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Paolo Aresi L’uLtimo dono Le sei suore delle Poverelle morte per l’epidemia di Ebola nel 1995
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Paolo Aresi

L’uLtimo dono

Le sei suore delle Poverelle morte per l’epidemia di Ebola nel 1995

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Queriniana

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© 2010 by Editrice Queriniana, Brescia via Ferri, 75 – 25123 Brescia (Italia/UE) tel. 030 2306925 – fax 030 2306932 internet: www.queriniana.it e-mail: [email protected]

Tutti i diritti sono riservati. È pertanto vietata la riproduzione, l’archiviazione o la trasmissione, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, comprese la fotocopia e la digitalizzazione, senza l’autorizzazione scritta dell’Editrice Queriniana.

ISBN 978-88-399-3113-9

Stampato dalla Tipolitografia Queriniana, Brescia

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Presentazione

Suor Floralba, suor Clarangela, suor Danielangela, suor Dinarosa, suor Annelvira, suor Vitarosa: vite da ricordare e da raccontare. Perché evocare la loro storia a quindici anni dalla morte? Perché sono volti di Vangelo, donne che hanno vissuto la vita servendo la vita, nel dono di sé, volti di carne, presenze umane che hanno dato trasparenza ed efficacia al mistero vivente che le abitava.

La Grazia non è mai astratta: ha nomi e cognomi. Le storie di queste religiose sono pagine di Vangelo scritte per noi, pagine vive e concrete che raccontano il mistero di Dio nel pane buono per ognuno che ha fame, nella parola di consolazione per ognuno che è solo, nelle mani che si prendono cura di ognuno che soffre nel corpo e nello spirito. Donne di Dio, lontanissime dai volti smunti di religiosità disincarnate. Donne che, nel solco del carisma del beato Luigi Maria Palazzolo, hanno interpretato con la loro sensibilità e la loro umanità l’insegnamento antico e sempre nuovo del Vangelo, che un padre della Chiesa esprime così:

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«Finché ci è dato di farlo visitiamo Cristo, curiamo Cristo, alimentiamo Cristo, vestiamo Cristo, ospitiamo Cristo, onoriamo Cristo non solo con la nostra tavola, come alcuni hanno fatto, né solo con gli unguenti, come Maria Maddalena, né soltanto con il sepolcro, come Giuseppe d’Arimatea, né con le cose che servono alla sepoltura, come Nicodemo, che amava Cristo solo per metà, e neppure infine con l’oro, l’incenso e la mirra, come fecero, già prima di questi nominati, i Magi. Ma, poiché il Signore di tutti vuole la misericordia e non il sacrificio… offriamogli questa nei poveri e in coloro che oggi sono avviliti fino a terra…» (san Gregorio Nazianzeno).

Le suore delle Poverelle, morte in Congo (allora denominato Zaire) tra il 25 aprile e il 28 maggio 1995, non sono morte per difendere la fede. Non sono state assassinate. Hanno portato a compimento la loro vita terrena, dando la testimonianza di un amore tenace, fino alla debolezza disarmante di fronte alla morte. Hanno dato la vita in fedeltà alla loro missione, avvolte nella storia di un popolo, consapevoli, come scrisse una di loro, che «occorre saper morire per dare la vita» e che «occorre una super dose di pazienza, di comprensione e soprattutto di amore» (suor Danielangela). Non sono martiri per la fede. Sono martiri di carità, di quella carità che le ha spinte a vivere fino in fondo la fraternità, a condividere tutto dei poveri, a rimanere con coraggio in un avamposto della missione, insidiato da un virus letale.

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Ho visitato Kikwit, l’anno dopo il dramma di Ebola; una città di circa 400.000 abitanti, a oltre 500 km da Kinshasa, capitale del Congo. Ci arrivai con un velivolo di venti posti, perché la strada che collega Kinshasa con Kikwit, una volta molto buona, era pressoché impraticabile. Una città dove la povertà è di casa. Per avere l’acqua occorre andare a piedi al fiume Kwilu, distante alcuni chilometri, e prenderla con i bidoni. Le donne coltivano piccoli campi lontani dalla città, dove una volta c’era la foresta: escono la mattina, prestissimo; fanno lunghi percorsi a piedi per rientrare la sera e preparare l’unico pasto del giorno, qualche radice di manioca, un po’ di mais, un po’ di verdura. A scuola gli insegnanti lavorano, sperando in un improbabile stipendio. A Kikwit, allora, come in tutto lo Zaire, situazione degradante, svalutazione vertiginosa, miseria crescente.

Mi accompagnò suor Gesuelda Paltenghi, Madre Generale delle suore delle Poverelle dal 1983 al 1995. Al termine del suo mandato, suor Gesuelda si rese disponibile a ritornare in Congo, là dove, nell’arco di un mese, il virus letale aveva falcidiato, senza pietà, uomini e donne: «Siamo tutte come paralizzate! Assistiamo impotenti e ci si stringe il cuore! – scriveva suor Annelvira. Da tre giorni sono due infermieri al giorno che muoiono all’ospedale. A Kikwit pare che sia da due mesi e mezzo che la gente “muore come mosche”… senza che si chiedessero perché… solo si parlava di forme tifoidi! Ci sono famiglie distrutte!».

Ho percorso i luoghi di quell’interminabile “Ve-nerdì santo”, custodito da suor Gesuelda e dalla

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sua famiglia religiosa come uno dei momenti più sofferti e fecondi della storia delle suore delle Po-verelle. «Il cuore si spezza di dolore!… Il Signore vuole identificarci sempre più alla sua esperienza di solitudine, di abbandono in Dio. Ci sostenga tutte!» (suor Donata).

Sono stato ospite nella comunità di Kikwit, dove le suore vivono spinte da un solo desiderio, manifestato in modo semplice ed essenziale da suor Dinarosa, poche settimane prima di morire: «La mia missione è quella di servire i poveri! Cosa ha fatto il mio Fondatore? Io sono qui per seguire le sue orme…».

Ho sostato nel piccolo cimitero, a pochi passi dalla cattedrale. Suor Floralba, suor Clarangela, suor Danielangela, suor Dinarosa, suor Annelvira, suor Vitarosa sono sepolte tra i poveri, con segni poveri, secondo lo spirito del beato Luigi Maria Palazzolo: una sepoltura ordinaria, con segni ordinari, tra fiori di campo e una piccola croce di legno. Ci vuole poco per rivelare l’essenziale di una vita donata giorno per giorno, con letizia e con umiltà, senza strepito, nel silenzio del servizio quotidiano: basta una semplice croce. Ci vuole poco a raccontare il Vangelo: basta accoglierlo come un seme.

Ho pregato nella cappella di Kikwit, luogo dell’incontro con Gesù nell’eucaristia, prima di in-contrarlo nei fratelli sofferenti dell’ospedale, luogo della consegna quotidiana della propria vita nelle mani di Dio: «Con Maria ai piedi della croce vo-gliamo ravvivare la nostra fede e ripetere con Gesù e Maria, con tutte le sorelle, con la Madre Gene

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rale il “Fiat!”, certe che Lui sa tutto ed è con noi anche in questa durissima prova» (suor Annelvira).

Amore di abbracciamento lo chiamava il beato Luigi Palazzolo: «Amiamo non con amore di am-mirazione, con quell’amore di abbracciamento… con questo si farà manifesto il nostro vero amore a Gesù».

E l’amore di abbracciamento ha generato storie di abbracciamenti di poveri, di rifiutati, di dimenticati, di ultimi affidati al loro cuore materno: «Aprimi interamente al tuo Amore, Padre, ponimi accanto ai miei fratelli libera, accogliente, felice, povera tra i più poveri, come una goccia d’acqua, sperduta nell’oceano immenso del tuo amore» (suor Claran-gela).

L’abbraccio quotidiano con il Crocifisso Risorto ha reso le esistenze delle religiose capaci di riflettere l’Amore di Dio e di «seminare la misericordia del Signore», come era solita dire suor Floralba; capaci di dare e di riconoscere i doni di Dio, come ha scritto suor Vitarosa: «Posso dire che ho ricevuto tanto da loro, soprattutto la serenità e la capacità di sopportazione. Loro accettano tutto dalla mano di Dio».

Ho visitato l’ospedale, teatro del dramma e ho dormito nella stanza dove suor Danielangela ha vissuto, in isolamento, gli ultimi giorni della sua vita, consapevole che «non sappiamo né l’ora né il giorno in cui il Signore ci può chiamare», ma che occorre sempre «restare nella gioia, perché amore chiede amore» (suor Danielangela).

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Le pagine di questo libro, scritto con la compe-tenza giornalistica di Paolo Aresi, sono un invito non solo a custodire le piccole grandi storie di sei suore delle Poverelle che hanno cantato il Vangelo della carità, ma soprattutto a ricordare che i martiri della carità e i martiri della fede sono come seme nella terra, come lampada che splende nella casa di questa umanità, come profumo che annuncia la presenza e l’amore del Signore. I martiri sono uomini e donne di “domani”, sono i testimoni del mondo futuro: là ci sarà solo la carità.

don Arturo Bellini

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Le_Suore_delle_Poverelle_ giungono_nella_missione_di_Kikwit_il_5 maggio 1952.

Sono_in_cinque,_tutte_infermiere: Floralba Rondi Forziana Gasparini Gerosa Vanoncini Rosalia

Castellani Espedita Valle

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Suor_Floralba:_ la_luminosità_dello_sguardo_fisso_in_Dio.

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Suor_Floralba:_ una_generosità_e_un_amore_sconfinati_per_la_sua_gente.

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Suor_Clarangela:_ la_passione_di_servire_come_voleva_il_Fondatore.

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Suor_Clarangela:_ la_gioia_di_costruire_la_comunione.

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Suor_Danielangela:_ una_dedizione_delicata_e_competente_agli_ultimi.

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Suor_Danielangela:_ la_gioia_del_donarsi_senza_riserve.

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Suor_Dinarosa:_ la_gioia_delle_cose_semplici.

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Suor_Dinarosa: la_pazienza_di_camminare_al_passo_con_i_piccoli.

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Suor_Annelvira:_ una_maternità_che_sa_diffondere_speranza.

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Suor_Annelvira:_ la_competenza_e_il_sorriso.

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Suor_Vitarosa:_ gioia_di_vivere_e_di_donare.

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Suor_Vitarosa:_ la_passione_per_il_benessere_e_la_crescita_dell’altro.

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La_cattedrale__ di_Kikwit.

Una_delle_tombe__ delle_suore.

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Introduzione

Sei donne che hanno deciso di lasciare il proprio Paese, la propria città, per andare ad aiutare persone e comunità che versano in condizioni molto difficili. Sei donne che credono di avere un messaggio importante da comunicare al mondo. Sei donne, sei suore che, ancora giovani, hanno raggiunto l’Africa e che in Africa, in mezzo alla povertà e a problemi di ogni genere, stavano bene, si sentivano realizzate. Più che a casa. Queste sei donne lavoravano soprattutto negli ospedali, nel nome del messaggio cristiano, per un mondo nuovo. Quando il virus Ebola ha fatto il suo ingresso nella vita della città di Kikwit e nei dintorni, le sei suore sono rimaste al loro posto. Suor Floralba, suor Clarangela, suor Danielangela, suor Dinarosa, suor Annelvira, suor Vitarosa sono morte a causa del virus Ebola perché avevano deciso di non lasciare il loro posto. Ma chi erano queste sei donne? Da dove venivano? Come era la loro vita? Questo scritto cerca di dare una risposta in maniera essenziale, senza fronzoli né sentimentalismi, lasciando parlare i documenti, le lettere, gli appunti delle protagoniste; lasciando spazio alle

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testimonianze dirette e alle comunicazioni, ai fax che in quei terribili giorni si susseguirono fra il Congo e la casa madre di Bergamo.

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Ebola è un nome che oggi incute timore, che evoca scenari apocalittici, rischi per l’intera umanità, come si possono vivere nella letteratura di fantascienza o nel racconto cinematografico di film come Virus Letale e Andromeda. Quale sia l’origine di Ebola è un mistero, si suppone sia un virus che «viene dalla foresta», un microorganismo forse legato al mondo degli scimpanzé. Di fatto, di Ebola si parlava già durante la seconda guerra mondiale: ci furono prigionieri italiani in Africa contagiati dal virus. Il nome del virus viene dalla zona del fiume Ebola, dove si verificarono i primi casi conosciuti, ai confini fra Congo e Repubblica del Centroafrica. Se ne sentì parlare poi nel 1976, quando si verificò un’epidemia nella parte meridionale del Sudan. Pochi mesi dopo la malattia esplose in una provincia dello Zaire, si manifestò nello Yambuku Mission Hospital, una clinica gestita da suore del Belgio. Morirono le suore, morirono le infermiere, l’epidemia si propagò in maniera spaventosa, la regione venne isolata. Non si può dire quanti furono i morti, migliaia e migliaia. Per fortuna e per ragioni sconosciute il virus perse la sua forza nel giro di qualche mese e così l’epidemia si spense.

Il virus del 1995 si è manifestato nell’ospedale di Kikwit. Kikwit è una città di 400 mila abitanti, vicina al fiume Kwilu, si trova in un paesaggio suggestivo, ricco di acqua e vegetazione, nella parte a sud ovest del Congo, vicino al confine con l’Angola. Sembra che la trasmissione avvenga per via ematica, cioè per contagio attraverso il sangue: alcune gocce possono entrare in contatto con piccole ferite o abrasioni della

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pelle e insinuarsi così in un nuovo organismo umano. La prima suora vittima, suor Floralba Rondi, rimase contagiata nella sala operatoria dell’ospedale.

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Leggiamo la testimonianza di una suora delle Po-verelle, suor Amelia, che all’epoca si trovava nella missione di Kinshasa ed era segretaria della Madre Provinciale, responsabile delle missioni delle Po-verelle in Africa, suor Annelvira. Oggi suor Amelia è Superiora di una comunità delle suore delle Poverelle della zona e responsabile del liceo umanistico che conta settecento alunni. Il complesso scolastico comprende anche ottocento bambini della scuola primaria e novecento dell’istituto tecnico. Racconta: «Quando ricordo quei giorni mi vengono in mente momenti di grande intensità. Io stavo al collegamento con la phonie, cioè la ricetrasmittente di Kikwit, aspettavamo i messaggi con ansia. Ricordo nel cuore un senso di grande sofferenza, ma anche di fraternità, di famiglia. Ci sentivamo così unite, sentivamo che ci volevamo bene. E dentro c’era sofferenza e quel senso di impotenza e ci rivolgevamo a Dio e chiedevamo: “Perché, perché? Qual era il senso di quel dolore? Perché?”. No, non ho mai nemmeno per un minuto pensato di lasciare il mio posto o lasciare addirittura la mia condizione di suora. Al contrario. Nonostante il dolore e anche la rabbia, in quei momenti ci si aggrappava a Dio in maniera anche più forte. Dentro di me pensavo: “Ma perché un’altra, perché, ma dove sei Signore, dove sei?”. Chiedevo un miracolo, ma non c’è stato miracolo. E allora mi adagiavo nella fede e dicevo e sentivo dentro di me: “Io credo, io non capisco, ma credo”. E in questo credere incontravo tanta serenità, era un abbandono. È stata un’esperienza di grande dolore, ma in questo ricordo c’è anche tanta luce, tanto sole per via della

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solidarietà, per via della consapevolezza di avere vissuto accanto a persone eroiche».

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Ma come era nata la missione? Come erano ar-rivate nel Congo le suore delle Poverelle? Era il 1950, la guerra era finita da pochi anni lasciando un’eredità di distruzione, ma anche di speranza, si immaginava un avvenire diverso, che un nuovo svi-luppo di pace avrebbe riguardato tutti i popoli, anche quelli più arretrati, anche l’Africa delle colonie, dello sfruttamento da parte delle nazioni “civili”. In occasione della beatificazione di Maria Goretti la Superiora Generale delle suore delle Poverelle, madre Fiorina Freti, incontrò a Roma il gesuita padre Greggio, missionario in Congo Belga. Il missionario le raccontò delle speranze e dei bisogni di quella terra. Di quanta povertà, di quanta miseria e di quanto bisogno ci fosse, di quanti ultimi si potessero incontrare in quelle terre. La Superiora ne parlò alle sorelle, ma era evidente che la terra di missione fosse del tutto congeniale all’istituto fondato da don Luigi Palazzolo e da madre Teresa Gabrieli: «Avvolgetevi nei poveri, aiutate gli ultimi degli ultimi…», era il messaggio essenziale del Palazzolo. La missione prese il via il Mercoledì santo del 1952.

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Le prime suore arrivarono a Kikwit il 5 maggio 1952, dopo due lunghe settimane di navigazione, 500 km di ferrovia e, per l’ultimo tratto, un volo su un piccolo aereo di fortuna.

Erano suor Espedita Valle di Bologna, suor For-ziana Gasparini di Vicenza, suor Gerosa Vanoncini di Bergamo, suor Rosalia Castellani di Livigno (Sondrio) e suor Floralba Rondi di Pedrengo (Ber-gamo).

Ecco come la Superiora, suor Espedita, descrisse l’ospedale di Kikwit: «Tre stamberghe in muratura: ecco il nostro ospedale. Una piccola sala operatoria, un misero ufficio amministrativo che sarà affidato a me, nessun lavabo, niente acqua potabile, solo acqua che viene trasportata con fusti e attinta dal fiume Kwilu… Quale stretta al cuore abbiamo provato alla vista di quei poveri ammalati, magri, sparuti, quasi tutti in condizioni veramente miserabili; giacciono su letti senza materassi e senza lenzuola; altri stanno adagiati su povere stuoie di fabbricazione locale. Novanta ammalati, un solo medico, tuttofare, nessun specialista».

Fra le prime cinque suore delle Poverelle mis-sionarie che sono giunte in Congo c’era anche suor Floralba Rondi, da Pedrengo.

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1. Suor Floralba

Suor Floralba Rondi era nata a Pedrengo il 10 dicembre del 1924, prima di otto figli. A quindici anni, era il tempo in cui si scatenò la seconda guerra mondiale, le morì la madre: Rosina, questo era il suo nome di battesimo, dovette occuparsi dei tre fratelli e delle quattro sorelle più piccole. Un impegno notevole, tanto più che la ragazza andò pure a lavorare in filanda per dare una mano all’economia della famiglia. Una vita di povertà, come era la vita di tutte le famiglie contadine e operaie bergamasche. La mattina all’alba la messa, poi il lavoro, la notte il rammendo. La situazione si modificò in seguito alle seconde nozze del padre. A differenza di quanto accade nelle fiabe, la matrigna si rivelò una presenza positiva per Rosina, che incontrò una persona comprensiva: con lei Rosina andò sempre molto d’accordo. Dalla seconda moglie il padre ebbe due altre figlie: anche con loro ci fu grande armonia e una di loro adotterà poi una bambina dello Zaire. Rosina entrò nell’istituto delle suore delle Poverelle a ventuno anni: era il 1945, e la guerra appena terminata. L’idea di partire per le missioni era stata sempre ben chiara nella ragazza e quando le suore

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delle Poverelle portarono in Congo la loro frontiera, suor Floralba si offrì immediatamente. Da ragazzina Rosina aveva più volte ripetuto: «Mi faccio suora, attraverso il mare, salvo un’anima e poi muoio».

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La dimensione missionaria realizzò in maniera profonda le aspirazioni di Rosina, suor Floralba. Si può ben dire che non solo trovò tante anime da salvare dopo avere attraversato il mare, ma che incontrò migliaia di anime e migliaia di corpi che avevano bisogno di grande aiuto. Così suor Floralba non amava più di tanto rientrare in Italia, perché sentiva che il suo posto era là, che là in Africa stava il senso della sua vita. Trascorse venticinque anni nell’ospedale di Kikwit, sei in quello della capitale Kinshasa e dieci nel lebbrosario di Mosango. Qua-rantuno anni in missione avevano fatto sì che suor Floralba fosse molto conosciuta in quella regione del Congo chiamata Bandundu.

La chiamavano «mama mbuta – mamma anziana», la “Madre Teresa” del Bandundu, perché riusciva sempre a dare una mano, in qualunque modo e in qualunque situazione. Anche nelle cose più piccole. Per esempio, cercava di tenere in tasca sempre qualcosa da dare a chi aveva fame, un pezzo di pagnotta o un uovo sodo che lei stessa non aveva mangiato.

Scrive di lei suor Nathalie Muteki: «Suor Floralba quando diceva una cosa, non mancava mai la parola “carità”, a me in particolare mi guardava sempre in faccia, poi mi sorrideva. Negli ultimi suoi giorni ho constatato una cosa: era molto serena, parlava tante volte del Paradiso; il giorno della santa Pasqua dello stesso anno, il 15 aprile, la notte di Pasqua, la suora ha danzato tutta la messa in cattedrale, era felice: mai avevo visto nella sua vita suor Floralba danzare. Era giusta con tutti, per lei non c’era bianca o nera, quello

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che aveva da dire, con la sua calma, lo diceva senza paura, anche con le autorità civili; quando capitava qualche cosa con i dottori dell’ospedale di Kikwit, esigeva giustizia per i fratelli poveri: era loro difensore e con l’aiuto del Signore ci riusciva».

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E suor Annie Mumbemba, giovane juniore rac-conta: «Fra i miei ricordi più cari vi è un dialogo con suor Floralba. Mentre l’aiutavo con i malati mi disse: “Nel povero c’è il Cristo che tu servi; che esso sia un ladro, un bandito, un mendicante non ha importanza… se ti chiede qualcosa daglielo; se ti si avvicina accoglilo. È la carità che tu fai; se mente o ti ruba, è lui che compie il peccato; tu vivi la ca-rità”».

Il segreto della sua vita è da cercare nella sua spiritualità. Suor Floralba aveva molto a cuore il dialogo con il suo Signore. L’abbandono fiducioso in Dio era la sorgente che rigenerava la sua attività. Era pienamente consapevole che questa qualità dell’anima si acquista con un esercizio coraggioso di distacco, di semplicità, di purezza interiore, a imitazione del fondatore, il beato Luigi Maria Palazzolo. Le note dello spartito del suo cammino spirituale sono rintracciabili nella corrispondenza epistolare con i familiari e con la Madre Generale.

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Scrive a una sorella nel 1965: «Fa’tutto per amore e per far piacere al Signore e vedrai quanti meriti guadagnerai per il Paradiso. Il tempo passa e passa presto, ma poi ci uniremo tutti in Paradiso per non separarci mai».

Nel 1969 scrivendo ai genitori, in occasione della Pasqua, li invita a pregare per lei: «Spero che mi ricorderete in quel giorno benedetto, affinché possa raggiungere quella perfezione che il Signore vuole da me. Con questa gente occorre tanta pazienza e tanta, tanta carità. Pregate il Signor per me perché mi conceda questa grazia».

Nel 1970 scrive alla sorella: «Facciamo tutto per Lui solo, anche le più piccole cose, niente è piccolo e per il Signore quando è fatto con amore».

Nel 1973 sempre alla sorella: «Quello che conta è l’amore per il Signore l’amore con cui facciamo il nostro dovere». Indica poi la sorgente della sua forza per affrontare le difficoltà e le prove della vita: «Ai piedi del tabernacolo». Passava lunghe ore davanti al Signore. Ogni volta che tornava dall’ospedale faceva una breve sosta davanti al tabernacolo. La sera, anche quando era spossata dal lavoro, rimaneva per lungo tempo in preghiera.

Nel 1982 scrive: «Su questa terra siamo solo di passaggio, perciò non dobbiamo attaccarci a nulla, dobbiamo attaccarci solo al Signore e amare Lui solo… Quello che conta in questa terra è fare la volontà di Dio. Tutto il resto è secondario. È se-condario essere in un posto piuttosto che in altro…

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quello che conta è fare con gioia la volontà di Dio, sempre anche quando costa, quando ci fa soffrire, anche quando è dura».

