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Ugo Fedeli Dalla insurrezione dei coetadiei in Ucraina ... Fedeli... · Ugo Fedeli, Dalla...

Date post: 14-Aug-2020
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Ugo Fedeli Dalla insurrezione dei coetadiei in Ucraina alla rivolta di Cronstadt
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Page 1: Ugo Fedeli Dalla insurrezione dei coetadiei in Ucraina ... Fedeli... · Ugo Fedeli, Dalla Insurrezione dei contadini in Ucraina alla Rivolta di Cronstadt, Edizione de «Il Libertario»,

Ugo FedeliDalla insurrezione dei coetadiei in Ucraina

alla rivolta di Cronstadt

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Ugo Fedeli

Dalla Insurrezione dei contadini in Ucraina alla Rivolta di Cronstadt

Giù nel profondo della miniera siberiana, tenete alta la vostra sofferenza; l'amara fatica non sarà perduta, il pensiero ribelle non sarà domato... pesanti catene cadranno le mura crolleranno a una parola; e la libertà vi accoglierà alla luce, e i fratelli vi renderanno la spada

Puskin, «Agli amici carcerati»

Prefazione di Mario Mantovani

Collana “ La Rivolta”— 5 —

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Ugo Fedeli,Dalla Insurrezione dei contadini in Ucraina alla Rivolta di Cronstadt,Edizione de «Il Libertario», Milano 1950. Prima edizione.

Ugo Fedeli,Dalla Insurrezione dei contadini in Ucraina alla Rivolta di Cronstadt,La Rivolta, Ragusa, marzo 1992.Seconda edizione.

Richieste, pagamenti e contributi vanno indirizzati a:Franco Leggio, via San Francesco 238,97100 Ragusa.Conto corrente postale n. 11112976.

In copertina, un manifesto del 1919 che celebra la flotta rossa come «l’avanguardia della rivoluzione».

Fotocomposizione:Em um eGrafica editoriale di Pietro Marletta, via della madonnina 32, Beisito, 95045 Misterbianco (CT),Tel. (095) 71 41 891.

Stampa:PR O V EN Z A N O & BA R R ESI s.n.c. Litografia-tipografia, via Garibaldi 361, 95122 Catania, Tel. (095) 20 18 48.Marzo 1992.

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Facciamo precedere e seguire le pagine di Ugo Fedeli da queste «Come premessa» e dalle altre dell’«Appendice», per dare ai Letto­ri più giovani una rapida «panoramica» di quel grande avvenimen­to che è la Rivoluzione Russa, e particolarmente di come gli anar­chici si sono rapportati nelle situazioni drammatiche prima contro l'autoritarismo opprimente dello zarismo e dopo contro l'autorita­rismo, altrettanto intollerante e opprimente, dei bolscevichi. E que­sto, anche per spiegare brevissimamente gli attuali sconvolgimenti susseguiti al crollo del muro di Berlino, della «dittatura del/sul pro­letariato» e dei vari partiti cosiddetti «comunisti», sia all’Est che all’Ovest.

Sarà ottimistica presunzione, ma agli sfruttati di tutto il mon­do dedichiamo questo libretto perché riflettano, perché ri-prendano coscienza, e fiducia in loro stessi, perché imparino che senza liber­tà il comuniSmo è la caserma, è oppressione, è tutto quello che è stato in Unione Sovietica, e che è crollato miseramente e tragi­camente.

Occidentalisti e demo-kapita listi hanno voglia di cantare vit­toria e di dare per «morto» il comuniSmo; è morto, forse, quello che è stato di volta in volta definito il «comuniSmo di Stato», il «comuniSmo scientifico», il «comuniSmo reale», ecc; sono crollati nella polvere delle loro infamie la «dittatura del proletariato», lo stalinismo dei gulag, ma non l ’aspirazione e l'anelito degli sfruttati di tutto il mondo a spezzare le catene dello sfruttamento e dell'in­giustizia-, e anche, checché ne abbaino i cani rognosi dell’occiden­talismo e dell’americanismo, nell’Est e nella Grande Russia.

E per questo che i signori dello sfruttamento e della guerra con­tinuano — con o senza NATO! — ad armarsi e ad addestrare i loro eserciti. Guerra contro chi, se quel «nemico» si è autosconfit­to, suicidato dalle proprie autoritarie contraddizioni? NO, il vero nemico di lor signori è sempre vivo seppure sconvolto, confuso, at­territo: sono gli sfruttati di tutto il mondo, il vero comuniSmo, lo zoccolo duro della libertà, dell'eguaglianza e della giustizia, cioè la rivoluzione sociale!

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Sorgi, popolo! I vampiri sociali ti stanno succhiando il sangue! Quel­li che prima invocavano la libertà, la fraternità e l’uguaglianza si rendono ora responsabili di terribili violenze! Ora si fucilano i pri­gionieri senza processo né indagini e persino senza l’intervento del «tribunale rivoluzionario». I bolscevichi sono diventati monarchici. Popolo! Lo stivale dei gendarmi calpesta tutti i tuoi sentimenti e desideri migliori. Non c’è libertà di parola, di stampa, di alloggio. Ovunque non c’è che sangue, lamenti, lacrime e violenza. I tuoi nemici hanno chiamato la fame ad aiutarli nella lotta contro di te. Sorgi, dunque, popolo! Distruggi i parassiti che ti tormentano! Di­struggi tutti gli oppressori! Creati la tua felicità. Non affidare a nessuno il tuo destino.Sorgi, Popolo! Crea l’anarchia e la comune!

* * *

Terrore , scontento, odio contro tutti e tutto. Lamenti degli affa­mati, lacrime di mogli e madri. Proteste e disperazione degli sfrut­tati. Grida dei malati e dei morenti. Vendetta dei deboli. Trionfo della povertà. Vendetta e sfida degli insultati. Più odio, più rabbia contro la schiavitù! Che questo mondo odioso e inutile possa mar­cire! Mondo di padroni e di schiavi, mondo di schiavisti e di schia­vizzati! Mondo di sazi e di affamati! Basta con il dolore e il tra­dimento! Avanti, verso la libertà e l’uguaglianza! Abbattete le mu­ra delle prigioni! Portate la libertà a tutti i derelitti della terra! Di­struggete la cultura degli oppressori! Fate a pezzi i «vostri» idoli terreni e celesti! Date alle fiamme l’ira e la vendetta! Alle fiamme le leggi e le regole stabilite da «Dio» e dalle autorità! Estirpate dal­le radici questo mondo disprezzabile! E sulle sue rovine costruite un mondo luninoso, senza dolore, con libertà, amore, uguaglianza e fratellanza per tutte le genti!* «Vesinik Anarkhii», Briansk, 14 luglio 1918.

Sorgi, popolo!*

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Come premessa

Perché sono anarchico*

Sono anarchico perché la società contemporanea si divide in due classi opposte: gli operai e i contadini impoveriti e spo­gliati di ogni avere, che hanno creato con le loro mani e la loro enorme fatica tutte le ricchezze della terra, e i ricchi, i re e i pre­sidenti, che hanno confiscato per sé tutte queste ricchezze. Nei confronti di questi capitalisti parassiti, re e presidenti gover­nanti, sorse in me un senso di sdegno, d ’ira e di disgusto, men­tre provavo pena e compassione per i lavoratori proletari che da sempre sono schiavi nella morsa crudele della bourgeoisie di tutto il mondo. Sono anarchico perché disprezzo e detesto ogni forma di autorità, perché l'autorità è sempre fondata sul­l ’ingiustizia, sullo sfruttamento e sull’oppressione della perso­nalità umana. L'autorità rende disumano l ’individuo e ne fa uno schiavo.

Sono contrario alla proprietà privata quando questa è in ma­no a singoli capitalisti parassiti, perché la proprietà privata è un furto.

Sono anarchico perché critico e censuro senza riserva alcu­na la moralità borghese, nonché la scienza e la religione, false e distorte, che relegano nell’ombra la personalità umana e ne impediscono lo sviluppo indipendente. Sono anarchico perché

* N. Petrov, Pochemu ia anarkhist, in Vol’nyi Kronshatadt, 23 ottobre 1917.

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non posso tacere mentre la classe abbiente opprime ed umilia la classe dei nullatenenti, gli operai e i contadini. In certe circo­stanze solo i cadaveri possono tacere, non gli esseri umani.

Sono anarchico perché credo nella verità dell'ideale anar­chico, che vuole liberare l ’umanità dall’autorità del capitalismo e dall'inganno della religione. Sono anarchico perché credo so­lo nella capacità creativa e nell’indipendenza di un proletariato unito, e non in quella dei vari leaders dei partiti politici.

Sono anarchico perché credo che l'attuale lotta di classe avrà termine solo quando le masse lavoratrici, organizzate come classe, realizzeranno i loro veri interessi e conquisteranno, per mezzo di una rivoluzione sociale, tutte le ricchezze della terra. Dopo questo rivolgimento, dopo aver abolito tutte le istituzioni go­vernative e autoritarie, la classe degli oppressi deve proclamare la fondazione di una società di liberi produttori che s ’impegni a soddisfare le necessità di ogni singolo individuo, il quale, in cambio, dovrà dare alla società il suo lavoro e adoperarsi per il benessere di tutta l ’umanità.

Non mi faccio illusioni sulla roboante e volgare frase «so­cialista»: «dittatura del proletariato e delle masse contadine». Dittatura è sinonimo di autorità e l ’autorità è qualcosa a cui le masse sono avverse. L'autorità corrompe sempre i governan­ti, che sono come le mosche sulle coma di un bue che pascola, mosche velenose che di tanto in tanto mordono il bue e ne av­velenano il sangue, esaurendone le energie e uccidendone lo spirito d ’iniziativa.

Sono fermamente convinto che l ’autorità scomparirà con la scomparsa del capitalismo. Le masse popolari cureranno da sé i propri interessi, su un piano ugualitario e comunitario, al­l'interno di comunità libere.

Sono anarchico perché mi impegno personalmente per in­

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fondere nelle masse l ’idea del comunismo anarchico. Interpreto il comunismo nel senso più pieno del termine, poiché troverò la mia felicità solo nella comune felicità di uomini liberi e au­tonomi come me.

Manifesto ateista*

È difficile dire quando il pensiero umano abbia concepito per la prima volta l'esistenza di Dio. Ma una volta che l ’ebbe concepito, lo rifiutò. Probabilmente, il rifiuto di Dio seguì im­mediatamente il suo concepimento, il primo riconoscimento della sua esistenza. In ogni caso, esso è molto antico, e i semi della miscredenza compaiono assai presto nella storia dell'umanità. Per molti secoli, però, questi modesti germogli dell’ateismo ven­nero soffocati dalla venefica ortica del teismo. Ma il bisogno e il concetto della libertà nel pensiero umano sono troppo forti per non prevalere. E infatti hanno prevalso. Sotto la loro pres­sione, tutte le religioni hanno ampliato i propri orizzonti, ce­dendo via via su tutti i fronti e rigettando ciò che solo una generazione prima sarebbe sembrato indispensabile. La religio­ne, nella lotta per la propria sopravvivenza, ha accettato molti compromessi, accumulando assurdità, combinando l'incombi- nabile.

Le ingenue leggende sull’origine della terra, leggende create da un popolo di pastori agli albori della vita, vennero abbando­

* Soiuz Ateistov, Ateisticheskii manifest, in «Nabat», Kharhov, 12 maggio 1919.

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nate e reiette nella mitologia dei «testi sacri». Sotto la pressio­ne della scienza, la religione ripudiò il diavolo e l'incarnazione della divinità. Dio, ora, si rivelava a noi come Ragione, Giu­stizia, Amore, Pace, ecc. Vista l ’impossibilità di salvare i con­tenuti della religione, gli uomini ne preservarono la forma, ben sapendo che questa avrebbe plasmato qualsiasi contenuto le ve­nisse imposto.

Il cosiddetto progresso della religione non è che una serie di concessioni per emancipare la volontà, il pensiero e i senti­menti. Non fosse per i loro insistenti attacchi, oggi la religione avrebbe ancora il suo originario carattere rozzo e ingenuo. Il pensiero, però, ottenne altre vittorie. Non solo costrinse la reli­gione sulla via del progressismo o, più precisamente, la costrin­se a dar vita a forme nuove, ma compì un passo creativo indi- pendente, muovendosi con sempre maggior coraggio verso un atei­smo aperto, militante.

E il nostro è un ateismo militante. Crediamo sia ora di com­battere apertamente, spietatamente tutti i dogmi religiosi, quale che sia la loro denominazione, qualunque sia il sistema filoso­fico che la loro essenza religiosa nasconde. Combatteremo qual­siasi tentativo di riformare la religione o di contrabbandare ana­cronistici concetti del passato nel bagaglio spirituale dell’uma­nità contemporanea. Per noi, tutti gli dèi sono ugualmente ri­pugnanti, assetati di sangue o umani che siano, invidiosi o gentili, vendicativi o pronti al perdono. Ciò che importa non è che tipo di divinità essi siano, ma il fatto stesso che sono divinità — cioè nostri signori, nostri sovrani — e che noi amiano troppo la no­stra libertà spirituale per inchinarci davanti a loro.

Perciò, siamo atei. Faremo coraggiosamente propaganda al­l ’ateismo tra le masse dei lavoratori, alle quali l'ateismo è ne­cessario più che a chiunque altro. Non abbiamo paura di sentirci

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rimproverare che distruggendo la fede del popolo gli togliamo anche la base morale su cui fondare la propria esistenza, rim­provero, questo, mosso da quei sedicenti «amici del popolo» che considerano inseparabili la religione e la moralità. Noi affer­miamo, al contrario, che la moralità può e deve essere libera da qualsiasi legame con la religione, e questa nostra convinzio­ne si basa sugli insegnamenti della scienza contemporanea. So­lo distruggendo i vecchi dogmi religiosi otterremo il grande, po­sitivo risultato di liberare il pensiero e i sentimenti dalle loro vecchie e rugginose catene.

E che cosa può servir meglio a infrangere questi legami?In quest'universo o nella storia dei popoli non esistono idee

obiettive. Un mondo obiettivo è un non senso. I desideri e le aspirazioni appartengono esclusivamente alla personalità dell'in­dividuo ed è l'individuo libero che noi poniamo innanzi a tut­to. Vogliamo distruggere la vecchia, repellente morale religiosa, che proclama: «Sii buono, o Dio ti punirà». Noi ci opponiamo a questo ricatto e proclamiamo: «Fai ciò che ti sembra giusto senza scendere a patti con nessuno e solo perché ti sembra giu­sto». E proprio solo un’opera distruttiva, questa?

Tanto grande è il nostro amore nei confronti della persona­lità umana, che per forza dobbiamo odiare gli dèi. Perciò, sia­mo atei. La lotta secolare e difficile della classe operaia per poter lavorare in libertà potrà durare ancora più a lungo di quanto non sia durata finora. I lavoratori dovranno forse faticare ancor più di quanto non abbiano fatto finora e sacrificare il proprio sangue per affermare le proprie conquiste. Lungo il cammino, i lavoratori dovranno senza dubbio subire altre sconfitte e, an­cor peggio, delusioni. Perciò devono avere un cuore d'acciaio e uno spirito forte, che reggp. ai colpi del fato. Ma può uno schiavo avere un cuore d ’acciaio? A l cospetto di Dio, tutti gli schiavi

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non sono che nullità. E si può possedere uno spirito forte, quando si cade in ginocchio e ci si prostra, come fanno i credenti?

Perciò andremo tra i lavoratori e tenteremo di distruggere le vestigia della loro fede in Dio. Insegneremo loro ad ergersi diritti e fieri come uomini degni di essere liberi. Insegneremo loro a non cercare aiuto se non in se stessi, nel loro spirito e nella forza delle organizzazioni libere. E una calunnia l ’asser­zione secondo cui i nostri migliori sentimenti, pensieri, desideri e azioni non sono nostri, non sono stati vissuti da noi, ma sono di Dio, sono determinati da Dio, e che noi non siamo noi stes­si, ma un semplice veicolo per la volontà del Signore o del Dia­volo. Vogliamo assumerci ogni responsabilità. Vogliamo essere liberi. Non vogliamo essere marionette o pupazzi. Perciò, sia­mo atei. La religione riconosce la propria incapacità di mante­nere viva e credibile nell’uomo Vimmagine del demonio ed essa stessa, ormai, la rifiuta, perché screditata. Ma ciò è assurdo, perché l ’esistenza del Diavolo è altrettanto plausibile dell’esistenza di Dio — cioè, non lo è affatto. Un tempo, la credenza nel demo­nio era assai forte. Il demonio aveva un’influenza sull’animo dell’uomo, tuttavia ora questa figura minacciosa, questo tenta­tore dell’umanità si è trasformato in un diavolo da operetta, più comico che terrificante. La stessa sorte è riservata al suo fratel­lo di sangue: Dio.

Dio, il Diavolo, la fede, l ’umanità ha pagato queste orribi­li parole con un mare di sangue, un fiume di lacrime, intermi­nabili sofferenze. Basta con quest’incubo! L ’uomo deve final­mente scuotersi di dosso questo giogo, deve conquistare la li­bertà. Prima o poi, la vittoria andrà ai lavoratori. Ma l ’uomo deve essere pronto e spiritualmente libero per entrare nella so­cietà ugualitaria, o perlomeno dev ’essersi liberato dal pattume divino che si è trascinato appresso per un migliaio di anni. Noi

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abbiamo scosso dai nostri piedi questa polvere venefica, e per­ciò siamo atei. Venite con noi, voi tutti che amate l'uomo e la libertà e odiate gli dèi e la schiavitù. Sì, gli dèi stanno moren­do! Viva l'uomo!

Unione degli atei

Il mio Dio*

10 non mi inchino di fronte a ll’idolo A l quale i derelitti della terra,I figli del mondo, calpestati e schiavi,Portano doni e implorano ricompense.

Non mi dà nessun conforto un Dio Che aizza il ricco contro il povero,Che infligge agli uomini tribolazioni e fatiche E fa della sofferenza un culto.

11 suo sguardo severo,II pallore della sua triste fronte Non mi infiammano il pettoNé di notte mi scaldano lo spirito.

Il mio Dio è un’idea: una nuova vita,L ’alba dì giorni sereni e felici,Alla lotta, a una dura lotta,Chiama tutti i coraggiosi.

* E. Zaìdner-Sadd, Moi Bog, in «Ekaterinoslavskii Nabat», 7 gen­naio 1920.

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Porta la vendetta contro gli oppressori Che trattano gli uomini versandone il sangue! Il mio Dio è la libertà, grande, gloriosa, l ’autocoscienza, la forza e l'amore!

Manifesto anarchico*

La rivoluzione e la libertà sono sempre nate dal sangue e dalla sofferenza. Hanno fatto molte vittime, sia tra gli eroici combattenti per una nuova società, sia tra i disperati difensori della vecchia. Ma queste vittime non devono essere cadute in­vano. Ci aspetta un lavoro di dimensioni tali, quali l'umanità non ha mai conosciuto. Bisogna ricostruire il paese da cima a fondo, poiché è stato distrutto dalla corruzione del passato regi­me, dalla guerra e dagli esperimenti «dall'alto» effettuati dai vari partiti politici. Questa ricostruzione non deve instaurare la vec­chia routine, l ’anacronistico dogmatismo di chi per professione congiura contro la felicità dell'uomo, bensì qualcosa di nuovo e di creativo, che si ispiri direttamente alla vita e risponda ai desideri e agli interessi di coloro da cui e per cui è stata fatta la rivoluzione.

E tempo di porre fine ad ogni tipo di sorveglianza, per quanto ispirata da buone intenzioni. E tempo di smettere di farsi rap­presentare, non importa da chi. Ogni individuo deve difendere da sé la propria causa. A questo ci chiama l ’anarchia!

* A. A. Borovoi, Anarkhistskii manifest, nel suo Anarkhizm, Mosca 1918.

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L'anarchismo è la dottrina della vita! L'anarchismo è nato e vive in ognuno di noi, ma è soffocato dalla povertà, dalla ti­midezza e dal servilismo di fronte a uomini e teorie che tendo­no a una vita violenta e corrotta. Ciò che ci serve è un pò di coraggio, un'illuminazione e sete d'azione, in modo che lo spi­rito dell'anarchia si desti in ciascuno di noi, piccolo o grande che sia.

L'anarchismo è la dottrina della libertà! Non libertà astrat­ta, illusoria, ma viva e reale. Tutta la creatività anarchica af­fonda le radici nella libera personalità, libera dal giogo delle istituzioni e dall'autorità delle leggi inventate da altri. La liber­tà dell'anarchico è libertà per tutti. Se c ’è anche un solo schia­vo, l ’anarchico non è libero. L ’anarchico deve lottare perché tutti siano liberi. Per l ’anarchismo non esistono idoli, nulla di assoluto al di fuori dell'uomo, della sua libertà e del suo diritto a svilupparsi senza limitazioni. Qualunque sia l ’ordine sociale esistente, l ’anarchico continuerà a lottare per un ordine nuovo, più perfetto, più completo e puro, dettatogli dalla sua coscien­za libertaria.

L ’anarchismo è la dottrina dell’uguaglianza! Tutti sono ugua­li nella libertà. Ciascuno è artefice del proprio destino. E la sfe­ra della libertà individuale è inviolabile.

L'anarchismo è la dottrina della cultura! Perché insegna non solo ad amare se stessi e la propria libertà, ma anche gli altri e la libertà per tutti. E un richiamo a ll’azione, a far sì che dei suoi frutti non godano solo i nostri contemporanei, ma anche i nostri fratelli in un futuro ancora lontano. E un’esortazione a combattere per la distruzione del sistema coercitivo, ma non un’esortazione alla vendetta o alla violenza contro un determi­nato individuo.

L'anarchismo è la dottrina della felicità! Perché crede nel­

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l'uomo e nelle sue infinite possibilità. Crede che agendo per il bene di tutti egli affratellerà tra loro tutte le epoche e tutti gli uomini. Ecco come è nata la gioia della creazione — la gioia più grande che un uomo può provare!

La gioventù anarchica

Una sorprendente caratteristica del movimento anarchico era la giovane età dei suoi aderenti. Molti anarchici prove­nivano dai licei e dalle università, cosicché diciannove o ven- t’anni erano un’età comune e parecchi dei militanti più attivi erano appena sedicenni o diciassettenni. I loro obiettivi so­no sintetizzati nel seguente proclama, pubblicato nel 1919 dai Giovani anarchici della Confederazione Nabat (Allarme), la più grossa organizzazione anarchica in Ucraina.

COMPAGNI!*Mercoledì, 16 aprile 1919

Compagni!Gli orizzonti rivoluzionari si stanno allargando. Gli oppres­

si si fanno sempre più forti mentre marciano verso la liberazio­ne. Cadono le loro catene, si spezza ogni legame, tutto ciò che è decrepito e inadatto alla nuova vita viene spazzato via.

Sullo stendardo della liberazione è scritto:

* Tovarishchi! in «Biulleten' Initsiativnoi gruppy anarkhistov mo- lodezhi Ukrainy ’Nabat», Kharkov, aprile 1919.

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Lotta contro tutti gli oppressori.Lotta contro tutti coloro che hanno fatto dell'istruzione un

privilegio di pochi e l ’hanno impregnata di menzogne a vantag­gio dei potenti.

Lotta contro tutte le istituzioni che ci storpiano nell’infan­zia e nella giovinezza, che ci trasformano in creature anemiche, pallide e malferme, prostrate nel corpo e nello spirito.

Lotta contro quella società che ci ha imprigionati nelle fab­briche e nelle scuole.

Lotta contro la famiglia attuale, che ha fatto di noi degli ipocriti mentitori, nutriti con il veleno della corruzione.

Lotta contro l ’autorità dello Stato, che favorisce l ’oppres­sione e l ’ineguaglianza.

Questi sono i punti fondamentali dell'appello che noi gio­vani anarchici lanciamo. Molti giovani, nutriti con il veleno del filisteismo borghese, considerano normale la propria situazio­ne. E nostro dovere risvegliarli dal loro letargo, in modo che pos­sano unirsi a noi nell'opera creativa. Impegnamoci perciò senza indugio in un lavoro produttivo. Applichiamo senza esitazione questi ideali che la vita stessa ci propone!

Noi, giovani dell’Ucraina, organizzati in circoli, dobbiamo essere uniti per lavorare con efficienza e produttività. In nome dell'aiuto e della solidarietà reciproca — possenti motori del progresso umano — quest’unità è indispensabile. E per raggiun­gerla dobbiamo convocare un congresso di tutti i gruppi anar­chici giovanili dell'Ucraina. Il congresso dovrà esaminare una serie di problemi vitali la cui urgenza non ammette ritardi.

Che la bandiera nera, sotto la quale militiamo, sia sinoni­mo di distruzione e di morte per tutte le vecchie e marcescenti istituzioni che ci hanno resi schiavi! Che la forza delle nostre parole e le nostre comuni aspirazioni uniscano tutti i giovani

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che ora sono dispersi e isolati dalla creatività rivoluzionaria.Che la nostra strada sia quella della creatività culturale e

sociale. La nostra parola d'ordine sarà: Giovani di tutto il mondo, unitevi nell’impegno rivoluzionario e culturale!

ENTRATE IN AZIONE CON ENTUSIASMO!Gruppo organizzativo per la convocazione

di un congresso pan-ucraino della gioventù anarchica

Sorgi*

Sorgi! Sorgi!, popolo! Grida con voce possente: basta! Non voglio essere un automa. Basta con i despoti e i parassiti. Sono un uomo! Voglio vivere, crearmi una vita mia. Ho diritto a vi­vere e ad essere felice. Voglio che la mia felicità sia anche la felicità degli altri. Non voglio più che il mio destino sia un gio­cattolo nelle mani di dispotiche divinità celesti o terrestri. In questo momento, in quest'ora stessa, prendo in mano il mio de­stino e rifiuto ogni ulteriore appello a divinità visibili o invisi­bili. Voi, invisibili divinità del cielo! Vi definite dèi di giustizia. Ma dov’è la vostra giustizia? Vi definite dèi di verità. Ma dov’è la vostra verità? Affermate di punire i malvagi. Ma qual è la vostra punizione? Siete onnipotenti. Ma dov’è la vostra poten­za? Avete il dono dell’ubiquità. Ma dove siete dunque? Siete dèi onniscienti — sapevate di questi crimini e li avete permessi. E ora che gli esseri umani periscono a migliaia e il mondo inte­

* I. Selitskij, Prosnis, in «Vol'nyi Kronstadt», 12 ottobre 1917.

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ro affoga nel sangue, voi, dèi onnipotenti, non riuscite a por f i­ne a questo drammatico incubo dell'umanità. Avete il dono del­l ’ubiquità — e guardate in silenzio il mare di lacrime e i fiumi di sangue. Non avete un briciolo di compassione per gli esseri umani che avete creato. Voi benedite quest’orgia di passioni ani­mali. Prosperate sul sangue. Prosperate sulla morte. Prosperate sulle disgrazie dell’umanità. Non siete divinità della vita, ma della morte, non della felicità, ma della miseria, non della li­bertà, ma dell’oppressione. Siete despoti, criminali, tiranni. Dèi assetati di sangue. Le vostre macchinazioni divine si svelano in questi stupidi desideri: — Io voglio — dunque creo. Io voglio — dunque prendo. Io voglio — per me solo. Io voglio — così egli rimarrà nella nebbia.

Sorgi! Sorgi, dunque, popolo! Disperdi l ’incubo che ti cir­conda. Impadronisciti della voce della verità. Poni fine agli stu­pidi desideri delle divinità terrestri e celesti. Dì: «Basta, sono sorto!» E sarai libero.

Per che cosa ci battiamo*

Dopo aver condotto a termine la rivoluzione d'ottobre, la classe operaia sperava di ottenere la propria emancipazione. Ma il risultato fu una ai ora maggiore schiavitù della personalità umana. Il potere della monarchia poliziesca e gendarme è pas­sato nelle mani degli usurpatori comunisti, che, invece che dare

* Izvestiia Vremennogo Revoliutsionnogo, Za chto my borem- sia, 8 Marzo 1921, in Pravda o Kronshtadte.

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al popolo la libertà, gli ha inculcato il costante tenore di finire nelle camere di tortura della Ceka, cosa che ai suoi occhi supe­ra gli onori dell’amministrazione poliziesca del regime zarista. Le baionette, le pallottole e gli arcigni comandanti dell’opvich- niki della Ceka — ecco cos 'hanno guadagnato i lavoratori del­la Russia sovietica dopo tante battaglie e tante sofferenze. Il glorioso emblema dello Stato operaio — la falce e il martello — è stato sostituito di fatto dalle autorità comuniste con la baio­netta e la finestra munita di sbane, al fine di assicurare alla bu­rocrazia dei commissari e dei funzionari comunisti una vita tranquilla e senza problemi.

Ma più infame e criminale di tutte è la schiavitù morale instaurata dai comunisti: hanno messo le mani anche sul mon­do interiore dei lavoratori, obbligandoli a pensare secondo i det­tami del comuniSmo. Con l ’aiuto dei sindacati burocratizzati hanno incatenato i lavoratori alle loro panche, cosicché il lavo­ro non è divenuto una gioia, ma una nuova forma di schiavitù. Alle proteste dei contadini, che si esprimono in rivolte sponta­nee, e a quelle degli operai, costretti allo sciopero dalle condi­zioni di vita che devono sopportare, essi rispondono con le ese­cuzioni in massa e con gli spargimenti di sangue, nei quali non sono stati superati neppure dai generali zaristi. La Russia dei lavoratori, la prima ad innalzare la bandiera rossa dell’emanci­pazione del lavoro, è inzuppata del sangue dei martiri caduti per la gloria della dominazione comunista. In questo mare di sangue i comunisti stanno affogando tutte le grandi e splendide promesse e parole d ’ordine della rivoluzione operaia. Il quadro si è fatto sempre più netto ed è chiaro, ormai, che il partito co­munista russo non è, come pretendeva di essere, il difensore dei lavoratori. Gli interessi dei lavoratori gli sono estranei. Con­quistato il potere, ha solo paura di perderlo e perciò si avvale

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di ogni mezzo possibile: calunnia, violenza, inganno, assassi­nio, vendetta contro i familiari dei ribelli.

La pazienza dei lavoratori, troppo a lungo provata, è ormai \ul punto di esaurirsi. Qua e là, si accendono nel paese i fuochi della rivolta, della lotta contro l'oppressione e la violenza. So­no scoppiati degli scioperi, ma gli agenti dell’okhrana bolscevi­ca non hanno dormito e hanno adottato ogni misura per prevenire e sopprimere l ’inevitabile terza rivoluzione. Ma essa è giunta ugualmente, e sono gli stessi lavoratori a condurla. I generali co­munisti si rendono ben conto che è il popolo ad essere insorto, convinto del tradimento dell'idea socialista. Eppure, tremando per la loro pelle e consci del fatto che non si può sfuggire all'ira dei lavoratori, tentano ugualmente, con l ’aiuto della loro oprich- niki, di terrorizzare i ribelli con la prigione, i plotoni di esecu­zione e altre atrocità. Ma la vita sotto il giogo della dittatura comunista è ormai più terribile della morte.

I lavoratori insorti capiscono che non c ’è via di mezzo nel­la lotta contro il comuniSmo e contro la nuova schiavitù che questo ha instaurato. Bisogna andare fino in fondo. I comuni­sti fingono di fare concessioni: nella provincia di Pietroburgo hanno rimosso i blocchi armati dalle strade a hanno stanziato dieci milioni di rubli per l ’acquisto di generi alimentari a ll’e­stero. Ma non bisogna lasciarsi ingannare, perché dietro quest’esca si nasconde il pugno di ferro del padrone, del dittatore, che in­tende essere ripagato cento volte per le sue concessioni, una volta ristabilita la calma.

No, non ci può essere via di mezzo. Vittoria o morte! La rossa Kronstadt, castigatrice dei controrivoluzionari di destra e di sinistra, sta dando l ’esempio. Qui è stato compiuto un rivo­luzionario passo in avanti. Qui è stata spiegata la bandiera del­la rivolta contro la violenza e l'oppressione del governo comu-

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nnta, che in tre soli am i ha reietto nell’ombra il giogo triseco­lare della monarchia. Qui a Kronstadt è stata posta la prima pietra della terza rivoluzione, che demolirà gli ultimi ceppi che imprigionano i lavoratori e aprirà una nuova via, ampia e lu­minosa, alla creatività socialista.

