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Ultimo numero di questa collana del CRS di Rovigno IN ... · uaderni”, pubblicazione del Centro...

Date post: 18-Oct-2020
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di Carla Rotta «Q uaderni”, pubblicazione del Centro di Ri- cerche Storiche di Rovigno è al diciotte- simo volume. Verrebbe da dire, scivolan- do sul banale scontato, che è giunta alla maggiore età, a sottolineare un percorso di crescita e di, appunto, maturazione. “Quaderni”, invece, nasce adulto, maturo. Tra le due copertine verde acqua, die- ci interventi incentrati sulla storia recente, come pras- si, in quanto “Quaderni” ha lo scopo di fissare temati- che, fatti, eventi e personaggi che hanno fatto la storia dell’800 e ‘900 nell’area istrofiumana e dalmata. Qua- li dettagli del composito acquerello nostrano nel volu- me XVIII dei “Quaderni”? Da rilevare, innanzittutto, che il periodo più trattato è il quinquennio 1945-50, con conseguente minor numero di contributi abbrac- cianti altri periodi. Come mai questo “concentrato”? Azzardiamo un’ipotesi: guerra e dopoguerra hanno pesato troppo su queste terre, sui destini delle sue gen- ti; sono stati, quegli anni, più che momento di svolta, di stravolgimento. Il radicale cambiamento subito dal tessuto economico, sociale, demografico, linguistico, politico, culturale, fa sentire la sua eco anche a distan- za di parecchi decenni. Autori e scritti. Olinto Mileta Mattiuz tratta “I confini etno-linguistici nell’Istria interna e nel Carso istriano. Anomalie nei rilevamenti asburgi- ci”; Mila Orlic “L’esodo degli Italiani dall’Istria e l’insediamento nella Provincia di Modena”. Oriet- ta Moscarda Oblak “Le memorie contrapposte di Goli Otok-Isola Calva”, Ljudevit Anton Maračić “Appunti cronacali del Convento di S. Francesco di Pola (1947-1991)”; Lada Duraković “Musica e ideologia: la vita musicale a Pola durante l’Ammi- nistrazione anglo americana (1945-1947)”; Lucia- no Giuricin “La collaborazione dei soldati italiani con il MLP nel Litorale croato”; Ferruccio Canali “Architettura e città nella Dalmazia italiana (1922- 1943). L’arte dalmata e il palazzo Diocleziano di Spalato (parte prima)”; Gabriele Bosazzi “L’irre- dentismo in Istria”; Achille Rastelli “L’affonda- mento della SMS Viribus Unitis: un fatto militare o politico”; Vanni D’Alessio “L’esercito italiano e l’‘effettività della Redenzione’ a Pisino e in Istria alla fine della Grande Guerra”. Confini etno linguistici Olinto Mileta Mattiuz di Orbassano, nel suo saggio studia i primi rilevamenti censuari asburgi- ci (1880, 1890, 1900, 1910). Come si legge nel sun- to che introduce l’argomento, furono, questi rileva- menti, “fonte di grande incertezza nella zona cen- trale istriana, specialmente nel Pinguentino, punto d’incontro di diverse parlate che portarono ad oscil- lanti identificazioni di tipo nazionale. Infatti, i con- fini glottologici, i nascenti nazionalismi sloveno e croato della seconda metà dell’Ottocento nonché gli influssi clericali ebbero un’importante influenza sul dichiararsi sloveno o croato. Ciò anche per l’am- bigua definizione di ‘lingua d’uso’ che portò interi paesi a dichiararsi sloveni invece di croati e vicever- sa, se non addirittura tedeschi.” Esodo, nati altrove Con Mila Orlic, ricercatrice dell’Uni- versità di Modena e Reggio Emilia, sul- la sconfinata lacerazione dell’esodo ne “L’esodo degli Italiani dall’Istria e l’in- sediamento nella Provincia di Mode- na”. Tra i tanti luoghi d’approdo del- la comunità italiana che abbandonò in massa questi territori – leggiamo – vi fu anche la provincia modene- se, che si trovò ad ospitare un co- spicuo numero di esuli giuliani nel corso degli anni, grazie anche alla presenza di un campo profughi, il Villaggio San Marco, a Fossoli di Carpi. La peculiarità di una pro- vincia “rossa” come quella mode- nese, influì fortemente sull’integra- zione nel tessuto sociale degli esuli, con un processo di inserimento, se possibile, ancor più doloroso. w w w . e d it. h r /l a v o c e A n n o I V n . 6 Sa b ato , 7 g iu g n o 2 0 0 8 storia e ricerca DEL POPOLO DEL POPOLO Segue nelle pagine 2 e 3 IN QUESTO NUMERO «Quaderni XVIII» la nostra identità Ultimo numero di questa collana del CRS di Rovigno Ieri sera alla Comunità degli Italiani “Fulvio Tomizza” di Umago (troppo tardi per includere l’argomento in questo nu- mero, ne parleremo in quello di luglio) è stato presentato il trentasettesimo volume degli “Atti” del Centro di Ricerche Sto- riche di Rovigno. L’opera è dedicata al quarantesimo della fon- dazione dell’istituzione e alla memoria dello storico rovignese Antonio Miculian. Il CRS è comunque protagonista di que- st’edizione dell’Inserto “La VoceInPiù – Storia e Ricerca”, la penultima prima della pausa estiva, con i suoi “Quaderni”, il- lustrati in questa e nelle successive due pagine da Carla Rotta. Lo spazio centrale è invece dedicato all’esplorazione del complesso cavernicolo di Laganiši – ci fa da cicerone Arletta Fonio Grubiša, coadiuvata da una splendida serie di immagi- ni (di cui una, relativa alle foibe, proposta in copertina) –, nei pressi di Pietrapelosa sulla strada che da Portole conduce a Stridone. Kristjan Knez torna a scrivere per noi intervistando Adriano Papo, autore con Gizella Nemeth Papo di un volu- me che analizza la storia dell’Ungheria, dal periodo dalla mo- narchia dualista ad oggi (pagine 6 e 7), mentre Denis Visintin recensisce il volume “IstrianiIeri. Storie di esilio” a cura del giornalista bresciano Valerio Di Donato (pagina 7). In con- clusione, una piccola “curiosità”: una nuova ipotesi su Sto- nehenge, uno dei siti archeologici più misteriosi e suggestivi del mondo, da secoli un rompicapo per gli scienziati.
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Page 1: Ultimo numero di questa collana del CRS di Rovigno IN ... · uaderni”, pubblicazione del Centro di Ri-cerche Storiche di Rovigno è al diciotte-simo volume. Verrebbe da dire, scivolan-do

di Carla Rotta

«Quaderni”, pubblicazione del Centro di Ri-cerche Storiche di Rovigno è al diciotte-simo volume. Verrebbe da dire, scivolan-do sul banale scontato, che è giunta alla

maggiore età, a sottolineare un percorso di crescita e di, appunto, maturazione. “Quaderni”, invece, nasce adulto, maturo. Tra le due copertine verde acqua, die-ci interventi incentrati sulla storia recente, come pras-si, in quanto “Quaderni” ha lo scopo di fi ssare temati-che, fatti, eventi e personaggi che hanno fatto la storia dell’800 e ‘900 nell’area istrofi umana e dalmata. Qua-li dettagli del composito acquerello nostrano nel volu-me XVIII dei “Quaderni”? Da rilevare, innanzittutto, che il periodo più trattato è il quinquennio 1945-50, con conseguente minor numero di contributi abbrac-cianti altri periodi. Come mai questo “concentrato”? Azzardiamo un’ipotesi: guerra e dopoguerra hanno pesato troppo su queste terre, sui destini delle sue gen-ti; sono stati, quegli anni, più che momento di svolta, di stravolgimento. Il radicale cambiamento subito dal tessuto economico, sociale, demografi co, linguistico, politico, culturale, fa sentire la sua eco anche a distan-za di parecchi decenni.

Autori e scritti. Olinto Mileta Mattiuz tratta “I confi ni etno-linguistici nell’Istria interna e nel Carso istriano. Anomalie nei rilevamenti asburgi-ci”; Mila Orlic “L’esodo degli Italiani dall’Istria e l’insediamento nella Provincia di Modena”. Oriet-ta Moscarda Oblak “Le memorie contrapposte di Goli Otok-Isola Calva”, Ljudevit Anton Maračić “Appunti cronacali del Convento di S. Francesco di Pola (1947-1991)”; Lada Duraković “Musica e ideologia: la vita musicale a Pola durante l’Ammi-nistrazione anglo americana (1945-1947)”; Lucia-no Giuricin “La collaborazione dei soldati italiani con il MLP nel Litorale croato”; Ferruccio Canali “Architettura e città nella Dalmazia italiana (1922-1943). L’arte dalmata e il palazzo Diocleziano di Spalato (parte prima)”; Gabriele Bosazzi “L’irre-dentismo in Istria”; Achille Rastelli “L’affonda-mento della SMS Viribus Unitis: un fatto militare

o politico”; Vanni D’Alessio “L’esercito italiano e l’‘effettività della Redenzione’ a Pisino e in Istria alla fi ne della Grande Guerra”.

Confi ni etno linguisticiOlinto Mileta Mattiuz di Orbassano, nel suo

saggio studia i primi rilevamenti censuari asburgi-ci (1880, 1890, 1900, 1910). Come si legge nel sun-to che introduce l’argomento, furono, questi rileva-menti, “fonte di grande incertezza nella zona cen-trale istriana, specialmente nel Pinguentino, punto d’incontro di diverse parlate che portarono ad oscil-lanti identifi cazioni di tipo nazionale. Infatti, i con-fi ni glottologici, i nascenti nazionalismi sloveno e croato della seconda metà dell’Ottocento nonché gli infl ussi clericali ebbero un’importante infl uenza sul dichiararsi sloveno o croato. Ciò anche per l’am-bigua defi nizione di ‘lingua d’uso’ che portò interi paesi a dichiararsi sloveni invece di croati e vicever-sa, se non addirittura tedeschi.”