È sempre stata in buona salute fino all’età di 65 anni. C’erano le ricorrenti crisi di malaria, per altro presto superate, anche perché le cose da fare erano sempre molte e suor Floralba non era donna da stare con le mani in mano. Nei primi anni Novanta co-minciò però ad avvertire qualche malessere, dovuto a una angina pectoris. Informa la Madre Generale delle sue condizioni di salute, anche se la vera sua preoccupazione rimane quella della situazione dif-ficile della sua gente.

Mosango, 17 marzo 1992 Carissima Madre Generale,

in questi giorni non sto tanto bene, sono tre giorni che ho dei dolori al cuore. La dottoressa ha diagnosticato un’angina pectoris, mi ha raccomandato il riposo finché il dolore cessa, lei stessa mi ha dato della trinitrina da prendere al momento del dolore e poi mi ha aumentato la dose dei medicinali che prendevo già. Oggi però mi sem-bra di stare meglio, il dolore è meno forte. Suor Clara pure ha febbre da tre giorni, gli esami sono normali, per-ciò pensiamo a una crisi di malaria… Ma quello che ci fa veramente soffrire è la situazione generale del paese, è inutile che le racconti cosa passiamo, cosa proviamo, poiché suor Isidora è molto più brava di me a descrivere le cose… In comunità ci troviamo bene, ci vogliamo bene e cerchiamo di accettarci così come siamo.

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Kinshasa, 2 aprile 1992

Carissima Madre Generale, i nostri dottori hanno insistito che venissi visitata da un

cardiologo, anche lui ha trovato quello che hanno trovato in Italia, cioè una ischemia. Finora non ho mai avuto dolori, ora sì, però in questi giorni ne ho meno. Secondo lui è necessaria una coronarografia. Gli ho detto che sono appena tornata dal congedo, gli ho chiesto se si può aspettare, mi ha risposto di sì, ma di non aspettare molto.

Mosango, 19 aprile 1992 Carissima Madre Generale,

grazie per tutto quello che fa per noi e per i nostri ammalati; speriamo che la situazione del Paese cambi, sembra che la Conferenza Nazionale vada avanti bene. Speriamo…

Mosango, 1° marzo 1993 Carissima Madre Generale,

certo è ancora presto presentare gli auguri pasquali essendo in principio alla Quaresima, ma conoscendo la situazione del Paese, non sappiamo se potremo ancora scrivere. Perciò a nome di tutte le consorelle le mando fervidi auguri di una santa Pasqua. Le notizie le avrà direttamente da suor Danila e dalle altre sorelle. Finora qui ci hanno lasciate tranquille, ma anche noi di Mosango non ne andiamo esenti. Il nostro complesso infatti si trova solo a qualche centinaia di metri della strada asfaltata che collega Kinshasa con Kikwit. Un camion di militari ubriachi o drogati potrebbe sempre passare e venire a devastarci tutto, ma questo non vogliamo pensarlo, continuiamo a confidare nel Signore che non permetta

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questo a una popolazione già così duramente provata. Così andiamo avanti giorno per giorno sperando sempre in un avvenire migliore. Da parte nostra siamo contente di essere fra loro e di poter condividere la loro sofferenza. Suor Giustiniana peggiora sempre più, comunque con un po’di aiuto di suor Alcide, riesce a continuare il suo lavoro.

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Dopo la morte di suor Giustiniana le fa buona compagnia il pensiero del Paradiso: «Da quando è morta suor Giustiniana penso di frequente alla morte e sento il desiderio di essere più buona, di cercare solo il Signore in tutto, di modo che Egli sia sempre al centro della mia vita».

Suor Floralba, in un libretto di preghiera, con-servava un foglietto con i suoi propositi. Il foglietto è senza data. Non si sa quando lo ha scritto. Vi sono propositi “senza tempo”, perché abbracciano tutto il suo tempo e tutta la sua vita da spendere per qualcosa di più duraturo della vita stessa: «Più fervente nelle preghiere, più paziente con gli ammalati, più disponile nell’ascoltare e aiutare i fratelli, non cercando mai me stessa, ma sempre e in tutto il Signore, il suo amore la sua gloria; vorrei riuscire a vivere ignorata e dimenticata da tutti, vivendo in un filiale abbandono a Dio solo. Il rosario deve essere recitato non soltanto con le labbra, ma con il pensiero alle sublimi verità e con il cuore».

Questi propositi concreti e quotidiani sono la trama della sua vita, la spinta a ricercare senza mai

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stancarsi il non facile equilibrio tra azione e pre-ghiera. Nel novembre del 1992 confida alla Madre Generale la sua gioia per la partecipazione anticipata agli esercizi spirituali: «Dovendo partire suor Marisa, io ho anticipato i santi esercizi, sono sicura che è il Signore che mi ha ispirato, poiché gli esercizi sono stati sulla preghiera. Quando il predicatore ha annunciato questo, ho provato tanta gioia e ho ringraziato di cuore il Signore. Sono anni che desidero di potere vivere questa vita di preghiera, riuscire a fare sintesi tra preghiera e azione, senza mai perdere di vista il Signore, ma finora non sono riuscita; sono convinta che solo il Signore mi può fare questo dono, spero che me lo concederà quando Lui vorrà. I propositi sono sulla preghiera e sulla carità, vedere e servire Cristo in ogni fratello, non è facile, ma conto sull’aiuto del Signore».

Nel Natale 1994 scrive alla Madre Generale: «A Kikwit ci sto volentieri, anche se la croce non manca, sotto altre forme, ma ci accompagna in ogni luogo. Sono contenta, però, di fare la volontà del Padre. Svolgo il mio apostolato con gli ammalati; sono con loro tutto il giorno, non ho niente altro da fare. Il lavoro di infermiera è molto diminuito per noi suore perché il personale è ben preparato e fa quello che facevano noi una volta; e poi il personale è numeroso, perciò ho più tempo per occuparmi degli ammalati, ascoltarli, consigliarli, aiutarli, ecc. Questo è quello che faccio in questi ultimi anni che mi restano».

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È l’ultima lettera alla Madre Generale, quasi un testamento che riassume la sua storia: fare la volontà di Dio con gioia anche nelle croci; stare con i poveri, vicina a loro per sostenere la loro speranza e confortarli nella sofferenza, accompagnare, con mano materna, quelli che stavano per varcare i confini dei giardini di Dio.

Quarantatré anni di missione effettiva, fino a quell’aprile 1995, cinquant’anni dopo l’ingresso di suor Floralba nelle “Poverelle”.

In quella primavera del 1995 si scatenò l’epidemia di Ebola, ma ancora non era stata riconosciuta, sebbene fosse evidente che una gravissima malattia infettiva stava colpendo la zona. Troppi morti, con sintomi analoghi. Si pensava a una qualche forma di tifo. Le suore delle Poverelle si trovarono nel centro dell’infezione, in un primo momento in maniera inconsapevole, ma poi rendendosi ben conto di quanto stava accadendo. Proseguirono comunque nel loro lavoro senza tirarsi indietro.

In quei giorni drammatici i collegamenti fra Kikwit e Kinshasa erano possibili soltanto attraverso la phonie, una sorta di ricetrasmittente amatoriale che le suore possedevano al villaggio.

Da Kinshasa a Bergamo, dalla missione alla casa madre delle suore delle Poverelle, si comunicava attraverso telefax. Era questo l’unico strumento che rendeva possibile la trasmissione di notizie fra il Congo e l’Italia; funzionava molto meglio del te-lefono ed è proprio grazie a questo fatto che tutte quelle comunicazioni sono rimaste documentate e sono arrivate fino a oggi.

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Limete, ore 16:06 del 23 aprile 1995

Carissima Madre Generale, suor Anna mi ha trasmesso notizie di suor Floralba.

C’è motivo di sperare… anche se non ci si può ancora pronunciare, ed è ancora in uno stato critico… Da questa mattina l’evoluzione è piuttosto positiva. Non so il nome esatto del tipo di tifo, ma le infermiere lo conoscono certamente. È quello che porta a perforazione degli intestini. La febbre è diminuita a 39. Continuiamo a sperare e a pregare Dio e il Fondatore. La saluto con affetto e con me le sorelle della comunità…

suor Amelia, suor Maurizia, suor Josée

ore 07:27 del 24 aprile 1995

Alla Madre Generale, dopo molte difficoltà per entrare in contatto con Mo-

sango, ci giunge in questo momento la notizia che suor Floralba è in coma… Continuiamo a restare unite nella preghiera… e vi terrò al corrente dell’evoluzione…

suor Amelia

ore 09:15 del 25 aprile 1995

Carissima Madre, da ieri sera nessuna notizia da Mosango… Comuni-

cazioni impossibili. In questo momento abbiamo percepito che suor Floralba è molto grave… Sta vivendo gli

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ultimi momenti. Accompagnamola con la nostra preghiera… suor Amelia En union des prières. votre fille suor Ado

ore 10:20 del 25 aprile 1995

Carissima Madre Generale, restiamo unite nella sofferenza, nella preghiera e

nell’offerta. Suor Floralba ci ha lasciate per il cielo proprio in questo momento. Il Padre, la Madonna e il Palazzolo l’avranno già abbracciata. Ci proteggerà dal cielo. Dall’interno dicono che non è possibile portarla a Kinshasa. Sembra difficile riuscire a conservarla fino a giovedì pomeriggio. Non si sa nemmeno se c’è un “piccolo porteur”. Siamo andate all’aeroporto a vedere. Ci risentiremo quando avrò parlato con suor Anna… Con affetto.

suor Amelia

Auguriamo molto coraggio a tutti i familiari, tanto quanto ne aveva suor Floralba, e assicuriamo la nostra preghiera.

ore 15:30 del 25 aprile 1995

Carissima Madre Generale, grazie della tua carissima lettera e della tua vicinanza

che ci permette di sentirti tra noi e ci sostiene in questo duro momento… Grazie anche alle tante sorelle che pregano per la carissima suor Floralba e ci sostengono con la loro offerta. Ho avuto in questo momento comunicazione da suor Anna con precisazioni. Domani mattina 26, la salma sarà trasportata a Kikwit. Il funerale è previsto venerdì pomeriggio per permettere alle sorelle di

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arrivare. Se il formolo non conservasse il corpo fino a venerdì, allora si procederà per giovedì. Il Vescovo la vuole a Kikwit e sarà inumata nella cattedrale.

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suor Amelia

Nei fax del giorno 26 aprile suor Amelia informò la Madre Generale che ci si stava interessando per ottenere uno scalo su Kikwit dell’aereo che portava a Kaiemba, per consentire alle due sorelle di suor Floralba, in viaggio dall’Italia, di partecipare ai funerali. Il loro fu un viaggio carico di imprevisti, con in cuore l’incertezza di non riuscire ad arrivare in tempo. Arrivarono a Kinshasa la mattina del 27 aprile.

27 aprile 1995 Carissima Madre,

tutto ok. Le sorelle hanno rischiato di perdere l’aereo a Bruxelles. Ma suor Floralba era con loro. Arrivo a Kinshasa alle 7:20. Alle ore 9:10, decollo per Kikwit su un piccolo aereo che abbiamo noleggiato. Contrariamente al previsto, i funerali avranno luogo oggi giovedì alle ore 15. Tre sorelle di Kinshasa hanno potuto partire. Suor Danila è già là. Suor Anna ci ha detto che sia a Mosango sia a Kikwit le testimonianze sono davvero commoventi; un vero trionfo della vita sulla morte… Ci sentiremo ancora. Ciò che è importante, è che le sorelle abbiano potuto arrivare in tempo. Alle ore 11 saranno a Kikwit e suor Anna sarà ad accogliere. Si sono mostrate davvero donne di fede. Un caro saluto a tutte.

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suor Amelia e sorelle di Limete

ore 07:22 del 28 aprile 1995

Carissima Madre, il funerale è stato un vero trionfo. Tantissima gente…

Suor Floralba, schiva di tutto ciò che poteva attirare l’attenzione su di lei, durante tutta la sua vita, questa volta non ha potuto scappare. Rendiamo gloria a Dio. Il suo messaggio è stato letto durante la messa. Grazie di cuore per queste delicate attenzioni. Con suor Anna, anche noi, le auguriamo un buon viaggio in Costa d’Avorio. L’accompagniamo con la preghiera.

Con affetto… tutte noi dello Zaire

Al funerale di suor Floralba nella cattedrale par-teciparono migliaia di persone che piangevano, gri-davano, cercavano di accarezzare la salma. In par-ticolare accanto al feretro stava una bambina che piangeva e parlava, si rivolgeva a suor Floralba, le diceva: «Perché te ne sei andata? E adesso io che cosa faccio? Quando avevo fame tu avevi sempre qualcosa da darmi, quando avevo bisogno di un ve-stito tu me lo trovavi, e quando ero sola tu mi stavi vicina. Adesso che cosa faccio io?».

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Suor Floralba da Pedrengo, morta in Africa qua-rantatré anni dopo essere arrivata. Suor Floralba malata di cuore, suor Floralba infaticabile. Era stata aggredita dal virus di Ebola probabilmente in sala operatoria a Kikwit attorno al 10 aprile. Quando la sua situazione si era aggravata, verso il 20, aveva chiesto di venire riportata nella “sua” Mosango, nella sua cittadella della carità, vicino a lebbrosi, tubercolotici, denutriti. Aveva passato tanti anni a Mosango, era stata richiamata a Kikwit soltanto l’anno precedente, nel 1994. E aveva scritto alla Madre Generale: «Perdoni se non le ho scritto prima, ma non me la sono sentita: volevo aspettare un po’. Essendo stata tanti anni a Kikwit, appena giunta ho avuto l’impressione di essere sempre stata qui… Tuttavia, quando ho visitato l’ospedale, mi sono cadute le braccia… Comunque mi sono detta: io non ho chiesto di tornare in questo luogo, anzi non ho mai pensato che mi ci mandassero di nuovo, dal momento che c’ero già rimasta per venticinque anni. Dunque sono sicura di essere nella volontà di Dio, e ciò mi dà pace e gioia. Io cerco di stare vicina ai malati e di seguire i più gravi. Avendo meno lavoro, mi sono proposta di essere più paziente, più buona, più gentile con tutti. Voglio, in questi pochi anni che mi restano, testimoniare la bontà e l’amore misericordioso del Padre. Penso di frequente alla morte e sento il desiderio di essere più buona, di cercare solo il Signore in tutto, in modo che Egli sia sempre al centro della mia vita».

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Suor Annamaria Arcaro, Superiora a Mosango, era a Kikwit in quei giorni, era con lei, era con le altre Poverelle. È sopravvissuta. Ha raccontato: «Non ha mai emesso un lamento. “Dobbiamo pensare per l’avvenire”, ripeteva».

Suor Floralba è morta il 25 aprile 1995 alle 9:45. Aveva 71 anni. Il Vescovo, monsignor Mununu, volle che i funerali si celebrassero nella cattedrale di Kikwit, dove la salma venne trasportata mercoledì 26 aprile. Il funerale venne celebrato il giorno dopo. Il Vescovo disse: «Voi non la conoscete come suor Floralba Rondi, voi la chiamavate mamma». Infatti la gente di Kikwit e di Mosango la chiamava «mamma mbuta», cioè madre anziana.

Suor Alcide Viscardi, tanti anni trascorsi in mis-sione in Africa, ricorda: «Suor Floralba ripeteva: “Ho pochi anni da vivere e voglio seminare l’amore misericordioso del Signore”. E noi le dicevano di stare tranquilla, dicevamo: “Non le salverai tutte tu le anime! Lasciane qualcuna anche a noi…”».

Poverella nel cuore e nelle opere, suor Floralba ha attinto dalla contemplazione dell’eucaristia e del Crocifisso la forza per diventare “dono” fino alla consumazione.

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2. Suor Clarangela

Suor Clara, Clarangela per l’esattezza, era nata il 21 aprile 1931 a Trescore Balneario da una famiglia molto povera, famiglia di contadini, mezzadri, ultima di quattro fratelli. Il suo nome di battesimo era Alessandra, ma la chiamavano Sandra, anzi Sandrina. Il padre Michele Ghilardi e la madre Angiolina erano molto religiosi e di conseguenza educarono alla fede la loro bambina «dalle lunghe trecce bionde». Dopo la quinta elementare Sandrina andò a imparare un mestiere: la sarta. Era un lavoro in quegli anni molto in voga perché non era ancora cominciato il tempo delle confezioni industriali, e abiti, gonne, pantaloni, giacche, cappotti… erano realizzati su misura dai sarti. Un po’ più grandicella Sandra andò a lavorare in una fabbrica di bottoni. Poi la decisione, a 21 anni, di entrare in convento. L’idea di essere missionaria l’aveva bene in testa, infatti frequentò la scuola per infermieri a Roma e poi il corso relativo alle malattie tropicali ad Anversa, in Belgio, il corso che tutte le suore in partenza per le missioni frequentavano. L’intenzione di suor Clara era così spiccata che venne destinata alla missione nello Zaire nel 1959, ancora prima della professione perpetua. Nelle sue

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poche lettere e nei suoi appunti per gli esercizi spirituali si coglie che suor Clara era una persona semplice. Però una persona sensibile, con le idee chiare e una fede radicata. Fece l’infermiera a Kikwit, nel 1970 tornò in Italia per frequentare un corso e ottenere il diploma di ostetrica. Tornò a Tumikia, poi a Mosango, infine di nuovo a Kikwit, negli ultimi due anni della sua vita. Aveva un senso profondo della concretezza, della necessità del fare per aiutare. Al punto che aveva chiesto e ottenuto un motorino per potersi spostare più velocemente da una casa all’altra, dall’ospedale ai luoghi dove c’era bisogno di lei. Alla Madre Generale, da Kikwit il 12 giugno 1994, circa un anno prima di morire, suor Clara scrisse: «… Di me le dico subito che sono contenta di essere qui a Kikwit, in questa comunità, e di compiere così la volontà del Signore, giorno per giorno, accettando le pene e le difficoltà di questi tempi critici, lottando per aiutare i poveri. Chi li può contare ancora? Oltre il servizio alla clinica, do un aiuto alla farmacia e a suor Maria nella contabilità dell’ospedale. In questo sono proprio una povera aiutante, spero con il tempo e l’esercizio di essere di migliore aiuto. Ancora un altro aiuto è quello di pasticcera di comunità per le feste di circostanza. In questo periodo con l’assenza delle due sorelle ci aiuteremo nei vari servizi».

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Suor Clara era una donna del fare, ma attenta alla sensibilità delle persone. La sua carta da lettera pre-sentava sempre in alto a sinistra dei fiori: per esem-pio, un angolo di montagna con rododendri in fiore e gialli doronici. Nelle sue lettere ci sono errori di ortografia, ma la grafia è elegante, il pensiero limpi-do. Scrisse alla Madre Generale il 16 marzo 1995, un paio di mesi prima di morire: «Questa rosa è per dirle grazie del dono della sua presenza ancora tra noi, quel giorno anche se sarà breve il soggiorno, sarà il più bel fiore che sboccia perché lei sarà tra noi».

Era abituale che nel fare le sue cose, nel cam-minare fra i reparti, suor Clara canticchiasse o fi-schiettasse. In una sua lettera alla Madre Generale del 7 settembre 1994 troviamo scritto: «Sono a Kasanza con suor Daniela per il corso dei santi esercizi, meta preferita per una carica sempre più forte per lo spirito. Mi sembra ieri che le ho scritto da Kipalu, dagli ultimi esercizi. Il tempo vola. Ho accettato volentieri l’invito a venire qui, perché quando faccio i conti con Dio, malgrado lo sforzo ripetuto, gli sono sempre debitrice… Mi sono affidata a Maria e al nostro beato Fondatore, perché mi aiutino nel proposito che le partecipo: Signore, aprimi interamente al tuo Amore di Padre, ponimi accanto ai miei fratelli libera, accogliente, felice, povera tra i più poveri come una goccia d’acqua sperduta nell’oceano immenso del tuo amore».

Suor Clara scrive proprio sottolineando quei tre aggettivi: libera, accogliente, felice. L’accostamento

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non casuale di queste tre condizioni dell’essere induce a riflessione sulla relazione che esiste fra loro. Questa sottolineatura rivela particolarmente il modo di avvertire la vita e la vocazione religiosa da parte di suor Clarangela. Questo atteggiamento, d’altronde, si coglie nei suoi scritti, per esempio nei rapporti che intratteneva con un gruppo di giovani di Crema, che dava una mano alla missione. Scriveva il 5 dicembre del 1982 da Tumikia: «Carissimi amici, mi ha colpita questa frase che vi trascrivo: “I veri discepoli di Gesù non passano alla larga, dall’altra parte della strada. Passano dove ci sono i fratelli che hanno bisogno e si fermano per aiutarli”. Così siete tutti voi, cari giovani, perché avete capito che l’amore di Cristo non ha confini. Questo ben lo sapete e io ne sono testimone».

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E di nuovo da Tumikia, l’11 settembre 1982: «La miseria fisica, morale e materiale di questo paese continua e noi viviamo accanto a queste crude con-seguenze ogni giorno: malattie, fame, ingiustizie. Questi poveri anemici, denutriti, ecc. bussano al nostro dispensario perché hanno fiducia nell’aiuto concreto e noi, grazie ai vostri non pochi sacrifici, possiamo venire incontro ai loro bisogni e aiutarli nel possibile dei mezzi…».

E il 7 maggio dell’anno seguente, suor Clara spiega: «Caro Massimo… mi chiedete di parlarvi delle angosce, preoccupazioni e gioie che incontro nella mia giornata… Ero nella casetta con l’infer-miera per l’accettazione di nuovi ammalati. Erano quaranta. Tra questo numero è entrata una mamma che conoscevo da anni, fra le braccia teneva un bimbo sciupato e tremante di febbre a 40 e ne trascinava un altro più grandino che a stento si reggeva in piedi per la fatica (distante una quin-dicina di chilometri) e più ancora perché sfinito e denutrito. Ho chiesto il perché di quel peggioramento così brusco. La risposta: “Mio marito è morto da due mesi. Sono ritornata al villaggio e faccio grande fatica per trovare il cibo necessario, perché ancora non ho un campo da coltivare”. Mentre così spiegava le scendevano calde lacrime. Mi disse: “Aiutami tu per guarire questi bambini…”».

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Gli ultimi giorni di suor Clarangela vennero rac-contati da suor Annelvira: «Il 29 aprile a mezzo-giorno suor Clarangela dice che sente febbre: ha 38. Il medico le fa fare gli esami che rivelano leu-cocitosi con neutrofilia. Si cura anche la malaria, poiché questa terribile malattia si presenta in modo subdolo e come paludismo. Febbre e vomito non la lasciano in pace; appare un’astenia, un calo pressoché giornaliero. Si prelevano esami per il Belgio, nel timore di una febbre emorragica virale, come quella avvenuta a Yambouku… Flebo, vitamine, premura e vicinanza perché sentivamo che la cosa si faceva seria… Suor Clarangela ci ha lasciato il 6 maggio all’una di notte. Il cuore ha ceduto! È una forma tremenda! Non c’è una normale coagulazione del sangue, per cui le lascio immaginare le emorragie…».

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La personalità di suor Clarangela è ben testimo-niata da tre suore oggi ospiti della Procura per le missioni, che si trova a Bergamo, nel “quartier ge-nerale” delle suore delle Poverelle. Si tratta di suor Clementilla Panza, 83 anni, che rimase in Congo dal 1959 al 2007, 49 anni di Africa; suor Alcide Viscardi, 86 anni, di Sombreno, dal 1954 in Africa, ben 46 anni trascorsi a Mosango; suor Chiara Trinca di Belluno, 76 anni, dal 1956 in Africa, dal 1978 a Tumikia e infine dal 1994 in Costa d’Avorio.

Raccontano le tre suore: «Suor Clarangela la chiamavamo suor Clara, era una donna allegra, a lei piaceva molto scherzare, aveva sempre voglia di giocare, sempre positiva. Anche quando qualcuno aveva un problema grave e magari piangeva, lei era capace di fargli vedere che c’erano speranze, riusciva a riportare in qualche modo il sorriso. Oh, è importante essere così! Non bisogna mandare gente seriosa in Africa. C’è bisogno di persone positive, persone di speranza. Suor Clara sembrava che fosse nata in Africa. Andava la domenica nei villaggi con i padri per la messa. A Mosango aveva il motorino perché faceva tante cose e la missione è grande, i padiglioni lontani fra loro: voleva arrivare dapper-tutto».