Questa nuova rivoluzione risveglierà anche le masse lavo­ratrici d ’oriente e d’occidente, servendo come esempio della nuova edificazione socialista contrapposta alla «creatività» burocrati­ca comunista. Le masse lavoratrici a ll’estero vedranno con i lo­ro occhi che tutto ciò che è stato creato qui finora dalla volontà degli operai e dei contadini non era socialismo. Senza sparare un colpo, senza versare una goccia di sangue, il primo passo è stato compiuto. I lavoratori non hanno bisogno di sangue. Lo verseranno solo se dovranno difendersi. Benché i comunisti si siano macchiati di azioni indegne, abbiamo abbastanza ritegno per limitarci ad isolarli dalla vita pubblica in modo che la loro propaganda falsa e maliziosa non ostacoli il nostro lavoro rivo­luzionario.

Gli operai e i contadini avanzano con decisione, lascian­dosi dietro l ’assemblea costituente, con Usuo regime borghese, e la dittatura del partito comunista, con la sua Ceka e il suo capitalismo di Stato, il cui cappio stringe il collo delle masse lavoratrici e minaccia di strangolarle a morte. La rivolta attua­le dà infine ai lavoratori la possibilità di eleggere liberamente i propri soviet, operando senza essere sottoposti alle pressioni di un partito, e di trasformare i sindacati industriali in libere associazioni degli operai, dei contadini e dell’intellighentzia dei lavoratori. Il manganello dell’autocrazia comunista è stato f i­nalmente spezzato.

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Radunatevi sotto la bandiera nera,Uomini d’onore, combattenti e lavoratori, Attizzate le fiamme della ribellione Nel cuore degli schiavi e degli oppressi.

Ridestate dal sonno la vostra Russia,Chiamate il popolo alla lottaPer abbattere i vampiri sazi di sangueE rigettare il giogo della tirannia.

Scendete nelle umide cantineDove muoiono gli schiavi della povertà,Dove echeggiano i lamenti degli offesi E l ’oscurità regna sovrana.

Scendete, se avete saldo il cuore E l ’animo colmo di bontà,Dove il sangue scorre come i fiumi in primavera E la terra trema per i lamenti del povero.

Siamo stanchi di questa turpe tragedia,Degli eterni tormenti del fato.Perciò, avanti, verso il mondo dell'Anarchia, Verso il mondo della sacra Comune. *

Un appello per l’anarchia*

* Marinaio Stepan Stepanov, Prizyv, in «Vol’nyi Kronstadt», 23 ottobre 1917.

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Dove c’è autorità non c’è libertà*

Che cosa sta accadendo a Kronstadt — una rivoluzione o una controrivoluzione, una rivolta per la libertà o un ammuti­namento della Guardia bianca? «Ammutinamento dei bianchi e controrivoluzione», dichiarano i nostri nemici dei soviet. «I marinai di Kronstadt si sono ammutinati contro di noi. Si sono allontanati dal nostro cammino. E la nuova via che hanno in­trapreso conduce solo al campo dei bianchi, al campo della con­trorivoluzione. Non c ’è altra via d ’uscita».

Ma noi anarchici affermiamo: ci sono due strade, e sono molto diverse. Una porta a ll’autorità, l ’altra se ne allontana. In questo senso il governo dei soviet e le Guardie bianche pro­cedono insieme. Monarchici, fautori dell'assemblea costituen­te, menscevichi, comunisti — quando usano gli stessi metodi per raggiungere gli stessi obiettivi, come possono essere diverse le loro strade? Vogliono reclutare altri membri per il loro parti­to. Vogliono un’autorità forte. Ma un'autorità forte presuppo­ne la soggezione. E questa a sua volta richiede una disciplina di ferro e l ’arruolamento obbligatorio nell'esercito. È facile go­vernare quando il popolo è oppresso ed esausto. Per i contadi­ni, significa requisizione del grano, per gli operai, lavoro forzato. E un 'autorità del genere non rifuggirà neppure dal fare conces­sioni agli stranieri, vendendo il lavoro e la libertà degli operai, se ciò potrà servire ad accrescere il suo potere. Così Lenin di­chiara al decimo congresso del partito: «Dobbiamo adattare la *

* Gde vlast — tam net svobody, in N.A. Komatovskii, Kron- shtadtskii miatezh, Leningrado 1921.

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nostra economia, ora legata alle necessità belliche, alle necessi­tà di una edificazione pacifica, facendo concessioni in alto e basandoci sulla riscossione delle tasse. Ora non possiamo sicu­ramente fare a meno della costrizione, perché il paese è impo­verito ed esausto». Ecco la via del comunismo, ed ecco l'unica via per tutti i detentori dell’autorità. Se i marinai di Kronstadt la seguissero, significherebbe che essi sono favorevoli all'autori­tà e la loro rivolta sarebbe controrivoluzionaria.

Per ciò che riguarda la seconda via, essi tacciono. Tutti i governi cercano di nasconderla, perché essa significa morte per ogni tipo di autorità. E, in breve, l ’assenza del potere. Qui non ci sono comandanti, il che significa che non ci sono schiavi, eserciti dei lavoratori, arruolamento dei lavoratori, costrizione. A l contrario, ogni uomo lavora per sé. A l posto di un esercito a coscrizione obbligatoria ci sono distaccamenti partigiani libe­ri. A l posto del lavoro obbligatorio c ’è il lavoro libero. I lavo­ratori dirigono essi stessi la produzione e la distribuzione. Senza bisogno di autorità alcuna, conducono liberi scambi con i con­tadini. La soluzione dei problemi economici avviene durante le riunioni dei comitati di fabbrica e dei contadini.

I marinai di Kronstadt, amanti della libertà, non vogliono il bastone. Si sono ribellati a ll’autorità. La rivolta di Kronstadt è una rivoluzione.

Eppure voi, uomini di Pietroburgo, tacete e non agite. E da tempo che la rivoluzione vi aspetta. Vi chiama da Kronstadt. Per molti giorni avete titubato. Non avete afferrato la realtà degli eventi. Il governo sovietico vi ha maliziosamente ingannati per salvarsi la pelle. Crede che per poter sopravvivere sia necessario sconfiggere Kronstadt. Ma chi assassinerebbe dei marinai per di­fendere l'autorità? Allora hanno inventato la solita, vecchia storia della controrivoluzione. Volevano ingannare Pietroburgo. Vo­

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levano di nuovo ingannare la Russia. Ma chi conosceva Kron­stadt, ne conosceva anche l'amore per la libertà e non poteva credere che i marinai stessero cospirando con l'Intesa. Solo una parte della nostra inesperta gioventù, lusingata dal titolo di «baldi difensori di Pietroburgo», poteva bere questa storia. Guidati da esperti furfanti, cominciarono a minacciare la rivoluzione con i proiettili. Ecco la verità di questi giorni. Eppure, conoscendo la verità, voi abitanti di Pietroburgo tacete. Notte e giorno udi­te il rombo del cannone e tuttavia non uscite allo scoperto, contro il governo, allontanandone le forze da Kronstadt. Non capite che la causa di Kronstadt è anche la vostra? Anche voi, non meno dei marinai di Kronstadt, siete stati torturati dal governo sovietico in questi ultimi tre anni. A poco a poco, ha ucciso tutto ciò che di vivo c ’era in voi, ha soffocato ogni pensiero, ogni speranza nella possibilità di una nuova rivoluzione o nella più remota possibilità di una liberazione.

I marinai di Kronstadt sono sempre stati i primi a sollevar­si. E ora sono ancora una volta i primi a liberare la gola dalla stretta mortale. Perciò vediamo in lontananza, da Kronstadt, tra il rombo del cannone, segnali di libertà.

Ora tocca a voi. Fate che alla rivolta di Kronstadt segua una rivolta di Pietroburgo. Marinai, soldati, operai — sorgete insieme a Kronstadt. Che il governo marci contro di voi con le sue bande di cadetti militari. E vedremo a chi di noi andrà il favore della vittoria e della rivoluzione. Popolo di Pietrobur­go, tuo primo compito è distruggere questo governo. Il secondo, di non crearne altri. Perché ogni forma di autorità porta con sé, fin dal primo giorno, leggi e restrizioni.

Solo con l'assenza di ogni autorità non ci sarà nessuno so­pra di te. E ora navi, fabbriche, reparti militari — unitevi! Di­scutete e organizzate l ’azione comune. Avanzate insieme in ogni

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regione con ogni mezzo. Il governo vi accoglierà con le pal­lottole. E questa l ’accoglienza che ogni governo riserva alla ri­voluzione. Ma, come sempre, sarà il suo canto del cigno. Che l ’anarchia segua il vostro trionfo!

Gli anarchici

Nella notte tra l'il e il 12 aprile del 1918, la Ceka effettuò incursioni in 6 centri anarchici di Mosca, uccidendo o ferendo circa 40 anarchici e pren­dendone pnpomen più di 500. «Anarkhiia», l’organo della Federazione anar­chica moscovita, fu temporaneamente chiuso, ma la pubblicazione gemella di Pietroburgo, «Burevestnik» (La procellaria tempestosa) denunciò i bol­sceviche

Le incursioni contro gli anarchici*Abbiamo raggiunto il limite! I bolscevichi hanno perduto il lume del­la ragione. Hanno tradito il proletariato e aggredito gli anarchici. Si sono uniti ai generali delle Centurie nere e alla borghesia contro­rivoluzionaria. Hanno dichiarato guerra all’anarchismo rivoluzionario. I bolscevichi vogliono guadagnarsi i favori della borghesia con la te­sta degli anarchici. Gli anarchici non desiderano uno scontro. Noi vi consideravamo (voi boscevichi) come rivoluzionari nostri fratelli. Ma vi siete rivelati dei traditori. Caini — avete ammazzato i vostri fra­telli. Siete anche Giuda, traditori. Lenin ha costruito il suo trono di novembre sulle nostre ossa. Ora riposa ed elabora piani per con­quistarsi «una pausa di respiro» sui nostri cadaveri, i cadaveri degli anarchici. Voi dite di aver soppresso gli anarchici. Ma questo non è che il nostro 16/18 luglio. Il nostro novembre deve ancora venire**. Non ci può essere pace con i traditori della classe operaia. I boia della rivoluzione vogliono divenire anche i boia dell’anarchismo.* «Burevestnik», Pietroburgo, 13 aprile 1918, pag. 1.* * L ’espressione «pausa di respiro» venne usata da Lenin per giustificare il trattato di Brest-Litovsk. «Il nostro 16/18 luglio» si riferisce al fallimento delle giornate di luglio del 1917, cui segui, a distanza di tre mesi, il successo della rivoluzione bolscevica — il «trono di novembre» di Lenin.

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Ugo Fedeli - Tratti bio-bibliografici*

Nato a Milano l’8 maggio 1898 da una famiglia della pic­cola borghesia (i suoi possedevano una macelleria), Fedeli, dopo gli studi elementari, si cercò un impiego come aggiu­statore meccanico, pur continuando a perfezionare da auto­didatta la propria formazione culturale durante tutto il cor­so della sua vita. Avvicinatosi sin dalla prima giovinezza agli ideali libertari, si impegnò presto nella milizia attiva, subendo il primo arresto a 15 anni, in occasione di uno sciopero ge­nerale organizzato dalla Unione sindacale milanese. Nel pe­riodo immediatamente precedente alla prima guerra mondiale fece parte, insieme a Mario Mantovani, Pietro Bruzzi, e Fran­cesco Ghezzi, del gruppo dei giovani «ribelli milanesi», che facevano capo alla nota rivoluzionaria anarchica Leda Rafa- nelli, ed iniziò, nel 1914, la propria attività di pubblicista sul Ribelle, settimanale anarchico di Milano, dove firmava con lo pseudonimo di Samuele Franzi. Chiamato nel T7 a prestare servizio militare in fanteria, disertò e dopo vari mesi di vita clandestina si rifugio in Svizzera dove, coinvolto nel­l’affare delle bombe di Zurigo, fu processato insieme ad al­tri 15 compagni. Nonostante l’assoluzione, venne espulso dal paese e tornò in Italia dove, dopo 9 mesi di carcere, fruì del­l’amnistia Nitti per i disertori di guerra e venne posto defi­nitivamente in congedo. In questo periodo intensificò la pro­

* da: Franco Andreucci e Tommaso Detti: Il Movimento Ope­raio Italiano: Dizionario Biografico, 1853-1943. Secondo volume, pagg. 311-12-13-14 e 15. Editori Riuniti, 1976.

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pria attività di pubblicista sia collaborando al Libertario, gior­nale anarchico che nell’immediato dopoguerra accusava il PSI di inconcludenza e denunciava l’incombente pericolo fasci­sta, sia fondando nel 1919, insieme a Virgilio Gozzoli, le ri­viste Tempra e Iconoclasta, sorta quest’ultima per contribuire alla raccolta di fondi per il quotidiano anarchico Umanità No­va, ma poi trasformatasi in un quindicinale di propaganda e discussione sull’anarchia. Sposatosi nel ’20 con Clelia Pre­moli, che sarà per tutta la vita sua coraggiosa ed infaticabile compagna, fondò lo stesso anno, a Milano insieme a Carlo Molaschi, Fioravante Meniconi ed altri, la rivista Nichilismo. In seguito a disaccordo con alcuni membri della redazione, se ne separava tuttavia all’inizio del 1921, creando insieme a Ghezzi ed a Bruzzi l’Individualista, rivista di breve vita poi­ché lo scoppio di alcune bombe al teatro Diana costrinse tutti i redattori alla clandestinità. Ricercato per complicità a cau­sa dei contatti avuti con gli altri accusati, ciò che gli com­portò, nel 1927, la condanna in contumacia a 7 anni e 6 mesi di reclusione e a 2 anni di libertà vigilata, Fedeli fu costret­to a fuggire nuovamente in Svizzera, da dove passò in Ger­mania e quindi dopo una breve sosta a Berlino dove venne aiutato dalla Federazione comunista anarchica berlinese e dal­la sezione locale del partito comunista, proseguì per la Rus­sia sotto il falso nome di Antonio Bruski. Giunto infine a Mosca nel maggio del 1921, Fedeli frequentò in questo pe­riodo, oltre agli altri italiani, come Umberto Terracini e Fran­cesco Misiano, ed ai vecchi amici Ghezzi e Bruzzi, anche gli ambienti anarchici sovietici, dove si impegnò in attività che gli causarono alcune noie con la Ceka. In seguito a ciò lasciò l’URSS, recandosi, nel 1922, come delegato degli anar­chici russi, al congresso anarchico internazionale di Berlino, città dove rimase per due anni, lavorando prima in una fab­

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brica di mobili e poi come carbonaio ed adottando nomi e nazionalità diverse per sfuggire al controllo della polizia. In­fatti, in questo periodo era stato arrestato come partecipan­te al congresso costitutivo della Alliance internationale du travail [in realtà Associazione Internazionale dei Lavorato­ri. N.d.e.] e, espulso dalla Germania, vi era rientrato clan­destinamente partecipando al movimento tedesco sotto altro nome ed inserendosi nel gruppo degli anarchici russi esilia­ti, fra cui Néstor Machno e G. Petrovic Archinoff e colla- borando come redattore alla rivista Anarchiski Wesnik. Du­rante quegli anni di miseria e di fame, Fedeli riprese inten­samente l’attività di pubblicista, collaborando alla stampa italiana, russa e tedesca, con lo pseudonimo di Hugo Treni; inizialmente firmava Treui, trasformatosi poi in Trene e Treni per errori della tipografia). Alla fine del 1923, in precarie condizioni di salute per le fatiche e le privazioni subite, si rifugiò in Francia sotto l’identità di «russo bianco» che, presto scoperta, lo costrinse a vivere sotto l’incubo continuo del­l’espulsione. Ciò non gli impedì di prendere parte all’attivi­tà del movimento anarchico francese ed a quella dei fuoriusciti italiani, dei rifugiati politici spagnoli e russi. Insieme a Se- bastien Faure, Ferrandel, Durruti e Ascaso, creò la Librai­rie internationale (che fu alla base della realizzazione della Encyclopédie Anarchiste), le Editions anarchistes e la Re- vue internationale anarchiste (trilingue), mentre insieme a Luigi Fabbri e Torquato Gobbi fondò, agli inizi del 1926, la Ras­segna lotta umana [in realtà La Lotta Umana, Rassegna bi­mensile anarchica, Parigi, 1927, vedi: L. Bettini, Bibliografia dell’Anarchismo, voi. I, tomo 2, CP, Firenze, 1976. N.d.e.]. Ma la situazione nell’ambito del movimento anarchico era grave: fra i rifugiati politici, strettamente sorvegliati e per­seguitati dalle autorità locali, si infiltravano spesso spie ed

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agenti provocatori, suscitando scandali e creando un clima ili generale sospetto e sbandamento. Nel 1929, Fedeli ven­ne arrestato ed espulso dalla Francia e, dopo un breve sog­giorno a Bruxelles, anche dal Belgio. Lo stesso anno, essendo ormai impossibile la vita in Europa, Fedeli si imbarcò, in­sieme con la moglie, per Montevideo (Uruguay), dove, in un clima di relativa libertà, si inserì nell’attività del movimen­to anarchico locale, riprendendo l’attività di pubblicista. Col- laborò a Supplemento, rivista di studi che completava il gior­nale La Protesta di Buenos Aires, e fondò, insieme a Fabbri c Gobbi, la rivista Studi sociali volta all’analisi e all’appro­fondimento del movimento anarchico italiano ed internazio­nale. Nel 1931, partecipò, assieme a militanti anarchici di vari paesi, alla costituzione di un Comitato di relazioni in­ternazionali anarchiche, alla fondazione del giornale Tierra, ai dibattiti dell’Ateneo libero e, in unione con gli studenti del centro Ariel, alla fondazione della Università popolare dell’Uruguay. L ’instaurarsi della dittatura Terra soffocò pe­rò, nel 1933, ogni iniziativa, scatenando la persecuzione con­tro molti rifugiati politici. Fedeli venne ancora una volta colpito da decreto di espulsione e, consegnato alle autorità italiane, fu trasferito a Napoli in qualità di deportato. In Ita­lia, dopo aver scontato una parte della pena cui era stato con­dannato nel ’27 dalla Corte di assise di Pavia, fu inviato al confino, dove lo raggiunse la moglie, prima all’isola di Pon­za, poi a Ventotene ed infine in Abruzzo, rimanendovi fino al ’44. Durante questo periodo estremamente duro, venne colpito da una grave sciagura: la perdita del figlio Ughetto, nato durante il soggiorno in Uruguay, il quale non aveva retto ai disagi ed agli stenti. Anche dopo la guerra e la caduta del fascismo Fedeli, che a quel tempo era segretario della Fede­razione anarchica italiana, continuò a dibattersi nelle diffi­

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colta, essendo per lui assai problematico trovare un lavoro per la diffidenza causata dal suo credo politico. Infine, do­po una serie di occupazioni saltuarie, nel 1951 venne chia­mato dalla Olivetti, nel quadro di una serie di iniziative di natura sociale, come bibliotecario ed organizzatore di corsi di cultura, posto che ricoprì fino alla morte. Trasferitosi ad Ivrea e quindi a San Giorgio Canavese, Fedeli vi riunificò la sua biblioteca, formata attraverso e malgrado le numero­se peregrinazioni, riunendo in ogni paese tutti i generi di do­cumentazione, collezioni di giornali, riviste, manifesti e libri e che venne acquistata dopo la sua scomparsa dall’Istituto di studi sociali di Amsterdam. In quegli anni preparò una serie di conversazioni di storia, seguite da dibattiti, in varie località italiane dove la Olivetti aveva succursali. Contem­poraneamente, oltre a proseguire la collaborazione con la stampa anarchica, Fedeli si dedicò a studi di storia del mo­vimento operaio ed in particolare a biografie di militanti. Nell’ultimo periodo della sua vita viaggiò ancora molto at­traverso l’Europa, assistendo per incarico del centro cultu­rale Olivetti, a conferenze e congressi internazionali dedicati a studi sulla cooperazione e sullo sviluppo della cultura so­ciale nell’ambito delle industrie ed informandosi, inoltre, sulla costituzione ed il funzionamento delle biblioteche più mo­derne ed avanzate. Visitò così Svezia, Norvegia, Cecoslo­vacchia, Polonia, Germania, Olanda, Svizzera, tornando an­che spesso in Francia.

Un infarto stroncò bruscamente la sua attività, portan­dolo alla morte il 10 marzo 1964. (Ariane Landuyt)

Fonti e bibliografia: ACS, CPC, ad nomen; J. Gonzales, Ugo Fedeli, in Bulletin du Centre intemational de recherches sur l'anar- chisme, n. 10, ottobre 1964, e n. 11, maggio 1965; A. Siracusa,

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Nota Biografica introduttiva a Ugo Fedeli, La nascita del fascismo, ( litania, 1971. Di Ugo Fedeli: Luigi Labbri, Torino, 1948; Rela- ;ì<me sul movimento anarchico italiano, al Congresso internaziona­le 1949; Dogma, scienza e metodo nel pensiero malatestiano, Pisa, 1949; Dalla insurrezione dei contadini in Ucraina alla rivolta di Kron- stadt, Milano, 1950; Bibliografia malatestiana, Napoli, 1951; Ap­punti sulla piattaforma anarchica, Toulouse, 1951; Luigi Molinari c gli avvenimenti del gennaio 1874 a Carrara, in Movimento Operaio, a IV, 1952, n. 6, pp. 971-978; Il movimento anarchico a Carrara, Napoli, 1952; Bibliografie di giornali, riviste, numeri unici anarchici stampati in italiano dal 1914 al 1952, Toulouse, 1953; (anonimo) Un trentennio di attività anarchica 1914-1945, Cesena, 1953; Inchiesta al questionario individuale indirizzato ai militanti di tutti i paesi, Lo­sanna, 1954; Gigi Damiani, Cesena, 1954; Alcuni aspetti del pen­siero di Errico Malatesta, inedito sito nell’Archivio J . Gonzales, 1954; Storia del movimento operaio, Ivrea, 1955; Storia sociale del Messi- co, Ivrea, 1956; Luigi Galleani, quarantanni di lotta rivoluzionaria 1891-1931, Cesena, 1956; Nestor Machno. La lotta libertaria nella rivoluzione russa, Milano, 1956; Emile Armand, il suo pensiero e la sua opera, Firenze, 1956; Corso di storia del movimento operaio, Ivrea, 1957-1958; Breve storia dell’Unione sindacale italiana, in Vo­lontà, 1957, n. 9-10-11; Un viaggio alle isole Utolia, Ivrea, 1958; Michele Bakunin e la sua corrispondenza negli anni 1863-64, in Vo­lontà, 1959, n. 2-3; Giovanni Gavilli, 1855-1918, Firenze-Pistoia, 1959; Un decennio di storia italiana (1914-1924), Ivrea, 1959; Un momento di storia degli italiani (1924-1944), Ivrea, 1960; Momenti ed uomini del socialismo anarchico in Italia, 1896-1924, in Volontà, 1960, nn. 10-11; Federazione anarchica italiana, Congressi e con­vegni (1944-1962), a cura di Ugo Fedeli, Genova, 1963; Periodici e numeri unici anarchici pubblicati in Liguria fino all'avvento del fa ­scismo, in MOS, a. IX , 1963, n. 4, pp. 337-59; I pionieri del movi­mento anarchico in Italia. Giuseppe Ciancabilla, in Umanità Nova, 1964, n. 10; Introduzione a Victor G arda, La Intemacional Obre- ra, Caracas, 1964.

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Agli anarchici*

E giunta l ’oradi scrollarci di dosso il giogo del capitalismo.Tutti i ceppi, i commissari, i generali, i tribunali e i preti.Perché l ’ordine e la scienza e le leggi — che cosa sono?Sono stati inventati per noia da grandi uomini nei Toro gabinetti!Distruggeremo, faremo a pezzi e bruceremo il vecchio mondo!Non «ordine» costruiremo, ma vivremo senza di esso!Ma la grande Comune non può cedere alle baionette!Davanti ad essa in ginocchio tutti s ’inchineranno, anche l ’autorità!Perciò, presto, fratelli, innalziamo la bandiera nera!E stringiamo la mano a tutti gli oppressi!* Victor Triuk, Anarkhistam, in «Burevestnik», 5 marzo 1918.

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Ugo Fedeli

Dalla insurrezione dei contadini in Ucraina alla rivolta di Cronstadt

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Esortiamo i lavoratori di tutto il mondo all'auto-organiz­zazione e all'autodeterminazione. Esortiamo coloro che «furono schiavi» a liberarsi con le loro mani dagli ultimi ceppi e a cominciare a costruire una vita veramente nuo­va. Esortiamo gli schiavi a rifiutare qualsiasi nuovo pa­drone. Li esortiamo a creare le loro proprie organizzazioni non partitiche, liberamente unite nelle città, nei villaggi, nei distretti e nelle province. Li esortiamo ad aiutarsi gli uni con gli altri nella creazione di un 'unione cooperativa di libere città e liberi villaggi, e a prendere le misure ne­cessarie per lavorare nel modo più giusto e per la realizza­zione di queste nuove condizioni di lavoro, di questa nuo­va economia, di questa vita nuova e veramente umana. Le dispute tra gli stessi bolscevichi e l ’opposizione popo­lare a un governo di «commissari del popolo» dimostrano meglio di ogni altra cosa che la «conquista del potere» e la rivoluzione sociale sono diametralmente opposte. La po­sizione basilare dell'anarchismo viene perciò confermata: l'azione dei partiti non può sostituire la rivoluzione so­ciale. I bolscevichi — in special modo Lenin e Trotskij — devono ammettere senza indugio questa verità, abban­donare la via del potere e imboccare quella del comuni­Smo senza Stato, oppure ricadere nel compromesso, cioè far regredire il corso della rivoluzione. La conquista del potere politico strangola inevitabilmente la rivoluzione. «Golos Trucia», Pietroburgo, 3 novembre 1917, pag. 1.

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Prefazione

lira indispensabile, per i lettori italiani specialmente, riunire una nutrita documentazione sulle forze che, fin dagli inizi della Rivoluzione russa, operarono perché alla Rivo­luzione venisse impresso un indirizzo largamente liberta­rio, avverso ad ogni monopolio dittatoriale di partito.

Queste forze, particolarmente costituite dagli anarchi­ci, avevano già svolto un'intensa preparazione ideologica v rivoluzionaria fin dalla prima Rivoluzione del 1903 e /u proprio da esse che partì la famosa parola d ’ordine «tutto il potere ai Soviet locali», cioè l ’autogoverno dei Consigli operai e contadini, formula ripresa più tardi dai bolscevi- chi e denaturata successivamente attraverso il governo to­talitario del Partito comunista (meglio ancora, di un ristretto numero dei suoi dirigenti) succeduto a Kerenski dopo la Rivoluzione dell'ottobre 1917. Cosicché, tutto quel che di veramente liberante e comunistico era contenuto nel prin­cipio dell’autogoverno dei Consigli operai e contadini venne soffocato dalla pratica dello Stato dittatoriale, dal suo ap­parato repressivo, dalle sue gerarchie, dal suo esasperante funzionarismo, dal suo fanatico totalitarismo negatore di ogni libera iniziativa e di ogni rispetto della personalità umana.

Sulla storia della Rivoluzione russa esiste gran nume­ro di opere «ufficiali» compilate su « ordinazione» (come avveniva agli «storici» prezzolati del ventennio) e sovente rielaborate per la necessità di omettere il ruolo svolto da

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uomini considerati prima come protagonisti massimi e poi come «traditori». Inutile attenderci da questi scritti una parvenza di obiettività e relazioni di avvenimenti che non mirino esclusivamente all'esaltazione più fanatica del re­gime e dei suoi uomini, sopravvissuti padroni dell'ora. Poi vi sono le opere degli «amici», dei cosiddetti «imparziali» e dei nemici.

Se in tutti questi scritti esistono versioni opposte o an­che soltanto sfumature di poco conto, su di un punto mo­strano di essere assolutamente concordi: quello di tacere il ruolo pur tuttavia rilevante svolto dagli anarchici e da correnti di ispirazione libertaria nella preparazione e nel- l ’affermarsi della Rivoluzione durante i primi anni, i più duri ed i più combattuti.

Della insurrezione dei contadini in Ucraina capeggia­ta dall’anarchico Nestor Makhno, delle loro lotte memo­rabili e vittoriose contro il generale bianco Denikin, delle esperienze comuniste-libertarie realizzate ben poco si co­nosce e quel che è stato detto assolutamente falsato o in­sultante.

Della rivolta di Cronstadt del febbraio-marzo 1921, schiacciata inesorabilmente dalle truppe dell’allor poten­tissimo Trotsky, che rivendicava — Cronstadt era stata la culla della Rivoluzione, aveva acceso le prime scintille con­tro lo Czarismo, contro Kerenski, ed i suoi marinai e sol­dati avevano validamente offerto i loro petti per la difesa vittoriosa di Pietrogrado nelle drammatiche giornate della durissima lotta contro le truppe del generale bianco Yude- nich — contro il potere centrale di Mosca, l'elezione di

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liberi Soviet ed il loro funzionamento largamente demo­cratico, non si trova traccia se non in scrittori nostri come il Volin, Berkmann, Ida Mett, ecc.

Ugo Fedeli, nella mirabile, scrupolosa, intelligente scel­ta di documenti che compare nel presente volumetto (scritti pubblicati a suo tempo nel Libertario), non solo colma una lacuna e ripara una ingiustizia dei cosiddetti storici, ma dà in pochi tratti, a quell'immenso sconvolgimento so­nale che è stata la Rivoluzione russa, la sua vera fisiona- mia: titanica lotta di tutto un popolo per la sua liberazione dai ceppi della schiavitù economica, politica e sociale, non impresa di un partito, di un esercito, di una forza messa al servizio di un'unica ideologia totalitaria.

M ario M antovani

La corsa americana per raggiungere lo Sputnik, come la decisione russa di lanciare satelliti per primi, non rappresentano l ’interesse della «scienza pura», ma gli scopi della guerra totale. Lanciando i satelliti nello spa­zio non si risolvono i problemi di questa terra. La sfi­da dei tempi nostri non si pone alle macchine, ma agli uomini. I missili intercontinentali possono distruggere l'umanità, ma non risolvono i rapporti umani. Vero compito dell’uomo rimane quello di costruire una so­cietà nuova.

Raya Dunayevskaya, «M arxism o e Libertà»

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Compagno Slianski!

Accludo ancora un "avvertimento".

Il nostro comando militare ha subito uno scacco vergo­

gnoso lasciandosi sfuggire Makhno (malgrado l'enorme pre­

ponderanza delle nostre forze e l'ordine categorico di cattu­

rarlo), e adesso sta subendo uno scacco ancora più vergogno­

so con la incapacità di schiacciare un pugno di banditi. Fate

fare per me un breve rapporto del Comandante in capo (con

uno schema sommario della dislocazione delle bande e delle

truppe) su quello che si sta facendo.

Come viene utilizzata la cavalleria, sulla quale si può fare

pieno affidamento?

- i treni blindati? (Sono dislocati razionalmente? 0 cor­

rono su e giù inutilmente, a caccia di grano? Le autoblinda­

te? Gli aeroplani? Come e in qual misura vengono impiega­

ti?

Il grano, la legna, tutto va in malora a causa delle bande,

mentre abbiamo un esercito di milioni di uomini. Bisogna

mettersi d'impegno per far filare dritto il Comandante in ca­

po.

LEN IN

(Lettera al "Consiglio Militare Rivoluzionario della Repubblica". Datata 6-11-1921. — In: Lenin, Opere Complete-Carteggio Febbraio 1912 - Dicembre 1922 - voi. 35, Edizioni Rinascita, Roma 1955).

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PARTE PRIMA

Il movimento Makhnovista nella Rivoluzione d’Ucraina

G li anarchici e la Rivoluzione russa

Quale è stata l’influenza e l’importanza del movi­mento insurrezionale Makhnovista sullo sviluppo della rivoluzione in Ucraina e quali furono le sue ripercus­sioni su quella russa?

Benché molti anni siano passati ed avvenimenti d ’o- gni genere ed importanza si siano accumulati, un giu­dizio spassionato sulle cose di Russia non è ancora pos­sibile darlo, anche se i fatti, col loro rude linguaggio, abbiano già prospettato delle conclusioni. Il compito del presente lavoro, presentando fatti e documenti, è ap­punto quello di cercare di afferrare e presentare qual­cuna di queste conclusioni.

Non sarà opera agevole; troppa passione di parte gui­da i gesti ed anima anche la più semplice documenta­zione, che rende difficile, alla distanza di un trentennio, giudicare uomini, fatti e cose che con la rivoluzione russa ebbero attinenza o a questa dettero corpo e sostanza. La fine di Leone Trotzky ci è di insegnamento.