Esodo, nati altroveCon Mila Orlic, ricercatrice dell’Uni-

versità di Modena e Reggio Emilia, sul-la sconfi nata lacerazione dell’esodo ne “L’esodo degli Italiani dall’Istria e l’in-sediamento nella Provincia di Mode-na”. Tra i tanti luoghi d’approdo del-la comunità italiana che abbandonò in massa questi territori – leggiamo – vi fu anche la provincia modene-se, che si trovò ad ospitare un co-spicuo numero di esuli giuliani nel corso degli anni, grazie anche alla presenza di un campo profughi, il Villaggio San Marco, a Fossoli di Carpi. La peculiarità di una pro-vincia “rossa” come quella mode-nese, infl uì fortemente sull’integra-zione nel tessuto sociale degli esuli, con un processo di inserimento, se possibile, ancor più doloroso. w

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.edit.hr/lavoce Anno IV • n. 6 • Sabato, 7 giugno 2008

storiae ricerca

DEL POPOLODEL POPOLO

Segue nelle pagine 2 e 3

IN QUESTO NUMERO

«Quaderni XVIII»la nostra identità

Ultimo numero di questa collana del CRS di RovignoIeri sera alla Comunità degli Italiani “Fulvio Tomizza” di

Umago (troppo tardi per includere l’argomento in questo nu-mero, ne parleremo in quello di luglio) è stato presentato il trentasettesimo volume degli “Atti” del Centro di Ricerche Sto-riche di Rovigno. L’opera è dedicata al quarantesimo della fon-dazione dell’istituzione e alla memoria dello storico rovignese Antonio Miculian. Il CRS è comunque protagonista di que-st’edizione dell’Inserto “La VoceInPiù – Storia e Ricerca”, la penultima prima della pausa estiva, con i suoi “Quaderni”, il-lustrati in questa e nelle successive due pagine da Carla Rotta.

Lo spazio centrale è invece dedicato all’esplorazione del complesso cavernicolo di Laganiši – ci fa da cicerone Arletta Fonio Grubiša, coadiuvata da una splendida serie di immagi-ni (di cui una, relativa alle foibe, proposta in copertina) –, nei pressi di Pietrapelosa sulla strada che da Portole conduce a Stridone. Kristjan Knez torna a scrivere per noi intervistando Adriano Papo, autore con Gizella Nemeth Papo di un volu-me che analizza la storia dell’Ungheria, dal periodo dalla mo-narchia dualista ad oggi (pagine 6 e 7), mentre Denis Visintin recensisce il volume “IstrianiIeri. Storie di esilio” a cura del giornalista bresciano Valerio Di Donato (pagina 7). In con-clusione, una piccola “curiosità”: una nuova ipotesi su Sto-nehenge, uno dei siti archeologici più misteriosi e suggestivi del mondo, da secoli un rompicapo per gli scienziati.

Page 2: Ultimo numero di questa collana del CRS di Rovigno IN ... · uaderni”, pubblicazione del Centro di Ri-cerche Storiche di Rovigno è al diciotte-simo volume. Verrebbe da dire, scivolan-do

2 storia e ricerca

La conferma per voce di parecchi esuli istriani dei quali l’autrice ha raccolto le memorie. Il trauma del vissuto, in una frase: “... anche più avanti, quando

le persone mi chiedevano da dove venivo, dicevo sono di Modena... probabilmente era solo un meccanismo di dife-sa... solo adulta ho cominciato a parlare del fatto che ero nata in Istria.” Ancora, in un’altra testimonianza: “...se questo raggruppamento di famiglie giuliane in un solo luo-go ha costituito un forte elemento di sostegno morale e di coesione tra i profughi, dall’altro ha rappresentato un vero limite per l’integrazione con il territorio carpigiano, soprat-tutto per i giovani.”

Goli Otok, inferno oltre l’anticamera L’Isola Calva è una tragedia nella tragedia, una macchia

sull’anima di chi l’ha voluta. Diffi cilmente nemmeno oggi la si potrebbe defi nire di selvaggia bellezza: piuttosto, an-che non conoscendone la storia, di inquietante e stranian-te solitudine. “Goli” va a braccetto con il Cominform: era questo che poneva il timbro sui vergognosi biglietti di sola andata, perché anche chi ha fi sicamente fatto ritorno dal-

l’isola, in effetti, non l’ha mai abbandonata. Nei pensieri, negli incubi ricorrenti, nell’impossibile inserimento nel la-voro, negli equilibri familiari: un timbro a pelle, insomma. Orietta Moscarda Oblak propone interviste rilasciate da due ex agenti della polizia segreta jugoslava (UDBA), dal 1949 al 1953 in servizio a Goli Otok in qualità di giudici-istruttori. Le interviste erano state pubblicate sul quotidia-no “Borba” nel 1990. Sono l’altra memoria, quella che si contrappone a quella delle vittime. O forse tutti vittime. Un’inquisitrice, alla domanda “anche voi che eravate in-quirenti e le detenute eravate vittime della situazione poli-tica del tempo?” risponde “certamente, vittime del tempo e delle situazioni.” E il marito, a debita distanza spazio tem-porale, “avrebbe preferito che non ci fossi mai stata a Goli Otok... per la tua pace, per il tuo sistema nervoso”. Da leg-gere. Assolutamente.

Un convento una cittàLjudevit Anton Maračić, di Zagabria, propone una se-

lezione degli “Appunti cronacali del convento di S. Fran-cesco di Pola (1947-1991)”, tenuti dai frati croati che ave-vano preso in custodia il convento dopo l’abbandono della città da parte dei frati francescani della Provincia di S. An-tonio da Padova, avvenuto in seguito alla defi nitiva annes-sione della città allo stato jugoslavo nel settembre 1947.

Negli appunti e nei verbali si legge quanto la storia del con-vento tanto quella della città.

Music and the city“Musica e ideologia: la vita musicale a Pola durante

il periodo dell’amministrazione militare anglo-americana (1945-1947)” nello scritto di Lada Duraković di Pola. La politica attraverso la musica, si potrebbe dire: è un periodo, quello preso in esame, ideologicamente convulso, vede la cittadinanza spaccata in due o schieramenti, quello fi loita-liano e quello fi lojugoslavo. La spaccatura si specchiò an-che nel campo della cultura e nello scritto. Lada Duraković esamina la divisione nello specifi co della musica che di-ventò, attraverso concerti ed eventi musicali più o meno seri e più o meno leggeri, uno strumento educativo di mas-sa in funzione della politica.

Compagni di resistenzaNel saggio “La collaborazione dei soldati italiani con il

MPL nel Litorale croato. Il ruolo di Augusto Ferri nella re-sistenza jugoslava”, Luciano Giuricin sostiene che il con-tributo dato dagli ex soldati italiani alla Guerra di liberazio-ne in Jugoslavia fu notevole, confutando così la corrente storiografi a regionale che interpreta il contributo degli ita-liani nella resistenza jugoslava come una forma spontanea di collaborazione, determinata dalle gravi ripercussioni in seguito alla capitolazione dell’Italia.

Le pietre italiane di DalmaziaFerruccio Canali, dell’Università di Firenze, ci porta

in Dalmazia con il saggio “Architettura e città nella Dal-mazia italiana (1922-1943). L’arte dalmata e il Palazzo di Diocleziano”. Vediamo il riassunto dell’intervento. “Alcu-ni fi loni della più aggiornata indagine storiografi ca di am-bito storico-artistico stanno dibattendo oggi, in Italia, sul ruolo a suo tempo affi dato alle testimonianze storiche nel-la costituzione di quell’identità nazionale italiana nata in maniera complessa e problematica a partire dal 1860 e for-zatamente conclusa solo nel 1945. Il caso della Dalmazia è estremamente singolare perché sulla riva orientale del-l’Adriatico vennero a confl iggere ben tre Nazionalismi (austriaco, italiano e jugoslavo) che utilizzarono i monu-menti per giustifi care i propri possessi o le proprie mire”. Dopo la Prima guerra mondiale, la Dalmazia veniva intesa come l’unica provincia italiana rimasta fuori dal processo unitario e principale “vittima” politica della “vittoria muti-lata” dopo la Grande Guerra. Attenzione puntata sulla Spa-lato “italiana” da parte di intellettuali “di regime” per la va-lorizzazione del complesso del palazzo di Diocleziano, che viene seguita attraverso un loro ricco carteggio inedito.

Irredentismo recuperatoFirma il saggio “Irredentismo in Istria” Gabriele Bo-

sazzi, giovane ricercatore triestino. Si va oltre il sussulto causato dal modo poco corretto dell’uso che si fa del termi-ne “irredentismo”. Segno negativo – facendo rima tra irre-dentismo e sciovinismo – specie quando si parla dell’Istria, teatro di scontro tra le culture italiana e slava a partire dal

Sabato, 7 giugno 2008

È morto uno dei più illustri specialisti delle vicende politico-culturali dell’Europa dell’Est

François Fejtő, addio al «passeggero del secolo»Testimone, quasi centenario, dei dram-

mi del Novecento, uno dei più illustri specialisti delle vicende politico-cultura-li dell’Europa dell’Est (profetizzò il crol-lo del comunismo): François Fejtő, stori-co e giornalista francese, si è spento agli inizi del mese, a Parigi, all’età di 98 anni. Fejtõ, intellettuale simbolo di quel crogio-lo di storia e di cultura che è la Mitteleuro-pa, curioso acutissimo inquieto testimone del suo tempo, si era defi nito “il passegge-ro del secolo”, titolo omonimo di uno dei suoi ultimi libri.