I ricordi delle suore viaggiano sull’onda degli anni, ripercorrono i sentieri del tempo. I fatti possono sbiadire, i sentimenti che li hanno accompagnati restano più vivi che mai. Le tre donne raccontano: «Una volta era sera, c’era buio e suor Clara doveva andare in un padiglione lontano, prese la motorina e le dicemmo di stare attenta perché c’erano in giro le

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capre. Ma successe che per evitarne una cadde e si ruppe un braccio. Cadde anche altre volte, ma non lasciò mai la moto, quella moto spedita da qua, da Bergamo, ricordo».

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Le suore spiegano che nel lebbrosario di Mosango vivevano 450 malati, nel padiglione per i tu-bercolotici gli ospiti erano 700: «Clarangela e Di-narosa scherzavano tanto. Nelle feste di comunità si mettevano il naso finto e la protesi con i denti lunghi e facevano le loro pantomine. Clarangela amava parlare, fischiettare, cantare. Cantava male, bisogna dirlo. Lei rideva, perché lo sapeva. Stonava al punto che ci portava tutte fuori tono. Amava parlare: quando ci incontravamo a cena o in altri momenti lei raccontava un po’ tutto quello che le era capitato durante la giornata. Se ti vedeva da lontano si sbracciava per salutarti».

Suor Clementilla ricorda quei momenti così: «Eravamo andate insieme, io e suor Clarangela a cercare un posto per la sepoltura di suor Floralba, lei mi disse: “Sai Clementilla che mi sento tanto stanca?”. E mi ricordo che io dissi: “Certo, hai fatto la nottata, per forza”. Ma non era così, non era quella la ragione della stanchezza e anch’io me ne rendevo conto, ma non volevo ammetterlo nemmeno a me stessa. Negli ultimi due giorni di vita, Clara ripeteva: “Lasciatemi andare dal mio Signore”. E poi diceva: “Ti raccomando lo Zaire, Signore, ti raccomando questo Paese così malandato…”. Un sabato pomeriggio andai a trovare suor Clarangela; stava molto male. Parlava dei malati. Diceva che nel padiglione tale c’era un malato che aveva molto bisogno di aiuto. Ricordo che aiutai suor Clara a indossare qualcosa. Poi mi lavai accuratamente le mani. Eravamo molto attente, non eravamo inco-scienti anche se non sapevamo ancora che si trattava

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di Ebola».

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L’ultimo giorno, ricordano le suore, suor Clara rimase a letto immobile. I suoi funerali si celebrarono a Kikwit, nella cattedrale, sempre per volere del Vescovo. Ma la memoria fa un altro balzo all’indie-tro, inverte la freccia del tempo, e le suore raccon-tano: «Una sera stavamo tornando da Kikwit verso Mosango e si vedeva una stella nella direzione della missione. A suor Clara piaceva guardare il cielo, osservare le stelle. Nelle notti africane non è come qua, le stelle formano grappoli, sono tante e sem-brano più vicine e lei tante volte ci chiamava fuori e ci faceva vedere le costellazioni. La Croce del Sud e l’Alfa del Centauro… Quella volta eravamo sulla jeep e vedendo un po’ di luce Clarangela diceva che era una stella, ma noi dicevamo che era un fuoco acceso in un villaggio. Clara disse: “Invece c’est mwinda”. Una frase che ci suonò buffissima perché era detta in tre lingue: italiano, francese e kikongo, la lingua che si parla in quella zona. Clarangela parlava bene il kikongo. E quella sera ridemmo tanto in macchina».

Racconta di lei una giovane sorella congolese, suor Nathalie Muteki: «Era una suora umile; quando sbagliava una cosa, era la prima a chiedere perdono; viveva da povera nello spirito e anche materiale, non voleva mai il superfluo, solo il necessario.

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Forte e serena e gioiosa, anche nelle difficoltà e nelle incomprensioni; siccome era di un carattere gioioso alle volte non si capiva se le costavano le ingratitudini. Parlava tanto, ma era prudente e di buon umore. Suor Clarangela era veramente chiara nelle sue cose, quello che era giusto lo diceva senza paura, senza fare le differenze delle persone, così anche con i collaboratori; poi difendeva i poveri, guai se vedeva qualcuno disprezzarli».

Suor Clementilla conserva un ricordo particolare di quando era studente. Racconta: «Clarangela aveva studiato medicina tropicale con me ad Anversa. Io sapevo abbastanza il francese perché avevo fatto due anni in Francia con gli immigrati italiani. Andavamo in giro e lei di ogni cosa mi chiedeva: come si dice questo e come si dice quello? Una volta eravamo in giro con tre suore spagnole. Che risate. Alla prova di francese che dovevamo sostenere prima di partire cercai di aiutare le mie compagne, ma alla fine venimmo tutte respinte! Poco male, fummo promosse sei mesi dopo…».

Torniamo a quegli ultimi tragici giorni del maggio 1995, ai fax che consentivano la comunicazione fra la casa madre di Bergamo e lo Zaire. A firma dei fax d’ora in poi appare anche il nome di suor Donata e di suor Adolpfine: la situazione si faceva sempre più pesante, occorreva dare un aiuto a suor Amelia sia per mantenere i contatti con Bergamo e con le comunità africane, sia per partecipare in Kinshasa alle riunioni con i medici dell’OMS incaricati di seguire l’evolversi della situazione.

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ore 21:41 del 4 maggio 1995

È una dura prova che il Signore ci sta chiedendo e con il suo aiuto speriamo di poterla vivere nella fede e nell’amore. Quanto ai parenti, conviene non allarmarli troppo... basta dire che nello Zaire c’è una epidemia. Preghiamo tanto il nostro caro Fondatore e tutti i nostri santi protettori in cielo. Maria in questo mese a Lei de-dicato interceda in nostro favore! Con affetto sincero a nome di suor Anna.

suor Amelia

ore 09:46 del 5 maggio 1995

Abbiamo appena ascoltato la comunicazione tra suor Anna e suor Annamaria. La situazione resta preoc-cupante. Si pensa ad un trasporto immediato di suor Daniela da Mosango a Kikwit, se i medici lo accordano. Si invieranno gli esami ad Anversa perché i farmaci usati finora si rivelano inefficaci. Si spera in una risposta immediata da Anversa. Ci affidiamo al Fondatore, al Signore e sentiamo con certezza che tutta la Congregazione è unita a noi in questo supplicare un “miracolo”. Vi terremo informate dell’evoluzione. Pensiamo sia bene prevenire la famiglia visto che siamo dinanzi all’incognito, senza spaventare. Di suor Clara e suor Dinarosa non vi sono ulteriori notizie. Permane lo stato precario: febbre alta... Unite nella preghiera insistente. Con affetto.

suor Amelia

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ore 13:42 del 5 maggio 1995 Suor Daniela è stata trasportata a Kikwit. Il suo stato

di salute, come quello di suor Clara, resta allarmante. Le due sorelle presentano gli stessi sintomi di suor Floralba. Informate le famiglie. Qui si fa appello a organismi internazionali. Non ci sono medicine; le malate non si possono trasportare. Le sorelle di Kikwit sono in isolamento. Chiediamo un “miracolo”. Che il Signore ci sostenga nella fede. Unite in Lui.

suor Donata

ore 21:29 del 5 maggio 1995

Abbiamo appena ricevuto i due fax. Le sorelle di suor Floralba sono partite. Non vogliono la famiglia all’aeroporto per ragioni di prudenza. È bene che immediatamente le portiate a Verona. Sono in possesso di alcuni esami (li inviamo anche per fax) e del foglio di cui si è parlato oggi. Domani mattina si cercherà di avere la dichiarazione richiesta. Le due sorelle sono sempre molto gravi. Suor Dinarosa oggi stava un po’ meglio, speriamo sia in via di guarigione. Per le altre due, suor Daniela e suor Clara, supplichiamo un “miracolo”. Stasera è partito per Anversa un campione per esami approfonditi. Molte persone ci sono vicine e seguono l’evoluzione: Medici senza Frontiere, Nunzio apostolico, Ambasciate belga e italiana, molti altri medici, mons. Mununu e il suo Vicario. La natura della malattia non è ancora ben definita. Si aspettano le risposte di Anversa per domani. Comprendiamo la trepidazione e sofferenza della Madre Generale e di tutte, ma vi chiediamo di non muovervi. Vi terremo informate. Sentiamo il sostegno della vostra preghiera per vivere con fede questa dura prova. Vi

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abbracciamo fraternamente.

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suor Donata, suor Amelia, suor Maurizia

ore 06:45 del 6 maggio 1995

Carissime, suor Clarangela ci ha lasciato alle 1:35! Signore, abbi

pietà! Suor Danielangela è gravissima! Dobbiamo procedere immediatamente per cercare aiuti tramite Ambasciata belga per Anversa per salvarla. Sosteneteci!

suor Donata

6 maggio 1995 Carissime,

abbiamo ricevuto notizie da Anversa. Non trovano plasma con anticorpi. Avreste dovuto ricevere da Anversa – sæurs Annonciades – un fax da inviarci. Se ricevete fax in francese, sappiate che sono per noi. Servono con urgenza indumenti protettivi a maschera per le persone che sono a contatto diretto con le malate. Sono stati lanciati appelli, ma sarebbe bene che anche voi cercaste di trovarne per inviarcele con urgenza. Suor Annamaria si trova attualmente a Kikwit come pure suor Vitarosa. Con suor Annelvira seguono in prima persona le sorelle malate. La situazione resta preoccupante per le sorelle della comunità e il rischio c’è per quante sono venute a contatto con le sorelle malate. Pensiamo anche al dramma interiore delle sorelle zairesi che hanno genitori o altri familiari a Kikwit e nella zona. Cosa vuole mai il Signore? Gli occhi continuano a riempirsi di lacrime e poi cerchiamo subito di affidarci con fiducia e abbandono al Signore… questo Padre amabile infinito. Il Fondatore interceda! Suor Daniela è sempre più grave.

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suor Donata, suor Amelia

ore 06:56 del 7 maggio 1995

Carissime, abbiamo appena parlato con le sorelle di Kikwit. Sono

le ore 6:40. Suor Daniela ha ripreso leggermente, ma lo stato permane gravissimo. Non è ancora entrata in coma e non ha emorragie. Tale è stato il decorso della malattia per le altre sorelle, dopo la febbre, vomito e diarrea. Strappiamo il miracolo al Fondatore! Suor Dinarosa ha sempre febbre molto elevata, nausea… Le altre sorelle non presentano per il momento dei sintomi, anche se alcune hanno avuto nel passato momentaneamente febbre, diarrea o vomito. Speriamo in una vera ripresa per queste ultime e un miracolo per suor Daniela. Si sta lottando per muovere organismi internazionali. Servono con urgenza mezzi di protezione. Suor Clarangela, deceduta ieri 6 maggio la notte alle ore 1:30, è stata sepolta ieri pomeriggio alle ore 14:30. Nessuno ha potuto entrare nel recinto della comunità e tanto meno in casa. È terribilmente duro. La vera solitudine per le sorelle di Kikwit. Ci chiediamo come sostenerle in questo dramma. Restiamo unite. Grazie per il sostegno.

suor Donata

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L’“ora” di suor Clarangela giunse nel cuore della notte!

La diagnosi di “epidemia d’Ebola”, espressa a partire dalle macchie rossastre evidenti sulla sua pelle, fu confermata solo dopo la sua morte; ma proprio il riconoscimento di quei suoi sintomi, con-sentì finalmente di mettere in atto tutte le misure di prevenzione necessarie per evitare l’ulteriore dila-garsi della malattia.

Senza saperlo, questa volta con il sacrificio estre-mo della sua vita, suor Clarangela ha provviden-zialmente collaborato per salvare la vita di tanti fra-telli dello Zaire, per i quali aveva donato il meglio di sé.

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3. Suor Danielangela

La vocazione religiosa di Anna Sorti incontrò difficoltà nella sua realizzazione. Anna, che divenne poi suor Danielangela, dovette affrontare l’op-posizione tenace della famiglia. In realtà non si tratta di una vicenda proprio particolare. La stessa suor Annelvira, della quale parliamo più avanti, quando dichiarò a suo padre l’intenzione di entrare in con-vento ricevette in risposta un ceffone tale da gettarla a terra. Quando si rialzò aveva un dente in meno. Suor Danielangela decise di andare in convento a diciotto anni, quando ancora era minorenne.

Anna era nata nel 1947, il 15 giugno, era l’ultima di tredici figli ed era orfana, papà Daniele e mamma Angela erano morti rispettivamente nel 1955 e nel 1957. Questi eventi ebbero su di lei pesanti conse-guenze: il senso della morte, della precarietà estrema della nostra presenza nel mondo, non abbandonò mai del tutto suor Danielangela. La famiglia era originaria di Lallio, ma viveva a Loreto, quartiere di Bergamo. Anna frequentò le elementari alla Armando Diaz, poi si iscrisse a un corso professionale di taglio e cucito, e trovò occupazione come rammendatrice nell’industria tessile Zopfi in via Palma il Vecchio;

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quando la fabbrica venne chiusa si adoperò per cercare un altro lavoro che trovò in una legatoria.

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La ragazza, però, stava maturando una decisione diversa. Quando seppero che Anna voleva farsi suora, i fratelli si opposero dicendo che era troppo giovane, che doveva aspettare. A quel tempo si diventava maggiorenni a ventuno anni. È intuibile che nei confronti di Anna esistesse una forma di protezione, un desiderio di accudimento da parte dei fratelli maggiori che probabilmente la vedevano più piccola, più bisognosa di tutela. Anna aveva un carattere forte, e lo dimostrò in quell’occasione non cedendo davanti alle pressioni dei fratelli che si rivolsero addirittura al tribunale. Anna superò anche lo scoglio giudiziario. Dovette affrontare anche l’aspetto sentimentale. Era una bella ragazza che piaceva ai maschi. Nella sua cerchia di amici c’era un ragazzo, Sergio, che si era innamorato di lei al punto che la decisione di farsi suora lo colpì profondamente e lo fece soffrire non poco. Il giorno in cui Anna entrò in convento Sergio le fece arrivare un mazzo di fiori e un biglietto nel quale diceva che non si sarebbe rassegnato e che avrebbe atteso per tre anni. Ma la vita consacrata era davvero la strada di Anna che entrò tra le Poverelle il 1° marzo 1966 per non uscirne più.

Era una suora dell’agire concreto, come tutte le Poverelle, ma era anche una suora incline alla contemplazione; la preghiera lunga, a tu per tu con Dio, era una sua esigenza avvertita in maniera par-ticolare. In realtà nutriva il desiderio della clausura, della vita contemplativa, amava la preghiera anche notturna, frequentava una volta all’anno gli esercizi spirituali in clausura.

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A proposito di suor Danielangela, è interessante la testimonianza che ne offre suor Lenangela Gatti, sua compagna negli anni della formazione: «Conobbi suor Daniela subito, appena arrivata in convento, facemmo tutto il percorso insieme, lei diventò la mia migliore amica. Io dico che lei aveva un vero carattere bergamasco, forte, desiderosa di fare, mai contenta. E allo stesso tempo aveva una forte vocazione contemplativa. Mi diceva spesso che vo-leva ritirarsi a pregare, che voleva pregare tanto af-finché Dio mandasse un nuovo Mosè per l’Africa. Suor Daniela soffriva a vedere quanto sfruttamento, quanta disonestà, quanta corruzione ha rovinato e continua a far soffrire l’Africa. Eravamo in convento, ci preparavamo a diventare suore, eravamo giovani e suor Daniela quando era ora di dormire mi diceva: “Dai che stiamo su a pregare”. Ma io ero stanca e dicevo che bisognava riposare. Allora lei mi diceva: “Va bene, adesso dormiamo. Ti sveglio a mezzanotte e andiamo in chiesa a pregare”. E così tante volte a mezzanotte mi svegliava e andavamo in chiesa. Che persona era! Leggeva spesso la parola di Dio, aveva i suoi brani che ripeteva, soprattutto Osea e Isaia. Ricordo che quando doveva partire per l’Africa ed eravamo nella comunità di Milano, andavamo a pregare nella cripta sotto il Cenacolo. Io dissi al padre gesuita che ci seguiva che sarebbe stata importante una sua benedizione per suor Daniela. Ricordo bene quel momento, insieme ai fedeli del gruppo “Rinnovamento dello Spirito”. Daniela era in ginocchio e il padre e i fratelli anziani imposero le mani sopra di lei per invocare lo Spirito Santo. Padre

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Tommaso disse a Daniela di chiedere un dono allo Spirito. Dopo un po’ di tempo ella mi disse che aveva chiesto il dono della carità, intesa come amore. Quando tornava dalla missione andavo a prenderla in aeroporto e sembravamo due matte. Suor Daniela mi raccontava tante cose. Queste suore che stavano in Africa non si risparmiavano mai. Suor Daniela mi diceva che in quella terra risparmiarsi, riposare era impossibile. Una volta mi ha detto di un bambino denutrito che andava alla missione e veniva alimentato, ma non aumentava di peso. Poi scoprirono perché: nascondeva il pesce secco nel suo cespuglio di capelli ricci; quando suor Daniela gli chiese perché facesse così lui rispose che a casa aveva altri cinque fratelli che avevano fame come lui. Mi ricordo quella volta che suor Daniela venne fermata in aeroporto a Milano: in una valigetta aveva dell’avorio che lei portava a Bergamo e distribuiva per ringraziare tutti quelli che aiutavano la missione. Gli addetti della dogana le dissero che quell’avorio era costato la vita a un elefante. Lei si infuriò e senza mezzi termini disse: “Voi vi preoccupate per un elefante e non pensate ai bambini che nello stesso posto muoiono di fame?”. La suora che stava con lei dovette trascinarla via perché suor Daniela non era molto diplomatica e non cedeva di un passo. L’avorio le venne comunque sequestrato. Era una persona così. Una frase che mi diceva spesso era questa: “La nostra amicizia è una forza che ci spalanca al mondo… Guai se non fosse così, sarebbe come una famiglia che si chiude in se stessa”. E una famiglia che si chiude stravolge i legami e i rapporti, l’amore che è fatto per

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creare può diventare una forza che distrugge. Del resto il motto che aveva scelto era: “Amore chiede amore”. Daniela l’amore non lo chiedeva, lo dava. Ma era impossibile per noi non amarla a nostra volta».

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Suor Danielangela arrivò in Africa nel 1978, a Mosango, e qui rimase fino al 1981. Dopo un periodo a Kikimi, dal 1991 al 1995 fu Superiora a Tumikia. Chi la conosceva ricorda che a volte diceva: «I miei sono tutti morti giovani. Morirò giovane anche io». Suor Alcide racconta che Danielangela aveva difficoltà con il kikongo, la lingua parlata in quella zona del Congo: «Ma lei aveva un carattere forte che non si fermava davanti a niente. Conosceva poco il kikongo ma lo parlava lo stesso, si lanciava in conversazioni che facevano ridere perché lei era molto creativa nel cercare di farsi capire… Era instancabile. Fece molto per Tumikia e per Kikimi dove, per esempio, istituì l’ospedale con trenta posti letto. Prima c’era solo un dispensario, come un ambulatorio, che funzionava esclusivamente di giorno. Era interessata alle questioni della Chiesa. Per esempio ascoltava ogni sera alle 21:30 la Radio Vaticana che trasmetteva notizie dell’Africa in francese. Era un carattere così, forte. Un giorno dovevamo andare a Kinshasa, poco prima che mo-risse. Sono 500 km di strada non proprio conforte-vole. Non avevamo l’autista e allora lei si mise al volante e via. Buche o non buche, sempre avanti. In giro, per la missione, andava in vespa. Una volta mi ha presa su e siamo andate in giro in vespa insieme, per fare più alla svelta».

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La sua vivacità e la sua profondità interiore sono rimaste impresse nelle sorelle più giovani; così ri-corda suor Marie Zwala: «La ricordo come una donna coraggiosa, attiva, piena di creatività, aperta al nuovo sebbene talvolta tenace nelle sue idee. Di-sgraziatamente non ho conservato le sue lettere. Era una donna di fede e di preghiera. Quando si faceva l’adorazione suor Daniela si vestiva della festa, cioè con il vestito della domenica. “L’adorazione è l’in-contro con lo Sposo, bisogna essere vestite con pro-prietà”. Penso che questa preparazione esteriore era, senza dubbio, maturata da quella interiore. Ricordo poi che un giorno siamo andate a visitare i malati di un ospedale psichiatrico dello Stato, per portare loro del cibo. Abbiamo trovato un ragazzo moribondo: aveva la pelle attaccata alle ossa, smagrito; ci guardava senza forza, come a gridare: “Aiutatemi”. La suora e io ci siamo guardate a vicenda e lei mi disse: “Portiamolo con noi!”. Subito abbiamo chiesto ai responsabili il permesso di prenderlo. Portato alla missione, gli abbiamo somministrato ogni cura possibile… la stessa notte egli morì!».

E suor Renelde Kwango Kiwgi aggiunge: «Suor Danielangela pregava molto, parlava e sentiva Gesù come suo sposo. Nulla poteva impedirle di manifestare tutta la sua attenzione e il suo amore per Lui e per i poveri, in cui lo vedeva e serviva. Molte volte mi diceva: “Il nostro sposo è fedele, pieno di bontà e di tenerezza. Egli ci ama tanto, ma è anche geloso ed esigente verso di noi sue amatissime creature!”. Io osservavo spesso la sua posizione nella preghiera, mi convinceva che lei era immersa in una

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profonda intimità con Dio. Le piaceva preparare con attenzione e proprietà la cappella: ordine, fiori, tutto per Dio! Il giorno in cui era lei ad animare l’adorazione o la Via Crucis, c’era una creatività particolare, che dava gusto e rendeva piacevole la preghiera».

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Suor Clementilla, che ha raccontato di suor Cla-rangela, ricorda bene anche suor Danielangela. Racconta: «La vidi quella domenica sera seduta in casa su una sedia in vimini, portava il collettino alto bianco, quello delle suore che tuttavia di solito per il caldo non si indossava, e un golfino; mi disse: “Ho un po’ freddo”. E io le dissi di andare a letto, ma lei rispose: “No, no, abbiamo appena cominciato il ritiro con le aspiranti, devo seguirle stasera e domani”. Le chiesi che cosa aveva, mi rispose che aveva nausea, allora le portai un fernet. Allora si usava quando c’era qualche problema di stomaco, aiutava a digerire. Andai a prenderlo. Ma la notte stette male e quella mattina di lunedì disse che era meglio portarla a Mosango. Io le risposi che avevamo già chiamato il padre di Tumikia, padre Menardo che era un filippino e che l’avrebbe accompagnata. Con lei andò anche suor Costanzina. Mi disse di tirarle su la coperta perché aveva freddo. Poi mi diede un pacchetto con i soldi, erano quelli che aveva ritirato a Kinshasa e che dovevamo dare agli operai della missione».

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Suor Alcide racconta: «Suor Danielangela, come tutti a Tumikia, mi chiamava “Nkaka” che in kikongo significa “nonna”. Mentre stava per partire per Mosango, io mi trovavo nel corridoio appena fuori dalla cucina. Danielangela mi disse: “Nkaka stai lì, non avvicinarti, ti saluto così”. Non l’avrei più rivista».

E suor Clementilla ricorda altri particolari di quei giorni: «C’era anche un’altra suora che quella do-menica sera aveva un po’ di febbre, suor Andreita Cerisara. Eravamo preoccupati anche per lei. Suor Danielangela già si sentiva indisposta, ma disse: “Vado a prenderti il chinino” e io le dissi di stare quieta, che il chinino lo prendevo io, ma lei rispose: “No Clementilla, lasciami andare fin che posso ancora”. Suor Daniela stava a Tumikia, ma si am-malò perché andò a Kikwit a fare la notte accanto a suor Floralba. Nel farle un’iniezione si punse un dito…».

