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uis T imes Periodico trimestrale registrato il 9/2/2010 presso il Tribunale di Ferrara al numero 4 Patto per la salute: vera riforma della sanità Intervista al Ministro della Salute Beatrice Lorenzin N. 7 Dicembre 2014 Caro Diario... I raccon di Eva Prepararsi ad una buona senescenza si può! Idratazione e corretta alimentazione migliorano lo stato di salute e la qualità della vita degli anziani Difendersi dall’Alzheimer a tavola con gli omega 3 Case famiglia Opportunità o rischio? Un cane per sorridere ancora… La pet-therapy nelle struure per anziani
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uisTimesPeriodico trimestrale registrato il 9/2/2010 presso il Tribunale di Ferrara al numero 4

Patto per la salute: vera riforma della sanitàIntervista al Ministro della Salute Beatrice Lorenzin

N. 7 Dicembre 2014

Caro Diario... I racconti di Eva

Prepararsi ad unabuona senescenza si può!

Idratazione ecorretta alimentazionemigliorano lo stato di salute e la qualità della vita degli anziani

Difendersi dall’Alzheimera tavola con gli omega 3

Case famigliaOpportunità o rischio?

Un cane per sorridere ancora…La pet-therapy nelle strutture per anziani

3 Cari lettori editoriale di Marco Fasolino

4 Patto per la salute vera riforma della sanità Intervista al Ministro della Salute Beatrice Lorenzin

6 Prepararsi ad una buona senescenza si può! Dott.ssa Maria Angela Molinari

9 Difendersi dall’Alzheimer a tavola con gli omega 3 Dott.ssa Claudia Brattini

10 Le Iene intervistano Marco Marchetti Educatore Professionale

12 Vita dei tempi andati di Luciana Baraccani

14 Un cane per sorridere ancora… Dott.ssa Marina Casciani

16 La sedia di Lulù Un legame prezioso e unico tra un cane e la sua pradrona disabile

17 Una rete di servizi nei settori socio-assistenziale e socio-sanitario residenziali per anziani Dott. Gianluigi Pirazzoli

18 Poggio al Vento Storia di un convento cappuccino diventato residenza per anziani fr. Piero Vivoli

20 L’importanza della disinfezione nelle strutture socio sanitarie di Ori Juri e Isidoro Andrea

22 Case Famiglia di Giuliano Fasolino

24 Caro Diario L’angolo di Eva

26 Il ruolo del logopedista nelle strutture residenziali per anziani Dott.ssa Costanza Genna

28 Il Benessere della Persona inizia con una corretta igiene e prevenzione dermatologica Dott. Antonio Calvisano

30 Idratazione e corretta alimentazione Dott.ssa Seksich Elena

32 Domande agli esperti di Terzaeta.com

34 La dignità del paziente demente Dott.ssa Paola Milani

Direttore ResponsabileMarco Fasolino

[email protected]

Art Director e Progetto GraficoMassimo Zizi

[email protected]

Segreteria di RedazioneMaria Rosa Milani

[email protected]

Hanno collaborato a questo numeroLuciana Baraccani, Claudia Brattini, Antonio Calvi-sano, Marina Casciani, Giuliano Fasolino, Costan-za Genna, Andrea Isidoro, Marco Marchetti, Eva

Merola, Paola Milani, Maria Angela Molinari, JuriOri, Gianluigi Pirazzoli, Elena Seksich, fr. Piero Vivoli

StampaLitografia Fabbri

Ufficio DistribuzioneUfficio commerciale di distribuzione

EditoreSirte Srl

P.zza Bassani 1, 44020 - Ostellato (Ferrara)

Direzione EditorialeConsorzio Sollievo

Immagini e FotoAlcune immagini sono state acquisite daalbum privati. Si ringraziano i proprietari

Pubblicità[email protected]

SommarioTrimestrale - Anno 2014 Mese Dicembre - Numero 7

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tra le grandi necessità che emergono dalla società odierna, la cura degli anziani, in particolar modo quella ai non autosufficienti, rappresenta una delle maggiori sfide da sostenere per il prossimo futuro.

Nel 1992 in Italia vi erano 1 milione 978 mila anziani ultra 80enni, nel 2010 sono diventati 3 milioni 500mila, con un aumento di circa il 76%, il tutto in un quadro di notevole difficoltà dello Stato So-ciale, dovuto alle scarse risorse destinate all’assistenza che, oltre ad essere insufficienti, sono anche in continua diminuzione.

Siamo dunque in una fase delicata, in cui è percezione diffusa tra gli operatori dei servizi sociosa-nitari (e i primi dati disponibili lo confermano, ad es. l’azzeramento delle liste d’attesa nelle case di riposo), che la crisi ha delle serie ripercussioni sulla vita delle singole persone e su quella delle famiglie.

Queste nuove condizioni portano le famiglie, e in particolar modo le donne over50 che faticano a ricollocarsi nel mondo del lavoro, a farsi carico di genitori anziani molto più che fino a qualche anno fa, in cui si registrava un’inversione di tendenza.

Dunque, da un lato, la riduzione dell’intervento pubblico e l’inevitabile aumento dei costi dei servizi residenziali spostano la ricerca di soluzioni sulla badante, dall’altro, la crisi nei bilanci familiari e le difficoltà economiche portano le famiglie a trovare al proprio interno le soluzioni più adeguate. Ne è testimonianza il fatto che per la prima volta è diminuito il numero delle badanti che lavorano nelle case degli anziani bisognosi: 4mila in meno. Sono i segnali di una inversione di tendenza rispetto a un fenomeno consolidato nel lungo periodo, per cui le risorse familiari hanno compensato una offerta del welfare pubblico che si riduceva.

Ma sappiamo bene che badare non basta. Non basta perché ci vogliono capacità e impegno nell’as-sistere un anziano non autosufficiente. Non basta in quanto ogni intervento individuale finisce per rivelarsi insufficiente, una lotta solitaria tra infinite difficoltà.

Quello di cui c’è bisogno sono, dunque, politiche mirate: rifinanziamento del Fondo per la non au-tosufficienza (aumento da 250 a 400 milioni di euro annui previsto dalla legge di Stabilità), ridefini-zione dei livelli essenziali di assistenza (lea) e una equa riforma dell’indennità di accompagnamen-to, legge oramai vecchia di oltre 30 anni (Legge 18 del 1980), rivelatasi una misura iniqua e poco efficace in termini di aiuto concreto alla non autosufficienza. Notevole in termini di copertura del bisogno (ne beneficia più del 10% degli anziani), ma completamente disgiunta dalla rete dei servizi territoriali, sociali e socio-sanitari.

Servirebbe una misura nuova che aumenti gradualmente i benefici erogati in relazione a livelli di-versi di non autosufficienza e di reddito, e che incentivi l’utilizzo delle risorse per usufruire di ser-vizi. Concorrendo così, e non è cosa da poco, sia alla regolarizzazione del mercato sommerso delle badanti, sia allo sviluppo occupazionale dei servizi alla persona.

Cari Lettori,

Marco Fasolino Direttore [email protected]

Editoriale

Quis Times - Anno 2014 - Mese Dicembre - Numero 7

Buongiorno Ministro Lorenzin, lei così giovane oc-cupa uno dei Dicasteri, quello della Sanità, tra i più importanti del Governo italiano? Come ci si sente?«Sono onorata di essere stata nominata, e poi ricon-fermata, alla guida della Salute e sento molto forte la responsabilità che questo comporta. Guidare la salu-te significa fare scelte che incidono sulla vita di circa 60 milioni di persone, una responsabilità enorme che ho affrontato sin dal primo momento con serietà e rigore. Non nascondo che spesso non riesco a dormire la notte. Mi sveglio alle quattro del mattino, assalita da pensieri o nuove idee. Ma sono contenta: che cosa potrei fare di più, cosa c’è di più importante di tutela-re la salute delle persone?» La sua più grande soddisfazione da ministro?«Sono più di una. Innanzitutto quella di avere la possi-bilità di dare risposte concrete alle storie di solitudine, speranza e paura raccolte durante le mie visite negli ospedali e nelle strutture sanitarie italiane. E poi es-sere ministro nel momento in cui viene scoperto un farmaco in grado di sconfiggere in quattro settima-ne di cura una malattia come l’epatite C, che colpisce ogni anno centinaia di migliaia di persone, ed avere la possibilità di incidere sulle scelte per erogarlo gra-tuitamente a tutti, salvando la vita di coloro che ne sono colpiti. Credo che questa sia la soddisfazione

più grande. C’è poi un’altra cosa che mi ha toccato profondamente il cuore: la tenerezza che ho scoperto tra gli anziani, il loro bisogno di essere e di sentirsi ancora utili e attivi. Mi fanno riflettere sulla mia vita, ma anche sull’importanza dell’umanizzazione delle cure, di quello che si può fare anche con un semplice gesto quotidiano come una carezza. Un’altra cosa di cui sono fiera, è quella di aver firmato con le Regioni il Patto per la salute, una vera riforma della sanità, attesa da sei anni, finalizzata a migliorare la qualità dei servizi, a promuovere l’appropriatezza delle pre-stazioni e a garantire l’unitarietà del sistema in modo che non ci siano più regioni di serie A e regioni di serie B.»

A proposito di Patto per la salute. Come cambierà il Sistema Sanitario Nazionale? Quali sono i punti fo-cali di questa riorganizzazione?«Innanzitutto con l’Accordo firmato abbiamo messo in sicurezza il sistema sanitario italiano per le prossime generazioni e abbiamo gettato le basi per donare un nuovo volto alla nostra sanità. È stato il mio obiettivo sin dal principio del mio mandato. Abbiamo dato un budget certo per i prossimi tre anni e sancito il prin-cipio che le risorse recuperate dalla lotta agli sprechi e dalla “spending review” interna siano reinvestite in sanità.»

Patto per la salute:

vera riforma della sanitàIntervista al Ministro della Salute Beatrice Lorenzin

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Quis Times - Anno 2014 - Mese Dicembre - Numero 7

Ci faccia qualche esempio concreto.«Con il Patto abbiamo affrontato i grandi temi del-la sanità. Dalla programmazione triennale dei costi standard e dei fabbisogni regionali, che consente di avviare e implementare politiche di innovazione del SSN sul territorio, alla revisione del sistema di com-partecipazione (ticket), alla definizione degli standard relativi all’assistenza ospedaliera, che, unitamente all’assistenza sanitaria transfrontaliera, all’aggiorna-mento dei LEA ed alla reale promozione dell’assisten-za territoriale, costituiscono i pilastri su cui fondare tutte le iniziative necessarie per garantire la tutela della salute a tutti i cittadini uniformemente sul ter-ritorio nazionale. Se dovessi indicare due novità, la prima sono le centrali uniche di acquisto che permet-teranno di risparmiare un sacco di soldi alle regioni, la seconda, è che vogliamo togliere alla politica le no-mine dei direttori generali e dei primari che devono essere fatte in base a competenze accertate. Il Patto sarà governato da una Cabina di regia che ne garan-tirà il monitoraggio costante e verificherà l’attuazione di tutti i provvedimenti, avvalendosi di un apposito Tavolo tecnico, istituito presso l’Agenas.»

L’invecchiamento della popolazione, la medicina personalizzata, rendono necessaria una riorganizza-zione di una rete d’assistenza più efficiente e capilla-re. Cosa si sta facendo in tal senso? «È sempre il Patto della salute che è in grado di ri-spondere a queste sfide: la riorganizzazione degli ospedali, la sanità digitale, il potenziamento del ter-ritorio e dell’assistenza domiciliare, il ruolo più forte per i medici di base e il coinvolgimento delle farmacie quali erogatrici di servizi, l’umanizzazione delle cure, daranno un nuovo volto al sistema sanitario e all’as-sistenza.» Recentemente ha affermato che sarà l’e-health a sal-vare la Sanità. È cosi?«L’e-health rappresenta sicuramente uno strumento per poter contribuire alla sostenibilità del Sistema sa-nitario. La sanità elettronica è fondamentale perchè offre una maggiore vicinanza al cittadino e consente, attraverso la disponibilità dei dati, di avere una mag-giore trasparenza. La disponibilità di dati consente infatti di avere una sanità “misurata” e che possa es-sere trasparente e nell’ottica della lotta agli sprechi. Mettere in rete tutte le strutture sanitarie, gli ospeda-li, i medici, le asl, le cliniche, permetterà di monitorare

l’efficienza delle strutture e delle prestazioni, con la possibilità di avere un controllo diretto su eventuali criticità presenti e poter intervenire tempestivamente quando conti o livelli di assistenza non sono adegua-ti.»

Ministro Lorenzin, parliamo anche di ECM e di for-mazione a distanza: un tema importante per la sani-tà di domani?«L’aggiornamento costante dei professionisti della sa-lute è fondamentale affinché essi possano rispondere ai bisogni dei pazienti, alle esigenze del Servizio sa-nitario nazionale e al proprio sviluppo professionale. Tutti noi condividiamo la convinzione che ciascun ope-ratore sanitario debba garantire ai pazienti la miglio-re offerta di servizi possibili: la formazione continua in medicina ci aiuta a rendere possibile il raggiungimen-to di questo obiettivo.»

C’è qualcosa che invidia a qualche suo collega euro-peo? C’è qualche modello sanitario a cui ispirarsi? «No. Siamo così abituati a parlare male dell’Italia che non conosciamo le nostre eccellenze. Bloomberg re-centemente ci ha indicati come il primo Sistema sa-nitario d’Europa per efficienza dei servizi e il terzo al mondo. Prima di noi ci sono soltanto Hong Kong e Sin-gapore, due Paesi piccoli con un grande investimento in sanità. Questo riconoscimento all’efficienza del si-stema sanitario italiano non ci stupisce perchè siamo stati per decenni in vetta alle classifiche dell’Oms. Ora dobbiamo impegnarci per tornare ad essere il nume-ro 1. Per farlo occorre efficienza nella gestione delle risorse e puntare a qualità e trasparenza del sistema. Il Patto per la salute che abbiamo approvato è uno strumento per farlo, ora insieme alle Regioni bisogna però renderlo operativo.»