Nato in Ungheria il 31 agosto 1909, era mitteleuropeo a tutti gli effetti: il padre di Ferenc (François) Fejtő era di Nagykanis-za, una cittadina vicino al lago Balaton, la madre era di Zagabria, il nonno paterno boemo, una zia era sposata a un triestino e il bambino Fejtő trascorse alcune estati nei dintorni di Udine. Nel periodo tra le due guerre mondiali, mentre l’Ungheria era una monarchia senza re governata dall’am-

miraglio Horthy, lo studente Fejtő entrò nei ranghi dell’estrema sinistra. Fu comu-nista, e presto comunista eretico. Subì per la sua attività di pubblicista e di propagan-dista “eversivo” un paio di processi – sep-pure con pene relativamente lievi –, il car-cere, anche la tortura. Nel 1938, lui che era ebreo, decise di espatriare in Francia, dove solidarizzò con la resistenza francese. Gli appartenenti alla sua famiglia paterna (ti-pografi , librai ed editori, patrioti ungheresi già distaccati dal giudaismo) furono tra le vittime dell’Olocausto. A Parigi, visto che aveva conservato la nazionalità ungherese, accettò d’essere addetto stampa dell’amba-sciata d’Ungheria nella capitale francese, incarico che mantenne fi no al processo del ’49 contro Laszlo Rajk, comunista sottopo-sto a una delle purghe spietate che imper-versavano nell’universo staliniano. Rajk fu costretto a confessare inesistenti complotti, e venne giustiziato. Fejtő denunciò la ver-gogna di quell’assassinio e giurò che non

avrebbe mai più rimesso piede in Ungheria fi no a quando non avesse ritrovato la liber-tà (nel ’55 ottenne la cittadinanza france-se). Da Parigi si occuppò per una trentina d’anni (tra il 1944 e il 1979) delle vicende della Guerra fredda per conto dell’agenzia France Presse e insegnò (1972 – 1984) al-l’Institut d’études politiques de Paris. Tor-nò nel suo paese nativo solo una volta, nel 1989, in occasione dei funerali di stato di Imre Nagy.

François Fejtő ha dedicato la maggior parte della sua carriera allo studio dei re-gimi dell’Europa orientale di cui ha vis-suto la loro nascita, l’affermazione, il de-clino e la caduta. Rimane uno dei grandi intellettuali europei del XX secolo, ami-co intimo di Nizan, Mounier e Camus, interlocutore critico di Malraux e Sartre; ha incontrato i leader del Comintern e del movimento comunista; ha parlato con i vari “inqulini” del Cremlino, con Tito, Castro, Willy Brandt; ha sia ammirato

sia criticato Charles de Gaulle e François Mitterrand… Tra i suoi libri, ricordere-mo la “Storia delle democrazie popola-ri”, tradotta in una decina di lingue, “Gli ebrei e l’antisemitismo nei paesi comuni-sti” (1962), “Requiem per un impero de-funto” (1999), “La fi ne delle democrazie popolari” (1998), “Dio e il suo ebreo” (2000), “Il passeggero del secolo. Guer-re, Rivoluzioni, Europe” scritto nel 2001 con Maurizio Enrico Serra.

Dalla prima pagina

Ultimo numero di questa collana del Centro di Ricerche storiche di Rovigno che CONTRIBUTI

di Carla Rotta

«Quaderni»: la nostra storiaper non perderci per strada

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storia e ricerca 3

XIX secolo. Ebbene, Bosazzi recupera il signifi cato storico del termine irredentismo quale movimento politico, ma an-che culturale, che partendo da una ristretta cerchia di per-sone, giunse a coinvolgere anche le masse. L’attenta anali-si storica fatta dall’autore, propone un fenomeno altamente genuino, che puntava all’affermazione di un obiettivo po-

litico che i più ritenevano utopistico, ma senza per questo cercare di prevaricare le altre etnie presenti sul territorio.

Viribus unitis, la confusa fi neStoria militare con lo storico milanese Achille Rastel-

li che si occupa de “L’affondamento della SMS Viribus Unitis: un fatto militare o politico”. La “Viribus Unitis”, corazzata della marina austro-ungarica, simboleggia-va l’unione di tutti i sudditi dell’Impero multinazionale pronti a difenderlo sul mare. L’unità venne fatta affonda-re nel porto di Pola il 1.mo novembre 1918, da una squa-dra d’incursione italiana. Perché venne fatta affondare? La guerra stava ormai fi nendo, pochi giorni dopo ci sa-rebbe stata la fi rma dell’armistizio: il cambiamento era nell’aria. Perché, allora? L’azione militare non è mai stata trattata a fondo e forse lo si dovrebbe fare. Accanto ai di-lemmi dei fatti, della storia confusa, uno spaccato, inevi-tabile, su Raffaele Rossetti e Raffaele Paolucci: vite che dopo la morte dell’ammiraglia prendono vie, anche ideo-logicamente, diverse.

Istria e RedenzioneSi chiude con Vanni D’Alessio, dell’Università di Na-

poli Federico II, che propone un saggio sull’“Esercito ita-liano e l’‘effettività della Redenzione’ a Pisino e in Istria” alla fi ne della Grande Guerra, nel quale descrive gli avveni-menti a Pisino e le circostanze politiche legate alla presenza dell’esercito italiano e dell’amministrazione straordinaria nella penisola alla conclusione del primo confl itto mondia-le. Il suo obiettivo è quello di rifl ettere sui problemi e sugli atteggiamenti di uno stato nazionale, come lo era l’Italia, e del suo esercito al primo contatto con una realtà plurilin-gue come quella dell’Istria centrale. Questioni di sicurezza e le preoccupazioni politiche internazionali ebbero un effet-to determinante nell’approccio che le forze armate italiane ebbero nella gestione dei primi mesi di amministrazione in Istria e Venezia Giulia.

Sfondare… necesse estMi sia concessa ancora una parentesi: al di là di quel-

li che possono essere interessi personali, propensione per una “materia” piuttosto che per un’altra, c’è una cono-

scenza che dovrebbe essere (con)divisibile, ed è quella del e per il territorio. Al di là, quindi, di quelli che vor-ranno essere successivi approfondimenti, “Quaderni” (ma il discorso vale, ovviamente anche per “Atti” e, lo sottolineiamo in barba all’ovvietà) deve trovare posto nelle librerie di ognuno di noi per potervi mettere mano oggi, domani, tra un anno, tra dieci anni: per avere la no-stra storia e la nostra identità accanto, per non perderci per strada, vittime di una volontaria, deleteria distrazio-ne. E in questo bisognerebbe forse una più aggressiva azione da parte dell’Editore. La cultura, per farsi strada, a volte deve dimenticarsi di bussare e semplicemente... sfondare.

Sabato, 7 giugno 2008

ha raggiunto la «maggiore età». Il volume si concentra sull’epoca dei grandi stravolgimenti

Le forze armate alleate durante una manifestazionenell’Arena di Pola (1945-1947)

Manifestazione fi loitaliana nel centro cittadino di Pola (primavera 1946)Manifestazione fi loitaliana nel centro cittadino di Pola (primavera 1946)

Lettera scritta a mano, in data 13 luglio 1943, probabil-mente dallo stesso Enrico Grassi, alias Augusto Ferri, responsabile dell’organizzazione antifascista operante

nel Litorale croato

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ci sono stati estratti da una profondità di 3,2 metri sotto la superfi cie attuale della grotta. Interessante la varietà del vasellame del periodo, decorato con ricchezza e fantasia di motivi: incisioni di spirali, meandri vari, linee a zig zag, spesso riempite di colorazione rossa ottenuta da minerale ocra. Ri-saltano tra questi il vaso perforato a forma d’im-buto usato per la produzione di ricotte, gli attrezzi in pietra focaia di buona qualità procurata anche a centinaia di chilometri di distanza e portati in grotta già confezionati. Meno zeppa di tracce d’abitazio-ne l’epoca del rame (4.500-2.300 a.C.), più grossa come stratifi cazione, lascia in eredità più monili ra-mati che armi ed attrezzi. Dopo attenta disamina, la ceramica di detta epoca risulta paragonabile a quella di tipo cosiddetto “lubianese” ed è qui in-teressante un pertugio a foiba, del diametro di 25 centimetri, adibito a fornace.

Segue, senza linee nette di demarcazione cro-nologica, l’era del bronzo (2300-1100 a.C.) carat-teristica come era dei castellieri. La vita da caver-na continuava. Tra i resti di cibarie: cozze, ossa di pecora, capra, maiale, bovino, di bestie selva-tiche come caprioli e cerbiatti, ghiande usate an-

che come alimento per animali. Più perfezionati in questo caso i recipienti-sistemi di combustione in argilla cotta con fori praticati per lasciar fi ltra-re il vapore, particolari alcuni accessori “antenati” dei colini, vasellame da fermentazione per latticini, attrezzi come punteruoli, lisciatoi, scalpelli, conge-gni-accendino rudimentali, pietre arenarie per affi -lare oggetti metallici. Molto più varia la ceramica. Grande, grossa, grezza ma anche fi ne e decorata, tipica del periodo in Istria con un’eccezione-rari-tà: vaso con bulloni applicati quando l’argilla era

ancora morbida seguendo il motivo di incisione di linee parallele. E per i cavernicoli istriani do-veva rappresentare qualcosa di pregiato viste le tracce di continue e ostinate riparazioni compiute per salvare l’oggetto dall’usura del tempo. Secon-do gli esperti del Museo archeologico istriano, un reperto di questo tipo è comparso prima nel territo-rio istriano che nelle aree dell’Italia settentrionale e delle Alpi sud-orientali, ed è molto raro, sparso nella vasta area mitteleuropea nell’era delle cultu-re cinerarie.

