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Ucuntu n.90

Date post: 14-Mar-2016
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il numero del 18 ottobre 2010
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181010 www.ucuntu.org - [email protected] Operai 1, Governo 0 Forza, Italia! . Governo sputtanato, crisi sociale, malcontento che sale. E studenti e operai già insieme in piazza... Intanto, abbiamo ritrovato un'opposizione. E forse anche un governo Roberto Rossi/ Il boss ti minaccia, l'editore ti caccia Fabio D'Urso/ Un cristiano a Catania, tre anni fa || 18 ottobre 2010 || anno III n.90 || www.ucuntu.org || E se fosse un 68?
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181010 www.ucuntu.org - [email protected]

Operai 1,Governo 0

Forza,Italia!

.

Governo sputtanato, crisi sociale, malcontento che sale. E studenti e operai già insieme in piazza... Intanto, abbiamo ritrovato un'opposizione. E forse anche un governo

Roberto Rossi/ Il boss ti minaccia, l'editore ti caccia Fabio D'Urso/ Un cristiano a Catania, tre anni fa

|| 18 ottobre 2010 || anno III n.90 || www.ucuntu.org ||

E se fosse un 68?

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Persone Persone

Un cristianoCaro padre Greco, sono passati tre anni

che sei nato cittadino dei cieli ( “dei cieli degli occhi dei bambini, nel cuore dei sem-plici, dei sogni dei poeti, dei pastelli dei pittori, del rincrrescimento dei deliquenti, del sosstegno dei forti”, con le tue parole)

Tu avresti sorriso dinnanzi alla tua me-moria, nascosta come la tua stessa vita.

Hai sorriso continuamente, andandotene nel quartiere del Pigno, negli anni Settanta estrema periferia al confine di Catania, a fare il parroco senza soldi e il povero fab-bro che ha condiviso la propria vita viven-do l'accoglienza e annunciando la libertà della coscienza e la volontà di vivere il

Vangelo sulla propria pelle.Hai rinunciato a ogni onore, ma non hai

mai rinunciato a vivere in solidarietà con “qualunque uomo, giallo, rosso, nero o bi-anco, stanco o pimpante, debole o forte, in-fermo o sano, scartato o assimnilato, pecca-tore o santo, ignorante o sapiente, di eri e di domani”.

Hai sognato una chiesa aperta , che infra-gesse ogni muro e in cui i soli poveri fosse-ro i soli protagonisti della sua storia.

Fabio D'Urso

Padre Concetto Greco3 febbraio 1928, 21 ottobre 2007

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Bersani-Vendola Bersani-Vendola

“Ha da venìer Ticket”

- Eh, va là! Sessantotto!”.- Che ti devo dire. Anche allora mica la

tv se l'aspettava. Intanto...- E chi sarebbe il capo di 'sto sessantotto?

Vendola? Beppe Grillo? Di Pietro?- Beh, mica facile fare il sessantottino se

perdi tempo con un partitino intestato al tuo nome. E allora son stati proprio i capi, come li chiami tu, a sfasciare tutto. Stavolta magari se ne fa a meno.

- Vabbe', le solite fantasie. E intanto Ber-lusconi...

- Ma intanto ridendo e scherzando ci ab-biamo guadagnato un'opposizione. Prima non c'era e ora da sabato c'è.

- Ma dai!- Mica lo dico io. Il Corriere lo dice. Leg-

gi qua: “La Fiom si fa partito”., E il Corri-ere, quando sente guai, se ne intende...

- E il piddì? E Bersani? Che fine fanno?- Bersani è uno serio, e a quest'ora s'è già

accordato con Vendola per fare il ticket.- Il ticket! Te lo ricordi quando c'era Pro-

di e Veltroni? Il vecchio e il giovane, l'Emilia solida e la città futura, i conti in or-dine e la poesia...

- E dai, Veltroni... Tocco palle a solo pen-sarci.

- Anch'io, e difatti Veltroni ha fatto la fine che ha fatto. Ha accoltellato il povero Prodi fra l'altro. Ma Vendola è un'altra cosa. Vendola non tradisce. Bersani tiene su la baracca, e lui la spinge avanti.

* * *Anche per noi dell'antimafia sabato è sta-

to un bel giorno. Noi non abbiamo amici, in realtà. Non fino in fondo. Gli unici di cui ci fidiamo, sono gli operai. Sono nella stes-sa barca con noi. Noi abbiamo addosso la mafia, loro la Fiat. Non so qual'è peggio delle due. Ma sono nella stessa barca anche

loro, l'Italia se la dividono fra loro due, nord e sud, destra e “moderati”.

Noi, ai Siciliani, l'abbiamo sempre sapu-to. Non abbiamo mai fatto antimafia senza pensare ai poveracci. Nè abbiamo mai ap-poggiato uno sciopero senza dire: “Sì, ma i veri padroni sono i Cavalieri”.

Questa è la dote che noi portiamo oggi al “movimento”, qualunque cosa sia oggi questa parola, vecchia come tutte quelle dell'altro secolo ma come molte altre della nostra storia (operai e padroni, destra e sin-istra, “coppole” e “cappeddi”) nella sostan-za tremendamente attuale.

Per questo dobbiamo sbrigarci a fare rete. I tanti nostri piccoli (e meno piccoli) siti e giornali non ci bastano più. Nè possiamo affidarci ai “cappeddi” liberali, neanche quando lottano contro Re Bomba o Berlus-coni. E tanto per capirci, ecco due esempi.

* * *In Calabria un giornalista antimafioso, un

certo (ché tanto non lo conoscete) Mu-solino. è stato trasferito d'autorità dalla di-rezione del suo giornale dopo aver fatto dichiarazioni “avventate” ad Anno Zero. A fargli questo scherzetto sono stati due pa-droni molto discussi, Citrigno e Aquino (occhio, si preparano a fare un giornale “democratico” a Roma) e un direttore “lib-eral”, Sansonetti. Di costui io aspetto anco-ra di sapere che cosa ne pensano i miei amici liberali, compresi i più avanzati.

In Sicilia, il giornalista più in pericolo è probabilmente Pino Maniaci, quello di Telejato, delle aggressioni in piazza e della lotta antimafia a Partinico. Quest'estate un “collega”, tale Molino, l'ha violentemente attaccato, usando anche calunnie (per le quali il suo avvocato ha offerto ora una transazione amichevole, cioè soldi, a

Maniaci).Bene, vengo sapere che questo Molino,

grazie a spinte molto autorevoli di una parte (non la migliore) del Pd siciliano, è stato assunto ad Anno Zero. Santoro non conosce il background, naturalmente. Ma Maniaci, così, è un po' più isolato (e in pericolo) di prima.

* * *Beh, parliamo un po' di cose di famiglia,

ora. Oggi si laurea in giornalismo Giorgio Ruta (22 anni; lo conoscete dal “Clandesti-no”) e domani fa l'esame dell'Ordine Chiara Zappalà, un'altra dei nostri, 24 anni, ha vinto l'Ilaria Alpi per un video con Sonia Giardina. Credo che Pippo Fava, da qual-che parte, tutto sommato stia sorridendo.

Riccardo Orioles

CATANIA QUANDO IL GIUDICESI FA MARCHIONNETre anni fa all'Acim Group (depuratori) i lavoratori, non pagati da otto mesi, si mise-ro in “assemblea permanente” dentro l'azienda, all'estremistico scopo di avere i loro soldi. Adesso un giudice li ha condan-nati per “l’arbitraria invasione e occupazi-one di aziende industriale” e sabotaggio, l'articolo 508 voluto da Mussolini e non ap-plicato, per pudore, da decenni.La condanna (ventimila euri di multa e un paio di mesi di carcere: mica uno scherzo) si spinge a vietare agli operai di fare attività sindacale per cinque anni. “Ti paghiamo quando vogliamo noi, e se protesti ti tap-piamo la bocca”. Pomigliano.Fra le vittime del singolare provvedimento il segretario provinciale della Fiom, Ste-fano Materia. Che è anche iscritto all'Anpi, così probabilmente la prossima volta lo condanneranno anche per antifascismo.

r.o.

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Operai Operai

Fiom e MarcegagliaDue mondi contrapposti

e non comunicanti

Due luoghi, contemporanei, dove emer-gono tutte le contraddizioni di questa Italia solo apparentemente assopita. E che la Fiom, assieme a tutti quelli che si sono affi-ancati a lei nella buona riuscita della mani-festazione di oggi, hanno definitivamente scosso. Non i partiti, non la politica dei pal-azzi: la gente, vera. Quella che lavora e produce e poi paga le speculazioni e la spregiudicatezza di una classe dirigente in-teressata solo al mantenimento del potere e del gioco equilibristico dei ricatti incrociati.

Cominciamo dalla Fiom. “Piazza San Giovanni è gremita, la gente non riesce a entrare, le strade intorno sono piene. Ai giornalisti diciamo, contateci voi”, ha dichiarato il segretario generale dei metalmeccanici della Cgil, Maurizio Landi-ni.

Non hanno nessuna intenzione di mol-lare, i metalmeccanici che si presumevano all’angolo dopo l’accordo di Pomigliano. Sanno quanti sono, e quanto sostegno han-no nella società reale (il termine “civile” lasciamolo alle anime belle e terziste). Er-ano centinaia di migliaia oggi sotto la piog-gia a Roma. La più grande manifestazione in questo Paese dei lavoratori metalmecc-anici. E senza Cisl e Uil.

Speravano, in molti, in incidenti. Addirit-tura c’era chi, con istinto da piromane come il ministro dell’interno Maroni, li aveva annunciati. Delusi tutti, quelli che volevano criminalizzare il pezzo più sano

della nostra società e della nostra democ-razia. Civili, pacifici e determinati. Irre-movibili e incazzati. È stato un grande mo-mento di politica e di democrazia. I monatti della violenza dell’insinuazione e della ma-lainformazione se ne facciano una ragione. E se ne facciano una ragione anche tutti quelli che hanno cercato di isolare e addirit-tura criminalizzare il più grande sindacato italiano. La Fiom, e la Cgil tutta, ci sono e non hanno nessuna intenzione di mollare. È stato chiarissimo Guglielmo Epifani quan-do ha espresso con lucidità la necessità di andare avanti con la protesta contro la politica economica del governo: "dopo la manifestazione del 27 novembre in assenza di risposte da parte del governo noi continueremo anche con lo sciopero generale”.

