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UN MATRIMONIO ALLA SICULA · non mi offendo mica; si lei non veni faccio livare la sua...

Date post: 19-Feb-2019
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UN MATRIMONIO ALLA SICULA FARRUGGIA MARGHERITA VINCENZA
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Page 1: UN MATRIMONIO ALLA SICULA · non mi offendo mica; si lei non veni faccio livare la sua apparecchiatura dal tavolo». «L’apparecchiatura?» - Ha ripreso Carlo ... aprire la porta

UN MATRIMONIO ALLA

SICULA

FARRUGGIA MARGHERITA

VINCENZA

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INDICE

PREMESSA

1. UN’ESPERIANZA INDIMENDICABILE

2. LA FSTIDICA CENA

3. IL MOMENTO DEI VESTITI

4. OFFERTA DI LAVORO

5. IL NUOVO PORTIERE

6. INCAPACE DI CAPIRE

7. SI RIPRENDE LA SOLITA VITA

8. COLPO GROSSO

9. L’ULTIMA POSSIBILITA’

10. LA CHIESA

11. IL CORSO PREMATRIMONIALE

12. IN ATTESA

13. QUALCOSA STAVA CAMBIANDO

14. ARRIVA IL GIORNO DEL SI’

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PREMESSA

Vi presento Filomena e Gioacchino detto Jachino, due giovani

davvero particolari e singolari. Dopo un lunghissimo

fidanzamento di circa quindici anni, hanno finalmente deciso di

sposarsi e formare una famiglia, anziana, ma una famiglia, in

un momento storico che vede davvero pochissime persone

ricorrere a questo tipo di unione.

L’unico problema che avevano, era legato alle loro difficoltà

economiche, non sapevano come affrontare una spesa del

genere, i familiari erano inesistenti, non gli importava nulla di

loro; lui era stato davvero e sempre nullafacente fino ai suoi

trentacinque anni.

Tanti lavori gli sono stati offerti, ma poche le sue risposte

affermative, perché sempre qualcosa non appariva congeniale

alla sua natura, al suo modo di essere e volersi esprimere.

La fidanzata di lui, Filomena, era una donna di sostanza e con i

suoi vari interventi di chirurgia plastica aveva reso il suo

aspetto più voluminoso e il suo corpo diciamo più comodo ed

accogliente per il suo amato: a partire dalle sue labbra intense e

carnose che assorbivano l’anima di quell’uomo in toto; poi

quel seno, che fungeva da morbido cuscino quando necessario

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e quel fondoschiena, assicurato in tre diverse compagnie,

perché non si poteva di certo rischiare di danneggiarlo, era un

sicuro salvagente in alto mare.

Ora i due piccioncini dopo quindici anni di stare insieme,

hanno finalmente deciso di convolare a nozze, ma restava da

risolvere il problema economico! La ragazza lavorava come

segretaria in uno studio veterinario, ma il suo esiguo guadagno

era pane per chirurghi esperti, che la rendevano ogni giorno più

lontana del suo aspetto originario e lui, disoccupato cronico, in

cerca di un lavoro non so che; poi per finire, lei era stata pure

licenziata senza grosse motivazioni, l’unica che si scorgeva, il

volersi sposare e forse il rischio di un incidente sul lavoro con

il possibile arrivo di un figlio, che l’avrebbe resa incerta nello

svolgimento delle sue mansioni; chissà, magari sarà stato

questo. Ma Jachino un giorno, attratto da un’offerta, ha

accettato di fare lo scrutatore ad un seggio elettorale e già ha

pensato di potersi responsabilmente sposare, dopo trentacinque

anni finalmente aveva accettato un lavoro di quasi tre giorni,

un vero record e solo perché il Sindaco era andato a casa sua

chiedendoglielo per favore, dicendogli che avrebbe donato un

servizio alla Patria, solo così mosso da enorme curiosità, ha

accettato di buon grado; per prima cosa ha scritto una lettera

alla sua amata dicendole che nelle prossime 72 ore non

avrebbero potuto vedersi, perché una missione speciale e quasi

impossibile gli era stata affidata e richiedeva nottate e giornate

lontano dal suo bocconcino preferito e lei ha risposto con un

messaggio dolcissimo: «Non preoccuparti, hai una Nazione da

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salvare, ti capisco, io resterò tutto il tempo abbracciata al poster

con la tua faccia e sarà come averti con me».

La vera stranezza è stata che a consegnare brevi mani quella

lettera alla fidanzata è stato proprio lui.

Finalmente hanno deciso di fare questo passo e accettare il

ruolo di scrutatore per le elezioni secondo lui era una cosa

importante, con tutti quei soldi avrebbe potuto di certo

organizzare quel matrimonio e vivere di rendita per parecchi

anni.

Ma qualcosa di strano caratterizzava la vita di quei due

singolari ragazzi, avevano dei modi di fare davvero fuori rotta,

ma vediamo e conosciamo i particolari che li caratterizzano da

vicino, fino ad arrivare al giorno più felice della loro vita, il lo

fatidico matrimonio, un matrimonio proprio alla sicula.

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1.UN’ESPERIENZA

INDIMENDICABILE

Jachino molto eccitato si è presentato sul posto di lavoro e si

sentiva davvero qualcuno in quella veste di scrutatore, ogni

persona che registrava per dargli quella scheda necessaria a

votare era da lui intrattenuta per almeno un quarto d’ora, con

commenti che, partivano dalla foto del documento, fino ad

abbracciare il loro albero generazionale.

Finite quelle dure giornate delle votazioni, mentre Jachino si

trovava con gli altri colleghi per lo sfoglio, chiedeva

informazioni su quanto avrebbe guadagnato e gli altri non poco

straniti gli rispondevano costantemente a quella solita domanda

che si ripeteva con intervalli davvero brevi, ogni venti minuti e

che otteneva la solita risposta: «Guadagnerai circa duecento

euro, ma ora pensiamo a questo sfoglio, vuoi essere di aiuto?».

E lui puntualmente la medesima risposta: «Sì Signor

Presidente, sfogliamo pure, sfogliamo subito, sfogliamo tutto,

ma con chisti sordi io mi ci sposo!».

E quell’uomo puntualmente: «Ma ti ho già detto che non sono

sufficienti per un matrimonio».

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E lui: «Non bastano relativo, si vaiu dal preti a diri solo un sì

chi sordi ci possunu vuliri, sono sufficenti, eccome».

E Carlo il Presidente di quel seggio: «Ma non puoi, dopo

quindici anni di attesa devi fare un matrimonio particolare e se

come ci hai detto hanno licenziato la tua fidanzata ti serve un

lavoro, per vivere e mantenervi, a meno che vi aiuti

qualcuno!».

E quel semplice ragazzo per così dire: «Non doveva disturbarsi

grazie, voli aiutammi lei? Chi sugnu felici, se voli po' pensare

ai confetti, o i fiori, non so chi preferisci o chi preferiti, potete

partecipare tutti si voliti, non mi offendo».

E Carlo: «Ma io non so se posso essere presente al tuo

matrimonio, sai ho una famiglia».

E Jachino con la sua solita spontaneità: «Ma si Lei non pò

veniri e perdi u pranzo cu i ravioli primavera, u beddru caviale

e pisci friscu alla griglia, poi la torta a deci piani e non so che,

non mi offendo mica; si lei non veni faccio livare la sua

apparecchiatura dal tavolo».

«L’apparecchiatura?» - Ha ripreso Carlo.

E Jachino: «L’apparecchiatura, come la chiama lei Sig,

Presidente tutto l’apparecchiato che nei ristoranti usano pi fari i

tavulina, non mi dica che non ha mai visto una tavola con

l’apparecchio, lei è Presidente pi daveru? Cumu a ficiru

Presidenti se non sapi sti cosi».

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Carlo ha capito che forse era meglio lasciar stare ed ha

continuato ad aprire quelle cartelle delle votazioni, un voto va

a … un altro a … e passati quei venti minuti la solita domanda:

«Scusate quando guadagnerò con questo lavoro, è il primo da

me vita! Che ci pozzu fari du matrimonio con quei soldi».

Ormai tutti dietro un celato sorriso non ne potevano più e non

rispondevano neanche, continuando quella conta che batteva il

tempo, che riempiva lo spazio, che innervosiva Jachino, perché

una risposta costante e perenne lui la voleva di sicuro e ha

ricominciato dicendo: «Scusate, voi non poteti capire davero,

io nun vidu l’ura di sposari la mia Filomena, nun capiti! Avi

labbra che su come petali di rosa, ha speso circa semila euro pi

avilli accussì belle e morbide, gambe come steli di rosa, lunghe

e magri che è na biddrizza, ah! Ha lu senu morbidissimo!

Anche lì c'è ittatu un capitale, assicurato, ho sentitu diri che in

aereu punnu scoppiare e poi … u pezzo forte, un sedere da

paura, fa riminisciri i murti, tunnu e sodo, se volite puzzu fari

vidiri, si vuliti però».

Subito il Presidente: «No grazie ragazzo, non è necessario, per

favore! Abbiamo capito che la tua ragazza è bellissima e ne sei

davvero innamorato ma …».

E subito Jachino: «Ma certu, lei a voli canusciri, se voli a

chiamu subitu e veni di cursa, specie quannu sapi che ni vuliti

iutari cu matrimoniu! Ma nun sacciu ancora chi vuliti pagari,

staiu aspittannu».

Carlo con molta delicatezza e guardandosi con gli altri suoi

colleghi ha detto: «Ma dimmi, perché se la tua fidanzata ha

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potuto spendere un po’ di soldi per ristrutturare qualche cosina

del suo corpo, rendendolo più bello di quanto già non fosse

intendiamoci, non può affrontare le spese del matrimonio?».

Jachino con una punta di rammarico e guardandoli con faccia

quasi mesta ha risposto: «Ma non capiti propriu nenti, chi

laurea avi Sig. Presidente? Io sugnu l’omu di casa e nel mio

paisi, a Sicilia pi capirici, da cui ho dovuto migrari fino a così

lontano, è l’omu che pensa a tutti cosi e porta avanti a

famigghia!».

Carlo ancora: «Jachino, non sei lontano, sei rimasto in Sicilia,

siamo a Enna!».

Jachino: «Lei avi ragione, ma io sono nato a Pergusa!».

Carlo: «Pergusa è solo a un quarto d’ora da Enna, ragazzo,

calmati, rifletti ed ora continuiamo a fare questo benedetto

sfoglio».

Jachino ha fatto una faccia triste e ha detto, la pozzu strazzari

sta scheda? Questu mi fa n’antipatia».

Il Presidente di seggio l’ha subito fermato, avvertendolo che

sarebbe incorso in responsabilità penali.

E Jachino con la sua solita innocenza: «Responsabilità,

responsabilità e a chi interessa che non posso pigliarimi le mie

pi formare na beddra famigghia; sono zito da 15 anni, conosco

tutti i punti neri, brufoli e cicatrici da me Filomena; ci putissi

fari na mappa o na cartina si preferiti, con l’entrati e uscite di

sicurezza ».

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Subito Carlo l’ha fermato e gli ha detto: «Va bene basta,

abbiamo capito e tutti noi siamo disposti ad aiutarti per

realizzare questo tu sogno d’amore; noi tutti insieme abbiamo

deciso di regalarti i confetti, quelli sono già pagati, ora tu devi

provvedere al resto».

Jachino è scoppiato in un sorriso bagnato da lacrime, erano

lacrime di gioia, che sembravano quasi artificiali per la

copiosità ed abbondanza e abbracciando tutti i componenti di

quel seggio ad uno ad uno è tornato dalla sua Filomena per

darle quella fantastica notizia.