Marco FasolinoDirettore Responsabile Quis Times

Nata a Roma il 14 ottobre 1971, l’on. Beatrice Lorenzin è Ministro della Salute nel Governo Renzi dal 22 febbraio 2014. Ha guidato il Ministero della Salute anche nel Governo presieduto da Enrico Letta, dal 28 Aprile del 2013 fino alla na-scita del nuovo Governo. Nel 2008 è eletta alla Camera dei deputati nella lista PdL. Alle elezioni politiche del 24-25 febbraio 2013 è stata riconfermata deputata alla Camera.

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Prepararsi ad una buona senescenza si può!

Ogni mattina ci basta aprire gli occhi per avere la pie-na consapevolezza di ciò che siamo, degli impegni della giornata, dei progetti e dei desideri che ci ap-partengono: per ciascuno di questi momenti di vita la maggior parte di noi non possiede nessuna consape-volezza delle operazioni che il cervello deve svolgere per assolvere a questi compiti. Fino a quando qualche meccanismo che sovrintende a tutte queste attività non si rompe, come accade nelle Demenze. In questi quadri clinici attività semplici, scontate, che abbiamo svolto senza alcuno sforzo, diventano lentamente, ma in modo inesorabile, complesse, confuse, richie-dono un impegno sempre maggiore. Nelle patologie dementigene (Alzheimer, demenze fronto-temporali, demenze correlate a patologie extrapiramidali, ect…) i meccanismi che producono una alterazione del fun-zionamento cerebrale sono molteplici. Nell’Alzheimer,

per esempio, riguardano la perdita di cellule cerebrali (neuroni), che determina il quadro di atrofia cerebra-le, associata al formarsi di placche anomale extracel-lulari, determinata dall’accumulo di frammenti di una proteina (ß amiloide) e dalla costituzione di grovigli all’interno dei neuroni di una forma anomala della proteina Tau. In relazione alle aree cerebrali interessate da que-sti processi patologici si manifestano deficit diversi. Infatti ogni abilità cognitiva (memoria, linguaggio, attenzione, orientamento nello spazio e nel tempo, capacità di risolvere problemi, di pianificare le azioni) ha sede in un’area del cervello o più frequentemente, è il frutto dell’attività di un network neuronale (Im-magine 3).

I diversi quadri di Demenza differiscono tra loro in

Crearsi nell’arco della propria vita una “riserva cognitiva” attraverso una intensa vita intellettuale, attività fisica, buona vita sociale, niente sostanze alcoliche e/o psicoattive e riduzione dei fattori di rischio cardiovascolare, aiuta a vivere una vecchiaia serena.

Immagine 1: A sinistra un cervello normale a destra un cervello atrofico

Immagine 2: A sinistra una sezione coronale del cervello di un paziente con Alzheimer e a destra di un soggetto sano

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funzione dei meccanismi cellulari che le determina-no, delle aree cerebrali e delle funzioni che vengono perdute e della loro evoluzione che è sempre ingra-vescente; in tutte le manifestazioni cliniche l’esito è di una perdita progressiva di tutte le funzioni cognitive e la conseguente necessità di supervisione dapprima per le attività più complesse (gestione finanziaria) e successivamente di accudimento anche per le attività più semplici della vita quotidiana (igiene personale).Nelle Demenza di Alzheimer, la più frequente, il di-sturbo iniziale è di tipo mnestico: il paziente dimen-tica eventi accaduti recentemente, ma ricorda per-fettamente ciò che è avvenuto molti anni prima. Ha difficoltà a ricordare impegni, è ripetitivo nelle richie-ste, poiché non ricorda di averle già formulate, né il contenuto delle risposta che gli è stata fornita. Quella che comunemente definiamo memoria è di-stinta in diverse componenti: esistono infatti, tra le altre, una memoria episodica, semantica, autobiogra-fica e procedurale che si disgregano in questo ordine nel processo dementigeno. Ricordare esattamente dove abbiamo trascorso que-sta estate le nostre vacanze è una competenza di tipo episodico, mentre riferire qual è la capitale della Francia, chi era Napoleone o che le ciliegie contengo-no il nocciolo, impegna la memoria semantica. Rie-vocare il nome della nostra maestra delle elementari richiede l’attivazione della memoria autobiografica e

di quella procedurale quando ad esempio decidiamo di andare in bicicletta. Ma la memoria non è la sola funzione che viene dan-neggiata. Chi ha esperienza con questi pazienti avrà certamente notato che anche il linguaggio non è in-denne. Una delle caratteristiche del loro eloquio è la difficoltà a mantenere il filo del discorso, a recuperare le parole, per cui spesso sono evidenti degli inceppi o la produzione di vocaboli che sostituiscono il termine desiderato, avendo o meno attinenza con quest’ulti-mo, a comprendere il contenuto delle conversazioni che a volte devono essere ripetute, riformulate in modo più semplice e chiaro. Il processo attraverso il quale siamo in grado di comprendere una parola, di leggerla o di scriverla prevede diversi passaggi: com-prendiamo per esempio la parola “cane” indipenden-temente dal modo in cui è scritta (CANE, cane, cane), ne recuperiamo automaticamente i suoni (ad esem-pio la “c” di cane non è uguale alla “c” di chiesa), il significato (animale, ha quattro zampe, ha la coda, abbaia) e, se dobbiamo scriverla, i singoli grafemi che dobbiamo produrre. In alcuni tipi di Demenza, le Afasie Primarie Progres-sive, è proprio il linguaggio ad essere, contrariamente a quanto accade nell’Alzheimer, la prima funzione ad essere alterata. In altri casi il processo dementigeno inizia nelle aree frontali e si manifesta con modificazioni del carattere

Comportamento,Ragionamento,Attenzione,Emozioni,Problem Solving

Riconosce oggetti e volti

Linguaggio eMemoria

Abilità gestuale(vestirsi, organizzaresequenze motorie)Orientamento spazio-temporaleCalcolo

Immagine 3

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e della personalità, per cui il paziente appare ai fa-miliari diverso da quello che è sempre stato. Persone tranquille, accomodanti, pazienti, rispettose delle re-gole sociali, divengono lentamente irritabili, in conte-sti pubblici hanno comportamenti inadeguati, modi-ficano le loro abitudini alimentari (mangiano cibi che prima non amavano, si alimentano con le medesime pietanze, diventano voraci) e/o sessuali, il rapporto con il denaro, il ritmo sonno-veglia o ancora manife-stano il desiderio di collezionare/conservare oggetti di scarsa utilità; in altri casi invece le modificazioni del comportamento di una demenza in fase iniziale possono esprimersi con l’apatia, l’inerzia, una perdi-ta della motivazione di entità tali da mimare una de-pressione. Ai disturbi del comportamento di origine frontale possono associarsi in qualche occasione anche alte-razioni cognitive peculiari: il paziente può non esse-re in grado di rispondere in modo efficace a nuove richieste dell’ambiente, pianificare azioni, prendere decisioni, svolgere in modo corretto più azioni con-temporaneamente. Spesso in questi quadri clinici uno degli elementi caratterizzanti è che i pazienti non hanno alcuna consapevolezza né delle manifeste difficoltà cognitive, né delle alterazioni del compor-tamento, rendendo quindi particolarmente difficile per i familiari sia l’inizio di un percorso diagnostico-terapeutico che di gestione del malato.In alcuni casi l’evoluzione di queste patologie deter-mina anche la manifestazione di particolari deficit: il mancato riconoscimento di oggetti o di volti. Il pro-cesso attraverso il quale riconosciamo un volto, gli attribuiamo la corretta etichetta verbale (nome) e ne rievochiamo le informazioni è piuttosto complesso. Discriminare i volti, che hanno tutti gli stessi elementi costituenti (occhi, naso, bocca) è per il genere uma-no fondamentale. Infatti un’area del nostro cervello, il giro fusiforme, è deputata all’elaborazione di questo tipo di stimoli. Quando ci troviamo di fronte ad una nuova persona della quale dobbiamo conservare in memoria il viso, è necessario costruirne una immagi-ne mentale che ci permetterà di riconoscerlo sempre di profilo, di fronte, con i capelli lunghi o raccolti, con un’espressione triste o felice, attribuire a quel viso il nome corretto e tutte le informazioni che lo riguar-dano. Lo stesso processo avviene in modo simile per gli oggetti, sebbene le aree cerebrali coinvolte siano diverse e, per questa classe di stimoli, sia necessario recuperare altre informazioni: come si usa e a che cosa serve l’oggetto. In alcuni casi i pazienti non solo

non riconoscono più le persone con cui hanno rap-porti sporadici ma, nelle fasi avanzate della malattia, non riconoscono più i familiari, né sono in grado di utilizzare gli oggetti nel modo corretto.La perdita progressiva di abilità cognitive, ed in parti-colare di quelle che hanno un forte impatto sulla vita quotidiana ed il sentimento di impotenza, di frustra-zione avvertito dai familiari dei pazienti, rende la de-menza una patologia “familiare”. Prendersi cura di un paziente impone, nelle fasi diverse della malattia, un continuo adattamento strategico ai sintomi che si manifestano. Dalle fasi iniziali in cui è necessaria una supervisione di tutte le attività per evitare che il paziente si smarrisca, che compia azioni nocive o pericolose per sé o per gli altri o per indurlo a svol-gere attività che rifiuta (lavarsi), si giunge nelle fasi avanzate ad occuparsi del paziente che deve essere completamente accudito. Nel 1999 la Regione Emilia-Romagna ha deliberato il Progetto Regionale Demenze, che prevedeva la costi-tuzione di percorsi diagnostici preferenziali, la crea-zione di Consultori dedicati per una diagnosi precoce e di una rete di servizi integrati socio-sanitari. In que-sti 14 anni di applicazione, ciascuna delle 8 aziende USL della nostra Regione ha applicato questa delibera in modo differente, ma certamente deve essere rico-nosciuta all’ente locale la capacità di aver colto la ne-cessità di dedicare attenzione e risorse ad una patolo-gia estremamente diffusa, destinata a crescere negli anni futuri a causa dell’aumento medio dell’aspettati-va di vita, l’invecchiamento costituisce infatti il mag-gior fattore di rischio. Nonostante sia dimostrato che nell’età avanzata alcune abilità cognitive tendano a deteriorarsi (difficoltà ad apprendere nuove informa-zioni, ad elaborarle rapidamente, ad adottare risposte adeguate in contesti inusuali) è altrettanto vero che ci si può preparare ad una buona senescenza. Creare, nel corso di tutto l’arco di vita una “riserva cogniti-va” con una intensa vita intellettuale, attività fisica, buona vita sociale, curiosità intellettuale, astinenza dall’assunzione di sostanze alcoliche e/o psicoattive e ridurre i fattori di rischio cardiovascolare (iperten-sione, diabete, colesterolo), determina la formazione di nuove connessioni neuronali che garantiscono una elevata resilienza in caso di danno neuronale.

Dott.ssa Maria Angela MolinariResponsabile Ambulatorio di Neuropsicologia

AUSL di Modenamail: [email protected]

Quis Times - Anno 2014 - Mese Dicembre - Numero 79

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IL morbo di Alzheimer è forse la forma più comune di demenza degenerativa della popolazione anziana che colpisce progres-sivamente le cellule cerebrali fino a causa-

re un deterioramento delle capacità cognitive.La malattia si può contrarre dopo i 65 anni di età, ma il rischio cresce con l’avanzare degli anni. Infatti si sti-ma che circa il 20% delle persone sopra gli ottanta-cinque anni ne sia afflitta. Spesso l’esordio è insidio-so e difficilmente riconoscibile dalle persone vicine al paziente.A poco a poco l’individuo colpito dalla malattia per-de la capacità di ricordare avvenimenti recenti fino a avvertire uno stato di confusione, la difficoltà di lin-guaggio, l’irritabilità e la perdita della memoria a lun-go termine. Il quadro clinico interessa quindi sintomi cognitivi, funzionali e comportamentali.La causa sembra riconducibile ad un accumulo di una proteina chiamata beta amiloide che nel cervello causa la progressiva morte dei neuroni. Sebbene ancora non sia stata trovata una terapia ri-solutiva, la scienza ha fatto enormi passi avanti. Una buona notizia arriva dalle ultime ricerche effettuate alla Columbia University di New York, sembra infatti che mangiando frutta secca oleosa e il pesce si as-sumono quantità di omega-3 in grado di ridurre nel sangue i tassi della proteina beta-amiloide.Lo studio ha testato più di mille persone a cui è stato chiesto di compilare un questionario inerente la pro-pria alimentazione e dopo otto anni è emerso che gli individui che assumevano elevate quantità di ome-ga-3 avevano le funzioni cerebrali meno compro-messe. La dieta selezionata dallo studio ha evidenzia-to anche che gli omega 3 provenivano da pasti che

includevano pesce, carne di pollo, insalata e frutta.L’alimentazione dunque ci offre la possibilità di pro-teggere il nostro cervello, ritardandone l’invecchia-mento. Ma poiché è stato provato l’effetto protettivo degli omega 3 per il morbo di Alzheimer, quali forme e in quali quantità li possiamo assumere?Fermo restando che la dieta mediterranea si confer-ma la migliore per prevenire malattie cognitive, pun-tiamo la nostra attenzione sugli acidi grassi essenziali omega 3 e 6. Questi preziosi alleati si trovano nel pe-sce, soprattutto il salmone, le acciughe, il pesce spa-da e lo sgombro, ma anche nella frutta secca come le noci, le mandorle e i pistacchi, negli olii vegetali,

come ad esempio l’olio di semi di lino e di nocciola.Una manciata di 5 - 6 frutti secchi al giorno è in gra-do di assicurarci un introito adeguato di omega 3, pur con una attenzione all’apporto calorico, non superan-do le 200 calorie.A questo punto la scelta dipende da noi. L’attenzio-ne con cui scegliamo cosa mangiare può difenderci da svariate malattie, anche dalle più temute come il morbo di Alzheimer.

Dott.ssa Claudia Brattini Farmacista

Difendersi dall’Alzheimer a tavola con gli omega 3

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D: Ciao Marco, in struttura ti occupi di farci “giocare”, ma il tuo lavoro è far giocare la gente?R: Teoricamente no, uso il gioco come leva per motivare le persone ad impegnarsi durante la giornata.