Poi andava in scena, a eoni di distanza, la “non piazza” di Confindustria. Dal palco del XII Forum delle Pmi Marcegaglia si è scagliata contro il "teatrino schifoso" in cui è piombata la vita pubblica italiana, riven-dicando l'autonomia e l'indipendenza "tota-li" di Confindustria dalla politica.

Con rabbia e orgoglio ha rassicurato gli imprenditori che non cederà mai ai ricatti, anche perché non ci sono scheletri nell'armadio, e ha promesso che porterà a termine il suo mandato fino alla naturale scadenza, nella primavera del 2012, con rinnovata determinazione e senza piegarsi alle "cortine fumogene" e ai "veleni" che

hanno investito viale dell'Astronomia.Peccato che di questo clima lei e la sua

organizzazione ne hanno fatto attivamente parte. E non è un caso, infatti, che Rinaldo Arpisella, portavoce della Marcegaglia, lasci il suo incarico in Confindustria e torni “in azienda”. Anche lui travolto dal meccanismo del potere.

Tutto il resto è dettaglio e estetica. Quello che rimane davanti ai nostri occhi è solo il fango maleodorante di questo intreccio fra politica, impresa, speculazione finanziaria e informazione che si è palesato dal “caso Boffo” in poi. E a cui anche Confindustria si è adeguata.

Ecco i due paesi che si confrontano. Due realtà assolutamente scisse. Da un lato un popolo che ha deciso di riprendere a lottare e a chiedere diritti e rispetto delle regole, libertà e dignità e rappresentanza. Dall’altro il paese dei ricatti e dei dossier, degli interessi inconfessabili. Dove politica e economia sono solo due termini dietro ai quali si nascondono gli ultimi colpi di coda di un sistema di potere arrivato a fine corsa.

E forse, già in lenta emersione, si sta palesando il nuovo potere “ripulito” dei Marchionne e dei Montezzemolo. E non sappiamo se a farci più paura sia il futuro o il presente. Ma per oggi festeggiamo il ritorno al protagonismo di un intero popolo che in tanti davano per estinto.

Pietro Orsattiwww.gliitaliani.it

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Da un lato una piazza piena, di gente vera, di popolo e bisogni, di deterDa un lato una piazza piena, di gente vera, di popolo e bisogni, di deter--minazione. Dall’altro la sala convegni dalle luci tenui dove il presidente diminazione. Dall’altro la sala convegni dalle luci tenui dove il presidente di Confindustria cerca di scrolConfindustria cerca di scrollarsi di dosso il fango del potere, del dossilarsi di dosso il fango del potere, del dossi--eraggio e del ricatto. Un contrasto che più stridente non potrebbe essereeraggio e del ricatto. Un contrasto che più stridente non potrebbe essere

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Operai Operai

ALBUM DI FAMIGLIA “Il Foglio degli Operai” (1993), edito dalla Redazione dei Siciliani insieme agli operai che occupavano la Itin, una delle fabbriche siciliane appartenute ai “Cavalieri dell'Apocalisse mafiosa” smascherati da Giuseppe Fava.Le foto di queste pagine sono diSebastiano Gulisano.

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Operai Operai

La Fiom porta in piazzal'opposizione,

quella vera

Democrazia, diritti, dignità, lavoro, con-tratto: parole semplici, elementari e, prop-rio per questo, “alte”, in un momento stori-co in cui, specie nel nostro Paese, rischiano di apparire come retaggi di un passato fatto di «concessioni» che i padroni travestiti da imprenditori avevano fatto ai lavoratori. In-vece, quelle «concessioni» sono elementari principi costituzionali. È questo che, il 16 ottobre è andato in scena a Roma, in rispos-ta all’attacco ai diritti consolidati dei lavo-ratori che ha raggiunto il suo apice a Pomigliano, dove Marchionne e la Fiat hanno deciso di rimettere in chiaro che loro sono i padroni e, dunque, i lavoratori sono servi.

A Roma c’era l’Italia dei diritti negati, non solo i metalmelmeccanici della Fiom: c’erano donne e uomini, ragazze e ragazzi, operai e pensionati, impiegati e disoccupati, precari e studenti, insegnanti e immigrati. E questi ultimi non erano certo i terribili stranieri annunciati dal ministro dell’Interno, il leghista Roberto Maroni, «infiltrati» tra i manifestanti e pronti a creare disordini e violenze. No, erano solo cittadini stranieri che rivendicavano diritti. Pacificamente.

Non c’è riuscito, Maroni, con la sua in-timidazione, a tenere a casa le persone. E che il suo fosse solo un tentativo di inti-midire le masse è risultato subito evidente dalla rilassatezza di tutte le forze dell’ordine comandate a vigilare sulla sicu-rezza del corteo: non c’era nessuno in tenu-

ta antisommossa come, ad esempio, lo scorso 7 luglio, quando gli aquilani tornati a nella capitale per chiedere di non essere abbandonati a se stessi, hanno trovato soltanto poliziotti, carabinieri e finanzieri in assetto antisommossa. Che li hanno pic-chiati deliberatamente.

È stata una manifestazione pacifica, quella della Fiom, com’è pacifico il popolo di sinistra. E lo ha dimostrato. Conferendo così un maggiore peso specifico alle pro-prie rivendicazioni nei confronti del Gov-erno e di Confindustria: democrazia, diritti, dignità, lavoro, contratto erano le parole d’ordine degli operai, ma accanto a queste, fra queste, c’erano anche le richieste che arrivano dal mondo della scuola e dell’università, cioè delle istituzioni che dovrebbero formare i cittadini e le future classi dirigenti ma che, invece, sono state trasformate in potenziali “fabbriche” d’ignoranza di massa, in ossequio al prin-cipio enunciato in tv, durante la campagna elettorale del 2006, da Berlusconi durante l’unico faccia a faccia con Prodi: «Voi siete convinti che il figlio dell’operaio debba avere le stesse opportunità del figlio del professionista». Non c’è più morale, Contessa, cantava a tal proposito un sarcastico Paolo Pietrangeli nel lontano 1966.

Il 16 ottobre, a Roma, c’era l’opposizione, quella vera, reale, quella che fa la spesa, paga le bollette e le tasse, man-da i figli a scuola e rispetta le leggi, quella

che deve stringere la cinghia per arrivare alla fine del mese. Mancava, invece, l’opposizione parlamentare, quella senza identità, quella che preferisce gli inciuci di palazzo finalizzati all’autoconservazione (o alla restaurazione, come in Sicilia), dimen-tica di quello che una volta era il «suo» po-polo.

Ancora una volta, come già nel 94-95, tocca alla Cgil il ruolo improprio di organ-izzare e porsi alla testa del popolo di oppo-sizione, allora con Cofferati oggi con Epi-fani e Landini. Domani con Susanna Camu-so, prima donna alla guida di una grande organizzazione di massa: un fatto epocale. C’è da sperare che, in vista dell’ormai an-nunciato sciopero generale, il Giornale (e gli altri media berlusconiani) non si cimenti nello stesso dossieraggio organizzato, spacciato per inchieste giornalistiche, con cui nel ’94 martellò per settimane “il cinese”, metodo che negli ultimi mesi è tornato prepotentemente alla ribalta, anche se solo per colpire ormai ex alleati. Ma se anche dovesse ripetersi, saranno i pacifici cittadini stanchi di subire soprusi e angherie, ingiustizie e compressione dei diritti a mandare a casa, come nel ’95, Berlusconi e i suoi scherani. Resta solo da capire se questi cittadini troveranno il Pd al loro fianco – ché i partiti di sinistra, quelli esclusi dal parlamento, li hanno già – nella costruzione di un’alternativa culturale al berlusconismo non più rinviabile.

Sebastiano Gulisano

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Ancora una volta, come già nel 94-95, tocca alla Cgil il ruolo improprio diAncora una volta, come già nel 94-95, tocca alla Cgil il ruolo improprio di organizzare e porsi alla testa del popolo di opposizione. E, come allora,organizzare e porsi alla testa del popolo di opposizione. E, come allora, sarà questa spinta dal basso a mandare a casa Berlusconi e i suoisarà questa spinta dal basso a mandare a casa Berlusconi e i suoi scherani. Malgrado le incertezze e gli inciuci del Pdscherani. Malgrado le incertezze e gli inciuci del Pd

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Operai Operai

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ROBERTO ROSSI E ROBERTA MANI Avamposto Avamposto

Come isolareun cronista antimafia(garantisticamente)

Isolare un cronista. Dargli addosso per quello che ha il coraggio di documentare, scrivere e denunciare. Non si muore di ‘ndrangheta. Lo abbiamo detto e scritto un milione di volte. Si muore di solitudine.

Terra bruciata attorno: ecco il modo migliore per spegnere una voce civile.C’è una storia a proposito che merita di essere raccontata, perché sintomatica, persino paradigmatica.

Non ce ne vorranno, quindi, se, solo per amore della ricerca sui media studies, dedichiamo questo piccolo trattato sulla teoria e la tecnica dell’isolamento del cronista antimafia alla storia di Lucio Mu-solino, cronista di giudiziaria di Reggio Ca-labria in forza a “Calabria Ora”.

Necessità di sintesi, scienza e garanzia impongono una trattazione asettica, la più asettica delle forme narrative, a discapito del godimento di chi legge: sarà una crono-logia.

1 agosto 2010“Te ne devi andare da Reggio Calabria,

smettila di scrivere di ‘ndrangheta. Segui Paolo Pollichieni e vattene. Questa non è per la tua macchina ma per te”. Il messag-gio era scritto su un foglio di carta avvolto alla tanica di benzina abbandonata nella ve-randa di casa sua a Reggio Calabria. Mu-solino lo trova alle due di notte, appena rincasato.

Pochi giorni prima in redazione era arrivata una lettera anonima. Il testo: “Per-ché non ve ne siete andati anche voi con Pollichieni, non pensate di fare un giornale come prima, il soldi li mettono gli editori, andate a Cuba e nemmeno lì ve lo fanno fare un giornale così”.