E vero che la cosiddetta «imparzialità» dello sto­rico non è che una leggenda facilmente sfatabile. B a­sterebbero i vari lavori «storici» sulla prima e seconda guerra mondiale o gli altri dei bolscevichi sulla Russia,

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per averne una prova irrefutabile. Con molta giustezza qualcuno ha scritto che «lo storico è sempre del suo tem­po , della sua classe sociale, del suo ambiente politico, del suo paese». La storia delle ultime guerre mondiali, per riferirci a qualche cosa a noi vicino, ci è infatti com­prensibile solo se conosciamo gli uomini, le loro pas­sioni e i «loro interessi» e, a seconda dei casi, le loro nazionalità, così come per le pubblicazioni «ufficiali» bolsceviche.

Come è diversa la storia della rivoluzione russa og­gi, da quella che si visse, da quella che abbiamo cono­sciuto e che si scrisse trent’anni fa! Non solo se guar­diamo ai testi ufficiali, ma anche a quelli datici dagli «amici della rivoluzione», nulla più comprendiamo, tutto è deformato, adattato alle nuove esigenze e al deside­rio di chi sopravvive.

Qual è stata la funzione del Partito bolscevico nel­la rivoluzione russa e quale quella degli anarchici?

Guardiamo ad un’opera, molto decantata come un vero «classico» del bolscevismo e del modo di scrivere la storia, quale è la Storia del Partito comunista (bolsce­vico.) russo, al quale si dice che Stalin abbia largamente collaborato e che è oramai il libro di testo indiscusso ed avremo la misura di questa deformazione. Se in es­sa, ad esempio, cercassimo nelle quattrocento e più pa­gine che la compongono, quale è stata l’opera degli anar­chici in generale e quella del movimento insurreziona­le dei Makhnovisti, noi vi troveremmo solo e testual­mente (a pag. 271), queste poche righe: «I soldati russi

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dovevano avanzare tra difficoltà estreme, marciando contro le truppe di Wrangel e battendo al tempo stes­so le bande degli anarchici Makhnovisti (partigiani di Makhno che aiutavano Wrangel)». E qualche pagina più avanti: «M a il nemico di classe, che non dormiva, cer­cò di approfittare della penosa situazione economica, tentò di sfruttare il malcontento dei contadini. Prepa­rate dalle guardie bianche e dai socialisti-rivoluzionari, scoppiarono delle rivolte di kulak in Siberia, nell’Ucrai­na, nella provincia di Tambov (rivolta di Antonov). Tut­ti gli elementi controrivoluzionari: menscevichi, socia­listi-rivoluzionari, anarchici, guardie bianche, naziona­listi borghesi, intensificavano la loro attività. Il nemi­co, ricorrendo a una nuova tattica nella lotta contro il potere sovietico, cominciò a verniciarsi di colori sovie­tici e al posto della vecchia, fallita parola d ’ordine di: abbasso i soviet, lanciò una nuova parola d ’ordine: «Per i soviet, ma senza i comunisti». Ed è tutto.

Da queste poche ed affrettate parole, gettate là con noncuranza e che non vorrebbero significare altro che, tanto il movimento anarchico che quello insurreziona­le Makhnovista, nel quale molti anarchici presero par­te attivissima, sono episodi insignificanti che si possono passare quasi sotto silenzio, o se se ne parla è come di elementi della reazione che presto furono vinti. E nes­suno potrebbe avere nemmeno un’idea pallida e lonta­na di tutto quello che è stato il travaglio veramente rivoluzionario di quel grande movimento che si iniziò nel febbraio del 1917, in Russia.

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Per aiutare a ricostruire la verità in più esatte pro­porzioni, non sarà fuori luogo ricordare quanto, nel 1918, scriveva un uomo che non aveva certamente de­bolezze per gli anarchici, il capitano Jacques Sadoul, membro della Missione militare francese in Russia, il quale, bloccato laggiù, passò presto con armi e bagagli ai bolscevichi, e che in alcune relazioni informative in­dirizzate all’allora ministro francese Albert Thomas, scriveva ad esempio, in data 6 aprile 1918: «Il partito anarchico è il più attivo, il più combattivo dei gruppi di opposizione e probabilmente il più popolare, a causa della sua demagogia, in certi ambienti operai. E anche il solo che si appoggia su dei gruppi abbastanza nume­rosi per entrare in lotta contro le baionette bolscevi­che. Sembra guadagni del terreno nelle città. I bolscevi­chi sono inquieti. M a se mostrano qualche energia e se le circostanze (rifornimenti, disoccupazione ecc.) non sono loro troppo sfavorevoli, i bolscevichi spezzeran­no questo movimento, aumentando così il proprio pre­stigio e scoraggeranno gli altri oppositori»1.

M a con più dettagli e maggiore precisione ha scrit­to, in un importante libro su L ’An 1 de la Révolution Russe (Les débuts de la dictature du prolétariat 1917-1918)

1 «Notes sur la Révolution bolchévique» (octobre 1917 - jan­vier 1919), par le Capitaine J . Sadoul. Prima edizione, Parigi, 1919. (Edizione de la Sirène). Con una prefazione di H. Barbusse, due lettere a Romain Rolland e una lettera a A. Thomas (pag. 465).

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l’ex anarchico, allora completamente ligio ai comunisti (ma qualche anno più tardi lui pure passato all’opposi­zione e riparato all’estero), Victor Serge (V. Kibalchich), pur difendendo il punto di vista «ufficiale»: «Il poco d ’influenza che gli anarchici hanno sulle masse operaie ci è attestato dal piccolo numero2 dei seggi che ebbe­ro nei soviet e nel Congresso dei soviet dove, di rego­la, non furono mai più di una mezza dozzina su molte centinaia di deputati. M a i loro piccoli gruppi energici si erano segnalati, da maggio a giugno 1917, nei san­guinosi incidenti della Villa Durnovo, a Pietrogrado, poi per la loro partecipazione ai moti di luglio, prodro­mo della insurrezione di ottobre: queste manifestazio­ni furono in parte opera loro. A Cronstadt ed altrove, avevano combattuto arditamente, a fianco dei bolsce- vichi, il kerensckismo. Malgrado la loro confusione ideo­logica, la maggioranza di essi si battè molto bene in ottobre. Il loro movimento aveva conosciuto, all’indo­mani della vittoria proletaria, uno slancio eccezionale: nessun potere poteva opporgli resistenza; procedevano senza controllo a delle requisizioni di alloggi; il partito bolscevico trattava con le loro organizzazioni da ugua-

2 Moltissimi anarchici non erano d ’accordo di partecipare al­le elezioni del soviet. Ad esempio, il 7 aprile 1917, nel quotidiano anarchico di Mosca «Anarchici», i direttori fratelli Gordine, scri­vevano: «N oi siamo contro i soviet, essendo contro ogni forma di Stato».

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le ad uguale; avevano un grande quotidiano a M osca, L ’Anarchia e a Pietrogrado l’organo sindacalista liber­tario Golos Truda (La voce del lavoro) che aveva qual­che volta fatto concorrenza all’ influenza de la Pravda di Lenin».

Il movimento anarchico russo era, dunque, sia pu­re coi suoi numerosi difetti e le sue debolezze, una for­za con la quale bisognava contare a che aveva contribuito fattivamente allo sviluppo degli avvenimenti. Così, no­nostante che «ufficialmente» solo uno sia stato il fatto­re, unico l’elemento che ha portato avanti la rivoluzione, il Partito comunista, oramai possiamo con una certa fa­cilità, vedere anche il rovescio della medaglia, perché essa, come tutte le cose, ha due facce.

Sulla rivoluzione russa, dal punto di vista anarchi­co, abbiamo ormai una abbastanza varia letteratura che a volte, come il libro dell’Archinoff sulla Makhnovici- na, pur trattando un punto particolare, porta una luce tutta nuova e diversa da quella che i testi «ufficiali» han­no fino ad ora proiettato non soltanto sul compito e l’azione degli anarchici in questo movimento, ma su mol­ti degli avvenimenti stessi che portarono la rivoluzione russa al suo sviluppo in senso socialista. G li anarchici in realtà non portarono solamente slancio nella rivolu­zione, ma con la loro opera cercarono d ’impedire alla rivoluzione di andare sul binario morto del bolscevismo staliniano.

Fra quanto si è scritto dai sostenitori della inter­pretazione anarchica della rivoluzione russa, vediamo

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primeggiare un’opera molto importante, in quanto cer­ca di abbracciare tutto l’insieme del complesso rivolu­zionario, è La Revolution inconnue, di Volin (Vsévolod Mikhailovitch Eichenbaum). Opera che ci permette di gettare una schiarita sulla questione della rivoluzione e gli anarchici, in generale, e su quanto ci interessa in maniera particolare, il «M akhnovismo», le sue cause, il suo sviluppo e la sua azione, a cui egli dedica circa 200 pagine. In questa opera si vede molto chiaramente il lento formarsi e il deciso svilupparsi della rivoluzio­ne su un terreno completamente nuovo. Non più e so­lamente della rivoluzione politica, ma di quello della grande rivoluzione sociale.

Qualcuno, erroneamente, riteneva al principio — adesso non più, però, perché davanti al precisarsi delle situazioni anche la posizione dei bolscevichi si è defi­nitivamente chiarita — che solo il bolscevismo avesse voluto la rivoluzione sociale. Invece spetta agli anar­chici, avversati dai social- democratici e dai bolscevi­chi, l’aver presentato con chiarezza l ’idea della rivolu­zione sociale integrale, cioè completa, in quanto essi han­no dimostrato che ogni rivoluzione che non giunga al­l’emancipazione vera e totale del lavoro, non può che essere condannata al fallimento.

Al principio della rivoluzione d ’ottobre 1917, quan­do le moltitudini lavoratrici incominciarono a sbaraz­zarsi del regime di proprietà privata e dell’organizza­zione statale, gli anarchici erano in prima fila. La rivo­luzione d ’ottobre, cioè l’ avvio della Russia alla rivolu­

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zione sociale, nonostante quanto ora molti dicono ri­chiamandosi ai principi marxistici, avvenne proprio con­trariamente a quanto M arx pretendeva dovesse essere la condizione indispensabile per il prodursi di una ri­voluzione socialista.

Sriveva molto giustamente Alessandro Berkmann, sul finire del 1921, in un interessantissimo opuscolo, The Russian Revolution and thè Communio Party \ che la rivoluzione aveva seguito appassionatamente: «La via tracciata dalle grandi insurrezioni popolari rifletteva na­turalmente le tendenze anarchiche. Quella rivoluzione abbattè il vecchio ingranaggio dello Stato e proclamò sul terreno politico il principio della Federazione dei Soviet ed impiegò nel campo economico il metodo del­l’azione diretta per arrivare all’abolizione della proprietà privata: contadini ed operai espropriarono i proprieta­ri dei beni immobili, scacciarono i finanzieri dalle ban­che, s ’impossessarono delle fabbriche, delle officine e delle miniere. Nel campo della ricostruzione economi­ca la rivoluzione consacrò il pricipio della produzione diretta della Federazione dei Comitati di fabbrica e di officina. Speciali comitati per le abitazioni provvede- 3

3 «The Russian Revolution and the Communist Party»: «Die Russische Revolution und die Kommunistische Partei», pubblica­to nel settembe del 1921 a Berlino senza nome di autore, con una breve prefazione di Rudolf Rocker, l’autore Alessandro Berkman trovandosi ancora in Russia. Le due edizioni pubblicate dal «Der Syndikalist», pagina 20.

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vano ad una giusta distribuzione delle case abitabili. La Rivoluzione d ’ottobre non era dunque il risultato dei pricipi tradizionali affermati da Carlo M arx, in cui la concentrazione dei mezzi di produzione e la socializza­zione degli strumenti di lavoro devono raggiungere un tale grado di sviluppo che, non potendosi più contene­re nei quadri capitalistici, si sfascino. I quadri da noi si sono rotti improvvisamente e proprio in un paese eco­nomicamente e tecnicamente poco sviluppato, con una debole concentrazione dei mezzi di produzione, coi tra­sporti poco organizzati, con una borghesia ed un prole­tariato deboli ed una classe contadina numerosa e pre­ponderante per la sua influenza economica; in un pae­se, dove sembrava non potesse essere questione d ’an­tagonismi tra le crescenti forze produttive ed il sistema capitalistico, arrivato al suo punto culminante».

Ed è logico che, da questa constatazione il Berk- mann, anarchico, inizi il suo studio sulla Rivoluzione russa e il Partito comunista, perché essa veniva a smen­tire tutte le affermazioni marxiste.

Il contrasto fra comunismo autoritario e comunismo libertario è dunque alle origini stesse della rivoluzione e non poteva, presto o tardi, che esplodere e in manie­ra terribile. Uno «Stato» — qualunque sia il suo colore — non può che avere dei sudditi ubbidienti, mai degli uomini, e se la Rivoluzione d ’ottobre incominciava con premesse antistataliste, anche se il partito che la vole­va stringere nel suo pugno era per lo «Stato», anzi ap­punto per questo, non poteva che prodursi l ’inevitabile

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lotta e portare i vincitori, gli statolatri, alla conseguen­te repressione al momento stesso della istaurazione dello Stato comunista, perché le masse operaie e le loro avan­guardie, gli anarchici, non potevano che essere contro i nuovi sfruttatori e padroni.

Lo Stato, sia esso socialista, non poteva che defini­re «banditi» e «banditismo» l’opera intrapresa da que­ste masse per la loro completa liberazione, e come ban­diti, perseguitarli implacabilmente. E il risultato ine­luttabile della contraddizione irreconciliabile fra l ’es­senza del potere statale che si afferma e quello del pro­cesso veramente socialista-rivoluzionario con le sue ten­denze inevitabilmente anarchiche. Ogni principio di po­tere politico, essendo innegabilmente un fattore del privilegio, per questo solo viola già il principio d ’ugua­glianza, ferisce al cuore la rivoluzione sociale e la fa mo­rire.

Rivoluzione socialista autoritaria e rivoluzione so­ciale sono due processi diametralmente opposti. Nel fon­do dell’una e dell’altra si trovano dei principii escluden- tesi reciprocamente.

Il potere socialista e la rivoluzione sociale sono de­gli elementi contradditori. E impossibile unirli o ricon­ciliarli. Il trionfo d ’uno di questi principi, processo e nozione, significa la messa in pericolo dell’altro con tutte le sue conseguenze logiche.

Il colpo infallibile, mortale, decisivo fra il potere so­cialista riuscito a domare la rivoluzione e le aspirazioni della rivoluzione sociale guida meccanicamente questo

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potere ad uno scontro irrevocabile con gli anarchici, i più fermi difensori di queste aspirazioni. Il trionfo del potere significa inevitabilmente il rovesciamento della rivoluzione sociale e questo fatto porta all’inevitabile persecuzione degli anarchici. In Russia, questo si pro­dusse. Ogni scusa fu valida per incominciare, prima nei grandi centri come Pietrogrado e Mosca, poi nelle va­rie province, la repressione antianarchica.

L ’Ucraina fu l’ultimo baluardo di resistenza. La for­za dei bolscevichi era relativamente limitata a causa del­l’estensione del movimento insurrezionale dei contadini conosciuto come la «M akhnovcina», dal nome del suo capo, l ’anarchico Makhno.

L ’Ucraina e il Movimento insurrezionale Makhnovista

In Ucraina non esisteva, prima della rivoluzione, un forte proletariato, in quanto non esisteva nemmeno un forte industrialismo. Particolarmente non esisteva un proletariato con quella cultura rivoluzionaria che si ap­prende nella dura lotta quotidiana nelle grandi offici­ne, mentre si logorano le membra in sforzi sovrumani per forgiare e trasformare la materia inerte in stumenti utili ed inutili. Là esisteva solo, come nel resto della Russia, una classe di contadini fortemente attaccati al­la propria terra, attaccati con quell’amore tutto specia­le che è nei contadini per la terra da loro lavorata, per quella terra che costa loro immensi sacrifici, dolori e sudori, ma che è fonte però anche di ogni bene. Non

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esisteva una industria anche se qualche fabbrica o qual­che centro funzionava, in quanto era sempre il conta­dino con la sua mentalità e le sue abitudini che in date stagioni dell’anno lasciava la campagna, che non aveva più bisogno della sua assidua cura, e andava a lavorare in città. Contadino che tuttavia rimaneva sempre tale, attaccato alla terra e alle sue tradizioni.

In queste condizioni, e in tale ambiente, è avvenu­ta la rivoluzione in Ucraina e in tutta la Russia senza affatto quelle volute condizioni che i marxisti di tutte le tendenze mettono innanzi quali condizioni «indispen­sabili» per la riuscita di una rivoluzione.

Non solo, ma abbiamo visto, contro tutti questi apriorismi marxistici, che la rivoluzione tendeva a svi­lupparsi maggiormente ed applicare il suo programma massimo proprio in quelle regioni dove le famose «con­dizioni volute» mancavano.

La lotta per l’indipendenza dell’Ucraina, è vecchia come l’Ucraina stessa; questa ha sempre lottato per la sua indipendenza ed anche e forse maggiormente, sot­to il potere degli zar.

L ’Ucraina fu sempre terra di rivoltosi, terra dove le rivolte quasi permanenti segnavano per il potere co­stituito una costante fonte di noie, di disturbi, di poca sicurezza; ma fu anche, in conseguenza di questo stes­so spirito, la regione più libera, la regione dove anche le più piccole libertà che le leggi e il dominio zarista permettevano, erano immediatamente applicate.

Questo desiderio, questo istinto di insofferenza e

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di rivolta doveva inevitabilmente con la rivoluzione, più che scomparire, aumentare, dando a questo popolo una ragione maggiore per intensificare la sua lotta per la li­bertà e servire quale forza di propulsione nel succeder­si e nello svolgersi di tutti gli avvenimenti rivoluzionari.

E così avvenne.L ’Ucraina fu certamente la terra più colpita, tanto

dalla guerra come dalla bramosia borghese; solo una vo­lontà rivoluzionaria forte, come era sempre esistita fra la popolazione di quelle regioni, poteva farle superare le enormi difficoltà e continuare nella lotta contro tut­te le tirannie e le invasioni che, in pochissimo tempo, una dopo l’altra, colpirono questo popolo.

Le invasioni tedesche, la lotta contro i vari genera­li russi al comando dell’Intesa, l ’avevano semidistrut­ta. Questi generali si erano chiamati Denikin, Wrangel, Skoropadsky, Petliura, ecc., ma tutti furono battuti.

Venne la pace di Brest-Litowsk.Il prezzo di questa pace, scrive Emma Goldmann,

la famosa scrittrice ed agitatrice anarchica, in una se­rie d ’articoli pubblicati nel 1922 in quasi tutti i giorna­li del mondo ed anche nel quotidiano Umanità Nova, edizione di Roma, del giugno 19224, «fu il tradimen­

4 «I bolscevichi e la Rivoluzione russa», di Emma Goldmann. Una serie di sei o sette articoli pubblicati anche in italiano nel quo­tidiano «Umanità Nova», diretto da Errico Malatesta (Roma, an­no III, giugno 1922). Questi articoli furono poi raccolti in opuscolo ad opera del giornale «Der Syndakalist» di Berlino, 1922.

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to della Lettonia, della Finlandia, dell’Ucraina e della Bielorussia. I contadini dell’Ucraina e della Russia Bian­ca seppero respingere l’ invasore tedesco, ma non pote­rono mai dimenticare né perdonare il tradimento dei bolscevichi; prova ne sia la permanenza in Ucraina di un milione di soldati per «reprimere il banditismo». La ratifica del trattato di Brest-Litowsk — che Trotzski rifiutò di sottoscrivere e che lo stesso Radek, allora pri­gioniero in Germania, definiva come la bancarotta della rivoluzione, mentre Jo ffe la firmava «ad occhi chiusi» — , è stato il segnale della lunga resistenza, palese o clan­destina, dei contadini dell’Ucraina contro lo Stato bol­scevico». Perché, diceva Volin, al momento in cui i bolscevichi si accingevano a firmare questa pace, in un articolo «Dello spirito rivoluzionario» apparso nel gior­nale anarco-sindacalista di M osca, Golos Trucia (n. 27, del 24 febbraio 1918): «Tutto l’avvenire della rivolu­zione russa e l’influenza sugli avvenimenti mondiali di­pendono da questo giorno, da questo minuto».

E , come tutti sanno, coll’invasione tedesca dell’U­craina che incomincia l’attività e la popolarità di Makh- no e che nasce il movimento insurrezionale Makhno- vista, e precisamente nel 1918, quando in seguito al­l ’occupazione dell’Ucraina ad opera delle truppe tede­sche, la reazione sostenuta dai grossi proprietari terrieri, si fece più spavalda. Fu allora che le masse contadine insorsero con novello slancio per la difesa delle conqui­ste della rivoluzione, provvedendo in pari tempo ad uni­ficare le loro forze e ad estendere la loro azione per

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fronteggiare il nemico cento e cento volte superiore in armi ed in uomini.

Tuttavia, l’origine profonda, remota, che spinse que­ste masse contadine ad organizzarsi per la propria dife­sa, va ricercata nell’inizio stesso della Rivoluzione russa, nel 1917, prima ancora della andata al potere dei bol- scevichi. La lotta dei contadini ucraini contro il gover­no centrale di Mosca incominciò quando il governo di Kerenscki promulgò la famosa legge concedente la ter­ra ai contadini, a patto però che questi si impegnassero a pagarla entro un certo periodo di tempo.

Questa legge, invece di placare gli spiriti, li eccitò maggiormente, provocando un vivo malcontento spe­cie in Ucraina, cosa comprensibilissima se, come dicem­mo, si considera che ivi i contadini costituiscono l’enor­me maggioranza della popolazione. In questo frangen­te, l ’opera e l’azione degli anarchici fu tesa a coadiuva­re l ’opera ribelle dei contadini e a spingerli più ardi­tamente ancora alla occupazione delle terre, senza preoc­cuparsi dei «compensi» che si chiedevano.

Questo vivo fermento durò lunghi mesi, sino cioè all’invasione dell’Ucraina da parte tedesca.

Con l’occupazione, l ’Ucraina divenne una vera for­nace.

Un terrorista socialista-rivoluzionario di sinistra, Bo­ris Donskoi, il 30 luglio 1918 uccide a Kiev il feldma­resciallo tedesco Eichorn.

Durante un mese, dalla metà di luglio a metà ago­sto, i ferrovieri scatenarono uno sciopero ed iniziaro­

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no atti di sabotaggio contro gli invasori, creando una situazione talmente critica che gli occupanti furono co­stretti a portare in Ucraina dei ferrovieri tedeschi se volevano che in qualche modo le ferrovie funzionassero.

L ’occupazione, d ’altra parte, ristabilì i vecchi pri­vilegi, diede vita a nuovi soprusi e ad una spietata rea­zione. Cosicché la tracotanza degli invasori, unita alla bestialità dei grossi proprietari, esasperò ancor più il popolo che di giorno in giorno accorreva ad ingrossare le fila dei gruppi anarchici datisi alla lotta armata e ter­roristica, alla guerriglia contro i ricchi agrari e gli uffi­ciali delle truppe di occupazione.

Nella seconda metà del 1918, gli insorti partigiani ammontavano già a circa duemila ed erano in grado di sostenere efficacemente gli attacchi di interi reggimen­ti. Ciò che portava agli insorti la simpatia dei contadi­ni, oltre che ai principi d ’espropriazione delle terre dei ricchi agrari, era l’ardimento e il coraggio degli insorti, ed in non pochi casi il coraggio temerario del «batko» Makhno, che in Ucraina incominciava a farsi leggen­dario.

Fu soprattutto dopo la vittoria di Dibriviki che il movimento degli insorti ucraini si denominò «Makh- novista».

Questo episodio merita d ’essere ricordato perché, oltre ad essere uno dei più suggestivi, è anche dei più caratteristici.

Il 30 settembre del 1918, un gruppo d ’insorti, una

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trentina circa e con una sola mitragliatrice, si trovava nella foresta di Dibriviki, accerchiato da un numero schiacciante di soldati austro-tedeschi, che da qualche tempo gli dava la caccia.

Tutte le vie d ’uscita erano bloccate, e per gli accer­chiati non vi era altra alternativa che quella di lasciarsi sterminare o di abbandonare tutte le armi al nemico e fuggire alla spicciolata. Questa soluzione essendo con­siderata indegna di veri rivoluzionari, essi preferirono affrontare il nemico. Benché sconsigliati dai contadini del luogo che li aiutavano, essi decisero, mentre cinque o sei insorti avrebbero tentato un attacco di fronte, di attaccarli ai lati.

Così infatti si svolse questo piccolo ma sintomatico episodio. Lanciando grida terribili per far credere di es­sere in molti, il gruppo più numeroso si gettò sul nemi­co, che non si attendeva ad un simile attacco, sciabo­lando e sparando come forsennati. Il nemico, cento volte più numeroso, preso alla sprovvista e nel sonno, sor­preso da tanta furia e vedendosi attaccato da più parti contemporaneamente, ignaro della forza effettiva de­gli assalitori, non seppe resistere e si diede a fuga pre­cipitosa. La voce di questo episodio, sparsasi per tutta l ’Ucraina, sollevò l’entusiasmo del popolo, che d ’allora in poi non lesinò le simpatie e l’aiuto.

E da questo momento che il movimento Makhno- vista va assumendo sempre maggiore forza ed impor­tanza, al punto da farsi prendere in seria considerazione dallo stesso esercito bolscevico. M a l’apogeo fu raggiun­

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to nella lotta contro la reazione, quando soli od aiutati apparentemente... sulla carta, i ribelli ucraini lottaro­no contro gli invasori di dentro e gli eserciti «bianchi» che tentavano di riportare lo zarismo e servivano gl’in­teressi della reazione di fuori.

Makhno e le sue truppe partigiane contribuirono for­temente alla disfatta di questi avventurieri della rea­zione, e fu soprattutto nella lotta contro Denikin che la loro energia e la loro abnegazione per la causa rivo­luzionaria si dimostrò potente e tale che a diverse ri­prese, e particolarmente nei momenti di maggior biso­gno, i bolscevichi strinsero alleanze con loro. Ma, co­me tutte le guerre, anche questa fu caratterizzata da un continuo susseguirsi di alti e bassi, di ripiegamenti e rapide avanzate e, a seconda delle vittorie o delle scon­fitte, i bolscevichi, seguendo l’alternarsi della fortuna, li accusarono di nemici della rivoluzione o li accarezza­rono come amici cari.

Nel giugno-luglio 1919, Denikin riusciva a sfonda­re il fronte tenuto dall’Armata Rossa, ponendo in riti­rata disastrosa le truppe bolsceviche e mettendo per un momento, oltre che la rivoluzione in Ucraina, anche quella in tutto il resto della Russia nel pericolo d ’esse­re schiacciata, in quanto più nulla oramai sembrava po­tesse ostacolare l’avanzata delle truppe bianche.

Denikin era diventato il simbolo, la bandiera della controrivoluzione. E contro Denikin si accentuò la lotta particolarmente degli insorti partigiani Makhnovisti, i quali però mai dimenticavano né gli scopi immediati,

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né quelli più generali e profondi della vera rivoluzionesociale.

Ai contadini ed agli operai essi dicevano:1. Chi sono i Makhnovisti e per che cosa lottano?I Makhnovisti sono dei contadini e degli operai in­

sorti, già dal 1918, contro la violenza del potere bor­ghese, tedesco, ungherese, austriaco, degli hataman, in Ucraina.

I Makhnovisti sono quei lavoratori che hanno in­nalzato la bandiera della lotta contro Denikin ed ogni forma di oppressione, violenza e menzogna, da qualsia­si parte questa provenga.

Makhnovisti sono quegli stessi lavoratori, che col lavoro di tutta la loro vita, hanno arricchito ed ingras­sato la borghesia in generale ed oggi quella sovietica in particolare.

2. Perché ci chiamano Makhnovisti?Perché nei più penosi e gravi giorni della reazione

in Ucraina, noi abbiamo visto nelle nostre file l ’infati­cabile amico e condottiero Makhno, la cui voce di pro­testa ha echeggiato per tutta l’Ucraina, contro ogni vio­lenza a carico dei lavoratori, richiamando tutti alla lot­ta contro gli oppressori, i ladri, gli usurpatori e i ciarla­tani politici che ci ingannano e che ancora oggi è insieme a noi, nelle nostre file, immutabile, nella lotta per lo scopo finale: la liberazione e l’emancipazione dei lavo­ratori da ogni oppressione.

3. Come si otterrà, secondo il nostro parere, la libe­razione?

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Abbattendo il governo monarchico di coalizione, re- pubblicano e socialdemocratico, comunista e bolscevi­co, al cui posto dovranno essere elette delle libere or­ganizzazioni, dei Consigli di lavoratori, che non sono governo, né le sue leggi scritte arbitrarie, perché il si­stema sovietico non è autoritario (al contrario dei so­cialdemocratici e comunisti bolscevichi che oggi si de­finiscono autorità sovietica), ma sono la più alta forma del socialismo antiautoritario e antistatale che si espri­me in una libera organizzazione della vita sociale dei lavoratori, indipendente dall’autorità della quale ogni lavoratore, isolato o associato, potrà indipendentemente costruire la propria felicità e il proprio benessere inte­grale secondo il principio di solidarietà, amicizia e ugua­glianza.

4. Come intendono i Makhnovisti il regime sovietico?I lavoratori stessi devono scegliere i propri Consi­

gli (soviet) che eseguiscono la volontà e gli ordini dei lavoratori stessi, cioè dei Consigli di esecuzione e non di autorità.

La terra, le fabbriche, gli stabilimenti, le miniere, le ferrovie, ecc., le ricchezze del popolo devono appar­tenere ai lavoratori che lavorano, cioè, devono essere socializzati.

5. Quali sono le strade per arrivare allo scopo dei Makh­novisti?

Implacabile e conseguente lotta rivoluzionaria con­tro ogni menzogna, arbitrio e violenza da dovunque pro­

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vengano; lotta non a vita ma a morte, con la libera pa­rola, coi fatti giusti, lotta con le armi alla mano.

Soltanto sopprimendo ogni governante, ogni rappre­sentante dell’autorità e distruggendo alla base ogni men­zogna politica, economica, statale, soltanto attraverso la distruzione dello Stato mediante la rivoluzione so­ciale si può realizzare un vero sistema di soviet operai e contadini e andare verso il socialismo^.

Fu appunto perché la lotta dei Makhnovisti non era circoscritta al fatto locale, ma vedeva oltre e voleva li­berare il lavoro da qualsiasi sfruttamento, e non sosti­tuire un padrone ad un altro, che le masse contadine ed operaie lo seguivano e lo aiutavano nell’opera libe­ratrice ed emancipatrice.

La vittoria di Denikin non scoraggiò i partigiani; ben al contrario, Makhno, con un manipolo dei suoi, trovandosi scarso in armi, fermò parte delle truppe rosse in fuga, le disarmò, rifornendosi così di mezzi sufficienti e capaci per armare i contadini per una nuova insurre­zione da approntarsi nelle regioni occupate dal Deni­kin e costringere questo generale a fuggire davanti al fuoco che presto incominciò a divampare in tutta l’U ­craina e che conquistava ogni villaggio. La sua disfatta fu completa perché non gli rimase che la fuga disordi- 5

5 Questo manifesto-programma fu redatto dalla «Sezione Cul­turale ed educativa dell’Armata insurrezionale Makhnovista» e pub­blicato il 27 aprile del 1920.

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nata, abbandonando tutto nelle mani dei contadini ri­belli ed in quelle delle bande partigiane.

Fu un vero disastro per la reazione, ed in tale occa­sione veniva lanciato il seguente manifesto:

A TUTTI I LAVORATORI D ELL’ARATRO E DEL MARTELLO:

Fratelli!Un nuovo pericolo di morte minaccia tutti i lavoratori.Tutte le forze oscure dei servi del sanguinoso Nicola, al­

leatesi coi grandi proprietari polacchi, degli istruttori fran­cesi e dei traditori di Petliura, marciano sull’Ucraina per stabilire da noi un governo autoritario ed imporci la politica dei latifondisti, dei capitalisti e degli «amministratori» d’a­ziende, dei commissari ed altri boia dei contadini e degli operai.

Compagni!I Commissari ed amministratori comunisti-bolscevichi so­

no dei bravi soldati, ma solamente contro i poveri e gli op­pressi. I loro distaccamenti di punizione e la loro Ceka sanno benissimo uccidere i contadini e gli operai ed incendiare i paesi e i villaggi; ma di fronte ai vari nemici della rivoluzio­ne, di fronte alle bande di Denikin ed altri reazionari, essi scappano vilmente come dei miseri codardi.

Voi, compagni, non avete ancora dimenticato come l’anno scorso le «spalline d ’oro» per poco non entrassero in Mosca. Se non vi fossero stati gli insorti, già da lungo tempo sven­tolerebbe sulla Russia rivoluzionaria la bandiera tricolore della autocrazia.