Fra le persone che ricordano bene quei terribili giorni c’è suor Costanzina Franceschina: oggi ha 85 anni, è nella casa di riposo di Torre Boldone; a quel tempo era impegnata nell’insegnamento, proprio nella comunità di suor Danielangela. Racconta: «Noi eravamo un po’ matte, invece Danielangela era una persona seria. Ma era una persona tanto generosa e buona. Voleva fare di più di quello che poteva. In realtà suor Danielangela voleva farsi contemplativa. Sa che cosa penso adesso dopo tanti anni, qui in questa casa dove sono a riposo con tante mie sorelle? Penso che in Africa noi ci sentivamo come uccelli

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liberi nel sole».

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Costanzina ha la mente in perfette condizioni, ri-corda con dovizia di particolari in questa sala della casa di riposo, davanti alla tazzina di caffè. Spiega: «Poi sono arrivati quei giorni tremendi che hanno cambiato tutto. Non sono state soltanto le morti, ma le umiliazioni, la rottura dell’armonia con la gente del posto. In quella seconda metà del mese di aprile suor Danielangela salì sulla Land Rover e andò a Kinshasa a prendere i soldi per gli operai della missione. Era via da una decina di giorni e doveva tornare quella domenica mattina. Si era ammalata suor Floralba che da Kikwit era stata portata a Mosango. Io andai a Mosango a trovarla – era forse il 20 aprile – e suor Daniela era ancora a Kinshasa. Alla notte sempre una suora vegliava suor Floralba. Dissi che l’avrei vegliata io in quella notte fra sabato e domenica. Ma proprio quel sabato pomeriggio arrivò a Mosango suor Daniela, in anticipo, e disse: “Faccio io la veglia a suor Floralba”. Io risposi che non era il caso e anche le altre mi diedero ragione perché suor Daniela era stanca a causa del lungo viaggio che aveva fatto. Ma lei disse che poi nei giorni successivi i molti impegni non le avrebbero più dato la possibilità di stare accanto a suor Floralba. Così rimase Danielangela a fare la notte e io tornai a Tumikia. Alla domenica mattina suor Daniela tornò a Tumikia, mi disse: “Visto che sono riuscita a fare la veglia?”. E andò a riposare. Ma la domenica sera, eravamo sedute in ricreazione, sulle sdraio sotto il cielo stellato, Danielangela diceva: “È strano, questo dito non lo sento… Ho fatto un’iniezione a Floralba questa notte e con il vetro della fialetta mi sono fatta

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un taglietto…”. Ridevamo e le dicemmo: “Il dito lo sentirai meglio domani”. Non fu così. Tutta la notte suor Daniela andò avanti a vomitare e non vomitava niente perché non aveva niente nello stomaco; il giorno dopo era vacanza, non so perché. Comunque decidemmo di portare suor Daniela a Mosango perché noi non avevamo medici. La ricordo magra, con le occhiaie e un colore pallidissimo, come verde in faccia. Con un padre siamo saliti sulla Land Rover, ricordo che suor Daniela viaggiò con gli occhi chiusi e li riaprì soltanto a Mosango. La Superiora, suor Annamaria Arcaro, si sorprese nel vederci arrivare, ci disse che era meglio ricoverarla all’ospedale di Kikwit, ma poi è venuta alla Land Rover, l’ha vista, e allora ci ha detto di lasciarla lì. Suor Daniela rimase a Mosango un paio di giorni, poi la portarono a Kikwit».

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Suor Danielangela chiuse gli occhi l’11 maggio 1995. È rimasto il ricordo di lei, i suoi pensieri, la sua spiritualità. Ecco alcune sue lettere, alcuni dei suoi molti scritti.

Esercizi spirituali, 1976

Pensate alla noia legata alla incertezza e alla igno-ranza. Noia intesa come senso dell’inutile, della man-canza di impegno. Pensate alla solitudine! Tutti siamo soli in una certa misura. Pensate alla percezione del dolore nel mondo, nei bambini… Il presente che non resta e non costruisce più… Pensiamo alla morte come morire momento per momento… Il dolore ha tanti nomi, tante facce e questo non possiamo cancellarlo. Allora è bene guardarlo in faccia per non prendere abbagli: no all’evasione, no alla rassegnazione, no alla ribellione… Vivere. Cristo afferma che siamo fatti per la gioia.

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Tumikia, 26 giugno 1992 Carissima Madre Generale,

… sono a Tumikia da otto mesi. Mi sembra di rendermi conto sempre di più che occorre saper morire per dare la vita. Occorre una super dose di pazienza, di comprensione e soprattutto di amore. Forse il Signore mi voleva qui per insegnarmi meglio a obbedire e servire. Fino a oggi mi sento in equilibrio e convinta che vale la pena di offrire qualcosa… Le suore sono tutte impegnate. Ognuna con i propri limiti e doni. È bello vedere il desiderio e lo sforzo per fare meglio, malgrado tutto. Il Signore ci ama così come siamo… La situazione nello Zaire è sempre più degradante; svalutazione vertiginosa, miseria crescente. Qui all’interno la popolazione si mantiene pacifica, forse anche troppo.

Tumikia, 1° marzo 1993 Carissima Madre Generale,

… in comunità non c’è male, anche se la razione di croce non manca. Da parte mia non sono sempre brava nel saper vivere con serenità. A volte, quando mi sembra difficile, mi chiudo, ma poi mi pento perché davanti al Signore ho sempre torto. Le sorelle hanno il diritto di essere capite e amate. A volte mi sembra un ruolo troppo esigente, ma guardando il Cristo ne ricevo la risposta… La scuola a Tumikia funziona bene. I professori, che non sono pagati dallo Stato da molti mesi, vengono da noi aiutati con grossi anticipi (che non saranno mai restituiti) e con una contribuzione delle alunne, deciso dal comité dei parenti…

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Tumikia, Pasqua 1993 Carissima Madre Gesuelda,

… le auguro di cuore che il quotidiano mistero di morte vissuto da noi e dai nostri fratelli in tante parti del mondo si trasformi con abbondanti germi di vita nuova e di pace, segni della presenza del Risorto.

Tumikia, 3 aprile 1993 Carissima Madre Gesuelda,

a Tumikia non c’è male. A scuola siamo in pieni esami. Stiamo vivendo una calma relativa sul piano politico. Siamo però sempre pronte a tutte le evenienze. Per ora abbiamo due governi, due primi ministri, due impostazioni divergenti. Il caos più assoluto che può esplodere disastrosamente. Siamo nelle mani del Signore quindi nella pace…

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Tumikia, 25 marzo 1994

Carissimo Mirko, con il ritorno di suor Andreita rompo il mio lungo

silenzio. Spero tu vorrai comprendermi. A Natale ho scritto a nessuno, compresa la mia famiglia. Mi sento un po’ snaturata, ma in realtà è solo per chi lo recepisce… Noi in comunità stiamo bene. Ognuna cerca di dare il meglio di sé per aiutare l’altra e creare un clima di fraternità. I nostri orfani sono sempre assetati di affetto, ma nello stesso tempo ne danno molto a noi. Il tuo Kambamba è diventato birichino. Cammina solo e ha sempre tanto appetito… Papà Luko è morto (non so se te lo avevo detto), mi manca molto perché era molto onesto… Per il momento nello Zaire c’è calma, ma tutto è in regressione… Mobuto intende essere l’unico sovrano. La gente è nauseata di politica e non vuole più parlare. Noi ci diciamo spesso: «Fino a quando questo paese vivrà questa schiavitù?».

Tumikia, ottobre 1994 Carissimo Mirko,

qui la gente soffre e lotta per la sussistenza, ma sono tanto bravi anche se a volte io mi arrabbio perché non sanno gestire quel poco che hanno, tu lo sai è un po’ vero!? Nelle parti del Kasai in questo tempo c’è l’inva-sione di rifugiati ruandesi. Credono di salvarsi la vita, ma arrivati nello Zaire molti muoiono di fame, di malattie e vandalismi… Ora termino perché devo andare a caricare il manioco sul camion. Domani mattina partiamo alle quattro. Ciao Mirko, continua a essere portatore di bontà

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là dove vivi…

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Tumikia, 26 marzo 1995

Carissimo Mirko, … ti ricordo che tu sei anche alla ricerca di qualcosa di

essenziale, una dimensione che va al di là dell’umano. Non resistere! Al Signore si dà o tutto o niente, non ci sono mezze misure con lui… In questo tempo io sono spesso in viaggio. Non ti dico le strade tra Muluma e Kinshasa, in che stato sono… Il tuo Kambamba è a Kin-shasa dallo zio, sembra stia bene, ma per ora non abbia-mo molte notizie. Tutti gli altri bimbi stanno benissimo e sono i nostri tesori… Carissimo Mirko, la vita è molto bella soprattutto quando si cerca di rendere bella quella dei fratelli…

Tumikia, Pasqua 1995 Carissima suor Annamarisa,

… il mondo in cui viviamo e spesso anche quello re-ligioso, comprese noi stesse, siamo piene di contrad-dizioni, ma Lui è un Dio fedele che non cambia mai. È quello che per noi conta e ci dà forza… Nello Zaire è il caos politico, più nessuno crede a niente. Le strade sono impraticabili quindi anche i prodotti locali sono difficili da trasportare. Il Signore un giorno provvederà a questo popolo, lo credo fermamente…

Il 23 marzo 1995, circa quaranta giorni prima di morire, in una lettera suor Daniela scriveva: «Il tempo passa in fretta per tutti e dobbiamo stare pre-parati perché non sappiamo né l’ora né il giorno in cui il Signore ci può chiamare. Restate nella gioia perché amore chiede amore».

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Intanto la vicenda dell’epidemia non si interrompe-va, suor Clara era morta e suor Daniela stava malissi-mo. Attraverso i fax giunti in casa madre a Bergamo dal 7 all’11 maggio 1995, ecco lo svolgersi dei fatti.

ore 15:34 del 7 maggio 1995

Carissima Madre Generale, abbiamo appena sentito la phonie. Suor Annelvira dice

che suor Daniela è stazionaria, come pure suor Dina che è meno grave. Si cerca di aiutarla con diverse medicine in attesa che Anversa e Atlanta possano rispondere con il plasma anticorpi. Alla riunione dell’OMS ci siamo rese conto che si sta agendo a livello internazionale per un pronto intervento. Speriamo possano dare presto risposte positive. Se fai un fax, domattina possiamo inviarlo alle sorelle di Kikwit e alle altre comunità. Pensiamo che sarebbe un grande dono. Pensiamo alla tua grossa sofferenza di non essere qui con noi, ma sentiamo che questa tua offerta come quella di tante sorelle e familiari ci sostiene a vivere questo dramma. Restiamo unite nella preghiera, nell’offerta… nella comunione. Che il Fondatore continui a vegliare e ci faccia il regalo di un miracolo. Rassicura pure le famiglie delle sorelle di Kinshasa. Con affetto ti abbracciamo.

suor Donata, suor Amelia e sorelle tutte

ore 17:15 del 7 maggio 1995

Carissima Madre Generale, le sorelle di Kikwit ci dicono che suor Daniela e suor Dina vanno un pochino meglio. Oggi hanno mangiato qualche cosina. Continuiamo a supplicare il miracolo. Anche qui tutte

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le comunità delle diverse Congregazioni ci sono vicinissime, compreso il Nunzio apostolico, il Vicario episcopale di Kikwit e mons. Mununu è regolarmente nella comunità di Kikwit. Nella grande sofferenza, il Signore ci manifesta tante attenzioni di bontà. Restiamo unite e ancora chiediamo di rassicurare le nostre famiglie, se vi chiamano. Con affetto.

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suor Donata, suor Amelia e tutte

Grazie delle lettere inviateci: sono un vero dono!

ore 07:09 dell’8 maggio 1995 Carissima Madre,

solo poche notizie, quello che abbiamo percepito per phonie. Suor Daniela ha riposato, va un pochino meglio. Suor Dina, meno bene, ci preoccupa. Continuiamo a restare unite nella preghiera e nell’offerta dolorosa di questo passaggio sul Calvario. Ci rimettiamo totalmente tra le Sue mani in attesa dell’alba della Risurrezione. Da tutte noi dello Zaire un abbraccio.

suor Amelia

ore 10:14 dell’8 maggio 1995

Carissima Madre, ti sentiamo tanto vicina. Vorremmo darti notizie sempre

migliori. Rispondere a tutti gli interrogativi, ma… suor Antoinette riprende lentamente, suor Palmide sta benino. Naturalmente è angosciata come noi tutte. Suor Rosalia va meglio.

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Siamo nell’esperienza più forte dell’identificazione a Gesù nudo sulla croce. Le sorelle di Kikwit ci edificano nella testimonianza di fede e di fiducia nell’Amabile Infi-nito. Non abbiamo notizie circa le famiglie delle sorelle zairesi. Stiamo trepidando, pregando, le comunicazioni con l’esterno-ville Kikwit sono impossibili visto l’isola-mento della comunità. Per il momento nessun’altra notizia se non che l’epidemia si sta propagando nei villaggi e che anche a Mosango, il dott. Bonnet lancia appelli a Misereor. Con affetto.

suor Amelia

ore 10:53 dell’8 maggio 1995 Carissima Madre Generale,

comprendiamo la tua trepidazione, ma siamo total-mente nelle mani di Dio. Nessuna evacuazione può essere fatta. Ti inviamo il fax ricevuto da suor Ignace che può farti capire meglio come si sta procedendo e le misure che si è obbligate a prendere. È molto duro per voi e per noi accettare questa separazione dalle nostre sorelle. Qui l’OMS sta veramente dandosi da fare in collegamento con tanti altri organismi con i quali restiamo continuamente in contatto. È attraverso loro che la nostra voce arriva in favore delle nostre sorelle e dei poveri. Stai tranquilla, non ci poniamo problemi di soldi. Le vite umane valgono infinitamente di più. Vi sentiamo vicine e noi qui a Kinshasa sentiamo tanta forza nelle continue pratiche che facciamo, anche se a volte gli occhi si riempiono di lacrime. Sentiamoci unite in Lui, con affetto.

suor Donata con suor Amelia

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ore 17:57 dell’8 maggio 1995

Carissime, questo foglio è rimasto nelle nostre mani. Gli av-

venimenti dolorosi ci hanno travolte. Ve lo mandiamo ugualmente perché la vita della Congregazione deve continuare. Abbiamo ricevuto il fax. La situazione è abbastanza drammatica soprattutto all’interno. Ma è necessario conservare la calma e non accogliere tutte quelle notizie che i giornalisti tendono sempre a ingi-gantire o addirittura a deformare. Qui a Kinshasa non ci sono focolai e tutte le strade verso l’interno sono bloccate. Per ragioni morali di prudenza, anche le sorelle di Kingasani sono isolate in casa senza contatti esterni. Suor Françoise e suor Marie assicurano la presenza nell’opera e poi vengono qui. Le sorelle dell’interno le abbiamo sentite ora. Suor Daniela e suor Dina non sono troppo bene. Le altre sorelle della comunità salutano e ringraziano. Ma le comunicazioni sono difficili. Con affetto vi abbracciamo.

suor Amelia e tutte

ore 8:15 del 9 maggio 1995 Carissima Madre,

i giorni passano e per il momento il Signore continua a dormire… Siamo comunque certe che Lui veglia come sulla barca dei discepoli. Le due sorelle sono sempre gravi ma ancora più grave…. Non ha dato nome perché per phonie molte cose sono captate da tutti e trasmesse male. Restiamo in preghiera in attesa che il Signore si risvegli e dica: «Sono qui»…

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Restiamo in comunicazione e vi faremo pervenire ulteriori notizie. Vi abbraccio a nome di tutte.

suor Amelia

ore 13:51 del 9 maggio 1995

Carissima Madre, lo stato delle due sorelle è sempre uguale… stazio-

nario. Sul posto stanno dandosi da fare per cercare di arrivare a frenare l’epidemia. Nelle grandi riunioni di tutti gli organismi internazionali cerchiamo di essere presenti per portare la voce delle sorelle e della popo-lazione e per facilitare lo sblocco di quello che ci avete inviato. Speriamo sia così. Suor Anna ci conferma che per il momento i familiari delle sorelle zairesi non sono toccati. Continuiamo a sperare in un vero miracolo. Se il Fondatore vuole la festa il 22 maggio… deve per forza fare qualcosa… Con affetto vi abbraccio.

suor Amelia e sorelle

ore 14:19 del 10 maggio 1995

Carissima Madre e tutte, lo stato delle nostre sorelle resta sempre molto, molto

grave. Non cessiamo di pregare, di supplicare e di cercare nella fede l’abbandono in Dio. Alle ore 11:30 è partito un aereo con materiale di protezione e per esami. Sono arrivati alcuni specialisti dall’estero che lavoreranno sul posto. Partiranno nuovi campioni da esaminare questa sera per Anversa e l’America. Speriamo riescano presto a trovare anticorpi e medicinali appropriati. La tua lettera e quella di suor Maria sono partite oggi. Stasera l’avranno. Le sorelle di Tumikia, Lusanga e Mosango

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vanno bene. Le sorelle di Kikwit compatiscono da vicino con il popolo. È un vero dramma! Che il Signore abbia pietà! A suor Anna abbiamo detto di provare a spedirci direttamente il fax tramite il professor Muyembe che le visita ogni giorno. Un forte abbraccio e un grazie a tutta la Congregazione che sentiamo vicinissima. Con affetto.

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suor Donata e tutte

ore 07:02 dell’11 maggio 1995

Carissima Madre, abbiamo appena parlato con suor Anna. Suor Daniela

è sempre molto molto grave, è agitata. Suor Dinarosa è anch’essa molto grave, ma è più tranquilla. Si attende con fiducia e speranza l’arrivo del plasma con anticorpi. Preghiamo con insistenza. Il Signore, il Fondatore ci facciano questo dono. Le altre sorelle, di tutte le comunità, stanno per il momento bene. Sembra che il virus stia perdendo la sua forza. Preghiamo, preghiamo. Suor Amelia è all’aeroporto per ritirare i pacchi inviati. Ieri a Kikwit hanno ricevuto quello di suor Ignace. La Provvidenza c’è. In unione di preghiera. Un forte abbraccio, ciao a tutte.

suor Donata

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ore 13:40 dell’11 maggio 1995

Siamo sempre in attesa della buona novella, non ci lasciamo abbattere… Noi crediamo al di là di tutto. Siamo totalmente nelle Sue mani! Questa mattina alle ore 6, con Sabena sono arrivati gli otto pacchi. C’era con noi il responsabile dell’Ambasciata italiana… Ogni giorno scriviamo alle comunità dell’interno, inviamo vostre notizie; così come possiamo e riusciamo cerchiamo di sostenerle. Soprattutto cerchiamo di essere presenti alla comunità di Kikwit.

ore 14:05 dell’11 maggio 1995

Carissima Madre, mentre scriviamo riceviamo la triste notizia che suor

Daniela non è più di questo mondo. «I giusti sono nelle mani di Dio… Essi sono nella pace». Continuiamo a sperare nel Signore… e a implorare per suor Dina. Coraggio Madre… Siamo con te e ti sentiamo con noi. Il cuore si spezza ma guardiamo a Lui crocifisso.

Suor Amelia

Una sorella direttamente coinvolta negli eventi di quei giorni dice di lei: «Non dimenticherò mai la profondità del suo sguardo e al tempo stesso il suo sorriso. Sentivo in quegli occhi penetranti e in quel sorriso la verità della sua persona, la verità del Signore».

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4. Suor Dinarosa

Teresina Belleri era nata in Val Trompia, per la precisione nella località Cailina di Villa Carcina, l’11 novembre del 1936. Famiglia povera, come la stragrande parte delle famiglie di allora che vivevano nelle valli o nelle campagne. Così anche Teresina, come molte altre suore, da ragazza dovette lasciare presto gli studi e trovarsi un lavoro. Aveva imparato l’arte del taglio e cucito, ma poi dovette andare a lavorare a Lumezzane; la guerra era finita da poco, e a Lumezzane esistevano numerose officine che lavoravano il metallo. Il padre si chiamava Battista, la mamma Maria. Aveva una sorella più grande, Domenica, e un fratello più piccolo, Pierino. E Pierino ricorda il suo carattere fin da bambina, carattere confermato nel resto della sua vita: «Con lei non c’era gusto a litigare. Rendeva tutto semplice con una scrollata di spalle. Era sempre sorridente».

Aveva un carattere aperto al mondo. Ancora da bambina, racconta la sua cugina suor Tersilla Corti, si immaginava infermiera, le piaceva giocare a curare, bendare, aiutare i suoi coetanei. Un ricordo particolare è quello dei bombardamenti, durante la guerra, quando Tersilla e Teresina correvano in

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campagna e si buttavano sul prato: Teresina pregava, diceva Avemarie, ma restava impaurita e incantata davanti ai bagliori, ai fragori, alle luci dei bombardamenti.

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Ecco ancora la testimonianza di suor Tersilla Corti, scritta in occasione della messa di suffragio del 15 maggio 1995 nella chiesa di Cailina: «Giocherellona e allegra, Teresina preferiva il movimento, la competitività, i giochi di gruppo, soprattutto quando si recava in oratorio dalle suore delle Poverelle. Amava fingersi infermiera quando si trovava da sola o con l’amica della casa vicina. Allora le forbici ritagliavano strisce di carta per farne bende che per lo più venivano applicate agli occhi o alla testa. Ai finti malati portava acqua, li consolava, li faceva guarire: era come un preludio di quanto avrebbe svolto…».

Il racconto dell’amica Elena Corti si riferisce in-vece al periodo in cui Teresina lavorava a Lumez-zane: «Era il 1949, tutte le mattine partivamo in bi-cicletta, facevamo 11 km per raggiungere il lavoro e quando ci capitava l’occasione di qualche camion carico di sabbia ci attaccavamo dietro e ci facevamo trainare per alcuni chilometri perché la strada era tutta in salita. Un mattino, come al solito, arrivò un camion carico, ma sfortunatamente nell’attaccarci ci siamo scontrate con le bici e siamo andate a sbattere contro il muro del cimitero di Sarezzo… Ci portarono nell’infermeria. Teresa mi disse: “Non possiamo andare a lavorare conciate così, però non possiamo nemmeno andare a casa perché altrimenti ci lapidano”. Un po’ si piangeva, un po’ si rideva. Entrammo nel cimitero a nasconderci, Teresa con-tinuava a pregare, era preoccupata. Quel giorno per pranzo abbiamo mangiato le more; la sera al rientro abbiamo buttato via tutte le bende prima di entrare in casa. Nessuno ci ha detto niente…».

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Teresina entrò in convento a Bergamo nel 1957, aveva ventuno anni. Scelse l’istituto delle suore delle Poverelle che conosceva fin da bambina. Conseguì il diploma di infermiera professionale. Venne destinata a Cagliari, al sanatorio per i malati di tubercolosi. Nel 1966 si imbarcò per lo Zaire, destinazione Mosango, a 400 km dalla capitale Kinshasa, anche lì in un sanatorio. Nel 1983 andò all’ospedale di Kikwit, ancora fra i tubercolotici e fra i malati di Aids.

Suor Costanzina, per tanti anni missionaria in Africa, racconta: «Nel 1995, in quei mesi, ero a Tumikia, la nostra Superiora era suor Danielangela. Conoscevo bene anche Dinarosa e Clarangela perché eravamo state insieme a Mosango. Vivevamo la missione con molta semplicità e un senso di gioia. Posso dire che eravamo spensierate? Io suonavo l’armonica a bocca e a volte alla sera sotto quel cielo stellato andavo a suonare l’armonica sotto le finestre delle suore che dormivano e loro si arrabbiavano… Che risate. Abbiamo riso tanto. La Dinarosa poi, con quella scatola che era il suo tesoro dove c’erano tre o quattro protesi dentali, vecchie spille buffissime di quelle con le fotografie dentro e poi lei si vestiva in modo stravagante e facevamo le scenette impersonando il vecchio e la vecchia… facevamo il teatro nei momenti di tranquillità, per noi stesse e per le sorelle di comunità. E poi c’era Clarangela che cantava, le piaceva un sacco cantare, ma era davvero fortemente stonata! Quando c’era un’occasione di svago, di ricreazione, lei era sempre la prima. Che si trattasse di indossare una parrucca, di ballare, di recitare, era sempre in prima fila con suor Clarangela

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che le dava manforte… dimenticava allora tutte le preoccupazioni “di fuori” ed era fonte di contagiosa allegria fraterna».