Finita quella difficilissima sfogliata e decretato il vincitore di

quel seggio, Jachino ha invitato quei suoi conoscenti a cena,

dicendo loro che quel regalo andava festeggiato in modo

semplice e poco costoso, ma festeggiato; poi voleva far

saggiare loro l’arte culinaria della sua futura sposa; certo loro

non hanno davvero saputo dire di no ed hanno fissato la data

per sabato sera; Jachino davvero eccitato li ha salutati dopo

aver spiegato l’indirizzo presso il quale recarsi.

Carlo e gli altri scrutatori di quella puntata di votazioni,

persone che non si erano mai incontrate prima, sono state

riunite da un giovane semplice ed ingenuo che aspirava a

sposarsi e formare una famiglia e che famiglia! Con la sua ultra

decennale fidanzata.

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2. LAFATIDICA CENA

Arrivato finalmente quel fatidico sabato sera, quelle persone

quasi tremavano al pensiero di quella cena, era stato per loro

molto difficile anche solo condividere quei più di due giorni e

meno di tre in quello che si è rivelato per loro un faticosissimo

lavoro, a causa proprio del collega a loro capitato.

Sono arrivati a quell’indirizzo e salita quella rampa di scale, ad

aprire la porta una donna con una scollatura davvero forte alla

vista, immaginate al tatto, era in grado di creare un solida

distanza, una barriera con l’interlocutore; lei non appena ha

visto i fiori che hanno portato quegli ospiti li ha presi e messi

nella caraffa dell’acqua posta a centro della tavola e si pensa

fosse l’acqua che avrebbero dovuto bere, era proprio l’unica,

non c’era vino o altra bevanda; hanno cominciato a chiedersi se

avrebbero realmente mangiato qualcosa!

Jachino ha strappato la guantiera di dolci dalle mani di

Carmelo, l’altro scrutatore, per poi poggiarla sul mobile.

Si sono seduti, hanno cominciato a chiacchierare del più e del

meno e poi hanno ringraziato per il dono fatto loro dei confetti

e come segno di gratitudine hanno voluto mostrare il menù che

avrebbero voluto scegliere al ristorante e Jachino ha cominciato

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a introdurre e mostrare loro le succulenti pietanze, che

avrebbero arricchito il loro banchetto di nozze.

Quell’uomo di casa è entrato con un piatto pieno di crostini di

pane e in quelli lui ha spiegato la diversità degli stessi e dei

gusti, dal caviale alla tonnata, dal pesce spada affumicato con

succo di limone all''aragosta e quella descrizione ha fatto venire

davvero l’acquolina in bocca a quegli invitati, ma loro in realtà

su quella tavola hanno solo visto pane senza nulla, ma gli

pareva davvero male smontare quel convincente discorso, i due

ci credevano così tanto! Così hanno assaggiato quei crostini e

ognuno sottolineava il sapore preferito, Carlo addirittura ha

detto di preferire la tartina al salmone!

Dopo Jachino è passato ai primi e si è presentato con spaghetti

bianchi e penne bianchissime e nel presentare quel menù, ha

spiegato come gli spaghetti ai frutti di mare con sughetto rosso

potessero deliziare il loro palato, ha poi parlato delle pennette

al ragù di pesce che avrebbero arricchito il gusto precedente e

poi ad ognuno ha detto: «Forza, mangiati e dicitemi se la me

scelta è fina o sopraffina comme a me signura».

Anche in quel contesto hanno visto dinanzi a loro solo un po’

di pasta bianca, diversa solo nella forma, ma non potevano

deludere le aspettative di quella stranissima coppia, davvero

singolare, davvero strana e così hanno mangiato di gusto e

qualcuno persino ha detto, che gli spaghetti ai frutti di mare

erano la fine del mondo e non poteva esistere un primo

migliore e più prelibato, anche se un certo timore li

attraversava quando Jachino si è diretto in cucina per portare i

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secondi piatti, infatti quando è entrato con quel foglio A4 che

riportava tre tipi di secondo e tre contorni minuziosamente

disegnati e colorati alla perfezione; non parliamo di quando

quel ragazzone ha chiesto ad ognuno cosa gradissero, i volti

sono diventati bianchi ed ognuno ha risposto: «Per me nulla

grazie, sono davvero sazio con gli antipasti e quei favolosi

primi mi sono riempito troppo, non ci entra più niente».

Anche gli altri hanno confermato, dicendo addirittura che non

si dovrebbero inserire i secondi in un trattenimento, perché

risulta un vero spreco. Jachino a quelle parole ha messo via

quel foglio e rivolto alla sua bella ha detto: «Mia cara, hannu

proprio ragiuni, talìa è rimasto tutto, è vero uno spreco; amore

portilo in cucina e lo mangiamu dumani a pranzo, accussì tutto

sarà già pronti».

Finalmente sono passati a quella ricca guantiera di dolci e c’era

il ben di Dio e una volta aperta, quei due fidanzati si sono

catapultati come su un trampolino di lancio di una piscina

olimpionica, sembravano davvero tanto affamati dopo quella

grandiosa cena di nozze, però!

Finita quella cena Jachino ha chiesto se preferissero un

digestivo ed ognuno ha scelto tra limoncello o amaro, ma alla

fine quel bicchiere d’acqua che ne era la base e che proveniva

dalla caraffa con i fiori messi a bagno, era colorato da

Filomena con giallo o marrone scuro in base alla preferenza e i

prodotti utilizzati per fare quella colorazione non possedevano

spiegazione o provenienza, natura o commestibilità, quasi

come i nostri politici!

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Finita quella cena sono andati ognuno nelle proprie case, dopo

aver ringraziato per l’ospitalità e straniti non poco da quella

strana e bizzarra coppia, si chiedevano come e con la stessa

intensità di un martello pneumatico che fa violenza al cervello,

possa esistere ancora questo tipo di gente nel nostro secolo,

singolari per motivi svariati e non sempre riconoscibili.

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3. IL MOMENTO DEI VESTITI

Ora quei due futuri sposi avevano i confetti e duecento euro in

tasca e subito Filomena ha detto al suo amato: «Ma sinti Jachì,

m'avissi a fari u nasu, chi dici?».

Lui con molta spontaneità: «No Filomé,u nasu no, i ducentu

euru nun bastanu mancu pi na nasca sula, chisti sirvinu pu

matrimoniu!».

«Va bé - ha risposto lei ed ha ribadito: «Ma amuri mi, chi ci vo

fari cu sti sordi pu matrimuniu?».

E lui: «amuri miu, siccomu su fruttu do travagghiu e suduri du

to omu, cu chissi accattammu i vistita oggi stessu!».

Lei con un sorriso abbastanza espanso ha sogghignato: «Che

bellu, t'amu assai, ci vugghiu iri subitu, nun vidu l'ura, ma

prima u miu però, a essiri cavaliri».

Lui come sempre ha calato la testa dicendole che nulla poteva

obiettare, lui era nato cavaliere e si sono diretti verso il centro,

dove i negozi erano davvero tanti.

Arrivano al primo negozio e vedono degli abiti da sposa

indossati da vari manichini, lei li guardava e ha fermato lo

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sguardo su un vestito a tubino e con il davanti trasparente e

pizzo e ha chiesto alle commesse di poterlo provare, ma subito

la ragazza le ha detto che con il seno che aveva lei, non era

proprio il caso, non era un vestito adatto; lei ha accettato il

consiglio passando oltre, ma non decideva e Jachino stava

uscendo pazzo, così la ragazza le ha detto: «Se mi permette le

dirò io cosa potrà indossare e ha cominciato a farle provare

degli abiti più adatti, fino a quando è rimasta incantata da due o

tre vestiti, che non ha mostrato al suo fidanzato per evitare che

fosse colpita dalla sfortuna, essere vista prima delle nozze! Lei

ha chiesto il prezzo che invece ha mostrato al suo Jachino,

perché doveva pagarlo e i costi oscillavano dai 1.500 euro ai

2500 euro, la donna ha chiesto uno sconto ottenendo un prezzo

finito di 1.300 per il primo e 2000 per il secondo! Filomena ha

detto bello chiaro: « Caruseddra, nun ci simmu propriu, nui

avemmu solu ducentu euri, quarche zero si deve livari, mi deve

truvari un vestitu, perchì mi debbo spusare!».

Ha voluto provare altri dodici vestiti, nonostante quella ragazza

le avesse consigliato di cambiare proprio tipo di negozio,

perché fare sparire lo zero non si poteva affatto; la cifra degli

altri non si distaccava molto dalle prime e ancora alle otto di

sera, giunti alla chiusura, lei cercava un vestito che potesse

essere contenuto nelle 150 euro, con uno zero in meno, ma

senza riuscire.

Sono tornati a casa abbastanza afflitti, non aveva trovato il suo

vestito o meglio ne aveva trovati tanti, ma senza poterne

comprare neppure uno e diceva a Jachino: «Ma pirchì si

accussì poviru, dopu trentacinqanni dun fari nenti finarmenti ti

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decidi a travagghiari e chi guadagni, sulu ducentu euri, chi

miseria!».

E lui: « Tesoru miu nun diri accussì, iu ti vugghiu vidiri felici u

sai; ma un ti putissitu vinniri un pocu di siliconi, ci putissimu

recuperare quarcosa!».

E lei: «Ma cu si l'ava accattari di secunna manu, e iu nun fussi

chù a stessa?».

E lui: «Nenti amuri mi, ha ragiuni, mi piaci la to naturalità».

L’indomani hanno girato altri tre negozi sia per la sposa che

per lo sposo, i prezzi erano troppo alti e stavano facendo uscire

pazzi i titolari e proprietari vari; nell’ultimo negozio Filomena

ha fatto una scenata ed ha gridato: «Siti veru tinti, nun mi vuliti

fari maritari!».

La titolare di uno di questi negozi pur di non sentirla più e non

vederla tornare mai più nel suo elegante negozio, perché quella

donna ne stava distruggendo il buon nome e l’immagine - così

importante ai nostri giorni e nella società in cui viviamo, fatta

spesso di apparenze e nient’altro - le ha detto: «Venga, le dico

una cosa sottovoce, quello che cerca per lei e il suo futuro

marito lo troverete facilmente dai cinesi, andate là, hanno cose

molto più belle rispetto alle nostre, molto più economiche e

ormai comprano tutti là!».

Loro hanno voluto accettare quel graditissimo consiglio e si

sono recati nel punto vendita orientale più grosso della città;

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hanno visto vari vestiti eleganti da cerimonia e dopo diverse

prove hanno finalmente trovato quello che piaceva loro.

Lei ha preso un vestito rosa pesco con fiori sul davanti e un

sotto ricco di balze, sembrava davvero una barca a vela in

partenza verso l’oceano aperto, per non tornare indietro,

metteva in luce e risalto tutte le sue doti corporee e non.

Poi ha abbinato dei tacchi davvero mozzafiato, per Jachino era

proprio una sposa stupenda.

Finito con lei hanno cercato per lui, hanno trovato un vestito

molto elegante, era grigio metallizzato e luccicava di vari

colori in base alla luce che lo colpiva. Le scarpe rigorosamente

tipo acciaio, era davvero un super eroe, l’eroe di Filomena.

Arrivati alla cassa il totale era 175 euro, mancavano ancora 25

euro e lui le ha detto che con quelli potevano fare il viaggio di

nozze ed il cinese che era alla cassa, nonostante il suo non

perfetto italiano e poca conoscenza del loro siciliano gli ha

detto: «Sì, Potete gilarci il mondo, se volete dietlo la colsia

due, vendo dei mappamondi a soli 24,90 e vi lestano pule dieci

centesimi per la colazione».

Loro erano tentati, ma poi hanno deciso di prendere e ritirare il

loro resto da quel bancone, sono usciti felici e svolazzanti

come fringuelli.

Tornati a casa erano davvero contenti e lei ha cominciato a dire

al suo fidanzato: «Non è chi ora cuminci a cuntari a tuti unni

accattaiu u vistitu e quantu custà, a diri chi u fici veniri ni

Milanu, da megghia atellié d'Italia, mi raccumannu!».