Anche ora, compagni! L ’Armata rossa, venduta ad ogni

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istante dai suoi generali e dai suoi commissari codardi, pre­sa dal panico lascia il fronte e cede ai proprietari polacchi paesi su paesi. Già da molto sono state occupate dai polac­chi: Gitomir, Kiev, Gimerina. Il fronte dell’Armata bianca si avvicina a Poltava e Kerson. In Crimea, i seguaci di Deni- U in, fortificatisi in questi ultimi quattro mesi, attendono il momento opportuno per occupare di nuovo i nostri paesi.

Fratelli!Aspetterete forse voi con le braccia incrociate l’arrivo

ilei bianchi? E vi darete voi stessi, le vostre donne ed i vo­stri figli alle torture dei generali e dei padroni?

No! Questo non deve accadere.Alle armi tutti! Entrate nelle file degli insorti!Insieme a noi, insorti di Makhno, insorgete contro tutti

gli oppressori. Create in ogni villaggio dei distaccamenti e entrate in relazione con noi. Tutti assieme noi cacceremo i commissari e le Ceke e con i compagni dell’Armata rossa co­struiremo un fronte di ferro per la lotta contro Denikin, Pe- tliura ed i grandi proprietari polacchi.

Compagni! Il tempo non aspetta, formate subito i vo­stri distaccamenti!

All’opera!Morte e rovina a tutti gli oppressori e padroni!Iniziamo l’ultima e definitiva battaglia per il sistema so­

vietico veramente libero, dove non vi saranno né padroni, né servi.

All’armi, fratelli!Maggio 1920.

Sezione culturale degli insorti rivoluzionari

di Ucraina (Makhnovisti).

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Più tardi, i resti delle truppe del generale Denikin che riuscirono a sfuggire all’ira popolare, riparatisi in una parte della Crimea, vennero dal generale Wrangel (già generale sotto Denikin), riorganizzati, rafforzati con nuove truppe e messi in condizioni di ricominciare la campagna fallita dal suo predecessore. Così, ancora una volta la povera Ucraina venne invasa, distrutta, marto­riata da questi insaziabili avventurieri. Fu forse questa la più grave avventura reazionaria che si abbattè sulla Rivoluzione russa. E il pericolo fu così grande da in­durre ancora una volta il governo centrale di Mosca, nemico del Makhnovismo e di Makhno, ad un nuovo patto di alleanza. In questa occasione Makhno era ri­diventato il «glorioso generale».

Il nuovo patto fu indubbiamente il più importante e significativo, perché le altre volte, come nel dicem­bre del 1918 nella lotta contro il Petliura, tali accordi furono di carattere locale e meno ufficiali. Scriveva Vic­tor Serge nel libro già citato: «G li anarchici e gli anar- chicheggianti, sempre più forti sotto l ’energico comando di Makhno, secondavano, malgrado molte esitazioni, il potere dei soviet».

Questa volta il patto, per quanto concerneva gli ac­cordi militari, dopo una discussione durata tre mesi circa (dal settembre al dicembre), era stato firmato a metà dicembre (dal 10 al 15) del 1920 dal comandante del fronte sud, generale Frounze, e da Bela Kun del Con­siglio rivoluzionario del fronte sud; per l’armata insur­rezionale Makhnovista, da Kouvilenko e Popoff; il patto

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|K)litico venne firmato da Yakoleff per il governo di M o­sca e per i Makhnovisti sempre da Kouvilenko e Popoff.

I punti essenziali di quello politico dicevano:1) Liberazione immediata di tutti i M akhnovisti ed

anarchici arrestati o esiliati nel territorio delle Repub­bliche sovietiche; cessazione di ogni persecuzione con- i ro i Makhnovisti e contro gli anarchici. Solo quelli che condurranno la lotta armata contro il governo dei so­viet non saranno compresi in questa clausola.

2) Libertà intiera a tutti i Makhnovisti e anarchici |>er qualsiasi manifestazione pubblica di propaganda dei loro principii ed idee, tanto con la parola che con lo scritto, salvo appelli a rovesciare violentemente il po­tere dei soviet e a condizione di rispettare le disposi­zioni della censura militare, ecc.

Ed infine, senza ripetere qui tutte le clausole che si trovano nel testo del libro dell’Archinoff, ve ne era una speciale che indicava molto bene come già allora si facessero le elezioni, poiché si era sentito il bisogno di fissare nel terzo capoverso: «Libera partecipazione alle elezioni dei soviet; diritto ai Makhnovisti ed agli anarchici d ’essere eletti. Libera partecipazione all’or­ganizzazione del prossimo Congresso Panucraino dei So­viet, che deve aver luogo nel dicembre prossimo».

Come contropartita, nell’accordo militare vi era: «L ’Armata insurrezionale Makhnovista farà parte del­le forze armate della repubblica come armata di Parti­giani, subordinata, per quanto concerne le operazioni, al Comando supremo dell’Armata rossa».

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M a un punto era certamente molto importante per­ché conteneva tutta l ’essenza e la ragione d ’essere del­la lotta partigiana, ed era quello riguardante l ’autoam- ministrazione economica e politica, cioè la possibilità di costruire una società comunista libertaria. I Makh- novisti vollero che questo principio fosse precisato nel­l ’accordo, di modo che una quarta clausola fu aggiunta all’accordo politico dove si diceva: «Uno degli elementi essenziali del movimento Makhnovista essendo la lotta per l ’autogoverno dei lavoratori, l'armata insurrezionale cre­de di dover insistere sul seguente punto: Nelle regioni do­ve opera l ’armata Makhnovista, la popolazione operaia e contadina creerà le sue istituzioni libere per l ’autogoverno economico e politico; queste istituzioni saranno autono­me e unite federativamente, con patti, agli organi gover­nativi delle Repubbliche sovietiche».

Era il tentativo di gettare le basi e stabilire una li­bera convivenza di due tipi di vita sociale: comunista- autoritaria da una parte, e libertaria dall’altra, così co­me convivono monarchie e repubbliche, lasciando alla libera sperimentazione ed ai risultati dei due tentativi il poter tirare le conclusioni, e stabilire quale delle due forme risultasse la migliore. Determinare, insomma, chi avrebbe garantito una maggiore possibilità di benesse­re economico con la libertà e il rispetto della personali­tà umana.

Fu troppo domandare ai bolscevichi i quali, se in un primo tempo accettarono, fu solo col ben preciso pen­siero di approfittare di quanto poteva dare quell’alleanza

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c col proposito di nulla concedere o, a suo tempo, di lutto sopprimere.

Per i Makhnovisti, il periodo segnato da questa tre­gua fu denso di attività, in quanto permise, fra l ’altro, agli anarchici ucraini di poter organizzare un nuovo Con­gresso, il famoso Congresso di Karcoff, il quale però, ultimati i preparativi, non potè portare a compimento i suoi lavori perché tutti i delegati convenuti (circa 400), vennero arrestati quali cospiratori, sebbene il governo avesso concesso preventivamente il permesso. M a que­sta era la logica conclusione della politica soffocatrice del governo di Mosca. Cessato il pericolo controrivo­luzionario, gli insorti Makhnovisti non servivano più e si potevano quindi tranquillamente stroncare.

Non è necessario soffermarci sui numerosi episodi di questa guerra che portò i partigiani Makhnovisti a spezzare la resistenza ed a battere definitivamente le truppe dello zarista Wrangel, perché in tal caso biso­gnerebbe scrivere un libro più voluminoso ancora di quello che l’Archinoff dedicò al movimento Makhno- vista.

Per noi basti ricordare il fatto che, scomparso il pe­ricolo wrangeliano, i bolscevichi ricominciarono la cam­pagna denigratoria e repressiva contro Makhno e il Makhnovismo, lacerando, come un pezzo di carta strac­cia, il trattato stipulato sotto la pressione del pericolo. Ma è tuttavia necessario rilevare il programma sociale di questi contadini insorti, poiché in esso è riassunto quello che è essenziale e differenziale fra i bolscevichi

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sostenitori del comunismo autoritario e i Makhnovisti comunisti libertari, fra il regime della dittatura di par­tito e quello dei Soviet liberi.

In un documento, pubblicato il I o gennaio 1920, venivano con chiarezza posti i punti principali di que­sto programma:

MANIFESTO D ELL’ARMATAINSURREZIONALE UCRAINA (Makhnovista)

A tutti i contadini e operai Ucraini, da trasmettere per telegrafo, telefono o per posta ambulante a tutti i villaggi del­l’Ucraina. Leggere nelle riunioni dei contadini, nelle fabbri­che e negli stabilimenti.

Fratelli lavoratori!L ’Armata insurrezionale dell’Ucraina (Makhnovista) era

stata fatta sorgere come protesta contro l’oppressione dei la­voratori e dei contadini da parte della borghesia e ad opera della dittatura bolscevico-comunista. Essendosi posta come mèta la lotta per la liberazione totale dei lavoratori ucraini dal giogo di questa e di quella tirannia e la creazione di una vera e propria costituzione socialista, la armata insurrezio­nale dei partigiani Makhnovisti ha combattuto intensamen­te su molti fronti per arrivare alla mèta, e attualmente con­clude vittoriosamente la lotta contro l’armata di Denikin, liberando una regione dopo l’altra, là dove vi era tirannia ed oppressione.

Molti contadini lavoratori si sono posti la domanda: Co­me fare? Che cosa si può e si deve fare? Come comportarmi verso le disposizioni del potere e le sue organizzazioni, ecc?

A queste domande risponderà completamente e piena­

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mente l’Unione Ucraina dei Lavoratori e dei Contadini che dovrà riunirsi subito, e convocare tutti i contadini e i lavo­ratori.

In considerazione del fatto che non si conosce la data precisa di questa riunione, che avverrà non appena i conta­dini e i lavoratori avranno la possibilità di riunirsi per trac­ciare e risolvere i problemi più importanti della vita dei con­tadini e dei lavoratori nostri, l’Armata dei Makhnovisti ri­tiene necessario lanciare il seguente manifesto:

1° Si annullano tutte le disposizioni del governo di De­nikin (volontari), si annullano anche le disposizioni del go­verno comunista che erano in contrasto con gli interessi dei contadini e dei lavoratori.

Osservazioni. — I lavoratori dovranno risolvere da se stessi la questione: — Quali disposizioni del governo comu­nista sono dannose agli interessi dei lavoratori?

2° Tutte le terre appartenenti ai monasteri, ai grandi pro­prietari e ad altri nemici, passano ai contadini che vivono soltanto col lavoro delle loro braccia. Questo passaggio de­ve avvenire a mezzo delle riunioni e decisioni dei contadini, che dovranno ricordare e tenere presente non solo i loro in­teressi personali, ma anche gli interessi comuni del popolo lavoratore oppresso dal giogo degli sfruttatori.

3° Le fabbriche, gli stabilimenti, le miniere di carbone ed altri mezzi di produzione diventano proprietà dell’intera classe lavoratrice, che ne assume la responsabilità direttiva e amministrativa, incita e alimenta con la sua esperienza il progresso e cerca di riunire in una sola organizzazione tutta la produzione del paese.

4 ° Tutti i lavoratori e i contadini sono invitati a costi­tuire i Consigli liberi dei contadini e dei lavoratori. Nei Con­

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sigli saranno eletti soltanto i lavoratori che prendono parte attiva a un ramo necessario dell’economia popolare. I rap­presentanti delle organizzazioni politiche non possono par­tecipare ai Consigli dei lavoratori e dei contadini perché questo potrebbe nuocere agli interessi dei lavoratori stessi.

5 ° Non è ammessa l’esistenza di organizzazioni tiranni­che, militarizzate, che contrastino con lo spirito dei lavora­tori liberi.

6 ° La libertà di parola, di stampa e di riunione costitui­scono il diritto di ogni lavoratore e qualsiasi manifestazione contraria a queste libertà rappresenta un atto controrivolu­zionario.

7° Si annullano le organizzazioni di polizia; in luogo di queste si organizzano formazioni di autodifesa che possono essere create dai lavoratori e contadini.

8 ° I Consigli dei lavoratori e contadini rappresentano l’autodifesa dei lavoratori e dei contadini e quindi ognuno di questi deve lottare contro qualsiasi manifestazione della borghesia e dei militari. Bisogna lottare contro gli atti di ban­ditismo, fucilare sul posto i banditi e gli antirivoluzionari.

9 ° La moneta sovietica e ucraina deve essere accetata pari all’altra moneta; si puniranno i contravventori a questa disposizione.

10° Rimangono liberi gli scambi dei prodotti del lavoro e del commercio fino a quando non saranno amministrati dal­l’organizzazione dei contadini e lavoratori. Si propone che questo scambio avvenga fra i lavoratori tutti.

11° Tutte le persone che ostacoleranno la diffusione di questo manifesto saranno considerate antirivoluzionarie.

Il Consiglio Rivoluzionario dell’Armata Ucraina

Makhnovista

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Ma la lotta fratricida faceva veramente strage. G l’in­sorti Makhnovisti erano ritenuti i nemici più terribili e come tali erano braccati e i loro paesi distrutti. Bian­chi e rossi si alternavano nella repressione. Era logico che soprattutto verso i soldati dell’Armata rossa si in­dirizzassero gli appelli Makhnovisti, perché era nell’Ar­mata rossa che vi si trovavano molti dei rivoluzionari che avevano combattuto con gli anarchici nelle form a­zioni Makhnoviste contro lo zarismo. Perché chi com­batteva nell’Armata rossa erano operai e contadini i qua­li, come quelli dell’Ucraina, volevano giustizia, benes­sere economico e libertà.

Ai loro fratelli dell’Armata rossa i Makhnovisti lan­ciarono degli appelli come il seguente:

Fermati! Leggi! Medita!Compagno dell’Armata rossa:Tu sei mandato dai tuoi commissari comandanti a com-

batere gli insorti rivoluzionari Makhnovisti.Per ordine del tuo comando tu porterai la rovina in pae­

si pacifici; perquisirai, arresterai, ucciderai gente a te perso­nalmente sconosciuta, ma che ti sarà indicata come nemica del popolo.

Ti diranno che i Makhnovisti sono dei banditi e dei con­trorivoluzionari.

Ti ordineranno, non ti chiederanno, ti manderanno, e come umile schiavo del tuo comandante andrai ad arrestare e ad ammazzare. Chi? Per che cosa? Perché?

Rifletti, compagno dell’Armata rossa! Rifletti lavorato­re, contadino o operaio, soggiogato per forza dal nuovo pa­

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drone che porta il sonoro nome di «Potere contadino-ope­raio»!

Noi siamo insorti rivoluzionari Makhnovisti, gli stessi contadini ed operai come voi, nostri fratelli dell’Armata rossa.

Noi siamo insorti contro l’oppressione e l’avvilimento; noi lottiamo per una vita migliore e più luminosa. Il nostro ideale è il raggiungimento di una comunità lavorativa senza autorità, senza parassiti e senza commissari-impiegati.

Il nostro scopo più immediato è: stabilire un libero regi­me sovietico, senza l’autorità dei bolscevichi, senza la pres­sione di un qualsiasi partito.

Il governo dei bolscevichi-comunisti vi manda a fare que­ste spedizioni punitive. Esso si affretta a fare la pace con Denikin e i ricchi polacchi ed altre canaglie dell’Armata bian­ca, per scacciare più facilmente il movimento popolare degli insorti rivoluzionari, degli oppressi, ribelli contro il giogo di qualsiasi potere.

Ma le minacce del comando bianco-rosso non ci fanno paura.

Alla violenza risponderemo con la violenza.Quando sarà necessario, noi, piccolo pugno d’uomini,

metteremo in fuga le divisioni dell’Armata rossa governati­va. Perché noi siamo liberi e amanti della libertà, rivoluzio­nari insorti e la causa che difendiamo è una causa giusta.

Compagno! Rifletti con chi sei e contro chi combatti.Non essere schiavo, sii uomo.

GLI INSORTI RIVOLUZIONARI MAKHNOVISTI

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Gli anarchici e il movimento insurrezionale

Ripetutamente abbiamo parlato dei rapporti fra gli anarchici e il movimento insurrezionale, ma sarà forse necessario soffermarvisi ancora e in base a documenti «ufficiali» fissare con chiarezza tali rapporti.

La questione della liberazione dell’Ucraina da par­te dell’esercito occupante, era per gli anarchici stretta- mente legata a quella dello sviluppo della rivoluzione sociale che aveva avuto inizio. Ed infatti l’Archinoff, che per lungo tempo fu tra gli insorti Makhnovisti, nel suo libro sulla Makhnovicina, dice:

«M olti vedono l ’origine di questa insurrezione uni­camente nell’occupazione austro-tedesca e nei regimi de­gli hataman. Questa spiegazione è insufficiente, se non inesatta. L ’insurrezione ebbe le sue radici in tutto l’am­biente e nelle fondamenta stesse della Rivoluzione rus­sa. E ssa fu un tentativo dei lavoratori di portare la rivoluzione sino alle sue conseguenze estreme: la vera, la completa emancipazione e supremazia del lavoro. L ’in­vasione austro-tedesca e la reazione degli agrari non fecero che accelerare il processo».

In questo processo rivoluzionario l’opera degli anar­chici non poteva essere che delle più attive; infatti, forte sin dall’inizio, essa si farà sempre più accentuata e sem­pre più aderente allo svolgersi della vita e allo svilup­parsi degli avvenimenti, in quanto sempre gli anarchici si trovarono al centro, nel cuore stesso di questa lotta che a volte assume forme veramente epiche.

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In una circolare lanciata dal «Segretario della Confe­derazione delle organizzazioni anarchiche dell’Ucraina (Na- bat)», per la convocazione della prima Conferenza di queste organizzazioni, del 18 novembre 1918, si dice­va fra l’altro: «L ’Ucraina è già passata sotto il regime bolscevico, lo ha sperimentato su se stessa e più o me­no ha sentito la sua incapacità a ricostruire e cimentare la società coi principi della libertà integrale e l’ugua­glianza economica. Questo fatto ci fa pensare che la prossima rivoluzione in Ucraina potrà, fin dall’inizio, dirigersi per la via della organizzazione delle masse senza partito, convertendosi in rivoluzione sociale che dovrà dare vita ad un ordinamento sociale comunista-anarchi­co. La forza, la vitalità, la fecondità e la invincibilità della rivoluzione che si indirizza per questa via, sarà un esempio degno d ’essere imitato da tutti gli altri paesi, influendo cosi anche sul carattere della Rivoluzione in­ternazionale, dandole una spinta sul cammino della ri­voluzione anarchica».

Arrivati a queste conclusioni, gli anarchici che la­voravano in Ucraina furono costretti a pensare e a tro­vare il modo più serio ed efficace per indirizzare la loro attività, — particolarmente in quelle condizioni e in quel momento — in modo che essa non risultasse sterile, co­me successe sino allora quasi dappertutto, e cioè che non si rinchiudessero nella sola negazione, ma aprisse­ro ampi orizzonti e dessero mezzi per creare una vita nuova. Per questo nel loro documento affermavano:

«E evidente che se vogliamo che la rivoluzione non

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fallisca, è necessario determinare con precisione lo scopo che vogliono raggiungere gli anarchici nel processo r i­voluzionario. E necessario determinare chiaro ed ine­quivocabile l’obiettivo perseguito e trovare quei meto­di di lavoro pratico che ci diano la possibilità di tra­sportare la nostra attività dal campo critico-distruttivo a quello creatore-costruttivo»6.

La Conferenza che si riunì e che fu molto impor­tante, fissò come suo primo compito quello di «orga­nizzare tutte le forze vive dell’anarchismo; unire le d i­verse correnti anarchiche; unire per un lavoro comune tutti gli anarchici che vogliono prendere seriamente par­te attiva alla rivoluzione sociale, che è compresa come un processo creativo, più o meno lungo, di nuove for­me di vita sociale da parte delle masse organizzate»7.

Un altro dei comma fra i più importanti dell’ordine del giorno di quel Convegno era il terzo, che si riferiva al «Movimento insurrezionale». La decisione fu chiara:

Dato:a) La necessità di attivare la lotta contro le forze reazio­

narie d’ogni specie, le stesse che si impadronirono dell’U­craina e la utilizzarono come punto d’appoggio;

b) La necessità d’introdurre il più possibile in questa lotta

6 «Primera Conferencia de las Organizaciones anarquistas de Ucraina “ N abat” . Declaraciones y resoluciones». Buenos Aires, 1922. (Ed. «La Protesta», pag. 30).

7 Idem.

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lo spirito anarchico, indirizzando in tale modo, in direzione anarchica, la prossima vittoria e la organizzazione delle for­ze della rivoluzione, la Conferenza riconosce la necessità di una partecipazione ampia ed attiva degli anarchici nel mo­vimento insurrezionale in Ucraina.

Data l’inutilità, anzi il risultato negativo delle formazioni puramente anarchiche, dimostrato dall’esperienza, la Con­ferenza riconosce l’inutilità delle stesse.

Circa la partecipazione degli anarchici ad ogni genere di formazione d’insorti e ad organizzazioni non anarchiche, la Conferenza riconosce:

1 ° E indispensabile la partecipazione degli anarchici al­le formazioni d ’insorti d’ogni specie e particolarmente nelle formazioni d ’insorti (operai e contadini) senza partito, or­ganizzate dagli anarchici.

2 ° È possibile la partecipazione degli anarchici ad ogni genere d’organizzazione d ’insorti (Comitati rivoluzionari di guerra, stati maggiori, ecc.) alle seguenti condizioni:

a) I comitati rivoluzionari di guerra e altre organizzazioni similari possono essere interpretati dagli anarchici unicamente come organi tecnico-esecutivi (che siano come dirigenti nel­l’attività delle operazioni puramente militari); però, sotto nes­sun pretesto si considerano come organi amministrativi ed esecutivi che pongano, in qualsiasi forma, il problema della autorità o la prendano nelle loro mani;

b) Alle organizzazioni (Comitati rivoluzionari di guer­ra, stati maggiori, ecc.) che abbiano carattere d’istituzione di partiti politici o autoritari, gli anarchici non possono pren­dere parte. Là dove esistessero, gli anarchici debbono fare tutto il possibile per creare organizzazioni analoghe fuori dei partiti;

c) Gli anarchici possono collaborare ad organizzazioni

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che non abbiano carattere politico partitario, né autoritario. Nel caso di trasformazione delle organizzazioni alle quali essi partecipano in organizzazioni partitarie politiche, gli anar­chici dovranno abbandonarle e creare organizzazioni analo­ghe separate;

d) Gli anarchici organizzeranno Comitati rivoluzionari di guerra là dove non ve ne fossero.

Nota. — In casi eccezionali, come ad esempio in mo­menti critici di lotta decisiva e quando da essi possa dipen­dere la salvezza della Rivoluzione, si permette la partecipa­zione provvisoria degli anarchici alle organizzazioni rivolu­zionarie militari che rivestano anche il carattere di partiti politici, ma unicamente con fini puramente informativi.

La Conferenza attira poi l ’attenzione speciale dei militanti sulla necessità ineluttabile di:

1° Non concentrarsi in formazioni di organizzazioni mi­litari od essere semplici combattenti, ma consacrare tutto il loro tempo disponibile alla attività di propaganda cercando di svolgere e fortificare nei membri delle formazioni ed or­ganizzazioni idee e abitudini di carattere anarchico; risve­gliare lo spirito di iniziativa ed attività proprie, infondere principi morali, culturali e fondamentali dell’anarchismo;

2° Non rinchiudersi nello stretto circolo della formazione o della organizzazione, ma tendere sempre ad unire la vita e l’attività delle formazioni e delle organizzazioni con la vi­ta della popolazione, cercando con le parole e i fatti di colti­vare nella popolazione la simpatia verso gli insorti, svolgen­do una attiva e cosciente opera rivoluzionaria, portando la popolazione ad appoggiare effettivamente gli insorti.

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Le organizzazioni degli anarchici ucraini del «Na- bat» tennero altri Congressi dove queste questioni ven­nero nuovamente discusse. Il terzo Congresso dei mem­bri effettivi della Confederazione del «N abat» ebbe luo­go in circostanze particolarmente difficili. Un altro Con­gresso si sarebbe dovuto tenere dopo il secondo del mar­zo-aprile 1919, nell’agosto dello stesso anno, ma non potè aver luogo a causa della grande offensiva scatena­ta nel giugno dal generale bianco Denikin.

Questa offensiva e la conseguente avanzata delle truppe del Denikin avevano spezzato ogni possibile le­game fra le organizzazioni e perfino il segretariato stesso del «N abat» fu stroncato e i suoi membri gettati allo sbaraglio. Uno di essi cadde prigioniero delle guardie bianche nell’autunno del 1919; due altri raggiunsero i Makhnovisti e con essi combatterono contro Denikin; il quarto fu arrestato a Mosca. In tali condizioni il la­voro dovette essere ripreso nella clandestinità e per con­seguenza attraverso difficoltà enormi e con risultati mol­to limitati.

Il terzo Congresso si riuniva dunque dopo un anno e mezzo circa dal precedente e dopo che molti avveni­menti avevano modificato molte situazioni e precisato posizioni.

A questo Congresso tenutosi sotto il controllo e con la presenza della Ceka (polizia bolscevica), vennero trat­tati soprattutto tre punti: 1 ° i principi; 2 ° la tattica; 3 ° l ’organizzazione, e prese risoluzioni di gravità ed im­portanza.

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Per quanto riguardava i «principi», qualcuno doman­dava che si rispondesse a questo quesito preciso, e cioè se «le idee fondamentali dell’anarchismo non fossero suscettibili di una certa revisione in seguito agli inse­gnamenti della rivoluzione». Il fatto solo che tale que­stione venisse posta, dimostrava che era necessaria una spiegazione. La preoccupazione in alcuni di portare l’a­narchismo su una via più vicina a quella adottata dai bolscevichi, e quella di approfondire e difendere la ri­voluzione, resero questo Congresso uno dei più impor­tanti sino allora tenuti. Fra i problemi che preoccupa­vano, primeggiava quello del «periodo transitorio», con tutte le conseguenze che non poteva fare a meno di com­portare, e quello della «dittatura del lavoro», ecc. Su queste questioni, la discussione fu talmente animata e infuocata che a un certo punto sembrò che le varie opi­nioni non potessero trovare un accordo e che una scis­sione dovesse prodursi. M a la risoluzione finale sulla quale la maggioranza si trovò d ’accordo, precisava molto bene il punto di vista anarchico su tutte le varie que­stioni. Ecco il testo nei suoi punti essenziali:

Risoluzione adottata al Congresso della Federazione «Na- bat» degli anarchici ucraini tenutosi dal 3 all’8 settembre 1920.

1) L ’affermazione dei disertori dell’anarchia che la Ri­voluzione avrebbe dimostrato la debolezza della teoria anar­chica è priva di fondamento. Al contrario, i principi fon­damentali dell’insegnamento dell’anarchismo rimangono in­

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crollabilmente solidi e sono anche confermati dalla esperienza della Rivoluzione russa.

I fatti ci inducono nella necessità di restar fermi nella lotta contro ogni forma d’autorità.

2) Gli anarchici contestano che tra i primi giorni della Rivoluzione a tendenze libertarie e lo scopo finale dell’anar- cha, la Comune anarchica, deve intercorrere uno spazio di tempo durante il quale i resti dell’antica servitù si riassor- bono, e le forme nuove della libera associazione si elabora­no effettivamente. Questo periodo pieno di incertezze, di errori, ma di costante perfezionamento, può essere chiama­to diversamente: «periodo di accumulamento di esperienze antiautoritarie», o «periodo di approfondimento della rivo­luzione sociale», oppure anche «messa in moto della Comu­ne anarchica».

Si può ancora, per definirlo in maniera convenzionale, chiamare questo periodo transitorio: «passaggio alla forma perfetta della vita sociale». Ma noi non raccomandiamo l’im­piego di questa formula, perché essa ebbe dal movimento so­cialista degli ultimi cinquant’anni un senso preciso e speciale.

Dall’idea di «periodo transitorio» nasce quella di qual­che cosa di definitivo, di fisso, di rigido.

L ’espressione «periodo transitorio» è talmente passata nel programma della socialdemocrazia internazionale, è così impregnata di spirito marxista storico, ch’essa è inaccetta­bile per un anarchico.

3) Noi ci rifiutiamo pure a usare l’espressione «dittatura del lavoro», malgrado gli sforzi di alcuni compagni per la sua adozione. Questa «dittatura del lavoro» non è altra cosa che quella detta del «proletariato», che ha fatto una bancarotta così clamorosa e prolungata: ciò conduce fatalmente, in de­finitiva, alla dittatura d’una parte del proletariato, special-

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mente del partito, dei funzionari e di alcuni condottieri sullamassa.

L ’anarchia è inconciliabile con un dittatura qualunque, anche quella dei lavoratori, dotati di coscienza di classe, su­gli altri lavoratori, anche se ha per fine l’interesse di questi ultimi!

Noi siamo convinti che il periodo di sviluppo della rivo­luzione sociale può essere l’assommarsi delle esperienze anar­chiche, o, se si vuole, la «dittatura del lavoro», a condizione che allora gli interessi dei lavoratori la vincano sugli interes­si dei parassiti. Si potrebbe pure chiamare questo periodo: «dittatura del consumo», o della giustizia, o del contratto o con altrettanti nomi «stupidi», perché tutti questi caratte­ri sono osservabili in ogni periodo, senza che pertanto si possa determinare meglio quali interessi vincano: quelli del con­sumo o del lavoro.

L ’esame di questi elementi e di alcuni altri ci conduce precisamente a escludere il contenuto della parola «dittatura».

Una volta affermato il concetto della «dittatura», si ac­cetta poi la dominazione di un Sudendorf, di un Rennen- kampf; la dominazione brutale e senza freno della forza di Stato. L ’accettazione della idea di dittatura nel programma anarchico apporterebbe negli spiriti una confusione imper­donabile.

4) La Rivoluzione che preconizza l’anarchismo, quella in cui predomineranno il principio del comunismo e quello del non uso dell’autorità, incontra nel suo sviluppo numero­se difficoltà. La forza delle resistenze attive, interessate alla conservazione del regime capitalista autoritario, la passività e l’ignoranza della massa dei lavoratori possono creare delle circostanze in cui la Comune anarchica, libera e organizza­ta, s’allontanerebbe dal suo ideale. Definire concretamente

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le diverse forme sociali dell’avvenire è cosa impossibile, per il fatto che noi ignoriamo il contenuto qualitativo e quanti­tativo delle differenti forze, di cui la risultante costituirà la realtà. Per questa ragione, stimiamo inutile edificare un pia­no da applicare in un avvenire ignoto.

Noi non elaboriamo un «programma minimo». Noi agia­mo direttamente negli avvenimenti attuali con una convin­zione totale, e davanti alle masse lavoratrici, per mostrare loro completamente e chiaramente l’ideale dell’anarchismo e del comuniSmo.

Dopo questa prima parte, l’essenziale della risolu­zione adottata, venivano esaminati anche altri punti co­me: «la situazione della Russia in generale e quella del­l’Ucraina in particolare», ed infine, come conclusione, i «rapporti col potere sovietico», di cui però è essenzia­le presentare i punti principali:

Nella loro lotta costante contro ogni forma di Stato, gli anarchici della Confederazione «Nabat» non ammettono nes­sun compromesso, nessuna concessione.

Di fronte al «potere soviettista», noi ci siamo comporta­ti per qualche tempo in modo differente.

Il vigoroso slancio della Rivoluzione d’Ottobre, la ten­denza all’autoritarismo delle masse operaie, la fraseologia anarchica dei «leaders» bolscevichi e l’urgenza della lotta con­tro l’imperialismo mondiale che circondava di ferro la rivo­luzione nata nei tormenti, tutto ciò raffrenava la nostra op­posizione al potere sovietico.

Noi invitammo le masse operaie e contadine al consoli­

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damento della Rivoluzione; noi demmo consigli ai nuovi do­minatori sottoponendoli ad una critica da compagni.

Ma quando il potere sovietico, nato dalla Rivoluzione, divenne in tre anni una possente macchina di dominazione, la Rivoluzione fu strangolata.

La «dittatura del proletariato» (sulla borghesia), sosti­tuì la borghesia con la dittatura d’un partito e d’una frazio­ne infima del proletariato su tutto il popolo lavoratore, e que­sta dittatura ha soffocato la volontà delle larghe masse operaie. Così si dispersero le forze creatrici che, esse sole, avrebbero potuto risolvere i diversi problemi della Rivoluzione.

Il potere sovietico diventa così, per tutti i paesi, un gran­dioso e storico insegnamento sperimentale.

Nestor Makhno e il movimento anarchico

Non si può concludere un’analisi del movimento in­surrezionale Makhnovista senza soffermarci un momen­to su chi è stato uno dei maggiori protagonisti di questo grande avvenimento, su colui che ne fu l’animatore e vi diede il nome: Nestor Makhno.