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Le compagne di postulato e di noviziato ricordano suor Dinarosa come persona molto semplice, che assumeva di buon grado quanto veniva insegnato e suggerito. In lei prevaleva il buon senso, la praticità delle cose da farsi; tuttavia quando fu scelta per il corso di infermiera professionale a Roma diede prove inconfutabili di intelligente e proficuo studio. In missione a Kikwit, suor Dinarosa lavorava nel reparto dei tubercolotici, che sono i malati più poveri e seguiva anche molti malati di Aids.

Suor Antoinette Boto ha di lei questo ricordo: «Ho avuto la grazia di fare la veglia di notte con suor Di-narosa proprio due settimane prima che esplodesse l’epidemia di Ebola. Io ero malata. Lei è rimasta tutta la notte al mio fianco: avevo paura! Ho scoperto in lei una grande sorella che, dimenticando se stessa, si donava senza misura. Era gioiosa, sensibile ai bisogni degli altri; soprattutto dei malati e sapeva soffrire in silenzio».

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Il segreto della vita spirituale di suor Dinarosa è raccolto in poche note, scritte in occasione di esercizi spirituali, e in alcune lettere ai familiari. Poche righe, solo una traccia che lascia intuire il pozzo da cui attingeva l’acqua della gioia di essere consacrata a Dio. Nei suoi appunti di esercizi si trova scritto:

«Ritirati, resta davanti a tuo padre, a Dio che si rivela».

«Dobbiamo metterci davanti a Lui e parlargli con umiltà e semplicità. Possiamo dire tante cose, ma non potremo mai farlo gustare se prima non lo conosciamo bene noi, se prima non sono ben riem-pita io dell’amore di Dio, acquistato da Lui parlan-dogli e lasciandolo parlare».

«La vera umiltà è riconoscere che non ho nulla di mio, ma ciò che possiedo è tutto dono gratuito; invece molte volte faccio, disfo, non so accettare una piccola contrarietà, rispondo anche».

Vivere con questo spirito richiede allenamento costante nel riconoscere la gratuità che circonda la vita, la disponibilità a imparare sempre ciò che è buono negli altri e la fortezza per lottare contro la tentazione dell’egoismo che spinge ad apprezzare sempre più di se stessi e far ricadere sugli altri le colpe per le cose che non vanno bene.

Nelle sue poche lettere, suor Dinarosa ha mani-festato certamente almeno una parte della sua per-sonalità.

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Suor Dinarosa scrisse ai familiari nel 1984: «Mi trovo a Kikwit, che è distante 130 km da Mosango, un villaggio sperduto nella regione del Bandundu, nello Zaire. Lavoro in un grande ospedale civile che comprende undici padiglioni. Vi sono con me altre consorelle europee e zairesi, otto medici e sufficiente personale del luogo. In tutto ci sono 450 posti letto, ma i malati ospedalizzati si aggirano ogni giorno sui 1200-1400. A Kikwit ci sono ammalati affetti da tutte le malattie: dai lebbrosi ai denutriti, dagli affetti da malaria e da verminosi ai sofferenti di Aids e di tante altre malattie. E vi è grande miseria e ovunque si lotta per vivere. La lotta per l’acqua, in quanto le sorgenti sono lontane e non esistono condutture. Lotta contro le malattie, senza medicinali sufficienti e adatti… lotta contro le credenze degli Ndoki (spiriti malefici che uccidono le persone), lotta per nutrirsi in quanto si trova poco di tutto e quel che si trova si paga molto caro. I più fortunati comprano del pesce secco (baccalà) oppure una scatola di sardine che fanno bastare per tutta una giornata in quattro, cinque, sei persone. I meno fortunati si recano nella savana a caccia di topi, di grilli, di formiche, oppure cuociono dei bruchi simili alla processionaria (noi a Brescia li chiamiamo “gatole”) ricchi di proteine. Chi non può avere qualcosa di simile si nutre di saka saka che è solo verdura con un po’ di luku che è la loro polenta. Quando li vedo nutrirsi a quel modo mi prende una grande compassione e confronto le nostre cosiddette crisi economiche con magazzini pieni di ogni ben di Dio… Che giustizia sociale terribile e incomprensibile!… Le suore addette all’ospedale non

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possono recarsi nei villaggi per l’apostolato, ma questo lo si fa di giorno e di notte, curando e cercando di instaurare con i malati un dialogo di speranza, insegnando loro come pregare…».

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Alla nipote Dina il 23 agosto 1992: «Non puoi immaginare la gioia che ho provato la sera che vi ho telefonato sentendovi parlare. Non so come potervi ringraziare per tutto quello che prima avete fatto per la povera nonna e per me. E ora per tutto quello che fate per vostra mamma e papà. Dimenticavo di dirvi che la sera che vi ho telefonato è stata talmente grande la mia gioia di sentirvi che la notte mi sono sognata di voi, che Dina mi aveva scritto e leggendo la lettera mi annunciavi che eri incinta… Quanta gioia che ho provato, primo perché la vostra famiglia è più al completo essendoci un bambino, e poi perché al prossimo congedo avrei avuto un altro pronipote che mi veniva incontro… È vero, è un semplice sogno».

Dalla lettera alla nipote Dina e al marito del 4 marzo 1995: «Per quanto riguarda me, vi posso as-sicurare che sto bene, per fortuna, perché il lavoro aumenta sempre. Non so se avete visto in televisione o avete sentito ciò che sta accadendo qui. È ve-ramente una strage, cose mai viste neanche in tempo di guerra. Gente uccisa, distrutti i magazzini, gente non pagata da quattro mesi, prezzi altissimi e perciò la povera gente non può comperare niente; mangiano verdure e legumi e a lungo andare muoiono per mancanza di viveri».

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Riguardo al maggio 1995, interessante è la testi-monianza di Angelina Rondi, sorella di suor Floralba: «Io e mia sorella Rosanna, alla fine di aprile, siamo andate a Kikwit per il funerale di nostra sorella, suor Floralba. In quei giorni ci si cominciava ad allarmare, ma non si sapeva ancora che si trattava di Ebola. Io ero seduta in casa vicino a suor Dinarosa, che non aveva ancora la febbre mentre suor Clarangela già cominciava a star male e quel giorno le avevano fatto un prelievo. Ricordo che suor Dina disse a suor Clara: “Ti è andata bene, perché sembra che sia solo una forte malaria e hai anche gli anticorpi del tifo: forse lo hai fatto tempo fa…”. Allora io dissi a suor Dinarosa: “Stia attenta, non si ammali anche lei che deve ritornare in Italia presto. La aspettiamo a casa nostra a mangiare le costine”. Lei rise. Mi rispose che era lì per servire i poveri e che il Padre Eterno l’avrebbe aiutata. Io le chiesi se non aveva paura. Lei disse: “La mia missione è quella di servire i poveri! Cosa ha fatto il mio Fondatore? Io sono qui per seguire le sue orme…”. E dicendo così un po’ rideva. Suor Dina era sempre contenta».

Dalla lettera di suor Annamaria Arcaro alla sorella di suor Dinarosa, Domenica.

Maggio 1995: «Io sono arrivata a Kikwit da Mo-sango il 5 maggio, accompagnando suor Daniela, già ammalata di quel terribile virus. Ho trovata suor Dinarosa che non stava bene, ma i medici che l’avevano visitata avevano diagnosticato una malaria, e stava prendendo gli antimalarici. Nor-malmente dopo due o tre giorni la febbre avrebbe

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dovuto cadere e lei riprendere le forze. Invece, suor Dina continuava ad avere febbre con vomito e anche diarrea ed era stanchissima. Suor Dina, una settimana prima, aveva curato e assistito all’ospedale due infermieri, uno, un anestesista a lei molto caro, e altre persone ammalate di questo virus. La nostra paura e angoscia ha preceduto i segni che confermavano la terribile malattia. Anche suor Dina, dopo suor Floralba, suor Clara e suor Daniela, era stata contagiata da questo micidiale virus. Si può immaginare quanto smarrimento… Suor Dina era cosciente della sua malattia anche se a noi continuava a dire: “Non preoccupatevi che è solo malaria, io, qualche anno fa, ne ho avuta un’altra così forte”. Era coraggiosa, si sforzava di mangiare, di alzarsi, di fare piccole passeggiate, ma la debolezza era estrema. Abbiamo cominciato allora a farle tre o quattro flebo al giorno con tutte le medicine per aiutarla a superare questa malattia. Aveva lunghi momenti in cui si sentiva meglio e allora cercava di mangiare, parlava con noi; soprattutto con suor Annelvira, la nostra Provinciale, faceva lunghe chiacchierate. Suor Annel-vira la chiamava scherzosamente gemella perché avevano la stessa età… Diceva che non soffriva; soltanto il vomito, la diarrea e la febbre la indebo-livano sempre di più. Aveva avuto anche un po’ di ematemesi. Mi diceva spesso: “Sono stanca, come avessi lavorato una settimana senza mai dormire…”. La vegliavamo notte e giorno dandoci il turno. Suor Dina si assopiva parecchio a causa della debolezza, però il suo stato era stazionario e per lei speravamo davvero perché erano già trascorse quasi due

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settimane dai primi sintomi e credevamo che la fase acuta fosse passata e avesse, lei stessa, fabbricato degli anticorpi… La sera del 13 l’ho vegliata io fino alle 10, era un po’ inquieta, aveva caldo ed era contenta quando le facevo un po’ di aria con un ventaglio. Alle 22 suor Vitarosa è venuta a darmi il cambio. Verso le tre del mattino del 14 maggio suor Rosa si è accorta che non rispondeva più quando la chiamava e il respiro si era fatto più frequente. Era entrata in coma. Da quel momento l’abbiamo vegliata noi due. Suor Dina non si è più svegliata dal coma e alle ore 9 ha dato l’ultimo respiro; è passata dolcemente dal sonno al grande sonno del Signore. Ancora con suor Vitarosa l’abbiamo composta, vestita con il suo abito bianco, con il velo e il suo crocifisso. Ho messo intorno al suo letto degli ibiscus rossi e rosa. Era bella, in una grande pace, pronta per l’incontro con il suo Signore che aveva tanto amato e servito e dato la sua vita per amore dei fratelli».

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Seguiamo ora, attraverso i fax, la vicenda delle suore delle Poverelle fra la morte di suor Danielan-gela e gli ultimi momenti di vita di suor Dinarosa.

ore 7:06 del 12 maggio 1995

Carissima Madre, abbiamo appena comunicato con suor Anna. È

ammirevole! Assieme a tutte le sorelle. Suor Dina ha passato la notte abbastanza tranquilla, ma il declino è progressivo. L’assistono suor Anna e suor Vitarosa. Suor Anne Marie le aiuta, ma suor Anna ha preferito che sia ora meno a contatto. Suor Dina ha chiesto di suor Daniela. Le si è detto che l’hanno trasportata alla clinica. Le altre vanno bene. Oggi pomeriggio celebrano alle ore 15 una messa alla cattedrale. Mons. Mununu a fatica ha accordato che le sorelle delle altre comunità possano essere là. Suor Anna e Monsignore, ci hanno supplicato di non muoverci. L’ospedale di Mosango funziona, oggi passeranno i Medici senza Frontiere per rendersi conto. La scuola di Tumikia l’hanno momentaneamente chiusa, ma si attendono direttive per le scuole. Le ragazze di Kikwit sono rimaste a Tumikia. I bambini sono per forza là. Suor Anna dice di averti scritto e che spera che tu possa riceverlo. Continuiamo a implorare con fede e speranza affinché il Signore, il Fondatore pongano fine a questo flagello. Restiamo unite! Suor Amelia è all’aeroporto per ritirare il materiale che partirà oggi e domani per Kikwit e Mosango. Vi pensiamo tanto e vi sentiamo con noi con affetto.

suor Donata e tutte

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ore 12

Carissima, abbiamo appena spedito via aerea per Kikwit i pacchi

appena arrivati e ritirati senza difficoltà grazie alla Ambasciata italiana. Circa la richiesta urgente, capiamo il vostro desiderio di sollevarci, ma l’abbé Buetubuela è a Roma, padre Cividin non l’abbiamo sentito, ma è chiaro che ci vuole qualcuno che ha il Telecel per poter contattare man mano i vari organismi. Cercheremo di informarci, ma ci sembra molto difficile. La lista richiesta con la dichiarazione non è ancora pronta. Quando i grandi organismi si muovono c’è un certo rilento per la coordinazione del lavoro e per le pratiche. Appena avremo una risposta vi scriveremo. Grazie di tutto! Ci sentiamo sostenute, incoraggiate. Le sorelle di Kikwit sono meravigliose! Un abbraccio da tutte.

suor Donata

ore 14 del 12 maggio 1995 Carissima Madre,

abbiamo parlato alle ore 13:30 con le sorelle di Kikwit. Suor Dina è stazionaria. Continuiamo a supplicare. A Kikwit continuano ad arrivare dei malati all’ospedale. Finora su 49 casi 27 sono morti (di cui 17 personale medico). Nella cité vi sono parecchi morti. Si stanno facendo inchieste. Oggi pomeriggio i Medici senza Frontiere sono a Mosango per rendersi conto della situazione. Alle ore 15 siamo in comunione con i fedeli di Kikwit che pregheranno in cattedrale. Alcune sorelle di Tumikia, di Mosango e Lusanga hanno ottenuto di poter essere presenti.

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Che il Signore ci accordi forza e fede. Un abbraccio da tutte.

suor Donata

ore 7 del 13 maggio 1995 Carissima Madre,

abbiamo sentito con estrema chiarezza suor Anna. Una voce ferma, una fede salda e un coraggio stupendo, da darne anche a noi. Saluta tutte e dice di restare coraggiose e ricche di speranza. Loro non hanno nessun sintomo. La carissima suor Dina è sempre molto grave. Ieri sera ha ricevuto il Sacramento dei malati, si è confessata ed era cosciente. Nella cattedrale alle ore 15 è stata celebrata la messa di suffragio per suor Daniela… Tre sorelle di Tumikia hanno ottenuto il permesso di partecipare e una di Mosango. Nel frattempo le sorelle di Kikwit sono rimaste in preghiera e in adorazione. Al termine della celebrazione, le suore delle tre comunità si sono scambiate le notizie parlandosi dal portone chiuso. È un momento duro ma “Fiat”, così ce lo chiede di vivere il Signore. Ieri suor Anna è riuscita a scriverti… Ha consegnato a Monsignore perché facesse un fax ma non è passato. È probabile che oggi lo faccia arrivare a noi. Intanto mi chiede di ringraziarti vivamente per la tua presenza, la tua vicinanza, la tua preghiera e quella di tutta la Congregazione. Ringrazia anche quelle sorelle che si sono rese disponibili per venire ad aiutarci. È toccato per questa generosa offerta, a rischio della vita. Ma è bene non muoversi. Suor Anna ci ha comunicato la morte della sorella suor Eugenie, delle suore di S. Giuseppe di Torino. Abbia

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mo prevenuto la loro Provinciale. Per il momento suor Anna ha detto di non dire nulla alla Congregazione. Ci penserà la loro Provinciale. Intanto restiamo unite nella preghiera. Le sorelle di Tumikia, Mosango, Lusanga, per il momento stanno bene. Ciao un abbraccio da tutte noi.

suor Amelia e suor Donata

ore 7:50 del 14 maggio 1995

Carissima Madre, abbiamo appena sentito suor Vitarosa. Il Signore vuole

proprio strapparci suor Dinarosa. Stanotte è entrata in coma! Continuiamo a gridare al Signore la nostra fede e la nostra speranza. Il suo volere misterioso ci mette in ginocchio. «Sì, se tu hai bisogno di questo prezzo… Sei Padre e vogliamo credere che sai meglio di noi ciò di cui abbiamo bisogno…». Le altre sorelle stanno bene, molto affaticate ma sempre forti nella fede. Sono già preparate a vivere il periodo prolungato di isolamento che deve seguire dopo essere state a contatto con le malate. Quale fede! Quale disponibilità! Che il Signore le sostenga e conforti. Restiamo unite in Lui. Un abbraccio da tutte a tutte anche a nome loro.

suor Donata

ore 09:31 del 14 maggio 1995

Carissima Madre, la quarta martire della carità ha raggiunto le altre alle

9:17. Ce lo ha annunciato con la voce rotta dal pianto suor Chantal. Suor Vitarosa era con lei. Suor Anna stava riposando. Madre, il Signore ha veramente marcato la nostra storia con pagine di fede, di speranza, di

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abbandono. Accordi ora alle sorelle stremate di fatica tanto conforto e pace, la certezza che Lui è Padre pieno di tenerezza. Permetta loro di riprendersi fisicamente. Continuate a sostenerci in quest’ora di dura prova. Vi daremo ulteriori notizie appena potremo comunicare con loro di nuovo. Con affetto.

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suor Donata e tutte

ore 10 del 14 maggio 1995 Carissima Madre,

è sempre suor Chantal che comunica. Suor Dinarosa sarà sepolta subito! La messa sarà celebrata alle ore 17, ma suor Anna ha chiesto che ogni comunità celebri sul posto perché nella cittadina ci sono casi che si moltiplicano. Non è prudente entrare in Kikwit. Quale sacrificio è chiesto a tutte! Il cuore si spezza di dolore!… Il Signore vuole identificarci sempre più alla sua esperienza di solitudine, di abbandono in Dio. Ci so-stenga tutte! Siamo in comunione tutte.

suor Donata

«Avvolta tra i poveri», come raccomandava il suo Fondatore, suor Dinarosa ne ha condiviso la sofferenza fino in fondo, con la forza e la fede dei semplici, con il coraggio e la perseveranza degli umili.

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5. Suor Annelvira

Al tempo del virus di Ebola, suor Annelvira Ossoli era la Madre Provinciale d’Africa delle suore delle Poverelle, aveva quindi la responsabilità delle missioni in Congo, Malawi, Costa d’Avorio. La sede provinciale era Kinshasa, ma nel momento in cui scoppiò la malattia, suor Annelvira – più volte chiamata familiarmente Anna – si trasferì a Kikwit per stare accanto alle sue sorelle. Seguì la malattia di suor Floralba, suor Clarangela, suor Danielangela e suor Dinarosa. Poi la malattia la prese, la costrinse all’isolamento nella casetta dell’ospedale con suor Vitarosa, fino all’epilogo, alla morte avvenuta il 23 maggio di quel 1995.

Suor Annelvira si chiamava Celeste Ossoli, era nata a Orzivecchi, in provincia di Brescia, il 26 agosto 1936. Il papà era un venditore ambulante, si chiamava Ludovico, la mamma era Elvira Zerbini e gestiva un piccolo negozio in paese. La famiglia era completata dai quattro figli. Avrebbe dovuto fare la magliaia: aveva dimostrato una particolare capacità in questo mestiere, e il padre aveva deciso di comprarle una macchina all’avanguardia per questo tipo di lavoro: la famiglia non era ricca, ma nemmeno

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di quelle più povere.

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Celeste, come tutte le bambine del suo paese, an-dava regolarmente dalle suore, amava giocare, la sua passione erano i birilli e la tombola. Veniva descritta come bambina vivace, esuberante. Dopo la quinta elementare, andò a imparare ricamo e cucito dalle suore. A 14 anni cominciò a fare la magliaia, dimostrando abilità non comune. Dopo tre anni, la decisione del padre: vedeva per la figlia un futuro di imprenditrice. Celeste aveva 17 anni, ma, tranne la madre Elvira, nessuno né tra i parenti né tra le amiche più care conosceva il suo vero desiderio, quello cioè di consacrarsi per tutta la vita a Dio e al servizio dei più diseredati. «Era così allegra – ricordò la madre in un’intervista rilasciata a 84 anni di età – che emanava un fascino speciale. Amava molto leggere e amava molto i bambini. Molti giovanotti, quando lei era di turno a vendere il nostro gelato, se ne stavano a guardarla, era proprio bella, e la ascoltavano volentieri e non sarebbero mai voluti andar via».

La scelta di andare suora fu come un fulmine a ciel sereno, soprattutto per il padre. Ricorda mamma Elvira: «Erano tutti e due soli nell’orto chinati per liberarlo dalle erbacce quando mio marito le disse che era proprio brava e che le avrebbe comprato una macchina da magliaia. Ma Celeste disse che non doveva farlo perché lei sarebbe andata suora. Mio marito per tutta risposta le diede un pesante ceffone, così pesante che la sbatté in terra e le fece perdere un dente!».

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La madre approvava la decisione della figlia, il padre dovette accettare la situazione. Celeste entrò in convento il 5 ottobre 1953, divenne suora nel 1956, conseguì il diploma di infermiera e caposala, prestò servizio a Milano nella casa di riposo di via Aldini. Ma per pochi anni: nel 1961 partì per l’Africa, destinata all’ospedale di Kikwit: arrivò nella cittadina del Congo il 1° novembre. Nel 1967 tornò per un paio di anni in Italia, a Roma, dove ottenne il diploma di ostetrica; nel 1969 era di nuovo in Africa. Non aveva una salute di ferro, soffrì di seri problemi polmonari e poi anche di una patologia alle ginocchia, che sembrava doverla costringere per sempre su una carrozzella. Il primo gennaio del 1980 scriveva nel suo diario: «Vedendomi più o meno handicappata sento in me due forze: da una parte la mia natura soffre per l’impossibilità di camminare, per l’essere di peso… dall’altra mi nasce nell’intimo tanta pace, desiderio di abbandonarmi nella volontà inspiegabile, ma sempre paterna e divina del Signore che, specie da qualche mese, mi fa sentire la grande importanza di essere sempre più come vuole Lui. Allora, fino a che punto importa il poter camminare o no?».

Annelvira però venne operata con successo e contro le previsioni riuscì a rimettersi in piedi e a riprendere il suo servizio. Come le altre suore, era instancabile. Bisogna considerare che nell’ospedale di Kikwit si registravano sette-ottocento nascite al mese: per una suora ostetrica il lavoro non mancava. Nel novembre 1992 suor Annelvira venne votata dalle consorelle ed eletta Madre Provinciale.

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Un lavoro impegnativo, un ruolo che divenne tragico in quell’aprile, quando l’epidemia scoppiò quasi senza avvisaglie. Il 20 aprile del 1995, a pochi giorni dalla vicenda che avrebbe portato il dolore fra le Poverelle e le avrebbe tolto la vita, suor Annelvira scriveva: «Carissima suor Mariagnese, … ci vedre-mo a luglio certamente, ne ho anche voglia! Vedi? Nella nostra vita, come anche tu mi dicevi se non mi tradisce la memoria, ciò che conta non è il fare tale cosa o impegno, è Lui che deve essere sempre posto al centro della nostra vita e del nostro apostolato! Allora faremo tutto con tanto amore, trovando e scoprendo e facendo conoscere Chi e per Chi siamo a servizio…».