Antichi romani profughi delle caverneLa caverna di Laganiši dopo il bronzo. Cosa

succede? L’abituro sotterraneo non interessa più. A ogni modo, dopo qualche secolo d’interruzione, ritorna l’uomo in epoca antica. Infatti, la collezio-ne di reperti è tutto fuorchè trascurabile: 12 mo-netine romane, frammenti di recipienti di fattura grezza, stoviglie da tavola, lucerne (di provenienza italica ed africana), acciarino metallico, ossa ela-borate, resti di cibarie (capriolo, cinghiale e carni d’animali domestici), costruzioni praticate in pie-tra ad uso ignoto. L’analisi preliminare di manu-fatti in cermica ha dimostrato che la caverna è stata

scelta più volte come soggiorno a breve scadenza dal I al V secolo d.C.. Rivelatorie più di tutto le monetine romane: la fase principale di soggiorno viene datata nel tardo-antico ovvero verso la fi ne del IV ed all’inizio del V secolo quando l’Impe-ro Romano tremava sotto il continuo incalzare dei popoli barbari da oriente e da settentrione. Cambia sostanzialmente la vita in caverna e si interrompe bruscamente la sua secolare tradizione dell’alleva-mento bovino e della produzione del latte e lattici-ni. Laganiši è eletta a solo rifugio di comunità mi-nori di popolazione romana impaurita dai saccheg-giamenti e dalle stragi. Niente di strano in questo caso. L’esperto Darko Komšo ha rilevato che si-tuazioni del genere sono abbastanza frequenti nelle caverne del territorio istriano, a esempio: Cingarela presso Momiano (indagini di Bačić 1956), la grotta di Trogrla presso Majkuši (Bačić 1978), Oporovi-na nella Draga di Laurana (Komšo e Blečić 2007). L’episodio antico nella grotta di Laganiši ha dun-que lasciato in eredità 11 monetine romane nasco-ste dai profughi. Non sono certo rarità numismati-che, anzi rinvenimenti “tipici” da sito archeologico antico, segnalati nei cataloghi scientifi ci “Roman Imperial Coins” e nell’almanacco di “Bruck”, ma

a renderli interessanti è il fatto di essere stati rin-venuti tutti assieme dentro uno strato con tanti re-sti di combustione. Meraviglia di primo acchito il fatto che dette monetine appartengono a un perio-do cronologico molto ampio. Risultano coniati dal 312 fi no al 392 d.C. ma la faccenda è rifl esso tipico dello stato di caos e disorganizzazione che vigeva nel periodo del crollo dell’Impero romano. Le mo-nete di nuovo conio diffi cilmente raggiungevano le provincie, e così anche l’Istria, ed è per tale motivo che si usava il disponibile, anche denaro vecchio oltre mezzo secolo! Le monete sono state nascoste per essere recuperate in tempi più sicuri, circa nel-l’anno 392 che testimonia l’ingresso di una picco-la comunità in fuga da qualche centro abitato che costretta in caverna avrebbe anche velocemente eretto delle costruzioni grezze in pietra. Quale ca-taclisma ha spinto la potente popolazione romana a regredire e ridursi in condizioni cavernicole? San Geronimo nel 396 annotava che “da più di vent’an-ni, da Costantinopoli alle Alpi scorre sangue roma-no, quotidianamente” ed aggiunge che si saccheg-giano “la Dalmazia e tutte le Pannonie”.

Istria è anche mondo delle caverne, delle me-raviglie speleologiche e le causalità del terre-no carsico hanno fatto sì di aprire androni, ca-

nali, corridoi, foibe nel sottosuolo, buie costruzioni artifi ciose elette ad abitazioni salvavita dalle genti che qui vissero nei millenni antecedenti le grandi civiltà dell’avvento dell’architettura e della messa a frutto dell’ingegneria umana. Stando a valutazio-ni del Museo archeologico istriano di Pola, ripari di roccia, di grotte e caverne sul nostro suolo peninsu-lare se ne possono contare più di duemila e la loro importanza per la scienza della ricerca è stata rico-nosciuta ancora alla fi ne del XIX secolo. Lungi dal-l’aver potuto sondare le caratteristiche dei tanti abi-turi sotterranei, la ricerca nell’ultima decina d’anni è comunque riuscita a pervenire a nuove conoscen-ze sulla vita preistorica.

Salva dall’oblio dei secoli ma anche da saltua-rie infelici incursioni di predatori dei secoli perdu-ti, è la caverna o meglio complesso cavernicolo di Laganiši, nel cuore dell’Istria, nei pressi di Pietra-pelosa sulla strada che da Portole conduce a Strido-ne. Senza esagerazioni di sorta, la ricerca-sondag-gio condotta dall’ente museale in loco negli ultimi anni (2004-2007) e la mostra dei reperti rinvenuti, visitabile nelle gallerie dell’Anfi teatro di Pola fi no alla fi ne di giugno, ha rivelato testimonianze di vita preistorica che per importanza vanno ben ol-tre l’ambito regionale ed entrano a diritto nell’elen-co delle più interessanti località mediterranee. Per-ché? La caverna di Laganiši con ingresso a foiba presenta un aspetto raro, inconfondibile che la dif-ferenzia da altri esempi di abitazione cavernicola del continente europeo: la compresenza della vita e della morte, l’intersecarsi di usi e costumi di vita quotidiana e di riti funebri e religiosi nel medesi-mo habitat sotterraneo, in un unico sistema speleo-logico oggi separato dall’ostruzione del canale che un tempo si suppone era percorribile tanto da unire una parte di androne, la caverna della vita a quella della morte, adibita alla sepoltura dei defunti. Tut-t’altro che un episodio di rifugio stagionale, detto abituro, risorsa quanto mai conveniente per “sen-za tetto” d’epoca troglodita, ha appena portato alla luce tracce di presenza umana che risalgono al più recente neolitico istriano (5.000 anni a.C.), cultura della pietra levigata e sfociano addirittura nell’epo-

Si danno il cambio in una continuità straordinaria segni di vita del neolitico, dell’epoca del rame, di quella del bronzo e dell’antichità nonchè tracce di morte, innumerevoli resti scheletrici, inumazioni che risalgono all’epoca delle grandi migrazioni nei secoli della discesa degli Histri e del confl itto con le popolazioni autoctone dell’era bronzea. La tap-pa di ricerca archeologica appena conclusa avreb-

be voluto fare luce sulla specifi cità della grotta di Laganiši, invece ha aperto nuovi curiosi quesiti re-lativi a un’epoca di grandi mutamenti ed evoluzioni etniche e culturologiche. Perché tanto di rarissimo fenomeno delle inumazioni relegate nelle viscere della terra a fi anco di spazi cavernicoli da soggior-

fi nora rinvenuti?

Eccezionale culto dei mortiL’impostazione scientifi ca del problema da

parte del coordinatore della ricerca, l’archeologo Darko Komšo stuzzica davvero l’immaginazio-ne: “L’unico esempio con qualche sepoltura ana-loga di quest’area d’Europa e Balcani – si spiega – è riscontrabile nell’area della Lika e della grotta di Bezdanjaci, ma non è escluso che manifestazio-ni del genere possano essere presenti anche in al-tri posti dell’Istria. Laganiši ha prodotto numerosi reperti di oggetti in bronzo e ambra, frammenti di ceramica che fanno datare detto cimitero nella tar-da epoca del bronzo e sono rivelatori di un eccezio-nale culto dei morti. Risulta particolarmente curio-sa la collocazione della loro ultima dimora. I corpi dei defunti, dunque, non sono sistemati in tombe distanti bensì adagiati negli spazi della foiba. Per-ché detta manifestazione si verifi ca solamente ver-so la fi ne dell’epoca media del bronzo e all’inizio del tardo bronzo? Né prima né dopo? Era l’epoca dei grandi cambiamenti come in Istria così in tutta Europa, della migrazione dei popoli (ad esempio, dei dorici in Grecia, dei ‘popoli del mare’ nell’area egizia). Qui, da noi, alla periferia delle grandi civil-tà, giunge alla sua fi ne la cultura dei castellieri del bronzo e si verifi ca l’insediamento di altre genti con altri usi, gente che ha conferito il nome alla penisola ‘Histria’. Cos’è capitato nella caverna di Laganiši: si seppellivano gli ultimi resti degli ‘autoctoni’ in fuga dall’invasione histrica? O qui hanno trovato ri-paro proprio gli Histri, nuovi venuti, prima o duran-te le lotte con gli aborigeni fortifi cati in cima ai ca-stellieri? È il paradosso della scienza archeologica, l’indagine chiede risposte sul passato e s’imbatte in ulteriori domande”.

Cavernicoli istriani allevatori di boviniAbbandonando quello della morte e tornando

all’ambiente della vita nell’affascinante sistema ca-vernicolo, gli archeologi hanno constato notevoli cambiamenti nella tecnologia e negli stili dell’elea-borazione di arnesi, utensili e oggetti vari, anche se la destinazione d’uso della grotta della vita nei seco-li non aveva subito grandi mutamenti: era stata pe-riodica dimora delle comunità allevatrici di bovini, probabilmente sfruttata nei mesi più caldi dell’esta-

sta vi sono resti di lavorazione del latte e di produ-zione casearia, di preparazione dei cibi, di tessitura delle pelli. La funzione abitativa della caverna subi-sce la sua rivoluzione durante il tardo-antico quan-do ridiventa utile alla popolazione locale in fuga di fronte all’invasione barbarica. Da allora nessuno, qui, ha messo più casa. Andiamo ai dettagli salienti della ricerca archeologica condotta, con particola-rità interessanti illustrate nell’esposizione all’Are-na di Pola. L’intervento degli studiosi è arrivato in extremis, dopo pluriennale devastazione di chi si è permesso di smuovere la terra da una superifi cie di 12 metri quadrati. La sonda praticata dal Museo nella dimensione di soli 12,75 metri cubici fi no a profondità relativa di 4,05 metri, è bastata a porta-re alla luce tutte le epoche menzionate con le loro rispettive cermiche, attrezzi in osso, pietre focaie, ossa di animali, lische di pesce, gusci di molluschi – prova che l’alimentazione preistorica in Istria era molto varia. Ogni singolo strato archeologico pre-senta numerosi resti di combustione e focolari. Gli strati antecedenti il neolitico per ora non hanno ri-velato tracce ancora più remote di esistenza umana. Ma è anche vero che la ricerca non è conclusa e che

nella parte setacciata della caverna non si è ancora raggiunta la roccia viva, lo strato più profondo.