Il riferimento è alle dimissioni che l’ex direttore di “Calabria Ora” e altri otto cronisti hanno dato il 20 luglio 2010 denun-ciando ingerenze della proprietà sulla linea del giornale che da alcuni mesi è impegnato

nel documentare presunti rapporti tra il governatore della Calabria Giuseppe Scop-elliti e alcuni imprenditori legati al clan De Stefano e alla famiglia Alvaro, operanti ris-pettivamente a Reggio Calabria e nella fas-cia orientale dell’Aspromonte.

Il nuovo direttore del giornale è Piero Sansonetti, giornalista di sinistra, noto al pubblico nazionale per le sue apparizioni a varie trasmissioni televisive in qualità di commentatore politico.

La scelta degli editori cade su di lui, di-cono, per garantire un racconto delle noti-zie calabresi non contaminata da una vi-sione calabrese dei fatti.

E’ plausibile che Sansonetti sia stato scelto nella prospettiva di un nuovo proget-to editoriale di respiro interregionale che da tempo bolle nella pentola degli editori, Cit-rigno e Aquino, i quali hanno già acquistato da mesi i diritti sulla testata di “Paese Sera”.

|| 18 ottobre 2010 || pagina 08 || www.ucuntu.org ||

Un cronista fa dichiarazioni “avventate” (parla cioè di politici) ad Anno Zero.Un cronista fa dichiarazioni “avventate” (parla cioè di politici) ad Anno Zero. Poco dopo lo trasferiscono. Il giornale è Calabria Ora. Il direttore (neo-diPoco dopo lo trasferiscono. Il giornale è Calabria Ora. Il direttore (neo-di--rettore, al posto dell'”avventato” Pollichieni) è Sansonetti. Gli editori (conrettore, al posto dell'”avventato” Pollichieni) è Sansonetti. Gli editori (con ambizioni nazionali: hanno comprato la testata di “Paese Sera”) sono Citriambizioni nazionali: hanno comprato la testata di “Paese Sera”) sono Citri--

gno e Aquino. Arrivano lettere anonime: “Vattene, segui Pollichieni”.gno e Aquino. Arrivano lettere anonime: “Vattene, segui Pollichieni”.E taniE taniche di benzina. Vabbe', siamo in Calabria: tutto “normale”che di benzina. Vabbe', siamo in Calabria: tutto “normale”

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Avamposto Avamposto ROBERTO ROSSI E ROBERTA MANI

Le minacce a Musolino sono considerate attendibili. Dal primo agosto vive sotto la tutela delle forze dell’ordine.

7 ottobre 2010“Calabria Ora” pubblica su due pagine

una lunga intervista del direttore Sansonetti al presidente della Regione Scopelliti. Si parla di politica, di sviluppo, di Sud, di ‘ndrangheta, di giornalismo.

Dichiara a un certo punto Scopelliti: “Io sono garantista e aspetto le eventuali ind-agini. Ma lei pensa che non ci siano molte persone che conoscono i mafiosi e non per questo sono mafiosi? Secondo me anche al-cuni giornalisti del suo giornale… Io ga-rantista lo sono diventato, prima di demo-lire una persona bisogna andarci piano.

Ci sono giornalisti del suo giornale che il garantismo lo conoscono poco. Per esem-pio Lucio Musolino…”. Sansonetti ribatte (“Musolino è un ottimo giornalista che fa con scrupolo e serietà il suo lavoro”) e pub-blica.

Lo stesso giorno una nota firmata da al-cuni giornalisti, tra cui Enrico Fierro e Gui-do Ruotolo, esprime solidarietà al collega minacciato: “Le parole del Governatore costituiscono una minaccia oltre che verso il collega anche per l'autonomia dei gior-

nalisti, nell’ambito di un attacco reso pub-blico, peraltro, attraverso un’intervista os-pitata sulle colonne del giornale per cui la-vora Musolino. L’aver messo all'indice il lavoro coraggioso di Musolino significa il tentativo di fare terreno bruciato intorno a lui: e questo è un disegno inaccettabile.”

7 ottobre 2010 bis“Annozero” si collega da Reggio Calab-

ria con alcuni dei 26 giornalisti minacciati in Calabria negli ultimi tre anni. Tra di loro c’è Lucio Musolino, al quale viene chiesto in che contesto è maturata l’intimidazione che ha subìto.

La sua risposta: “Non so chi mi ha messo la tanica. So che cosa avevo scritto: dell’inchiesta Meta che aveva descritto i rapporti dell’attuale governatore della Ca-labria Giuseppe Scoppelliti con alcuni es-ponenti della ‘ndrangheta arrestati. E di un pranzo dove il governatore Scopelliti si è visto col boss Cosimo Alvaro. Era stato invitato da un imprenditore arrestato in quest’inchiesta”. Il giornalista, a sostegno di quanto dice, cita un preciso documento giudiziario, pubblico: un informativa del Ros confluita in Meta.

8 ottobre 2010Maurizio Gasparri e altri esponenti del

Pdl solidarizzano con Giuseppe Scopelliti. Il governatore querela il giovane giornalis-ta. Musolino si dice sorpreso: Perché non mi ha querelato quando ho scritto su “Ca-labria Ora” quella notizia? Si chiede. Per-ché non ha querelato altri colleghi che se ne sono occupati?

9 ottobre 2010Titolo di apertura, prima pagina di “Ca-

labria Ora”: “Antimafia sì, forcaioli no”. E una foto: una bocca frenata da del filo spinato.

Scrive il direttore Sansonetti: “Si può fare antimafia senza essere forcaioli… Scopelliti – dicono – ha dato del gius-tizialista a un cronista di “Calabria Ora”. Poi però l’altra sera ad Annozero ho sentito un certo numero di giornalisti – tra cui an-che uno del mio giornale – avanzare verso Scopelliti accuse molto più gravi dell’essere giustizialista o garantista. E’ sta-to dipinto come un mafioso e nessuno lo ha difeso. Non c’era un filo di contraddittorio, non sono stati documenti, o fatti o prove… Sono convinto che si può combattere la ma-fia solo se si resta garantisti. Usare i metodi della repressione, dell’autoritarismo, del forcaiolismo, vuol dire esattamente fare il gioco della mafia.”

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Avamposto Avamposto ROBERTO ROSSI E ROBERTA MANI

14 ottobre 2010L’Ansa batte la notizia: “Pdci: Trasferito

Lucio Musolino, è fatto grave”. E’ una nota di Ivan Tripodi, segretario reggino dei Comunisti italiani, il primo di fatto a dare la notizia dell’allontanamento di Musolino da Reggio Calabria.

Qualche ora dopo, il segretario del sin-dacato calabrese dei giornalisti, Carlo Pari-si – che pure aveva difeso Lucio Musolino nella bagarre sul giustizialismo – diffonde una nota:

“Non esiste alcun provvedimento di trasferimento del giornalista Lucio Mu-solino firmato dal direttore di “Calabria Ora”, Piero Sansonetti. Né risponde al vero che lo stesso provvedimento sarebbe stato assunto all'indomani della partecipazione di Musolino alla trasmissione televisiva An-nozero.”

Risponde Musolino, sempre a mezzo Ansa: “Il mio trasferimento è diventato op-erativo con una nota a firma del direttore Piero Sansonetti a me inviata (conservo ov-viamente la registrazione della mail) dal collega Alessandro Bozzo, componente del Cdr. Tale mail non è vecchia né di mesi e né di settimane, ma risale alle ore 21,30 dell'8 ottobre scorso.

Mi pare che orario e date si commentino da sole. Vero è che tale provvedimento era stato già una prima volta annunciato, oral-mente, al Cdr dal direttore Sansonetti e

vero è che il Cdr lo aveva respinto. Succes-sivamente ho incontrato il direttore, al quale dissi che non intendevo accettare al-cun trasferimento e che lo ritenevo puni-tivo. Mi disse che ci avrebbe riflettuto e poi avrebbe deciso. Quella notificatami l'otto ottobre è, con ogni evidenza, la sua ultima decisione.”

Tocca a Sansonetti: “E’ circolata questo pomeriggio una notizia totalmente falsa, e fortemente lesiva della mia immagine, sec-ondo la quale io, in qualità di direttore del quotidiano “Calabria Ora”, avrei disposto il trasferimento del giornalista Lucio Mu-solino, dopo la sua partecipazione ad An-nozero.

La notizia è stata fornita da una dichiarazione del segretario calabrese del Pdci Ivan Tripodi e confermata dallo stesso Musolino, nonostante la smentita informata e molto precisa del segretario regionale del-la Fnsi Carlo Parisi. Nella dichiarazione di Tripodi si capisce anche che la mia deci-sione sarebbe un cedimento a pressioni ma-fiose. Ho incaricato il mio avvocato di sporgere immediata querela contro il signor Tripodi, contro Lucio Musolino e contro chiunque altro abbia accreditato questa no-tizia.”

La cronologia si ferma qua. Seguiremo la vicenda con la curiosità che deve caratteriz-zare un buon ricercatore di Teoria e tecnica dell’isolamento del giornalista antimafia, e

con una naturale disposizione al racconto asettico e garantista. A proposito di garant-ismo e forcaiolismo, ultima nota cronologi-ca:

13 ottobre 2010“Il Quotidiano della Calabria” apre la pri-

ma pagina col titolo: “Il pentito fa i nomi dei politici”. Il pezzo parla delle dichiarazioni del pentito Paolo Iannò, ex killer del clan Condello, sui rapporti fra ‘ndrangheta e politica. “Si diceva – ha dichiarato Iannò a fine settembre – che Giuseppe Scopelliti era appoggiato dalla ‘ndrangheta: lo dicevano già quando ero latitante”.

Lucio Musolino scrive sulla sua bacheca di Facebook: “Il pentito Paolo Iannò fa il nome del Governatore Giuseppe Scopelliti. E sono tre i collaboratori di giustizia (due dei De Stefano e uno dei Condello per la par condicio, sic) a parlare di politica. Il quarto? Già c'è e chissà che non si avventu-ri pure lui a parlare dei rapporti tra 'ndrang-heta e politica”.