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Ha ribadito lui: «Ma allura cara futura mugghieri, avissitu a

diri chi u pigliasti a Roma, chiddra è sicuru in Italia, Milanu un

mi ricurdu e un sugnu sicuru chi è na città italiana !».

E lei: «Forse ha ragiuni, commmu sempri amuri mi, dicu a tutti

chi veni di Roma, anzi no di Roma, vugliu diri chi veni du

Vaticanu direttamenti chi dici tu, e dicu puri chi è binidittu du

Papa!».

E lui: «Ora sì, u Vaticano è sicuru italiano, pirchì si trova a

Roma, anzi pi essiri precisu avissi a essiri un quartiti romanu!».

E lei: «Bravo amuri mi cumu si priparato, allora dsicimmu

accussì».

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4. OFFERTA DI LAVORO

L’indomani qualcuno ha bussato al loro campanello ed era

proprio Carlo, il Presidente di seggio conosciuto durante quegli

scrutini, durante il seggio elettorale; Jachino subito l’ha fatto

entrare e l’ha salutato: «Buongiorno Sig. Prisidenti, chi pozzo

fari pi Lei?».

Carlo felice in un certo senso di fare del bene gli ha detto: «Ti

ho trovato un lavoro, i tuoi problemi sono finalmente finiti, ora

sì che potrai organizzare un gran bel matrimonio, che ne

pensi?».

Filomena con una scollatura un po’esagerata e quasi colpendo

per la gioia quell’ospite ha gridato: «Ma iè meravigliosu,

faremu un matrimoniu cumu quello du principi Will!».

Carlo l’ha corretta delicatamente dicendole: «William, non

Will».

«Va bene comu dici lei Sig. Prisidenti, u matrimoniu di lui con

la sua Cata!».

E quell’uomo pazientemente: «Principessa Kate, non Cata, una

gran bella ragazza».

E Filomena: «Certo non beddra cumu a mi, ma si pò taliari, u

ma Jachino dici di preferiri sempre a mi; l’antru iurnu ci ho

chiesto: preferisci Cata di Will o a mi? E iddru mi dissi, ma a ti

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amuri miu, nun c'è paraguni; poi ci ho chiesto si preferiva Anna

cuway o a mi e mi detti a stessa risposta!».

E Carlo: «Anne Hatway, l’attrice?».

E Filomena: «Sì,sì, s sarda sicca; poi non parliamo della

Parretti, nun ci piace propriu, pirchì è tutta rifatta, labbra, seni,

culo; ma che schifo, uno si devi accettari pi comu è!».

Carlo: «Capisco, sta parlando di …».

Filomena: «Basta con sté correzioni, Parretti va bene!».

Carlo: «Va bene Parretti, come dice lei, ma lei non era

favorevole ai rifacimenti ristrutturanti in qualche modo?».

E lei: «Certo, quannu si tratta di migliorare chiddru ca è già

fantastico anche iu sugnu d’accordo, ma no quannu quarcunu si

deve rifare di tutta sana, pure u signor chirurgo mi detti ragiuni;

sono andata du stesso della Parretti e mi dissi, chi si sintì

costretto a farici l’interventu, pirchì cu i sordi da Parretti aviva

a cattari li omogeneizzati a u figliu pu svezzamentu, ma nun lu

vuliva fare, ci aberrava. Quannu inveci l’ha fatto a mi era

troppu cuntentu».

Carlo era davvero stonato da quei discorsi e con mano forte ha

cambiato discorso dicendo:«Passiamo all’argomento principale

della mia visita, ho preso a cuore la vostra storia e sono venuto

ad offrire un lavoro a Jachino, perché possa appagare il suo

sogno, quello di diventare un capofamiglia responsabile ed

autonomo, in grado di mantenere la sua sposa e i figli che

arriveranno».

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Subito Filomena gli ha detto: «Figghi? E dove va a finire la

beddra ristrutturazione chi fici, i figghii ammazzanu u corpu e

io vogghio ristare bellissima come sugnu ora; poi vidimo, forse

mizzu o quasi uno, vidimu chi si pò fari e magari si lo

farebbimo fuori do me corpu, pozzo vedere in laboratorio o se

quarche disperata voli guadagnare un centinaio di euro e lu teni

nu so utero, quannu nasci mu pigghiu».

Carlo: «Ma solo per la forma fisica non è una bella cosa farlo

crescere un figlio nel grembo di un’altra donna, per lei sarà

doloroso distaccarsi poi dal bambino e il piccolo chissà quali

traumi e sofferenze; non è un buon motivo solo per conservare

la forma fisica!».

E lei: «Si avi traumi u facimmu operare, lei non si deve

preoccupare, ma iu restu beddra e sempri giovani».

E Jachino: «Ma cara ti sta preoccupannu? Vedi che

uSig.Prisidenti è venuto pi ridarimi un postu di lavoru? Quannu

u to corpu andrà in rovina ricorremmo au nostru amico mani

d’oro e cu un po’ di silicone di qua e di dra turni cumu nova,

pensa che galleggi pure ni l'acqua e mancu affunni in viaggio

di nozze a crociera chi ti vugghiu arregalari bocconcino mio!».

E lei: «Ma tu si un genio, pi chistu ti spusu!».

Carlo non osava di certo contraddire quelle parole ed è passato

concretamente al lavoro che avrebbe dovuto fare, ha cercato di

spiegarsi molto bene!».

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Jachino al solito: «Dica Sig. Prisidenti, l’ascolto; di che

travagliu si tratta!».

Carlo con molta eleganza che lo caratterizzava come uomo ha

cominciato a spiegare: «Il lavoro consiste nel fare il custode o

portiere se preferisci in un signorile palazzo, c’è tra i

condomini persino un importante Giudice.

Jachino: «Ah, interessanti come travagliu, mi sono sempre

addumannatu comu su sti cristiani di presenza, mi piaci;

comunque ci vuliva diri che ho sempre rifiutato molti travagli,

questo lo pigghiu sia pa stima che ho pi Lei, sia pu fattu di

vuliri responsabilità e divintari un bon capofamigghia, accetto

Sig. Prisidenti, accetto».

E Carlo: «Bene, domani vieni a questo indirizzo così ti

presento a chi di dovere e ti spiegherà ogni cosa, mi

raccomando la puntualità; io ho garantito per te, spero non mi

deluderai!».

E Jachino: «No Sig. Prisidenti pò stari tranquillu, mi dovesse

cadere la manu ora stessu, sarà orgogliosissimo di me, grazie

Sig. Prisidenti!».

E Carlo: «Va bene ora vado e non chiamarmi più

Sig.Presidente, perché non lo sono, chiamami solo Carlo».

E Filomena: «Grazie Sig.Carlo, ci siamo debitrici pi tutta la

vita!». E lui: «Debitori Filomena, debitori!».

E lei: «Ma io sugnu fimmina, quindi debitrici, pirchì è pure

plurale».

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E Carlo: «Va bene, ora vi saluto torno a casa, mia moglie mi

aspetta».

Si sono salutati e Jachino e Filomena hanno parlato tutta la

notte di questo fatto e lui non perdeva occasione per ribadire

alla sua futura sposa che, essendo un uomo molto intelligente,

nessuno poteva fare a meno di lui, addirittura il portiere di un

prestigioso palazzo, cose che succedono solo nei film.

Dopo aver cenato sono andati a letto ognuno nella sua stanza,

perché ora che si apprestavano a convolare a nozze, non

potevano coricarsi insieme come i precedenti quindici anni,

dovevano vivere in castità; avevano pure il vestito con la

benedizione del Vaticano!».

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5. IL NUOVO PORTIERE

L’indomani Jachino ha messo il vestito azzurro e blu con

camicia gialla e papillon verde pistacchio, doveva essere

davvero elegante per il suo nuovo lavoro e ci stava provando

seriamente, nonostante il suo pessimo gusto.

Giunto presso quel palazzo davvero molto elegante si è diretto

all’ingresso e ha trovato lì il capo condomino e il Responsabile

di quell’impiego per formalizzare ufficialmente l’incarico; gli

hanno mostrato la cabina a vetri posta fuori dal palazzo in cui

doveva stare vigilante come un falco.

Dopo aver ringraziato quelle persone con modi davvero

singolari, è tornato a casa per informare la sua dolce metà che

l’indomani avrebbe iniziato il suo lavoro e per festeggiare un

bel brindisi analcolico “acqua di rubinetto”.

L’indomani stessa divisa, ha cambiato solo il papillon,

mettendolo di un rosso fuoco e si è insediato nella sua

postazione con un’alterigia quasi comica.

Qualche condomino di corsa a lavoro è rimasto quasi

abbagliato da quel rosso del farfallino, lui con sorriso quasi a

stampa, salutava ogni persona che entrava e usciva come un

fulmine, certo, non capiva come e perché corressero in quel

modo, una frenesia che lo lasciava con mille interrogativi nella

testa.

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Lui cercava in tutti i modi di salutare e scambiare due parole

con quella gente che, scappava come rincorsa ed impazzita, ma

non riusciva quasi mai a intrattenere un discorso di durata

superiore ai 30 secondi.

Provava a fermare qualcuno per parlare, almeno per presentarsi

e farsi conoscere, ma la risposta quasi all’unisono era: «Scusi

ma vado di fretta, sono in ritardo a lavoro e … devo lasciare la

bambina a scuola, il vestito a smacchiare, il cane al dog-sitter,

la macchina a lavare e …».

Jachino a quella raffica di parole, che di dialogo non avevano

proprio niente gli ha detto: «Vadi, vadi, che già due o tri cosi ci

sataru».

Poi ha provato a salutare ed essere gentile con una donna

elegantissima tipo manager, presa fin sotto casa dal suo autista

e lui: «Buongiorno signora è un piaciri, io sugnu u novu

custodi du palazzu e sugnu cuntentu di potilla canusciri!».

Lei senza neanche fargli completare il discorso l’ha bloccato

dicendogli: «Mi perdoni ma la devo licenziare, ho davvero

molta fretta!».

E lui: «No signù pi favuri, su sulu due ori ca travagliu e mi voli

già licenziare? E buttandosi ai suoi piedi le ha detto: «La pregu,

pi favore non mi licenzi! Stu lavoru mi servi pi sposare la mia

beddra Filomena, la prego!».

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Lei molto infastidita: «Si tolga di mezzo, era solo un modo di

dire » - e poi andandosene bisbigliava con la sua sigaretta in

mano”ma dove li trovano certi elementi”.

Gli unici del palazzo che parlavano con lui erano gli anziani

che uscivano a fare una passeggiata, ormai padroni di un tempo

pieno, che non sapevano come ammazzare; un modo divertente

era parlare con quel bizzarro nuovo portiere di quel palazzo, di

cui lui si sentiva l’eroico guardiano, sempre a porgere a tutti la

sua mano.

Mentre Jachino sonnecchiava un pochino davanti al suo

programma TV preferito, ha visto spuntare la sua morosa che

gli stava portando il pranzo; lui di questo era felice e sconvolto

e passandosi la mano tra i capelli un po’ secchi, quasi

un’erbaccia che gli faceva da casco l’ha abbracciata, ha aperto

subito il sacchettino e ha trovato dentro pane e cipolla! Nel

vederlo subito si è lasciato andare ad un commento davvero

simpatico: «Futura moglie, già accatti mangiari di classe,

ancora ha pigliari u ma primu stipendio!».

E lei: «Pigliavu li vinticinqu euro ca ristaru dopu i vistita, nun

ti preoccupari!».

E lui: «Un po’di pane e cipuddra custà vinticinqu euro? Nun si

pò chiù davvero campari!».