Come vivere, quasi 8mila anni faA Laganiši, dunque, fi no a possibile smentita, si

parte dal neolitico epoca quando l’uomo cessava di essere solo cacciatore o pescatore e diventava agri-coltore e allevatore, cominciava a produrre cibo e smetteva di dipendere dalle bizze della natura an-cora inclemente. Il neolitico istriano è segnato sulla retta del tempo da circa 5750 anni a.C. fi no al, se-

5Sabato, 7 giugno 2008 Sabato, 7 giugno 20084 storia e ricerca

RICERCHE Gli studiosi del Museo archeologico istriano si sono calati nel complesso cavernicolo di Laganiši, nei pressi di Pietrapelosa sulla strada da Portole a Stridone

Giochi di stalattiti...

Vasellame preistorico autentico doc Armi da caccia dell’epoca del bronzo Rinvenimenti ossei

Immagine suggestiva...e stalagmiti Grotte

Dentature e...carie

L’archeologo Komso scende in foibaL’archeologo Komso scende in foiba

Usanze funebri nella foiba di Laganiši

Vaso rarità con applicazioni metalliche

Trovate anche tante monetine romane, ap-partenenti a un periodo cronologico molto ampio. Forse sono state nascoste per esse-re recuperate in tempi più sicuri, il che te-stimonia l’ingresso di una piccola comuni-

tà in fuga da qualche centro abitato

Monili per signore preistoriche

Affascinante riparo per «senzatetto» del passatoAffascinante riparo per «senzatetto» del passato

Segue a pagina 8

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6 storia e ricerca

abbiamo riscontrato parecchie dif-fi coltà nella stesura e nello sviluppo di quella parte. Questa volta, inve-ce, la situazione è stata ben diversa: negli ultimi anni, e in modo parti-colare dopo l’entrata dell’Unghe-ria nell’Unione europea, sono usciti parecchi lavori, e ne stanno uscen-do ancora degli altri, soprattutto sul-la Rivoluzione del 1956 (tra l’altro sono stati nel frattempo aperti molti archivi), ma anche sul kádárismo e sulla transizione del 1987-90. Due anni fa sono uscite molte pubblica-zioni sulla Rivoluzione del 1956, naturalmente in Ungheria ma anche in Italia (circa una dozzina), tra cui anche gli atti del convegno promos-so dalla nostra Associazione ‘Pier Paolo Vergerio’. E altri lavori ven-gono tuttora proposti. L’interesse è quindi ancora abbastanza attuale.”

Qual è l’interesse per la storia magiara in Italia? E la risposta dell’editoria?

“L’interesse è, come ho detto poc’anzi, ancora abbastanza attua-le ma certamente minore rispetto a quello registrato nel 2000: pos-siamo dire che esso è in calo sia per la storia dell’Ungheria, sia per la storia degli altri paesi dell’Euro-pa centrorientale dell’ex blocco so-vietico.”

È d’accordo, quindi, con l’af-fermazione che gli Italiani siano poco interessati all’Europa orien-tale? E il mondo accademico?

“Certamente, oggi come oggi gli Italiani sono meno interessati al-l’Europa orientale e alla sua storia, e anche per questo motivo l’Edito-re – suppongo – ci ha concesso uno spazio limitato. Forse se n’è parlato troppo, a partire dal 1989. È chiaro che, subito dopo la caduta del Muro di Berlino, il pubblico era oltremo-do curioso di conoscere la storia dei paesi dell’ex blocco sovietico e di conseguenza ne era anche l’edito-ria. Noi infatti allora riprendemmo in mano il nostro primo manoscrit-to sulla storia dell’Ungheria, di cir-ca 150 cartelle, e lo abbiamo am-pliato trasformandolo in un libro di 545 pagine. Oggi, invece, abbiamo fatto un passo indietro. Per quanto riguarda il mondo accademico, in-vece, coloro che si occupano di sto-ria ungherese – invero non ci sono moltissimi ricercatori in questo campo, ma a ogni modo ce ne sono – continuano a fare la loro ricerca e continuano a pubblicare lavori su questo tema; nel 2007 sono infatti usciti ben due manuali di storia del-

l’Ungheria. Chi si occupa di storia dell’Ungheria continua quindi a far-lo: non può certo seguire le mode.”

L’allargamento dell’Unione europea verso l’Europa centrale (2004) e la recente adesione della Romania e della Bulgaria hanno destato interesse, o semplice cu-riosità, per quelle terre?

“Direi che l’interesse per que-sti nuovi paesi sia ancora minore di quello manifestato per l’Ungheria; infatti se sono usciti tre volumi sul-l’Ungheria e una storia della Polo-nia, per la Romania possiamo citare il lavoro di Francesco Guida, per la Bulgaria, da quanto mi risulta, inve-ce non possiamo citarne nessuno.”

Voi siete assidui frequentatori di biblioteche ed archivi unghe-resi, conoscete le istituzioni e gli studiosi che si occupano del pas-sato della loro Nazione. Oggi, a distanza di alcuni lustri dalla ca-duta del regime comunista, quali sono i campi d’indagine maggior-mente affrontati dai ricercatori magiari?

“In primo luogo si studia l’età contemporanea, il Risorgimento ungherese, la Rivoluzione del 1956; esiste a Budapest un istituto di ricer-ca che si occupa attivamente della rivoluzione del ’56, ed è sorto un altro istituto che affronta, invece, il periodo della guerra fredda. Un po’ meno ci si dedica alla storia medie-vale e a quella moderna, rispetto a qualche decennio fa, allorché erano ancora in vita illustri studiosi me-dievisti e modernisti, come Ferenc Szakály, Gábor Barta, Pál Engel, prematuramente scomparsi; oggi, pertanto, questi settori sono un po’ meno battuti.”

La storia dell’Impero austro-ungarico viene studiata a livello internazionale, qual è, invece, la realtà per il periodo tra le due guerre mondiali e per i decen-ni in cui questo Stato venne a trovarsi al di là della cortina di ferro?

“A parte la storia della Rivolu-zione del 1956, di cui tra l’altro si è parlato e scritto moltissimo so-prattutto in occasione del cinquan-tennale, si parla invece molto poco, specie a livello internazionale, sia del periodo della sovietizzazione dell’Ungheria sia del periodo tra le due guerre mondiali, che ha vi-sto la rivoluzione delle rose d’au-tunno, la repubblica ‘borghese’ e ‘popolare’ di Mihály Károlyi, la Repubblica dei Soviet di Béla Kun,

A metà aprile è uscito il vo-lume “L’Ungheria con-temporanea. Dalla monar-

chia dualista ai giorni nostri”, di Gizella Nemeth Papo e Adriano Papo, edito dalla casa editrice Ca-rocci di Roma. Si tratta di un agile quanto denso volumetto di 154 pa-gine, attraverso il quale i due au-tori affrontano il passato magiaro, dal 1867 sino agli avvenimenti più recenti. I due studiosi, instancabi-li ricercatori, autori di numerosi saggi sui rapporti storico-culturali italo-ungheresi, sono i fondatori e rappresentanti dell’Associazione italo-ungherese “Pier Paolo Ver-gerio” di Duino Aurisina (fonda-ta nel 2003), dirigono il periodi-co “Quaderni Vergeriani”, annua-rio della stessa, nonché la collana “Italia e Ungheria. Studi e docu-menti” delle Edizioni della Lagu-na di Mariano del Friuli (Gorizia). La monografi a offre una sintesi di centocinquant’anni di storia. Viene analizzata la realtà dell’Impero di Francesco Giuseppe, viene affron-tata la prima guerra mondiale, il turbolento immediato dopoguerra, il governo di Mihály Károlyi e lo sforzo di salvaguardare i confi ni storici, minacciati dai vicini rume-ni, cechi e jugoslavi, la repubblica sovietica di Béla Kun, l’intervento dell’esercito di Bucarest, l’ascesa di Miklós Horthy, le amputazioni territoriali determinate dal trattato di pace del Trianon – l’Ungheria perdette circa due terzi del proprio territorio –, mentre ampio spazio viene riservato all’era horthyana, con note sulla stabilizzazione eco-nomica, l’ascesa dei “crocefrec-ciati” e l’avvicinamento alla Ger-mania di Hitler nonché l’ingres-so dell’Ungheria nella seconda guerra mondiale. Per quanto con-cerne la parte relativa agli ultimi sessant’anni, gli autori affrontano la sovietizzazione, evidenziando aspetti quali la “democrazia popo-lare” e la nascita del Fronte nazio-nale, le epurazioni e le prime rifor-me, le elezioni politiche del 1947 e la vittoria dei comunisti. Il volume dedica un intero capitolo alla rivo-luzione del 1956 e si chiude con l’età kádáriana per giungere all’al-ba del terzo millennio, attraverso la stagione del crollo dei regimi comunisti nell’Europa centrale ed orientale e la fase di transizione, tuttora in atto. Per saperne di più sulla genesi di tale lavoro, sui con-tenuti che affronta ne abbiamo par-lato con il prof. Adriano Papo.

Nel 2000 l’editore Rubbettino ha dato alle stampe il vostro cor-poso volume “Storia e cultura dell’Ungheria. Dalla preistoria del bacino carpato-danubiano all’Ungheria dei giorni nostri”. Dopo otto anni esce un altro vo-stro lavoro, questa volta dedica-to all’Ungheria contemporanea. Come mai vi siete decisi di sof-fermarvi sul periodo compreso tra il dualismo e l’alba del terzo millennio?