Già su Facebook, perché il 13 ottobre la sua firma su “Calabria Ora” non c’è e non c’è nemmeno la notizia con la quale il gior-nale concorrente ha aperto la prima pagina. Un buco, si dirà. No, “garantismo”, appun-to: quella notizia su “Calabria Ora”, infatti, non c’è neppure il giorno dopo.

Roberto Rossi

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Movimenti Movimenti

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Mafia al nord/ Silenzi e grida Mafia al nord/ Silenzi e grida

I ragazzinon devono

sapere...

La maxi-operazione “Crimine”, la più grande della storia dell'antimafia reggina, conferma che la 'ndrangheta non è più un problema solo calabrese, ma un problema nazionale. “Si scopre l'acqua calda”, si potrà replicare. Che i boss avessero oramai traslocato baracca e burattini oltre i confini meneghini lo sapevano oramai anche le pietre, da almeno vent'anni.

C'è voluto un atto di forza, potremmo definirlo anche “dimostrativo”, da parte di inquirenti e forze di polizia calabresi e lom-barde assieme ed uno spiegamento di forze di migliaia di uomini, per rendere questa verità una “notizia”.

Oggi la presenza della mafia calabrese in Lombardia, specie nell'asse Milano-Varese è una certezza: da Buccinasco, divenuta quasi una frazione di Platì, a Busto Arsizio, Legnano, Malpensa. La 'ndrangheta si muove dove si muove l'impresa. Ed eviden-temente sguazza bene dove girano soldi e traffici di droga.

Ma la vera novità degli ultimi tempi è che adesso i mille rivoli delle diverse oper-azioni antimafia in terra lombarda, dalle es-torsioni, all'usura, al riciclaggio, non in-vestono il tribunale milanese, bensì anche quelli minori. Come Busto Arsizio, dove

sono stati portati a processo per i reati appena citati alcuni presunti 'ndranghetisti (mai come in questi processi il “presunti” sarà d'obbligo fino all'ultima sentenza) affiliati ai clan del crotonese.

Ma a Busto è successo anche quello che non ti aspetti: l'antimafia sociale arriva in città prima di quella investigativa. Almeno ufficialmente.

Dal 2007 arrivano Massimo Brugnone (coordinatore regionale di Ammazzateci Tutti e dal 2009 membro dell'Esecutivo na-zionale) ed un gruppo di coraggiosi ragazzi con il brutto vizio di non farsi i fatti loro.Organizzano incontri nelle scuole con Rosanna Scopelliti, Gian Carlo Caselli, Al-berto Nobili, Marco Travaglio. Stampano t-shirt, volantini, improvvisano blog e giornalini. Mettono in rete nomi, operazio-ni, collegamenti tra i clan.

Riempiono teatri, auditorium, cinema, li-brerie. Per dire che la mafia è ad un passo dalle loro case. Ed i bustocchi rispondono sempre positivamente. Non ricordo una sola poltrona vuota ad ogni iniziativa di Ammazzateci Tutti.

Poi un giorno Massimo ed i ragazzi deci-dono che non basta portare la gente in platea, ma che bisogna guardarla in faccia

la mafia, pardon, la presunta mafia. Voglio-no esserci, lì, in Tribunale. Vogliono far sentire la presenza della comunità, dei giovani soprattutto. Nasce così l'idea di far partecipare gli studenti delle scuole che vorranno aderire all'udienza del 12 ottobre scorso.

Il preside del Liceo scientifico “Tosi”, di-mostrando grande senso di responsabilità, decide di favorire l'iniziativa ed autorizza la partecipazione di un gruppo di studenti, ac-compagnati da un docente e da Massimo.

Quando arrivano in tribunale indossano tutti la stessa maglietta: “No crime, no vio-lence”. Un grande rettangolo nero su fondo bianco. L'hanno disegnata e realizzata gli studenti del liceo artistico un paio d'anni fa. Ma sono ancora di moda purtroppo.

Chissà quanta paura avranno fatto quelle magliette e le facce pulite di quei ragazzi e di quelle ragazze poco più che diciottenni in quell'aula del palazzo di giustizia. Al punto da portare qualcuno a prendere carta e penna e scrivere una “lettera” formal-mente indirizzata al Preside, ma fatta per-venire alle redazioni di tutte le testate loca-li.

«Sono stanca di tutta questa situazione – scrive la donna - sono la moglie di un

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Non tutti si rassegnano alla mafia, al nord. Non si rassegnano, adNon tutti si rassegnano alla mafia, al nord. Non si rassegnano, ad esempio, i ragazzi di “Ammazzateci tutti” di Busto Arsizio (ce ne sonoesempio, i ragazzi di “Ammazzateci tutti” di Busto Arsizio (ce ne sono anche là) che invitano gli studenti a presentarsi con magliette “no crimeanche là) che invitano gli studenti a presentarsi con magliette “no crime no violence” al tribunale in cui si processano dei (presunti) mafiosi. Lano violence” al tribunale in cui si processano dei (presunti) mafiosi. La cosa solleva qualche scandalo. Qualcuno si sta arrabbiando, a quantocosa solleva qualche scandalo. Qualcuno si sta arrabbiando, a quanto sembra. E non solo fra i pacifici lombardi...sembra. E non solo fra i pacifici lombardi...

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Mafia al nord/ Silenzi e grida Mafia al nord/ Silenzi e grida

“cattivo ragazzo” e voglio dare sfogo a quanto stiamo subendo in questa orribile esperienza. Ho letto sulla Prealpina del 10 ottobre “Liceali in aula per studiare la ndrangheta”. Mi rivolgo a lei caro Preside, nulla in contrario verso l'informazione ma ritengo che l'informazione debba essere a doppio senso di circolazione. Le volevo sottolineare che il processo è in fase dibatti-mentale, dove accusa e difesa si scontreran-no davanti alla corte per dimostrare l'innocenza o la colpevolezza degli indaga-ti. Noi siamo ancora imputati e quindi non colpevoli. I suoi studenti devono conoscere gli atteggiamenti di persone che a oggi rappresentano la giustizia italiana».

E poi continua con l'elencazione di fatti, intercettazioni, mancate comunicazioni. Più che una lettera di sdegno sembra l'arringa difensiva di un bravo penalista.

Continua la missiva: «Ritengo giusto che chi commette reato debba essere condan-nato, se mio marito è colpevole è giusto che paghi ma non per un aperitivo al bar, un saluto per strada, una stretta di mano. Devo ammettere che gli attimi di cedimento sono stati molti, la voglia di difenderci è tanta ma mi chiedo se ha senso combattere quan-do a priori siamo per molti già colpevoli.

Mi spiace Preside per questo sfogo, ma pensare ai liceali in aula preparati solo a guardare in faccia i presunti ndranghetisti, non lo accetto, sono stanca di affermazioni offensive e prive di conoscenza. Nello stesso articolo Massimo Brugnone dice “Non vogliamo che le aule siano riempite solo da chi quegli imputati vorrebbe vederli liberi”. Ci limitiamo solo a sostenere la persona a cui teniamo in questa brutta disavventura. Lei cosa farebbe? Approfitto anche per controbattere le affermazioni del pm Venditti sulla Prealpina del 9 giugno: “Mafioso è chi non riconosce l'autorità dello Stato, quindi chi in aula si permette di alzare la voce” (va detto, infatti, che in una precedente udienza i parenti degli imputati avevano tenuto comportamenti poco consoni ad un'aula di tribunale, inveendo con urla contro la Corte, NdG).

Ribellarsi alle autorità, far valere i propri diritti non sono atteggiamenti mafiosi, al contrario chi abusa del proprio potere, lei come lo definisce? Questo processo è div-entato mediatico: bisogna dare l'esempio a questi alunni, non importa se qualcuno sarà innocente, per la giustizia italiana deve es-istere un colpevole».

Ora, è facile comprendere lo stato

d'animo di una donna (certamente istruita e forse ben inserita nella società) che si trova un marito in galera, imputato in un proces-so di mafia.

Ma l'emotività è una cosa, la giustizia un'altra. I cittadini hanno il diritto di assis-tere ad ogni udienza si tenga nel nostro Paese, sia questa per un omicidio o per una scazzottata al bar. E quegli studenti, con la loro presenza in aula, hanno dato una lezi-one di civiltà ad un'intera comunità.

Non va sottovalutata però la gravità del fatto: la moglie di un accusato di mafia non ha timore di indicare direttamente il nome ed il cognome del “colpevole”, un ragazzo di ventidue anni che non si fa i fatti suoi e che porta i ragazzi in tribunale, su tutti i giornali del luogo.

Il nome di Massimo è entrato nei bar, nelle case, in procura, nelle sedi di partito, al salone del barbiere, in caserma, nelle carceri.

Massimo ha già ricevuto nelle scorse set-timane alcune telefonate dai parenti di un altro presunto 'ndranghetista originario di Platì. Massimo Brugnone ci ha messo la faccia, è esposto.

Aldo PecoraPresidente di "Ammazzateci Tutti"

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Sicilia/ Impresa e carte false Sicilia/ Impresa e carte false

Mafia e post-mafiasempre a spese

dei cittadini

L’operazione “Old town” prende vita a fine 2009 tramite un controllo eseguito dalle fiamme gialle in seguito all’erogazione di un contributo dell’Unione Europea pari a 4,3 milioni di euro. Viene fuori una presunta frode ai danni dello Sta-to e dell’U.E. in quanto la Future Tecnolo-gie Agroalimentari srl (Fta), che nel 2006 ha acquistato la cantina dal gruppo Mezza-corona, in realtà è proprietà del medesimo gruppo. Infatti, l’81% di essa è di Fabio Rizzoli, amministratore delegato del grup-po Mezzacorona, mentre il restante 19% ri-sulta appartenere alla Nosio spa, subhold-ing dello stesso gruppo, la quale ne control-la tutte le attività di capitale e le parteci-pazioni strategiche e conta 400 soci.

Una vendita fittizia, come anche appar-ente è stata la creazione di nuovi posti di la-vori in quanto non si è proceduto a nuove assunzioni, bensì allo spostamento di alcuni dipendenti da un’azienda ad un’altra sem-pre all’interno dello stesso gruppo. Scatta in tal modo la denuncia ad otto indagati: Fabio Rizzoli ed il figlio Claudio, il quale procede materialmente alla vendita, Luca Rigotti, amministratore della Nosio, Guido Conci, presidente del Gruppo Mezzacoro-na, Paolo Carli, consigliere d’amministrazione, Salvatore Cacciatore, dipendente della Fta ed unico locale, Bar-tolomeo Curatolo, consulente, Ferdinando Musco Castagna, funzionario della Banca Nuova di Palermo.