D: Cosa intendi per motivare?R: Vedete, ci sono ospiti che per patologia non sono più in grado di compiere molte azioni, altri per un senso di “ab-bandono” (come vivono loro il concetto di struttura) per non essere più nella loro casa tendono a lasciarsi andare, isolandosi; il compito dell’animatore è quello di ANIMARE, cioè dare anima, per evitare di perdere il senso del tempo, il senso della vita e soprattutto il senso di sé stessi. A volte sembra stupido vedere le persone giocare a birilli o a Me-

mory, in realtà ogni attività che svolgo qui dentro ha un senso più specifico, più profondo.

D: Cosa vuol dire “specifico e profondo”?R: Significa che uso la mia preparazione di Educatore Pro-fessionale per motivare ogni attività con un secondo fine. Ad esempio: i giochi come Memory o le frasi che si com-pongono guardando delle figure, riconoscerle e inserirle in una frase di senso compiuto, fanno parte di attività co-gnitive tese a stimolare la mente, tenerla viva ed elastica per pensare, formulare frasi e domande, tenerla allenata, come la palestra allena il corpo, queste attività servono ad allenare la mente, soprattutto la memoria mantenendola vigile e attenta. Altri giochi come i birilli, servono a dimo-

intervistano Marco Marchetti Educatore Professionale

di Quisisana Ostellato (Ferrara)...“Il mio nome è Lorena…. Lorena Bonsi!”. 55 anni, un marito, due figli che la adorano. Una vita non sempre facile, ma sempre affrontata con il sorriso e la dolcezza (“Lorena Bon-Bon”). Non le mancano però il caratterino e la nota grinta della signora di casa ferrarese di sani princìpi, pronta a rimettere presto in riga chi non si comporta bene! Meticolosa e precisa, per passione realizza lavoretti di precisione come le collanine multicolor che poi regala a tutti e…. se non hai una collanina di L. non sei del CSRR! Furba, attenta, affettuosa, dal suo personale tavolo di lavoro tiene tutto sotto controllo e, se la vista non è il mas-simo, l’udito è però eccezionale: a lei NULLA sfugge…. anche perché Lorena… non dorme mai!Per tutti questi motivi Lorena si è dimostrata degna erede del titolo di Iena CSRR, all’altezza del grande vuoto lasciato dalla nostra cara Milva, Iena CSRR fino al 2013. Questo articolo ci ha dato l’ennesima occasione di ricor-darla, tra vecchie fotografie e aneddoti, per la sua spontaneità e simpatia travolgenti.

Giancarlo Zucconelli, di Codigoro, fu uno dei primi ingressi all’apertura del CSRR nel 2009 e fu Iena fin dalla prima intervista del Quis Times.Abituato alla vita di paese, Giancarlo anche in struttura ha messo a frutto la sua abilità nel socializzare con tutti rendendosi sempre pronto a collaborare. Una figura davvero impagabile... ma se proprio volete pagare, un caffè è sempre ben accetto! E inoltre: allenamento sportivo, lavoro nell’orto, canile, attore di spicco del nostro laboratorio teatrale, sono i suoi impegni settimanali.Veloce, agile, curioso e anche un po’ vanitoso, se riuscite a fermarlo vedrete che.... nessuno è perfetto, ma qualcu-no è di certo la nostra Iena perfetta!

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strare se esiste ancora o se è venuta meno la coordina-zione mente-braccio; guardare i birilli, prendere la mira, muovere il braccio e lasciare andare la palla, sono azioni di coordinamento che spesso vengono a mancare soprat-tutto se si è stati colpiti da alcune malattie. Questi giochi più “fisici” servono a mantenere attive le capacità residue e stimolarle continuamente.

D: Come fai a programmare le attività che dobbiamo seguire?R: Creo una programmazione delle giornate molto sempli-ce, divisa tra mattina e pomeriggio, ogni giorno è diverso dall’altro, da un lato si crea un routine necessaria all’ospite per mantenersi orientato nel tempo, e si svolgono sempre negli stessi luoghi mantenendo così l’orientamento spazia-le.

D: Tutti possono partecipare alle attività che organiz-zi?R: Certo, tutti, anche se vi è una differenza sostanziale su chi partecipa e a cosa. Ad esempio, il gioco della tombo-la o la lettura del quotidiano sono aperte a chiunque de-sideri prendervi parte; ci sono attività educative, invece, che sono mirate alle capacità e potenzialità di ogni singolo ospite. Le persone non hanno bisogno di fare tutti le stes-se cose, ogni persona è diversa e ha difficoltà diverse, per questo vengono create attività mirate per ognuna di loro, come il decoupage o da quest’anno la Pet Therapy, crean-do piccoli gruppi di persone con caratteristiche simili; que-sto permette di fornire agli ospiti ciò che hanno bisogno, o per lo meno, ci si avvicina il più possibile, fino alla creazio-ne di progetti individuali per far fronte alle loro necessità più peculiari.

D: E se una persona non vuole partecipare come ti comporti?R: Mai forzarla. Quando si svolge questo lavoro è neces-sario riuscire a capire l’ospite, entrare in empatia, ovvero capire se il suo rifiuto è legato alla malattia, ad un senso di solitudine, o semplicemente ad una scarsa voglia di par-tecipare; una volta capita questa differenza si mettono in pratica gli atteggiamenti più adeguati: lo si lascia tranquil-lo rispettando la sua decisione, oppure lo si stimola facen-do leva sul fatto che si potrà divertire, provando una volta, e se sente che non è un’attività a lui/lei gradita, può sem-pre tornare in camera o non parteciparvi più la prossima volta. Gli ospiti sentendosi ascoltati e vedendo una possibi-lità di “fuga” si sentono più liberi di decidere e soprattutto si sentono rispettati nella loro volontà.

D: Le attività si svolgono solo all’interno della strut-tura?R: Sì, per la maggior parte, esistono però momenti ad hoc in cui sono programmate uscite al mercato, vacanze al mare e cene con i propri familiari al ristorante. Questi sono momenti di confronto con il mondo esterno, fondamentale mantenere il contatto con esso per evitare la “ghettizzazio-ne” di essere chiusi in un luogo di sofferenza, da un lato; dall’altro, le cene permettono di vivere momenti intimi con i propri parenti come facevano un tempo, quando si usciva tutti insieme.

D: Qual è il tuo colore preferito?R: Il Celeste.

D: Da quanto fai questo lavoro?R: Mi sono laureato nel 2000 e ho cominciato subito a la-vorare, quindi sono 14 anni.

D: Noi ti vediamo sempre sorridente, hai mai mo-menti tristi? Come li superi?R: I momenti tristi li abbiamo tutti, e ovviamente spesso li ho anch’io, ma è normale. Come li supero? Cercando di sorridere, il più possibile.

D: E ci riesci?R: Il più delle volte.

D: Tu ci insegni sempre tanto, ma c’è qualcosa che tu hai imparato dagli ospiti?R: Se ripenso alla mia carriera in 14 anni ho toccato diver-se realtà di sofferenza, dal carcere, la tossicodipendenza, alla disabilità; da tutte queste esperienze ho imparato ad accettare la vita con tutte le difficoltà che mette sul mio cammino, apprezzare quello che ho, cercando sempre di migliorarmi e restituendo in tutto quello che posso a chi, per qualsiasi motivo ha avuto meno e si trova a vivere con-dizioni di disagio.

»Marco Marchetti

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Le cose che vi racconterò potrebbero sembrarvi favole, sono invece fatti di vita realmente accaduti, nel-la Romagna di 60 anni fa. Io ero una bambi-na piccola, ma recepivo molto facilmente tutto ciò che sentivo e che facevo. Quello che ora scriverò sono cose accadute a me nella casa in cui sono nata e cre-sciuta con i miei genitori, i miei zii, le mie cugine e mio nonno. Eravamo una cosiddetta famiglia al-largata, come del resto tutte le altre fami-glie della vallata. Ci conoscevamo tutti e quasi tutti legati da qual-che parentela. Tutti sapevamo ciò che accadeva in ogni

famiglia. Si condividevano i problemi, le gioie, le feste, i lavori nei campi. Se ti mancava qualcosa c’era

sempre qualcuno che te lo prestava. Se avevi bisogno c’era sempre qualcuno che ti aiu-

tava. A raccontarlo sembra proprio una favola, ma era realtà. Non voglio dire con questo che non ci fossero dissapori, ma si risolvevano nel bisogno o alla

domenica quando si andava a Messa, perche lì ci trovavamo tutti e c’era sem-

pre qualcuno che faceva da paciere, tra cui il prete.

Però una bella scazzottata era sempre motivo di divertimento per tutti, tranne che per chi se le dava.

In Romagna, la sfujareia è l’attività di fine estate che consiste nello sfogliare le pannocchie di mais, per separare le foglie dal frutto.Per noi bambini era una festa, anche se dovevamo lavorare tutto il giorno con i grandi. Andavamo nel campo con i nostri genitori, zii e cugini e staccavamo dal gambo le pannocchie più basse e correvamo a metterle nel carro, trainato da una coppia di mucche. Uno di noi, a turno, doveva precederle, te-nendole per la cavezza e stare attenti a che non si muovessero finché il carro non fosse stato pieno.Di solito il sole stava tramontando quando l’ultimo carro en-trava nell’aia e tutte le pannocchie accatastate venivano scaricate sopra il mucchio che durante il giorno era andato formandosi.Noi bambini eravamo più buoni del solito; del resto, la puni-zione per chi non si fosse comportato bene, sarebbe stata di essere mandati a letto e, dunque, non poter prendere parte alla “sfujareia” con i grandi.Cenavamo in silenzio, ma l’euforia era tangibile perché ci at-tendeva una serata speciale. Per l’occasione, le donne di casa avevano preparato la ciambella e gli uomini stappavano fia-schi di buon vino.Sarebbero venuti da tutte le case dei dintorni, uomini, donne e

bambini. E subito dopo cena aveva inizio il lavoro.Le foglie venivano separate dalle pannocchie, andando a for-mare due mucchi distinti, con un’attenzione particolare: le foglie più verdi e morbide venivano messe da parte, per diventare, in seguito, l’imbottitura di materassi.Per la verità, noi piccoli non aiutavamo molto, anche se era quello che i grandi si aspettavano da noi. Ci limitavamo a sal-tare sulla catasta di mais, oppure ascoltavamo le tante storie che raccontavano gli adulti.Infine, ci divertivamo a spiare i giovanotti e le ragazze che ap-profittavano dell’occasione per incontrarsi e lanciarsi sguardi languidi e furtivi. Per attirare l’attenzione della ragazza su cui

Luciana Baraccani

La sfujareia

VITATEMPI ANDATI

dei

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Il Santo Natale non era una festa che si celebrava allo stesso modo

di oggi. Per tutti era una festa puramente religiosa, per cui non c’erano

addobbi, nè luminarie. Niente corsa affannosa ai regali, niente consu-

mismo portato alle forme estreme di oggi.

Era una festa rigorosamente religiosa... e con cibo un po’ più buono del

solito: cappelletti in brodo, bollito con patate e, a volte, la ciambella.

Tutti andavano alla Santa Messa, i grandi a quella di mezzanotte, noi

bambini al mattino, accompagnati dalla mamma o dalla zia.

Si indossavano gli abiti migliori: una camiciola ricavata da una vec-

chia camicia del nonno o del babbo, una maglia di lana di pecora,

che dovevano proteggerci dagli spifferi di aria gelida della notte di

Natale.

Quasi sempre c’era la neve, per cui, d’obbligo, erano i calzettoni di

lana di pecora che mia mamma filava e lavorava ai ferri accanto

al fuoco nelle lunghe sere d’inverno o nelle sere di veglia nella stalla

accanto alle mucche.

A completare il nostro abbigliamento natalizio, un cappotto riadattato

da una vecchia giacca, che di solito, copriva sì e no le ginocchia

nude e fredde, e gli zoccoli chiodati legati ai piedi con stringhe di

cuoio.

La chiesa presidiava la cima di un collina, dove il vento soffiava anche

in piena estate. Noi bambini eravamo incuranti del freddo, che riempiva

le mani di geloni e ci faceva battere forte i piedi, per staccare la neve

che rendeva pesante e faticoso il nostro cammino.

Perché sapevamo che alla fine della Messa, saremmo stati chiamati da-

vanti all’altare a recitare una poesia sul Santo Natale davanti a tutti.

E il premio per una recita ben fatta sarebbe stata una caramella, dono

prezioso e gradito nella mia infanzia!

Avevo tre anni quando recitai la mia prima poesia: me l’aveva insegna-

ta mia cugina, di qualche anno più grande di me. Ricordo di essere

stata emozionata, ma non intimorita: non ero timida, ma piuttosto viva-

ce e spavalda! Finita la mia recita, ricevetti non una, ma tre caramelle

da un prete, di solito burbero e severo, ma che in quella occasione,

sfoggiò un’ombra di sorriso.

Al colmo della felicità, corsi dietro all’altare dal mio babbo (all’epoca,

in Chiesa, gli uomini stavano dietro all’altare e le donne nella navata)

per mostrargli le caramelle. Presa dall’emozione, però, mi sbagliai e mi

aggrappai alle gambe di un altro uomo! Me ne accorsi però solo

quando tutti si misero a ridere!

Il Natale

avevano posato gli occhi, alcuni ragazzi le lanciavano una pannocchia, e noi ci divertivamo a vedere le occhiate truci delle mamme e delle zie accompagnatrici.A fine lavoro, due piccole colline troneggiavano nell’aia: da una parte le foglie scricchiolanti e dall’altra, le pannocchie gialle.Gli adulti erano un po’ alticci per il vino bevuto, mentre per noi bambini si era fatta l’ora di andare a letto.La stessa scena si ripeteva di casa in casa, finché tutto il mais era stato sfogliato e messo ad essiccare per essere poi sgranato.

Ma questa è un’altra storia!