“Quando abbiamo scritto e pre-sentato a Trieste il nostro primo vo-lume sulla storia dell’Ungheria, ci siamo impegnati col pubblico trie-stino che avremmo ulteriormente sviluppato la parte contemporanea. Nel primo lavoro siamo arrivati al 1990 partendo dalla preistoria del bacino carpatodanubiano e dalla

storia antica dei Magiari: ovvia-mente, in 545 pagine, dovevamo riservare uno spazio equilibrato per tutti i periodi storici. Per for-za di cose abbiamo un po’ dovuto sacrifi care la parte contemporanea e per questo motivo abbiamo deci-

so di elaborare una nuova pubbli-cazione per la storia ungherese del Novecento, che coprisse il periodo dal 1918 ai giorni nostri; abbiamo così preparato un corposo volu-me di 840.000 battute, che abbia-mo proposto all’editore Carocci, il quale, però, per motivi di costi, suppongo, e pure perché intendeva pubblicare un manuale d’uso an-che per gli studenti, ci ha concesso uno spazio più ristretto, che inizial-mente era di sole 144 pagine. Ab-biamo così dovuto ridurre il testo da 840.000 a 360.000 battute e ci siamo fermati alle attuali 154 pa-gine. Abbiamo perciò dovuto esse-re il più concisi possibile, taglian-do anche parte della bibliografi a e dell’indice dei nomi, sacrifi can-do una cronologia e non inseren-do delle cartine che erano già sta-te preparate. Confi diamo però, co-munque sia, di non aver compro-messo il senso e il contenuto del libro. E ci proponiamo, forse fra qualche anno (non possiamo farlo subito per motivi di contratto), di pubblicare, magari rivisitata e ri-maneggiata, la versione integrale del nostro libro, che ci è costata molta fatica e per la quale abbiamo già trovato un titolo che riteniamo accattivante. È stato l’editore a ri-chiederci l’aggiunta del capitolo sul periodo della duplice monar-

chia; perciò siamo partiti dal 1867 arrivando praticamente all’ottobre del 2006, quando, come abbiamo scritto nella prefazione, sono riap-parsi i fantasmi del ’56.”

Oltre ai problemi di spazio ne avete riscontrati altri? Mi riferi-sco in modo particolare alla ste-sura del testo.

“Il nostro primo volume sul-l’Ungheria venne pubblicato nel 2000, anche se una prima versio-ne l’avevamo preparata già nel 1990, cioè l’anno dopo la cadu-ta del Muro di Berlino; nel 2000 appunto, e tanto meno nel 1990, non avevamo ancora a disposi-zione un’esauriente, ma neanche suffi ciente bibliografi a sulla storia magiara contemporanea. Pertanto

INTERVISTA

«L’Ungheria contemporanea non guarda Fiume. Pensa di più alla Transilvania»

Il percorso compiuto dal paese analizzato in un volume scritto da Ad

Sabato, 7 giugno 2008

di Kristjan Knez

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storia e ricerca 7

l’alternarsi del terrore rosso e del terrore bianco, la controrivoluzio-ne e l’era horthyana. C’è stato un convegno a Roma su tale periodo, ne è uscito un volumetto di atti, poi non se n’è più parlato. Noi invece, almeno nella versione integrale del nostro libro, abbiamo dato uno spa-zio notevole al periodo horthyano. Miklós Horthy fu senz’altro il re-sponsabile principale d’un periodo di turbolenze politiche e di atro-cità, e certamente non si possono disconoscere le sue responsabilità per quanto riguarda gli atti di ter-rore perpetrati dall’Armata Nazio-nale, la promulgazione delle leggi razziali (anche se alla fi ne si oppo-se decisamente alle deportazioni degli Ebrei riconoscendo gli errori commessi), l’entrata dell’Ungheria nella Seconda guerra mondiale, e il fatto di non essersi opposto all’oc-cupazione nazista dell’Ungheria. Horthy fu pure depositario di un enorme potere politico, potendo anche sciogliere il Parlamento, re-spingere le leggi che non erano di suo gradimento, vagliare le leggi prima della loro discussione in Par-lamento. Tuttavia, dobbiamo anche riconoscergli il merito di essere riu-scito, specie tramite il suo mini-stro István Bethlen, a stabilizzare il Paese politicamente ed economica-mente, dopo le turbolenze dei primi anni del dopoguerra. L’era horth-yana fu anche un periodo di grande sviluppo culturale per l’Ungheria: certo la censura era molto vigile e attenta, ma non riuscì ad arrestare il notevole sviluppo dell’editoria e la proliferazione di riviste di qual-

siasi argomento e di qualsiasi segno politico.”

Quando si parla dell’Unghe-ria bisogna tenere presente la dinamica dei suoi confi ni, con allargamenti e contrazioni, pen-siamo all’arretramento avvenuto a seguito delle conquiste ottoma-ne o al ridimensionamento terri-toriale stabilito con il trattato del Trianon. La corona di Santo Ste-fano si affacciava anche sul mare, Fiume era il suo porto e la sua fi -nestra sul mondo. Il capoluogo quarnerino è oggetto di analisi da parte degli studiosi?

“Per quanto riguarda la città di San Vito esiste il volume di Ilona Fried, ma oltre a lei, per quanto mi risulta, non vi sono altri stu-diosi che se ne occupino. Gli Un-gheresi hanno ricordi molto lon-tani di Fiume: molti non solo hanno dimenticato Fiume, ma anche che il sovrano d’Ungheria era pure re di Croazia, Dalma-zia e Slavonia. Non si guarda più con nostalgia al capoluogo quar-nerino, al suo porto, allo sboc-co al mare. L’Ungheria pensa di più alle terre perdute ad est, cioè alla Transilvania, e a quelle per-dute a nord, cioè in Slovacchia. L’Ungheria guarda con nostal-gia soprattutto alla Transilvania: la perdita di questa regione con il trattato del Trianon del 1920 ha provocato uno shock traumatiz-zante e se ne parla ancora oggi, a novant’anni dalla fi ne della prima guerra mondiale. Gli Ungheresi non hanno mai digerito la perdita di quella regione.”

A novanta anni dalla fi ne della Prima guerra mondiale nasce il portale www.14-18.it, una

banca dati on-line contenente 52mila documenti italiani e stranieri, fotografi e, periodici e giorna-li di trincea relativi alla Grande Guerra. Dopo tre anni di lavoro, il progetto è stato realizzato dalla biblioteca di storia moderna e contempo-ranea in collaborazione con il Museo Centrale del Risorgimento di Roma, la Biblioteca Nazio-nale Centrale di Roma e la Biblioteca Univer-sitaria Alessandrina, mentre il software è stato realizzato dalla società Meta Srl.

Il progetto è stato pensato e realizzato nell’ot-tica di un work in progress, con l’auspicio che, nel tempo, il materiale, i documenti e le foto-grafi e possano aumentare di numero grazie alla collaborazione non solo con gli altri istituti e gli archivi che conservano fondi relativi alla Prima guerra mondiale, ma anche attraverso il contri-buto dei privati che conservano a casa, nei pro-pri album di famiglia, immagini dell’epoca che desiderano mettere in condivisione.

Le immagini attualmente contenute nel por-tale arrivano in particolare dal “fondo guerra” della Biblioteca di storia moderna e contempo-ranea (che comprende materiale eterogeneo tra cui circa 3.000 testate di giornali italiani e stra-nieri e 2.000 fotografi e); dagli album fotografi ci della Grande Guerra del fondo iconografi co del Museo Centrale del Risorgimento; dall’archivio fotografi co “Vittorio Emanuele” della Biblioteca

nazionale centrale di Roma e dal “fondo guer-ra” della Biblioteca Universitaria Alessandrina.

Dalla home page di www.14-18.it, oltre a una breve descrizione del progetto, è possibile acce-dere direttamente ai fondi conservati negli isti-tuti che collaborano al portale, cliccando sul loro logo. Oppure è possibile accedere direttamente

alle sezioni “Periodici” (sia italiani che stranie-ri) che possono anche essere ricercati per titolo, anno o numero; “Gionali di trincea”, dei quali sono state digitalizzate non solo le fotografi e, ma anche le parti scritte; “Fotografi e”, suddivise in “Album” o “Immagini sciolte”. Ci sono poi liste per la ricerca per persone, luoghi o date o la ri-cerca avanzata che permette di incrociare i tre canali di ricerca. Le opere raccolte, archiviate, conservate, messe a disposizione della pubbli-ca consultazione, potranno contribuire a forni-re basi e contenuti certi di un’identità culturale e di un consapevole senso di appartenenza alla storia nazionale e del Continente, costituendo inoltre il fulcro per una costante attività di stu-dio e di indagine storica.

di Denis VisintinChe la stagione della memorialistica dedicata

alle vicende istriane del secondo dopoguer-ra non sia ancora fi nita, lo testimonia anche l’in-teressante volume “IstrianiIeri. Storie di esilio” a cura del giornalista bresciano Valerio Di Donato (Liberedizioni, Brescia 2006, p. 96). Il volume è uscito nell’ambito della Collana “Effemeridi” di-retta da Marcello Zane e dedicata a diari e testimo-nianze, pagine di prigionia, giornali di viaggio o d’esilio, effemeridi quotidiane da raccontare affi n-ché il ricordo non venga disperso ma reso fruibile entro questa vera e propria banca della memoria. Nell’ambito della collana, sono usciti fi nora “Due Guerre, una famiglia” di Giacomo e Antonio Bo-sio, nonché “Cinghia! Diario di prigionia 1943-1945, Capitano degli Alpini Aldo Facella” a cura di Marcello Zane.

Se da un lato ormai le vicende sono arcinote e le pubblicazioni innumerevoli, talvolta noiosamen-te ripetitive, d’altro canto è un bene che ogni tan-to giunga anche qualcosa di nuovo a rinfrescare la memoria e ad aggiungere un qualche tassello in più. D’altra parte, le nuove cognizioni archivisti-che renderanno certamente più chiare, esplicite ed esemplifi cate tali vicende e probabilmente si chia-riranno dei lati oscuri ed altri aspetti verranno alla luce ed esaminati. Quindi ben vengano tutte le in-dagini, le ricerche e le pubblicazioni che con chiari intenti propositivi e positivi contribuiscono a rin-frescare la materia.