Una testimonianza molto interessante di quei giorni e della personalità di suor Annelvira è quella offerta da suor Amelia che all’epoca di Ebola era la segretaria di suor Annelvira: «Io conoscevo bene suor Annelvira e suor Vitarosa, ho vissuto con loro a Kinshasa per anni. Erano straordinarie. Annelvira era una donna dalla volontà ferma, dalla fede veramente grande. Sapeva vivere anche le situazioni più difficili con la serenità che le veniva da una fede davvero salda. Quante volte mi sono chiesta se io potrò mai essere così, se potrò mai essere all’altezza di quell’esempio. Mi ricordo un episodio. Una volta i giornali di Kinshasa scrissero a grandi titoli che “A Kingasani si lavora per propagare l’Aids”. Era una terribile menzogna. La verità era che avevamo un infermiere che era malato di Aids; non lo avevamo licenziato, ma lo tenevamo in ospedale, con compiti limitati e con le dovute protezioni. Non certo per

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propagare l’Aids! Allora noi suore pensavamo che era il caso di intervenire con una bella smentita. Ma suor Annelvira ci disse che la verità la faceva il Signore e che ci saremmo alzate un quarto d’ora prima la mattina per pregare di più. Così anziché alle 4:45 ci alzavamo alle 4:30 e pregavamo. Ricordo un altro episodio, una persona amica che improvvisamente divenne distante e chiusa, come nemica; ricordo la sofferenza di Annelvira che ri-spose a questa cosa dicendo una preghiera in più ogni giorno; anche mentre giravamo in auto per la città pregavamo per questa persona. Annelvira era la nostra Madre Provinciale per il Congo e l’Africa. Quando seppe attraverso la phonie che suor Floralba stava male e che era stata portata a Mosango decise di partire. Ricordo quel mattino: l’auto ancora non era pronta… dovevano revisionarla perché le strade qui non sono come le autostrade in Italia… e lei era lì impaziente, attorno all’auto perché voleva partire. Poi anche suor Vitarosa ha deciso di partire perché voleva stare accanto a suor Annelvira e perché aveva saputo della situazione disastrosa che c’era a Kikwit.

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Sono passati quindici anni, oggi sento una sensa-zione di gratitudine per avere potuto vivere con per-sone così straordinarie. Persone molto semplici, ma che hanno trasmesso un senso di vita piena, continua, vera. Ancora oggi provo quella sensazione della vita vera vissuta nella profonda fede in Dio. Ecco, la loro vita ha saputo esprimere il senso di chi e che cosa è Dio. Certo il contatto con queste persone, il ricordo, mi fa sentire la mia inadeguatezza, mi pone anche un po’ in crisi. Loro vivevano in maniera piena il ca-risma del Palazzolo; quello stare con gli ultimi ogni giorno era per loro lo stare con Dio».

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Il 20 aprile 1995, ancora ignara di quanto stava per accadere, suor Annelvira scrive alle suore: «È Gesù che deve essere al centro della nostra vita e del nostro agire. Allora faremo tutto per amore, tro-vando e scoprendo e facendo conoscere CHI e PER CHI siamo a servizio». E il 13 maggio seguente, proprio nel bel mezzo della bufera scrive: «Il tempo per vivere può essere corto, e allora intensifichiamo il nostro vivere… Nelle condizioni in cui ora ci troviamo il valore del vivere assume tutta un’altra dimensione. Ci rimettiamo a Dio».

Che le sue non fossero solo parole ma vita vissuta lo dimostra la testimonianza di suor Annamaria Arcaro, “la sopravvissuta”: «Suor Annelvira è stata di una forza e di un coraggio incredibili; quando ha capito che il virus l’aveva contagiata, è stata di una forza eccezionale, anche se si notava sul suo volto il duro combattimento che stava vivendo».

Suor Annelvira confidò a suor Annamaria Arcaro di non sentirsi bene. Era il 13 maggio, un sabato. La situazione precipitò in pochi giorni. Il 17 Annelvira si rese conto che la febbre non scendeva nonostante gli antibiotici e il giorno dopo presentava le prime chiazze rosse sulle braccia. Il medico dell’OMS, Philippe Callain, le disse che doveva venire messa in isolamento stretto. Suor Annamaria Arcaro raccontò: «Quando si è trattato di trasferire anche suor Annelvira nella casetta dell’isolamento dove erano morte le altre, i medici e il Vescovo hanno obbligato noi sorelle a non assisterle più. Così venerdì 19 maggio due medici e due persone della Croce Rossa

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sono venute a prenderla per trasportarla nella casetta. Non potrò più dimenticare quel passaggio di suor Anna davanti a noi, che eravamo tutte in singhiozzi».

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L’isolamento, il non poter avere un contatto con le sorelle malate pesò in maniera schiacciante sulle suore delle Poverelle e ancora oggi, dopo quindici anni, le testimoni di quei giorni sottolineano la sofferenza del non aver potuto assistere perso-nalmente le ultime due suore malate, parlare con loro, accudirle. Alla fine, come prima aveva fatto anche Danielangela, Annelvira rifiutò le trasfusioni di plasma dicendo di conservarlo per i bambini che ne avevano bisogno. Morì il 23 maggio 1995. Suor Clementilla, suor Alcide e suor Chiarangela ricor-dano: «Dopo che morì anche suor Danielangela, suor Annelvira si inginocchiò davanti alla Madonna, disse: “Siamo qui come te davanti alla croce. Aiutaci, dacci tanta fede per vedere la volontà di Dio in quello che succede”. Disse proprio così».

Quel 23 maggio arrivò a Kikwit un fax particolare, da Chiari, provincia di Brescia: «Cara zia, ti siamo molto vicini con il cuore e con la mente… non mollare, tu sei molto forte, puoi farcela… Ciao ti vogliamo tutti bene. Mauro, Silvia, Lidia. Veronica, Emauele, Gianni e tua sorella Mary». Celeste non poté mai leggerlo.

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Ma chi era questa “donna forte”, amante della vita? Le sorelle che l’hanno conosciuta testimoniano di lei: «Suor Anna ha proprio esagerato nell’Amore!». Cerchiamo di capirlo anche attraverso alcuni suoi scritti.

Tumikia, 10 febbraio 1990

Caro Massimo… e collaboratori e benefattori…, godete immensamente con noi perché grazie anche al

vostro aiuto molti poveri ritrovano la gioia di vivere, la forza di riprendere la loro vita al villaggio con tanti disagi e difficoltà… proprio oggi è uscita una famiglia intera, papà e mamma tubercolotici e quattro figli… il più piccolo entrato di quattro chili (a due anni di età) è uscito dopo sei mesi con nove chili… e così tutti con dei bei chili in più, ringiovaniti, belli, contenti… il cibo è veramente alla base della guarigione! Grazie quindi della carne, pasta, latte, di tutto!

Kinshasa, 22 maggio 1990 Caro Massimo,

sono a Kinshasa per delle riunioni e mi affretto ad annunciare l’arrivo dei pacchi del latte: 144 sacchetti da un chilo! Una vera manna per i nostri malnutriti! Soprattutto per i più gravi che non sopportano ancora soia né altro, ma che domandano circa due litri di latte in sei o otto pasti lungo la giornata…

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Kingasani, 3 agosto 1992

Carissimo Massimo, da due anni mi trovo alla periferia di Kinshasa ed è

stata per me una sorpresa e una immensa gioia il ricevere la sua lettera… come ringraziarla di tanta manna? È stata una vera provvidenza! Latte buonissimo, pasta che mangiano così volentieri, riso, sale, zucchero, medicine, insomma, non trovo parole per dire a lei e a TUTTI i benefattori il mio GRAZIE… Qui, dopo i famosi giorni della distruzione di settembre, è una desolazione!!! Pensi che anche prima c’era miseria… dunque ora…! Abbiamo 250 malnutriti, 40 dei quali più gravi restano ospitalizzati in una stanza di otto letti…, abbiamo più di 200 tubercolosi, un bel numero affetti di Aids e 118 diabetici senza contare circa 4000 malati (ambulatoriali); abbiamo 46 posti letto ma non riusciamo ad avere meno di due malati per letto (adulti intendo perché i bambini sono anche quattro!). Con la situazione di oggi anche se non c’è posto ci supplicano di lasciarli anche in terra, ma tenerli. In effetti c’è sfruttamento anche lì, approfittano dei malati in tanti posti per chiedere somme enormi per le medicine e soprattutto i casi di meningite, tetano, tifo e setticemie gravi e altro che chiedono molte cure, non ce la fanno a pagare, poveretti… Quindi vede che prezioso aiuto ci dà con quanto manda! Sa che eravamo all’ultima scatola di latte quando è giunta la sua lettera?

Limete, 9 febbraio 1994 Carissima suor Casta,

… la situazione politica e socioeconomica è cata-

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strofica! È indescrivibile! Ammiriamo la pazienza della gente! Svalutazione, disoccupazione, fame, malattie, miseria, ingiustizie e sfruttamenti… povero popolo! E quasi tutti cercano il potere per il potere e non il vero bene del popolo! Questo ci fa pena! Vorremmo vedere i fatti, l’impegno serio per il progresso del popolo, ma ci si sprofonda sempre di più nell’abisso senza vederne l’uscita!… Dio sa, vede, sente, ascolta il grido di tanti poveri che confidano solo in Lui e ci esaudirà!

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Suor Annelvira nei giorni più difficili dell’epi-demia cercò di scrivere alla Madre Generale. La prima lettera venne consegnata a mano. Era una prassi normale, tutte le lettere delle suore venivano portate a Bergamo da persone che si trovavano ad affrontare il viaggio. Il servizio postale in Zaire in-fatti non era funzionante. La seconda comunicazione venne invece spedita via fax, l’unico che erano riuscite a spedire direttamente da Kikwit. Il fax è scritto a mano, proprio da lei. Si tratta di un docu-mento prezioso per intravedere lo spessore umano e di fede di suor Annelvira. Annunciando la morte di suor Danielangela, ripercorre il calvario vissuto dalle sorelle.

Kikwit, maggio 1995 Carissima Madre Generale,

… tento di scriverle due righe. Avrei sì tanto da raccon-tarle, ma siamo tutte come paralizzate! Assistiamo impo-tenti e ci si stringe il cuore! Pensiamo a lei, alle famiglie di queste sorelle… Grazie della vicinanza… Da tre giorni sono due infermieri al giorno che muoiono all’ospedale. A Kikwit pare che sia da due mesi e mezzo che la gente “muore come mosche”… senza che si chiedessero per-ché… solo si parlava di forme tifoidi! Ci sono famiglie distrutte! Quanto pensare al rientro ringrazio del suo pensiero… Noi sentiamo le nostre sorelle più presenti che mai e siamo certe che intercedono presso il Signore per noi e per il nostro popolo. Se non fosse morta una suora, nessuno si sarebbe mosso, glielo assicuro.

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Kikwit, 11 maggio 1995 Carissima Madre Generale,

col cuore affranto dal dolore tento di mandarle qualche notizia. Purtroppo alle ore 14, circa mezz’ora fa, anche suor Danielangela ci ha lasciate per il Paradiso dopo 13 giorni di lotta contro questo terribile virus! Il 29 aprile abbiamo celebrato una messa all’ospedale per suor Floralba, c’erano le sue sorelle, abbiamo dato a ciascun membro del personale e a ogni malato quattro pesci “mpiodi” ciascuno, tutti felici con un po’ di arachidi e vino di palma con bibite. A mezzogiorno suor Clara dice che sente febbre, ha 38. Il medico le fa fare gli esami, ha leucocitosi con neutrofilia. Si cura anche la malaria… Si prelevano esami per il Belgio temendo una febbre emorragica virale come quella avvenuta a Yambouku… flebo, vitamine, premura e vicinanza perché sentivamo che la cosa si faceva seria. Suor Clarangela ci ha lasciato il 1° sabato, il 6 maggio, alle ore 01. Il cuore ha ceduto! È una forma tremenda! Non c’è una normale coagulazione del sangue, per cui immagini le emorragie… Ero lì con suor Vitarosa, ci è morta fra le braccia… ma non dimenticherò questo suo ardente de-siderio di vedere il Signore! Poche ore prima mi disse: “Anna, lasciami andare…!”. Le dissi: “Dove?”. “Dal mio Signore”, mi rispose.

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Come non bastassero le due sorelle, ecco il turno di suor Danielangela. Mai un lamento nemmeno lei, ma 13 giorni di lotta senza riuscire a fabbricare delle difese specifiche! Speravamo tanto giungesse del plasma con anticorpi, ma invano! Solo protezioni… È vero che è importantissimo pure quel materiale, ma noi speravamo anche il resto. È solo nella fede che si trova il senso profondo di tale dolore! Noi siamo impietrite! L’abbiamo messa a posto ed era tanto bella! Sembrava un angelo! Bella, distesa nella pace dello Sposo… Ora c’è suor Dina che dal 4 maggio ha gli stessi sintomi e tutti i test ematici prelevati, dunque anche il suo, conferma da Anversa la forma virale di febbre emorragica. Con Maria ai piedi della croce vogliamo ravvivare la nostra fede e ripetere con Gesù e Maria, con tutte le nostre sorelle, con lei cara Madre Generale il nostro “Fiat!”, certe che Lui sa tutto ed è con noi anche in questa durissima prova. Grazie, Madre, della sua vicinanza, grazie a tutte le consorelle… Ciao! Saluti! Grazie!

sua suor Annelvira e consorelle tutte

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Ed ecco come vennero vissuti, nelle comunità delle suore, quei giorni di una tragedia che si faceva sempre più dolorosa e sconcertante. I messaggi partivano via fax da Kinshasa (Limete) dopo avere ascoltato Kikwit e le altre comunità attraverso la phonie, cioè la ricetrasmittente.

ore 17:15 del 16 maggio 1995

Carissima Madre, abbiamo appena sentito suor Annamaria. Suor Anna ha

sempre la febbre, ma per il momento non ha altri sintomi. Alle ore 16 è passato un medico a vederla e passerà anche domani mattina. Non ha aggiunto altro per suor Anna. Di suor Rosa dice che non ha febbre e oggi ha mangiato. È stata contenta di sapere che suor Maria e suor Beatrice arrivano giovedì e ci chiede di fare immediatamente le pratiche di “lasciapassare” su Kikwit perché tutto è bloccato. Anche i nostri pacchi che cerchiamo di inviare con qualcosa per tenerle su fisicamente, pare che non arrivino a destinazione. Oggi è tutto il giorno che non abbiamo notizie da Mosango. O hanno la batteria scarica, oppure le condizioni meteorologiche impediscono le comunicazioni. Pre-ghiamo e speriamo, attendendo in silenzio il soccorso del Signore… Con affetto vi abbracciamo.

suor Amelia e sorelle tutte

ore 18:30 del 17 maggio 1995

Carissima Madre, abbiamo avuto ancora notizie. La febbre è diminuita.

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suor Anna resta a letto, mentre suor Vitarosa si muove passeggiando nel giardino. La febbre è tra 37-38. I prelievi sono stati fatti questa mattina sulle tre sorelle a contatto diretto. Sentiremo stasera la relazione della delegazione partita da Kinshasa, poiché i due medici specialisti, belga e francese, hanno assicurato d’inte-ressarsi della comunità. Questo ce l’ha assicurato anche il Nunzio. Le famiglie delle sorelle zairesi stanno tutte bene. Puoi assicurare quelle della Costa d’Avorio. Continuiamo a pregare. Coraggio, Madre, sentici vicine. Con affetto ti abbracciamo tutte.

suor Donata, suor Amelia

ore 9:20 del 19 maggio 1995

Carissima Madre, stamane alle ore 7 non siamo riuscite a comunicare.

Aspettiamo alle 9. Abbiamo invece parlato con mons. Mununu che ci ha manifestato ancora una volta come i medici avessero preferito che le sorelle non partissero su Kikwit. L’ho rassicurato che suor Maria e suor Bea sono decise a seguire le loro direttive. Vogliono realmente collaborare con il corpo medicale e rispettare in tutto le consegne per l’isolamento. Monsignore ha sottolineato la necessità estrema di una reciproca fiducia. Ho scritto anche al professor Muyembe assicurandolo che non manchiamo di fiducia in loro, ma che lo facciamo per sostenere moralmente suor Annamaria. Vorremmo parlarti al telefono appena puoi. Il Signore ci sostenga nella fede e nella speranza in questa durissima prova che non finisce. Ti abbracciamo tutte.

suor Donata

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19 maggio 1995, ore 10:30 comunicazione tele-fonica. È confermato: suor Annelvira e suor Vitarosa hanno l’Ebola.

ore 14:04 del 19 maggio 1995

Carissima Madre, le parole ci mancano… ma nella fede e nella speranza

continuiamo a inviarti notizie. Suor Annie ci ha trasmesso alcune notizie, ma non è stato possibile avere suor Annamaria. Non se la sente di venire alla phonie. Suor Vitarosa va un po’meglio. Suor Annelvira la isolano e degli infermieri si occuperanno di lei. Non capiamo il perché di questa scelta… Ma suor Annie non ci ha dato ulteriori spiegazioni. Suor Bea e suor Maria sono arrivate. Erano a pranzo dal Vescovo e nel pomeriggio andranno a salutare le sorelle. Incontreranno anche i medici. Speriamo di poter parlare con loro e avere notizie più chiare sull’evoluzione delle sorelle e sull’impostazione dell’assistenza/isolamento. L’Ambasciatore sta dandosi da fare per trovare il modo di favorire la comunicazione diretta con voi da Kikwit. Vorremmo sapere molte cose, parlare con suor Annamaria, confortarla… Ci sentiamo sempre più nell’impotenza, ma vogliamo continuare a credere e a sperare. Che il Signore e il Fondatore ci facciano dono della loro guarigione. Per il momento alle comunità e a quanti ci chiedono diciamo che le sorelle sono stazionarie. Non vogliamo far vivere nell’angoscia altre persone. Stiamo pensando di lasciare suor Françoise a Kingasani e di inviare suor Maria Zwala a Tumikia dove non c’è più una suora infermiera. Questo stavamo riflettendolo con suor Adolphine e suor Danila. Che ne pensi? Abbiamo bisogno di sostenerci, di aiutarci… Che il Signore ci faccia sentire il suo amore, anche in questo

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abbraccio doloroso. Coraggio Madre! Sempre unite.

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le tue “figlie” Come vorremmo darti notizie migliori!

ore 7:15 del 20 maggio 1995

Carissima Madre, abbiamo appena sentito suor Annamaria… Questa

mattina alle ore 7, suor Anna che ieri aveva chiesto con insistenza il Sacramento dei malati, è stata amministrata come pure suor Rosa. Le sorelle della comunità hanno partecipato all’esterno con canti… Suor Anna non va molto bene. Tutti i sintomi della febbre emorragica sono là; suor Rosa, per il momento ha solo febbre, ma è ancora in forza… Le sorelle della comunità aspettano che le sorelle, Maria e Bea, arrivino a prenderle per partire in un’altra casa. Anche suor Annamaria partirà con loro. Suor Maria e suor Beatrice, resteranno come esterne per portare quanto può essere necessario alle sorelle am-malate. Restiamo unite nella fede e nella speranza attendendo che la Sua volontà si manifesti. A nome di tutte.

suor Amelia

La ricordo tanto, tanto. Questa mattina ho sentito la voce di suor Annamaria; è veramente coraggiosa. Mi

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ha detto che fisicamente sta bene, ma le resta in cuore l’angoscia d’aver visto morire quattro sorelle una dopo l’altra… L’abbraccio con tanto affetto.

suor Danila

Carissima, siamo sempre in comunione, in intensa offerta con gli occhi fissi a Gesù ignudo sulla croce. tua suor Donata

Madre, les paroles nous manquent, le cœur angoissé. On ne

comprend rien. Seul Lui doit nous aider. Que le Fonda-teur nous obtienne sa grâce.

[Le parole ci mancano, e il cuore è angosciato. Non si capisce niente. Solo Lui deve aiutarci. Che il Fondatore ci ottenga la sua grazia]. Con affetto.

suor Ado

ore 19 del 21 maggio 1995 Carissima Madre,

stasera abbiamo sentito suor Maria. Hanno incontrato il professor Muyembe per il trasferimento delle sorelle in Sud Africa. Era la proposta di uno specialista sudafricano, ma laggiù non ci sono cure particolari. Del resto l’aereo militare che avrebbe dovuto trasportarle non ha accettato perché non attrezzato in quanto protezione. Perciò resta chiuso il problema della trasferta. Le sorelle oggi non hanno avuto febbre. Suor Anna è molto debole, però è meno gonfia e meno rossa. Ha voluto tagliarsi i capelli e fa piccoli sforzi per reagire. È sotto perfusione: le danno plasma. È seguita bene. L’aiutano vitamine concentrate B complesso. Ha preso una bibita. Ha chiesto lo yogurt. Suor Rosa ha mangiato un uovo, anche se non è riuscita a

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tenerlo giù. È molto rossa in viso, sotto perfusione. Un’infermiera che ha avuto gli stessi sintomi, domani può uscire dall’ospedale. Questo ci fa sperare. Circa le sorelle in isolamento sono tutte con suor Annamaria. Devono tre volte al giorno misurare la temperatura e segnalare ai medici eventuali segni di febbre. Che il Signore ci usi misericordia. Di 21 giorni d’isolamento, uno è passato! Suor Maria è stata con loro in pomeriggio, ha parlato a lungo insieme, tenendo naturalmente le distanze richieste dalla prudenza. Le ha trovate serene, calme e anche suor Annamaria è più distesa. Che il Signore dia loro forza e coraggio! Siamo dinanzi alla notte del 22 maggio, le suppliche si innalzano più forti e già siamo certe, nella fede e nella speranza, che per intercessione del Fondatore, le notizie domani saranno ancora migliori. Un abbraccio da tutte a te e alle Consigliere. I prelievi sono stati fatti a tutte. I grossi pacchi sono arrivati ieri. I soldi saranno versati domani sul conto della Diocesi. Se c’è ancora bisogno lo diremo. Con affetto.

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suor Donata, suor Ado, suor Amelia

ore 9:20 del 22 maggio 1995

Carissima Madre, abbiamo appena parlato con suor Bea, che ha fatto la

notte. Suor Annelvira ieri sera ha chiesto alle ore 20 un uovo e poi si è sentita male. Ha avuto un edema polmonare acuto. Suor Bea dice: «L’obbedienza fa miracoli!». Infatti in quel preciso momento c’è stato il medico, che è intervenuto rapidamente ed è rimasto tutta la notte, salvandola. Ora sta abbastanza meglio, in rapporto a tutta la notte. Suor Rosa ha vomitato molto durante la notte. Stamane ha chiesto il caffelatte, ma ha rimesso ancora. Il medico comunque dice che va meglio in rapporto agli altri giorni. Tutte e due non hanno febbre e suor Anna non fa più diarrea. Suor Bea dice che sono segni positivi e che il Fondatore non fa cose in grande, ma a poco a poco ci ridà le sorelle in buona salute. Vogliamo crederlo e sperarlo anche noi, sapendo che il Fondatore è l’uomo di Dio che ama l’umiltà e la semplicità. Lui sa, con il Signore, quali sono le nostre attese e speranze. Mons. Mununu ha celebrato stamattina l’eucaristia con le sorelle della “nuova comunità” (quella dell’isolamento). Buona festa del Fondatore a tutte voi come a tutte noi. Coraggio, Madre! Forse, anche se è duro, possiamo ringraziarlo del dono delle quattro martiri della carità. Un abbraccio.

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suor Donata, suor Ado

ore 9:40 del 23 maggio 1995

Carissima Madre, abbiamo appena parlato con suor Bea. Suor Anna non

sta proprio bene. L’edema polmonare ha fatto precipitare le cose. È molto debole. Con i medici parla, ma non ha fiato per rispondere alle sorelle che parlano dalla finestra. Suor Bea e suor Maria non possono as-solutamente entrare. I medici e le infermiere le seguono con molta attenzione. Ha avuto ossigeno tutta la notte.