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Grazie alla continua ricerca da parte dell’A-zienda USL di Ferrara, rivolta al migliora-mento della condizione di vita dell’anzia-no, la Residenza Socio Sanitaria Quisisana

Ostellato è stata inserita per il distretto Sud Est del-la Provincia di Ferrara come struttura capofila di un nuovo progetto di Pet Therapy dal nome “Un cane per sorridere ancora”. Con il termine Pet Theraphy si fa riferimento ad una “terapia dolce”, basata sull’integrazione tra uomo e animale, in particolare si evidenziano gli effetti bene-fici derivanti da interventi condotti con la presenza di animali da affezione correttamente preparati e guida-ti nella relazione con l’utente.Questo progetto, in particolare, è svolto dagli opera-tori di “ChiaraMilla”, associazione sportivo dilettanti-

stica che ha sede a Santa Maria CodiFiume a Ferrara.ChiaraMilla si occupa da oltre 12 anni di attività assi-stiste con gli animali, grazie alla collaborazione e co-operazione di diverse figure professionali. In partico-lare, per questo progetto, viene messo in campo uno staff composto da operatori cinofili di I e di II livello, una pedagogista, una psicologa e un educatore cinofi-lo, che collaborano e si interfacciano con gli educatori ed il personale sanitario della struttura. Nello specifico gli incontri in struttura tra anziani e animali si suddividono in due parti: la prima è princi-palmente ludico-ricreativa, e mira a garantire il bene-ficio emozionale che l’animale porta, tramite la cura e il lato epimeleico, incentrandosi quindi sul contatto per mirare al beneficio emozionale, alla rilassatezza psicofisica, al miglioramento dell’attenzione, al con-trollo dell’aggressività e dell’emotività e all’aumento di empatia; nella seconda parte, invece, si ha una maggiore interattività che mira al raggiungimento di specifici obbiettivi negli ambiti emozionale, relazio-nale, motorio e cognitivo. La seconda parte vede lo svolgersi di giochi mirati all’attenzione, alla capacità di sostenere tempi di at-tesa, al favorire la comunicazione e la conversazione, alla disponibilità e propensione a prendere parte a giochi ed attività di gruppo, assumendo ruoli sociali, alla capacità di presa e di rilascio, alla movimentazio-ne degli arti superiori e del busto, all’equilibrio sulla carrozzina, alla relazione tra utenti e con il personale

Un cane per sorridere ancora…

Dott.ssa Marina Casciani

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di struttura, e anche – e non meno importante – a garantire una parentesi di svago e divertimento, di distrazione. L’animale diventa un vero e proprio tramite tra pa-ziente ed operatore e anche tra pazienti stessi. Fa-vorendo le relazioni sociali e dimostrandosi un forte stimolo e catalizzatore di attenzione. La presenza di un animale distrae, diverte ed incentiva la partecipa-zione dell’attività, sia individuale che di gruppo, agi-sce positivamente sull’umore e consente di svolgere attività ludico/ricreative. L’animale si propone in affiancamento alla terapia farmacologica tradizionale, in aiuto al personale sani-tario; è infatti in grado di catturare l’attenzione favo-rendo e facilitando così l’ingresso del paziente in una stanza, la disponibilità di sottoporsi ad una visita, la volontà di utilizzare un macchinario e così via. L’animale in questo caso è concepito come un Aiuto al Medico, al Fisioterapista o allo Psicologo per raggiun-gere l’utente che mostra difficoltà o reticenza. Numerosissime sono le esperienze che ci confermano quanto il cane possa essere un facilitatore e mediato-re sociale.

L’associazione ChiaraMilla ha svolto numerosi proget-ti presso ospedali, scuole, centri di igiene mentale, case protette e centri per l’Alzheimer o la Sindrome di Down, collaborando con il personale di struttura verso il raggiungimento di obiettivi personalizzati, ri-guardanti questi ambiti di applicazione. Tutti i cani che fanno parte di ChiaraMilla sono in pos-sesso di regolare libretto sanitario che ne accerta le vaccinazioni (tra cui l’antirabbica) e lo stato di buona salute. I cani che si “occupano” degli ospiti di Quisisana Ostellato sono: Pepita e Pollo (due femmine di Jack Russel Terrier), Dakar, Kenya e Garret (Hovawart), George e Mim-ma (Golden Retriever) e sono affiancati da Eleonora (istruttore cinofilo ed operatore pet therapy di I li-vello), Giorgia (Psicologa ed operatore per therapy di II livello), Lisa e Silvia (operatrici di I livello) e Greta (operatore in formazione). I risultati? Le foto si commentano da sole!!!

Dott.ssa Marina Casciani Pedagogista Associazione ChiaraMilla

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Un legame prezioso e unico tra un cane e la sua pradrona disabile.

La vita di Alessandra ha subito una bru-sca frenata: l’incidente, la disabilità.

Poi arriva l’incontro con Lulù, un cane meticcio incrocio fra papà labrador e mamma pastore tedesco.

Un’amicizia straordinaria che permette ad Alessandra di riappropriarsi della sua vita, della sua gioia, del suo sorriso...

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L’ Anaste è l’Associazione na-zionale che rappresenta le imprese private di assistenza residenziale agli anziani, sia auto che non autosufficienti.L’Anaste ha sede nazionale a Roma e sedi periferiche in quasi tutte le Regioni: si con-figura quindi come una strut-tura a due livelli, in grado di affrontare sia i grandi pro-

blemi di carattere generale, che riguardano l’intera categoria, sia le problematiche locali.ANASTE Emilia Romagna è stata tra le prime regioni a costituirsi con atto notarile nel 1991 ed aderire alla Associazione Nazio-nale Strutture Terza Età (ANASTE); attualmente rappresenta 40 strutture residenziali per la Terza Età (Case di Riposo e CRA) sparse sul territorio, alcune accreditate con il Servizio Sanitario Regionale, altre solo con i Comuni di competenza ed infine altre che si rivolgono ad utenti privati. ANASTE ha da sempre nei propri obiettivi la tutela degli As-sociati, degli anziani ospitati e dell’immagine della catego-ria, persegue questi scopi attraverso la crescita professionale degli operatori, la formazione e riqualificazione del personale in accordo con la Regione, i Comuni e le Organizzazioni sin-dacali per le rispettive competenze istituzionali. La chiarezza e la trasparenza con cui ANASTE ha sempre operato ha fatto sì che la Regione Emilia Romagna scegliesse il CCNL ANASTE quale contratto di riferimento del settore per l’individuazione dei costi del personale.Inoltre, ANASTE ha sottoscritto con la Regione un accordo “Per una rete di servizi di qualità nei Socio Assistenziali e Socio Sanitari Residenziale per Anziani”: con questo si è aperta una nuova fase di confronto con le Istituzioni e le Aziende private associate ANASTE che hanno scelto di giocare un ruolo attivo nel sistema dei servizi alla terza età. La Regione E.R. riconosce ANASTE come interlocutore ufficiale e i nostri rappresentanti siedono ai tavoli tecnici, collaborando alla stesura delle regole concernenti il settore di riferimento.Per proseguire sul cammino della chiarezza e della trasparenza verso le istituzioni, i cittadini, gli Ospiti ed i loro familiari, ANASTE E.R. ha deciso, prima regione Anaste in Italia, di pubblicare il Bilancio Sociale.L’evoluzione dell’attività di impresa ha modificato l’orientamento

dell’azienda, non più focalizzata soltanto al profitto, ma ormai parte integrante e attiva di un contesto sociale ed ambientale nell’ambito del quale esplica la propria funzione “collettiva”, intrattenendo rapporti permanenti con i propri interlocutori. Ogni soggetto economico, soprattutto se operante nel settore socio sanitario assistenziale, è responsabile degli effetti che la propria azione o attività produce nei confronti dei propri interlocutori e della comunità: la misurazione della performance di un’organizzazione non può prescindere dal contesto sociale e ambientale in cui opera.Il Bilancio Sociale è lo strumento attraverso cui le imprese ri-spondono a tali esigenze: si tratta di un documento volontario e consuntivo, redatto con periodicità annuale e rivolto agli interlocutori istituzionali (stakeholder), con il quale esporre in maniera trasparente le azioni intraprese in campo sociale e ambientale, azioni che devono essere coerenti con i valori etici espressi dall’organizzazione stessa e condivisi dalla comunità in cui essa opera.La rendicontazione sociale è un processo di responsabilità e trasparenza che ANASTE E.R. ha deciso di praticare in forma aggregata allo scopo di misurare e valutare meglio i principali effetti sociali ed economici derivanti dall’operare delle strutture sul territorio e sul mercato. Per il Settore Socio Sanitario Assi-stenziale dei servizi per la Terza Età ciò significa adottare una modalità innovativa sia di rappresentare e comunicare con dati oggettivi e verificabili la capacità del Settore di agire in modo responsabile e integrato, sia di entrare in relazione con gli altri Attori del Sistema che operano con l’obiettivo comune di aumentare il benessere dei cittadini e delle comunità.Le sfide che la persona fragile ci lancia, in tutte le sue mani-festazioni, sono innumerevoli. Stiamo assistendo ad una evolu-zione dell’invecchiamento che richiede risposte che coniughino efficacia ed efficienza.

Chiudo con una citazione non mia: “Ora che sono vecchio, e stanco, e solo, se mi guardo indietro mi sembra che la mia vita sia la vita di un altro. Le persone che amavo non ci sono più, una dopo l’altra sono state inghiottite dagli anni. Mi restano solo i ricordi, ma non bastano. Sono ricordi vuoti che la memo-ria non riesce a ritrovare con l’intensità di un tempo”.

Dott. Gianluigi Pirazzoli Presidente Anaste Emilia Romagna

Una rete di servizi nei settori socio-assistenziale e socio-sanitario residenziali per anzianiAssociazione Nazionale Strutture Terza Età - ANASTE

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Non è infrequente ai no-stri giorni sentir parlare di un convento, o di un seminario, oppure di

un monastero trasformato, sotto il peso del tempo, magari di secoli, in una casa per ferie, in un alber-go, in un pensionato universitario, o in una residenza per anziani. È il destino comune di tante strut-ture, consegnateci dalla storia e che, se il lento scorrere degli anni ha pian piano svuotato degli anti-chi abitanti, tuttavia hanno per lo più conservato la loro originaria vocazione, di luoghi a servizio del-la gente, del popolo, spesso dei più poveri.È la storia di tanti conventi, ed è la storia di Poggio al Vento, nato quasi un secolo e mezzo fa sulle macerie di uno sconcertante fla-gello, che per la seconda volta si era abbattuto, in Italia, sugli or-dini religiosi: le soppressioni! Pri-ma quella napoleonica nel 1810, e poi quella dello Stato italiano, nel 1866, con la quale tutti i beni degli istituti religiosi soppressi, venivano da questo incamerati, perché pochi anni dopo, fossero poi riacquistati e le casse statali

rimpinguate. Nel 1866 i Cappuc-cini si trovavano a Siena ormai da secoli, anche se avevano già cam-biato convento. Ora si trovavano a Porta Camollia, più vicini alla città, rispetto all’antica dimora, che fu loro dal 1536, presso il monastero di Montecelso. E fu proprio a Por-ta Camollia che la soppressione li colse, costringendoli ad abban-donare il piccolo convento, nuo-vamente pellegrini e forestieri in questo mondo, come Francesco di Assisi tante volte aveva chiesto di vivere ai propri frati. Del triste evento fa memoria p. Egidio da Cortona, già Ministro generale dei Cappuccini, che in una lettera autografa annota: “La religiosa fa-miglia nel subito venne ricoverata dalla quanto Illustre e altrettanto vera divota Baronessa Sig.ra Giu-lia Spannocchi nei Sergardi, nella sua vasta Villa, parrocchia di Mar-ciano, distante circa due miglia da Siena, ove quei religiosi 18 o 20 di numero per tre anni si trattennero in vita comune, sperando di trova-re nelle vicinanze altro luogo onde ristabilirvisi permanentemente, non potendo riavere il vecchio Convento, stante la malvagità

dei tempi”. In realtà l’attesa non fu così breve, poiché solamente nel 1880, ovvero il 15 giugno di quell’anno, si poté porre la prima pietra della nuova chiesa, dedica-ta all’Immacolata Concezione e a San Francesco, esattamente là dove si trova oggi, poco distante dalla vasta Villa della Baronessa Giulia Spannocchi nei Sergardi, accovacciata sul colle detto di Poggio al Vento, quasi a custodia della città di Siena, la cui sagoma si staglia sull’altura difronte.Quattordici anni di attesa per ria-vere una casa che si adattasse alle esigenze dei frati, venti anni per riavere accanto al convento, rica-vato da un edificio preesistente, la piccola chiesa con le sue cappelle e i suoi altari, le sue balaustre ed il suo coro, luogo del silenzio e della preghiera.Iniziò così, la “terza volta” dei Cap-puccini a Siena, nella semplicità della vita fraterna, nell’impegno della predicazione, nel servizio delle confessioni, nel ministero, allora così vitale, della “cerca” del grano, del vino, dell’olio, per il so-stentamento quotidiano dei frati. Pochi anni passarono e una nuova

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Poggio al Vento Storia di un convento cappuccino diventato residenza per anziani

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esperienza coinvolse il convento di Poggio al Vento. I superiori della Provincia religiosa lo vollero come luo-go di formazione dei futuri frati, e in particolare per lo studio della filosofia. Fu questo un periodo lungo e fecondo, che vide l’avvicendarsi di tanti giovani, il pro-gressivo arricchimento della biblioteca, il concentrar-si di numerosi frati, i cosiddetti “lettori”, gli insegnanti di allora, a dare un tono di umile sapienza ad un am-biente comunque scevro da umane pretese. Tanto fu il fervore di quegli anni che, i superiori di allora, de-cisero di ristrutturare il convento e così, non contenti di ampliare le piccole celle in più confortevoli stanze, vollero anche rialzare di un piano la struttura, per dar-gli l’aspetto esteriore che anche oggi si può riconosce-re. Siamo nel 1957, ed i lavori dureranno fino al 1959.Ma si sa, le vie dell’uomo a volte sono meno lungimi-ranti di quel che si pensi e ciò che un tempo pareva un segno di speranza, qualche anno dopo sarebbe di-ventato l’immagine di una possibile imprudenza. Dal 1959 il convento visse ancora alcuni anni di grande vigore. Nel 1969 la chiesa conventuale fu eretta in Parrocchia, mentre vari angoli dell’edificio venivano attrezzati come “Osservatorio sismico-meteorologi-co-astronomico”. Furono piazzati vari apparecchi per la rilevazione dei terremoti, una stazione per la mi-surazione dei parametri meteo, una cupola per l’os-servazione notturna con annesso telescopio, meta di scolaresche, di curiosi e di senesi per i quali Poggio al Vento - anche per questo - fu motivo di lustro. Poi le cose cambiarono: nel 1980 fu chiuso il liceo pari-

tario, aperto qualche anno prima, e alcuni decenni dopo l’osservatorio. Rimasero i frati - pochi per la ve-rità - lassù, in cima alla stretta strada dei Cappuccini, a presidiare il colle e a pascere il piccolo gregge del-la Parrocchia, consapevoli della necessità di doversi nuovamente reinventare, per rispondere ai tempi, ma soprattutto per non lasciare che un patrimonio di storia, di spiritualità e di fatiche umane, andasse perduto. L’occasione propizia arrivò nel 1996 e le porte ad una nuova esperienza furono puntualmente spalancate. Questa volta si trattava di impiantare qualcosa di più strutturato e stabile: era giunto il tempo di edifica-re la casa per anziani di Poggio al Vento. Il tempo di raccogliere quanto la storia aveva consegnato ai frati, perché diventasse patrimonio di chi avrebbe potuto trasformare ciò che pareva affievolirsi, in una nuova e feconda opportunità. D’altra parte c’erano gli spazi, la serenità necessaria e una comunità accogliente.Oggi tutto questo è ancora vivo e operante, con i suoi circa settanta anziani ospitati nella struttura, con i cir-ca cinquanta dipendenti al loro servizio e con il de-siderio che quanto fin qui realizzato, possa crescere ancora, nella consapevolezza, che anche un convento senza frati, a servizio dell’uomo, potrà comunque ri-manere nel futuro un segno inequivocabile della spe-ranza e della Provvidenza.