Eh si, perché in questa complessa vicen-da ci sta anche il funzionario della banca concessionaria che pare non abbia svolto i controlli in modo meticoloso prima di con-

cedere il contributo. E poi siamo in terra di Sicilia, e vista la passata gestione, viene al colonnello Fallica, colui che sta svolgendo le indagini, anche il sospetto di una presun-ta infiltrazione mafiosa. Ad avvalorare questa tesi è la presenza all’interno del col-legio sindacale della Fta di tre soggetti nati tutti a Castelvetrano, oggi centro nodale di Cosa Nostra: Vito Stallone, presidente del collegio, Giovanni Italia, sindaco effettivo e Giovanni Falsetta sindaco supplente.

Il collegamento strano è dato proprio da Stallone, il commercialista di Giuseppe Gr-igoli il quale a sua volta è collegato a Mat-teo Messina Denaro per reinvestire il denaro nella grande distribuzione. Inutile negare che Rizzoli e gli esponenti del Gruppo negano la truffa, come anche la consapevole o meno possibile presenza di interessi mafiosi nelle loro attività. Ed in-fatti agli indagati sono contestati gli artt. 640 bis del codice penale ossia la truffa ag-gravata e il 416 c.p. ovvero l’associazione a delinquere semplice e il 416 bis, ossia l’associazione di tipo mafioso.

* * *Abbiamo chiesto al colonnello Francesco

Fallica, comandante provinciale della Guar-dia di Finanza e in passato rappresentante dell’Italia al Comitato di lotta alla frode dell’Unione Europea, di rispondere a qual-che domanda.

Colonnello, ci vuole parlare dell’operazione “Old town”?

Si tratta di un argomento interessante da molti punti di vista: sociologico economi-co. C’è una grande azienda, il gruppo Mez-zacorona che viene in Sicilia per comprare

due grandi feudi dalla famiglia Salvo. Questo non è di per sé un comportamento illecito, però nella nostra esperienza abbia-mo imparato che quando un mafioso vende – perché qui parliamo di una famiglia mafiosa che ha fatto i soldi perché erano i c.d. esattori della mafia – lo può fare per di-versi motivi come ad esempio perché può subire un sequestro o può fare un fallimen-to pilotato oppure entrambe le cose. Tali vendite sono interessanti anche perché spesso le vendite sono simulate, spesso si paga in contanti e nel caso dei mafiosi è importante capire il giro che questo denaro compie. E sapendo che il venditore del feu-do era la famiglia Salvo ci volevamo già capire qualcosa di più allora. Un giorno mi arriva il c.d. art.10. Questo è un segnale che arriva a tutte le forze di polizia e che funge da campanello d’allarme quando un’azienda sta per prendere un contributo, un appalto o comunque contratta con la Pubblica Amministrazione, al fine di verifi-care se ci siano infiltrazioni mafiose all’interno della stessa.

Cosa avete notato di strano?Nel caso specifico ci sono diverse

anomalie: non si tratta di soggetti siciliani (i siciliani siamo obiettivo 1 per quanto riguarda i contributi da ottenere sul territo-rio), la cantina già esisteva in contrada Tor-revecchia.

Andando nello specifico mi sono reso conto che l’intero collegio sindacale era formato da soggetti di Castelvetrano e proprio il presidente è Vito Stallone, il quale, come attestato dalla Questura di Tra-pani, è il commercialista di Giuseppe

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Operazione “Old town”: un controllo della Finanza, coordinata dal procuOperazione “Old town”: un controllo della Finanza, coordinata dal procuratore diratore di Ragusa Petralia, porta al sequestro di uno stabilimento vinicolo e al blocRagusa Petralia, porta al sequestro di uno stabilimento vinicolo e al blocco di unco di un contributo europeo. Siamo ad Acate, al “Feudo Arancio”, un'azienda da più di millecontributo europeo. Siamo ad Acate, al “Feudo Arancio”, un'azienda da più di mille ettari dove un tempo regnavano i cugini Salvo, gli esattori di Cosa Noettari dove un tempo regnavano i cugini Salvo, gli esattori di Cosa Nostrastra

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Sicilia/ Impresa e carte false Sicilia/ Impresa e carte false

Grigoli. Giuseppe Grigoli è in atto detenuto per associazione a delinquere di stampo mafioso, definito il cassiere della mafia trapanese. Vito Stallone che sta nel collegio sindacale della è il commercialista di Grigoli, inserito nelle società dello stesso e questo è attestato dalla Questura di Trapani. Ogni attività economica ha sempre destato l’interesse della mafia. Se poi questi interessi sono rimasti fuori dalla porta, se sono entrati dentro casa o sono diventati proprietari io non mi accampo a dirlo, ma ripeto che ci sono interessi mafiosi che vanno dai cugini Salvo ad oggi a Matteo Messina Denaro. Il collegamento Vito Stallone, Grigoli Giuseppe Matteo Messina Denaro è un’autostrada. Il collegamento c’è ed è fortissimo. Inoltre il campiere, l’uomo di fiducia del feudo, è lo stesso che c’era quando la tenuta era di proprietà dei Salvo.

Come avveniva la truffa?Già dal primo momento la truffa è stata

chiara. C’è la vendita di una cantina all’interno dello stesso gruppo pagata dallo Stato. Inoltre, quando viene dato un con-tributo oltre alla realizzazione di un obiet-tivo, in questo caso la riattivazione di una cantina il programma Sikelia prevedeva an-che che fosse data una svolta occupazion-ale, incremento che nel caso di specie non c’è stato perché sono stati presi alcuni dipendenti di Nosio e Villa Albius società facenti parte del gruppo e sono stati passati alla FTA che è per l’81% di Fabio Rizzoli, amministratore delegato del gruppo Mezza-corona, e per il restante 19% della Nosio, azienda facente parte del medesimo grup-po.

In che termini è stato effettuato il sequestro preventivo?

Qui ho doluto salvare due situazioni prin-cipali. In primo luogo ho voluto conservare i soldi dello Stato. Il nostro simbolo è un grifone con la mano sul forziere. Io ho vo-luto rimettere la mano sul forziere e per fare ciò ho bloccato la somma di 1.455.564 euro presso il Ministero delle attività produttive e ho sequestrato la cantina che vale 2 milioni e mezzo di euro.

Non ho mandato a casa nessuno, non ho detto chiudiamo tutto perché c’è il sequestro, ho avuto senso di responsabilità neanche di andare a sequestrare i soldi all’azienda perché spesso per i signori i soldi ci sono, per gli operai non ci sono mai per far sentire il peso della pressione politico-sociale, almeno così ci fanno sempre pensare. Per evitare ciò e garantire comunque i soldi allo Stato ho messo un’ipoteca sulla cantina.

Di conseguenza se la società vende c’è prima lo Stato. Il mio secondo obiettivo è quello di non far perdere il lavoro a nessuno, anzi di continuare a lavorare. Non ho voluto dare fastidio a nessuno, ho fatto solo il mio lavoro. Qualcuno ha obiettato sul fatto che sono andato con l’elicottero, ma vista l’estensione del territorio, ben 652 ettari, non si poteva fare altrimenti. Il diritto di proprietà non limita il potere della magistratura di fare una perquisizione e nel caso specifico questa era autorizzata dal Procuratore della Repubblica di Ragusa.

E il coinvolgimento della Banca Nuova?

La banca concessionaria secondo noi non

si è azionata in maniera virtuosa. Nella richiesta di contributo la banca deve fare una serie di riscontri. Sarebbe stato sem-plice riscontrare che la vendita è avvenuta all’interno dello stesso gruppo. Noi non de-nunciamo tutta la banca, ma solo il funzi-onario che ha trasmesso la pratica che fra l’altro indica che ci può essere una vendita a se stessi, ma poi la sottace. È come se gliela desse a denti stretti, senza approfondire la questione. Proprio per questo abbiamo segnalato alla Procura la responsabilità penale di questo soggetto.

A che punto è il procedimento?Dal punto di vista amministrativo si deve

verificare se è giusto che il contributo ven-ga erogato, da quello penale c’è un procedi-mento in corso per appurare se esistono re-sponsabilità.

Non è il primo servizio che facciamo su questo caso. Arrivano parecchi contributi europei che abbiamo verificato e continuiamo a verificare. Questo ci è salta-to agli occhi per via del collegio sindacale composto da soggetti di Castelvetrano ed è necessario verificare se, in un luogo come il Feudo Arancio, nel quale prima c’erano infiltrazioni mafiose, ci siano ancora inter-essi del genere anche se sappiamo che ora ci sono dei trentini che non sono mafiosi, ma dobbiamo verificare se per caso hanno fatto entrare qualcuno e non se ne sono ac-corti. Secondo me questo dei contributi ero-gati dallo Stato è un settore molto impor-tante anche per la gente, ci sono tanti im-prenditori giovani che vorrebbero entrare.

Angela AllegriaIl Clandestino

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Vittoria Vittoria

Ragazzi,qua si giocaa pallamarcia

I dirigenti che si sono succeduti alla gui-da delle società calcistiche cittadine hanno spesso mostrato legami più o meno forti con personaggi legati alla mafia locale e alla criminalità organizzata. E anche la po-litica ha recitato il proprio ruolo.

Che il mondo del calcio fosse in grado di suscitare particolari interessi e di muovere ingenti somme di denaro è cosa nota. Da ciò deriva l’interesse che spesso porta im-prenditori e politici ad avvicinarsi al mondo del pallone, con risultati spesso poco gratificanti dal punto di vista della legalità. Tale fenomeno si sviluppa in buona parte della Sicilia nella seconda metà degli anni ’80, quando gruppi legati alla criminalità organizzata decidono di investire sulle soci-età di calcio, da Palermo, a Catania, alle piccole squadre di Agrigento, al fine di ot-tenere il consenso necessario per gestire i propri affari in città. E’ quanto accaduto nel corso degli anni a Vittoria, dove spesso le squadre di calcio che si sono succedute hanno visto alla guida personaggi poco pu-liti, sia direttamente, che indirettamente at-traverso uomini a loro vicini.