E lei: «Ma no, chiddru u pigliavu gratis; li vinticinqu euro li

spinnivu dill’estetista per na maschira relax; aviva a facci

troppu stressata, china troppo di smog e vistu chi, ora si n'omu

rispettabili, responsabili e distintu, ha aviri na fimmina a latu

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chi nun ti fa sfigurari! Talia la me pelle morbida e liscia, tocca,

u sinti? Chi putivanu diri l'abitanti di stu bellu palazzu si viniva

ni ti a prima vota cu a marmitta supra l'ucchiu destru, u muturi

na facci e l'ugghiu di scaricu abbrusciatu supra a vucca?».

E lui: «Certo amuri mi, hai propriu ragiuni, anche si ni stu

palazzu currunu accussì assai chi mancu ti vidunu, autru chi i

segni du smog; l'unici ca si fermanu un pocu, gli unici che si

soffermanu un pochinu a parlare hannu forsi 90 anni e pinsu

chi nun hannu a vista pi viditi u smog, non l' aiutanu l'occhi pi

studiariti tesoru miu, ma ormai nun ci fa chiù nenti, io ti vugliu

a fimmina chiù felici o munnu e vogghiu ca tutti i to desideri

s'avveranu, nun ti preoccupari amuri miu!».

Lei l’ha abbracciato e l’ha riempito di baci com' era solita

quando otteneva qualcosa, ma qualcuno ha interrotto quel

momento di coccole, infatti due tizi ripetutamente dicevano:

«Scusate se vi interrompiamo, ma abbiamo bisogno di

un’informazione!».

Jachino immediatamente a quelle parole: «Prego, mi aviti a

scusare, ma sapete lei sarà me muglieri molto presto, guardate

che beddra senza chiù fumo supra a peddri pulita, liscia e

limpida comu na valle d’olmo!».

Uno di quei due uomini ha cominciato ad avere il sospetto che

Jachino non fosse il massimo dell’intelligenza e mentre

completava e dava senso a quei pensieri, Jachino ha detto:

«Dicetemi pure signori, Jachino a vostro servizio!» – e ha fatto

un inchino con doppia giravolta, era contento, finalmente

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qualcuno sostava con lui, aveva bisogno di lui e poteva

rendersi utile!

Ma quei due alla vista di tutto ciò hanno fugato ogni dubbio,

era davvero cretino!

Ma per quelle persone questa cosa era davvero vantaggiosa,

infatti si sono presentati come Arsenio e Scoppio,

sogghignando alla faccia stranita di Jachino che di tutto punto

ha detto: «Piacere di conoscervi!» - ma nel farlo ha ripetuto i

loro nomi con una normalità devastante.

Dopo le presentazioni e convenevoli, i due uomini hanno

lusingato i due fidanzati per accattivare la loro simpatia e dopo

un’ora buona di chiacchierare e dopo aver offerto loro il caffè

al bar per coprire quella cipolla, che aleggiava dalla bocca di

Jachino, in cerca di vittime da stendere, hanno chiesto quella

benedetta informazione e cioè: «Jachino, essendo tu la persona

più importante di questo palazzo, il capo, volevo chiederti se

qui vive un Giudice di nome …».

Jachino subito: «Cetto, lui vive qa o quintu pianu».

Loro ancora: «Ma dicci una cosa bravo ragazzo, siccome

dovremmo sistemargli una finestra rotta e la vuole fatta mentre

lui non è a casa, potresti dare un occhiata e riferirmi tra due o

tre giorni quali sono le sue abitudini?».

Jachino come uno stupidino: «Certo, con veru piaceri finestrai

o finestrelli, ma se volete chiù cettezza potete chiedere a lui, io

travagliu ca sulu di na iurnata e mancu finuta!».

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E loro: «No ragazzo, non possiamo, perché la sorpresa che

vogliono fargli non sarebbe più una sorpresa! Capisci e se tu ci

aiuterai avrai un bel regalo, una bella mancia extra al tuo

lavoro fatto con perfezione e potrai sposarti prima con la tua

fantastica fidanzata; allora ci vediamo fra tre giorni, tu appunta

ogni cosa e poi ci dirai; vedrai che finestra sul mondo avrà il

Giudice!».

E lui: «Va beni, sarà un piaciri pi mi aiutare gente onesta come

voi, che campa cu sacrificiu du propriu lavoru, non

preoccupatevi, contate pure su di me, a presto».

Sono andati e lui ha continuato parlare un po’ con la sua

fidanzata esortandola ad andare, perché non lo faceva

concentrare con il suo lavoro e lei da brava e ubbidiente

ragazza è tornata a casa, preparando al suo amato per la sera

dopo quelle bubboniche fatiche una zuppa d’aglio, in grado di

far risuscitare i morti dalle tombe, era davvero rinomata la sua

arte culinaria, capace di far tornare la vista ai ciechi, l’udito ai

sordi.

Lui ha cominciato a sistemare la sua cabina e le sue poche

cose, ha spento la TV, ha chiuso quella porticina e si è diretto

verso casa e sentiva nel cuore un strana soddisfazione, mai

sperimentata, nuova, lui era finalmente una persona valida, era

il portiere di un palazzo e con quel farfallino rosso si atteggiava

da gran cavaliere del nostro secolo, che cavalca l’onda della

vita e questa finalmente le sorrideva, come chi si è accorto di

lui, l’eccelso, gigante e fantasmagorico Jachino!

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6. INCAPACE DI CAPIRE

Pure il giorno dopo Jachino ha cercato di svolgere

meticolosamente il suo lavoro e come a lui richiesto dai quei

cordiali signori, ha segnato gli orari di movimento del Giudice;

era davvero contento, perché pensava in cuor suo di fare molto

bene il suo lavoro, era cordiale e sorridente con tutti, pure con i

fuggitivi dalla vita, pure con chi correva per cercare di essere

più veloce del tempo che, puntualmente li fregava all’arrivo!

Non si poteva vincere contro di lui, era un corridore nato e noi,

piccoli puntini e formichine occupiamo uno spazio minuscolo

sullo spazio della terra.

Così come gli avevano detto, quei due tipi sono tornati da

Jachino per chiedere quelle informazioni sul Giudice e lui tutto

soddisfatto ha tirato fuori un quadernetto in cui erano segnati

tutti i movimenti e con diversi colori d’inchiostro: il rosso per

indicare gli orari, il blu per indicare i posti ed il nero per i

momenti in cui era a casa ed ha pure appuntato gli impegni

dell’indomani, perché quel portiere l’aveva chiesto al Giudice

personalmente e lui gli aveva cordialmente risposto dicendogli:

«Domani sono tutto il giorno a casa perché devo occuparmi di

un caso molto serio di mafia e devo lavorarci su tutto il giorno,

ma la mia scorta ti farà compagnia!».

Jachino gli aveva detto che l’indomani sarebbe stato il suo

giorno libero e che avrebbe accompagnato la sua metà a

sbrigare altre cose per il matrimonio, come scegliere il locale».

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Dopo i cordiali saluti di quell’uomo non di molte parole,

Jachino ha parlato un pochino con uno della scorta

chiedendogli perché fossero sempre appresso a lui; loro hanno

cercato alla meglio di spiegarglielo, ma certo Jachino era

lontano da tale realtà e facendo finta di capire li ha salutati ed è

tornato a casa. Di tutto questo ha raccontato ogni cosa a quei

due che gli hanno detto: «Sei stato davvero bravissimo, quasi

un professionista, dovremmo prenderti con noi; quindi non ci

sarai domani quando verremo a sistemare la finestra al

Giudice!».

E Jachino: «No, nun ci sugnu, ma voi avete detto che volivavu

farici na sorpresa, allora non dovite vinire domani, perché lui è

a casa, viniti dopodumani, è in Tribunali, migliu n'altro

iurnata!».

E loro: «Hai ragione caro Jachino, vedremo di venire

dopodomani, così ci sarai anche tu; ma mi raccomando, acqua

in bocca!».

Al solito Jachino finita la sua giornata con più o meno incontri

di vicinato e dopo quella faticosa giornata, ad aspettarlo a casa

Filomena con la sua cena succulenta! Quale profumo

inebriante, quella donna l’aveva proprio preso per la gola.

L’indomani sono usciti per girare e trovare qualche locale e

vanno prima in quelli più raffinati, certo al vedere i vari

ambienti e chi li frequentava, si sentivano un po’ distanti, ma

comunque si sono fatti fare dei preventivi, sia con pesce che

con carne fino ad arrivare al solo menù di carta senza portate

materiali, ma persino il costo di condurre lì gli invitati, farli

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sedere e rialzare, non potevano farlo. Girando, si sono fermati

in una trattoria e il costo era ottimo e il menù grazioso, loro

conoscevano il proprietario Gaetano, uomo molto gentile e

affabile, poi oltretutto era un posto sempre molto affollato,

perché lì si mangiava davvero bene; quando il proprietario gli

ha chiesto quanti fossero gli invitati dato l’esiguo spazio

Jachino ha risposto: «Ancora nun lu sacciu, ni stu mumentu

sulu iu e la me futura muglieri, nun sacciu si veni puru u preti;

li restanti invitati ancora l'ha truvari» - poi ha detto al

proprietario del locale: «Sintissi ma è scortese falli pagare a

ognuno u so? Nun sacciu si lu vugliu offriri, è davvero nu

sprecu!».

Gaetano guardandoli in modo strano ha risposto: «Faccia lei,

come desidera, il suo matrimonio dovrebbe essere un momento

di gioia e quindi potrebbe anche offrirlo, almeno alla sua futura

moglie, ora ha pure un lavoro come mi ha raccontato; mi faccia

sapere solo se sarete due o più!».

Jachino: «Va beni ciù sacciu diri, ma mi raccumannnu, vugliu a

sala granni cu nu bellu tavulu imperiali!».

E quel signore: «Ma questa è una trattoria non facciamo tavoli

imperiali, ha visto lo spazio».

E Jachino: «Va bene ciù fazzu sapiri, mi da u nummeru ti

telefunu».

Quel gentile signore gli ha dato il bigliettino e lui: «Ma si pò

chiamari a carico suo, doviti affriri tutti i servizi e essiri

all’avanguardia, mi raccumannu; ci sentiamo in futuru, na bona

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serata e cumencia a fare a spisa pi i cosi che desideru mangiare,

arrivederci».

Giunti a casa e accendendo la televisione hanno visto che

facevano un TG speciale e parlava di un attentato al Giudice

del suo palazzo.

La fidanzata chiamandolo gli ha detto: «Ma chissu nun è u

palazzu dunni travagli tu?».

E lui:«Sì è propriu iddru».

Non ha finito di finire quella frase che ha sentito qualcuno

bussare alla sua porta, lui va ad aprire e si ritrova dinanzi quei

due tizi, quelli che gli avevano chiesto informazioni sul

Giudice; entrano senza fare complimenti e per quanto un po’

scemo qualcosa non gli torna.

Jachino gli chiede :«Ma chi faciti vui ca, finistivu già cu a

finestra del Sig. Giudice e cumu u sapivavu unni abitu?».

Loro con un sorriso davvero ironico gli hanno detto: «Noi

sappiamo tutto di tutti ed abbiamo sistemato la finestra del

Giudice e pure lui, è venuta davvero bene ed ora ci chiedevamo

se anche voi avete bisogno di qualche riparazione!».

Jachino quasi impaurito nonostante la sua semplicità se così la

si vuole chiamare gli ha detto: «No grazie, non sia che come u

Giudici … no grazie; mancu finistivu di sistemari sta finestra

chi stava murennu, nun sacciu cummu sta? Ma non vi dovite

preoccupari, perchì io aiu tutti i finestri nuvi, li fici da pocu,

nun mi servi nenti, ma grazie u stessu».