fr. Piero Vivoli

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Nelle strutture socio sanitarie tali condizioni acquistano una valenza assolutamente pecu-liare, in quanto i due concetti si fondono. Si unisce cioè ad un aspetto di gradevolezza e di comfort, un aspetto di garanzia sanitaria e di sicurezza, di cui nessuna struttura sanitaria può fare a meno. Anzi, considerando che spesso in questi anni la mancanza d’igiene è stata la

causa di eventi gravi sul piano delle conseguenze sanitarie, l’elemento pulizia e igiene, è quello che più di tutti coniuga strettamente il comfort con il risultato sanitario di un ricovero. La prevenzione delle infezioni nosocomiali richiede la conduzione di efficaci attività di pulizia e sanifica-zione delle superfici e degli arredi con cui può venire a contatto il paziente. Le strutture socio sanitarie sono ambienti ad alto rischio di trasmissioni infettive; tale problematica estremamente complessa, articolata e di valenza assoluta è fonte di continui studi, controlli ed approfon-dimenti da parte delle istituzioni e degli organi di controllo che ne assicurano la qualità del “pulito”, ma anche dagli operatori e dirigenti stessi che sono a capo della gestione di queste strutture.Per dettagliare in modo efficace quanto appena sottoposto alla vostra attenzione riportiamo di seguito dati ufficiali relativi alle infezioni nosocomiali:

A monte di moltissime in-fezioni c’è il contatto della cute del paziente con i tes-suti delle divise degli ope-ratori non adeguatamente pulite e sanificate. Da qui si evince come sarebbe d’uopo avere dei camici di ricambio puliti e sanifica-ti in struttura, per potersi cambiare in caso di contat-to con materiale biologico.Altra fonte di trasmissione e contagio è dovuta al con-tatto mani operatore – pa-ziente; molti batteri e virus vengono infatti propagati dalle mani infette e non pu-lite del personale.

Buona norma sarebbe quella di utilizzare sempre guanti puliti e procedere ad un’accurata e approfon-dita disinfezione delle mani.I risultati degli studi eseguiti che hanno portato ai dati sopracitati sono sufficientemente preoccupan-ti; diretta conseguenza dell’analisi di quanto visto ha portato, sta portando e porterà sempre più all’obietti-vo unico e comune di ridurre per poi risolvere queste

problematiche.La gestione delle pulizie e della disinfezione in que-ste strutture rimane una sfida importante per tutti gli operatori del pulito.La complessità degli argomenti trattati non è risolvibile con un attrezzo e o con un prodotto disinfettante, ma l’unico modo per venirne a capo è gestire il problema a 360°.

Igiene: sano, salutare, curativo; è il ramo della medicina che tratta le in-terazioni tra l’ambiente e la salute umana. Elabora criteri, esigenze e misure riguardanti lo stato ambien-tale ed il comportamento individuale e collettivo. Scopi: prevenzione primaria onde evitare e combattere malattie e promozione del benessere e dell’efficienza umana.

30%

22%

48%

Nord Uomini Donne

Centro

Sud

39%

Infezioni ospedaliere di origine batterica 10 % di cuiDecessi 3 % delle infezioni

SORGENTI DI CONTAMINAZIONE BATTERICA:Flora cutanea residua +++Tessuti infetti / contaminati +++Cateteri – drenaggi ++Infezioni nelle rsa alle vie urinarie (vu) sono stimate tra 7 - 10 %

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L’importanza della disinfezione nelle strutture socio sanitarie

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È importante sviluppare piani di lavoro con le giuste attrezzature, con il giusto mix di detergenti e disinfet-tanti e con un piano dettagliato e strutturato di for-mazione al personale.Alla base di tutto è necessario uno studio preventivo dell’ambiente da disinfettare, che porterà quindi alla realizzazione del progetto e del piano di lavoro.Sarà importante tenere anche conto delle dimensioni delle stanze e degli ingombri per valutare quali mac-chinari ed attrezzature siano più congeniali per ogni struttura.

Da non dimenticare lo studio dei materiali con cui è stata costruita ed arredata la struttura per verificare i più adeguati ed idonei principi attivi.Importante sarà l’utilizzo di attrezzature e carrelli di ultima generazione con plastica anti-batterica, frange di lavaggio in microfibra pre-impregnate, preparate nei secchi e o nelle lavatrici; procedure chiare e det-tagliate per trattenere ogni tipo di sporco e batteri senza possibilità di trasportare cariche microbiche da una stanza all’altra.I formulati tra cui scegliere per il trattamento delle frange sono disinfettanti specifici a base di sali qua-ternari d’ammonio o di cloro stabilizzato o di tensio-

attivi anfoteri, alcool e poliammine.La sanificazione degli arredi dovrà essere effettuata con panni in microfibra, utilizzando il codice colore e la metodologia delle “8 parti”, così da poter disinfet-tare sempre con una superficie in microfibra pulita.La metodologia di lavoro corretta prevede la pulizia dal punto più pulito al quello più sporco. Per gli arredi la disinfezione dovrà avvenire con disinfettanti pronti all’uso a base di alcool e triclosan o a base di cloro stabilizzato o di sali quaternari d’ammonio.

Per ottenere un’ottima sanificazione della struttura in genere è importante concentrare l’attenzione anche sulla lavanderia. Corretti sistemi di lavaggio gestiti da una centralina elettronica assicurano la giusta quanti-tà di detergenti e sanificanti sbiancanti nei giusti cicli del lavaggio. Se la lavatrice è di nuova generazione, si possono pre-impregnare le frange di lavaggio per i pavimenti direttamente in lavatrice.Per ultimo, ma non certo per importanza, massima attenzione su un concetto chiave e fondamentale: la formazione del personale.

Dettagliando procedure e metodologie di lavoro i risultati che si otterranno saranno immediati e gra-tificanti. Rivolgersi ad aziende specializzate e specia-listiche del settore sarà di fondamentale importanza per cercare oltre che un semplice fornitore un vero e proprio partner di lavoro.

Juri Oridirettore commerciale Firma

Andrea Isidorodirettore marketing Firma

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Quis Times - Anno 2014 - Mese Dicembre - Numero 7

I cambiamenti sempre più signi-ficativi che stanno caratterizzan-do la popolazione anziana, ag-gravati da una contrazione delle disponibilità economiche, sia pubbliche che delle famiglie, in-ducono ad una riflessione sull’a-

deguatezza delle risposte ai nuovi bisogni che avanza-no, sia in termini quantitativi che qualitativi.Diversi soggetti propongono attività indirizzate preva-lentemente alla prevenzione della non autosufficien-za, ciò consolida e qualifica la rete degli interventi strutturati a favore delle persone non autosufficienti, o comunque con un discreto fabbisogno sanitario e non solo sociale. L’aumento della popolazione anzia-na e l’aumento delle aspettative di vita inducono da una parte a pensare che il nostro Paese è un Paese che sta invecchiando, ma anche che la qualità di vita è mi-gliorata, pertanto i servizi si sono pian piano adeguati ad un repentino cambiamento nell’ultimo ventennio, dando risposte adeguate soprattutto all’aumento della non autosufficienza, anche se quest’ultima si è spostata avanti nell’età anagrafica. Resta comunque una parte della popolazione anziana che ha un fabbi-sogno lieve, un bisogno solo di natura sociale e non di una non autosufficienza.Sappiamo che la non autosufficienza lieve può essere gestita in Case di Riposo, e solo se non ci sono fab-bisogni sanitari che inducono a trasferimenti in Case Protette o RSA.L’assistenza domiciliare copre una parte importante del fabbisogno sociale, nonostante tutto, i servizi di ADI in presenza di fabbisogno sanitario, spesso sono sufficienti a tenere l’anziano a casa. Si sono poi inserite figure di assistenza domiciliare, a volte non proprio legali, di cui abbiamo in preceden-za abbondantemente parlato (vedi Quis Time n. 3 del Settembre 2010 “La Selva oscura del badantaggio”); oggi stanno prendendo una larga diffusione le “Case

Famiglia” che assumono una particolare rilevanza fra queste esperienze innovative e alternative ai servizi ormai strutturati.Preso atto dei vincoli legislativi attualmente in vigore, in particolare: legge 241/1990, legge 328/2000 e le varie Normative su scala Regionale tra cui la DGR n. 564/2000 della Regione Emilia Romagna, queste re-altà sono una valida risposta ai casi di bisogni sociali, non possono essere però confuse o “scambiate” per piccole case di riposo o addirittura per “piccole case protette”.Partiamo da un principio (etico) molto diffuso nella nostra cultura: “l’anziano autosufficiente o parzial-mente autosufficiente “gestibile”, deve quanto più possibile essere tenuto nel suo ambiente familiare, a casa propria!”. Detto questo, sappiamo che ci sono passaggi e gradi successivi che non permettono di te-nere a casa il proprio familiare e, a questo punto, si fa ricorso ai servizi alternativi al domicilio. Come può inserirsi una Casa Famiglia in questa logica di gestione dell’anziano? Come mai il termine “Casa Famiglia”? Innanzitutto non dobbiamo confondere la normativa ben specifica sopra riportata con un “ipotetico vuoto normativo”. Le case famiglie, ed è nel termine stes-so il significato ed il ruolo che le stesse devono avere nella rete dei servizi socio sanitari, non sono da equi-parare alle case di riposo e non possono sostituirsi ad esse. Un anziano non autosufficiente non è gestibile in una casa di riposo (la normativa lo vieta) e ci sono controlli giustamente severi a riguardo, non possia-mo lontanamente parlare di trasferire un anziano non autosufficiente o anche parzialmente non autosuffi-ciente in una Casa Famiglia. Soffermandoci sulla som-ministrazione di farmaci per i quali ci sono regole ben precise, pensando ai parametri di assistenza necessa-ri in una Casa di Riposo, alle normative sulla logistica che regolano queste Strutture, non sarebbe normale autorizzare un ricovero in Casa Famiglia di un utente da Casa di Riposo, oppure non sarebbe logico dare

CASE FAMIGLIAOpportunità o Rischio?

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Quis Times - Anno 2014 - Mese Dicembre - Numero 7

Comunicazione di inizio attivitàIl soggetto gestore che intende avviare una struttura “Casa Famiglia” per anziani, ove possono essere accolti fino ad un massimo di sei ospiti, è tenuto ai sensi dell’art. 19 della legge 241/1990 e delle varie direttive Regionali a dare segnalazione certificata di inizio attività al Comune di appartenenza comunicando:

• la denominazione e l’indirizzo esatto della sede in cui si svolge l’attività;

• la denominazione, la natura giuridica e l’indirizzo del soggetto gestore;

• il numero massimo degli utenti che si intendono ospitare (non più di sei) e le caratteristiche dell’utenza prevista;

• il numero e le qualifiche del personale che vi opera;

• le modalità di accoglienza dell’utenza;

• la retta richiesta agli ospiti e/o ai familiari;

• dichiarazione di essere in regola con la normativa HACCP;

Le Case Famiglia per anziani si impegnano a:

• a rispettare il numero degli ospiti previsti dalla normativa vigente;

• ad accogliere solo persone che rientrano nelle tipologie autosufficenti;

È un’iniziativa privata di assistenza per il singolo anziano e si caratterizza in prestazioni quali ad esempio:

• Aiuto per l’igiene personale ed il bagno,

• Aiuto nella gestione della continenza,

• Aiuto nella vestizione,

• Aiuto nella preparazione e somministrazione dei pasti;

• Aiuto nella mobilizzazione,

• Accompagnamento per disbrigo pratiche,

• Accompagnamento ai presidi sanitari,

• Attività di socializzazione,

• Quant’altro può contribuire al benessere dell’anziano e al mantenimento delle sue capacità residue.

Possono accedere alle case famiglia persone Autosufficienti o al massimo rimanervi qualora il livello di non autosufficienza sia compatibile con un’adeguata gestione assistenziale della Casa Famiglia.Sono escluse le persone affette da gravi disturbi del comportamento o con caratterialità incompatibili con la vita di comunità.

parametri e regole così restrittive ad una Casa di Ri-poso e zero (o più o meno zero) regole ad una Casa Famiglia.Le Casa famiglia sono ormai un’attività imprendito-riale a tutti gli effetti e necessitano di essere regola-mentate. Sono probabilmente delle risorse, ma non è possibile che non necessitino di un’autorizzazione all’esercizio dell’attività, non si può continuare con semplici comunicazioni unilaterali. Non è possibile che la logistica deve essere “come casa propria”. A casa propria non vi è “uno scambio di danaro”, una vendita di servizi. Non è possibile che non vi sia un Albo Regionale che sia a conoscenza dell’esistenza di queste realtà e non vi siano commissioni di controllo periodico come avviene “per qualunque attività im-prenditoriale”.