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Secondo quanto il medico ha detto stamane, c’è solo da chiedere un miracolo. È solo la fede che ci fa sperare ancora. Davanti al Signore restiamo silenziose e chie-diamo solo di saper accogliere la sua volontà. È davvero la fede oscura! Credere all’Amabile Infinito, contro ogni logica umana. Suor Vitarosa sta abbastanza bene. Stanotte non ha vomitato. Per il suo trasporto si richiede il tuo accordo, l’accordo del pilota e un medico che accompagna. Se si vuole effettuarlo bisogna farlo quanto prima. Coraggio, Madre! Suor Bea, le sorelle dell’interno, suor Maria… le malate, le sorelle di Kinshasa ti salutano tanto, ti sono e ti sentono vicine. Coraggio! Un forte abbraccio.

suor Donata e suor Ado. Ciao Madre

ore 17:10 del 23 maggio 1995

Carissima Madre, ho appena parlato con te di pace, di silenzio, di ab-

bandono alla volontà di Dio. Suor Annelvira è appena entrata nella pace del Signore. “Fiat!”. Nel silenzio adorante, lo sguardo fisso al Gesù ignudo sulla croce, diciamo: «Sì, Padre!». Suor Bea ha detto che una piccola pioggia è caduta dal cielo, giusto negli ultimi momenti di vita di suor Anna e poi è subito cessata. Sarà la pioggia delle grazie che vuol far scendere su noi: pace, consolazione, accettazione… “Fiat, Fiat, Fiat”. Madre, facciamoci coraggio! Suor Vitarosa va meglio. Suor Bea cerca di fare in modo che non lo sappia subito. Preghiamo! Coraggio!

suor Donata

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ore 8 del 24 maggio 1995 Carissima Madre,

abbiamo appena parlato con mons. Mununu. Hanno appena sepolto la nostra carissima suor Anna. La messa sarà celebrata alle ore 15. Come vorremmo essere tutte presenti! Stamane inviamo a tutte le sorelle dell’interno e Kinshasa le tue e vostre parole di vicinanza, di consolazione. Non abbiamo niente da perdonarti, Madre! Se sei rimasta lontana da noi è perché suor Anna e noi tutte te l’abbiamo chiesto e sappiamo che è il più grande sacrificio che ti abbiamo chiesto. Coraggio, Madre, abbiamo sempre sentito la forza della tua presenza spirituale, della tua preghiera, offerta, affetto. Grazie! Suor Vitarosa va abbastanza bene: questa è la notizia di ieri sera, ma non sappiamo ancora come ha passato la notte. Abbiamo appuntamento alle ore 9 per altre notizie. Coraggio, Madre! Sentici tanto unite. Il Signore ci so-stiene nella fede e nella speranza. Lui sa e “il pourvoit”, provvede… Ne siamo certe. Un forte abbraccio da tutte.

suor Donata Les mots nous manquent. [Le parole ci mancano.]

suor Ado

È suor Antoinette Boto a dare voce al pensiero di molte sorelle che così ricordano suor Annelvira: «Era una donna gioiosa, socievole, accogliente, con grande spirito di ascolto. Molto umana e comprensiva; cordiale con tutti, capace di gustare le piccole gioie del quotidiano e di leggere nella fede ogni avvenimento lieto o triste che fosse. Molto attiva e dinamica era capace di rasserenare e suscitare ge-nerosità intorno a lei. Chiamata “donna della vita”

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per le migliaia di bambini che in 34 anni di missione la sua abilità di ostetrica aveva aiutato a “venire alla luce”, negli ultimi anni, con il suo servizio di Superiora Provinciale, ha dato volto a una nuova “maternità”». Ed è stato proprio in nome di questo servizio che è subito accorsa al letto della prima suora malata e ha assistito poi ciascuna delle altre, affrontando con grande consapevolezza e generosità il rischio del contagio e della morte pur di sostenere le sorelle. Così ci ha scritto dieci giorni prima di morire: «Ci rimettiamo a Dio. Vogliamo ravvivare la nostra fede e ripetere con Gesù e Maria il nostro “Fiat”. Lui sa tutto ed e con noi anche in questa durissima prova».

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6. Suor Vitarosa

Maria Rosa Zorza era nata a Palosco il 9 ottobre del 1943, tempo di guerra, da papà Angelo e mamma Maria Merigo. Il papà era un perito agrario, lavorava in diverse cascine. La mamma di Rosa morì quando lei aveva soltanto due anni, in seguito a un parto. Lasciò ben sette figli. In seguito papà Angelo si sposò con Maria Calegari, dalla quale ebbe altri due figli. Quando Maria Rosa aveva sette anni, la famiglia si trasferì alle Bettole di Cavernago. A tal riguardo suor Vitarosa scrisse: «Vi rimasi fino a 17 anni. Le Bettole allora contavano tre case e Ca-vernago, se non erro, ne contava otto, compreso il bellissimo castello. Era un paese piccolo, tranquillo. La mia vita scorreva tra impegni di famiglia, di lavoro e di parrocchia. Mi piaceva fare catechismo, andare dalle suore, fermarmi nella bella chiesetta di Cavernago dove c’era Qualcuno che esercitava su di me una certa attrattiva… A diciotto anni conobbi un ragazzo che mi propose di condividere la vita con lui. Ci frequentammo per due anni e mi sembrava molto bello l’amore che nasceva fra noi.

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Nel rispetto reciproco cercavamo di conoscerci e fare progetti per il futuro. Ma dentro di me qualcosa non era chiaro: sarà proprio questo quello che Dio vuole da me?… Un po’ per volta cominciò a farsi luce dentro di me… A ventuno anni sentii che era l’ora di dare la mia risposta a Dio, diventando sua nella vita religiosa. Feci un serio cammino di ricerca per conoscere in quale congregazione avrei potuto vivere…».

Maria Rosa, dopo le scuole elementari, andò a lavorare a Telgate in una fabbrica di manici di om-brelli, un lavoro abusivo, ma comunque un piccolo guadagno. La sua grande amica, Battistina Del Carro, di Cavernago, così la ricorda: «Rosa era una persona sorridente, anche allora, era una di cui ti potevi fidare. Non faceva mai la spia. Nel tempo libero andavamo dalle suore, a Malpaga, in bicicletta».

Rosa entrò in convento poco prima di compiere i 23 anni, il primo settembre 1966. Il padre era già morto, nel 1964, per un attacco di cuore. Il commento di Maria Rosa: «Chissà come sarebbe stato contento il mio papà di vedere una delle sue figlie diventare suora». Angelo Zorza era infatti molto religioso: tutte le sere faceva recitare il rosario ai suoi ragazzi. Maria Rosa, suor Vitarosa, divenne infermiera professionale, poi partì per la missione, giunse in Congo, a Kikwit, il 20 ottobre 1982. Vi rimase nove anni passando a Kingasani il 19 settembre 1991. Suor Angela Trinca ricorda: «Io ero suora a Palosco quando Maria Rosa era una ragazza, la ricordo bene, lei era una ragazza vivace che si dava da fare in parrocchia. Quante volte ho giocato a palle di neve

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con quella ragazza! E ricordo che giocava anche al pallone con i ragazzi».

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Di suor Vitarosa parlano i fratelli Giuseppe e Ade-le. Giuseppe che oggi ha 75 anni, e Adele, che ha 69 anni, costituivano il punto di riferimento di suor Vitarosa a Bergamo: spedì loro centinaia di lettere e biglietti. Raccontano: «Vitarosa era del 1943, quando è morta aveva 52 anni. Era l’ultima di noi sette fratelli, ma poi ne vennero altri due, perché mia ma-dre morì e mio padre si risposò. La nostra matrigna fu buona, andò sempre d’accordo con Maria Rosa, che poi divenne suor Vitarosa, e la aiutò anche nella scelta religiosa. Nostra madre, Maria, morì a 38 anni, quando Maria Rosa aveva solo due anni. Nostro padre Angelo era un agronomo, aveva potuto studiare da ragazzo, faceva il fattore. Stavamo benino. Si mangiava polenta, minestra, ma una fetta di stracchino non mancava mai. Ci spostavamo in diverse fattorie. Suor Vitarosa era nata a Palosco, ma quando era piccola ci trasferimmo a Cavernago. Nostro padre era molto religioso, ci faceva recitare il rosario tutte le sere. Vitarosa aveva un fidanzato, Giuseppe, che a un certo punto sentì la vocazione religiosa e andò in un monastero piemontese. Ne soffrì, ma anche lei sentiva il richiamo della vita re-ligiosa. Fece un’esperienza come infermiera in un ospedale psichiatrico a Varese gestito dalle suore delle Poverelle e in seguito decise di entrare in con-vento. Sì, nostro padre era molto religioso. Nelle sere d’estate facevamo la passeggiata a piedi da Palosco alla Torre delle Passere, un paio di chilometri e mentre camminavamo dicevamo il rosario. Poi alla sera, prima di dormire, ci leggeva un brano del libro Cuore di De Amicis. Nostra sorella era sempre

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allegra. Rideva sempre. Ricordo che da giovane le venne un brutto eczema alle mani e ricordo che disse: “Se guarisco vado suora”. Guarì e andò suora. Siamo andati a trovarla a Kikwit due volte, nel 1988 e nel 1990. Mi ricordo quei bambini ammalati che cantavano sempre. Si mangiava poco e io avevo sempre fame e i bambini cantavano. Mi ricordo i parenti dei malati che facevano da mangiare fuori dall’ospedale e poi portavano il cibo nei reparti. La notte molti dormivano sotto il letto del malato perché fuori viene freddo e umido e loro non sono certo equipaggiati. Quando suor Vitarosa ogni tanto andava in reparto e allora era un “fuggi fuggi”. Ma suor Vitarosa sorrideva: sapeva che dopo mezz’ora sarebbero ritornati».

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Il fratello Giuseppe aggiunge: «Io ricordo la sor-presa di quando sono arrivato la prima volta: sugli alberi c’era un grande striscione con scritto “Ben-venuto Giuseppe”, come se io fossi chissà chi. C’erano nel cortile della missione tanti bambini e donne con dei fiori rossi e lampade accese e io ero sbigottito e suor Vitarosa che mi diceva che quella accoglienza era per me, proprio per me e diceva: “Vai Giuseppe, che c’è qualcuno che vuole salutarti”. Incredibile. Ricordo i tamburi e la gente che ballava e faceva festa per me, perché ero il fratello della suora, della suora che faceva loro del bene».

Giuseppe e Adele Zorza raccontano che suor Vi-tarosa era contenta di stare in missione, che non vedeva la sua vita in un altro posto. Spiegano: «Una volta che era a Bergamo andammo al ristorante con tutti i fratelli; lei non fu contenta quando seppe quanto avevamo speso, disse che quei soldi avrebbero aiutato tanti dei suoi bambini. Alcuni anni prima aveva avuto un infarto, ma si era ripresa. Lei aiutava molto le mamme e tante bambine laggiù hanno nome Rosa. Ce n’è una in particolare che ha diciotto anni e sta studiando e ci dice che prega suor Vitarosa perché l’aiuti ancora da lassù». Giuseppe, ricordando le esperienze della missione, dice: «Quando andai in Africa conobbi una ragazza, Bernadetta, mi disse che era diventata cattolica perché aveva conosciuto suor Vitarosa. Mi ricordo la sera, dopo mangiato, non c’era l’illuminazione, allora si andava in giro con la pila a fare la visita ai malati prima di andare a dormire. Che mondo! La giornata delle suore cominciava verso le quattro e mezza del

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mattino; le donne dei villaggi partivano con le zappe verso i campicelli ancora prima e avevano i bambini legati nei fagotti e tornavano poi la sera tardi. Laggiù gli uomini non fanno molto, per la verità. Ho visto i bambini mangiare le formiche e quei vermoni che escono dalle palme in putrefazione, i bassololo. Mi facevano effetto. Mi ricordo quando suor Vitarosa veniva in congedo a Bergamo, non vedeva l’ora di ripartire. Aveva paura che la suora che aveva preso il suo posto non facesse le cose come andavano fatte, come si dice in bergamasco, “la strempiaa”. Lei era molto amica di una suora di colore, suor Bea, e conosceva benissimo la sua mamma. Quando suor Vitarosa morì, la mamma di suor Bea disse: “È morta la mia figlia bianca”».

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Suor Darise Kasanzi Kandongo ricorda bene il momento in cui suor Vitarosa partì per portare il suo aiuto nei luoghi colpiti dell’epidemia: «Aveva quasi fretta di salire sul veicolo, tanto che stava dimen-ticando perfino il formaggio che le avevo preparato da portare alle consorelle di Kikwit. Lasciando il dispensario di Kingasani dove lavorava, per partire per Kikwit, camminava cantando: “Soki, Kristus abengiyo, Ecclesia ya nzambe, Ecclesia ndima osa-lela nzambe na matema mobimba [Se nella Chiesa Gesù Cristo ti chiama, accetta di servirlo con tutto il tuo cuore]”. Quindi il suo cuore era tutto rivolto al Signore! Penso proprio che suor Vitarosa era una suora che ha davvero vissuto nell’incontro intimo e profondo con Dio. Ha cercato di mettere Dio al centro della sua vita, l’ha servito con tutto il cuore, con amore verso i poveri e verso quanti la incon-travano».

Di suor Vitarosa parla anche suor Amelia: «Di sicuro si può dire che suor Vitarosa era una persona molto serena, aveva una grande predilezione per i bambini, le piaceva cantare. Cercava di aiutare pro-prio tutti. Arrivava uno straccione alla missione e lei lo rivestiva, faceva i primi passi e poi andava dal personale e diceva: “Bene, vi affido un nuovo fratello”. Lei in quei giorni di maggio del 1995 volle a tutti i costi raggiungere Kikwit perché diceva: “Io conosco molto bene la mentalità della gente e le medicine e ne ho curati molti con la diarrea rossa. Vado io con i medicinali giusti, le nostre sorelle sono troppo affaticate. Io posso davvero dare loro una mano, non ce la fanno più”. Diceva così. Ed è partita

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con due valige per un totale di 42 chili di medicine. Al punto che in aeroporto la fermarono e volevano farle pagare tasse doppie. All’aeroporto incontrò la signora Cardoso che la conosceva bene, che aveva un lavoro a Kikwit, arrivava proprio da quella città, disse: “Sto scappando da Kikwit, tu dove vai? Ma non sai che muoiono come le mosche? Non andare, tu sei matta!”. Ma lei rispose che era abituata, che sapeva come fare… Mi ricordo quanto era disordinata suor Vitarosa, io la criticavo sempre per via del disordine nelle cartelle cliniche. Ma lei era così, a lei interessavano le persone. La numerazione e la collocazione delle cartelle era secondaria. A lei interessava il sorriso e la caramella per il malato. A lei interessava di avere pronte delle grosse pentole di “poto poto” per i bambini malnutriti. Si sedeva accanto a un bambino che non voleva mangiare e gli raccontava una storia fino a quando il bambino si rilassava e apriva piano la bocca. I bambini denutriti al terzo stadio non vogliono più mangiare, tengono i denti serrati. C’era un bambino che chiamavamo Naboi, perché naboi significa “non lo voglio” e lui ripeteva sempre quella parola: non lo voglio. Naboi era diventato in quel periodo il prediletto di suor Vitarosa che aveva lottato con tutta la sua tenacia e tenerezza per salvarlo. E quel bambino cominciava a stare bene. Ma in quei giorni Vitarosa decise di andare a Kikwit ad aiutare le sorelle malate. Allora io la chiamavo con la phonie e quando la sentivo le dicevo che il piccolo Naboi la aspettava. E quando anche lei si ammalò e dovette andare nella casetta, isolata dal resto dell’ospedale, allora io le mandavo i

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messaggi di Naboi, perché lei gli voleva tanto bene, le mandavo a dire che Naboi la aspettava, che aveva bisogno di lei. Non è stato sufficiente per farla tornare. Ho visto infermieri piangere, anche dopo tempo, nel ricordare le nostre suore. Ho visto infermieri piangere».

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Suor Vitarosa amava parlare e amava scrivere. Raccontano le suore che le stavano accanto che quando si trovava a tavola amava raccontare le sue giornate, anche le cose più semplici. E lo stesso spirito di quotidianità lo si incontra nelle numerose lettere ai familiari, dove si nota una grande attenzione per i parenti, per i nipoti, per le nascite… E Vitarosa ringrazia continuamente per i pacchi, per l’aiuto che le arriva dal suo paese, non dimenticando di citare ravioli e salami. Ecco brani di alcune lettere.

Kikwit, 15 novembre 1988 Katia,

aspetto con ansia tue notizie. È nato? È un maschio? Una bambina? Sta bene? Spero proprio di sì. La Monica sarà contenta di giocare con qualcuno. Aspetto vostre notizie. Adele, in questo mese c’è stato il cambio della Superiora. Suor Anna è andata come suora a Tumikia; è stata sostituita da suor Maria. Ho sofferto tanto per la partenza di suor Anna, ma cosa volete, questa è la nostra vita, fatta di piccoli distacchi nella volontà di Dio…

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16 marzo 1989 Carissima Adele,

non so come ringraziarti per tutto quello che mi hai mandato: della piccola radio, orologi e per la generosa somma, grazie, grazie. Tu sai quanta necessità esiste; in questi giorni l’ospedale ha chiuso la cucina perché non può far fronte alle spese, ecco che la nostra Congrega-zione si è presa in carico di continuare a dare almeno una volta al giorno da mangiare ai tubercolosi e ai mal-nutriti, quindi grazie alle offerte che riceviamo possiamo comprare del manioco, sardine, baccalà e sapone…

aprile 1992 Carissima Adele e fratelli tutti…

oggi per la prima volta inizia la Conferenza Nazionale. Inizia la terza repubblica nella democrazia tanto desiderata dal popolo zairese. È finito il regime dittato-riale. Ringraziamo. Adele ti ricordo che quest’anno la zia suora fa il 50° di vita religiosa…

Carissima Adele, … ringrazio di tutto cuore per il formaggio e salame e

dei ravioli, tutto molto buono… A tutti il mio ricordo sincero, un grosso bacione a tutti i nipotini. Comincio a contare i mesi, presto li potrò abbracciare…

Carissima Adele, Fabio, Adelia, Katia e Venicio, … ho qui davanti a me tutti i bei disegni fatti dalle bambine dove esprimono molto bene il loro pensiero e la loro personalità. Monica, Lorena e Simona, siete proprio dei campioni… Adele, Giuseppe, Katia e Adelia, so che vi prestate sempre per i pacchi. Vi ringrazio di tutto

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cuore. Non potete immaginare quanto è grande la gioia quando arriva il container… In un grosso pacco ho trovato due bei grossi fusti per l’acqua… Giuseppe, spero che non ti dimentichi delle piante da kiwi. Abbia-mo cominciato a mangiare le fragole, speriamo che un giorno mangeremo anche i kiwi…

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20 ottobre 1991 Carissimi fratelli tutti…

è inutile raccontarvi la situazione politica perché sen-tirete dalla viva voce di suor Danila, la nostra Madre Provinciale. Noi stiamo tutte bene anche se non manca un po’di paura: la superiamo facendo qualche risatina. Unita nelle preghiere, vostra sorella Rosa.

Kingasani, 10 novembre 1992

Carissima Adele, ti ringrazio delle buone notizie ricevute… adesso ter-

mino perché a dire il vero ho sonno, è quasi mezzanotte…

11 novembre 1993 Carissima Madre Generale,

… ho percepito che Dio mi ama… più mi riconosco di avere tanti limiti ed essere tanto povera, più sento che Dio mi ama. Sì, perché Dio ama i piccoli… Arrivano qui da noi malati privi di ogni mezzo, rifiutati dagli altri dispensari o ospedali perché non possono pagare. Se anche da noi non trovassero aiuto, sarebbero destinati a morire. Come al solito arrivano da noi tanti bambini malnutriti, e ora anche adulti. Sono aumentati i tu-bercolosi: sono più di 450 i malati che vengono ogni giorno per prendere le medicine. Malaria cerebrale e meningite uccidono tanti bambini. L’Aids fa strage. Tra gli ammalati ospedalizzati qui da noi, che sono in media 100-120, più di 80 sono positivi di Aids, senza contare i bambini… Mobutu regnerà tra i cadaveri e tra i senza forza…

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Nel maggio 1994 così suor Vitarosa parlava della sua missione: «Nonostante la miseria e la sofferenza, la gente qui è molto brava. Sono sempre contenti, sempre sorridenti! Per noi è uno stimolo in più per vivere qui con loro. Io sono davvero contenta di essere qui con loro. Io pensavo di venire qui a portare chissà che cosa… Invece posso dire che ho ricevuto tanto da loro, soprattutto la serenità e la capacità di sopportazione. Loro accettano tutto dalla mano di Dio».

Durante la malattia, suor Vitarosa venne isolata nella casetta con suor Annelvira. Potevano entrare nella casetta soltanto i medici che indossavano gli scafandri speciali. Le suore non potevano fare loro visita e allora c’erano suor Maria Cassiani che era la Superiora della comunità di Kikwit e suor Beatrice, cioè suor Bea, che dormivano con il materasso fuori e allora anche di notte potevano salutarla dalla finestrella quando lei si metteva dietro i vetri.

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E ora seguiamo gli ultimi giorni di suor Vitarosa, di nuovo grazie alla sequenza dei fax che “in diretta” mostrano bene le emozioni, le tensioni, le speranze di quelle giornate.

ore 9:55 del 24 aprile 1995 Carissima Madre,

suor Vitarosa sta abbastanza bene. Ieri pomeriggio si è resa conto subito della morte di suor Anna perché ha sentito un rumore insolito nella stanza vicina e lei era solita camminare fino alla porta per vedere suor Anna. Il suo medico curante glielo ha detto. Suor Bea dice che i medici sono molto umani. Sono rimasti con lei, l’hanno consolata, incoraggiata a reagire positivamente. Suor Rosa ha dormito tutta la notte. Non ha febbre (36,5) né vomito, né diarrea. Stamane ha voluto l’uovo col marsala. Si è alzata un po’ ed è tornata a letto. Pensiamo che se suo fratello Giuseppe potesse con gli altri familiari scriverle qualche riga per incoraggiarla, stimolarla a reagire, a farsi forte, potrebbe essere un aiuto per lei…

suor Donata

ore 18:55 del 24 maggio 1995

Carissima Madre, abbiamo parlato a lungo con suor Beatrice. Suor Maria

è dalle sorelle in isolamento. All’eucaristia celebrata alle 15:30 c’era molta gente. Presieduta dal Vescovo, con presenza di sacerdoti e religiose. C’erano le nostre sorelle: tutte quelle di Lusanga, quattro di Tumikia e alcune di Mosango. Naturalmente le sorelle in isolamento hanno offerto il loro stare in isolamento e lo hanno fatto con serenità e pace: questo ha detto suor Bea, che è stata

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con loro stamattina. Le altre comunità hanno portato loro viveri e ogni cosa che potesse essere loro di aiuto e di conforto. Hanno ricevuto i vostri scritti. Suor Annamaria chiede di telefonare alla sorella Carla e di assicurarla che sta bene. Sono al quarto giorno di isolamento e stanno tutte bene. Suor Rosa sta bene, non ha né febbre, né vomito, né diarrea… nessun sintomo. Si alza, è serena. Alla domanda fatta a suor Bea: «Cosa dicono i medici?», ha risposto: «Forse può farcela, visto l’evoluzione clini-ca». Continuiamo perciò a pregare e a sperare. Le nostre sorelle intercederanno per lei e per noi. I parenti delle sorelle zairesi stanno bene. C’è solo suor Armanda che ha perso una cugina infermiera proprio oggi, mamma di due bambini. Che il Signore li sostenga nella fede. Un caro saluto da tutte noi.

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suor Donata, suor Ado

ore 10:07 del 25 maggio 1995

Carissima Madre, suor Maria è andata con il medico a trovare le sorelle

in isolamento, visto che suor Scholastique e suor Chantal avevano 37,2 di febbre. Suor Chantal è soggetta, diventa anche afona, ma per misura di prudenza si segue il minimo squilibrio. Suor Scholastique aveva avuto un episodio di febbre (all’)inizio del mese. I medici sono molto vicini alle sorelle e intervengono in modo immediato. Avremo suor Maria alla phonie verso mez-zogiorno. T’informeremo di nuovo. Non vi sono ancora i risultati degli esami. Affidiamo tutto al Signore.