Si parte dagli anni settanta, quando la squadra locale, allora iscritta al campionato professionistico di serie C2, viene acquista-ta da Giuseppe Cirasa, ucciso a Vittoria il 9 Settembre 1983, che intratteneva rapporti con l’imprenditore calabrese Pasquale Pizzimenti, coinvolto nel 1992 in un’operazione antimafia nei confronti del clan Dominante-Carbonaro e trovato morto in un pozzo nelle campagne di Vittoria il 16 Dicembre 2001. Nella seconda metà degli anni ’80 i Carbonaro decidono di prendere in mano la squadra e costituiscono la soci-

età sportiva Vittoria Colonna.Andando avanti nel tempo troviamo l’ex

sindaco Aiello, al tempo parlamentare re-gionale, che spinto da un’irrefrenabile pas-sione per il calcio a Vittoria, viene fotogra-fato nel maggio del 1991 allo stadio, seduto sulla panchina della Vittoria Colonna, soci-età che vinse il campionato di terza catego-ria nella stagione 90/91.

Ma andando ad osservare l'assetto socie-tario della Vittoria Colonna ci si accorge che sono diversi i personaggi ad avere qual-che problema con la giustizia. Presidente della società, infatti, era un certo Giovanni Cilia, imprenditore, socio della cooperativa Maxiflora, arrestato nel 1995 e ritenuto es-ponente della cosca mafiosa Dominante-Carbonaro; vice-presidente era tale Antoni-no Mandarà, proprietario di un autosalone e anch’egli arrestato per mafia. Inoltre la rosa societaria vantava tra le proprie fila person-aggi del calibro di Titta Molè, arrestato per mafia, e di Bruno Carbonaro, leader della cosca locale insieme ai fratelli Claudio e Silvio, tutti e tre arrestati tra il 1992 e il 1994 e poi diventati collaboratori di gius-tizia.

Segretario era Claudio La Mattina, diret-

tore generale del Vittoria Calcio durante la presidenza di Giombattista Molè, direttore sportivo agli inizi della gestione Dezio, e poi nuovamente direttore generale nella sta-gione 2009/2010 e attuale segretario parti-colare del sindaco di Vittoria Giuseppe Ni-cosia, solo omonimo dell’allora medico so-ciale. Dopo i Carbonaro la squadra passa nelle mani dei D’Agosta, più precisamente nelle mani di Salvatore D’Agosta, figlio del boss Francesco D’Agosta, detto il mammasantissima, che ricopre la carica di presidente.

A ricoprire il ruolo di presidente del Vit-toria calcio alla fine degli anni ’90 è stato Giombattista Molè, manco a dirlo, anch’egli arrestato per mafia. E’ strano no-tare come fino alla fine degli anni ’90 la squadra ha ottenuto parecchi sponsor, con circa il 70/80 % degli imprenditori vittorie-si che concedevano gli sponsor alla squadra (è da chiedersi se quelle sponsorizzazioni non fossero estorsioni indirette da parte di chi gestiva la squadra).

In quegli anni, inoltre, tutte le amminis-trazioni comunali partecipavano attiva-mente alle attività della squadra, nonostante tutti sapessero che la società era in mano a gruppi criminali. Nei primi anni 2000 la squadra locale ottiene i migliori risultati, con la storica promozione in serie C1 con-quistata nella stagione 2003/2004, quando alla guida del Vittoria calcio c’era l’architetto Angelo Dezio. Gli ultimi anni hanno visto le squadre vittoriesi vagare per i campi delle categorie minori, guidate da piccoli imprenditori locali.

Giovanni LonicoIl Clandestino

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Ombre sulle squadre di calcio Ombre sulle squadre di calcio

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Ragusa Ragusa

SupermercatiLa mafianel carrello

Il nuovo business della mafia si concen-tra attorno ai centri commerciali e alla grande distribuzione. E la mafia, forse, arri-va sui carrelli anche in provincia di Ragusa.

Come funghi spuntato anche nell’area ib-lea centri commerciali e ipermercati: enor-mi, forse sproporzionati.

Ma c’è un giro d’affari così ampio da giustificare questi investimenti? Forse si, vista la ricchezza della nostra provincia, ma qualche dubbio sorge.

A Modica nel raggio di poche centinaia di metri sono situati tre centri commerciali: la Galleria Solaria, Al Plaza Shopping, e la neonata costruzione dall'altra parte della strada.

Gli ultimi due sono stati costruiti da Cap-pello Raffaele, imprenditore vicino al grup-po Minardo, lo stesso che costruisce il fu-turo albergo nella zona di Treppiedi, nel polo commerciale, proprio dietro la pompa di benzina Giap.

L’ultima novità per la città della contea è la costruzione del centro commerciale La Fortezza, sulla Modica – Ispica, vicino la zona artigianale di C.da Michelica.

La struttura presentata in pompa magna al teatro Garibaldi, con tanto di saluto del sindaco Buscema, dovrebbe ospitare set-tantacinque negozi su due piani, sparsi in sessantottomila metri quadrati di superficie, con millesettecento posti auto.

Manco a dirlo, l'ennesimo schiaffo alla campagna modicana, sempre più violentata.

Il mega impianto è realizzato dalla Ser-com spa del gruppo calabrese Russo, pro-prietario anche della Rivazzurra srl, titolare di supermercati DiMeglio, e della Cibus srl, società di ristorazione.

Fin qua nessuna anomalia. Ma la storia della società calabrese presenta qualche

neo. Infatti, la Sercom si occupò dei lavori del centro commerciale La Vigna, a Castro-filippo nell’agrigentino.

La società del gruppo Russo acquistò per 4 milioni di euro le autorizzazioni e i terre-ni da una società di Canicattì riconducibile a persone “vicine” a Cosa Nostra. Quest’ultima società aveva precedente-mente acquistato i terreni situati in contrada Cometi e aveva avviato le pratiche per la concessione edilizia.

Ai lavori, realizzando ingenti guadagni, avrebbero partecipato alcune imprese di soggetti vicini al boss mafioso di Campo-bello di Licata, ritenuto il numero uno di Cosa Nostra nell’agrigentino e – prima del recente arresto – fra i 30 ricercati più peri-colosi d’Italia, Giuseppe Falsone.

Da quanto riportato dal giornalista Anto-nio Mazzeo, da indagini e soprattutto grazie alle dichiarazioni del collaboratore di gius-tizia Beniamo Di Gati si è scoperto che uo-mini appartenenti alle cosche locali avreb-bero realizzato ingenti investimenti nei la-vori edili, partecipando alla progettazione e alla realizzazione del centro commerciale.

Per questo fu disposto il sequestro dell’impianto, poi revocato a fine 2008 per “l’estraneità della Sercom alle indagini dell’inchiesta Agorà e del legale rappre-sentate Rosario Russo , ascoltato solo come “persona informata sui fatti””.

Addirittura per la costruzione de “La Fortezza” il gruppo calabrese ha proposto un protocollo di legalità per non ricevere infiltrazioni mafiose.

Ma pare che l’orientamento della Prefet-tura, a cui spetta il compito di accordare il protocollo, sia negativo.

Per quale motivo? Forse l’impresa non possiede tutti gli elementi della limpidezza?

Chissà, intanto gli occhi sono puntati sulla Sercom e sull’inchiesta di Agrigento.

Intanto, possiamo rivelare che è in corso un’inchiesta sui centri commerciali nell’area iblea, nata da una precedente in-chiesta sul centro commerciale ragusano “l’Ibleo”.

Grandi interessi, a volte poco limpidi, si annidano sui mega store.

Si fa avanti la mafia legalizzata.Altra infiltrazione mafiosa in provincia

pare ci sia stata in alcuni super e iper mer-cati. In particolar modo quelli con il logo Despar o Eurospar. In provincia sono presenti a Modica, Comiso e Ragusa e sono di proprietà dell’Aligrup Spa riconducibile a Sebastiano Scuto. Dal 2001 la società è sotto il controllo dell’amministrazione giudiziaria.

Ma chi è Sebastiano Scuto? Nella relazi-one annuale, del 2008, sulla ‘ndrangheta della Commissione parlamentare di inchi-esta, realizzata da Francesco Forgione, si parla della società G.D.S. srl, con sede a Salerno, di cui “è socio anche Salvatore Michele Scuto, figlio di Sebastiano Scuto che ha precedenti per associazione per de-linquere di tipo mafioso e secondo la Di-rezione nazionale antimafia verosimilmente affiliato alla potente famiglia mafiosa dei Laudani di Catania”.

La Despar nella Sicilia Occidentale è stata controllata da Gricoli indagato per essere il prestanome di Matteo Messina Denaro.

Da recenti indagini si scopre che il com-mercialista di Gricoli è tale Vito Stallone, presidente del collegio sindacale della Feu-do Arancio.

Giorgio Ruta e Francesco RutaIl Clandestino

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Il business dei centri commercialiIl business dei centri commerciali

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Europa Europa

Gay pridea Belgrado

Orgoglio e rabbia

Belgrado. Via Admirala Geprata è deser-ta, alle due estremità poliziotti in assetto da guerra in doppia fila, con i caschi lucenti e i manganelli riposti. Benvenuto al giorno dei colori e della libertà d’espressione, dell’orgoglio di sentirsi diversi, ma più che altro della possibilità di esprimerlo senza subire pestaggi: il Gay Pride di Belgrado.

Hanno detto in tv che più di seimila poliziotti sono stati schierati lungo tutto il percorso della manifestazione e in diversi punti della città, collegati a unità mobili per spostarsi tempestivamente dove richiesto, e appoggiati da elicotteri, hammer corazzati e reparti dell’esercito. Questa volta lo Stato serbo si è preso la responsabilità della para-ta dispiegando tutte le sue forze, memore dei linciaggi del 2001, il primo tentativo di un Gay Pride nella città, e dell’umiliazione governativa del 2009, quando la mani-festazione fu prima spostata e poi cancella-ta dagli organizzatori per l’impossibilità di garantire la sicurezza dei manifestanti.