Per lungo tempo in Europa corsero voci fantasti­che sull’attività e la vita di questo militante. In Russia stessa vi erano moltissimi che non lo conoscevano con precisione, ma solo attraverso le informazioni deformate messe in giro dal governo, e nel 1921, mentre mi tro­vavo in Russia, mi furono fornite, in un primo tempo, notizie niente affatto esatte e che solo più tardi, entra­

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to in rapporti diretti con Makhno stesso, potei rettifi­care. In molte conversazioni avute con lui, soprattutto a Berlino e a Parigi8, Makhno mi parlò della sua vita e delle difficoltà incontrate per dare corpo e forza al movimento insurrezionale ucraino.

Quel che si sapeva con certezza, già dai primi mo­menti, era che i bolscevichi gli avevano mosso sem­pre una guerra spietata e che bastava venir tacciato da Makhnovista per essere immediatamente fucilato. A questo proposito ricordo che nella campagna sostenuta da un gruppo di delegati al primo congresso dei Sinda­cati rossi (1921), nella discusione pubblica avuta per la liberazione degli anarchici — ché numerosissimi si tro­vavano a quel momento detenuti — , in seguito ad un intervento di Bukarin il quale, per difendere le misure repressive del governo, accusava tutti gli anarchici d ’es­sere dei banditi che armi alla mano avevano lottato con­tro il governo di Mosca, il sindacalista francese Sirolle, l ’unico che riuscì a prendere la parola poiché si ebbe cura di domandare la chiusura del dibattito prima che Bukarin stesso iniziasse a parlare e si sapesse su che co­sa parlasse, fu costretto a stare sulle generali e a «but­tare a mare» i Makhnovisti.

Sirolle disse nel suo discorso:

8 «Conversando con N. Makhno», U. Fedeli (Rivista «Volon­tà», Napoli, anno II, n. 2, 1 agosto 1947).

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Compagni: noi non avremmo voluto che questa discus­sione venisse davanti al Congresso. Tutto il nostro atteggia­mento, dal nostro arrivo in Russia, è conforme al mandato affidatoci e definito dalle grandi organizzazioni operaie, aven­te per oggetto la domanda d’una amnistia più larga fatta a favore dei compagni anarchici.

Ci siamo accordati con i compagni della delegazione spa­gnola, con quelli dell’Unione Sindacale Italiana, con quelli del Canada, con quelli del K.A.P.D. e pure con Tom Man per fare una commissione che si sarebbe incaricata di stu­diare i casi particolari al fine di sottomettere al governo dei Soviet la nostra domanda di amnistia. A tale fine ci siamo recati dai membri responsabili di questo governo; abbiamo parlato di ciò col compagno Lenin e gli abbiamo tracciato, a grandi linee, le disposizioni da prendersi. In seguito, il com­pagno Lunacharski è stato incaricato di riceverci per vedere di risolvere questa questione per il bene dell’interesse comune.

In presenza dei delegati del movimento anarchico rus­so, noi abbiamo convenute le modalità d’una eventuale li­berazione. Fu inteso che ciò non doveva uscire da questa piccola cerchia. E se noi siamo costretti a discutere di que­sta questione al Congresso, se la controrivoluzione mondia­le può servirsi di questa discussione, la responsabilità risale a chi ha portato la discussione su questa tribuna, e non a noi.

Premesso questo, la nostra dichiarazione e la nostra pro­testa si basano su qualche cosa di concreto. Non v’è da far confronti fra il movimento anarchico francese, italiano, spa­gnolo, americano, col movimento anarchico russo. L ’anar­chia è una filosofia, la cui ideologia è «una» in tutti i paesi. Non ci sono anarchici e... anarchici. Qui in Russia si associa tutto il movimento anarchico al movimento di Makhno. Ten­go a dichiararvi, perché è una profonda verità, che non tutti

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gli anarchici russi partecipano al movimento di Makhno, che essi condannano, e che quindi, quando noi facciamo delle domande in favore del movimento anarchico, noi lo faccia­mo per quelli del movimento filosofico e ideologico, di que­gli anarchici che furono alla testa nelle prime lotte rivolu­zionarie, che parteciparono a tutte le battaglie, che entraro­no nelle organizzazioni sovietiche, che tentarono di portar­vi i loro criteri, perché era il loro dovere, perché la rivoluzione è proletaria ed essi appartengono a questa classe proletaria.

Dalle parole del Sirolle risultava chiaro che non tutti gli anarchici russi partecipavano al movimento Makh- novista, e che, anzi, qualcuno d ’essi lo condannava. E questa non era solo una «maniera di dire» per vedere di strappare più anarchici detenuti che era possibile; era un dato di fatto. Al secondo Congresso della Confede­razione degli anarchici d ’Ucraina, tenutosi nel marzo- aprile 1919, svoltosi fra difficoltà estreme che impedi­rono a molti gruppi d ’essere rappresentati, si trattò il problema del movimento insurrezionale dei contadini Makhnovisti e, mentre alcuni affermavano che la Makh- novicina doveva preludere alla terza rivoluzione, altri criticavano vivamente questo movimento e il risultato di tale discussione fu consegnato in una risoluzione in cui si faceva una distinzione tra Makhnovicina e movi­mento anarchico, e soprattutto fu deciso: «Che si con­tinuasse nel lavoro clandestino, ma che per quanto fosse possibile si utilizzassero tutte le occasioni perché si po­tesse riprendere un lavoro legale».

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In una conversazione avuta con Makhno9, egli stesso mi confermò e spiegò questo fatto: «Certamente, il movimento insurrezionale ucraino o Makhnovista ha avuto, e soprattutto ora che è caduto, ha molti nemici anche nel campo anarchico. Cosa vuoi, quando eravamo forti ed il nostro movimento si impo­neva per la sua vastità ed importanza e possedeva mez­zi, allora sì, gli amici erano numerosi, e numerosi quelli che per quanto non completamente favorevoli a noi, ci mostravano molti segni d 'amicizia. Ricordo, per parla­re solo del compagno che ha motivato questi schiari­menti, il Levandovski10. Fu due giorni soli fra di noi, quando il venire nella regione di Gulae-Pole non impli­cava reato verso le autorità bolsceviche, in quanto al­lora eravamo degli «amici» e degli «alleati». Ad ogni mo­do, noi eravamo sempre contenti quando qualche com­pagno veniva da noi. Anzi, lo domandavamo sempre, poiché grande era il bisogno che avevamo di forze in­tellettuali per la propaganda fra le masse contadine che ci seguivano e simpatizzavano con noi.

«Dunque, Levandovski venne da noi e ci presentò un grande progetto per la creazione di una Università anarchica da costituirsi in un centro della Russia. M a

9 Idem.10 «Il Movimento anarchico russo durante la rivoluzione», di

Levandovski. (Nella rivista «Pensiero e Volontà», diretta da Erri­co Malatesta, Roma 1 agosto 1925).

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tale realizzazione domandava fondi, molti mezzi, cin­que, dieci, forse più milioni di rubli.

«Il progetto Levandovski era interessante, ma noi non potevamo fare nulla. Sarebbe stato come costruire su della sabbia mobile; da un momento all’altro avreb­be potuto inghiottire tutto quanto avessimo retto con sacrifici immensi, tanto la situazione era difficile, e lo vedevamo noi stessi, insicura.

«N oi, vedevamo chiaro che l ’alleanza con i bolsce- vichi era e non poteva essere altro che una cosa tempo­ranea, che non poteva durare che per l ’attimo del pe­ricolo rappresentato dalla reazione che minacciava tut­ti. Alleanza che durò meno ancora di quanto noi stessi, pessimisti, pensavamo, del resto.

«Pochi furono i compagni d ’accordo con la propo­sta Levandovski, in quanto si pensava che questa ini­ziativa sarebbe stata inevitabilmente, anche se portata avanti nella realizzazione, completamente demolita. Ma anche un’altra ragione ci spinse a non accettarla. Quan­do Levandovski venne fra noi, io ero gravemente feri­to ad una gamba ed ero costretto a trascinarmi sulle grucce (ragione per cui mi trovavo a Gulae-Pole) e per­sonalmente potei seguire la discussione che tale progetto sollevò fra i compagni.

«Arrivato a Gulae-Pole, Levandovski ci pregò di convocare il Soviet della regione onde poter presenta­re la sua proposta consistente in una richiesta di fondi (dieci milioni di rubli) per creare una Università anar­chica a Carcoff.

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«Io domandai la parola subito dopo Levandovski, volendo chiarire una questione che mi sembrava di gran­de importanza, e dissi press’a poco questo:

— Noi occupiamo una regione di circa 200 chilo­metri di profondità su 300 di lunghezza. Vi sono con noi milioni e milioni di contadini e quasi non abbiamo scuole; manchiamo di uomini che vogliano, oltre che potere, aiutare queste masse ad elevarsi culturalmente; voi, che venite dalle città dove già numerose sono le possibilità di apprendere; voi che potreste portarci un largo contributo, che potreste aiutarci largamente in que­st’opera, voi venite da noi solo a domandarci dei soldi per creare una nuova Univerità a Carcoff.

«— M a perché proprio a Carcoff?« — Perché è un centro, voi rispondete.« — Ebbene no. Noi non vogliamo che si continui

a ripetere l’errore centralista commesso anche da nu­merosi decentralizzatori, da molti compagni, dei quali la più grande preoccupazione fu di portare la sede del­le loro organizzazioni e tutta la loro attività di pro­pagandisti nella capitale. Si guardi Mosca. Tutto è a M o­sca: la Federazione anarchica, Golos Truda, ecc. T ut­to. Quel poco che ancora ci rimane è là e si è invece abbandonata completamente la provincia, la campagna che certamente avrebbe molto e molto bisogno della no­stra propaganda ed opera più che la città.

« — Sì, si faccia una Università, ma la si faccia qui, fra questa gente, fra questi contadini che hanno molto bisogno d ’imparare; si crei qualche cosa che tenda ad

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elevare, ad educare queste masse e noi daremo tutto quanto potremo.

«Questo ragionamento raffreddò forse l ’entusiasmo del Levandovski; il fatto si è che egli, invece di rima­nere fra noi e con noi lavorare fra le masse contadine insorte onde infondere in esse una sempre più profon­da coscienza rivoluzionaria ed anarchica, perché gli ven­nero rifiutati i fondi richiesti partì, ed ora dice che “ il movimento Makhnovista fece molto male al movimen­to anarchico” ».

Erano questi una parte dei contrasti, ma come di­cevo, fu solamente nel 1921, andati in Russia alcuni mi­litanti anarchici e riusciti a documentarsi, si cominciò ad avere idee più precise su Makhno e il Makhnovismo, fuori di Russia. Si seppe allora che Makhno non era mai stato un maestro di scuola, come si diceva, ma un sem­plice contadino di povera famiglia, nato il 27 ottobre del 1889. A sedici anni era entrato nel movimento ri­voluzionario; prese parte alla prima rivoluzione del 1905 e nel 1908, in seguito ad un attentato, fu arrestato e condannato a morte. Solo per la sua giovanissima età la pena gli venne commutata in quella di lavori forzati a vita.

E in prigione, a contatto con altri politici (qualcu­no dei quali, come l ’Arcinoff ad esempio, avrà poi un compito importantissimo nella lotta partigiana) che stu­dia e diventa anarchico e contrae nel contempo la tu­bercolosi che gli stroncherà la vita ancora giovane, a

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Parigi, nel 1934, una diecina d ’anni dopo esser riusci­to a fuggire dalla Russia.

Stroncato il movimento insurrezionale, ancora fe­rito, lascia la Russia e si rifugia in Romania dove viene subito internato. Dopo qualche mese riesce a fuggire dal campo di concentramento rumeno ed a rifugiarsi in Polonia, dove però lo attende un più terribile campo di concentramento. Infine, dopo un’altra fuga, aiutato dai suoi compagni che si trovavano in Germania, va a Danzica, quindi a Berlino. Riunitosi coi vecchi compa­gni di lotta riprende, questa volta con la penna, l’opera iniziata in Russia con le armi.

Dopo Berlino è Parigi: vita più calma, ma di gran­de miseria. Vi incominciò a scrivere le sue Memorie e compilò tre volumi; uno solo, il primo, tradotto in fran­cese e in spagnolo, gli altri in russo. Opera importante, che la morte prematura arrestò al periodo 1917-1918, cioè ancora all’inizio del movimento stesso che prese il suo nome.

Ma la vita di Makhno è descritta abbastanza per esteso nel libro dell’Arcinoff. A noi preme qui fissare solo alcuni punti, soprattutto nei riguardi dei suoi rap­porti con gli anarchici.

Il bisogno di sapere era vivo in lui, così come era necessario che fosse sparso a piene mani fra le masse contadine insorte dell’Ucraina. Per questo egli cercò sempre di attirare nel suo movimento uomini che sa­pessero apportare il contributo del loro sapere e fosse­ro in condizioni di trasmetterlo sia con la parola che

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con lo scritto. Egli mi diceva, ancora in un’altra con­versazione11:

«D i intellettuali ne vennero pochissimi da noi; era­vamo quasi tutti operai o contadini. Uno dei pochi ma capaci compagni che per qualche tempo furono nella no­stra regione, è Volin (Eichenbaum). Fu nell’agosto del 1920 che Volin, Ossip, l ’Emigré ed altri delegati del­l ’organizzazione del «N abat», partirono da Kiev per an­dare a Odessa. Durante questo loro viaggio vennero fatti prigionieri dalle truppe dell’hatamen Petliura. La noti­zia dell’arresto di questi nostri compagni si sparse pre­sto in tutta la contrada, giungendo sino alla regione dove gli insorti Makhnovisti sostenevano la lotta contro tutte le forze della reazione che assumevano di volta in volta nomi diversi. Appena a conoscenza della notizia, partì una delegazione nostra per andare dai contadini del luo­go dove Volin e gli altri compagni erano prigionieri e con la loro collaborazione gli arrestati vennero strap­pati dalle unghie del rappresentante dei grandi proprie­tari terrieri. Fu in seguito a questa sua liberazione che Volin venne fra di noi e vi rimase per cinque mesi, cioè fino a dicembre, svolgendo una interessante quanto pro­ficua attività culturale.

«Isolati come eravamo, nella quasi impossibilità di comunicare col resto della Russia e del mondo, il no­

11 «Colloqui con Nestor Makhno», op. cit.

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stro movimento doveva vivere solo delle sue proprie for­ze e capacità.

«Nel resto della Russia, in quegli anni, si sapeva poco o nulla del nostro movimento.

«N el 1920, la mia compagna Elena Gallina si tro­vava a Kiev nella medesima epoca in cui in quella città si trovavano i compagni Emma Goldmann e Alessan­dro Berckmann, i quali stavano raccogliendo materiale per il Museo Kropotkin dietro incarico del governo di Mosca.

«Venuti a conoscenza della presenza in città della mia compagna, essi domandarono di vederla. Deside­ravano avere informazioni mie e del nostro movimen­to e fra le altre cose espressero il desiderio di venire nella regione di Gulae-Pole. Ma la questione non era né semplice, né facile se uno non voleva correre molti rischi, particolarmente di fronte al governo centrale. De­cisero allora, con la mia compagna, di organizzare un falso attacco al loro treno, farsi arrestare e portarsi da noi: così avrebbero potuto rimanere qualche tempo e studiare sul luogo il nostro movimento. Presi gli accor­di necessari, la mia compagna lasciò Kiev ed arrivò a Carcoff, ma qui trovò la regione occupata dalle truppe del generale Wrangel e quindi fu nella impossibilità di raggiungermi. Fu solo un mese più tardi e dopo che noi, scatenata una offensiva, si riuscì a liberare la regione dal pericolo wrangelista, che venimmo a conoscenza de­gli accordi presi. Era però troppo tardi.

«Il nostro desiderio, oltre al bisogno che qualche per­

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sonalità ci venisse a portare un contributo spirituale, ci spinse sempre a ricercare ed a favorire la venuta di elementi intellettuali nella nostra regione. Quando seppi del desiderio dei compagni Berkman e Goldmann, in­viai loro immediatamente un telegamma pregandoli di venire. Avevamo stretto un accordo col governo di Mo­sca in quei giorni ed utilizzando quella opportunità cer­cavamo di stringere relazioni con tutti. Ma dai due com­pagni non ottenni nessuna risposta. Mandai loro anche una lettera dove li assicuravo di garantir loro tutti i mez­zi per studiare sul luogo il movimento nostro e di fare tutta la propaganda necessaria. Anche questa volta nes­suna risposta. Ed allora pericoli non ve ne erano, poi­ché, come dissi, esisteva un trattato di alleanza coi bolscevichi ed esistevano possibilità di transito.

«Così il nostro movimento, assediato da tutti i ne­mici della rivoluzione, non ebbe il contributo nemme­no di tutti i nostri compagni e fu privato di una tanto necessaria collaborazione per aiutare le masse scese in lotta a crearsi una profonda coscienza anarchica.

«N oi avevamo pochissimo tempo per sviluppare tut­to quel lavoro culturale di cui abbisognavano i conta­dini ucraini, presi come eravamo dalle necessità sempre più impellenti e dure della lotta quotidiana che vera­mente non ci dava respiro».

E qui un lato, non dei meno importanti, della tra­gedia nella quale si dovette dibattere sempre il movi­mento insurrezionale makhnovista: quello di trovarsi terribilmente isolato e molte volte privo dell’influenza

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intellettuale di quegli stessi che gli erano più vicini, gli anarchici. Una maggiore e più costante influenza degli elementi capaci del movimento anarchico russo avreb­be sicuramente evitato molti errori, corrette non po­che manchevolezze e impedito qualche abuso che, ine­vitabilmente, il predominio di un uomo comporta sul­lo sviluppo e l ’andamento di un movimento a basi mi­litari.

In un interessantissimo articolo apparso nell’orga­no degli insorti rivoluzionari Makhnovisti, La via verso la libertà12, dal titolo «Anarchismo e Makhnovcina», si diceva in un linguaggio veramente anarchico:

«La Makhnovcina non è anarchismo. L ’armata ma- khnovista non è una armata anarchica, non è formata da anarchici. L ’ideale anarchico di felicità e di ugua­glianza generale non può essere raggiunto attraverso lo sforzo di una qualsiasi armata, anche se formata esclu­sivamente da anarchici. L ’armata rivoluzionaria, nel mi­gliore dei casi, potrebbe servire alla distruzione del vecchio e aborrito regime; nel lavoro costruttivo, nel­l ’edificazione e nella creazione, qualsiasi armata, che logicamente non può che appoggiarsi sulla forza e il co­mando, sarebbe completamente impotente e persino nociva.

12 «Anarchismo e Makhnovcina» di Polevoi, in «Putk Svobo- de» (La via verso la Libertà) n. 3 del 5 luglio 1920. Organo degli Insorti rivoluzionari dell’Ucraina (Makhnovisti).

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«Perché la società anarchica diventi possibile, è ne­cessario che in ogni luogo, in ogni città, in ogni villag­gio, si risvegli fra i lavoratori il pensiero anarchico; è necessario che gli stessi operai nelle fabbriche e negli stabilimenti, gli stessi contadini nei loro paesi e nei lo­ro villaggi, si pongano alla costruzione della società an­tiautoritaria, non aspettando da nessuna parte dei de­creti-legge. Né le armate anarchiche, né gli eroi isolati, né i gruppi, né la Confederazione anarchica creeranno per gli operai e i contadini una vita libera. Soltanto i lavoratori stessi, con sforzi coscienti, potranno costruire il loro benessere senza Stato né padrone».

Indubbiamente, molte delle critiche che si potreb­bero indirizzare al Makhnovismo, oltre alla sua perico­losa tendenza personalistica, vanno attribuite alle con­dizioni stesse in cui si svolse la lotta, circondati com’e­rano questi insorti da tutte le parti da nemici che una- nimamente riconoscevano nel movimento insurrezionale Makhnovista il nemico più diretto e contro il quale do­vevano convergere tutte le forze.

La mancanza invece di maggiori tentativi realizza­tori è dovuta al fatto che le preoccupazioni per la lotta incessante assorbivano tutte le forze e le facevano con­vergere totalmente nello sforzo sfibrante della lotta stes­sa. Tragedia, questa, della maggioranza dei grandi ten­tativi intrapresi da un popolo sulla via della propria li­berazione. Non era stata questa anche la tragedia della Comune parigina? Non fu più tardi anche quella della Rivoluzione spagnola? Lottare con tutte le proprie for­

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ze senza avere la possibilità, presi dalla lotta, di appro­fondire ed allargare l’esperimento intrapreso. Aver avuto la possibilità di tracciare una via, ma non quella di per­correrla sino in fondo.

La necessità della «lotta armata», senza quartiere né respiro, costrinse qualche volta i combattenti ad adot­tare mezzi che non erano loro, ma bensì quelli che il nemico voleva, che imponeva.

Questa lotta, epica per l’eroismo di tutti i suoi par­tecipanti, assorbendo ogni sforzo ed ogni possibile ca­pacità d ’iniziativa, restringeva in un quadro senza gran­de sfondo quello che invece avrebbe voluto abbraccia­re tutto un mondo nuovo, di libertà e di giustizia.

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PARTE SECONDA

La rivolta di Cronstadt

Cronstadt e la Rivoluzione russa1

L ’insurrezione dei contadini ucraini, che ebbe la sua massima espressione nel Makhnovismo, non era stata ancora completamente stroncata nel sangue dalle trup­pe governative bolsceviche, che Cronstadt, la città che fu sempre la roccaforte della rivoluzione, aveva inal­berato a sua volta la bandiera della terza rivoluzione. Essa riaffermava il principio di un sistema di «Consigli liberi», fuori dalla influenza soffocante della suprema­zia di un partito che, con la sua opera, non aveva sapu­to far altro che trasformare quelli che dovevano essere gli organi della nuova società in un sistema burocratico che già dal principio aveva rivelato i nefasti effetti che avrebbe generato.

Cronstadt era per il nord della Russia quello che l’U­craina era per il sud: un centro di effervescenza rivolu­zionaria. Sono gli operai e i marinai di Cronstadt che, fra i primi, innalzano la bandiera della rivoluzione nel

1 Cronstadt è situata sull’Isola di d o tin e a 26 chilometri da Pietrogrado, a 7 da Orianenbaum, a 13 da Lissy Nos e a 21 da Terlaki. Essa fu costruita nel 1710, per la difesa di Pietrogrado da Pietro il Grande.

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febbraio del 1917. Furono essi che spinsero il «Soviet» di Cronstadt, allora formato da una maggioranza di so­cialisti-rivoluzionari e socialdemocratici (gli anarchici ed i massimalisti non vi partecipavano ancora), ad op­porsi alla politica d ’ingerenza del governo d ’allora di Kerenski. Non solo, ma allorquando sembrò loro che l’azione del Soviet locale non fosse sufficientemente energica, indissero le elezioni per la nomina di un nuo­vo Soviet di loro maggiore fiducia e nel quale rimasero eletti in maggioranza anarco-sindacalisti, bolscevichi e massimalisti.

La ferma opposizione alla politica reazionaria e di guerra del governo centrale kerenskiano (prima dell’o t­tobre 1917) portò quest’ultimo ad adottare una serie di misure repressive, al punto di dichiarare che se Cron­stadt non avesse accettato le sue ingiunzioni (fra l ’al­tro si esigeva la consegna immediata degli ufficiali zaristi arrestati dai marinai), proclamerebbe la legge marziale ed avrebbe iniziato azioni militari pertinenti contro la popolazione, credendo, con la violenza, di poter spez­zare lo slancio rivoluzionario degli abitanti di Cronstadt. Fu davanti all’aggravarsi della situazione che, anche al­lora, innalzando la bandiera della resistenza, alcune unità della flotta ancorata nel porto di Cronstadt, si prepa­rarono alla lotta. In quell’occasione fu la stampa bor­ghese a gridare che «Cronstadt si separava dalla Russia, dichiarandosi repubblica indipendente», che «Cronstadt batteva moneta propria», che «Cronstadt negoziava coi nemici della patria per la firma di una pace separata»,

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ecc., nell’intento di denigrare lo spirito e l’azione rivo­luzionaria dei marinai.

In realtà i rivoluzionari di Cronstadt volevano im­pedire che le forze reazionarie arrestassero lo sviluppo della rivoluzione e che si adottassero provedimenti quali, primi fra tutti, quelli di concedere la «terra ai contadi­ni» e «le fabbriche agli operai» e, inoltre, garanzie es­senziali perché la rivoluzione potesse prendere un ra­dicale sviluppo.

Sono sempre gli operai, i soldati e i marinai di Cron­stadt che, il 4 luglio del 1917, organizzano, sbarcando sulle sponde della Neva dodicimila uomini, con bandiere rosse e nere, la grande manifestazione armata davanti al palazzo del governo al grido di: «Non c ’è nulla da difendere al fronte, quando il potere economico è nelle mani della borghesia»; «La libera unione delle città e dei paesi è la garanzia della rivoluzione trionfante!»; «Tutto il potere ai Soviet locali dei rappresentanti de­gli operai, contadini e soldati!»; «Le fabbriche agli ope­rai, le terre ai contadini!».

Le proteste di popolo impauriscono sempre i gover­nanti, i quali, nella loro paura, diventano feroci. Quel­la del luglio 1917 lungo la Prospettiva Liteiny, dove si svolgeva la manifestazione, fu assalita da bande di po­lizia annidate sui tetti e nelle case lungo il percorso, che proditoriamente spararono facendo numerosissime vit­time fra i manifestanti (tra i quali si trovavano moltis­simi anarchici), i quali, però, riavutisi, ebbero subito il sopravvento.

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Erano momenti, quelli, nei quali l ’atteggiamento dei bolscevichi oscillava fra l’attiva partecipazione alla «C o­stituente» e l’affermazione del postulato opposto di «Tutto il potere ai Soviet», mentre già allora gli anar­chici, forti nella regione di Pietrogrado, erano, in cam­po nazionale, per un rafforzamento dei Soviet locali, e in quello internazionale opinavano «che di fronte alla guerra che stava divampando nuovamente come con­seguenza della politica kerenskiana, non si abbandonasse il fronte, pur senza attaccare in nessun modo. Unica­mente quando i Soviet, abbattuto il governo, costituis­sero il loro unico potere; quando la terra fosse in pos­sesso dei contadini e le fabbriche in quello degli ope­rai; se, dopo le proposte di pace fatte dal popolo rivo­luzionario, a mezzo dei suoi Soviet, alle potenze im­perialiste, esse non avessero ripulito la Russia dagli eser­citi invasori, allora si sarebbe attaccato»2.

Nonostante tutto, il governo di Kerenski scatenò una nuova offensiva al fronte, d ’intesa con gli Alleati.

Il 6 ottobre, quando la guerra aveva ripreso, terri­bile, e Pietrogrado si trovava più che mai in pericolo, i rappresentanti della squadra del Baltico adottarono la seguente risoluzione, che lanciarono per radio «A tutti gli operai del mondo» e diceva:

2 «Cronstadt. Su significación en la Revolución rusa», di E. Yarchurck, pag. 59. (Edizione spagnola, Barcellona, 1927, Biblio­teca «Vertice», pag. 172).

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«Fratelli! N ell’ora fatale nella quale suona la trom­ba, segno di morte, noi vi inviamo i nostri saluti e il testamento dettato prima di morire. La nostra squadra, attaccata da superiori forze tedesche, muore in una lotta disuguale. Nessuna nostra unità ricuserà il combattimen­to. Nessun marinaio toccherà terra ferma nella disfat­ta. Siamo obbligati a difendere decisamente l’attuale fronte e sorvegliare la via verso Pietrogrado. Compie­remo il nostro dovere, ma non però sotto il comando di un qualsiasi ridicolo Bonaparte russo. Noi non an­diamo alla lotta in virtù dei trattati convenuti dal no­stro governo con l ’Intesa. Assolviamo il mandato sacro della nostra coscienza rivoluzionaria. La nostra lotta con­tro gli assalitori della nostra patria ci dà il diritto, ora che siamo faccia a faccia con la morte, d ’invitarvi, con voce autorevole, all’insurrezione contro tutti gli oppres­sori. E nel momento in cui le onde del Baltico si tin­gono del sangue dei nostri fratelli e le nere acque si chiu­dono sopra i loro cadaveri, che lanciamo il nostro ap­pello».

La guerra era solamente un diversivo da parte del governo per poter approfittare del pericolo che incom­beva su tutti e spezzare con provvedimenti repressivi ogni aspirazione rivoluzionaria. Ma, alla stessa guisa che in Ucraina i contadini organizzavano la resistenza con­tro l ’invasore formando corpi di insorti partigiani, pu­re i marinai di Cronstadt si preparavano a lottare su due fronti: contro i nemici di fuori e contro quelli che all’interno si annidavano al governo. Così, quando questi

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cercò di distruggere, nella sua cecità reazionaria, pri­ma di tutto i Comitati dei soldati, Cronstadt riprese i suoi preparativi per una insurrezione.

«Quando Kerenski, col pretesto di rafforzare il fron­te di Riga, decise di togliere da Cronstadt e dai forti i pezzi di artiglieria pesante, l’ indignazione e la collera dei marinai raggiunsero il colmo.

E ssi si rendevano conto che queste artiglierie non potevano avere nessuna funzione efficace al fronte. Di più, essi sapevano che la flotta tedesca si preparava ad attaccare Cronstadt ed essi volevano sbarrarle il passo. Il che era impossibile senza artiglieria. Non potendo am­mettere una simile ignoranza dei fatti da parte di mem­bri del governo, essi vedevano in questa intenzione di disarmare Cronstadt alla vigilia dell’attacco, un tradi­mento diretto contro la rivoluzione. Erano definitiva­mente convinti che il governo di Kerenski aveva deciso di soffocare la rivoluzione con qualsiasi mezzo, senza escludere la resa ai tedeschi di Cronstadt e della stessa Pietrogrado. Allora Cronstadt non esitò più. Sulle na­vi e fra gli equipaggi, al fronte o nelle officine, in riu­nioni segrete, venne elaborato un piano di resistenza e di rivolta. Contemporaneamente, diecine di marinai si recavano quotidianamente a Pietrogrado per farvi il giro delle officine,dei cantieri e delle caserme, propa­gandando apertamente l ’insurrezione»3.

3 «La Rivoluzione sconosciuta», 1917-1921, di Voline, 2 voi. Ed. Franchini, Carrara, 1976.

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Giungiamo così alla vigilia della insurrezione di o t­tobre, che doveva rovesciare il governo di Kerenski e dar vita a quello dei «Consigli d ’operai, contadini e sol­dati». In questa colossale opera, particolarmente a Pie- trogrado, «furono i marinai di Cronstadt, giunti nella capitale per intraprendere la lotta decisiva, ad avere una funzione particolarmente importante. Fra essi, gli anar­chici erano in grandisimo numero e, fra gli altri, i mem­bri dell’organizzazione libertaria di Cronstadt»4 * * * * * * il.

4 Anche a Mosca la partecipazione degli anarchici alla lottadell’ottobre contro Kerenski, fu grande. Scrive il gruppo degli anar­chici russi esiliati in Germania, in una sua requisitoria contro ilgoverno per le repressioni antianarchiche, a pag. 33 del libro «Ré-pression de l’anarchisme en Russie soviétique», libro oramai intro­vabile e pubblicato a Parigi nel 1923 dalla Librairie Sociale a curadel Gruppo degli anarchici russi esiliati in Germania (traduzione di Voline e introduzione di André Colomer, pag. 128): «A Moscail compito più pericoloso e il più decisivo, nei giorni di ottobre, toccò ai famosi «Dvintzi», il reggimento di Dvinsk che fu intera­mente imprigionato ai giorni di Kerenski per il rifiuto di prendere parte all’offensiva imperialista sul fronte austro-tedesco. Furono sempre i «Dvintzi» ad entrare in azione allorquando si dovette far sloggiare i «cadetti» dal Cremlino, dal «Métropole» e da altri cen­tri di Mosca, in tutti i luoghi più pericolosi. Quando i «cadetti», improvvisamente rinforzati, ripresero l ’offensiva, furono sempre loro a conquistare le posizioni. Tutti si dicevano anarchici e mar­ciavano sotto gli ordini dei vecchi libertari Gratchoff e Fedoroff. La Federazione anarchica di Mosca, con una parte del reggimento di Dvinsk, marciò per la prima, in ordine di combattimento, con­tro il governo di coalizione».