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Suor Rosa ha passato una notte tranquilla fino all’una, poi ha cominciato a respirare in fretta. Alle 5 hanno chia-mato il medico. La pressione è salita, c’è stato un piccolo scompenso cardiaco. L’hanno curata con Digoxcine e con diuretici che hanno già fatto effetto. È sotto perfusione. Va un po’ meglio. Il medico curante, che doveva andare a Mosango per rendersi conto della situazione, non partirà. Preghiamo, speriamo, offriamo… Sappiamo che suor Rosa aveva problemi di cuore e temevamo con la morte di suor Anna. Che il Signore abbia misericordia. Abbiamo scritto al professor Muyembe di dirci in modo chiaro la situazione clinica di suor Rosa e delle altre sorelle. Quando avremo una risposta te la manderemo. A Mosango ci sono alcuni casi. Continuiamo a insistere perché le sorelle siano prudenti. A Tumikia hanno ripreso la scuola, a Lusanga tutto bene, come pure qui a Kinshasa. Continuiamo, Madre, a essere forti nella fede, ferme nella speranza, abbandonate nelle mani dell’Amabile Infinito, con gli occhi fissi in Gesù, nostro unico punto di riferimento. Coraggio, Madre! Sentici con te. Ti abbracciamo forte.

suor Donata e suor Adolphine

ore 12 del 25 maggio 1995 Carissima Madre,

grazie del tuo scritto che ci fa sentire famiglia che soffre, che prega, che offre, che adora e spera. Abbiamo appena parlato con suor Maria. Si è scusata di non essere mai venuta alla fonia: le molte “corse” da fare e il poco coraggio, visti gli avvenimenti… Per suor Scholastique e suor Chantal non c’è da preoccuparsi, questa la risposta del medico. Sono piccoli disturbi dovuti ai momenti che si vivono. Il risultato degli esami non c’è ancora (ho scritto

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al professor Muyembe per avere la situazione chiara delle nostre sorelle e quindi anche la risposta degli esami, se c’è). Suor Rosa è ancora sotto perfusione. Hanno trovato una medicina buona per il cuore. Il medico è davvero ammirevole, pieno di delicatezza. Suor Rosa ha detto alle sorelle che ha una delicatezza tutta femminile. Suor Maria aggiunge, forse più che noi, pure la disponibilità. La pressione è 160/100 ed è ciò che ci preoccupa. Circa il trasporto in Sud Africa, suor Maria sottolinea quanto sappiamo, che è soprattutto per assicurare un intervento pronto e preciso in caso di complicazioni, ma che non dà sicurezze al 100%. Bisogna pensare anche che sarebbe sola e in un paese di lingua diversa. Abbiamo chiesto, avendo scritto anche al professor Muyembe, di rispondere in modo chiaro e per iscritto a questo proposito. Vorremmo avere un parere da parte tua anche su un altro problema. Suor Antoinette Manga ci informa che i parenti delle postulanti sono preoccupati come pure le postulanti stesse sono inquiete. Ci si chiede se non è meglio farle rientrare in Postulato, visto che nelle comunità non ci sono le responsabili e che quindi non c’è chi possa aiutarle in modo più attento e particolare a vivere questa situazione nella pace e fede. Anche quelle che si trovano a Kingasani sono molto scosse. Suor Adolphine e anch’io siamo del parere di suor Antoinette. Restiamo unite in Lui. Coraggio, Madre. Salutaci la mamma di suor Annelvira. Un abbraccio.

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suor Donata e suor Adolphine

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ore 19:17 del 25 maggio 1995 Carissima Madre,

eccoci fedeli all’appuntamento. Suor Vitarosa oggi ha riposato bene. Non ha avuto né febbre, né vomito, né diarrea. Ha mangiato latte e uova. La pressione è 140/100, quindi è migliorata. Le sorelle in isolamento stanno bene. Il medico ha detto che suor Scholastique è fuori pericolo, perché è passato il tempo dell’incubazione, contando i giorni dall’ultima volta che ha avuto contatto con la sorella malata (suor Floralba). Di questo rendiamo grazie a Dio! Non vi è ancora alcuna risposta dal professor Muyembe. Bisogna aspettare che ci sia un’occasione. Il Vicario episcopale in questi giorni è a Kikwit. Continuiamo a vivere nella fede e nella speranza. Stasera il Nunzio apostolico è andato a celebrare a Kin-gasani alle ore 18. Quante delicatezze e attenzioni da parte di tutti! A te un forte abbraccio da tutte. Coraggio. Con affetto.

suor Donata e suor Ado

ore 10 del 26 maggio 1995 Carissima Madre,

abbiamo parlato con suor Maria. La situazione di suor Rosa è molto critica. Non ha alcun sintomo particolare: pressione normale, niente febbre, vomito, diarrea, ma tanta, tanta debolezza. Il medico è preoccupato. Anche se mangia qualcosa non riesce a recuperare le forze. Madre carissima, il cuore freme ancora e silenziosamente grida al Signore: «… anche questa?». Non vi è forza per “discutere con Lui”… lo guardiamo e imploriamo… Non vogliamo perdere fede e speranza.

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Vi sono alcuni infermieri che sono guariti e passano a vedere suor Rosa per incoraggiarla, per darle forza morale, per dirle che può guarire. Lei ha detto: «Penso di non farcela…». Coraggio, Madre! Insieme viviamo questa nuova angoscia, questa offerta che ci consuma tutte… questo mistero che chiede solo adorazione e accoglienza. È terribilmente duro, ma vogliamo credere e sperare. Le altre sorelle stanno bene. All’una ci daranno altre notizie. Sempre unite in Lui. Un abbraccio.

suor Donata e suor Ado

ore 19 del 26 maggio 1995 Carissima Madre,

abbiamo sentito suor Maria che si manifesta molto preoccupata per suor Rosa. È sempre molto, molto de-bole, ha 37,6 di febbre, un po’di diarrea. Non ha più vo-glia di parlare, anche se è ancora molto presente. Con-tinuiamo a pregare, a sperare e a chiedere al Signore la forza per vivere questa nuova prova. Sentiamoci molto unite in Lui, la nostra forza, credendo al suo Amore mi-sterioso. Le altre sorelle stanno bene. Se riusciamo, ci parleremo ancora alle ore 21. Suor Maria ci ha fatto pervenire una lunga lettera per te e una per la mamma. Coraggio, Madre. Siamo insieme e Lui è con noi. Un abbraccio forte da suor Donata e tutte. Suor Adolphine è a Kikimi dove celebravano una messa per suor Daniela e tutte le altre sorelle.

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ore 9:25 del 27 maggio 1995

Carissima Madre, stamane abbiamo parlato con suor Bea. Suor Maria

tentava di chiamarti al telefono. Il medico ha dato questo rapporto: suor Rosa non sta tanto bene. È molto, molto stanca, debole, ma parla ancora, mangia qualcosa, non ha febbre, né vomito né diarrea. Il polso è 80, la pressione 120/60. Riposa bene, senza agitazione. Chiediamo con insistenza al Signore di accordarci al-meno questa sorella. Accolga la nostra supplica e ci aiuti a vivere la sua volontà, a entrare nel suo progetto. Fede e speranza ci sostengano. Coraggio, Madre, ti sentiamo con noi con affetto ti abbracciamo.

suor Donata e suor Ado Madre,

ho tanta, tanta pena in cuore per la morte di suor Anna, non riesco a credere che sia vero. Cosa vuoi dirci, Signore? Ho tanto desiderio di vederla. La abbraccio.

suor Danila

ore 19 del 27 maggio 1995 Carissima Madre,

suor Rosa ha passato un pomeriggio calmo. Il polso è buono, la pressione è 140/100, non ha febbre, ma ha fatto la diarrea 4 volte e respira piuttosto in fretta. Il medico ha cambiato la cura e si manifesta ottimista. Dice di continuare a sperare. Riposa molto, ma se la si chiama, risponde salutando con la mano. È abbastanza serena. Continuiamo anche noi a sperare, a vivere nella fiducia e abbandono al Signore e a farci coraggio reciprocamente. Tutte le altre sorelle continuano a stare bene. Ringra-ziamo il Signore che almeno in questo ci consola. La casa è già stata disinfettata e suor Maria e suor Vincenzia

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hanno cominciato a metterla in ordine, a pulirla… Suor Bea ha paura… preferisce vegliare. Buona domenica, Madre! Ti abbracciamo.

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Le tue figlie suor Donata, suor Ado

ore 8:10 del 28 maggio 1995

Carissima Madre, «Tutto è compiuto!». Il Signore si è portato con Lui nel-

la gloria dei Beati anche suor Rosa, alle ore 2 di stanotte. Non abbiamo più parole… Il mistero è grande, ci avvolge e in uno sforzo supremo diciamo: «Padre nelle tue mani mettiamo le loro e le nostre vite». Abbi pietà di noi.

suor Donata e suor Ado

ore 9:20 del 28 maggio 1995

Carissima Madre, abbiamo parlato ora con suor Bea e abbiamo avuto

alcuni particolari. Ieri sera verso le ore 22 la pressione è scesa, l’astenia è cresciuta, alle ore 24 la respirazione era superficiale e la pressione era 100/80. Si è spenta silenziosamente, si è addormentata nel Signore. Se le sorelle non fossero state vicine a guardare ogni tanto, non si sarebbero neanche rese conto. I medici non hanno cessato di fare il possibile per salvarla. È la vera impotenza umana. Sarà sepolta alle ore 13:30 e la messa sarà celebrata domani alle 15:30. Le sorelle delle diverse comunità potranno essere presenti, tranne quelle in isolamento. Abbiamo letto il tuo scritto per fonia affinché la tua presenza sia subito tra le sorelle nel dolore. Per le comunità di Kinshasa si avverte di persona. Il Signore ci renda salde nella fede. Grazie, Madre per il tuo coraggio a sostenerci, lo sentiamo nelle tue parole di fede e consolazione. Ti abbracciamo e ci stringiamo tutte a te, in Lui.

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suor Donata

ore 19:30 del 28 maggio 1995

Carissima Madre, questa sera è il silenzio più assoluto. Le sorelle hanno

potuto parlare con te e sicuramente hanno pensato che ci avresti informato. Grazie anche delle notizie sulla festa dei giovani. Sapessi come tutte le celebrazioni della nostra famiglia religiosa sono passate per noi senza che ce ne rendessimo conto. Ci hai sempre aiutato tu a ricordarci di quante festeggiavano il loro 50°, 60°, ecc… Grazie! Oggi molte persone, preti, suore… sono venuti a farci per la 6a volta le condoglianze. Era lo stupore, il silenzio, il conforto, la fede e infine una parola di speranza. Tutti sono colpiti dalla testimonianza delle nostre sorelle. Le sorelle di Kingasani ti ringraziano per la tua lettera: sono state meravigliose, forti nella fede. Siamo state là con loro un po’ in mattinata. Il Signore resti la nostra pace e consolazione. Ti abbracciamo e ci sentiamo in comunione con te e con tutte le sorelle della Congregazione. Ringraziale a nome nostro. Un forte abbraccio da tutte.

suor Donata, suor Ado

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Tutta la personalità di suor Vitarosa può essere espressa con l’immagine di un sorriso, perennemente presente sul suo volto. La sua carità semplice e gioiosa proveniva dalla sua serena consapevolezza di essere tra i “piccoli” del Vangelo. «Ho percepito che Dio mi ama di un amore infinito. Più mi riconosco di avere tanti limiti e di essere tanto povera, più sento che Dio mi ama. Sì, perché Dio ama i piccoli!».

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7. Epilogo Tre testimonianze

Suor Costantina Franceschina, originaria di Iso-laccia in Valtellina, è stata missionaria in Congo. Oggi è ospite della casa di riposo delle suore delle Poverelle a Torre Boldone, ha 85 anni. In quei giorni anche lei era là e racconta oggi, quindici anni dopo: «Intanto era morta suor Floralba che venne portata in un primo momento nella cappella dei lebbrosi a Mosango; la bara era aperta e tutti la toccavano e il cadavere rimase lì per giorni e però nessuno venne contagiato. Incredibile. La toccavano, la baciavano, migliaia di persone. Volevamo seppellirla a Tumikia invece il Vescovo della diocesi, mons. Mununu Kasiala, volle che venisse portata a Kikwit. Poi morì suor Clarangela e a quel punto era chiaro che c’era un’epidemia. La sua bara venne riempita di disinfettante e poi seppellita due ore dopo che era morta. Ormai c’era il panico a Kikwit. Io ero lì al cimitero di Kikwit e piangevo e in quel momento arrivò suor Dinarosa che mi disse: “Non piangere. Guarda, io non sto bene, vedrai che succede anche a me, ho un fortissimo mal di testa…”.

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Da quel giorno venimmo isolate nelle nostre case. Noi non potevamo lasciare la missione di Tumikia, eravamo in contatto con il resto del mondo soltanto con la phonie, la piccola ricetrasmittente. Ma lo stesso un giorno riuscimmo a lasciare Tumikia e a raggiungere Kikwit. Scoprimmo che suor Daniela era stata messa nella casetta delle suore, vicina a un padiglione, da sola, isolata. Il Vescovo ci impedì di andare a salutarla, disse: “Guai a voi se andate nella casa”. Ormai si era capito che era Ebola. Tornammo alla nostra missione; scoprimmo che le ragazze erano scappate, la missione era deserta e cominciò il periodo più tremendo. Noi suore delle Poverelle eravamo additate come portatrici della malattia, nessuno ci voleva più avvicinare, i ragazzi ci tiravano persino i sassi, bestemmiavano, ci rivolgevano parolacce. Una domenica ero in chiesa e distribuivo la comunione e mi dissero di non farlo più: “Basta – mi dissero dei nativi – non distribuirla più, ci dai il microbo”.

Eravamo considerate responsabili dell’epidemia. Questa situazione acuta andò avanti per un mese. Una mattina ero di turno alla phonie e ricevetti il messaggio di suor Annelvira che aveva assistito suor Daniela. Singhiozzava. Ci salutava, ci faceva raccomandazioni, disse solo: “Vado con le altre”. Andava nella casetta. Che giorni terribili. Ricordo quei ragazzi che ci guardavano e ci ingiuriavano, dovemmo chiudere il portone per paura di aggres-sioni. Gli adulti, gli anziani dei villaggi però ci pro-teggevano. Ricordo che anche due suore del posto, suor Christine e suor Scolastique si ammalarono e presentavano i sintomi di Ebola, ma loro ce la fecero.

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In trentatré giorni abbiamo celebrato sei funerali. Sei suore morte. E quanta gente è morta… L’ospedale di Kikwit era stato abbandonato, nelle strade c’erano striscioni con su scritto di non toccare i morti, di non seppellirli. Giravano quei camion nei villaggi con quegli uomini con gli scafandri e prendevano i cadaveri. E poi accadde che suor Vitarosa raggiunse suor Annelvira che si trovava a Kikwit per curare suor Daniela. Ormai si sapeva bene che era Ebola, ma lei volle andare lo stesso. Sapevano bene Annelvira e Vitarosa che rischiavano la vita, ma dicevano che il nostro fondatore, don Luigi Palazzolo, aveva espressamente detto e scritto che le suore delle Poverelle dovevano assistere i malati anche in caso di epidemia, caso non raro nell’Ottocento. Conosco bene Annelvira e Vitarosa, eravamo molto unite. Vitarosa era stata infermiera all’ospedale di Kikwit, e poi all’ospedale di Kinshasa, come ostetrica. Là era contenta. Vitarosa aveva sempre un grande sorriso sulle labbra. Ricordo come si preoccupava in quegli anni dei saccheggi, delle violenze. Ma andava avanti.

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Riprendere il nostro servizio alla missione è stato molto difficile. Ci dicevano di partire; le nostre superiore ci avevano lasciate libere di scegliere. Era Madre Generale suor Gesuelda; lei era stata in missione e conosceva bene la situazione, voleva raggiungerci subito, fin dalla morte di suor Floralba, ma non le fu possibile, ci raggiunse solo a metà giugno. Ricordo che a un certo punto io pensai, ma non solo io, che saremmo morte tutte. Eppure questo non ci fece mai scegliere di andarcene. Anche se avevamo perso la nostra Madre Provinciale, suor Annelvira, anche se eravamo sei suore in meno e avevamo anche la gente contro. No, davvero sarei morta dieci volte piuttosto che venire via di lì».

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Il cardinale Bernardin Gantin, Prefetto della Congregazione per i vescovi, il 29 maggio 1995, nella cappella delle suore Poverelle a Roma Pro-paganda Fide, ha celebrato una messa di suffragio e di ringraziamento. All’omelia così si è espresso: «Carissime sorelle, sono tra voi per esprimere so-lidarietà, comunione, abbandono nel Signore. Noi dobbiamo anzitutto ringraziare Dio per la vita di queste vostre sei sorelle, scelte e mandate ad gentes per portare quel Cristo che avevano nel cuore. In poco più di un mese sono insieme nell’eternità, per un’epidemia che ha scosso l’Italia e il mondo che ha potuto constatare che ci sono persone capaci di dare la vita per i poveri. È disegno di Dio, le vie del Signore non sono le nostre. Abbiamo serenità, abbiamo abbandono nel Signore perché esse sono come Lui che si è donato consumando il Corpo, versando il Sangue; come Lui hanno dato la vita. Siamo qui per fare memoria del vostro fondatore il beato Luigi Palazzolo. Loro, le sei Poverelle, hanno seguito la via tracciata da lui, hanno accolto la sua consegna, hanno incarnato il suo carisma e danno esempio a voi. Sono il grano che è sceso sotto terra, ma che germoglierà presto. Dio non vuole che noi perdiamo la speranza, la fiducia in Lui. Queste so-relle sante sono diventate invisibili ai nostri occhi, ma sono presenti, qui, oggi con noi. Beati coloro che muoiono nel Signore! La settimana scorsa ho celebrato con tutti i vescovi della Conferenza epi-scopale italiana e insieme abbiamo fatto memoria delle vostre suore. Il nostro cuore abbia gli stessi sentimenti di Maria: “Fiat” a Nazaret, “Fiat” sul

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Calvario, perché venga presto il regno di Dio».

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Madre Gesuelda Paltenghi, morta a fine agosto 2009, nel 1995, era Madre Generale, dopo aver vis-suto per diciotto anni come missionaria, proprio nel Congo.

Così scrive, il 28 maggio 1995, alle suore di tutta la Congregazione: «Per sei volte, in un solo mese, l’angelo della morte ha bussato alla porta della nostra famiglia religiosa, portando in Paradiso sei nostre carissime sorelle: suor Floralba il 25 aprile, suor Clarangela il 6 maggio, suor Danielangela l’11 maggio, suor Dinarosa il 14 maggio, suor Annelvira, Superiora Provinciale d’Africa, la sera del 23 maggio e oggi, 28 maggio, suor Vitarosa! Abbiamo sperato tanto in questo mese di maggio! Il rapido succedersi degli eventi ci ha profondamente colpite. Siamo sgomente per questa durissima prova, ma non distrutte; sconvolte, ma non spezzate perché Dio ci è Padre tenerissimo e sa il perché di questa sofferenza, di queste morti, di questi vuoti. Nel cocente dolore abbiamo fissato ancor più il nostro sguardo sul Crocifisso Risorto con grande speranza. Ci è stata e ci è di conforto la preghiera, la fraterna vicinanza e partecipazione al dolore nostro e dell’amato popolo zairese da parte del Papa e di molti cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose e di singoli laici. La loro solidarietà ci ha aiutato e ci aiuta a intravedere in questo Venerdì santo uno dei momenti più ricchi e fecondi della nostra famiglia religiosa, perché le nostre sei sorelle, dando la vita per amore, hanno offerto a noi e a molti le ragioni della speranza cristiana. Sì, la morte delle nostre sei martiri della carità è la testimonianza e la conclusione di una vita

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donata giorno dopo giorno, con amore, gioia, umiltà e disponibilità totale a Dio e ai fratelli. Questa è la vera “profezia”. La loro vita, donata con amore e per amore, è seme che genera altra vita alla Chiesa zairese, alla nostra Congregazione e alla Chiesa universale. Solo più in là ne vedremo i frutti e benediremo grandemente il Signore».

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Postfazione Da don Luigi Palazzolo alle Poverelle

Nella Bergamo di metà Ottocento, nella città in-fervorata dai temi risorgimentali, esisteva una realtà sociale molto difficile: denutrizione, mortalità infantile, malattie infettive imperversavano. In questi anni all’interno della Chiesa cattolica emersero diverse figure di uomini e donne che si impegnarono per arginare la sofferenza delle classi popolari, per dare un aiuto, una minestra, una medicazione, un’istruzione con un’attenzione particolare ai bam-bini e ai giovani.

Luigi Palazzolo fu una di queste persone. Era nato il 10 dicembre 1827 da una delle famiglie più ricche e culturalmente all’avanguardia di Bergamo (dalla parte del padre era proprietaria delle terme di San Pellegrino; la madre, una Antoine, era figlia di uno dei più importanti tipografi ed eruditi della città, di origine francese). Luigi era l’ultimo di nove fratelli e presto orfano di padre e unico fratello sopravvissuto. La madre lo vedeva bene nella carriera ecclesiastica, magari proiettato verso qualche importante ruolo curiale. Invece don Luigi si diede subito da fare per i

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bambini del quartiere più popolare di Bergamo, quello di San Leonardo, e in particolare cominciò il suo apostolato nella zona poverissima della Foppa. La mamma aiutò sempre Luigi, ma non sempre convinta delle sue azioni. Disse più di una volta: «Questo mio figlio vuole morire spiantato». Aveva ragione: per i poveri don Luigi spese tutto l’ingente patrimonio di famiglia. Del resto, non riusciva a dire di no a chi aveva bisogno.

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Erano anni in cui anche Bergamo conosceva la piaga dei bambini abbandonati e malati. Don Luigi li raccoglieva, li ripuliva, li rimetteva in sesto. E cercava di dare loro un futuro. Organizzò un oratorio per i giovani, poi diede vita a un orfanotrofio. Accanto al Palazzolo cominciò a impegnarsi Teresa Gabrieli. Don Luigi era convinto assertore di una pedagogia semplice e diretta: sermoni brevi in chiesa, ma efficacissimi grazie alla sua oratoria; catechismo essenziale, tanto aiuto sul piano concreto, e divertimento per i ragazzi, per fare loro capire che la vita donata da Dio può essere bella. Don Luigi era un buon musicista e compositore, ed era un estroso burattinaio: i suoi spettacoli di burattini (alcuni dei quali intagliati da lui stesso) erano noti in tutta la provincia. Don Luigi disse chiaramente che voleva occuparsi degli ultimi, di coloro che erano respinti anche dalle istituzioni caritative che pure già esistevano. Gli ultimi degli ultimi. «Io cerco e raccolgo il rifiuto di tutti gli altri, perché dove altri provvede lo fa assai meglio di quello che io potrei fare, ma dove altri non può giungere cerco di fare qualcosa io così come posso».

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Teresa Gabrieli era invece di umile provenienza, la sua era una famiglia di ortolani che con sacrificio la fece studiare dalle suore Canossiane fino a rag-giungere il diploma di maestra. Incontrò il Palazzolo a 32 anni, quando già era impegnata nell’educazione delle ragazze povere del quartiere. La famiglia religiosa delle suore delle Poverelle vide proprio in Teresa Gabrieli la prima componente: dopo una notte di preghiera, all’alba del 22 maggio 1869, Teresa pronunciò i voti religiosi e andò ad abitare nella casetta di via della Foppa insieme a una ragazzina malata e sciancata, “Molgori”. Il nome della Congregazione esponeva un programma ben preciso: essere totalmente al servizio «dei poverelli e delle poverelle» come diceva il Palazzolo. Quando don Luigi morì, nel 1886, Teresa Gabrieli si prese sulle spalle la responsabilità di quattordici case, sessanta suore, 270 orfani.

Oggi le suore delle Poverelle sono circa ottocento e sono presenti in Italia, Congo, Costa d’Avorio, Malawi, Brasile, Kenia, Burkina Faso e Perù.

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Indice

Presentazione (don Arturo Bellini)3 Introduzione 9

1. Suor Floralba Rondi 15 2. Suor Clarangela Ghilardi 31 3. Suor Danielangela Sorti 45 4. Suor Dinarosa Belleri 67 5. Suor Annelvira Ossoli 83

6. Suor Vitarosa Zorza 105 7. Epilogo: Tre testimonianze 127

Postfazione: Da don Luigi Palazzolo alle Poverelle 133


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