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E loro: «Noi siamo qua proprio per questo, per ricordarti che il

lavoro della finestra e le nostre facce tu non le hai mai viste né

sentite, non devi parlarne davvero con nessuno; se commetterai

il minimo errore ti troveremo pure in cima al mondo e non

potremo farti vivere la gioia e l’emozione del matrimonio, ma

possiamo farti solo una finestra nuova, ci siamo capiti e spero

sia chiaro per entrambi!».

Dopo essere andati via la fidanzata ha cominciato a mangiare le

unghie e dirgli: «Ma allora nun eranu finestrai, no no!».

Il fidanzato gli ha risposto: «Nun si dici finestrai, ma

finestrelli; no, penso che nun eranu, ma chi diavulou su allura e

chi ci ficiru o Giudici!».

Manco ha finito di pronunciare quella frase che ancora ha

sentito bussare a quella porta, va ad aprire con una certa

titubanza e si ritrova dinanzi la polizia.

La fidanzata dallo spavento vede scoppiargli il labbro

posteriore, la bocca le si trasforma modificando pure

l’espressione del suo viso, è angosciata, tale incidente proprio

prima del matrimonio!

Il poliziotto entra e si sgomenta dinanzi ad un tale spettacolo e

il fidanzato vedendola in quelle condizioni le chiede: «Cara,

chi ti successi, sentivu nu rumuri comi di scoppiu, tutto a

postu?».

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Lei con difficoltà pure nel formulare le parole ha risposto: «Mi

è scoppitu u siliconi di la vucca, troppi emozioni! Ti diceva chi

stu lavoru era pericoloso e t'avivanu a dari l’indenno!».

Interviene il poliziotto dicendo: «L’indennità di rischio signora,

ma di solito non la danno ad un portiere di un palazzo, perché

non rischia nulla!»

Lei ha risposto: «Ma vuatri chi vuliti, chi ci faciti ca! A mi mi

pari chi dopu mancu se iorna di travagliu me maritu rischia

assai; troppi cristiani e troppi testi!».

Il poliziotto dopo aver chiesto garbatamente se poteva sedersi

un attimo, ha cominciato a fare delle domande, principalmente

a Jachino, gli ha chiesto se aveva visto aggirare gente sospetta

dinanzi a quel palazzo da quando era diventato portiere e gli ha

detto, che se aveva visto qualcosa o qualcuno di strano, gli

conveniva collaborare, perché al contrario l’avrebbero accusato

di intralcio alla giustizia.

Quei due erano più spaventati di una rondine quando gli

sottraggono il nido con le uova.

Filomena ha cominciato a dire: «Signor poliziotto, nui nun

sapimmu nenti, ci dovemu maritari, nun avimmu vistu nentie

abbiamo stato tutta a iurnata a girari ristoranti pu tratteniemntu!

U po’ confirmari Gaitanu da trattoria A Rustica, u locali ca

prenotammu!».

Il poliziotto: «Calmatevi un attimino; ma voi festeggerete il

matrimonio da Gaetano? È un mio carissimo amico ed è la

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trattoria più buona dei dintorni, si mangia davvero

divinamente; ma è piccolina e forse vi entrano a mala pena

trenta persone e questo perché vogliono garantire il meglio ai

loro clienti; per questo mi sembra buffo vedere festeggiare un

matrimonio in una trattoria!»

E Filomena: «Ma nui pu mumentu simmu sulu dui».

Il poliziotto: «Va bene fate come vi pare, io non sto accusando

voi di aver commesso quel tentato omicidio ed anche ad averlo

visto con i miei occhi non ci potrei neanche credere dopo

avervi conosciuti!».

E Jachino: «Allora si vidi subitu chi simmu davvero bravi

cristiani».

Ed il poliziotto per non essere scortese ha risposto:

«Certamente, si vede questo e molto, molto altro, ma ora

ditemi per favore, avete visto aggirare delle persone sospette?

Lei che vigila su quel condominio dalla mattina alla sera!».

E di nuovo Jachino: «Ma allora pi furtuna u Giudici non è

motto, ma chi successi, pi favuri mu dici, è na brava pirsona!».

E il poliziotto: «Purtroppo sono entrati due tizi incappucciati e

dopo pugni e cazzotti e un colpo di arma da fuoco hanno

lanciato il Giudice giù dalla finestra; grazie ad un albero il

colpo è stato attutito e non è morto, lui ora è grave in ospedale,

è vivo solo per miracolo, ma la prognosi è riservata, perché è

entrato in coma dopo l’intervento, è intubato con le costole

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rotte, una gamba andata e abbiamo bisogno di sapere più

informazioni possibili per prendere quei …»

Jachino era sconvolto ed ha detto: U capivu, se volete puzzo

darivi l’indirizzo du dutturi di mia moglie; è bravu a riparare li

cristiani, lu cunzaru propriu male poveretto».

E il poliziotto: «Non mi faccia perdere la pazienza e parli per

favore».

Lui con il suo solito fare ha chiesto alla fidanzata: «Filomé, pi

favuri fammi na camomilla, picchì mi sintu sopraffattu ni sta

iurnata chi pariva accussì bella; avivamu puri scelto u menù cu

li stiglioli calli e profumanti e ora…».

«Profumate» - ha ribadito il poliziotto che stava perdendo

davvero la calma ed ancora gli ha chiesto: «Ora per favore,

abbiamo davvero necessità di sapere se ha visto qualcuno o

qualcosa di strano, anche se sono certo che non l’avreste affatto

riconosciuto!».

Infatti Jachino gli ha risposto: «No, di stranu daveru nenti e

nissunu; ho canosciuto il panettiere chi avi anni chi porta u

pani a domiciliu e di strano chi aviva, nenti; fici amicizia cu

l'operatori ecologici, l'interventi eranu sempri arrinisciuti, ma

no strani; ho canosciuto il fruttaro, purtava la frutta, u

farmacista, ah e i finestrelli! Ma nente e nessuno!».

«I finestrelli? Cosa o chi sarebbero per favore» - ribadisce quel

poliziotto.

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E Jachino: «Su chiddri chi aggiustanu finestri e dicivanu chi

avivanu a riparari a finestra propriu du Sig, Giudice!».

E il poliziotto: «Quelli l’hanno fatta giusta la finestra altro che

aggiustare, l’hanno fatto volare da quella maledetta finestra!

Ma ditemi, chi erano e che aspetto avevano!».

Filomena guardava il fidanzato e con le dita faceva un gesto

che significava: «Statti mutu, picchì dissiru ca a finestra a

fannu a nui si parli!».

E Jachino: «Sig. Poliziotto, iu nun sacciu nenti, non li canusciu,

nun sacciu u nomu e si u vulimmu diri mancu mi ricurdu si

avivano na facci, forsi sì!».

E quell’agente: «Abbiamo capito, siamo dinanzi al solito caso

siciliano di omertà, inconcepibile, io vengo da Milano e

l’omertà non la capisco!».

E Filomena guardando al marito: «Veni di Milanu, mancu

italiano è, ma parlamu a stessa lingua, come semu inteligenti

amò!».

Jachino gli ha detto: «A proposito di st' umertà, è vero nui simu

cristiani semplici, umiri!».

E il poliziotto con la pazienza partita ormai per un lungo

viaggio fuori dal suo corpo, per lasciare spazio ad una

possessione quasi diabolica: «Non ho detto umiltà, o come

diavolo la chiamate; sto parlando di omertà! Fare silenzio su

cose davvero serie e spregevoli, coprire condotte delittuose

celando l’identità di chi le ha commesse o tacendo circostanze

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utili alle nostre indagini per paura di non so che; se voi

decidete di collaborare vi metteremo sotto protezione, verrete

trasferiti in un luogo sicuro con altro nome, identità e con la

scorta!».

Jachino molto deciso e caparbio ha cominciato l’elencazione,

la sua elencazione dei fatti, dicendogli: «Primo iu non ho

chiesto a sti pirsone la carta d’identità come lei mi dici, me l’ho

scordato; Secondo, io e la me zita non vulimmu cangiari nomu,

sono accussì belli Filomena e Jachino; Terzo, aviri a scorta nun

mi pari na gran garanzia vistu quantu successu a dru

puvireddru! Quarto e più importante, si concentri Sig.

poliziotto, nun mi va di farmi fare na finestra da sti pirsone,

semmai se l'avissi a vidiri e speru propriu di no, li mannu ni lei

e mentre ci fannu a finestra pò chiederi qualunque cosa; ma ora

n'ava lassari in paci, noi ni vulimmu maritari e a casa nostra i

finestri funzionanu precisi».

E quel poliziotto guardando il suo collega glia ha detto: «Io

voglio andare subito via, sennò posso commettere

scelleratezze, è proprio vero hanno gli infissi e i rispettivi fessi

davvero perfettamente funzionanti, io sto diventando pazzo».

Hanno a malapena salutato e detto loro che non sarebbe finita

là. L’indomani la coppietta trova nella cassetta della posta una

busta con un biglietto e diecimila euro; sul biglietto era scritto:

«Grande Jachino, sei stato bravo con i poliziotti, per quel

lavoro sei sprecato; ti ringraziamo dell’aiuto e per aver fatto

silenzio, troverai dentro un piccolo omaggio per il tuo

matrimonio, puoi farti una bella crociera con la tua spettacolare

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futura moglie; è più sicura la via mare, avete la possibilità di

galleggiare in caso d’incidente mentre con l’aereo c'è il rischio

di uno scoppio all’armamento delle tua Filomena! Auguri

piccioncini, alla prossima, vi contatteremo per ulteriori

informazioni, a quanto pare la finestra non l’abbiamo finita

ancora».

Contavano quei soldi ed erano emozionati, non ne avevano mai

visti così tanti insieme, ma lei era triste e gli ha detto: «Ma

chisti su sordi lordi, fruttu d'un tentatu omicidiu!».

Jachino immediatamente: «Ma pecchì pinsi male dell'antri,

forsi fu un incidenti, vidi chi nun murì, mentre circavanu di

tagliare l’alluminiu forsi ci scappà ni mani l’attrezzu e dicinu

chi ci spararu; dai, parivanu accussì bravi cristiani, ti ficiru puri

i complimenti».

E lei: «Ma picchì ti dissiru chi t'hannu a contattari arrì pi finiri

u travagliu?».

E lui: «Macari schirzavanu».

E Filomena: «Si dici accussì allura va beni, facimmu cu sti

surdi a nostra beddra crociera!».

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7. SI RIPRENDE LA SOLITA VITA

Dopo gli ultimi tragici eventi, la vita cercava di riprendere il

suo corso e cercava di ripristinare un normalità brutalmente

violata; Jachino è tornato ad occupare il suo vecchio posto,

abbastanza impressionato dagli ultimi fatti accaduti.

Ha cercato di tornare alla sua postazione con una falsa

normalità e sedata tranquillità.

Nonostante il suo linguaggio sempre cordiale e sciolto in quel

momento era abbastanza silenzioso.

I condomini se ne sono accorti e nonostante il loro “fuggi

fuggi” lo salutavano cordialmente e lui rispondeva a malapena.

È bastato solo un giorno e Jachino è tornato però quello di

sempre, ha cercato di esorcizzare il male e la paura; ma un bel

giorno, mentre si trovava seduto al suo solito posto, ha visto

dinanzi a lui un uomo e una donna, lei era bella e lui distinto e

avvicinandosi a quel portiere ormai abbastanza conosciuto per

le sue doti intellettive, gli hanno rivolto una domanda: «Buon

giorno Sig. portiere, vorremmo un informazione su questo

palazzo».

E lui: «Che siete, forse amici dei finestrelli tornati o siete

finestrelli pure voialtri? Non c’è mancu na finestra di sistemari,

pi favuri! Li sistemaru da pocu e ci scappà pure un Giudici

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quasi murtu; io nun vi sacciu dari informazioni, pi favuri

lassatimi in paci».