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La rivolta di Cronstadt5

Il 1921 è l’anno cruciale della Rivoluzione in Rus­sia. Vinta su tutti i fronti la lotta contro la reazione rappresentata dai vari Kornilov, Yudenich (soprattut- 5

51 libri che parlano di questa rivolta con una certa simpatia ed ampiezza sono oramai numerosi. I più importanti, in ordine di tempo di pubblicazione, sono:

«The Kronstad Rébellion», di Alessandro Berkman. Edizioni inglese e tedesca (Berlino, 1922, editore «Der Syndikalist», pag. 42. Edizione spagnola di 25 mila esemplari, distribuiti gratuita­mente, pubblicato dal «Comité pro libertad de los anarquistas pre­sos en Rusia», di Buenos Aires (1923, pag. 32);

«Kronstadt, su significación en la Revolución rusa», edizione russa (Berlino, 1923, «Der Syndikalist) ed edizione spagnola (Bar­cellona, 1924), Biblioteca «Vertice», pag. 172;

«Répression de l’anarchisme en Russie soviétique», par le «Groupe des anarchistes russes exilés en Allemagne», Paris, 1923 (edizione della «Librairie Sociale», pag. 128). Traduzione di Voli­ne. Contiene una Introduzione e una Prefazione di André Colo­mer. L ’opera è divisa in due parti: «Aperçu général». Seconda parte: «Les victimes du pouvoir communiste»;

«L ’insurrection del Cronstadt», par Cillica, Lyon, 1946 (edi­zione del «Prolétaire», organo dei comunisti rivoluzionari; da pag. 3 a pag. 13). Contiene anche un articolo su «La révolution proléta­rienne en Hongrie»;

«La Révolution inconnue, 1917 à 1921», par Voline (Parigi, 1947, ed. di «Les Amis de Voline», pag. 690). Il Voline dedica alla rivolta di Cronstadt tutta una parte che va da pag. 403 a pag. 506;

«La Commune de Cronstadt: Crépuscule sanglant del Soviets», par Ida Mett. (Parigi, 1948, edizione «Spartacus», pag. 88).

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to per quelli di Cronstadt e di Pietrogrado), Wrangel, Kolchak, ecc. Tutto il popolo, che aveva gravemente sofferto durante i tragici anni della guerra civile, ma pur aveva resistito per poter portare a compimento la sua rivoluzione, sperava oramai che tutto sarebbe an­dato meglio. Considerava necessario che tutte le restri­zioni contro la libertà e contro gli organi essenziali della rivoluzione, quali erano stati i «Soviet», fossero tolte e che i Soviet sarebbero tornati ad essere gli organi eco­nomici e politici regolanti la sua vita ed assicurato la continuazione per una maggiore affermazione delle con­quiste rivoluzionarie. Il popolo ricominciava a far udi­re la sua voce. Le forze profondamente rivoluzionarie, quelle che veramente erano l’espressione della rivolu­zione in atto, riprendevano lena. Nello stesso partito comunista bolscevico nasceva la famosa «opposizione operaia»6 che, proprio nel 1921, al momento della con­vocazione del secondo Congresso della Internazionale Comunista e del Congresso costitutivo dei Sindacati ros­si, pubblicava la sua Piattaforma, la quale, fra le altre molte, portava la firma di Alessandra Kollontai.

M a oramai il partito bolscevico si era già fortemen­te insediato al potere e sistematicamente demoliva tut­to quanto poteva ostacolare la sua egemonia, soffocava ogni espressione radicale della rivoluzione e imprigio­

6 «La oposición obrera en Russia», por A. Kollontai (Alcoy, Spagna, 1925, pag. 70).

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nava tutti gli esponenti di queste idee ed aspirazioni.In quell’anno si acutizzava la repressione degli espo­

nenti anarchici. A protestare contro tutti questi sopru­si, fra i pochi, oltre ai contadini insorti dell’Ucraina, si levarono anche i marinai di Cronstadt7.

M a con questa reazione, «l’ultima speranza del pro­letariato spariva; si rafforzava la convinzione che il par­tito comunista era più interessato a conservare il potere politico che a salvare la rivoluzione», scriveva Alessan­dro Berkmann nel suo opuscolo sulla Ribellione di Cron­stadt. E d era una dura verità. Infatti, dopo aver soffo­cato lo spirito libertario dei contadini ucraini, quando un inizio di malcontento serpeggiò, anche nei centri in­dustriali, la sua reazione si fece spietata.

Verso la fine del febbraio del 1921 a Pietrogrado, dopo aver passato un inverno fra i più terribili, senza riscaldamento, senza pane, soffocati dalla burocrazia che aveva soppiantato oramai l ’organizzazione dei Soviet, si era andata formando una viva agitazione. Avevano cominciato a prodursi degli scioperi nei più grandi sta­bilimenti ed officine. Il primo sciopero avvenne alle o f­ficine Trubotchny il 2 febbraio, e il giorno dopo questi operai organizzarono una dimostrazione contro la qua­

7 «Allorquando, nell’aprile del 1918, il governo, a Mosca ed altrove, attaccò i gruppi anarchici, chiuse le loro sedi, soppresse la loro stampa e gettò in prigione i loro militanti, Cronstadt mo­strò le sue unghie», scrive Voline nel libro «La Révolution incon­nue», pag. 433.

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le furono inviati, come una volta, gli «allievi ufficiali». M a gli scioperi si estesero e guadagnarono ben presto le altre grandi officine, come la Baltisky, la Laferme e, qualche giorno più tardi, anche la grande fabbrica di scarpe Skorokhod, le officine Bormann, la Metallische- ski; infine, il 28 febbraio, le famose officine Putiloff.

Quello che domandavano gli operai era: una migliore organizzazione dei rifornimenti, la possibilità di circo­lare nelle campagne per un raggio di cinquanta chilo­metri; soppressione dei posti di blocco della polizia che spogliava gli operai anche dei pochi chili di patate che potevano trovare. Qualche officina domandava anche il ripristino dei mercati. Dal punto di vista politico le richieste erano: convocazione di nuovi Soviet liberamen­te eletti.

Un manifesto lanciato il 27 febbraio diceva con chia­rezza quello che gli operai di Pietrogrado chiedevano:

«Un cambiamento fondamentale della politica del governo è necessaria. In primo luogo, gli operai e i con­tadini hanno bisogno di libertà. E ssi non vogliono vi­vere secondo le prescrizioni dei bolscevichi: vogliono decidere essi stessi sul loro destino.

«Compagni, mantenete l’ordine rivoluzionario! E si­gete, in una maniera organizzata e decisa: la liberazio­ne di tutti i socialisti e gli operai senza partito impri­gionati;

«L ’abolizione dello stato d’assedio, il ripristino della libertà di parola, di stampa e di riunione per tutti colo­ro che lavorano;

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«Elezione libera dei Com itati di fabbrica e dei rap­presentanti sindacali ai Soviet»8.

Era questa una risposta diretta all’ordine di stato d ’assedio pubblicato il 24 febbraio e che diceva:

«Ordine del Comitato di difesa della piazza fortifi­cata di Pietrogrado: per decisione del Comitato esecu­tivo del Soviet di Pietrogrado del 24 febbraio, il C o ­mitato della difesa della piazzaforte di Pietrogrado è incaricato di proclamare lo stato d ’assedio della città di Pietrogrado. In esecuzione di tale decisione noi por­tiamo a conoscenza della popolazione di Pietrogrado che: 1) la circolazione nelle vie della città è categoricamen­te proibita dopo le ore 23; 2) sono proibiti tutti i comi­zi, assembramenti e riunioni, tanto all’aperto che in lo­cali chiusi, senza una autorizzazione speciale del C o ­mitato di difesa.

«Le persone colpevoli d ’infrazione a quest’ordine, saranno giudicate con tutta la severità della legge del tempo di guerra.

«Il presente proclama entra in vigore dalla sua pub­blicazione.

«Il comandane della regione militare di Pietrogra­do: Avrov, un membro del Consigli di guerra: Lache-

8 Questo documento si trova nell’opuscolo pubblicato dal Ber- kman nel 1922, «The Kronstadt rébellion», pag. 7, e riprodotto in seguito nel libro del Voline, «La Révolution inconnue», a pag. 438.

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vitch\ il comandante della piazzaforte di Pietrogrado: Bouline».

G li arresti e la chiusura di locali operai incomincia­rono. I marinai di Cronstadt, allarmati pèr la piega che andavano prendendo gli avvenimenti di Pietrogrado e per avere un idea precisa di quanto avveniva, il 26 feb­braio inviavano una loro delegazione la quale, dopo aver visitato molte officine, ritornò il 28 febbraio e convo­cò una riunione di tutti i rappresentanti dei marinai a bordo della nave da guerrra «Petropavlosk», riunione che votò la seguente risoluzione, accettata poi anche dall’assemblea generale dei marinai di Cronstadt, delle unità dell’Armata rossa e della popolazione operaia con­vocati a comizio nella famosa piazza dell’Ancora, il 1° marzo, presenti anche il presidente della repubblica Ka- linin e il presidente del Soviet locale, Vassilieff.

Questa risoluzione, sebbene già conosciuta, è ne­cessario riportarla in quanto è il documento forse più importante sulle ragioni che portarono i marinai di Cron­stadt alla rivolta e perché esso rappresenta anche il «pro­gramma» della insurrezione.

«Risoluzione adottata alla riunione generale della pri­ma e seconda squadra della flotta del Mar Baltico, tenuta­si il 1 ° Marzo 1921:

«Intesa la relazione dei rappresentanti inviati a Pie­trogrado dalla riunione dei marinai per esaminarvi la situazione, decide:

«1) Poiché i Soviet attuali non esprimono i desideri

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dei lavortatori e dei contadini, ritengono di procedere immediatamente all’elezione dei Soviet, con voto se­greto, dando completa libertà di parola e di azione agli operai e ai contadini nell’organizzazione della campa­gna elettorale;

«2) Dare libertà di parola e di stampa a tutti gli ope­rai e contadini, agli anarchici e ai partiti di sinistra;

«3) Assicurare la libertà di riunione a tutti i sinda­cati e alle organizzazioni dei contadini;

«4) Convocare, al più tardi entro il 10 marzo 1921, una conferenza, libera dalle influenze dei partiti, di ope­rai, soldati e marinai di Pietrogrado, di Cronstadt e del circondario di Pietrogrado;

«5) Liberare tutti i prigionieri politici socialisti e tutti gli operai, contadini, soldati e marinai, imprigionati per partecipazione a movimenti di rivendicazione per i la­voratori.

«6) Eleggere una Commissione con l’incarico di esa­minare e procedere alla revisione dei casi riguardanti i detenuti che si trovano in prigione e nei campi di con­centramento;

«7) Abolire gli «uffici politici», poiché nessun par­tito politico deve usufruire di speciali privilegi per la propaganda delle sue idee, né ricevere dallo Stato aiuti finanziari per tale scopo. Al loro posto devono essere create Commissioni di educazione e di cultura sociale, elette localmente e sostenute dal governo;

«8) Abolire immediatamente tutti i posti di blocco;

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«9) Uniformare le razioni per tutti, salvo per quelli che esercitano professioni pericolose per la salute;

«10) Abolizione dei «distaccamenti comunisti» di guerra in ogni unità dell’esercito, i corpi di guardia co­munisti nelle fabbriche e officine. In caso di necessità, questi distaccamenti e corpi di guardia potranno esse­re designati nell’esercito dai soldati, e nelle officine di­rettamente dagli operai;

«11) Dare ai contadini piena libertà d ’azione per quel che riguarda la terra ed anche il diritto di tenere del bestiame che dovranno curare con i propri mezzi, sen­za utilizare lavoro salariato;

«12) Domandare a tutte le unità militari e ai nostri «compagni» allievi ufficiali («Kursanti») di accettare le nostre risoluzioni;

«13) Domandare alla stampa che dia la maggiore pubblicità alle nostre risoluzioni;

«14) Nominare una Commissione di controllo mo­bile;

«15) Permettere l’esercizio dell’artigianato e della piccola industria a domicilio, non impiegando lavoro sa­lariato.

«La presente risoluzione è stata adottata alla una­nimità dalla riunione degli equipaggi delle squadre, aste­nendosi dal votare solo due persone: Petritchenko, pre­sidente della riunione degli equipaggi delle squadre; Pe- repetkin, segretario; Vassilieff, presidente del Soviet lo­cale.

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«Con il compagno Kalinin, Vassilieff vota contro la risoluzione»9.

Nella stessa riunione fu decisa la nomina di un C o­mitato incaricato di recarsi a Pietrogrado per spiegare agli operai e alla guarnigione la petizione di Cronstadt. Un’altra delegazione indipendente sarebbe stata invia­ta dal proletariato di Pietrogrado a Cronstadt perché vedesse lo stato veritiero delle cose e constatasse la ri­soluzione dei marinai.

La commissione inviata da Cronstadt a Pietrogra­do, composta da una trentina di membri, fu arrestata e dei suoi membri non si seppe mai più nulla.

Il comizio del 1° marzo era stato indetto perché il giorno dopo il Soviet di Cronstadt doveva essere rin­novato. In tale comizio, fra gli altri, presero la parola il presidente della Repubblica, Kalinin, e altri due co­munisti: Kuzmin, commissario della Flotta del Baltico

9 La presente risoluzione si trova in tutte le pubblicazioni ri­guardanti la rivolta di Cronstadt. Nel libro del Berkmann (pag. 10-11), edizione inglese; in quella spagnola (pag. 7-8); nel libro del- l’Yarchuck, edizione spagnola (pag. 147-48-49); nel libro del Vo­line, edizione francese (pag. 440-441); nel libro di Ida Mett, «C o­mune di Cronstadt» (pag. 30-31), ma dall’uno all’altro vi sono del­le piccole differenze dovute soprattutto alle varie traduzioni, qual­che volta fatte un po’ troppo liberamente. Ho seguito quella pub­blicata dal Berkman e dalla Ida Mett, perché più rispondente ad una copia avuta a Pietrogrado nel 1921 al momento della mia visi­ta in Russia, qualche giorno dopo il soffocamento della Comune di Cronstadt

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e Vassilief, presidente del Soviet di Cronstadt, che at­taccarono violentemente le decisioni prese dai marinai. A tal punto che questi, pur avendo lasciato partire il presidente Kalinin, arrestarono poi i due violenti comu­nisti.

D ato che correvano voci che i comunisti stessero per assalire la città, venne creato anche un Comitato rivoluzionario provvisorio, che aveva eletto la sua sede sulla nave Petropavlosk, la stessa dove erano stati rin­chiusi i due bolscevichi Kuzmin e Vassilief10.

Il 2 marzo, sotto la guida del Comitato rivoluzio­nario, i marinai occuparono i punti strategici della cit­tà, gli stabilimenti dello Stato, i locali degli stati mag­giori, del telegrafo e dei telefoni e su ogni nave, come nei vari corpi militari, si crearono dei «Com itati» com­posti da tre membri incaricati di organizzare la difesa. Alle 9 di sera era stata occupata anche la maggioranza

10 Erano membri del Comitato Provvisorio i seguenti rivolu­zionari: Petritchenko, furiere-capo della nave da linea Petropavlovsk-, Yakovenko, telefonista del servizio di collegamento di Cronstadt; Ossossov, macchinista della nave di linea Sebastopol-, Arkhipov, capo-meccanico; Perepelkin, elettricista della nave di linea Seba­stopol-, Patruchev, capo-meccanico eletricista della Petropavlovsk-, Kupolov, capo-infermiere, marinaio della Sebastopol-, Tukin, ope­raio dell’officina elettrica; Romanenko, operaio alla manutenzio­ne dei docks; Crechin, direttore della terza scuola del lavoro; Valk, operaio delle segherie; Pavlov, operaio di una officina delle minie­re; Boikov, capo convoglio del servizio di costruzioni della fortez­za; Kilgast, pilota di grandi voli.

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dei forti. Le formazioni dell’Armata rossa aderirono al movimento e dei delegati di Oranienburg dichiararono che le loro guarnigioni avrebbero anch’esse aderito al Comitato rivoluzionario provvisorio.

Nel medesimo giorno venne occupata anche la ti­pografia del giornale Izvestia e, subito, dal giorno se­guente, il Comitato pubblicò il giornale quale suo «B ol­lettino ufficiale». Nel primo numero si dichiarava: «Il Partito comunista, padrone dello Stato, si è allontana­to dalle masse e si è mostrato incapace di risollevare il paese dal disastro. I torbidi di Pietrogrado e di M o­sca hanno dimostrato chiaramente come il partito bol­scevico abbia perduto la fiducia delle masse operaie. Esso non tiene conto delle loro rivendicazioni perché crede che questi torbidi abbiano la loro origine nelle mene controrivoluzionarie. Si sbaglia profondamente».

Nel frattempo, a Cronstadt, il Comitato rivoluzio­nario provvisorio, coi marinai, gli operai e i soldati, andava preparando le libere elezioni dei Soviet, vera espressione comunista libertaria del popolo, dichiaran­do che la «sua preoccupazione non era di versare nuo­vo sangue, ma di prendere delle misure straordinarie per organizzare nella città, nel porto e nei forti l ’ordi­ne rivoluzionario». Voleva, insomma, con comuni sforzi fra città e fortezze, creare le condizioni propizie per delle elezioni regolari e libere di un nuovo «Soviet».

M a, come in altre occasioni, i borghesi reazionari avevano accusato i rivoluzionari di Cronstadt d ’essere al servizio della Germania, ora, i bolscevichi li accusa­

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vano d ’essere al servizio dell’Intesa. Nel 1917, anche Lenin era stato accusato d ’essere al servizio della G er­mania, quando attraversò, in vagone piombato, la G er­mania per recarsi in Russia...

Il Comitato rivoluzionario provvisorio, quando dal­l’estero gli pervennero delle proposte di aiuto da parte dell’ex presidente dell’Assemblea costituente, Tcher- noff, e dai socialisti rivoluzionari all’estero per l’invio di medicamenti e generi alimentari, rispose: «Il Com i­tato rivoluzionario provvisorio di Cronstadt esprime a tutti i suoi fratelli all’estero la sua profonda gratitudi­ne per la loro simpatia. Il Comitato rivoluzionario prov­visorio ringrazia il compagno Tchernoff per le sue of­ferte; tuttavia, per il momento, si astiene dall’accet- tarle fino a che lo sviluppo degli avvenimenti non chia­riscano maggiormente la situazione. Frattanto tutto sarà preso in considerazione. — Petritchenko, presidente del Comitato rivoluzionario provvisorio».

Le reazioni da parte bolscevica si fece presto senti­re. A Pietrogrado si arrestarono come ostaggi le fam i­glie degli insorti e si ebbe l’improntitudine di dichiarare in un manifesto: «Il Comitato di difesa (bolscevico) an­nuncia che ha arrestato le famiglie dei marinai quali ostaggi perché esse devono rispondere dei compagni co­munisti arrestati dagli insorti di Cronstadt e, in parti- colar modo, del commissario della flotta Kuzmin e del predidente del Soviet di Cronstadt, Vassilieff. Se un solo capello verrà loro torto, questi ostaggi ne rispon­deranno con la loro testa».

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Davanti a tale infamia, il Comitato rivoluzionario provvisorio di Cronstadt rispondeva, in data 7 marzo: «A nome della guarnigione di Cronstadt, il Comitato rivoluzionario provvisorio esige la liberazione, nel ter­mine di 24 ore, delle famiglie degli operai, marinai e soldati rossi che il Soviet di Pietrogrado ha arrestati co­me ostaggi. La guarnigione di Cronstadt afferma che i comunisti godono di completa libertà e le loro fami­glie di inviolabilità assoluta; essa si rifiuta di seguire l ’esempio dei Soviet di Pietrogrado perché considera un tale modo di agire, anche quando è dettato da odio feroce, come vergognoso e basso sotto ogni rapporto. — Il presidente del Comitato rivoluzionario provviso­rio, Petritchenko».

Le calunnie contro i ribelli si moltiplicarono. Ad es­se, tanto nel giornale Izvestia quanto a mezzo della Ra­dio locale, venne risposto esponendo nuovamente le ragioni che avevano spinto gli insorti al loro atto. Il 6 marzo la Radio lanciava il seguente messaggio:

«La nostra causa è giusta. Siamo per il potere dei Soviet e non dei partiti. Siamo per le elezioni libere dei rappresentanti della massa lavoratrice. I succedanei dei Soviet, manipolati dal Partito comunista, furono sem­pre sordi alle nostre necessità e alle nostre richieste; l ’u­nica risposta che abbiamo sempre ricevuto è stato piom­bo assassino.

«Compagni! Vi si inganna, snaturando deliberata- mente la verità e abbassandosi fino alla diffamazione più vile. In Cronstadt tutto il potere è esclusivamente

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in mano ai marinai, ai soldati ed agli operai rivoluzio­nari e non in quelle dei controrivoluzionari diretti da Kozlosky, come cerca di far intendere la radio bugiar­da di Mosca.

«N on tardate, compagni! Unitevi a noi, mettetevi in contatto con noi! Esigete l’invio di delegati vostri a Cronstadt! Essi soli vi potranno dire tutta la verità e smascherare la calunnia crudele sul «pane finlande­se» e le «offerte dell’Intesa».

«Viva il proletariato rivoluzionario della città e dei campi!

«Viva il potere dei Soviet liberamente eletti».Il Comitato rivoluzionario si era conquistato il ri­

spetto di tutta la popolazione di Cronstadt non solo per l’enunciazione di queste idee, ma perché aveva saputo realizzarle nella pratica.

Si era stabilito e soprattutto si rispettava il princi­pio dei «diritti uguali per tutti; privilegi per nessuno». Uguaglianza per i razionamenti. I marinai che godeva­no sotto i bolscevichi di razioni molto maggiori a quel­le degli operai, decisero spontaneamente di non accettare privilegi di sorta. Solo agli ospedali ed ai bambini furo­no date razioni più abbondanti.

Il 5 marzo i bolscevichi lanciavano un avvertimen­to: «Siete circondati da tutte le parti. Ancora qualche ora e voi sarete obbligati ad arrendervi. Cronstadt non ha pane né combustibile. Se vi ostinate verrete stermi­nati come pernici».

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Qualche giorno dopo la lotta sanguinosa aveva ini­zio.

Mentre Cronstadt sperava di liberare tutta la Rus­sia, il governo di M osca si accingeva invece, come era avvenuto per il movimento makhnovista in Ucraina, a soffocarla nel sangue.

I ribelli di Cronstadt — come gli insorti dell’Ucrai­na — che largamente avevano contribuito alla vittoria della rivoluzione nella lunga lotta contro i suoi vari ne­mici, pensavano che col loro sacrificio e la loro volontà rivoluzionaria di aver conquistato il diritto di poter de­terminare essi stessi le forme migliori d ’organizzazio­ne della loro vita politica e sociale. E ssi avevano d i­mostrato, mentre la disorganizzazione economica era generale, che le masse rivoluzionarie russe erano capa­ci di realizzare le loro istituzioni economiche, politiche e sociali. Invece, anche a Cronstadt, la voce del canno­ne e la violenza della reazione statale ebbero il soprav­vento su quella del popolo, provocando uno dei più terribili massacri di popolo che si ricordi.

II 7 marzo, alle 6,45, le batterie di Sestroretzk e di Lyssi incominciarono a vomitare fuoco su Cronstadt. Era l’anniversario della festa dei lavoratori e in tale oc­casione, nonostante l’ attacco sferratole contro, Cron­stadt lanciava un messaggio agli operai di tutto il mondo: «Oggi è la festa universale degli operai. Noi Cronstan- diani vi inviamo, in mezzo al fragore delle cannonate, il nostro saluto fraterno. Vi auguriamo di realizzare pre­sto la vostra emancipazione da ogni forma di violenza

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ed oppressione! Viva gli operai liberi rivoluzionari! Vi­va la Rivoluzione mondiale!»

Nel n.6 deìl’Izvestia dell’8 marzo, in un articolo dal titolo: «Che il mondo sappia», si diceva: «E stato spa­rato il primo colpo di cannone. Il maresciallo Trotzski, immerso nel sangue operaio sino alle ginocchia, fu il pri­mo a sparare su Cronstadt rivoluzionaria che si era le­vata contro l ’autocrazia dei comunisti per istaurare il vero potere dei Soviet.

«Senza aver sparso una goccia di sangue, ci siamo liberati, noi, soldati rossi, marinai ed operai di Cron­stadt, dal giogo dei comunisti e abbiamo loro conser­vato la vita. Con la minaccia dei cannoni vogliono sog­giogarci nuovamente alla loro tirannia».

Se ancora per qualcuno non era chiaro quel che vo­levano questi ribelli, oltre che «vincere o morire sotto le rovine di Cronstadt, lottando per la giusta causa del­le masse lavoratrici», un manifesto pubblicato nel n. 9 della Izvestia dell’ 11 marzo lo ribadiva ancora una volta:

«Compagni! Crc'istadt lotta per voi, per gli affamati, per gli assiderati dal freddo, per i senza casa. Cronstadt ha levato la bandiera della rivolta, sperando che dieci­ne di milioni di operai e contadini rispondano al suo appello. E necessario che l ’alba che si è levata a Cron­stadt si trasformi in luminoso sole per tutta la Russia. E necessario che l’esplosione di Cronstadt rianimi la Russia intiera e in primo luogo Pietrogrado».

E , in una emissione della radio, che era un vero at­tacco a fondo contro i metodi e la burocrazia bolscevi-

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chi, essi dicevano: «Realizzando la Rivoluzione di o t­tobre, la classe operaia sperò di aver raggiunto la sua liberazione. Avvenne invece tutto il contrario, poiché quello che ne risultò fu una maggiore schiavizzazione della personalità umana. Dal governo della polizia e della monarchia si è passati nelle mani degli usurpatori co­munisti, i quali, invece di portare la libertà al proleta­riato, han portato il timore perpetuo»11.

La lotta durò una diecina di giorni, ma furono i gior­ni!. 6, 17e 18 marzo i più terribili. A comandare le trup­pe governative, con Trotzski, fu chiamato il comandante Toukhatchevsky, più tardi fucilato da Stalin quale tra­ditore. Il 16 marzo, alle ore 14,20, l’artiglieria gover­nativa del gruppo sud aprì il fuoco e alle 15 fu la volta di quella del gruppo nord. Il cannoneggiamento durò quattro ore circa. Dopo alcune ore di silenzio, la lotta ricominciò terribile e nella mattinata del 17 fu sferrato l ’attacco generale delle truppe governative, dando ini­zio ad una sanguinosa battaglia stradale. I forti che resistettero più a lungo furono il «M ilioutine», il «Co- stantine» e il «Obroutchev», che fu l’ultimo a cedere.

Il 18 sera, la resistenza dei Cronstandiani era vin­ta. La «Comune» aveva vissuto pochi giorni, ma aveva affermato un principio, che sempre divenne più vali­do, e cioè che la rivoluzione era solo possibile con i «So­

u «Cronstadt, su significación en la Revolución rusa», di E. Yarchuck, pag. 157.

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viet» liberi. Ora, con l ’esperienza di tutto quanto è av­venuto, questa verità si afferma con sempre maggior chiarezza. Una verità che non ci siamo mai stancati di ripetere e che più che mai affermiamo ora.

G li anarchici e la Comune di Cronstadt

Una parentesi personale. Arrivai a Pietrogrado nel­l’aprile del 1921, quando la rivolta di Cronstadt era stata appena soffocata. M a a Pietrogrado vi si respirava an­cora l ’aria arroventata della lotta e gli echi della rivolta rintronavano sempre vivissimi. Lo stato d ’assedio con­tinuava ed era quasi impossibile girare per le vie. Pie­trogrado sembrava una città morta e solo soldati ed operai armati circolavano. Il peso della repressione si sentiva fortemente e non era possibile trovare un anar­chico libero. Fu solo a Mosca, qualche settimana più tardi, dove qualche gruppo viveva ancora di una vita stentata — la Federazione anarchica, il gruppo anarco- sindacalista, «G olos Truda», quello degli «Universita­ri», ecc. — che trovai i primi anarchici.

Diversi militanti come la Goldmann, Berkman, Schapiro, Sandomirski ed altri che non facevano parte di nessun gruppo, si vedevano, ma erano sorvegliatissi- mi. M olti di questi avevano collaborato sino allora col governo, ma la repressione in Ucraina contro i Makh- novisti e gli anarchici e quella contro i rivoluzionari di Cronstadt avevano colmato la misura ed ogni ulteriore collaborazione avrebbe rappresentato un vero tradimen­

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to. Fu a Mosca che, entrato in contatto con i superstiti del movimento anarchico e con i militanti già indicati, ebbi copia di una lettera che i compagni Goldmann, Berkman ed altri due, avevano inviato a Zinovieff. La lettera, molto interessante, diceva:

«Al Comitato del Lavoro e della D ifesa di Pietro- grado.

«Al presidente Zinovieff:«Mantenere il silenzio è impossibile, anzi crimina­

le. G li avvenimenti che si sono svolti ci obbligano, co­me anarchici, a parlare francamente e a precisare il nostro atteggiamento di fronte alla situazione.

«Lo spirito di malcontento e di inquietudine attua­li fra gli operai e i marinai è il risultato di cause che esigono la più seria attenzione. Il freddo e la fame han­no generato il malcontento; l ’assenza della benché mi­nima possibilità di discussione e di critica obbliga i ma­rinai e gli operai a dichiarare apertamente le loro riven­dicazioni.

«Le bande delle Guardie bianche vorranno e potran­no sfruttare il malcontento nel loro proprio interesse di classe. Nascondendosi dietro i marinai, reclameran­no l’Assemblea Costituente, il libero commercio ed al­tri vantaggi del medesimo genere. Noi, anarchici, ab­biamo fatto conoscere da lungo tempo il fondo illuso­rio di queste rivendicazioni e dichiariamo di fronte a tutti che lotteremo, armi alla mano, contro ogni tenta­tivo controrivoluzionario, con tutti gli amici della ri­voluzione sociale ed a fianco dei bolscevichi.

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«Per quanto concerne il conflitto fra il governo so­vietico e gli operai e i marinai, noi siamo d ’avviso che dovrebbe essere liquidato non con le armi, ma a mezzo di un accordo rivoluzionario fraterno e con spirito di collaborazione. Ricorrere allo spargimento di sangue da parte del governo sovietico, nella situazione attuale, non intimidirebbe e non pacificherebbe gli operai; al con­trario, servirebbe soltanto ad aumentare la crisi e a raf­forzare l ’opera dell’Intesa e della controrivoluzione. E , quello che è più importante, l ’impiego della forza da parte del governo operaio e contadino contro gli ope­rai e contadini provocherà una ripercussione disastro­sa nel movimento rivoluzionario internazionale. Ne ri­sulterà un danno incalcolabile per la rivoluzione sociale.

«Compagni boscevichi, riflettete prima che sia trop­po tardi! Siete alla vigilia di compiere un passo decisivo.

«N oi vi sottoponiamo la proposta seguente: elegge­re una Commissione di cinque membri, compresi gli anarchici. Questa Commissione andrà a Cronstadt allo scopo di risolvere il conflitto con mezzi pacifici. Nella situazione attuale, è il mezzo più radicale. Essa avrà una importanza rivoluzionaria internazionale.

«Firmati: Alessandro Berkman; Emma Goldmann, Perkus Petrovsky12.

12 La lettera è stata pubblicata oltre che nella stampa anarchica dell’epoca di Francia, d ’Italia e Germania, nel libro del Berkman, già citato (pag. 33, ed. inglese, e a pag. 26 di quella spagnola; a

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La risposta la conosciamo, ma d ’allora si può affer­mare che, salvo rarissimi casi, non vi fu più collabora­zione fra elementi anarchici, rimasti tali, e il governo bolscevico.

G li anarchici, al dire di chi era diventato loro av­versario come Victor Serge, avevano dato il più largo contributo allo sviluppo della rivoluzione in Russia e perché da politica si trasformasse in sociale, nell’otto­bre 1917. Egli scriveva:

«La Federazione anarchica di Pietrogrado, povera in militanti per aver dato il meglio delle sue forze ai molti fronti ed al Partito comunista bolscevico, si è tro­vata nei giorni gravi della lotta contro Yudenich, come ai tempi di Kerenski, completamente a fianco del par­tito, non senza uno spirito di fronda e non senza con­trasti. Il manifesto anarchico affisso nelle vie cominciava con una allusione — ben meritata e terribilmente in­giusta — ai «soldati mobilizzati sotto il bastone e che si sbandano davanti al nemico» — ; chiamava i rivolu­zionari a contribuire liberamente, come partigiani, alla difesa di Pietrogrado. E i partigiani anarchici, in due o tre gruppi di élite, forti della loro stretta intesa, furo­no al loro posto fra i primi. Durante la prima notte di allarme (24 e 25 ottobre), gli anarchici, quasi soli ad es­sere completamente preparati andarono, per una curiosa

pag. 492 e 493 del libro del Voline e a pag. 60 e 61 del libro di Ida Mett).