Volendo, chiunque “può aprire” una Casa Famiglia e gestire persone, reclutandole addirittura dalla pubbli-cità, quindi non familiari, allora famiglia sta per creare un nucleo familiare o un ambiente familiare? Allora, se è semplicemente una caratteristica di un’attività imprenditoriale, come tale va assolutamente regola-mentata. Non possiamo scandalizzarci quando venia-mo a conoscenza di abusi sugli ospiti, in questi casi talvolta i media parlano impropriamente di Case di Riposo non percependone la differenza. Esempi di mancanza di controllo su queste attività sono evidenti quando si sono verificati casi di più Case Famiglie all’interno dello stesso complesso, o addirittura sullo stesso piano di un fabbricato, per aggirare la norma di un numero massimo di 6 ospiti, realizzando in questo modo delle Case di Riposo “non autorizzate”. Questo non deve più accadere, è quanto mai urgente e necessaria una capillare prevenzione e regolamentazione delle stesse.

Giuliano FasolinoPresidente Residenze Quisisana

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Quis Times - Anno 2014 - Mese Dicembre - Numero 7

1922, prima della Seconda Guerra Mon-diale, a causa della mancanza di lavoro e di cibo ci si nutriva

solo di polenta, ci si ammalava di pellagra e spesso si veniva separati dai genitori per avere la possibili-tà di poter crescere. Io ero la prima di 5 tra fratelli e sorelle, sono andata a vivere dalla nonna all’età di 6 anni, mio fratello invece che ne aveva solo 5 è an-dato a vivere dalla zia fino al momento del servizio militare. Cominciato il lavoro nelle risaie a 12 anni, il padrone del terreno, un uomo buono, si è occupato di noi “piccoline” insegnandoci il lavoro, cosa che le veterane non vollero fare. Andavamo a lavorare sul treno che si usava per caricare i sacchi di riso, una fa-

tica!! Poi utilizzavamo la corriera che consegnava di-rettamente i sacchi al mulino. Mi ricordo ancora che il primo anno con 52 giornate di lavoro ho guadagnato 800 Lire di stipendio, e domeniche pagate come stra-ordinario, che soddisfazione!!Durante la guerra mi trovavo nei magazzini a lavorare il tabacco raccolto da altri lavoratori. Nel magazzino ci occupavamo di legare le piante in alto e accende-vamo il fuoco per farle asciugare. Una volta secche, per poterle lavorare, utilizzavamo in macchinario che produceva umidità, poi facevamo mazzolini da 10 piante e li lasciavamo riposare dentro ad una botte. Tutto a mano, sapete, mica come adesso che ci sono i macchinari a fare tutti i lavori! Sembrava di lavorare in mezzo alla nebbia, in più il tabacco per fare sigari e sigarette emetteva cattivo odore, al contrario del tabacco macedone (che si usa-va per pipe e sigarette leggere) che era molto profu-mato. Ricordo che le casse erano pesate per controllare quanto se ne produceva, e spesso ci sgridavano per-chè le nostre casse erano più leggere delle altre. Un giorno mia sorella e una sua collega scoprirono che le casse delle altre operaie erano più pesanti poiché al loro interno venivano nascoste delle pietre sotto alle piante. Segnalato al responsabile venne poi licenziata la “capa” del turno che organizzava il lavoro, dato che si scoprì che era proprio lei ad imbrogliare sul peso delle casse. Ho lavorato il tabacco dall’inverno alla primavera fino all’età di 26 anni, in estate invece lavoravo in risaia a Vercelli (ero proprio una mondina io!). Avevo 23 anni (era il 1945), quando i tedeschi venne-ro a prenderci di notte per andare a lavorare il riso, nessuno ci voleva andare! Ci lasciarono in un conven-to di suore che non sapevano nemmeno dove poterci sistemare per dormire: eravamo 52 persone e abbia-

L’ANGOLO DI

EVA

Caro Diario...

Nel

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mo dormito per terra per due giorni. Erano i giorni in cui il Duce venne ucciso a Milano, quindi noi che ci trovavamo lì rimanemmo bloccate, finché dopo due giorni ci lasciarono finalmente libere di tornare a casa. Durante il viaggio di rientro a Badia Polesine (Rovigo, ndr), siamo state bloccate da un gruppo di Tedeschi. Quanta paura abbiamo avuto! Fortunata-mente anche in quell’occasione siamo state fortuna-te e grazie alla mediazione delle polizia locale siamo finalmente ripartite verso casa. Pensate che nel mio paese due tedeschi si nascosero dentro ad un forno, erano spaventati e in lacrime, chiesero aiuto a mia madre e lei indicò loro la strada per scappare. Non so che fine abbiano fatto, so solo che non avevano nemmeno vent’anni e che facevano tenerezza; erano stati arruolati, come tanti altri soldati, del resto, senza nemmeno saperne il motivo. La Guerra l’ho sempre vissuta da vicino, mio padre ne fece quattro anni durante la Prima Guerra Mondia-le; nella Seconda rimase d’istanza a Venezia e dopo un anno gli fu permesso di tornare a casa, dato che aveva 5 figli. Non essendo registrato come Fascista, durante il suo ritorno a casa gli squadroni lo fermaro-no, gli ruppero la bicicletta e gli fecero bere un litro di olio. Stette male tutta la notte, credevo sarebbe mor-to, che paura abbiamo avuto! Di quel periodo ricordo soprattutto la mancanza di cibo. Non veniva distribuito equamente nemmeno il cibo che doveva essere destinato ai poveri, perché gli addetti alla distribuzione, in realtà, lo davano in gran parte ai loro familiari ed amici, lasciando così senza le famiglie più bisognose.

Alla fine della guerra i partigiani radunarono nel cam-po sportivo del paese questi addetti alla distribuzione del cibo per vendicarsi. Ne approfittò anche mia ma-dre, che si prese la sua vendetta per quell’ingiustizia: infatti lei fu proprio una delle donne che ebbe il co-raggio di schiaffeggiare il maestro della scuola (anche lui addetto) che durante la distribuzione aveva favo-rito i propri amici invece di distribuirlo equamente. Erano tempi duri quelli, ricordo che mia madre mi aveva regalato una maglietta rossa; un giorno il pa-drino di mia sorella mi vide in piazza a Trecenta (in provincia di Rovigo, ndr) e volle costringermi a spogli-armi a causa del colore della mia maglia. Fu solo gra-zie all’intervento di un signore del paese che riuscii a tornare a casa sana e salva e, soprattutto, vestita! Il padrino di mia sorella morì di lì a poco a causa di un errore durante un intervento chirurgico. Mi sono sposata dopo la fine della Guerra. Mi sono sposata in tutta fretta alle 6 del mattino e quello stes-so giorno sia io che mio marito siamo andati di corsa a lavorare fino a tarda sera. Lentamente e con grandi sacrifici siamo riusciti a co-struirci la nostra casa a Bando, grazie anche all’aiuto manuale dei fratelli di mio marito. Ho sempre vissuto in quella casa dal 1954 al 2010, quando sono arrivata nella struttura per anziani Quisisana Ostellato. Ora quella casa è abitata da mio nipote e da sua mo-glie. Una casa piena di ricordi, di vita che continua, teatro di momenti di vita passata, presente e futura della mia famiglia.

Eva MerolaOspite Residenza Quisisana Ostellato

Quis Times - Anno 2014 - Mese Dicembre - Numero 7

Da un’analisi criti-ca della letteratura inerente le cure da attuare in una strut-

tura residenziale per anziani emerge come il Logopedista possa svolgere un ruolo im-portante (Linee Guida sulla gestione del paziente disfa-gico, 2007). Il Logopedista, in quanto operatore sanitario

specializzato nella prevenzione e nel trattamento riabilitativo delle patologie del linguaggio e della comunicazione sia in età evolutiva che adulta e geriatrica, è coinvolto anche nella presa in carico dei pazienti con disturbi della deglutizione come la disfagia. Quindi, di fatto, il Logopedista, all’interno delle residenze per anziani, si occupa della valutazione e trattamento dei disturbi comunicativi acquisiti ma anche - e soprattutto - di problemi come la sopramenzionata disfagia. La disfagia (intesa come rallentato o difficoltoso passaggio di solidi o liquidi dalla bocca allo stomaco) è un sintomo se avvertita dal paziente o un segno se evidenziata dal clinico: come sintomo ha una prevalenza nella popolazione genera-le intorno al 3-5% (Lindgren & Janzon, 1991) e aumenta fino al 16% nei soggetti con età superiore a 85 anni (Bloem et al., 1990), come segno clinico ha una prevalenza variabile a seconda della modalità con cui viene indagata e della popolazione che viene presa in considerazione, nelle strutture residenziali per anziani la prevalenza della disfagia orofarin-gea raggiunge valori compresi fra il 40% e il 60% (Kaiser-Jones, 1999).

Uno dei motivi della scarsità di dati epidemiologici sui disturbi della deglutizione è il fatto che la disfagia non è una malattia, ma come precedentemente affermato un sintomo o un segno clinico; questo non facilita quindi gli studi retrospettivi basati sugli archivi pubblici o di ospedali, in cui è riportata la pato-logia ed eventualmente i sintomi associati (Schindler, Borghi & Ginocchio; 2008).Approfondendo l’argomento è possibile rilevare che le cause di alterata deglutizione nell’anziano dipendono prevalente-mente da:- patologie organiche: flogosi, neoplasie, compressioni ester-ne (struma tiroideo), radioterapia, chemioterapia e diverticoli esofagei;- patologie neuromuscolari: incidenti cerebrovascolari acuti, demenze, malattia di Parkinson, SLA;- altro: trauma cranico, farmaci ecc.Le disfagie che si riscontrano più frequentemente negli anziani istituzionalizzati sono le disfagie neurogene, cioè disturbi della deglutizione che conseguono a malattie neurologiche (Scalco & Scutari; 2009). Nella disfagia neurologica solitamente è inte-ressata la fase orale e/o faringea, raramente quella esofagea della deglutizione, per cui si può parlare di disfagia orofarin-gea.Conseguenze importanti del disturbo possono essere: malnutri-zione e disidratazione (a cui si possono associare disturbi del comportamento), penetrazione/aspirazione tracheo-bronchia-le, polmonite ab ingestis, qualità di vita limitata e morte.Sintetizzando quanto riportato da numerosi autori per il pa-ziente disfagico - al fine di evitare conseguenze dannose - è necessario un intervento tempestivo all’ingresso dell’ospite in struttura costituito da Screening dell’eventuale disturbo deglu-

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Il ruolo del logopedistanelle strutture residenziali per anziani

Quis Times - Anno 2014 - Mese Dicembre - Numero 7

titorio e valutazione clinica seguita, qualora il caso lo richieda, da accertamenti strumentali.Come riportato nelle Linee Guida sulla gestione del paziente disfagico (2007) lo Screening è fortemente raccomandato per identificare ed evidenziare i pazienti a rischio di disfagia e per impostare una presa in carico multidisciplinare, con lo scopo di prevenire i sintomi e ridurne i rischi.Le procedure di Screening per la deglutizione includono:- osservazione iniziale del livello di coscienza dell’ospite (vigi-lanza, attenzione e orientamento);- osservazione del grado di controllo posturale;- osservazione dell’igiene orale;- osservazione delle secrezioni orali;- test del bolo d’acqua.In base ai risultati ottenuti allo Screening si procede con una valutazione clinica standardizzata al letto del paziente (bedside assessment) che comprende:- anamnesi generale e specifica;- osservazione del paziente;- esame clinico della deglutizione.Tale valutazione stabilisce la necessità di altri test clinici e/o accertamenti strumentali e raccoglie informazioni utili alla ste-sura del piano di trattamento per favorire la gestione multidi-sciplinare del paziente disfagico.Al fine di ottenere un passaggio di informazioni corretto è ne-cessario che il personale coinvolto nella cura della persona disfagica abbia alcune conoscenze di base comuni con par-ticolare attenzione a:- modificazioni posturali e dietetiche;- scelta degli alimenti;- gestione del comportamento e dei fattori ambientali;- esecuzione dell’igiene orale;- gestione della preparazione del cibo.

Se il paziente quindi è disfagico, viene attivato il Protocollo per la gestione della disfagia: il Logopedista informa l’Infermiere Professionale, Caposala, OSS, dei provvedimenti alimentari e posturali da effettuare e dove necessario il counseling con il Caregiver. Il Medico richiede la dieta a consistenza modificata (semisolida-semiliquida-liquida) in base alle indicazioni del Logopedista, il modulo viene inviato al Servizio Cucina (eventuale counseling del Logopedista) dove le diete vengono preparate. Inoltre la pianificazione e l’integrazione tra i vari stadi di cura e di intervento sul paziente con difficoltà deglutitorie può consentire: - lo screening accurato della disfagia prima del fallimento di tentativi di alimentazione o dell’in-sorgenza delle complicanze;- la presa in carico precoce;- la prevenzione delle complicanze broncopol-monari ab ingestis e della malnutrizione (Beatrici, Rusca & Panella, 2008); Per tali motivi è fondamentale che l’equipe che segue il paziente in questo delicato percorso, condivida un comune linguaggio e comuni stra-tegie operative, definisca, sulla base delle risor-

se disponibili in ciascun contesto, il ruolo di ciascun operatore, evitando sovrapposizioni di ruoli o peggio, vuoti di gestione. Il passaggio delle informazioni tra i vari professionisti coinvolti nella presa in carico del paziente disfagico quindi deve ma-nifestarsi attraverso una metodologia di lavoro condivisa e accessibile in egual misura e in qualsiasi momento dalle figure sanitarie mediche, tecniche-riabilitative, infermieristiche e assi-stenziali con la necessaria completezza, correttezza e aggior-namento, senza la dispersione di tempi e risorse.In Italia la presenza della disfagia nella popolazione adulta, nelle strutture per acuti così come nei centri di riabilitazione per malati in fase post acuta, nelle strutture residenziali e a domicilio, è elevata e destinata ad aumentare parallelamente al prolungamento della vita e all’evoluzione delle tecniche ria-nimatorie. Negli U.S.A. il 47% dei logopedisti lavora con persone disfagiche; negli ospedali e nelle strutture residenziali questa proporzione sale rispettivamente al 92% e al 100% (ASHA, 2001).In conclusione, sia considerando la realtà Italiana che quella Americana, possiamo dedurre che l’approccio interdisciplinare e multiprofessionale che caratterizza il percorso e la perma-nenza di un paziente con patologie neurologiche acquisite all’interno di una residenza per anziani rende indispensabi-le il ruolo e le funzioni del Logopedista. L’assunzione orale di alimenti deve essere sempre iniziata previa valutazione logo-pedica con l’obiettivo riabilitativo di un recupero e/o man-tenimento di una deglutizione funzionale e il raggiungimento di uno stato di nutrizione ottimale. Solo la stesura di un serio programma valutativo, riabilitativo e nutrizionale permette di nutrire e non “dare da mangiare”.