Dopo una doccia veloce, cammino alle-gro verso il parco Manjez, punto di parten-za della parata, incrociando cordoni di polizia in ogni strada; pochi i passanti, un po’ perché è domenica, un po’ perché molti belgradesi si aspettano il peggio. Un amico che doveva raggiungermi mi chiama angos-ciato dicendo che non può uscire: alcuni gruppi di ragazzi stanno ingaggiando uno scontro con la polizia proprio nella sua stra-

da, hanno già dato alle fiamme due auto, lui per ora resta barricato in casa. L’atmosfera diventa più pesante quando degli agenti mi controllano diverse volte i documenti, mi perquisiscono e fanno domande, prima di lasciarmi entrare nel parco dotato di un braccialetto e di un adesivo rosa di ricono-scimento. Nel giardino sembra di essere in un sogno, la musica alta manda a ripetizione pezzi glam e rock anni Settanta e Ottanta, una miriade di colori festanti, sorrisi, coppie gay e etero, hippies giovani e anziani, eleganti signori in doppiopetto, gruppi antifascisti e organizzazioni dei dir-itti umani, delegazioni dai paesi balcanici e dall’est Europa, si preparano a sfilare. Conosco diversi ragazzi e ragazze bel-gradesi, sono in fibrillazione, continuano a dirmi come questo sia un momento storico, finalmente il sospirato Gay Pride può aver luogo senza paura degli estremisti di destra e degli hooligan che infestano la città. Sor-ridiamo calorosi, ma siamo tutti coscienti di come questo parco sia un ghetto presidiato dall’esercito, se non ci fossero le armi a difenderci non ce la passeremmo così bene, e un certo timore resta sospeso nell’aria pensando al momento in cui usciremo di qui.

Sul palco allestito per l’occasione pren-dono la parola rappresentanti dell’OSCE e del parlamento europeo, e il ministro serbo per i diritti umani e delle minoranze Sveto-

zar Ciplic, fischiato per la sua tiepida difesa dei diritti della comunità LGBT. Molti rappresentanti diplomatici europei sono mescolati alla folla, visibilmente compi-aciuti. Si è letto ultimamente nei giornali critici con il governo Tadic di come il Gay Pride sia stato per molti più un evento “po-litico” allestito per l’Europa, un “test di de-mocrazia” agli occhi degli stranieri, che la vera espressione dei sentimenti popolari. In effetti, ieri hanno manifestato pacifica-mente il proprio dissenso alla parata molte famiglie e fedeli della chiesa ortodossa, ap-poggiati da alcuni pope dalla barba lunga, brandendo croci di legno e additando gli omosessuali come “sodomiti”. Proteste contigue ma diverse dagli estremisti del “Gruppo 1389” e di Obraz (Dignità) che hanno minacciato “sangue fino alle ginoc-chia” e “morte ai gay” sui muri della città e nei loro bollettini.

Usciamo scortati da ogni lato, le bandiere della pace sventolano nel sole di Belgrado. Saremo non più di mille, tutti stretti per far-ci coraggio ora che siamo in strada. Ai lati, nonostante la dissuasione della polizia, ragazzi incappucciati ci osservano aggres-sivi mostrandoci il dito medio. Passando vi-cino a una chiesa osservo un piccolo grup-po di fedeli che verso di noi intona inni sac-ri con le immancabili icone, profondendosi in teatrali segni della croce, guardato a vis-ta da un cordone di agenti.

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“Ho gli occhi aperti dal mattino presto, fi“Ho gli occhi aperti dal mattino presto, finalmente svegliato non dai piedinalmente svegliato non dai piedi gelati ma dal sole obliquo sulla mia faccia. Dalla strada non giungono suogelati ma dal sole obliquo sulla mia faccia. Dalla strada non giungono suo--ni, mentre aspetto si scaldi l’acqua del tè mi chiedo dove sia finita la lunni, mentre aspetto si scaldi l’acqua del tè mi chiedo dove sia finita la lungaga fila di auto clacsonanti che mi ha strappato un sorriso a ogni risvegliofila di auto clacsonanti che mi ha strappato un sorriso a ogni risveglio questi ultimi giorni, facendomi pensare al traffico di via Duomo a Napoli...”questi ultimi giorni, facendomi pensare al traffico di via Duomo a Napoli...”

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Europa Europa

Sulla strada Nemanjina il corteo incrocia i due scheletri degli edifici militari bombardati dalla Nato nel 1999, un cupo sfondo all’allegria che ci attraversa. La parata dura pochissimo, dopo neppure due isolati, percorsi in mezz’ora, arriviamo al Centro Culturale Studentesco e lo invadiamo pacificamente prendendo parte alla festa organizzata all’interno. Musica disco, birre e danze liberatorie smorzano l’ansia, la Gay Parade è andata bene, le notizie dalla città sono inquietanti ma nessun manifestante è rimasto coinvolto.

Nel primo pomeriggio la festa continua ma comincia l’”evacuazione”. La polizia ha pensato a tutto, è pronta a caricare piccoli gruppi su camioncini utilizzati per il tras-ferimento dei detenuti, per guidarli verso un luogo sicuro. Poco lontano da qui, alcu-ni sciacalli non attendono altro che qualche incauto partecipante si avventuri da solo verso casa. Entro in un mezzo insieme a una decina d’altri, stiamo stipati come sar-dine, non c’è luce e solo un flebile soffio d’aria entra dal finestrino. La situazione è grottesca, siamo qualcosa a metà tra pri-gionieri e minoranza a rischio, non so nep-pure esattamente dove ci conducono. Dopo aver guidato per un quarto d’ora, final-mente aprono il portellone per farci scen-dere davanti a una centrale di polizia a Novi Beograd, apparentemente lontano dagli scontri.

Decido di camminare verso le zone del

centro, ho sentito che sono in corso guer-riglie in diversi punti della città. All’incrocio Terazije c’è un folto gruppo di ragazzi che sta devastando vetrine e auto. I passanti guardano curiosi, qualcuno si rifu-gia nei pochi negozi aperti. Un uomo mi dice che questa situazione gli ricorda la guerra, è di Sarajevo. Le facce di questi ragazzi, additati a seconda dei casi come ultranazionalisti, naziskin, hooligan o sem-plicemente facinorosi e teppisti, sono tirate, ma sembrano divertirsi distruggendo e cre-ando caos. Sono giovani, molti di loro han-no meno di vent’anni, alcuni sono con le ragazze che li osservano da poco lontano. C’è anche qualche veterano, con anfibi e testa rasata. Decidono di sfondare la vetrina del megastore della Nike, si passano i pal-loni e inscenano una partitella tra le pietre e i vetri rotti. Nemmeno due minuti dopo ar-rivano in corsa i poliziotti in assetto anti-sommossa, distribuendo colpi e calci e arre-stando un paio di manifestanti. Mi trovo in mezzo agli scontri e mi salvo dalla polizia solo perché resto fermo e non corro, dimos-trando così di non essere tra i violenti. I ragazzi, vestiti con tute acriliche e scarpe da ginnastica alla moda, scappano in ogni direzione, fermandosi un istante solo per lanciare pietre agli inseguitori.

Alla fine, il bilancio degli scontri in città sarà di centoventiquattro poliziotti e dicias-sette rivoltosi feriti, duecentoquattro arresti e un milione di euro di danni stimato. Gli

estremisti, si dice, erano più di seimila. Sui notiziari locali e internazionali saranno gli scontri a tenere banco, facendo scivolare in secondo piano la ben riuscita parata dell’orgoglio gay. Alcuni esponenti dei par-titi d’opposizione riaffermano le critiche nei confronti della decisione del governo di tenere la parata pur sapendo che ci sarebbe-ro state proteste violente. Per molti qui in Serbia, come per lo stesso sindaco di Bel-grado, la sessualità è un affare da tenere dentro le mura domestiche.

Torno a casa, un po’ angosciato. Come me anche qualcuno degli “estremisti” scampati all’arresto starà rincasando, forse in una periferia tra campi brulli e cemento, in una famiglia che non gli dà molto ascol-to, troppo presa a venire a capo delle spese o troppo assorta davanti alla tv. Ho la sen-sazione che i gay c’entrino poco con la rab-bia e l’odio che si sono visti per le strade di Belgrado; oggi sono stati loro l’obiettivo, domani possono esserlo i musulmani, i kosovari, le donne emancipate, i venditori ambulanti, gli immigrati. Per una parte del-la generazione serba cresciuta a pane e tifo calcistico, infarcita di spot televisivi e di slogan etnici della “Grande Serbia”, con poche prospettive davanti e molti dilemmi irrisolti dietro, l’esplosione di rabbia sem-bra più una dimostrazione disperata di presenza nel mondo.

Salvatore De RosaNapoli Monitor

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Nell'anno di Gelmini Nell'anno di Gelmini

Confessionedi una ricercatrice

a un ministro del Regno

Caro Ministro Gelmini,sono una ricercatrice di Cà Foscari, in-

segno sociologia.Mai avrei pensato di scriverle sino ad

oggi, ma la situazione è grave.Mi perdoni se per un istante le parlo ap-

ertamente.Ho due anni meno di lei e sono rientrata

in Italia nel 2008 dopo aver trascorso il res-to degli anni 2000 negli Stati Uniti. Quand'ero un Ph.D. student negli States con molti docenti c'era un rapporto di ami-cizia. Nel mio Dipartimento c'erano molte donne, young faculty, associate o full pro-fessors. Il reclutamento di nuovi docenti era un processo in cui erano coinvolti tutti, anche i graduate students avevano potere decisionale. Tra le tante cose che valutava-mo c'era l'età del candidato, perché più l'Università è giovane e più è viva, dinami-ca, propositiva, proliferante di sapere. Ri-cordo che al mio arrivo come studente di dottorato al primo anno avevo trovato ad attendermi all'aeroporto il direttore del Di-partimento. Mi aveva ospitata a casa sua per circa un mese. Amava gli studenti per-ché credeva rappresentassero il futuro e voleva che fossimo tutti nelle condizioni migliori per lavorare. Ricordo che a lezione gli undergraduates non avevano timore di porre domande, che c'era complicità tra stu-denti e docenti, che si respirava un'orizzontalità a me sino ad allora scono-sciuta.