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ironia delle circostanze, ad occupare per eventualmente di­fenderli i locali della “Pravda” , il cui marxismo intransi­gente era loro piuttosto ostile» 13.

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Ad ogni modo, tenuto conto dell’esperienza dei ri­voluzionari e degli anarchici nella Rivoluzione russa e, soprattutto ora, a conoscenza delle cause che portaro­no al soffocamento della rivoluzione ed all’annientamen­to delle sue aspirazioni, dovremmo aver chiara e precisa davanti a noi la soluzione del problema: quella che ci indica come sia soltanto «con la libertà nella libertà» che si possano raggiungere forme di esistenza che rap­presentino per tutti progresso e benessere.

Per altre vie, la più bestiale vita da caserma e lo sfrut­tamento più inumano attendono gli uomini, qualunque sia la bandiera che si innalzi.

13 «La Ville en danger: Pétrograd l’an II de la Révolution», par Victor Serge, pag. 46 (Paris, 1924, ed. della «Librairie du T ra­vail», pag. 62).

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Nestor Makhno fotografato nel suo quartier generale a Guliai-Polé.

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Appendice 1

Testimonianze

Man mano che la guerra civile si sviluppava, Kropotkin vedeva sempre meno di buon occhio i metodi autoritari del governo sovietico. Espresse una severa opposizione alle pra­tiche terroristiche della Ceka, ovvero contro la cattura di os­taggi, che denunciò in una lettera a Lenin del 21 dicembre 1920. Nel contempo, però, era contrario all’intervento de­gli Alleati nella guerra civile e, in una lettera aperta ai la­voratori occidentali, egli li esortò a esercitare pressioni sui rispettivi governi affinché ritirassero tutte le truppe dal suo­lo russo. Non che ci fosse nulla da criticare, diceva, nella dittatura dei soviet. Ma temeva che l’intervento avrebbe solo peggiorato le cose, creando ostilità tra la popolazione russa e rafforzando le tendenze dittatoriali del governo.

Nel gennaio del 1921 Kropotkin, quasi ottantenne, si ammalò di polmonite e tre settimane dopo, l’8 febbraio, morì. Ai suoi funerali la bandiera nera sventolò per l’ultima volta nelle vie di Mosca. Decine di migliaia di persone sfidarono il rigido clima dell’inverno moscovita per sfilare in corteo fino al suo luogo di sepoltura, nel monastero Novodevici.

Fu una cerimonia profondamente commovente. Quan­do il corteo passò davanti al carcere di Butyrki, i prigionieri scossero le sbarre delle finestre e intonarono l’inno anarchi­co dedicato ai morti. Emma Goldman, Aaron Baron, Alek­sei Borovoi ed altri parlarono sulla tomba di Kropotkin e studenti e lavoratori vi deposero fiori. Il decesso di Kropot­kin suonò la campana a morto per l’anarchismo russo. Ri­mase solo la misera consolazione che i suoi ripetuti avver­timenti contro la dittatura rivoluzionaria avevano trovato

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conferma. Come aveva osservato nel suo messaggio ai lavo­ratori occidentali, i bolscevichi avevano dimostrato come non bisognava fare la rivoluzione — cioè, con metodi autoritari invece che libertari.

Due lettere a Lenin*

Caro Vladimir Il’ic,diversi impiegati dell’ufficio poste e telegrafi mi hanno pre­

gato di portare alla tua conoscenza la loro situazione veramen­te disperata. Poiché questo problema non interessa solo il com­missariato poste e telegrafi, ma la condizione generale della vita in Russia, mi affretto a dartene notizia.

Tu sai, naturalmente, che è assolutamente impossibile vi­vere nel distretto di Dmitrov con il salario di 3.000 rubli che questi impiegati percepiscono. Con duemila rubli non si può comprare neppure uno staio di patate, e lo so per esperienza per­sonale. In cambio ti chiedono sapone e sale, che mancano del tutto. Poiché il prezzo della farina è salito a 9.000 rubli al pood, anche se riesci a trovarne un po', non puoi comprarne abba­stanza per otto libre di pane, né abbastanza farina per cinque libbre. In una parola, se non ricevono approvvigionamenti, questi impiegati sono condannati a morire di fame. Inoltre, oltre al rincaro dei prezzi, le scarse provviste che questi impiegati rice­

* V.D. Bonch-Bruevich, Moi vospominaiia o Petre Alekseevi- che Kropotkine, in «Zvezda», Leningrado, 1930, n. 6.

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vevano dal deposito delle poste e telegrafi di Mosca (secondo il decreto del 15 agosto 1918, otto libbre di farina a persona e cinque per ogni componente inabile della famiglia) non sono sta te sped ite negli ultim i due m esi. Le agenzie di approvvi­gionamento locali non possono distribuire le loro cibarie e l'ap­pello a Mosca degli impiegati (125 persone nell'area di Dmitrov) resta senza risposta. Un mese fa uno di loro ti scrisse personal­mente, ma finora non ha ricevuto risposta.

Considero mio dovere confermare che la situazione di co­storo è veramente disperata. La maggior parte sta letteralm ente m orendo di fam e. Glielo si legge in faccia. Molti pensano di andarsene, ma non sanno dove. Nel frattempo, direi, assolvono coscienziosamente le loro mansioni, che hanno ormai appreso alla perfezione, cosicché perdere dei lavoratori siffatti sarebbe contro l'interesse della vita locale.

Aggiungerò solo che intere categorie di impiegati dei soviet si trovano in una situazione ugualmente disperata.

Devo concludere con poche parole sulla nostra condizione in genere. Vivendo in una grande città, a Mosca, non puoi co­noscere la reale situazione delle campagne. Per sapere la verità dovresti vivere in provincia, a stretto contatto con la vita quoti­diana, con le sue necessità e calamità, con la fame — per adulti e bambini —, col correre da un ufficio all’altro per ottenere il permesso di comprare una misera lampada a kerosene, e così via.

L ’esperienza che stiamo vivendo ora non può portarci che ad una conclusione. Dobbiamo affrettarci a passare a condizio­ni di vita più normali. Se le cose vanno avanti così ancora per molto, siamo condannati a una sanguinosa catastrofe. Né le lo­comotive degli Alleati, né l ’esportazione di grano, canapa, li­no, cuoio et sim ilia — cose di cui noi stessi abbiamo bisogno — possono aiutare la popolazione.

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Una cosa è certa. Anche se una dittatura di partito fosse il mezzo più adatto per colpire il sistema capitalista (cosa di cui dubito fortemente), essa danneggia sicuram ente l ’ed ificazio­ne di un nuovo sistem a socialista. Q uesta d e v ’essere realiz­zata dalle forze locali. Ma ciò non avviene. Non avviene in nessun luogo. Invece, dovunque uno volti lo sguardo, vi sono persone, che non hanno mai saputo nulla della vita reale, le quali commettono i più flagranti errori, errori pagati con migliaia di vite umane e con la devastazione di intere regioni.

Prendiamo, ad esempio, l ’approvvigionamento di legna e se­menti per la semina della scorsa primavera. Senza la partecipa­zione delle forze locali, senza la costruzione effettuata dal basso, dagli operai e dai contadini, sarebbe impossibile costruire una vita nuova.

Questa costruzione dal basso, sembrerebbe, potrebbe esse­re intrapresa nel modo migliore dai soviet. Ma la Russia è già diventata una repubblica sovietica solo di nome. L ’influenza e la smania di comandare degli uomini di partito, che sono per la maggior parte comunisti senza esperienza (gli ideologi di vec­chio stampo operano soprattutto nei centri più grandi) hanno già distrutto l ’influenza e la forza creativa di queste tanto van­tate istituzioni, i soviet. Attualmente, non sono i soviet a go­vernare la Russia, ma i comitati di partito. E la loro capacità costruttiva soffre di tutte le inefficienze dell'organizzazione bu­rocratica.

Per salvarsi dal caos attuale, la Russia deve affidarsi alla creatività delle forze locali, che, a mio avviso, possono divenire un fattore determinante nella costruzione di un nuovo tipo di vita. Più presto lo si comprenderà, meglio sarà e il popolo sarà più disposto ad accettare le nuove forme di vita sociale.

Se, invece, si manterrà la situazione attuale, il termine stes­so «socialismo» diverrà maledetto, come è accaduto per qua-

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rant’annì in Francia con l ’idea di uguaglianza dopo il governo dei giacobini.

Saluti rivoluzionari, P. K ropotk in

D m itrov , 4 m arzo 1920

Caro Vladimir l l ’ii,¡ ’«Izvestia» e la «Pravda» hanno annunciato che il governo

sovietico ha deciso di prendere come ostaggi alcuni socialisti ri­voluzionari dai gruppi di Savinkov e di Cemov, così come al­cune guardie bianche del centro nazionale tattico e alcuni ufficiali di Wrangel, e, in caso di attentato alla vita dei leaders dei so­viet, di giustiziare «senza pietà» questi ostaggi.

E mai possibile che nessuno tra voi cerchi di persuadere i suoi compagni e rammenti loro che misure di questo genere si­gnificano un ritomo ai periodi peggiori del medioevo e delle guerre di religione? Non sono degne di uomini che si sono proposti di edificare una società futura su basi comunitarie e non posso­no essere usate da coloro cui sta a cuore il futuro del comuniSmo.

E possibile che nessuno spieghi cosa significa un ostaggio? Un ostaggio non viene imprigionato per essere punito per qual­che crimine commesso. Viene trattenuto, invece, per ricattare il nemico con la sua morte: «se uccidete uno dei nostri, noi uc­cideremo uno dei vostri». Ma questo non è come condurre ogni giorno un uomo alla forca e riportarlo poi in cella dicendo: «Aspetta ancora un po’... non oggi»?

E mai possibile che i tuoi compagni non capiscano che ciò equivale a ripristinare la tortura per gli ostaggi e le loro fa ­m iglie?

Spero nessuno mi venga a dire che la vita degli uomini che

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detengono il potere non è sempre facile. Attualmente anche tra i re ci sono alcuni che considerano gli attentati come «rischi del mestiere».

E in tribunale i rivoluzionari si assumono — come fece, ad esempio, Louise Michel — il compito di difendere chi aveva tentato di assassinarli o si rifiutano, come fecero Malatesta e Voltairine de Cleyre, di muovere loro delle accuse.

Persino papi e sovrani hanno rifiutato un mezzo barbaro di difesa come è quello di prendere degli ostaggi. Come posso­no, perciò, i sostenitori di un nuovo sistema di vita e gli edifica­tori di una nuova società usare una simile arma di difesa contro i loro nemici?

Non verrà visto, questo, come un segno del fatto che consi­derate già fallito il vostro esperimento comunista e cercate di salvare la pelle?

E possibile che i tuoi compagni non si rendano conto che voi, come comunisti, quali che siano gli errori che avete com­messo, state lavorando per il futuro e quindi non dovete mac­chiare la vostra causa con atti ispirati da un cieco terrore — che proprio atti di questo genere compiuti dai rivoluzionari del passato hanno reso tanto difficile l ’esperimento comunista? Io credo che, ai migliori di voi, il futuro del comuniSmo stia più a cuore della vita stessa e che pensando a questo futuro rinun- cerete a questi provvedimenti.

Con tutti i suoi gravi difetti — e io, come sai, li vedo bene — la rivoluzione d ’ottobre ha provocato un enorme cambia­mento. Ha dimostrato che una rivoluzione sociale non è im­possibile, come avevano cominciato a pensare nell'Europa oc­cidentale. E, con tutti i suoi difetti, produrrà un mutamento verso / ’uguaglianza, che nessun tentativo di tornare al passato potrà eliminare.

Perché allora spingere la rivoluzione sulla via della rovina

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solo a causa di quei difetti che nulla hanno a che vedere con il socialismo o il comunismo, ma che sono un rimasuglio del vecchio ordine e delle vecchie deformità, di un'autorità illimi­tata e onnivora?

D m itrov , provincia di M osca, 21 dicem bre 1920

P. K ropotk in

Messaggio ai lavoratori dell’occidente

Mi hanno chiesto se ho un messaggio da indirizzare ai lavo­ratori del mondo occidentale. C ’è sicuramente molto da dire su ciò che attualmente accade in Russia, e c ’è molto da impara­re. Il messaggio potrebbe essere lungo. Ma mi limiterò ad alcuni punti principali.

Prima di tutto, i lavoratori del mondo civile e i loro amici appartenenti ad altre classi dovrebbero indurre il governo ad ab­bandonare del tutto l ’idea di un intervento armato negli affari della Russia — aperto od occulto, militare o in forma di sov­venzioni ad altre nazioni.

La Russia sta vivendo ora una rivoluzione della stessa va­stità ed importanza di quella sperimentata nel 1639-48 dalla nazione inglese e nel 1789-94 dalla Francia; e ogni nazione do­vrebbe rifiutarsi di giocarvi il ruolo vergognoso che la Gran Bre­tagna, la Prussia, l ’Austria e la Russia giocarono nella rivoluzione francese.

Inoltre, bisogna tener presente che la rivoluzione russa — che tenta di costruire una società in cui il prodotto degli sforzi

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congiunti dei lavoratori, delle capacità tecniche e delle cono­scenze scientifiche vada interamente a beneficio della comuni­tà — non è un mero incidente nella lotta tra i partiti. E qualcosa che la propaganda comunista e socialista stavano preparando da quasi un secolo, fin dai tempi di Robert Owen, di Saint-Simon, e di Fourier; e, benché il tentativo di instaurare la nuova socie­tà attraverso la dittatura di un unico partito sia apparentemente destinato al fallimento, bisogna tuttavia riconoscere che la ri­voluzione ha già introdotto nella nostra vita quotidiana idee nuo­ve riguardo ai diritti dei lavoratori, alla loro vera posizione nella società, ai doveri di ogni cittadino; idee ormai incancellabili.

Tutto considerato, non solo i lavoratori, ma tutti gli ele­menti progressisti delle nazioni civili dovrebbero far cessare im­mediatamente l ’appoggio dato finora agli avversari della rivo­luzione. Non perché vi sia nulla da obiettare circa i metodi usati dal governo bolscevico! Tutt altro. Ma perché ogni intervento armato da parte di una potenza straniera rafforza inevitabilmente le tendenze dittatoriali dei governanti e paralizza gli sforzi di quei russi che sono pronti ad aiutare la Russia, indipendente­mente dal governo, nella ricostruzione del suo sistema di vita su basi completamente nuove.

Gli aspetti negativi naturalmente insiti nella dittatura di par­tito sono stati così accentuati dallo stato di guerra in cui il par­tito si manteneva. Questo ha rappresentato un pretesto per raf­forzare i suoi metodi dittatoriali, oltreché la tendenza a riunire nelle mano dell'autorità centralizzata del governo di tutti i pro­blemi della vita della nazione; con il risultato di portare a un punto morto immensi settori dell’attività del paese. Gli aspetti negativi del comuniSmo di Stato sono dunque decuplicati con la scusa che tutti i nostri guai sono causati dall’intervento degli stranieri.

Inoltre, devo anche ricordare che se l'intervento militare da

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parte degli Alleati continuerà, farà insorgere in Russia il mala­nimo nei confroni delle nazioni occidentali, che un giorno ver­rà usato dai loro nemici in possibili guerre future. E il malanimo si sta già sviluppando.

In breve, è tempo che le nazioni dell’Europa occidentale entrino in rapporti diretti con la Russia. E a questo riguardo voi — le classi lavoratrici e l'avanguardia di ogni nazione — dovreste aver voce in capitolo.

Ancora una parola sulla questione generale. E ’instaurazio­ne di nuovi rapporti tra le nazioni europee e americane e la Russia non deve certamente significare l ’ammissione di una suprema­zia della Russia nei confronti di quelle popolazioni che faceva­no parte dell’impero della Russia zarista. La Russia imperiale è morta e non resusciterà. Il futuro delle varie provincie dalle quali questa era formata si muove verso una grande federazio­ne. I territori naturali delle diverse parti di questa federazione hanno, agli occhi di chi conosce la storia, l'etnografia e l ’eco­nomia della Russia, un carattere sufficientemente distinto; e qual­siasi tentativo di riunire sotto un unico potere centrale tutte le parti che costituivano l'impero russo — la Finlandia, le provin­cie del Baltico, la Lituania, l ’Ucraina, la Georgia, l ’Armenia, la Siberia e così via — è sicuramente destinato al fallimento. Il futuro di quello che era l ’impero russo si muove verso una federazione di unità indipendenti.

Sarebbe perciò interesse di tutte le nazioni occidentali rico­noscere fin d ’ora il diritto ad autogovernarsi a tutte le regioni che facevano parte dell'impero russo.

Quanto alle mie idee riguardo a questo problema, esse van­no ancora più in là. Vedo l ’avvento, in un prossimo futuro, di un tempo in cui ogni parte di questa federazione consisterà essa stessa di una federazione di libere comuni rurali e libere città;

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e sono ancora convinto che alcuni paesi dell’Europa occidenta­le si porranno all’avanguardia in questo senso.

Ora, per ciò che riguarda la nostra situazione politica ed economica attuale, poiché la rivoluzione russa è la continua­zione di due grandi rivoluzioni, in Inghilterra e in Francia, la Russia sta ora cercando di fare un passo avanti eia dove la Fran­cia si era fermata, quando si trattò di realizzare nella realtà ciò che allora veniva definita la vera uguaglianza (égalité de faitj, ovvero l ’uguaglianza economica.

Sfortunatamente, questo passo è stato tentato in Russia sotto la dittatura fortemente centralizzata di un unico partito — i mas­simalisti socialdemocratici [ovvero, i bolscevichi] e secondo le direttive stabilite dalla cospirazione centralista e giacobina di Babeuf. A questo riguardo posso dirvi francamente che, a mio parere, il tentativo di edificare una repubblica comunista sulle basi di un comuniSmo fortemente centralizzato, sotto il ferreo dominio della dittatura di un unico partito, si sta risolvendo in un fallimento. In Russia stiamo imparando come non si può instaurare il comuniSmo, anche se la popolazione, disgustata dal vecchio regime, non ha opposto resistenza attiva a ll’esperimen­to compiuto dai nuovi governanti.

L ’idea dei soviet, ovvero dei consigli operai e contadani — proposta per la prima volta durante il tentativo di rivoluzione del 1905 e immediatamente realizzata dalla rivoluzione di feb­braio del 1917, subito dopo il crollo del regime zarista — l ’i­dea di questi consigli per il controllo della vita politica ed economica del paese è un 'idea grandiosa. Soprattutto se ne de­riva necessariamente l ’idea che a fame parte siano tutti coloro che prendono realmente parte, con i loro sforzi, alla produzio­ne della ricchezza nazionale.

Ma finché un paese è governato dalla dittatura di un unico partito, i consigli operai e contadini perdono evidentemente qual­

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siasi significato. Vengono ridotti a quel ruolo passivo svolto nel passato dagli stati generali e dai parlamenti, quando venivano convocati dal re e dovevano scontrarsi contro l ’onnipotente con­siglio del re.

Un consiglio operaio cessa di essere una guida libera e vali­da se nel paese manca la libertà di stampa; e noi siamo rimasti in questa condizione per quasi due anni — con la scusa che eravamo in stato di guerra. Di più, i consigli operai e contadini perdono ogni significato quando le elezioni non sono precedute da una campagna elettorale libera e quando le stesse vengono svolte sotto le pressioni della dittatura di partito. Naturalmen­te, la scusa solitamente è che un governo dittatoriale era indi­spensabile per combattere il vecchio regime. Ma questo governo si trasforma in un formidabile ostacolo non appena la rivolu­zione procede verso la costruzione di una nuova società su basi economiche nuove; costituisce la sentenza di morte per la sud­detta costruzione.

La via da seguire per rovesciare un governo già indebolito e prenderne il posto è ben nota, ce la insegnano la storia antica e moderna. Ma quando si tratta di costruire forme di vita nuo­ve — soprattutto, nuove forme di produzione e di scambio sen­za avere esempi da imitare; quando gli uomini devono creare tutto di bel nuovo; allora il governo centrale onnipotente che si prefigge di rifornire ogni abitante di una lampada e di un fiam­mifero per accenderla si rivela assolutamente incapace di farlo tramite i suoi funzionari, per quanto questi siano numerosi: di­venta d ’impaccio. Sviluppa una burocrazia talmente formida­bile che il sistema burocratico francese, che richiede l ’intervento di quaranta funzionari per vendere un albero caduto in seguito a un temporale su una route nationale, diventa al confronto una bazzeccola. Questo è quello che impariamo oggi in Russia. E questo è quello che voi, lavoratori dell'occidente, potete e

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dovete evitare a tutti i costi, visto che vi sta a cuore il successo di una ricostruzione sociale e avete inviato i vostri delegati a vedere come funziona nella realtà una rivoluzione sociale.

L'immensa opera costruttiva che una rivoluzione richiede non può essere portata a termine da un governo centrale; nep­pure se avesse, a guidarlo nel suo lavoro, qualcosa di più so­stanzioso di qualche opuscolo socialista e anarchico. Essa richiede le conoscenze, l ’intelligenza e l ’attiva collaborazione di una massa di forze locali e specializzate, le sole che possano affrontare tut­ta la varietà dei problemi economici nei loro aspetti specifica- mente locali. Eliminare questa forma di collaborazione e affidarsi solo al genio dei dittatori di partito significa distruggere tutti i nuclei indipendenti, quali i sindacati industriali (che in Russia si chiamano «sindacati professionali») e le organizzazioni coo­perative locali di distribuzione — trasformandole in organi bu­rocratici del partito — come si sta facendo ora. Ma questo è il modo per non portare a termine la rivoluzione; per renderne impossibile la realizzazione. Ed è perciò che ritengo mio dove­re avvertirvi di non intraprendere una simile linea d ’azione.

I conquistatori imperialisti di ogni nazionalità possono de­siderare che le popolazioni dell’ex impero russo rimangano in condizioni economiche miserabili il più a lungo possibile e sia­no quindi costrette a rifornire l'Europa occidentale e centrale di materie prime; in questo modo gli industriali occidentali, pro­duttori di beni manufatti, sottrarrebbero alla popolazione russa tutti i benefici che questa viceversa otterrebbe dal suo lavoro. Ma le classi lavoratrici d'Europa e d ’America, e i nuclei di in­tellettuali di questi paesi, si rendono certamente conto che po­trebbero tenere la Russia in una simile posizione subordinata solo con la forza della conquista. Inoltre, la simpatia con cui la nostra rivoluzione è stata accolta ovunque in America e in Europa dimostra che siete stati lieti di salutare nella Russia un

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nuovo membro della confraternita intemazionale delle nazio­ni. E sicuramente vi renderete conto ben presto che è nell'inte­resse dei lavoratori di tutto il mondo che la Russia esca al più presto dalla condizione che ora ne paralizza lo sviluppo.

Qualche parola ancora. L'ultima guerra ha instaurato nuo­ve condizioni di vita nel mondo occidentale. Il socialismo ap­porterà sicuramente nuovi progressi e presto si realizzeranno nuove forme di vita indipendente sulla base dell'indipendenza politica locale e della libertà d ’azione nella ricostruzione sociale, con metodi pacifici oppure rivoluzionari, se i più intelligenti rap­presentanti delle nazioni civili non si uniranno per assolvere il compito di una inevitabile ricostruzione.

Ma il successo di quest'ultima dipenderà in gran parte dalla possibilità di cooperazione tra le varie nazioni. Per realizzare questa cooperazione, le classi lavoratrici di tutti i paesi devono essere saldamente unite; e a questo scopo dev’essere resuscitata l ’idea di una grande Intemazionale dei lavoratori di tutto il mon­do: non in forma di un 'unica unione sotto la direzione di un solo partito — come avvenne per la Seconda Intemazionale e, di nuovo, per la Terza. Unioni di questo tipo hanno, natural­mente, pieno motivo di esistere; ma a collegarle tra loro dev’es­sere una unione di tutti i sindacati industriali del mondo — di tutti coloro che producono la ricchezza, uniti alfine di liberare la produzione mondiale dall’attuale schiavitù capitalista.

P. K ropotk inD m itrov , 10 giugno 1920

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II mito bolscevico*

7 marzo — Mentre attraverso il Nevskij* 1 mi giunge di lon­tano un rombo. Lo sento ancora, più forte e più vicino, come se rotolasse verso di me. Improvvisamente, mi rendo conto che è il rumore dell’artiglieria in azione. Sono le sei del pomeriggio. Kronstadt è stata attaccata!

Giorni di angoscia e di cannonate. Il mio cuore è paraliz­zato dalla disperazione: qualcosa è morto dentro di me. La gen­te per le vie appare smarrita, prostrata dal dolore. Nessuno osa parlare. Il tuono dell'artiglieria pesante lacera l'aria.

17 marzo — Kronstadt è caduta oggi.Migliaia di marinai e di lavoratori giacciono morti per le

sue strade. Continuano le esecuzioni sommarie di prigionieri e ostaggi.

18 marzo — I vincitori celebrano l ’anniversario della co­mune del 1871. Trotskij e Zinoviev condannano Thiers e Ga- liffet per aver massacrato i ribelli parigini2 ...

17 settembre — Oggi a mezzogiorno sono stati rilasciati dalla Taganka3 i prigionieri che avevano fatto lo sciopero del­

* Alexander Berkman, The Bolshevik Myth (Diary 1920-1922), New York 1925.

1 II Nevskij Prospect, la via principale di Pietroburgo.2 Thiers era primo ministro di Francia e Galiffet il generale che

sconfisse i comunardi.3 Nel luglio del 1921, diversi noti anarchici rinchiusi nel carcere

di Tagpnka, a Mosca — c ’erano, tra gli altri, Volin e Maksimov — iniziarono uno sciopero della fame per protestare contro il loro confi­namento. Vennero infine rilasciati e deportati in Germania nel gen­naio del 1922.

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la fame, due mesi dopo che il governo aveva promesso loro la libertà. Appaiono invecchiati e consumati, deperiti per i tormenti e le privazioni. Sono stati posti sotto sorveglianza ed è stato lo­ro proibito di vedere i compagni. Si dice che passeranno delle settimane prima che venga data loro la possibilità di lasciare il paese. Non gli si permette di lavorare e non hanno mezzi di so­stentamento. La Ceka dichiara che non verranno liberati altri prigionieri politici. In tutto il paese si verificano arresti tra i ri­voluzionari.

30 settembre — A capo chino cerco nel parco una panchi­na che mi è familiare. Qui la piccola Fanya sedeva al mio fian­co. Volgeva il viso al sole, tutta radiosa d'idealismo. Nel suo riso argentino risuonava la gioia della giovinezza e della vita, ma ad ogni passo io tremavo per la sua incolumità. «Non teme­re», mi rassicurava continuamente, «nessuno mi riconoscerà nel mio travestimento da contadina».

Ora è morta. Giustiziata ieri dalla Ceka come «bandito».Sono giorni grigi. A poco a poco, ogni traccia di speranza

è venuta meno. Il terrore e il dispotismo hanno stroncato la vi­ta nata in ottobre. Gli slogans della rivoluzione sono stati tra­diti, i suoi ideali soffocati nel sangue del popolo. Il soffio vitale di ieri ha oggi, per milioni di persone, sentore di morte-, l'om­bra del presente pende come un drappo nero sul paese. La ditta­tura calpesta le masse. La rivoluzione è morta -, il suo spirito grida nel deserto.

E ora di dire la verità sui bolscevichi. Il bianco sepolcro dev’essere scoperchiato, bisogna smascherare il feticcio dai pie­di di argilla che incanta il proletariato con fatali fuochi fatui. Il mito bolscevico va distrutto.

Ho deciso di lasciare la Russia.

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La mia delusione in Russia*

Nei primi giorni della rivoluzione, il principio libertario era forte, il bisogno di una libertà d ’espressione era assoluto. Ma quando la prima ondata d ’entusiasmo si spense nella routine della vita quotidiana, vi fu bisogno di una salda convinzione per tenere accesi i fuochi della libertà. Erano relativamente po­chi, nella grande vastità della Russia, a tenerli accesi — gli anar­chici, pochi di numero e i cui sforzi, soppressi nel modo più assoluto sotto lo zar, non avevano avuto tempo di dare i loro frutti. Il popolo russo, in una certa misura istintivamente anar­chico, aveva ancora troppa poca familiarità con i vari principi libertari e con i metodi per metterli realmente in pratica. Gli stessi anarchici russi sfortunatamente erano per la maggior parte ancora impegolati negli ingranaggi di attività di gruppo limitate e di un impegno individualistico, così come nella più impor­tante opera sociale e collettiva. Gli anarchici, e gli storici im­parziali del futuro lo ammetteranno, hanno ricoperto un ruolo importante nella rivoluzione russa — un ruolo più significativo e fruttuoso di quanto la loro consistenza numerica, relativamente scarsa, potesse far sospettare. Ma sinceramente e onestamente devo dire che la loro opera avrebbe potuto avere molto più va­lore se essi fossero stati meglio organizzati e dotati di mezzi per convogliare le energie liberate del popolo verso una riorganiz­zazione della vita su basi libertarie.

Ma il fallimento degli anarchici nella rivoluzione russa ha dimostrato al di là di ogni dubbio che l ’idea dello Stato, del socialismo di Stato, in tutte le sue manifestazioni (economica, *

* Emma Goldman, My Disillusionment in Russia, Londra 1925.

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politica, sociale, educativa) è un totale e inevitabile fallimen­to. Mai prima di allora, nell’intero corso della storia, l ’autori­tà, il governo e lo Stato si sono dimostrati così statici, reazionari e, in pratica, persino controrivoluzionari. In breve, l ’antitesi stessa della rivoluzione.

Rimane sempre vero, come lo è stato per tutta la storia del progresso umano, che solo lo spirito e i metodi libertari posso­no far avanzare l'uomo verso l ’eterno obiettivo di una vita mi­gliore e più libera. Applicata alla grande rivolta sociale nota come rivoluzione, questa tendenza è tanto potente quanto il normale processo rivoluzionario. Il metodo autoritario si è rivelato un fallimento in tutto il corso della storia e per l ’ennesima volta nella rivoluzione russa. Finora, l ’ingegno umano non ha sco­perto altro principio se non quello libertario, poiché l'uomo si è espresso con la più grande saggezza quando ha affermato che la libertà è la madre e non la figlia dell’ordine4. Malgrado tut­te le teorie e i partiti politici, nessuna rivoluzione può ottenere un successo vero e permanente se non pone un veto assoluto ad ogni tirannia e centralizzazione e non tenta decisamente di trasformarsi in una reale rivalutazione dei valori economici, so­ciali e culturali5. Non la semplice sostituzione di un partito po­litico con un altro nel controllo del governo, con il camuffamento dell’autocrazia sotto slogan proletari, non la dittatura di una nuova classe sulla vecchia, non un qualsivoglia mutamento della scena politica, ma solo il completo rovesciamento di tutti i prin­cipi autoritari servirà la rivoluzione.

4 Famosa frase di Proudhon.} «Rivalutazione di tutti i valori», frase di Nietzsche, un pensa­

tore che Emma ammirava molto.

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Appendice 2

Né Marx, né Lenin, né Stalin, né Mao*di Stefano Fabbri

L ’impostazione è nota: il «socialismo reale» non è stato «vero socialismo», lo stalinismo è una depravazione che non ha niente a che vedere con il leninismo, M arx è incolpevole. I reduci del comuniSmo autoritario, ag­grappati agli ultimi brandelli di vita di un’ideologia che ha dato bancarotta a livello mondiale, continuano a pro­cedere, pur perseguendo nelle reciproche consuete ed interminabili diatribe, nel solco di sempre. Paiono con­vinti, gli uni e gli altri, che sia sufficiente un’attestato di eterodossia (cosa assai semplice a ottenersi in campo marxista), aver contestato i partiti comunisti «ufficia­li», essere stati a loro volta tacciati di «revisionismo», non aver condiviso il potere, per aver titolo ad estra­niarsi dai crimini del socialismo realizzato. Crimini pro­dotti da un impianto istituzionalmente volto alla con­quista di un potere assoluto.

«Trotskisti» e leninisti «ortodossi» fanno finta di di­menticare e qualificano come incidenti di percorso ne­cessari ed inevitabili (che quindi ripeterebbero anche oggi), la repressione militare dell’Ucraina rivoluziona­

* Da: «A » rivista anarchica, n. 185, Milano, ottobre 1991.