Dott.ssa Costanza GennaLogopedista – Poggio al Vento (Si)

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Quis Times - Anno 2014 - Mese Dicembre - Numero 728

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“La pelle dell’Anziano - preci-sa il Dott. Borroni, direttore dei Laboratori Farmoder-matologici Farmoderm - è in

assoluto la pelle più fragile, quindi deve essere trattata con prodotti che la rispettano e, dove possibile, che ne migliorino lo stato di integri-tà e di salute”.“Ancora oggi - spiega - molti Ospe-dali fanno ampio uso di manopole saponate perché si ritiene siano “molto pratiche”; invece, per la presenza di tensioattivi irritanti, an-drebbero sempre diluite con molta acqua e la zona trattata andrebbe abbondantemente risciacquata; es-sendo utilizzate in modo improprio, spesso gli Operatori lamentano di riscontrare varie problematiche cu-tanee (arrossamenti, irritazioni, in alcuni casi anche ulcere); se usate correttamente, queste manopole risulterebbero “non economiche” e “poco pratiche””.Per le Strutture per Anziani, Hospi-ce e Disabili, un’innovativa metodi-ca (Certificata ISO 9001:2008), me-diante l’utilizzo di pochi prodotti, assicura un trattamento completo di Igiene, Prevenzione e Benessere per l’Ospite complesso:- per il momento dell’Alzata, dove qualunque dermatologo consiglia una igiene con l’utilizzo di acqua, propone un Dermodetergente tut-to-corpo anallergenico da solubi-lizzare a basso dosaggio in acqua;

utilizzando il formulato (brevettato) ad una corretta concentrazione, non necessita di risciacquo e vanta marcate attività dermoprotettive, riacidificanti, antibatteriche, antio-doranti.- con il Primo Cambio del pannolo-ne, propone una esclusiva morbidis-sima Pasta Barriera Protettiva allo Zinco che, grazie alla formulazione traspirante (brevettata), si applica una sola volta al giorno in quanto non richiede la sua asportazione; il suo uso quotidiano previene ogni

rischio di patologie cutanee, tra cui macerazione, arrossamenti, erite-mi, ecc., riducendo sensibilmente i costi curativi. - per i Cambi Intermedi o per l’Igie-ne di zone con patologie cutanee, la Metodica prevede una esclusiva Crema Fluida (brevettata) che van-ta una marcata attività dermode-tergente e da utilizzare senza acqua e senza risciacquo; associa una azione antimicotica e antibatteri-ca; essendo il formulato ad elevato contenuto lipidico (oli ed estratti

Il Benessere della Persona inizia con una corretta igiene e prevenzione dermatologicaMeno di un caffè a settimana: questo il costo di un trattamento completo di eccellenza in grado di assicurare il massimo benessere dermatologico per l’Ospite più fragile e complesso.

“I frequenti casi di arrossamenti, irritazioni, sensibilizzazio-ni o pruriti presenti su cuti di Soggetti fragili, quali l’Anziano, non sono da imputare solo alle caratteristiche fisiologiche dell’apparato cutaneo, ma, quasi sempre, alla mancanza di prevenzione dermatologica ed all’utilizzo di detergenti gene-rici aggressivi”

Quis Times - Anno 2014 - Mese Dicembre - Numero 729

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naturali) vanta una marcata attivi-tà idratante, emolliente, nutrien-te, desarrossante, antiprurito.- per il Bagno Assistito, può essere utilizzato uno Shampoo Delicato, da usarsi anche quotidianamente, nel cui formulato sono stati inse-riti attivi ad azione curativa nei confronti delle varie patologie del cuoio capelluto, dermatiti sebor-roiche in primis; il formulato con-sente di essere utilizzato anche per l’Igiene di tutto il corpo.“Sebbene abbiamo realizzato ol-tre 200 formulati specifici per la cute fragile dell’Anziano – sotto-linea il Dott. Borroni – con questi quattro prodotti copriamo tutte le esigenze dermatologiche dell’O-spite ad un costo inferiore al costo di 1 caffè alla settimana”. Come evidenziato nel corso del Convegno ForumNA del 20 no-vembre 2014, dai dati statistici di settore risulta che le risorse

economiche dedicate all’igiene dell’Ospite incidono non oltre lo 0,5% del costo giornaliero, men-tre il Benessere Dermatologico incide per oltre il 30% sulla “Qua-lità di Vita Percepita dall’Ospite”; tradotto: “basso costo – alta Qua-lità di Vita”.“Eppure – evidenzia sempre il Dott. Borroni – pochi Economi si soffermano ad analizzare questo dato; spesso si vuole comunque ridurre il costo per l’igiene, por-tandolo il più possibile vicino allo zero, senza tenere conto che ri-durre i costi per l’igiene e la pre-venzione dermatologica significa aumentare sensibilmente i costi per curare le varie patologie cu-tanee che inevitabilmente si ve-rificheranno. Non disponendo di una contabilità analitica e man-cando un dialogo tra Economi e Personale Sanitario risulta difficile monitorare questi costi indiretti.

Il Mercato propone una miriade di prodotti cosmetici, purtroppo molti dei quali aggressivi e dan-nosi per la cute fragile e sensibi-le; molti sono proposti da Aziende che operano nel Settore Ambien-tale (pulizia pavimenti) e senza al-cuna conoscenza dermatologica, altri addirittura non a norma con i nuovi Regolamenti emanati dal Ministro della Sanità”.Quindi, al di là del semplice costo di acquisto, gli Economi dovreb-bero avere una minima cono-scenza della specializzazione del Fornitore, mentre i Coordinatori dovrebbero disporre di migliori conoscenze cosmetico-derma-tologiche dei prodotti in uso o in procinto di utilizzare.

Dott. Antonio CalvisanoGeriatra Direttore Sanitario RSA

Quis Times - Anno 2014 - Mese Dicembre - Numero 730

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Una corretta alimentazione influisce positivamente sullo stato di salute e quindi sulla qualità della vita; ciò vale anche per gli anziani che, in ragione degli ine-vitabili cambiamenti a carico dell’organismo, hanno

particolari esigenze alimentari.L’invecchiamento comporta:

• diminuzione del metabolismo basale (quota energetica necessaria per lo svolgimento delle funzioni vitali a riposo) e del fabbisogno energetico giornaliero;

• modificazione dei comportamenti corporei, con riduzione della massa “magra” e dell’acqua totale ed aumento della massa “grassa”;

• Riduzione della capacità di digestione e di assorbimento dei micro-nutrienti (Sali minerali e vitamine):

• Perdita di calcio;

• Riduzione della funzionalità di organi ed apparati (reni, fegato, intestino, etc...);

• Alterazione del gusto e della sede;

• Altri fattori possono poi accompagnarsi alle modificazioni fisiologiche proprie di quest’età ed influenzare le scelte alimentari quantitative e qualitative dell’anziano:

CLASSIFICAZIONE DELLE DISIDRATAZIONI

MODIFICAZIONI DI NATURA

DIPENDENTI DALL' INDIVIDUO

DIPENDENTI DALL' AMBIENTE

PATOLOGICA

Masticazione inadeguataDigestione difficoltosaIntolleranze alimentari

Diete particolariMalattie croniche

Assunzione di molti farmaci

Scarsa vita all’apertoInadeguata attività

fisica Ambiente di vita

malsano

PSICOLOGICA

Depressione, luttoDemenza

Difficoltà a socializzare

Rifiuto di alcuni cibi per errate abitudini

alimentari

Vita in comunitàLontananza o

disinteresse dei parenti, amici,

operatoriScarse proposte di attività ricreative

SOCIO-ECONOMICAIsolamento socialeScarsità di mezzi

finanziari

Scarsa educazione alimentare

Diete condizionate da scelte razziali o

religioseInsufficiente

assistenza al pasto

Idratazione e

corretta alimentazionemigliorano lo stato di salute e la qualità della vita degli anziani

In condizioni normali, il fabbisogno idrico è di circa 30 ml per kg di peso corporeo oppure di 1 ml ogni caloria assunta; in pratica, circa un litro e mezzo al giorno deve essere assunto con le bevande, mentre la restante parte va introdotta con gli alimenti. In situazioni particolari, quali febbre, diarrea, vo-

mito, nelle stagioni calde e nei climi afosi, tali quantità posso-no essere anche raddoppiate. Si raccomanda che le persone anziane, con buona funzionalità renale e cardiaca, bevano in abbondanza acqua naturale, non fredda. È consigliato al-ternare acqua oligominerale diuretica, a basso residuo fisso

Quis Times - Anno 2014 - Mese Dicembre - Numero 731

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(quantità di Sali contenuta in un litro d’acqua fatto evaporare a 180°C), con acqua medio-minerale, a residuo fisso di 500-800 mg/dl, prevalentemente calcica o bicarbonato – calcica, per assicurare un’adeguata idratazione ed un elevato appor-to di calcio.Il mantenimento dell’apporto calorico adeguato invece per un anziano istituzionalizzato si realizza:garantendo una corretta quantità di cereali e derivati;assicurando un adeguato apporto proteico, fornito da alimen-ti di origina animale e vegetale. L’apporto di sostanze plasti-che, quali le proteine, è sempre importante, sia in condizioni di autosufficienza (anziano con attività fisica anche moderata), sia negli allettati, dove è necessario prevenire o curare decu-biti o infezioni;mantenendo costanti l’apporto quantitativo di frutta, verdure e ortaggi, alimenti ricchi in Sali minerali, vitamine e fibra;riducendo o evitando l’uso di zuccheri semplici;limitando la quantità di grassi (soprattutto di origine animale).In generale nei soggetti anziani l’apporto energetico dovreb-be stabilirsi intorno alle 30 kcal per kg di peso corporeo al giorno.

La ripartizione giornaliera ottimale dei nutrienti (percentuale del fabbisogno calorico giornaliero, espresso in Kcal/die) è la seguente: 15% proteine, 25% grassi, 60% carboidrati. Significativa importanza ha anche la ripartizione delle calorie nella giornata e precisamente dovrebbero essere consumati 5 pasti distribuendo il 15% delle calorie per la colazione, il 5% per lo spuntino di metà pomeriggio e per la merenda, il 40 % per il pranzo e il restante 35% per la cena. Tralasciando tutte quelle disfunzioni che possono condurre o contribuire ad una grave alterazione dello stato nutrizionale (es: cachessie o stati di grave consunzione organica, obesità severa) le principali forme derivanti da errori alimentari posso-no essere: l’insufficienza da cibo, che comporta uno stato di malnutrizione o di denutrizione oppure l’eccesso di cibo, che provoca sovrappeso e obesitàLa malnutrizione è una condizione che si realizza quando non sono soddisfatte tutte le esigenze nutritive in termini di qualità e/o di quantità di un organismo o quando sussiste un alterato metabolismo delle stesse. Ad una forma di malnutrizione pri-maria possono associarsi una o più malnutrizioni secondarie (disfagia, difetti di assorbimento).

È opportuno che, nell’instaurarsi un caso di malnutrizione, ven-ga proposto un percorso di valutazione nutrizionale finalizza-to a verificare la possibilità di un’alimentazione per via orale, al fine di correggere e potenziare l’apporto proteico-calorico mantenendo gli alimenti naturali, e avvalendosi di consigli nutri-zionali, fortificazione degli alimenti e uso di integratori.Se prevalgono inappetenza, precoce ripienezza gastrica e precoce affaticamento nell’assunzione del cibo, un primo inter-vento nutrizionale consiste nell’indirizzare il paziente ad assu-mere una dieta frazionata, in pasti di piccolo volume, almeno 4 o 5 nella giornata, ad alta densità calorica, allo scopo di fornire molte calorie e proteine in un volume ridotto.Può essere utile suggerire ai propri pazienti di arricchire l’ap-porto proteico-calorico dei cibi utilizzando come fonte calori-

ca condimenti (olio, burro), salse (panna da cucina, maionese, besciamella), panna montata, gelati, zucchero, miele, marmella-te, sciroppi, succhi di frutta e come fonte proteica latte, anche in polvere o condensato, formaggio, uova.Se non sufficienti queste strategie seguirà l’utilizzo di integratori che le recenti Linee Guida ESPEN 4 definiscono come prodotti a formulazione definita, da utilizzare come supporto nutriziona-le (integratori) dell’alimentazione comune. Questa strategia ha la finalità di fornire, a pazienti ancora in grado di alimentarsi per via naturale, una quota aggiuntiva di nutrienti sufficiente a coprire i fabbisogni nutritivi, impedendo il ricorso a tecniche di supporto nutrizionale più invasive quali la nutrizione enterale (Sondino Naso Gastrico o PEG) o parenterale.Gli integratori orali possono essere utili in soggetti malnutriti o a rischio di malnutrizione in cui la supplementazione (food fortification) mediante cibi naturali sia risultata inefficace ma che siano ancora in grado di assumere con gli alimenti naturali almeno la metà dei loro fabbisogni, quando cioè si verifichi una riduzione complessiva delle ingesta valutabile in circa la metà della quantità di carboidrati e proteine abitualmente assunte nel periodo precedente quello dell’evento in causa. Nel corso degli ultimi anni la gamma degli ONS è andata ampiamen-te allargandosi, in termini sia di composizione bromatologica, sia di varianti gustative con migliore palatabilità dei diversi prodotti. Questo ha permesso un impiego nutrizionalmente più mirato e ha favorito la compliance dei pazienti nell’assunzione prolungata.

In caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo nutrizionale per via orale è necessario ricorrere alla nutrizione artificiale enterale (NE) e/o parenterale (NP).Gli obiettivi che si pone la NE nel paziente geriatrico sono quelli di fornire una sufficiente quantità di energia, proteine e micronutrienti; mantenere o migliorare lo stato nutrizionale, le funzioni, l’attività, le capacità riabilitative e la qualità di vita; ridurre la morbilità e la mortalità.