Nel 2008 sono rientrata in Italia. Non era mio desiderio, ma la vita a volte fa strani scherzi. Ricordo con opacità un concorso con altri sei colleghi. Due di noi avevano trent'anni, gli altri ne avevano più di quar-anta. Discutevano di candidati interni o es-terni, del numero di concorsi tentati e desti-nati ad altri, di anni di ricerca e di didattica precaria, di corsi di didattica frontale re-tribuiti con circa 2 mila euro netti l'anno. Parlavano di famiglie e di figli, di bollette, di una passione messa a dura prova dalla precarietà e dalla svalutazione del sapere.

All'epoca sapevo poco dell'università italiana. Non sapevo che cosa significasse essere un ricercatore, sapevo che il mio sti-pendio entrante negli Stati Uniti era tre

volte lo stipendio che prendo ora. Non mi sono stupita ovviamente quando nessuno è venuto a prendermi all'aeroporto, mi sono stupita quando mi sono accorta di avere poche colleghe donne, quando ho cono-sciuto colleghi che avevano due volte e mezza i miei anni, quando ho realizzato che durante le riunioni ufficiali i ricercatori difficilmente parlavano. Negli anni mi han-no colpita anche altre cose, ad esempio il fatto che l'autonomia di pensiero venisse a volte considerata non tanto come una con-quista sublime ma come un segno di arro-ganza precoce; che in Università come in strada esistessero parole come protettore e tradimento, e che la giovane età non fosse un pregio bensì un difetto: i giovani del resto non hanno un nome, non hanno capi-tale, non hanno reti di conoscenza già intessute, non hanno potere politico. I gio-vani non esistono se non in potenza, perciò devono avere pazienza, e prima o poi se hanno fortuna qualcuno li aiuterà.

Capirà con quanta meraviglia abbiamo vissuto questi mesi, quant'è stato travol-gente vedere migliaia di ricercatori mobili-tarsi a partire dal senso di stima di sé, dalla responsabilità per il futuro, dall'entusiasmo, dall'amore per il sapere. Capirà con quanta energia abbiamo cominciato a parlare negli atenei della sua riforma e quant'è stato rigenerante scoprire che potevamo cambiare le cose in meglio. Ci siamo accorti che l'Università pubblica può essere riformata anche senza mutilazioni, che basterebbe invertire un po’ la piramide ordinari-ricercatori per ridurre di molto i costi, per aumentare la democrazia interna, per dare un significato onesto al concetto di meritocrazia. Ci siamo resi conto anche che la sua riforma non va in questa direzione, accentra il potere verso l'alto piuttosto che distribuirlo verso il basso, esclude ancora una volta i più giovani e i precari ed attribuisce il potere decisionale maggioritario ad un Consiglio di Amministrazione esterno ed al Rettore, a scapito addirittura di organi interni sino ad oggi importanti quali il Senato Accademico. Ci siamo resi conto che la sua riforma vorrebbe tagliare i corsi di laurea

“inutili”, ma che la definizione di inutilità è sempre un po' ambigua, del resto anche le dittature sudamericane la utilizzavano per mettere al bando i corsi di filosofia e di sociologia. Infine ci siamo dovuti arrendere al fatto che lei non pensa ai giovani, anzi propone il blocco delle assunzioni di nuovi ricercatori a tempo indeterminato, cosa che non solo spingerebbe i migliori di noi all'esodo, ma che data l'età media del corpo docente italiano spingerebbe nel medio periodo l'Università pubblica al collasso. Non entro nel merito degli effetti congiunti del suo DdL e dei tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario all'Università, perché se lo facessi dovrei concluderne che il governo ha in mente un progetto antropologico regressivo per il popolo italiano. Voglio piuttosto dire che tutti noi siamo preoccupati: ricercatori, precari, studenti, professori associati, professori ordinari e presidi.

Siamo preoccupati perché ci sembra che stiate per votare con semplicismo ed irre-sponsabilità un DdL di estrema importanza. Siamo preoccupati perché ci sembra che vi interessi di più il bene di pochi che il bene di tutti, e che Confindustria abbia più dirit-to ad entrare nel governo dell'Università di quanto quei giovani “capaci, meritevoli ed anche privi di mezzi” di cui parla la Costituzione abbiano diritto di studiarvi. Siamo preoccupati perché ci sembra che un disegno di legge di questa portata non andrebbe votato in notturna con la fretta che caratterizza le fughe dei ladri ma alla luce del sole, in aperta collaborazione con tutti coloro che desiderano anteporre ai propri interessi l'amore per il futuro. Siamo preoccupati perché crediamo che in questo quadro fosco fatto di crisi economica, di precarietà e di crisi di governo non abbia senso dare prove di forza o perseguire un voto politico, come ci sembra stia accaden-do. Crediamo che il diritto all'istruzione in Italia sia in pericolo, e che sia nostro do-vere proteggerlo oggi domani e sempre, sino a quando riusciremo a creare un'università aperta, orizzontale e di tutti.

Francesca CoinCà Foscari / Rete 29 Aprile

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Nell'anno di Gelmini Nell'anno di Gelmini

Catania/Una giornata

particolare

Non è una giornata qualunque. Sono le ore 11.00 del 14 Ottobre e girando per le strade di Catania ti aspetteresti il solito andirivieni di gente che fa acquisti, le voci dei turisti, il rumore del traffico snervante e in sottofondo l'abituale silenzio degli estra-nei.

Eppure se hai avuto modo di passeggiare per le strade centrali di questa mattinata di sole, sai bene che non è così. C'è molto più rumore del solito, ma non un rumore fastidioso, sono suoni piacevoli, voci, risa, idee che si propagano come una ventata d'aria fresca.

In piazza Università non ci sono i soliti sconosciuti, c'è Adriana che ti viene in-contro per spiegarti in che disastroso stato stanno riducendo l'istruzione pubblica, Matteo che grida a gran voce le proprie idee, Marco che continua a raccontare con le foto ciò che accade e come loro molti al-tri che mettono in campo nuove forme di comunicazione per parlare purtroppo degli stessi vecchi problemi.

E non sono soli, c'è gente di tutte le età e siano essi docenti, ricercatori o precari han-no le stesse nuove idee.

Alla Camera dei Deputati non s'è discus-so, come previsto, della "riforma" Gelmini e così invece di lottare, di arrabbiarsi, ci si è goduti la vittoria “relativa” di questa batt-aglia (bada bene non della guerra! dice Alessandro, ricercatore) e abbiamo fes-teggiato facendo ciò che sappiamo fare meglio: trasformando in azione politica, la nostra cultura e le lezioni di docenti e di ricercatori della nostra università.

Con il “sit in”, davanti alla porta del pal-azzo centrale del nostro Ateneo, abbiamo voluto significare Catania come una città davvero universitaria. Una città in cui è il sapere a saltarti addosso, che ti viene in-contro e ti mostra tutta la sua bellezza e il

suo valore.Così in piazza, uno

spazio che per eccel-lenza rappresenta la libertà d'espressione, si sono tenute lezioni e ci sono stati dibattiti, gli stessi che la democrazia dovrebbe insegnarci a fare, ma a cui la letteratura ci abitua molto di più, come ha detto Attilio ad un pubblico di studenti più che mai interessato.

Solo in un clima di questo tipo, si sono potute pensare pro-poste per una Uni-versità alternativa, che abbia pari rapp-resentanti tra studenti, docenti e ricercatori e che garantisca il diritto allo studio per tutti, conferma ne è il documento che Edoardo e Luca hanno stilato e letto e che porteranno a Roma.

C'è ancora tanto da costruire, ci sono ancora parole da rilanciare, voci da ascoltare, attività da por-tare avanti, nomi e volti da rappresentare.

Ma la nostra idea di cosa voglia dire fare parte di una società dinamica e aperta, fon-data sui Saperi, la abbiamo messa in campo oggi. Quello che vogliamo è una piattaforma in cui scambiarsi idee ed espe-rienze, che non si stanca di contrastare riforme distruttive e di formularne di nuove e produttive, che ha la forza di ridare vita

ad una intera città.Questa piattaforma, nella dimensione di

Piazza multiculturale in cui sia possibile parlare liberamente, noi la abbiamo individuata nell'Istruzione Pubblica e siamo volenterosi di metterla in campo.

Valentina Ferroredazione Uni_Verso

foto di Marco Scalisi

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Stampa libera Stampa libera v

“Mamma!” al festivaldella creatività di Firenze

Amici, lettori, fiancheggiatori, abbonati!E' con grande piacere che vi segnaliamo la presenza di Mamma! (la rivista di giornalismo che fa satira a fumetti) all'interno del Festival della Creativita' di Firenze.

L'appuntamento e' per VENERDI' 22 OTTOBRE alle 17:00 a FIRENZE, presso la CUPOLA CONVEGNI del Festival della Creativita', situata in PIAZZA DUOMO.Qui ci sono i dettagli e la mappa dell'iniziativa:http://2010.festivaldellacreativita.it/node/2837

Nel corso dell'iniziativa sara' presentato ufficialmente il programma autunnale di Mamma!, e i nostri ambiziosi progetti per il futuro:- l'uscita di un nuovo numero monografico (anzi bi-grafico) dedicato ai temi dell'Africa e della Follia;- la partecipazione della rivista a Lucca Comics, per lanciare una collana di saggi a fumetti che esordisce con la traduzione di un manga giapponese sulle armi all'uranio impoverito e sui rischi del nucleare civile;

- la nascita dell'associazione culturale "Altrinformazione" che diventera' l'editore ufficiale di libri e rivista, per offrire anche supporto legale e logistico a tutti i vignettisti, giornalisti e fumettari che vogliono tutelare la loro libera espressione dal rischio di querele e ritorsioni;- l'invito alla mobilitazione antibavaglio per contrastare il blitz governativo del primo aprile scorso, che ha azzerato le tariffe postali agevolate per le riviste spedite in abbonamento;- l'idea di costituire un "gruppo d'acquisto" per aggregare e organizzare i piccoli editori e le autoproduzioni a caccia di tipografie che offrano prezzi competitivi.Per contatti e informazioni:Mamma!Se ci leggi e' giornalismo, se ci quereli e' satira

Carlo GubitosaDirettore Responsabile

[email protected]

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