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ria e della Comune di Kronstadt (1921), il «comuniSmo di guerra», la militarizzazione delle fabbriche, l ’elimi­nazione dei diritti dei lavoratori, la pena di morte ed i campi di lavoro per i dissenzienti dell’immediato dopo- rivoluzione. Nessuno si interroga (per dire finalmente che è un assurdo teorico totale e reazionario) sul con­cetto di dittatura «del proletariato» formulato dal «gran­de vecchio» già nel «M anifesto del Partito Comunista» (1848). In realtà il marxismo non ha mai avuto, né avrà mai, una teoria della democrazia politica, né un’impo­stazione radicalmente volta alla libertà. Da ciò discen­dono analisi sfalsate anche sui fatti odierni. Per molti è difficile capire come l’intellighentia che fu del PCUS — cresciuta con l’idea che l ’unica democrazia possibile sia quella economica e che questa possa esistere senza una democrazia politica, ma al tempo stesso insieme in­vece ad una ristratificazione sociale accettata come in­cidente di percorso nella via del comuniSmo — abbia semplicemente capovolto la scala dei propri valori po­nendovi all’apice, quale archetipo di insuperata ed in­superabile perfezione, il capitalismo occidentale. G ià, ma i militanti di partito sono stati allevati al culto del vincitore (la ragione era prima di tutto di chi vinceva e di chi aveva dalla sua parte le «m asse»), ed oggi a vin­cere è il capitalismo.

Il tutto viene invece esorcizzato dando la colpa del­l ’esperienza fallimentare della statalizzazione totale al­l ’assenza di forme statali moderne e, nei più critici, ad una rozza ideologia del «deperimento dello Stato».

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Per quanto riguarda la democrazia politica, si pen­sa unicamente ad una maggiore democrazia di partito nell’ambito di un sistema a partito unico. Il vero colpo per i vetero-comunisti nei recenti accadimenti sovieti­ci è stato lo scioglimento del PCU S, che ha dissolto le ultime illusioni rispetto ad un’autoriforma dello stes­so e tu tt’al più al sorgere, sempre all’interno di quel ri­stretto ambito, di un dibattito politico da parte di clas­si o gruppi d ’interesse. Basti pensare alle gravi ambasce di «Rifondazione Comunista» di fronte al «nuovo Gor- baciov».

Per chi è abituato a dipendere dai modelli e logiche organicistiche, economicistiche e storicistiche, i proble­mi si pongono sempre secondo apparenti dicotomie di segno idealistico. Ecco il perché della svolta del PD S, la cui maggioranza ha gettato a mare l ’idea stessa di co­muniSmo, non potendo non concepire come unica al­ternativa l’altro lato della medaglia sullo scacchiere in­ternazionale. Dall’altra parte i vari comunisti continui­sti, che imputavano ad Occhetto sino ad un anno fa di aver sbagliato l ’«analisi e la prognosi sul P C U S» (Ros­sana Rossanda, «il manifesto», 21 luglio 1990).

In poche parole la «riform a» può essere data solo all’interno del tracciato segnato dal corpo dottrinario. Tutto ciò che si muove o che deborda all’esterno è di­chiarato eretico. Il limite maggiore del marxismo sta proprio nella sua presunta «scientificità», che pur rovi­nata pesantemente al suolo, continua a costituire un ar­chetipo al di fuori del quale non è dato sperimentare,

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pena l ’anatema e l ’abiura. L ’opzione anarchica del co­muniSmo libertario, principale obiettivo della guerra sen­za esclusione di colpi impostata a sinistra dagli ex, così come dai neo-comunisti, non ha spazio fra le ipotesi pos­sibili. D ’altra parte, dignità «di sistema» viene ricono­sciuta solo all’antagonista capitalismo, che ha per la li­bertà politica una pratica altrettanto strumentale: vec­chia e «nuova» sinistra sono sempre entrate in crisi, pur nel pieno della critica al «socialismo reale», sulla que­stione del capitalismo di Stato, spesso negando l ’evi­denza di quella che si è creata in U R SS e Cina e nei paesi satelliti. Non potevano accettare il dato di una complementarietà di fatto fra i due sistemi, che invece il capitalismo occidentale aveva riconosciuto da tempo e che è stata dimostrata sempre di più dallo svolgersi degli avvenimenti fino ad oggi.

ComuniSmo nostalgico e democrazia reale

Di contro, per mantenere un barlume di speranza, i neo-comunisti sono obbligati sempre più ad uscire dal seminato, costretti ad una battaglia titanica contro lo­ro stessi nel gioco pericoloso di allargare le sbarre di un’impostazione nata chiusa a priori. Il fine è quello di tentare di conciliare l ’inconciliabile: libertà politica e dittatura, eguaglianza economica e ventaglio salaria­le, lotta per la democrazia e monopolio a sinistra, sin­dacati ridotti a mere cinghie di trasmissione del partito

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e sviluppo autonomo delle contraddizioni nel mondo del lavoro, autogestione e rigida pianificazione centra­tisi ica, seguendo una strada già usata dagli ex-comunisti. Il comuniSmo nostalgico rimane così elemento interno alla «democrazia reale», la cui crisi, peraltro, speriamo si approssimi.

Allo stesso tempo il concetto di «egemonia» cerca un approccio con la richiesta etica che viene dalla so­cietà civile: «della possibile riconversione ad un con­trollo etico-politico non più totalitario, applicato ai pro­cessi scientifico-tecnologici e per il loro tramite a quel­li economico-produttivi, sarà il solo cui si possano, for­se tardivamente, affidare le speranze di salvezza della civiltà e della stessa crescita economica ridimensionata e ridistribuita» (è l ’ecomarxista Giuseppe Prestipino su «il manifesto», 10 agosto 1990). Il pensiero va automa­ticamente a Murray Bookchin ed all’ecologia sociale con cui tutti oggi devono fare i conti, ma che non è possi­bile altro che in una società non solo liberata dal domi­nio e dall’ottica del profitto, ma astatale, federalista, comunalista, libertaria, che ha le sue radici teoriche in Campi, fabbriche, officine del 1898 di Pétr Kropotkin.

D ’altra parte il pragmatismo assoluto di matrice mar­xista non sarà mai sufficientemente decantato. M en­tre in Romania, Bulgaria ed addirittura in Albania, il partito è pronto a divenire persino «anticomunista» pur di conservare il potere, in Cina, dove la libertà è anco­ra un «concetto borghese» (Lenin), e dove si coniuga allegramente l ’imitazione dei sistemi produttivi giap-

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portesi e della Corea del Sud con il collettivismo neo­feudale delle campagne, il sociologo He Xin, braccio destro di Deng, sostiene testualmente la necessità di ri­proporre il marxismo come religione, quale veicolo uni­ficante di massa per l ’industrializzazione e la moder­nizzazione. Secondo lui il «marxismo scientifico» è fal­lito e può sopravviverne l ’immagine solo con tale ac­corgimento. Non sarà inutile sottolineare come appunto tale pragmatismo provenga proprio da una ex guardia rossa che ha ben conosciuto il culto della personalità. Il marxismo, giunto all’ipogeo, si legittima quindi or­mai unicamente come strumento di dominio, buono per tutti gli usi in ordine alle esigenze di quella nuova clas­se che ha così bene saputo veicolare e tradire le istanze di base e di emancipazione del movimento dei lavora­tori, irretendolo in una operaiolatria utile ai «profes­sionisti della politica» per impostare il proprio dominio di classe, raggiunto tramite la gestione di un’economia statalizzata nel nome di tutti, ma gestita da pochi.

Questa concausa ha la sua rilevanza nella rimozio­ne sistematica della matrice anarchica. Se vi è infatti un dato oggettivo inconfutabile oggi come ieri, nono­stante i grandi mutamenti avvenuti, è la congiura del silenzio che sui temi, le idee, la tradizione del movi­mento anarchico, viene operata congiuntamente nel mondo politico, quasi che un pezzo di storia sia stato rimosso con un colpo di spugna. Il pluralismo rimane ancora un tabù per tutte le organizzazioni di matrice comunista, in particolare rispetto alla teoria comunista

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anarchica, che pure non è elemento casuale ma estre­mamente ricco di testi, esperienze e presenze. I «rin­novatori», per parte loro, pur rendendo, ed in modo spesso pedante ed interessato, i dovuti omaggi alla si­nistra liberale, giustizialista ed azionista e facendo la corte alla socialdemocrazia, evitano in modo scientifi­co l’argomento, e ne abusano a proprio piacimento con furbeschi mascheramenti (è il caso dell’aggiunta del ter­mine «libertario» inserito a qualificare lo statuto del PD S). Come «sostituto» si utilizzano i radicali e la pre­senza costante di Pannella ai «festival dell’Unità» e di «Cuore» sta a dimostrarlo.

Una vecchia questione

Anche rispetto alla riabilitazione delle vittime po­litiche del regime bolscevico sarà utile sottolineare co­me pochi a sinistra, a parte i diretti interessati in U RSS, hanno mai menzionato gli innumerevoli militanti anar­chici uccisi, internati o fatti sparire dal ’21 ad oggi. Pe­raltro, solo nell’agosto ’90, Gorbaciov, con apposito decreto, ha stigmatizzato unicamente le persecuzioni staliniane, ed in Italia, ancora un anno fa a sinistra c ’e­ra chi si meravigliava che in U RSS vi fosse la richiesta di una Norimberga sovietica: «un processo ai soprav­vissuti ed ai morti della nomenklatura repressiva stali­niana (e post-staliniana), quando non al PCU S stesso». Auspicando invece: « l’annullamento di alcune decora­

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zioni, il cambio di nome di alcune strade, la revoca di alcuni privilegi, per dare ai cittadini l ’idea che lo Stato ha davvero cambiato natura» (Astrit Dakli, «il manife­sto», 15 agosto 1990).

Eppure l ’antisemistismo, la deportazione di massa ed il genocidio di milioni di contadini e di intere etnie, non sono qualitativamente «diversi» se gestiti da uo­mini con al braccio fascia rossa e falce e martello.

Oggi, in Unione Sovietica sarebbe in corso «un esplodere di forze più democraticistiche che democra­tiche». E di nuovo Rossana Rossanda a parlare («il ma­nifesto» 27 agosto 1991) che poi conclude: «Chi è co­munista ha motivo di molto dolore, di molta fatica, ma di nessun rimpianto».

In tali brevi frasi è racchiuso l ’elemento costituti­vo della differenza fra anarchismo e marxismo: il d i­verso peso dato all’idea stessa di libertà. Secondariamente, l’impostazione rigidamente giustifi- cazionista che vi traspare, ricorda il primato dell’auto­nomia del politico, contrapposto al primato dell’etica assunto in campo libertario.

Per il bolscevismo la libertà è prioritariamente li­bertà dal bisogno, da raggiungersi tramite l ’organizza­zione centralizzata ed autoritaria della produzione; per l ’anarchismo essa rimane elemento impensabile se al­l ’eguaglianza economica non si affianca una totale li­bertà politica. Per il bolscevismo la libertà politica è distorsione e «pregiudizio borghese», per l’anarchismo la libertà «borghese» è libertà condizionata, democra­

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zia delegata cui sostituire la democrazia diretta e la piena libertà politica. Secondo l’ impostazione giacobina il fi­ne giustifica i mezzi; secondo quella anarchica il mezzo usato diviene discrimine fra elemento di progresso e di conservazione. La dittatura non può produrre che au­toritarismo, delega, diseguaglianza. Anziché liberare l’uomo dal bisogno, riprodurrà lo sfruttamento.

La questione è vecchia, ma pur sempre di attualità. E impressionante come, rileggendo la risposta (Anar­chia e comunismo «scientifico» [Edizioni La Fiaccola, Ragusa 1989. NdE]) che Luigi Fabbri scrisse nel 1922 per confutare le saccenterie antianarchiche di Nicola) Bucharin, si possa riscontrare — pur nella brevità di un testo necessariamente sintetico edito come pamplet — l ’analisi puntuale delle cause della crisi sovietica.

Dai giacobini ai leninisti

Lo scontro fra chi ritiene di poter usare l ’autorità per emancipare l’uomo e chi pensa che ciò sia impossi­bile è già tutto contenuto nella rivoluzione francese. In quella occasione i fautori di un rafforzamento del po­tere centrale tradirono in primo luogo la tendenza a re­primere la democrazia diretta, e le istanze che sotto questo profilo venivano espresse dagli «hebertisti», dai sanculotti e dagli «arrabbiati». Tutto ciò coincise con un alleggerimento della pressione contro quei gruppi di potere che, approfittando degli eventi, riuscirono ad in-

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camare la nuova dirigenza. Col pretesto di colpire i con­trorivoluzionari si eliminavano i rivoluzionari. Nessuna democrazia politica: già da allora si affermava l’esclu­sione persino del pluralismo a «sinistra».

Le componenti libertarie venivano già definite anar­chiche. Nel quadriennio 1789/93, con il Terrore, si ha l ’avvento del potere borghese. Si dà l ’inizio alla cana­lizzazione ed alla strumentalizzazione delle aspirazioni popolari: gruppi «d ’avanguardia» daranno sempre nei momenti cruciali, con un intuito eccezionale, la scalata ai vertici delle organizzazioni rivoluzionarie e degli or­ganismi espressi dalle lotte egualitarie.

Il marxismo in seguito fornirà la legittimazione teo­rica all’evoluzione di un certo tipo di dominio e quindi diventerà oggettivamente un veicolo del trasformismo, in particolare per l’intellighentia proletarizzata. L ’ap­parato del «partito proletario» perpetua l ’impostazio­ne giacobina, operando «per conto delle masse» sulle masse stesse. M arx, di formazione idealista, traspone in termini socialisti l ’idea di Hegel, il quale inchinan­dosi di fronte alla rivoluzione francese, definita «suberbo levar del sole», intravvide l ’idea di uno Stato che da espressione di una volontà generale divenisse strumen­to realizzatore della volontà universale (sorta di deus ex machina). Tutto ciò in M arx viene trasposto nello «Stato socialista», atto a garantire «il processo di estin­zione delle classi». M arx è stato definito «il M achia­velli del socialismo» (di Stato).

Nella sua analisi lo Stato è un apparato di dominio

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nato per consolidare e mantenere il potere delle classi egemoni: una struttura autoritaria nata come garante dello sfruttamento. Ciò nonostante ne prevede un uti­lizzo in chiave liberatoria, per l’emancipazione sociale. Lo Stato proletario appare quindi come una contraddi­zione di termini: si ipotizza l ’uso di uno strumento che si riconosce a priori come autoritario e fautore di coer­cizione, per favorire lo sviluppo della libertà. La logica coercitiva viene ulteriormente rafforzata dalla cosiddetta «dittatura del proletariato». Sfugge il fatto che tramite l’apparato di partito si possa produrre la rinascita di una classe di nuovi padroni. Questo è il tema delle critiche di Bakunin a Marx.

I marxisti, pur riconoscendo nei giacobini l’espres­sione di ideali ed interessi borghesi, non riescono che a copiarne i metodi, ma questi metodi non possono es­sere presi a parte dall’idea che li ha partoriti. Nono­stante le illusioni del M arx giovane, lo Stato socialista pianifica il dominio in una sorta di «idealism o» econo­mico sempre incompiuto, perpetuando la discriminazio­ne fra lavoro manuale ed intellettuale; con una sua bu­rocrazia e meritocrazia partitica, ripropone il ventaglio salariale e l’accesso solo per una minoranza al godimento di beni e servizi di lusso. Inoltre l’immaginario collet­tivo abituato alla dittatura sarà il meno adatto a conce­pire l’ autogestione.

Lo Stato proprietario sarà legittimato ad eliminare ogni contraddizione: il punto più debole di tutta la co­struzione marxiana, l ’utopia negativa, è nel pensare che

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lo Stato possa eleminarsi da solo. L ’anarchismo, vice­versa, propone la rottura immediata con la struttura del dominio, e la democrazia politica come autogoverno sen­za coercizioni rispetto a libertà d ’opinione e di speri­mentazione, l ’abolizione del lavoro salariato, l ’esempio comunista, ed imposta l ’attitudine all’autogestione già nelle strutture politiche che esprime.

Prima dei leninisti, anche i giacobini entrarono in crisi esercitando il potere: per alcuni la rivoluzione era stata innanzitutto un’esigenza sorta dalla base, le cui istanze dovevano venire appoggiate e solo mediate dal­l ’avanguardia. Furono i primi a sperimentare il patibo­lo. Viceversa i fautori di una rivoluzione interamente determinata e gestita da una élite, gli stessi che eresse­ro la ghigliottina, vennero poi massacrati a loro volta dai fautori degli interessi della borghesia maturati du­rante la rivoluzione, quando questi furono certi che non gli sarebbero più serviti. Questo è accaduto anche in U RSS e nelle rivoluzioni che il marxismo ha espresso. Le giustificazioni teoriche, come «il socialismo in un solo paese», sono un mascheramento di nuovi interes­si. L ’esperienza di Guevara, distaccatosi da Cuba (ed abbandonato nella sierra boliviana) perché contrario alla dipendenza dell’economia cubana da quella sovietica, è un esempio prodotto da un sistema che aveva assun­to in sé anche i caratteri dell’etnocentrismo e del colo­nialismo.

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I l ruolo del partito

Oltre le «buone intenzioni» rimane un dato di fat­to: un sistema di valori si esplicita, al di là dei fini, già nei mezzi che propone. E nonostante le cortine fumo­gene tese a celare quali «deviazioni» tutti gli errori, di­viene sempre più evidente un elemento fondamentale: le prime vere forme di «revisionismo» (e di riformismo) in campo socialista, nacquero e si propagarono proprio da quelle idee che prefigurarono come possibile un «uso rivoluzionario» dello Stato ai fini dell’emancipazione umana. Il «rivoluzionarismo» marxista-leninista espri­me un progetto altrettanto «revisionista« che la «social- democrazia», la quale trae pure origine da concezioni molto vicine al marxismo stesso, teorizzanti per la lot­ta politica l ’uso degli ingranaggi elettivi «rappresenta­tivi» concessi nell’ambito del capitalismo «classico» e la statalizzazione progressiva dell’economia e dei «ser­vizi», tramite «riforme di struttura», tanto che, per li­berarsi dalle strettoie di un diktat ingombrante, quando si vede costretta a rigenerare un discorso programma­tico di economia mista, la socialdemocrazia è altresì co­stretta ad abiurare completamente il marxismo (vedasi in Italia la «riscoperta» di Proudhon) ed a ricercare al­trove, tradizionalmente nel liberalismo o strumental­mente nell’anarchismo, un nuovo retroterra teorico.

Il marxismo garantisce di fatto nel corso degli anni la continuità di una linea autoritaria ed illibertaria, ove la pratica della sopraffazione e della calunnia contro gli

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oppositori viene elevata a sistema, poiché pur non aven­do una teoria della democrazia politica si considera unico depositario della vera scienza sociale.

Il percorso segnato deve seguire tappe obbligate; il piano economico è quello determinante: alla presunta mutazione dei rapporti economici viene subordinata in modo meccanico la trasformazione dei rapporti sociali. M a anche la trasformazione economica stessa viene de­mandata al dopo-rivoluzione. Neanche la rottura epo­cale basta al cambiamento e vi è quindi un doppio ri­mando: l’attuazione piena del comuniSmo è di là da ve­nire, non ha termini precisi la fase di transizione, che può così, come è avvenuto in U R SS, prolungarsi all’in­finito. Per l’immediato ci si avvale unicamente di una pratica politica che prende a prestito strumentalmente qualsiasi mezzo ritenga opportuno, se considerato uti­le in funzione della strategia della conquista del pote­re. Il programma dei partiti comunisti marxisti-leninisti è così riassunto. Non esiste nell’oggi uno sforzo teso a preconizzare una società futura già nei rapporti in­terni alle organizzazioni politiche e sindacali. Queste sono tutte strutturate specularmente a quelle reaziona­rie, in modo gerarchico e coercitivo.

Machiavellismo politico

Parallelamente il corpo sociale viene subordinato al partito. Prassi e teorie che si pongono in modo netta-

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mente antitetico rispetto a qualsiasi forma di organiz­zazione orizzontale ed autogestionaria espressa diret­tamente dalla società al di fuori del partito-guida. Si nega quindi già nell’oggi ciò che si dichiara di voler co­struire nel futuro, subordinando sin dal suo apparire al machiavellismo politico ogni lotta, ogni aspirazione, ogni esigenza espressa a livello di base. Tutto ciò che non è controllato dal partito viene vissuto necessaria­mente come potenziale fonte di pericolo, e sovente nella storia si vede come il comunismo di Stato abbia prefe­rito la distruzione ed il fascismo (vedi patto Molotov- Ribbentrop e l’assassinio della Spagna libertaria), al li­bero sviluppo del comunismo autogestionario.

Il partito, l’avanguardia, nella concezione giacobino­marxista, non possono mai essere del tutto assorbiti nel movimento dei lavoratori, non sono mai (differentemen­te dalla convinzione corrente) completamente interni al movimento «di classe» e tantomeno alle realtà cultu­rali e d ’opinione, giudicate come secondarie anche se utili strumentalmente. E ssi esistono per dirigere, codi­ficare, analizzare e pianificare. La promozione di con­flittualità è unicamente strumento del potere, potere in primo luogo di gestire secondo parametri predeter­minati la conflittualità stessa.

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Nuova sinistra e problema dell’etica

La «nuova sinistra», alle prese con l ’intransigenza delle «chiese madri», non ha fatto altro che riproporre le forme più sclerotiche di avanguardismo. Strategie po­litiche che, di fase in fase, sono passate da un velleita­rismo opportunista e parlamentare (fronte popolare con le sinistre tradizionali) ad un avventurismo senza sboc­chi («tanto peggio, tanto meglio»). Non ci si può scor­dare, per rimanere al nostro paese, delle azioni deliranti messe in atto senza tenere nel minimo conto i livelli obiettivi di crescita e comprensione delle masse sfrut­tate, le prevaricazioni operate a più riprese sulla volon­tà collettiva, la proposizione di strategie calate dall’alto, il militarismo di maniera, la grossolana retorica movi­mentista mascherante la realtà di occulti gruppi diri­genti «professionali» intenti a manovrare il ribellismo, ad emettere sentenze «in nome del popolo», oppure a giudicare secondo parametri squisitamente dottrinari la giustezza o meno delle richieste e delle tensioni espres­se dalla società civile e dal mondo del lavoro.

Tutte «amenità» nate e vissute sotto il segno della «autonomia del politico», con il suo congenito disprez­zo per l ’etica.

La causa è nell’arroganza di un sistema totalitario che ha prodotto mostri ovunque è comparso sulla sce­na: Castro che sottopone gli omosessuali ad elettroshock non è diverso da Poi Pot, da M ao che stermina la C o ­mune di Canton, né dai vari Togliatti, Longo e Vidali

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che dirigono gli assassini e i torturatori pugnalando al­le spalle la rivoluzione spagnola. Un vero e proprio fa­scismo rosso, che anche dalla «nuova sinistra» è stato introiettato e riproposto in modo esaltato ed enfatico per lunghi decenni.

E davvero assai singolare che tendenze, fanatismi ed una forma mentis di tale genere abbia potuto accom­pagnare così da vicino, in un insieme schizofrenico, mo­vimenti d ’emancipazione e realtà giovanili che hanno trasformato il costume ed i rapporti umani sul piano del personale. L ’affrancamento dal giogo del lavoro sa­lariato ed alienante, dalle ruolizzazioni forzate, dal­l’impostazione sessuale e sessista, la lotta per la libertà d ’espressione e di comunicazione a tutti i livelli, anche religiosa, per i sottovalutati diritti umani e delle etnie, il rinnovamento artistico ed il rispetto per l’unicità del­l ’individuo e le sue prerogative, che masse intere han­no perseguito, facevano veramente a pugni con l’incubo di una simile intolleranza annunciata. Ricordiamoci del «realismo socialista», dei matrimoni di partito, via via sino agli scontri per bande.

Un passo in avanti

Di fronte ad esiti inconfutabili e che parlano chia­ro, occorre sedimentare una coscienza radicalmente di­versa e realmente rivoluzionaria, capace finalmente di fare terra bruciata attorno all’intolleranza. Occorre d i­

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struggere, una volta per sempre, il terreno di coltura di simili aberrazioni, fertilizzato dagli schieramenti dog­matici ed incomunicanti, da «scelte di campo» omolo­gate ed appiattite secondo i canoni di massimalismi di maniera pronti a dare la priorità alla demagogia barri­cadiera di «avanguardie» che hanno piegato a volte an­che il campo libertario ad un’attitudine acritica, in uno scontro apparente fra concezioni del mondo in realtà complementari una all’altra. Che dava così poco peso alla libertà, in una scala di valori sfalsata, secondo la quale dittatura e democrazia sarebbero la stessa cosa; in un internazionalismo piatto dove per forza il «bene» doveva essere tutto da una parte rispetto a sistemi di dominio complessivamente a noi estranei. Restringen­do l ’attenzione critica sui valori della rivoluzione ai mi­nimi termini e piegando la strategia della libertà a scadenze e scansioni non sue.

Ancora oggi si scontano simili impostazioni in una visione deformata della questione mediorientale, in un appoggio acritico ai sandinisti nicaraguensi (anche quan­do vietano il diritto di sciopero) o magari addirittura a Gheddafi e Saddam Hussein, nel silenzio totale sul Tibet, in una rinuncia a combattere con ugual forza i totalitarismi imperanti e discernere con capacità criti­ca le differenze fra i sistemi di dominio. Una diminui­ta precisione d ’analisi che ha reso difficile l ’operare in realtà che sono di fatto diverse e differenti nelle con­traddizioni interne.

La svolta epocale è gravida di incognite e dei rischi

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di una ristrutturazione planetaria apertamente mono­direzionale. Ma nessuno si sente orfano: alla storia si risponde con atti politici, non accusando il destino o il solito «nemico di classe». Il collettivismo burocrati­co è in via di estinzione perché sin dall’inizio si è con­frontato sullo stesso terreno e con gli stessi metodi con un sistema che è divenuto il suo alter ego: non aveva alterità da contrapporre.

Dopo una pesante cappa di piombo, il mondo ha fatto un passo in avanti, non foss’altro perché il movi­mento d ’emancipazione va affrancandosi dalle catene interne di una grande menzogna planetaria: il marxi­smo politico. L ’analisi economica di M arx mantiene un significato storico nella denuncia dello sfruttamento, ma perde l’aura ieratica, la saccenza sacerdotale dello scien­tismo, ed il significato millenarista che le erano stati attribuiti, costretta di nuovo alla più terrena dimensione empirica, mentre riemergono non smentite dalla storia le impostazioni proudhoniana, bakuninista e malatestia­na. Ed al di là di ciò, nel domani non si affermerà mai più un’utopia totalitaria che d ’ora in poi è attesa solo da rigurgiti senza speranza.

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Bibliografia essenziale

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T rotzsk i L ., La rivoluzione russa, ed. M ondadori, 1946.M ett I . , La comune di Kronstadt, ed. A zione Com une, 1962.Shap iro L ., L ’opposizione nello Stato sovietico, ed. L a N u o ­

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(...) Nello Stato popolare del sig. Marx, ci dicono, non ci sarà affatto classe privilegiata. Tutti saranno uguali, non soltanto dal punto di vista giuridico e politico, ma anche dal punto di vista economico. Almeno lo si promette, ben­ché dubiti molto che, con la piega che ha preso e nella strada che vuole seguire, possa mantenere mai la sua promessa. Non ci saranno dunque più classi, ma un governo, e, no­tatelo bene, un governo eccessivamente complicato, che non si accontenterà di governare e di amministrare politi­camente le masse, come lo fanno oggi tutti i governi, ma che, in più, le amministrerà economicamente, concentrando nelle sue mani la produzione e la giusta ripartizione delle ricchezze, la coltivazione delle terre, la costruzione e lo sviluppo delle fabbriche, la organizzazione e la direzione del commercio, infine, la destinazione del capitale alla pro­duzione tramite l’unico banchiere, lo Stato. Tutto ciò esi­gerà una scienza immensa e molte teste traboccanti di cervello in questo governo. Sarà il regno dell’ intelligenza scientifica, il più aristocratico, il più dispotico, il più arro­gante e il più sprezzante di tutti i regimi. Ci sarà una nuo­va classe, una nuova gerarchia di sapienti reali e fittizi, e il mondo sarà diviso in una minoranza, dominante in no­me della scienza, ed un’immensa maggioranza ignorante. E allora guai alla massa degli ignoranti! (...) Vedete bene che dietro tutte le frasi e tutte le promesse democratiche e socialiste del programma di Marx, si trova, nel suo Sta­to, tutto ciò che costituisce la natura dispotica e brutale propria di tutti gli Stati, qualsiasi sia la forma del loro go­verno (...).Michail Bakunin, Opere complete, voi. Ili, Edizioni Anarchismo, Catania 1977, pagg. 246/247.

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Indice

Come premessaPerché sono anarchico................................................................. 5Manifesto ateista.......................................................................... 7Il mio dio ..................................................................................... 11Manifesto anarchico..................................................................... 12La gioventù anarchica: Compagni!............................................. 14Sorgi!.............................................................................................. 16Per che cosa ci battiamo............................................................ 17Un appello per l ’anarchia........................................................... 21Dove c ’è autorità non c'è libertà.............................................. 22

Ugo Fedeli - T ratti bio-bibliografici....................................... 26

Dalla insurrezione dei contadini in Ucraina alla rivolta di Cronstadt

Prefazione di M ario M antovani alla prima ed iz ion e....... 35

Parte primaIl movimento Makhnovista nella rivoluzione d’Ucraina

G li anarchici e la Rivoluzione ru ssa ....................................... 39L ’Ucraina e il M ovim ento insurrezionale M akhnovista.. 49G li anarchici e il movimento insurrezionale....................... 71N estor M akhno e il movimento anarch ico .......................... 81

Parte seconda La rivolta di Cronstadt

C ronstadt e la rivoluzione r u s sa .............................................. 96La rivolta di C ro n stad t............................................................... 103G li anarchici e la Comune di C ro n stad t............................. 120

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Appendice 1 - TestimonianzeDue lettere di Kropotkin a Lenin............................................ 128Messaggio di Kropotkin ai lavoratori dell’Occidente.............. 133Il mito bolscevico (di Alexander Berkman)............................ 140La mia delusione in Russia (di Emma Goldman).................. 142

Appendice 2Né Marx, né Lenin, né Stalin, né Mao (di Stefano Fabbri)... 144

Bibliografia essenziale....................................................................... 163

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La bandiera dell’armata makhnovista. La scritta, in 1 ingua ucraina, dice: «Mor­te a tutti coloro che ostacolano i lavoratori nella conquista della libertà».

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(...) Noi non crediamo alla morte naturale o fatale dello Stato, co­me conseguenza automatica dell’abolizione delle classi. Lo Stato non è soltanto un prodotto della divisione di classe: ma è esso stesso a sua volta un generatore di privilegi, riproduce così nuove divisioni di classe. Marx era in errore nel ritenere che, abolite le classi, lo Stato dovesse morire di morte naturale, come per mancanza d ’ali­menti. Lo Stato non cesserà d ’esistere se non lo si distruggerà di deliberato proposito, allo stesso modo che non cesserà d ’esistere il capitalismo, se non lo si ucciderà espropriandolo. Lasciando in pie­di uno Stato, esso genererà intorno a sé una nuova classe dirigente, se pure non avrà preferito riappacificarsi con l ’antica. In sostanza finché lo Stato esisterà le divisioni di classe non cesseranno e le classi non saranno mai definitivamente abolite (...)( ...) Probabilmente si crede che il decentramento delle funzioni si­gnifichi sempre e ad ogni costo lo spezzettamento della produzione, e che la produzione in grande, l ’esistenza di vaste associazioni di produttori, sia impossibile senza l’accentramento della loro gestio­ne in un ufficio unico centrale, secondo un unico piano direttivo. Questo sì che è infantilismo. I comunisti marxisti, specialmente i russi, sono ipnotizzati a distanza dal miraggio della grande industria d ’Occidente e d ’America, e scambiano per organismo di produzio­ne ciò che è esclusivamente un mezzo di speculazione tipicamente capitalista, un mezzo per esercitare lo sfruttamento con più sicu­rezza; e non s ’accorgono che questa specie d ’accentramento, lungi dal giovare alle vere necessità della produzione, è invece proprio ciò che la limita, la ostacola e la frena a seconda dell’interesse capitali­stico (...)( ...) Ma si capisce che se all’accentramento nel governo, più o me­no dittatoriale che sia, di tutti i poteri militari e politici, si aggiun­gesse l’ accentramento economico della produzione, vale a dire lo Stato fosse nel tempo stesso carabiniere e padrone, e l ’officina fos­se anche una caserma, allora l ’oppressione statale diverrebbe intol­lerabile — e le ragioni di osteggiarla da parte degli anarchici sarebbero moltiplicate. Purtroppo, è questo lo sbocco evidente della via per cui si sono messi i comunisti autoriati. Né essi stessi lo negano (...)

Luigi Fabbri, Anarchia e comunismo «scientifico», 1922


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