Il volume di Di Donato si concentra su Brescia, città storica e importante dell’esilio giuliano-dal-mata. Come scrive nella sua prefazione il prof. Ful-vio Salimbeni, esperto conoscitore di questo perio-do, “...le pagine che seguono meritano un’attenta lettura, perché non sono una semplice raccolta di testimonianze, accomunate dal semplice confl uire e concludersi di diverse esperienze biografi che in Brescia, città in cui come giornalista opera l’au-tore: il quale, tra l’altro, ha il merito di far cono-scere il ruolo da essa avuto nell’accogliere e dare una prima, sia pure fortunosa, accoglienza a tanti profughi...”. La sua è una ricostruzione che parte da lontano, dagli ultimi decenni del XIX secolo, in alcuni casi trattando vicende dagli aspetti diversi: la guerra partigiana, le dure prove sopportate nei lager del III Reich, le vicende del secondo dopo-guerra, le esasperazioni drammatiche, dai risvolti sia psicologici sia umani, legati a una scelta velata, talvolta di una dimensione drammatica: rimanere o partire. Vicende comuni ad altre civiltà europee contemporanee, precedenti e successive.

E infatti non a caso l’autore prende in conside-razione anche alcuni casi di chi dovette andarsene dai Sudeti dopo il crollo del III Reich, o dai terri-tori croati occupati nel corso della recente guerra patriottica, creando così dei percorsi d’indagine

paralleli, e quello controcorrente di un giovane la cui famiglia sfuggita alla fi ne della seconda guerra mondiale dalla Dalmazia decide di fare l’emigran-te nella Belgrado di Tito, dove il padre fra l’altro aveva in precedenza lavorato e trovato l’amore. Tutte comunque hanno lo stesso leit motiv, il senso di sradicamento dal contesto d’appartenenza e di abbandono in una nuova realtà, costretti ad adat-tarsi ad una nuova dimensione spaziotemporale, umana, sociale, professionale, economica e fami-liare, lontano dai luoghi della fanciullezza e d’ori-gine, dalle care pietre, non sempre per propria scelta, ma per superiore necessità e volontà.

Il 25 aprile 1945 non tutti gli italiani potero-no salutare con sollievo l’avvenuta Liberazione del Paese dalle truppe nazifasciste, preludio del ritor-no alla democrazia. Alle spalle di Trieste e Gorizia, in Istria, nella zona di Fiume e di Zara, iniziava in-fatti una nuova occupazione a opera dei partigia-ni slavi del maresciallo Tito, ben decisi a inglobare quelle zone nella nascente Jugoslavia comunista. L’intento del libro di Valerio Di Donato è dunque quello di rendere l’“onore della memoria” a que-sti cittadini dimenticati, raccontando la loro verità. Ma anche, contemporaneamente, di contribuire al superamento della rimozione di un capitolo crucia-le della storia patria del Novecento, inquadrando-lo nel più ampio contesto della geopolitica europea dell’epoca.

Germania: muore a 107 anni uomo più vecchio del Franz Kün-stler, l’uomo più vecchio della Germania e l’ultimo veterano tedesco della prima guerra mondiale, è morto all’età di 107 anni. Si è spento a Niederstetten, una cittadina nella regione del Baden-Wuerttemberg, a Sud Ovest del Paese, in seguito a un’operazione all’intestino e alla frattura di un femore. L’ultimo veterano francese, Lazare Ponticelli, si è spento nel marzo scorso: aveva 110 anni.

Nato il 24 luglio del 1900 a Soost, in Romania, Künstler si arruo-lò nell’esercito dell’Impero austro-ungarico nel febbraio del 1918 e venne inviato al fronte italiano, dove rimase fi no al novembre dello stesso anno. Dopo la guerra, lasciò l’esercito nel 1921 per ritornarvi brevemente nel 1942, quando – durante la seconda guerra mondiale – venne inviato in Ucraina, come corriere. Nel 1946 si trasferì a Nie-derstetten, dove ha lavorato fi no a qualche mese fa come guida nel museo della caccia del castello di Haltenbergstetten.

a con nostalgiariano Papo e Gizella Nemeth Papo

Sabato, 7 giugno 2008

Il web incontra la storia: è nato www.14-18.it

È morto l’ultimo soldato del Kaiser

RECENSIONE

È un bene parlare dell’esodo

Una banca dati on-line contenente 52mila documenti italiani e stranieri, fotografi e, periodici e giornali di trincea

A novant’anni dalla fi ne della Grande Guerra

Franz Künstler, aveva 107 anni

PILLOLE

Ricostruzione che parte dal XIX secolo

Page 7: Ultimo numero di questa collana del CRS di Rovigno IN ... · uaderni”, pubblicazione del Centro di Ri-cerche Storiche di Rovigno è al diciotte-simo volume. Verrebbe da dire, scivolan-do

8 storia e ricercaUna nuova ipotesi sembra sfatare tutte le teorie precedenti

Stonehenge, uno dei siti ar-cheologici più misteriosi e suggestivi del mondo, da se-

coli è un rompicapo per scienziati e non solo. Ora una nuova ipote-si sembra pronta a sfatare tutte le teorie precedenti: i megaliti non delimiterebbero un osservatorio astronomico, né un santuario, né un primitivo centro ospedaliero; rappresenterebbero piuttosto un tempio per il culto dei defunti. Ma non defunti qualsiasi: solo i leader dei villaggi preistorici. Una sorta di mausoleo dell’antichità, quin-di. Mike Parker Pearson, profes-sore di archeologia dell’Univer-sità di Sheffi eld, ha formulato la nuova ipotesi dopo essere riuscito a datare al carbonio 14 alcune se-polture rinvenute negli anni Cin-quanta. Due risalgono al periodo in cui si costruirono il terrapieno

e il fossato (circa 2900 a.C.); la restante al 2570-2340 a.C., quan-do venne innalzato il cerchio di pietre. Altre tombe vennero sco-perte negli anni ‘20 ma poi ris-seppellite.

“Stonehenge è stato un luogo di sepoltura dall’inizio alla fi ne – ha spiegato Mike Parker Pearson sfatando la convinzione che fos-se stato utilizzato come cimitero solo agli inizi della sua storia –. Anche quando si costruì il cerchio di pietre, Stonehenge continuò a essere il regno dei morti. È il no-stro più grande cimitero di quel periodo. C’è un interessante con-trasto fra la vita e la morte”. L’ar-cheologo ha anche individuato un legame tra Stonehenge e l’enorme terrapieno circolare di Durrington Wall, caratterizzato da pali di le-gno confi ccati nel terreno: si ritie-

ne possa aver ospitato banchetti e cerimonie funerarie. I defun-ti venivano poi trasportati in bar-ca lungo il fi ume Avon per essere sepolti in prossimità dei megaliti. Durante le indagini, iniziate nel 2003, è stato identifi cato un viale che conduce da Durrington Wall al corso d’acqua, molto simile a quello che collega Stonehenge con lo stesso fi ume.

Già un anno fa, gli archeolo-gi hanno inoltre trovato i resti di otto case. La abitazioni misurava-no circa cinque metri quadrati ed erano situate in una piccola valle a nord di Stonehenge che porta di-rettamente al fi ume Avon.

“Riteniamo che la scoperta sia molto utile per capire lo scopo di Stonehenge – ha spiegato il pro-fessore di archeologia –. Quello che abbiamo sicuramente stabi-

lito è che il cerchio delle pie-tre è parte di un complesso più grande”.

Gli scienziati hanno contribui-to a trasformare Stonehenge in un luogo di pellegrinaggio moder-no sostenendo che la sua strada è allineata con l’alba del solstizio d’estate. I turisti ammirano i me-

galiti in ogni stagione, ma si riu-niscono soprattutto in occasione del solstizio d’estate, il giorno più lungo dell’anno. Oltre che meta del turismo di massa, Stonehen-ge è attualmente luogo di pelle-grinaggio per molti seguaci del Celtismo, della Wicca e di altre religioni neopagane.

CURIOSITÀ

“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol SuperinaIN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat

edizione: STORIA E RICERCARedattore esecutivo: Ilaria Rocchi-Rukavina / Impaginazione: Denis Host-Silvani Collaboratori: Arletta Fonio Grubiša, Kristjan Knez, Carla Rotta e Denis Visintin Foto: Arletta Fonio Grubiša e Kristjan Knez

Anno IV / n. 6 7 giugno 2008

Stonehenge: mausoleo dell’antichità per leader preistorici?

Sabato, 7 giugno 2008

La pubblicazione del presente supplemento viene supportata dall’Unione Italiana grazie alle risorse stanziate dal Governo ita-

liano con la Legge 193/04, in esecuzione al Contratto N° 83 del 14 gennaio 2008, Convezione MAE-UI N° 2724 del 24 novem-

bre 2004

Qual è il caso istriano? Tutt’altro che tranquillo. Attorno al 397 i Visi-goti guidati da Alarico scendono at-traverso Emona (l’antica Lubiana) e irrompono in Italia. Grazie al patto stipulato con Stilicone nel 401, i Vi-sigoti si ritirano dalla penisola itali-ca e “omaggiano” del loro ingresso l’Istria e la Dalmazia. Da qui il fug-gi fuggi generale. Nel voler cercarlo, gli archeologi hanno individuato an-che l’elemento ironico. I messaggi da propaganda-pubblicità incisi sulle monetine romane allora in uso era-no SECVRITAS REIPUBLICA – si-curezza della repubblica, REPARA-TIO REIPUBLICAE – rinnovo della Repubblica, SPES REPUBLICAE – speranza della Repubblica, GLORIA ROMANORUM – gloria ai romani, FELIX TEMPORUM REPARATIO – rinnovo dei tempi felici e GLORIA AEXERCITVS – gloria dell’esercito. Saranno stati letti da quell’infelice ro-mano nel buio e all’umidità della ca-verna di Laganiši? Sarà già stata co-scienza che la gloria della nazione e dell’esercito eramo fi nite per sempre ed irreversibilmente?

