fanno apparire molto particolare questa famiglia.

Guardando lo stemma dei Lancenigo, delle lance, è da ricordare anche la venerazione medievale trevigiana per San Cristoforo che, come visto, adombra il portatore della Lancia.

124 NICOLÒ MAURO, Genealogie Trevigiane, Bibl. Com. TV, Ms. 639, pp. 391 e seg.125 Ibidem, op. cit. p. 392.

26


Recommended