E la donna con voce abbastanza suadente: «Si calmi per favore,

le pare che siamo gente che ripara finestre o che vuole uccidere

qualcuno? Si deve dare una calmata!».

Poi l’uomo ha uscito un distintivo e gli ha detto: «Siamo della

polizia e stiamo indagando proprio su quanto è successo, non

vede i vestiti da poliziotto perché siamo in borghese e

dobbiamo studiare i movimenti delle persone che vivono in

questo palazzo e lei potrà essere un elemento utilissimo per la

nostra indagine».

Jachino con la faccia sorpresa: «Daveru? Come ni film! Sì,

sugnu dispostu a collaborare con la giustizia, dicetemi tutto

quello che devo fare pi favuri!».

Quell’uomo con molta calma: «Dovrebbe tenere un quaderno e

segnare alla perfezione tutti gli orari di entrata ed uscita di

ognuno con il nome accanto, in quel modo potremo vedere se

c’è qualcosa di sospetto; ma mi raccomando non deve farne

parola con nessuno, neppure con la sua famiglia, perché la

copertura potrebbe saltare e il piano andare in fumo».

E lui: «Ma non pozzo dillo manco alla mia Filomena? Noi ci

abbiamo detto sempre tutto, è la mia vita, l’aria chi respiru, non

sacciu!».

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E la donna: «Assolutamente no, neanche a lei; quando il suo

uomo diventerà un eroe saprà perdonare anche questa piccola

bugia, non si preoccupi e collabori al meglio».

E Jachino: «Va beni, sugnu daveru onoratu di collaborari,

pirchì u beni ava trionfari, eccomi prontu come un falco; ma

quannu ci rivedremu?».

Quell’Uomo: «Io passerò fra cinque giorni a ritirare gli appunti

e poi dopo aver arrestato chi di dovere, ci rincontreremo anche

con la sua fidanzata, perché ci sarà una festa e lì le sarà

consegnata una medaglia al valore con su scritto”eroe della

Patria”».

E Jachino: «Ma chi meravigghia, mi sintu tuttu scompigliato ed

emulsionato».

E quella donna: «Voleva forse dire emozionato?».

E Jachino: «Chiamatila cumu vuliti, sugnu finarmenti felici;

l’incidenti du Giudici aviva un senso, fari trionfari a

giustizia!».

Tornato a casa Jachino non apriva bocca, doveva celare

quell’irrivelabile segreto, ma Filomena ha colto in lui qualcosa

di strano, di molto strano ed ha cominciato a tempestarlo di

domande, come ogni donna sa fare, è la loro arte.

Ma Jachino non rispondeva e con la mano faceva il gesto di

una bocca cucita e lei ancora a dirgli: «No, non t’amu chiù si

fai oméro come diciva u poliziottu».

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E Jachino: «Umertà diciva, no oméro, ma chi dici e poi nun

haiu nenti di diri, nun puzzu parlari u capisti? È nu segretu!».

E Filomena: «Ma nui segreti nun n'ammu avutu mai, chi è sta

storia?».

E Jachino: « U dissi puri iu ai du poliziotti sutta copertura, chi

stannu indagannufra l'abitanti du palazzu a propositu

dill'incidenti fattu o Giudici, chi tra nui nun ci sunnu stati mai

segreti, ma iddra, molto”bona” comu fimmina poliziotta, mi

dissi arrì chi nun ti puzzu diri nenti e nun lu fazzu, mi dispiaci,

sennò u pianu chi hannu po falliri e un punnu pigliari chiù; ti

po scappari quarchi segretu, tu nun ci sta mai muta».

E Filomena: «Ah, allura a pinsi accussì e nun mi po’ diri nenti

eh? E a daritu stu biddru consigghiu fu na donna poliziotta

troppu “bona”! Ma dicimi na cosa, era chiù “bona” di mi

vulissitu diri?».

E lui: «No, megghia di ti nun esisti nessuna fimmina, ma comu

ti veni in testa na cosa simili, certu nun n'haiu mai vistu mancu

na fimmina chi parla chiù assai di tia»

E Filomena con tarda insistenza: «Allura ma cuntari tutti cosi,

nun va beni, chiddru chi ti dissi a “bona” u facisti, inveci

chiddru ca ti dicu iu nun lu fai, bravu sugnu l'urtima rota du

carru? A mi ma diri tutti cosi, avi un'ura ca tu chiedu, chi ti

dissiru, ma tu un dici mancu na parola, un gne giustu, sugnu

gilosa!».

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E Jachino: «No tesoru miu, nun devi essiri gilosa, quannu

finisciu di scriviri i movimenti di l'abitanti du palazzu supra u

quadernu, prima di dariccillu tu fazzu leggeri a ti va beni

essere gilosa, quannu avrò finuto di scriviri i movimenti di tutti

i condomini du palazzu supra u quadernu, prima di dallu a iddri

u fazzu leggiri a ti va beni?».

E lei: «Ma chi mi ni frega d'un quatirnu, iu vugghiu sapiri chi

vunnu di ti, chi ti chiesiru e cu sunnu, si po’ sapiri?»

E Jachino: «Pi favuri amuri miu nun devi insistiri, picchì nun

pozzu diriti nenti!».

E Filomena con arrendevolezza: «E va bene, nun ti chiedu chiù

nenti».

E lui: «Brava amuri mi tu sì chi si saggia, quannu sta storia

finisci simmu tutti e dui invitati a una festa e mi dannu na

beddra medaglia da “eroe della Patria” u capisti?».

E lei: «Chi furtuna a truvari un omu comi a ti, chi omu!».

E dopo quel lungo farraginoso e stupido discorso si sono

coricati convinti che lui non abbia raccontato nulla e lei non

abbia scoperto alcunché, buonanotte.

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8. COLPO GROSSO

Come da quel signore a lui riferito nel giorno prestabilito è

passato da quel palazzo per ritirare quegli appunti e prima che

andassero via, Jachino gli ha chiesto: «Scusassi non conoscio

manco i vostri nomi, comu vi chiamati, accussì quannu vegnu

in Questura so di cu devo addumannari pi parlari con Vuialtri

ed organizzare a festa da medaglia ».

La donna ha dato una risposta con un satirico sorriso: «Io sono

Margò e lui Lupin!».

Jachino con la faccia stranita: «Vi chiamati comu i me

personaggi priferiti di cartoni».

Ma loro hanno voltato le spalle a Jachino senza dire più

nemmeno una parola.

Lui è rimasto al solito a fare la guardia fino a quel giovedì, per

lui giorno libero, con la sua metà sarebbero andati a prenotare

estetista e parrucchiera per Filomena ed il barbiere per lui.

Si sono avviati e arrivati allo studio dell’estetista la sposa ha

chiesto quello che desiderava e le hanno poi presentato il

conto, erano arrivate a ben 500 euro, al fidanzato è preso un

colpo e ha detto: «Ma cara, mi pare un pocu troppu, nun po’

rinunziari a quarchi cosa?».

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E lei: «Ma non pozzo rinunziare a u russettu, è chiddru chi pisa

di chù supra a spisa, pi via da me vucca, ci ni voli assai; picchì

la manichiure, pedichiure, massaggi maschiri e saùna hannu un

prizzu minori; scusa nun vu la to beddra in forma splendita?».

E lui: «Certo amuri mi, vuor diri chi facimmu un iornu menu di

crociera».

Finito là sono andati dal parrucchiere che ha chiesto altre 500

euro e lì lui è diventato una furia dicendo: «No, non si pò 500

euro pi capiddri, di stu passu a crociera santa tutta».

E il parrucchiere ha risposto: «Quella mattina io farò i capelli

solo alla sua fidanzata e verrò a casa».

E Jachino: «Ma mi scusassi con tuttu rispittu pi veniri ava

pigghiari a machina? Nun su mancu 100 metri, veni pure a

pedi, mancu si avissi a viaggiari in aereu ci vulissiru 500

euro!».

E il parrucchiere: «Ma c’è il disagio dello spostamento».

E Jachino rivolto alla sua amata: «Ti pregu cara, nun lu farei

spustari propriu, vacci tu e risparmiammu pi favuri».

E Filomena: «Va beni ci rinunciu, io vuliva fari comu li divi di

Hollywood!».

E Jachino: «Tu si e risti pi sempri a me diva, nun servi aviri un

parrucchiri a casa, tranquilla » - ed ha chiesto il costo se non

fosse venuto a casa e il parrucchiere ha risposto delicatamente:

«Sono 450 euro».

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E Jachino: «Ma allura mi piglia pu culu, 50 euro di scontu!

Sintissi camgiammu parrucchiri che è migliu, fazzu fari i

capiddri di Filomena o me varbiri, armeno iddru cu tutta a

regolatura da varba compresa si piglia sulu 10 euru,

arrivederci!» - e sono andati via.

Si dirigono dal barbiere di Jachino ed arrivati là lui gli ha

chiesto subito se poteva fare l’acconcio alla sua dolce metà per

il giorno del matrimonio e quel povero barbiere: «Non l’ho mai

fatto, ma ci posso provare!».

E Jachino: «Pirfettu, s'ava premiari la bona volontà, chi ni pinsi

cara mia, è giusto darici na possibilità».

E lei: «Certu amuri miu, commu si bonu!».

Finito con la loro sistemazione corporale per il giorno del sì,

sono ritornati nelle loro case e accendendo la TV una notizia

scioccante: “Ladri incappucciati sono entrati nel condominio

“MAZZI” ed hanno svaligiato gli appartamenti, mentre i

proprietari erano fuori per lavoro, si sono portati via tutto,

pure l’apparecchio del telefono fisso”.

Filomena come la volta precedente: «Amuri mi, ma chissu nun

è u condominiu unni travagli tu?».

E lui: «Sì cara mia è proprio qiddru, arrì, stavota chi capità

bedra matri, n’antra cosa? Ma stavota nun m'interessa; su

propriu ncompetenti, si arinisciru cu du poliziotti in borghese

chiantati là, non m'hannu a cuntari nenti, su propriu babbi».

E lei: «È veru, ha propriu ragiune, su veru cretini».

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Dopo manco dieci minuti qualcuno bussa alla loro porta e

Jachino va ad aprire, due poliziotti chiedono d’interrogarlo e

lui: «E no, vuantri siti propriu babbi nel vostro lavoru e ci devo

cummattiri io? Chiiditi ai vustri poliziotti in borghesi, mannati

pi controllari u palazzu!».

Uno dei due poliziotti a quelle parole è saltato in aria dicendo:

«Noi non abbiamo mandato nessun poliziotto in borghese, di

cosa sta parlando diamine».

E Jachino: «Carma, non c’è bisugnu di bestemmiari!».

E il poliziotto con le mani ai capelli: «Nessuno sta

bestemmiando diamine, non è una divinità; ma ora passiamo a

noi, si sieda e mi racconti ogni cosa se non vuole finire al

fresco!».

E Jachino: «Veramente mi piacissi un pocu di friscu, ci su 40

gradi e simmu a Enna!».

Il poliziotto fuori di sé: «Basta scherzare e parli, non è il

momento, succedono troppi fatti da quando lei è portiere in

quel palazzo, spero non abbia legami o accordi con la

malavita!».

E Filomena: «Ma chi dici Sig. Poliziotto, il mio Jachinu è na

persona economabile».

E l’altro poliziotto, uno un po’ più calmo: «encomiabile

signora».

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E lei: «Va beni comu dici lei, ma nun ignè certu unu da

malavita; ma cumu vi permittiti, tra pocu ni spusammu

figuramuci, della mala vita!».

E Jachino: «A malavita a faccimmu nui cu li difficortà

economiche, ma non artre cose; facivanu beni a rifiutari tutti i

travagli chi mi offrivanu, anche a campari sulu di elemosina, è

di quannu mi pigliavu stu travagliu chi ni succedi una o iornu e

cu ci va di mizzu? A gente onesta comu mi».