Ingresso nella foiba dei misteri

Descritta la caverna della vita, merita ora rientrare nel capitolo a parte dell’androne della morte con in-gresso a foiba costituito da due pertu-gi, uno dalla dimensione di 1 x 1 me-tro e l’altro da 30 x 40 centimetri. La discesa attraverso l’apertura maggio-re è di 7 metri in verticale, con altri 5 metri aggiuntivi costituenti l’altezza del vano caverna, ampio 25 metri per 10, riempito di sedimenti umidi ar-gillosi. La stessa è attorniata da tanti spazi minori, da canali con stalagmiti, in ascesa ripida, collegata ad altre ca-verne da 11 x 6 metri e 16 x 12 metri. La superfi cie complessiva della foiba è di 370 metri quadrati. E non si trat-ta di un cunicolo sotterraneo ignoto ai curiosi e agli speleologi: prova di vi-site e incursioni sono delle incisioni e scritte a penna risalenti pure alla fi ne del XIX secolo. Parte dell’inventario appartenente a questo primo strato superfi ciale devastato è stato anche recuperato da parte dell’artista pitto-re Ljudevit Šetić. La vera e propria ricerca in questo specifi co punto è iniziata con misurazioni dettagliate e stesura di piani e planimetrie degli spazi interni, con interventi median-te apparecchio rivelatore di metalli, tanto che sotto strati molto spessi di stalattiti sono sbucati fuori un pugna-le in bronzo, una freccia ed una scu-

re. Perforando e scavando, le stalat-titi hanno dato luce a numerose ossa umane sparse un po’ ovunque, rinve-nimenti in bronzo, ambra, ceramica e carbone, più frammenti di saltaleone, ovvero fi li in bronzo avvolti a spirale in modo da creare anelli, collane, bra-ciali, perle di ambra. Presente anche in questo caso ceramica di elabora-zione più o meno fi ne. Analizzando la situzione ne scaturisce che i resti umani erano in effetti adagiati sulla superfi cie della stanza a caverna ov-vero che non erano stati seppelliti. La sconnessione della posizione prima-ria delle ossa era avvenuta in tempi remoti prima della calcifi cazione.

Tre potevano essere i possibili fat-tori ad avere causato lo spostamento: l’azione umana è del tutto esclusa in quanto le tombe superfi ciali sareb-bero state depredate dagli oggetti in bronzo; l’azione naturale delle acque viene respinta in base ad altro ragio-namento logico. La pressione idrica avrebbe raccolto e ammucchiato le ossa tutte nel punto più basso o le avrebbe ammassate incontrando un ostacolo, il che non fa al caso della foiba. Risulta ipotesi (non accertata) che la devastazione potrebbe essere stata creata da animali, canini, pre-cipitati in loco e che non riuscendo a procurare cibo si sarebbero serviti e accontentati di quanto trovato.

Scheletri con ...patologie preistoriche

Una volta inquadrata la situazio-ne e assemblato i resti dei defunti di Laganiši, l’archeologia è giunta ad un ulteriore interessante ricostruzione. La grotta della morte era una necro-poli databile al XIII-XII secolo a.C. che contava come minimo 12 salme, di cui 4 appartenute ad adulti ed 8 a bambini. Per risalire al sesso dei de-funti è stato applicato il metodo del riconoscimento delle caratteristiche morfologiche della mandibola infe-riore, nonchè delle dimensioni degli elementi ossei presenti. Quanto alla defi nizione dell’anzianità, si è esa-minato il grado di logoramento della dentatura e la comparsa di cambia-menti degenerativi delle giunture e delle vertebre. Per determinare l’età dei bambini i cui scheletri sono stati ricostruiti in maniera quasi integrale, si è ricorso a metodi standard – la cro-nologia della congiunzione delle par-ti ossee, la lunghezza delle stesse e lo sviluppo della dentatura. Nè è scatu-rito che tra i 4 adulti solo uno era di sesso maschile, gli altri 3 erano don-ne. Tutti gli scheletri di bambini erano

appartenuti a individui di età inferiore ai 10 anni: 5 di questi erano decedu-ti prima dei 5 anni d’età, due dove-vano avere sui 5-6 anni, e uno aveva 8/9 anni. Per tre grandi scheletri è sta-to possibile risalire all’età: l’uomo do-veva appartenere alla categoria delle persone adulte d’età media, una delle donne era morta in vecchiaia, l’altra da giovane. La parte più interessante da studiare in caso di rinvenimenti sche-letrici è proprio la dentatura, anche in questo caso determinante non solo per risalire all’età degli inumati ma anche per chiarire le abitudini alimentari, lo stato di salute, l’eventuale presenza di patologie. Alla faccia delle convinzio-ni secondo cui la carie dentale è con-seguenza di consumo di cibi moderni artifi ciali, troppo sofi sticati, le dentatu-re di Laganiši dimostrano che anche la carne preistorica faceva male: negli in-dividui adulti sono presenti in grande numero le lesioni da carie concentra-te in particolare ai molari e tanti denti persi prima del decesso. Uno degli in-dividui, era deceduto dopo aver perso tutti i molari al completo. Fino a prova contraria, la causa delle malattie den-tali erano il consumo di zuccheri abbi-nato ad un’inesistente igiene orale. In una dentatura di scheletro di bambino è stata riscontrata la presenza di un di-fetto ipoplastico che, nel caso delle popolazioni moderne, viene ricolle-gato ad uno status socio-economico di rango inferiore, alla precarietà di sa-lute nonchè alla cattiva alimentazione della madre e del neonato.

Il materiale scheletrico esaminato ha dimostrato anche l’esistenza di ma-lattie, cambiamenti patologici come la “cribra orbitalia” (porosità all’altezza dell’osso frontale) che compare ne-gli individui più giovani in seguito a stress d’anemia (forse per mancanza di ferro ma anche causa altri probabi-li fattori) sofferto nell’infanzia. Nelle colonne vertebrali degli adulti, inve-ce, sono state riscontrate artriti ossee dovute molto probabilmente a nor-male processo d’invecchiamento ed a stress quotidiano. Nemmeno quel-lo degli scheletri è capitolo chiuso. La foiba è stata scrostata solo del suo

strato superfi ciale e in quanto a ritro-vamenti ossei non è sicuramente detta l’ultima parola.

Arredi tombali del bronzo istrianoA voler fornire una descrizione più

completa della necropoli cavernicola manca ancora l’analisi degli oggetti adagiati accanto ai defunti. Rivesto-no importanza particolare i frammen-ti di armi del bronzo: accette, pugnali e frecce rivelatori della ricchezza dei loro possessori quand’erano ancora in vita o della comunità cui erano appar-tenuti. Una delle scuri si ricollega al tipo Freudenburg che di solito compa-re nei siti d’epoca del bronzo e della cultura delle urne cinerarie nelle aree d’Austria, Baviera, Moravia, Cecoslo-vacchia, Ungheria e Croazia. Il pugna-le appartiene al cosidetto gruppo “Pe-schiera” e in base a cronologia italia-na è datato nell’era del bronzo recente (1300-1150 a.C.). La freccia di forma triangolare con gambetto rappresenta, invece, per l’Istria un’eccezione. Le punte di freccia pur essendo accanto all’arco una parte di armamento abi-tuale nell’Europa del bronzo, sono, in effetti, reperti rari. Conosciuti dai tumuli sepolcrali dell’epoca media del bronzo, dai siti di Peschiera, dal-le sepolture cinerarie a Donja Brnjica – Gornja Stražava (Morava). Le parti di ornamenti, quindi. sono molto mo-deste: si diceva manufatti saltaleone, perle in ambra presenti per secoli nella cultura del bronzo istriano. Si suppone che, come in tanti altri casi, l’ambra di Laganiši fosse di provenienza baltica.

Curiosità pertinenti alla ceramica del vano cimiteriale. Il vasellame era sia di grossa fattura con manici enormi ad uso domestico sia elaborato, liscia-to, fi ne con decorazioni. Un frammen-to di questi si suppone appartenuto ad un pitos, recipiente usato per inuma-zione come nel caso della grotta di Santa Croce nel territorio triestino. Al-tri frammenti di vasellame rotondo a bocchino stretto associano subitamen-te al vasellame conico delle tombe ci-nerarie della necropoli di Thalhammer in Austria. Canaletti, sporgenze e pro-

tuberanze sono decorazioni caratteri-striche del vasellame che trova ele-menti comparativi nell’area dei Car-pazi ma anche nella pianura padana. Nell’elenco reperti c’è il colino pro-babilmente usato per diverse bevande ottenute dalla fermentazione di cerea-li e frutta, un frammento di coperchio (il reperto più “giovane” della grotta di Laganiši) piuttosto raro che comun-que trova eguali a Ptuj, al Castelliere dei Ciastiei (Pozzuolo del Friuli, in questo caso datato nella già sviluppata epoca del ferro) e abbastanza frequen-te nel territorio padovano. Ancora va-sellame di dimensione inferiore come tazzine paragonabili a quelle del ca-stelliere di Moncodogno presso Ro-vigno, ad altre dei siti di Nesazio, del Canale di Leme, di Duecastelli, di Tu-ran sopra Valmazzinghi ecc.

Histri importatori di cultura cineraria?

Usi e costumi funebri. È interes-sante sentire la supposizione fi na-le prodotta dall’archeologia secondo la quale gli uomini della caverna di Laganiši potevano essere importatori della nuova cultura cineraria, scon-tratisi con la gente dei Castellieri e ri-fugiatisi in grotta. Tanto di vasellame adagiato attorno ai defunti poteva es-sere una soluzione alternativa, provvi-soria, invece di fungere da urne racco-glitrici di cenere sarebbe stato adibito a corredo. Un modo di consolarsi ed accontentarsi, nel timore di permane-re più a lungo all’aperto, di bruciare le salme allo scoperto, fuori dalla foiba. Dunque, sono probabili usanze fune-bri modifi cate all’occorrenza e adat-tate alle condizioni avverse. I fram-menti di grandi vasi ad uso casalingo e i rinvenimenti di ossa animali apro-no anche l’ipotesi dello svolgimento di particolari liturgie funebri ispirate al consumo di cibi e bevande dopo di che i recipienti venivano infranti secondo rito. La faccenda non è per niente estranea alle tante necropoli cinerarie d’Istria. Erano dunque i pri-mi Histri i veri abitanti cavernicoli di Laganiši nei secoli del bronzo?

Arletta Fonio Grubiša

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