Lo scopo terapeutico della NE nel paziente geriatrico si diffe-renzia rispetto al paziente giovane in quanto il mantenimento delle funzioni e della qualità di vita è prioritario rispetto alla riduzione della morbilità e della mortalità. Considerata la ri-dotta capacità adattativa e rigenerativa dell’anziano, la NE dovrebbe essere intrapresa più precocemente e durare più a lungo rispetto al soggetto giovane.La NP è indicata e permette una nutrizione adeguata nei pa-zienti che non riescono a coprire i loro fabbisogni nutrizionali attraverso la via enterale; dovrebbe essere limitata ai casi in cui la NE sia controindicata o scarsamente tollerata. Sia la nutrizione parenterale centrale che periferica possono essere utilizzate nei pazienti geriatrici. La via sottocutanea è possibile per la somministrazione di liqui-di al fine di correggere una lieve o moderata disidratazione ma non per somministrare altri nutrienti.

Dott.ssa Elena SeksichDietista

Quis Times - Anno 2014 - Mese Dicembre - Numero 732

uisTimes

Come si svolge una visita geriatrica?Vorrei portare mia madre di 96 anni a fare una visita generale dal geria-tra, ma non ho capito in cosa consista esattamente la sua attività? Come si svolge una visita dal geriatra? E in cosa potrebbe essere utile ad una persona di questa età? La ringrazio e saluto cordialmente.

Maria

Gent.ma Maria, essere geriatri oggi significa - a mio parere - interpretare nel modo migliore le trasformazioni demografiche, sociali e sanitarie in corso. Il geriatra non è, infatti, semplicemente

lo specialista nella cura degli ultrassessantacinquenni, ma un medico che pone al centro della propria attività professionale il paziente con la sua globalità e la sua complessità. Il geriatra frequentemente utilizza scale di valutazione multidimensionale e, raramente, limiterà la propria attenzio-ne al singolo organo o apparato e, invece, di regola, coglierà le relazioni fra la polipatologia e il pluritrattamento. La visita medica non sarà mol-to diversa da una visita tradizionale, ma non potrà sfuggirle l’attenzione del tutto particolare che il geriatra porrà nell’inquadrare il paziente e nel definire un percorso assistenziale che tenda alla corretta riabilitazione e a mantenere il più a lungo possibile l’autosufficienza. È, invero, un fatto culturale e, pertanto, l’intervento diagnostico e terapeutico al di là delle problematiche del singolo individuo, non può non riguardare un po’ tut-ti, associazioni, familiari e medici di medicina generale e specialisti delle varie branche ed istituzioni, tutti un po’ più sensibili e sensibilizzati non solo ad allungare la vita ma soprattutto ad aggiungere vita agli anni. Cordiali saluti.

Dott. Domenico Di Vincenzo - Geriatra

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Mia madre di 98 anni ha gravi distur-bi del sonno!Egr. Dottore, ho la mamma di 98 anni (usa la sedia a rotelle) che da circa un mese ha gravi disturbi del sonno (allucinazioni notturne con visioni

persecutorie e diurne con movimento continuo delle mani per elimina-re oggetti “inesistenti” quali briciole, filamenti...). Ha cominciato a non dormire per nulla per due giorni di seguito. È intervenuta la guardia me-dica che con un’iniezione l’ha fatta dormire per 20 ore. Sono seguiti altri tre giorni di insonnia con successivo intervento della guardia medica e la solita iniezione. È intervenuto poi un neurologo che le ha prescritto per la sera 5 gocce di Neuleptil e una compressa di Farganesse. Per una settimana, pur restando sveglia la notte, dormiva di giorno 7/8 ore. Da una settimana (nonostante la terapia ultima indicata) ha ripreso a stare sempre sveglia per due o tre giorni consecutivi in compagnia delle sue al-lucinazioni e con un aspetto fisico terrificante. Ci sono cause individuabili di questo comportamento e soprattutto terapie adeguate? La ringrazio di cuore per eventuali consigli.

Silvana

Gent.ma Sig.ra Silvana, non mi ha detto se sua madre in questi ultimi anni ha pre-sentato un deterioramento cognitivo, nè se presenta altre patologie o assume altri farmaci. Le terapie farmacologi-

che, soprattutto se multiple, in pazienti anziani ed in particolare in grandi anziani, cioè soggetti di età superiore ad 85 anni, possono avere effetti collaterali severi. In ogni caso, considerato che sua madre continua a non dormire ed a presentare allucinazioni e visto che le terapie farmacologi-che da lei riportate non hanno sortito alcun effetto, io penso innanzitutto che sia legato ad un deterioramento cognitivo globale (a 98 anni è un fe-nomeno parafisiologico!). Personalmente somministrerei un farmaco ce-rebroattivo al mattino, in quanto se persiste questa inversione del ritmo sonno-veglia qualsiasi terapia è destinata a fallire. Lasciare una piccola luce notturna, inoltre, potrebbe avere efficacia. Poiché non è consigliabile somministrare farmaci come l’aloperidolo, ottimo allucinolitico, ma con numerosi effetti collaterali extrapiramidali (ad es. aumenta la rigidità, provoca tremori), personalmente aumenterei il dosaggio del Talofen (10 gtt la sera), associando la melatonina (3mg), sostanza naturale che ha un ottimo effetto sul sonno. Ne parli con il medico curante, eventualmente la faccia visitare da un geriatra. Cordiali saluti.

Dott. Pietro Gareri - Geriatra• • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

Quis Times - Anno 2014 - Mese Dicembre - Numero 7

Come fare accettare l’ingresso in casa di riposo?Salve, mia madre di 85 anni è stata da poco dimessa per una ischemia laterale orecchio dx, oggi è in casa sua con la badante in quanto inconti-nente e con catetere. Lei soffre di diverse patologie: diabetica, ipertesa, una forma di Parkinson che le ha indurito le gambe, ecc. La mia domanda è più un consiglio su come farle accettare l’idea di entrare in una casa di riposo. Grazie.

Roberto

Salve, indubbiamente è un problema di non facile gestione quan-do si deve cercare di convincere un proprio familiare, in particolare se anche anziano, a farsi ricoverare. Posso ma-

gari suggerirvi di rivolgervi inizialmente ad un centro diurno e solo suc-cessivamente passare ad una completa residenzialità. Magari accetterà in maniera meno traumatica il distacco dall’ambiente familiare. Distinti saluti.

Dott. David Puggioni - Geriatra

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Sincope vaso vagale: è necessario l’impianto di un pace-maker?Salve. Ho da sottoporle il caso di mio padre, 71enne. Dopo un episodio di perdita di coscienza abbastanza importante, tanto da provocargli una frattura all’osso mastoideo a causa della caduta, siamo giunti alla conclu-sione che si sia trattato di sincope vaso vagale (non è la prima volta che gli accade, ma in modo così grave sì). Ritiene sia necessario l’impianto di un pace-maker? Grazie

Lettera non firmata

Gentile lettore, a 71 anni è molto probabile che la caduta, conseguente alla perdita di conoscenza (che noi medici chiamiamo sin-cope) sia dovuta ad un problema serio. Ancora di più per-

ché non è la prima volta che suo padre cade e considero che doveva già avere una diagnosi e la giusta terapia senza aspettare che si rompesse un osso del cranio... In base alle informazioni che mi fornisce, non posso dire se è giusto o no impiantare un pacemaker. Quello che posso dire è che la probabilità che la causa della sincope sia dovuta ad un severo rallenta-mento dei battiti cardiaci è molto alta e se è così, allora sicuramente il pacemaker è la terapia giusta. Porti suo padre con urgenza da un aritmo-logo che risolverà il problema.

Dott. Vladimir Guluta - Cardiologo

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La mia memoria vacilla col tempoBuongiorno, ho 72 anni ed ho vissuto una vita molto intensa, perchè nei lavori che ho svolto ho dovuto imparare da me stesso cosa e come fare. Ho sofferto di esaurimento nervoso che sono riuscito a dominare con tanta forza di buona volontà, adesso posso dire che non soffro più di que-sto male se non raramente ed in forma certamente meno grave di prima. Il mio problema attuale è quello di avere sempre meno memoria e faccio fatica a ricordarmi fatti, nomi e persone che riesco a ricordare dopo un po’ di tempo. Avevo tanta passione nel leggere e scrivere, ora mentre leggo penso altre cose e non riesco a memorizzare cosa ho letto. Tale cosa mi inibisce anche e soprattutto nell’apprendimento di cose piacevoli quali ad esempio, imparare la musica per suonare in modo professionale il mandolino. Certamente non è questo il problema che mi assilla di più, se non il fatto di intuire che man mano che passa il tempo la mia me-moria vacilla sempre di più. Posso avere un aiuto? Quanto può incidere questa mia situazione nel futuro, considerato che ho in vita mia mamma che ha compiuto da poco 97 anni, vive bene perchè non soffre di nulla, ma non mi riconosce più e quindi vegeta soltanto? Grazie per i consigli che spero potrò ricevere.

Francesco R.

Buongiorno Francesco, nella sua lettera ci sono molti elementi e molte informa-zioni da tenere in considerazione. Cercherò di dare una ri-sposta, ove possibile, o per lo meno, darle qualche spunto

di riflessione. Con il passare dell’età è fisiologico che emergano modifica-zioni o difficoltà legate all’apprendimento ed alla memorizzazione verba-le, mentre permangono solitamente inalterate le capacità di vocabolario e di effettuare operazioni logiche. Per quanto riguarda l’apprendimento è possibile continuare ad imparare utilizzando metodi diversi, cioè se da giovani si utilizzava il meccanismo della memorizzazione, da meno giova-ni si può utilizzare una strategia diversa, ossia l’azione: imparare facen-do. Se la memoria non funziona più come in passato, si possono utilizzare strategie di recupero delle informazioni e piccoli aiuti, come per esempio annotare: la lista della spesa, gli impegni, le cosa da fare durante la gior-nata, etc, per non dimenticare elementi o appuntamenti importanti. Il fatto di scrivere aiuta anche a memorizzare meglio le informazioni. Non bisogna dimenticare, però, che l’emotività e l’affettività giocano un ruolo importante nel memorizzare e nel recuperare le informazioni. Nella sua lettera parla anche di sua madre, che ha appena compiuto 97 anni e “vive bene”, ma “vegeta soltanto” e non la “riconosce più”: mi paiono elementi un po’ in contraddizione tra loro! Quando ha iniziato ad avere problemi di memoria? Da quanto tempo persiste questa situazione? Esiste una pato-logia in atto per cui possa esserci un certo grado di familiarità?Rimango a sua disposizione. Cordiali saluti

Dott.ssa M. Mazzucato – Psicologa

33uisTimes

Quis Times - Anno 2014 - Mese Dicembre - Numero 7

Nei giorni scorsi, a Firen-ze si è tenuto uno dei più importanti conve-gni nazionali riguardan-

ti le Demenze. In tale contesto, oltre agli aspetti innovativi della ricerca sulla farmacologia e sugli aspetti genetici e diagnostici, si è tenuto un simposio sulla dignità della persona affetta da demen-za. Pertanto propongo di seguito alcune delle riflessioni che sono emerse durante il simposio. Inte-ressante è vedere come la filoso-fia può dare un suo contributo a questioni estremamente critiche e finora considerate appannaggio della medicina, come ad esempio la valutazione della razionalità e della consapevolezza di una per-sona con demenza. L’agire umano consiste nel cono-scere le ragioni del proprio agire e nel renderle comprensibili ad altri, pertanto una persona è con-siderata capace, se non solo agi-sce ma sente di avere ragioni per agire ed è in grado di comunicar-le, questa definizione implica che le azioni del singolo individuo per essere considerate razionali, ne-cessitano di ragioni consapevoli alla persona che le compie e so-cialmente comprensibili agli altri.In parole povere, per valutare se un’azione è ragionevole, non ba-sta il vissuto di chi la compie, ma

serve l’approvazione di più perso-ne che sono spettatori. Pertanto agire razionalmente presuppone che l’agente possieda le capacità di farsi rappresentazioni affidabi-li ed accurate della realtà esterna ed interna, le sappia integrare e concatenare in un processo chia-mato pensiero ed infine utilizza-re per realizzare i propri scopi ed interessi, tenendo conto di quelli degli altri. La demenza, come peraltro molte altre patologie, è in grado di osta-colare questo percorso, impeden-do il riconoscimento sociale della razionalità delle azioni. Per con-tro, è valido il primo presupposto, ovvero la persona con demenza ritiene le proprie azioni adegua-te, perciò non vi è conflitto tra intenzione ed azione. Facciamo un esempio pratico: se un malato mette il portafogli in frigo assie-me alla spesa, per lui può essere un comportamento adeguato, in quanto la sua dipendenza am-bientale fa sì che deponga tutto ciò che ha in mano all’interno del frigo senza fare differenze, men-tre questo stesso comportamento ingenera parecchia preoccupazio-ne nei familiari che vedono tutta l’irrazionalità dell’azione. Possiamo pertanto ipotizzare che nel malato di demenza, non è tan-to il riconoscimento del proprio

agire ad essere carente, ma ci si trova di fronte ad un disturbo del ragionamento sociale: come ad esempio la capacità di anticipare mentalmente le conseguenze fu-ture delle nostre azioni, l’assun-zione di punti di vista alternativi, la formulazioni di ipotesi e dedu-zioni alternative, la formulazione di giudizi di natura morale, che sono tutte componenti della ra-zionalità necessaria per cavarsela nel contesto sociale. Pertanto, considerato che il ri-spetto per l’autonomia è univer-salmente ritenuto un principio etico fondamentale, come possia-mo garantire perciò la massima autonomia decisionale della per-sona malata di demenza quando questa non è più in grado di ma-nifestare un agire razionale? Ad esempio, promuovendo il ricorso a strumenti giuridici come le di-chiarazioni o direttive anticipate di trattamento, l’analisi dei suoi convincimenti, il suo stile di vita, l’indicazione di un fiduciario per le decisioni mediche e la nomina di un amministratore di sostegno, possibilmente tra le persone che hanno conosciuto la persona con demenza durante la sua vita pre-cedente alla malattia.

Dr.ssa Paola MilaniPsicologa

LA DIGNITÀ DELPAZIENTE DEMENTE aspetti etici e filosofici

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