E quel poliziotto: «Pensa di riuscire a cominciare questo

racconto o andiamo a prendere il necessario per un pigiama

party!».

E Jachino: «Sì Sig. Caporale, ci cunto tutto!».

E quel poliziotto: «Non sono Capolare, ma vada avanti per

favore».

Jachino racconta di quei due che gli hanno confessato di essere

agenti sotto copertura e che, non avrebbe dovuto dirlo a

nessuno, nemmeno alla sua amata, per evitare che la missione

fallisse.

«E nun mi dissi nenti, mancu sotto tortura» – ha ribadito

Filomena.

Quei poliziotti gli hanno detto che è stato preso per i fondelli e

che non era stata mandata alcuna coppia di poliziotti sotto

copertura per indagare, ma che li hanno fatti fessi».

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E Filomena: «Oh carma, u ficiru fissa! io nun ni sapiva nenti,

se l’avissi saputu l’avissi di sicuru caputu, aiu sensu ni sti

cosi!».

«Intuizione, naso, signora» – ha ribadito l’altro poliziotto.

E lei: «Avi forse quarcosa di ridiri supra u me nasu? L'ha

sistemari un si preoccupassi».

E il poliziotto: «Lasci stare che è meglio!».

Jachino dopo tutti quei discorsi ha fatto una repentina

riflessione: «Ma allura nun ci sarà mancu na medagghia cu

scrittu “eroe della Patria”».

E quell’uomo: «Non temere, te ne daremo un’altra con su

scritto “scemo che più scemo non si può”».

E Filomena: «Mi scusassi, ma lei non pò veniri a casa nostra e

insultarci; stassi carmu sennò a iettu fora».

E l’altro collega: «Effettivamente ti dovresti calmare un po’».

E lui: «Ma come posso calmarmi se in quindici giorni, da

quando lui è portiere in quel palazzo, hanno tentato di uccidere

un Giudice, hanno svuotato gli appartamenti di un intero

palazzo e con informazioni carpite proprio da questa specie di

individuo!».

E Filomena: «Scusi chi dissi capito? ».

E il poliziotto più calmo: «No signora ha detto carpito, che

significa strappato con violenza o con una certa destrezza».

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E Filomena: «Ah! Destrezza, sarà sicuro chissu, nun pinsu

fussi mancinu».

Il poliziotto si è messo le mani ai capelli, non vedeva l’ora di

lasciare quella casa e rivolgendosi a Jachino gli ha chiesto

ancora: «Le hanno detto i loro nomi?».

E lui: «Eccoci, stavorta sì, mi fici dire i loro nomi; ora sì che

sugnu utili alla vostra indagini e accussì a finiti di pigliarimi in

giru».

E il poliziotto: «Sentiamo, come si chiamavano?».

E lui con la faccia molto contenta: «Non putissi mai

dimenticari i loro nomi, si chiamanu Margò e Lupin».

Quel poliziotto avrebbe preso la pistola e steso a terra

quell’uomo per salvare il mondo, ma si è alzato e si è rifiutato,

non ha voluto continuare quell’interrogatorio; ha solo detto a

Jachino di non tornare a lavoro fino a nuove disposizioni.

Dopo i vari controlli e verifiche, Jachino è stato chiamato dal

capo condomino e colui che gli aveva fatto firmare il contratto

di assunzione per dirgli che rischiava seriamente il

licenziamento; a quelle parole lui li ha implorati, chiedendo che

gli dessero un’altra possibilità, perché di quel lavoro aveva

davvero bisogno.

Loro gli hanno risposto che questa possibilità volevano

dargliela, ma non erano consentiti altri errori, stavolta avrebbe

dovuto stare molto attento senza dare conto a nessuno, né

riparatori di finestre o chicchessia.

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E lui ha detto loro: «Vi lo promitto chi nun ci cadu chiù di nu

sbagliu accussì, mancu parlu chiù cu nuddru, mancu cu chiddri

du palazzu, promesso».

Giunti davanti la loro abitazione fuori hanno trovato una

scatola e un biglietto con su scritto: «Grazie del tuo aiuto è

stato davvero prezioso, sei davvero sprecato come portiere;

nella scatola un piccolo presente per il Vostro matrimonio, a

noi non serviva! Un saluto da Margò e Lupin».

Jachino apre quella scatola e trova dentro un videoregistratore

e dice alla sua morosa: «Un presenti pi nui! Forsi veni o

matrimonio, l'amma diri a Gaitanu secunnu ti o aspettammu a

conferma!

E lei: «Migliu s ‘aspittammu amò».

E lui: «In fondo l’aviva propriu caputu chi eranu bravi personi,

ma ora amuninni a lettu, dumani sarà na iurnata china».

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9. L’ULTIMA POSSIBILITA’

Jachino è tornato al suo solito lavoro e questa volta veramente

non guardava in faccia proprio nessuno, quasi non salutava

neppure il vicinato; un altro errore gli sarebbe stato fatale,

avrebbe perso il lavoro e la possibilità di sposare la sua

Filomena e diventare il responsabile della sua famiglia.

La fidanzata ogni mattina prima di uscire gli faceva un sacco di

raccomandazioni e addirittura ha voluto scriverle per lui, fino a

quando un bel giorno ha pensato bene, con la scusa di portargli

da mangiare, di restare con lui il più possibile, perché quattro

occhi erano di certo meglio di due e così ha fatto.

Ogni giorno lei lo raggiungeva e trascorrevano parecchio

tempo insieme e questo cercando di tenere gli occhi aperti e

cercando di individuare ogni possibile tipo losco.

Un bel dì sono arrivati da loro due poliziotti per controllare che

tutto fosse in regola date le ultime circostanze, ma Jachino nel

vederli non si è fidato.

Hanno mostrato il distintivo ed erano pure in divisa, ma

quando si sono avvicinati a lui la sua fidanzata ha detto loro:

«Vi consigghiu di andare subitu se non volete chi chiamu a

polizia».

E quell’agente: «Ma sono io la polizia!».

E lui: «Sì, sì, dicinu tutti accussì».

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Interviene la poliziotta e gli dice: «Mi scusi, ma dopo i fatti

accaduti saremo di pattuglia sempre in questa zona, anche

perché l’appartamento del Giudice è stato occupato

provvisoriamente da un altro Magistrato».

E Filomena: «Amuri mi nun t'ha fidari, si vidi na facci chi su

du tipi lordi, nun ti fidari, pirchì tutti cercano di un ni fari

maritari».

E il poliziotto: «Voleva forse dire tipi loschi!».

E Filomena: «U sintisti amò, u dicinu iddri stessi, chiama a

polizia pi favuri».

Jachino chiama la sua fidanzata in disparte e le dice: «Sinti, si

chiamammu a polizia pò esseri chi spiriscinu cumu l'antri e ni

accusano di diri fisserie, ho un autri piano che possa farci

apprezzari a Questura e così non perdu il lavoro».

Filomena gli ha chiesto: «Dimmi tuttu luci de l'occhi aiu suli

orecchi!».E lui: «Mentri iu fazzu finta di dirici quarcosa tu ti

purti a fimmina in disparti e iu pinsu all’omu, poi l'amma

colpiri e attaccari pi consegnalli a polizia, chi dici tu».

E lei: «Mi pari perfettu, cumu mi sintu emozionata, sperammu

beni, pirchì vitti pistoli».

E Jachino: «Nun ti preoccupari, su pistoli giocattolu, pirchì ha

sapiri chi nun su veri poliziotti» .

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I due cercano di attuare quel piano e Filomena chiama quella

donna poliziotto e le dice: «Pò veniri n'attimu cu mi, me maritu

non voli parlari, ma io ci dirò tutto!».

Si allontanano e Filomena cerca di colpire la poliziotta con un

cucchiaione di legno, di quelli da cucina e la poliziotta non

facendosi nulla cerca di estrarre la pistola per fermarla, ma lei

per la paura le da un colpo di sedere e la fa volare a terra, poi

impugna quell’arma scivolata dalle mani dell’agente; alla vista

di quella scena la gente di passaggio inizia a gridare

spaventata: «É armata, è armata» - e sentendo tutto quel

fracasso il poliziotto si dirige là e Filomena impugnando la

pistola grida: «Fermi tutti, si nun vu che la tua farsa collega

mori».

Approfittando Jachino li lega entrambi e chiama la polizia, non

si può descrivere l’immagine della faccia di quel poliziotto

quando arriva sulla scena, lo stesso che l’aveva interrogato a

casa più volte; trova i suoi colleghi legati e imbavagliati e loro

lì, Filomena con quella pistola che si atteggiava a non so che e

Jachino a ripeterne a pressione: «Simmu u numeru unu mancu

dru scemu chi vinni a casa ad interrogarci; simmu migliu di

007, ti ricordi u firm amore?».

Quel poliziotto non c’è l’ha fatta e si è messo a gridare: «Posso

interrompervi per favore».

E Jachino: «Certu Sig. Poliziottu non l’avivamu mica veduto,

ma oggi mi pari chiù carmu; non servi chi mi ringrazi, iu u fici

cu dignità e onori, prego, purtativilli in Questura e facitili

marcire in carceri».

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E il poliziotto con il fumo che gli fuoriusciva da ogni parte

possibile: «Razza di deficienti, ignoranti, tamarri, stupidi,

rozzi, scarto della società, ma che cavolu cuminastivu!».

E Filomena: «Pi favuri nun cuminciassi a bestemmiare, pi

favuri!».

E lui: «Cavolo non è … ma lasciamo stare, rischio di diventare

pazzo ».

E Filomena: «U me futuru maritu ama i cavoli, è il suo piatto

preferito, è cumu bestemmiare».

E quel poliziotto: «Ma come è possibile che è il suo piatto

preferito e non sa farsi mai i cavoli suoi, è sempre in mezzo».

Jachino: «Ma comi Sig. poliziotto, turnaru i farsi poliziotti, io e

a me zita li pigliammu mittinnu a rischiu a nostra vita, u nostru

matrimoniu, a nostra crociera e lei si lamenta puri, allora sapi

chi ci dicu? Vaffanculu!».

E il poliziotto: «Bene continui pure; percosse e rapimento di

due agenti, intralcio alla giustizia, oltraggio a pubblico

ufficiale, tentato omicidio contro pubblici ufficiali; penso che

fino alle vostre nozze d’argento sarete buoni ospiti del nostro

carcere, faccio saltare pure la fase del processo o la fatidica

formula ” Stia in silenzio, tutto quello che dirà potrà essere

usato contro di lei”, perché già avete fatto e detto davvero

abbastanza; dimenticavo, avete diritto ad un avvocato e se non

potete permettervelo ve ne sarà assegnato uno d’ufficio».

E Filomena: «No, nun nu putimmu permettiri».

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E Jachino: «Ma iu ancora nun lu capisciu, stavorta chi fici di

mali, pi favuri mu dicissi!».

Mentre lui slegava i suoi colleghi ha chiesto all’altro poliziotto,

quello più calmo, di spiegargli ogni cosa e lui: «Cercherò di

essere chiaro e parlare in modo semplice».

E Filomena: «Grazie e parlassi a stampatellu si è possibili, nun

lu capimmu bene u corsivu».

Quel santo uomo ha cominciato dicendo: «Il problema nasce

dal fatto che fino ad ora avete aiutato assassini e ladri ed avete

catturato e minacciato con la pistola proprio dei poliziotti veri,

loro sono davvero nostri colleghi e per questo siete seriamente

a rischio galera».

Loro hanno fatto una faccia e lui se ne uscito dicendo: «Mi pari

na granni esagerazioni fari tuttu stu casinu, nun lu ficimu

mica di propositu, u nostru intentu era aiutarivi; pi favuri, noi

ci dovessimo spusari e nun va beni chi tutti vi state mittinnu in

mizzu ed intralciare nu granni sognu d’amuri».

E Filomena: «Infatti, u capivu, u tentatu omicidiu du Giudici, i

latri, era tutto farso pirchì non vuliti chi nui ni spusammu, siti

daveru malefici u sapiti? E nui chi quasi ci cridivamu, comu

cretini; è nu scherzo veru?».

E il poliziotto quello poco carino: «Finalmente, ora sì che avete

capito tutto, non siamo proprio riusciti a prendervi in giro,

mannaggia; ti prego Totò rilascia i signore e consiglia loro un

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paese meglio se più lontano possibile da Enna, Milano

magari».

E Filomena: «No Milanu no, nui vulimmu ristari in Italia».

Quel poliziotto vedendo che erano proprio senza speranza gli

ha detto: «Va bene, sceglietene uno voi, ditemi e noi vi

spediamo là subito, a spese nostre».

E lei: «O Roma o u Vaticanu, vi piacinu sti città italiane?».

E il poliziotto: «Consiglio il Vaticano, magari hanno una

sopportazione maggiore e chiedi di tenerseli per sempre nel

loro Stato».

E Filomena: «Cumu nel loro Stato, nun fa parte dell’Italia?».

E il poliziotto: «Certo, chi ha detto nuovo Stato, ha capito

male, il Vaticano è italianissimo e spero non ci sia

l’estradizione, spero possiate restarci proprio per sempre».

E Filomena: «Dopu a crociera continuammu u viaggiu di nozze

là, ma appena finisci turnammu; noi vi ringraziamu di sto

regalu di matrimoniu, siti davveru gentili, magari putimmu

ncuntrari puri u Papa!».

E quel poliziotto: «Se dovesse capitarvi una tale fortuna,

vedete se può fare qualcosa per voi, chissà un miracolo!».

E loro: «Grazi a tutti di cori, ormai manca daveru pocu alli

nozzi».

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L’altro poliziotto gli ha detto di andare a casa, gli avrebbero

dato notizie nei prossimi giorni; gli hanno consigliato di

completare i preparativi di matrimonio, sposarsi e al suo ritorno

avrebbero riparlato di quel lavoro di portiere e magari nel

frattempo avrebbero risolto il caso.

Così dopo i saluti e le scuse a quegli agenti picchiati e legati

con il loro solito sorriso, semplicità e serenità sono andati a

casa e si sono abbracciati teneramente, contenti e soddisfatti

della loro giornata.

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10.LA CHIESA

Un nuovo giorno irrompe nella vita di quei due strani ragazzi

se così possono definirsi; si alzano emozionati, perché era il

giorno in cui avrebbero dovuto prenotare la funzione nuziale,

senza Chiesa non ci si sposa!

Arrivati in quella che loro avevano scelto, perché storica ed

antica, a Enna alta, e cioé “Maria Santissima della

Visitazione”, la Chiesa Madre della città; sono entrati perché

gli era sempre piaciuta e secondo loro arrivando, tutti

avrebbero dovuto mettere un tappeto ai loro piedi e

accontentarli in ogni cosa.

Sono entrati e hanno chiesto al sacrestano di potere parlare con

il parroco, lui gentilmente riferisce che padre Vincenzo stava

finendo di confessare una signora e poi sarebbe stato da loro; si

siedono ad attendere e nel frattempo si fanno i film su come

sarà il loro matrimonio gli addobbi e quant’altro.

Finalmente quel sacerdote li riceve e Jachino saluta facendosi

subito conoscere: «Buongiorno Patri, come va a pastorizia, ma

di solitu sempri tuttu sto tempu faciti aspittari a genti?».

Il prete l’ha guardato in modo strano e Jachino ha voluto

aggiungere: «Ma pirchì fa sta facci, non vu dissi Gesù chi siti

pastori? Inutili chi v'allargati, siti pecurara, pastori, mi

capisci?».

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E il prete con un simpatico sorriso: «Non ho fatto la faccia

strana per il discorso della pastorizia, è vero siamo servi inutili

e pastori, al servizio delle nostre pecorelle, ho fatto quella

faccia, perché avete atteso per la precisione solo 4 minuti e 25

secondi».

E quel ragazzo: «Lei non sapi chi ni sti timpi i minuti su daveru

importanti».

E il prete per poterli conoscere un pochino gli ha detto: «Certo,

specie se siete in permesso da lavoro mi dispiace avervi fatto

attendere, mi dovete perdonare».

E Jachino: «No, quali permessu, non ho chiestu permessu a

nissunu, sugnu libiru finu a dopu u matrimoniu, sospesu cumu

dicinu iddru».

E quel prete vedendo forse in loro qualche problema gli ha

detto: «Allora abbiamo qualche minuto per conoscerci meglio,

non vi ho mai visti in questa parrocchia».

E Jachino: «Ma nun è pi farici nu sgarbu a Lei, assoluta, noi

non friquentiamo nissuna Chiesa».

E il prete quasi divertito: «Volevi dire assolutamente e ditemi,

voi siete quelle che possiamo chiamare pecorelle smarrite,

quelle che vogliono tornare all’ovile spero!».

E Filomena rivolgendosi al suo amato: «Amò ma chi dici, mi

dissi picora? Mi sentu offesa, vogliu cangiari subitu Chisa, di

tutto mi sono sintuta diri, ma picora!».

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E Jachino: «Aspé amori mi, prima ci chiedimu pirchì dissi na

cosa simile e si nun ci da un buon motivent, noi mi iammu

via!».

E il sacerdote con molta pazienza rivolto al sacrestano ha detto:

«Senti, chiudi la Chiesa, per oggi ho un a missione impossibile

da compiere» - poi rivolto ai due strani tipi ha detto: «Vi do il

motivent; non era certo per offendere nessuno, vi spiego, Gesù

ci ha definiti pastori, perché ci ha chiamati a prenderci cura del

nostro gregge e per lui il gregge è l’umanità, gli uomini, non le

vere pecore e siccome voi siete un po’ lontani dalla Chiesa,

pensavo foste pecorelle smarrite, ora avete capito?».

E Jachino rivolto alla fidanzata: «Allora su dissi Gesù nun

putemmu diri nenti, sacciu chi è importanti, senza u so

permessu nun ni putemmu spusari in Chiesa».

Il prete è ripartito dicendo: «Ma raccontatemi un po’ di voi, ho

capito che siete qua per sposarvi; da quanto tempo siete

fidanzati, ditemi».

Filomena ha risposto che stanno insieme da quindici anni ed

ora era arrivato il momento di sposarsi.

Quel sacerdote ha fatto una domanda spontanea: «Ma come

mai avete impiegato tanto tempo per decidere una cosa così

importante e perché volete sposarvi in Chiesa se ne siete

lontani».

Filomena gli ha subito risposto: «Io vogghiu spusarimi in

Chiesa pi l’abitu biancu e picchì vogghiu a marcia funebri».

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E il prete: «Nuziale Filomena, nuziale».

E Jachino: «Nun ci siamo decisi prima, picchì io nun

travagghiava; sapi ho trentacinqanni e nun aviva mai lavorato

prima dell’ultimo periodo.

E il sacerdote: «Ma dimmi, perché non hai trovato lavoro?».

E lui: «No Sig. preti pastori, iu non ho mai accettato, non eranu

lavori che mi piacivanu sa!».

E il prete: «Come, con tanta disoccupazione tu hai rifiutatoi? É

stata una vera fortuna averne trovato qualcuno, non trovi?».

E Jachino: « Persi quarcosa preti pastori?».

E il prete: No perché me lo chiedi».

E Jachino: Lei dissi non trovi? Pi truvari devo circari

quarcosa!».

E il prete dopo aver capito di avere a che fare con dei casi

difficili per non volerli definire disperati gli ha detto: «No, è

solo un modo di dire, tranquillo; ma dimmi ora hai un lavoro,

visto che avete deciso di sposarvi?».

E lui gli ha risposto: «Mi ho guadagnato i primi ducentu euro

come scrutanti, abbiamu accattatu li abiti e dopu fui pigghiatu

da casa pi fari u portiri di un palazzu, dicivanu chi sulu iu

putiva fari un travagliu accussì difficili, ma ora sugnu sospesu

in attesa di giudiziu».

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E Filomena: «Ma nun ava a cridiri chi i vistita li pigliammu ni

cinesi; direttamenti dell’Italia, di precisu du Vaticanu e na

manica c’è a benedizioni du Papa».

E il prete: «Capisco, ma come mai sei sospeso, quanti anni hai

lavorato come portiere».

E lui: «No, nun parlammu di anni, travagliaiu sulu 20 iorna».

Il sacerdote: «Solo 20 giorni, ma come mai!».

E lui: «Nente quarche piccolo incidente, è un quartiri troppu

sfortunatu; un Giudici fu quasi ammazzatu, due ladri svaligiaru

u palazzu e a polizia pensa sia curpa mia!».

E il sacerdote: «Ma allora tu sei il portiere di cui ho sentito

tanto parlare al telegiornale».

E Jachino facendo il compiaciuto: «Nun sapiva di essiri

diventatu accussì famosu lo saccio, ci fazzu un po’ di

pubblicità per procurarici quarche artra picora, è proprio vuota

sta Chiesa».

E il prete molto paziente: «La trovi vuota perché non è orario

di attività religiose, ma dimmi una cosa, con quali soldi ti

sposerai se sei sospeso».

E lui: «Pi liquidarimi mi dettiru dumila euro, importante chi

spiriva pi un po’ di tempu, addirittura il poliziotto voliva

lasciarimi o Vaticano a vita».

E il sacerdote: «Bene, bene».

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E Jachino: «Guardi prete, u vestitu u pigliammu, estetista

prinotata, barbiere pure, ristorante pure, manca solo a Chiesa».

E il sacerdote: «Bravi, voi sì che pensate all’essenziale non

come quelli che spendono molto in foto, fiori, un vero

spreco!».

Filomena: «Amò, li fotu, abbiamu dimenticatu li foto».

E il sacerdote: «Ma con duemila euro non potete fare pure

quelle, non sono sufficienti!.

E Jachino: «Nun ti prioccupari, accattammu na macchinetta e

chidimmu a u buon sacrestanu di scattalle e avrai i to fotu e

comunque Sig. preti stammu iennu in crociera pì un misi, cu i

decimila euro».

E il prete: «Non avrete fatto mica una rapina?».

E Jachino: «Ma chi va pinsannu di so picuri, su i sordi chi ni

dettiru i finestrelli, i signori chi sistemaru a finestra o Giudici,

ma vidi chi va pinsannu».

E il prete: «Cioè gli assassini del Giudice?».

E Jachino: «Ma lei è parenti du poliziottu? Faciti i stessi

discursa, i stessi domandi e arrivati alli stessi conclusioni; nun

sapimmu nenti noi di omicidi, ma di finestrelli, aggiusta

finestri e per la mia collaborazioni e cortesia, volliro darmi na

mancia e nun vulissi ricurdarici chi non ci su morti».

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«Caspita» - ha esclamato il prete - «qua non c’è proprio

verso».

E cambiando discorso quel sacerdote ha chiesto loro quando

volevano sposarsi e subito Filomena ha risposto: «Giorno 29

Febbraio».

E il prete guardando l’agenda di quell’anno bisestile ha detto

che era un giorno occupato e Jachino: «Ma noi prnotammu

ormai u ristoranti e ni deve sposari».

Quel prete: «Ma non potete spostare? So che i locali per i

banchetti sono sempre pieni per anni, ma potreste vedere».

E Jachino: «No a Trattoria ”La Rustica” anche si sono sempri

chini pi nui fannu n'eccezioni e aspettanu a conferma, Gaitanu

è impegnato, ma io vogghiu sposarmi quel giorno; sapi u fazzu

pi festeggiare l’anniversario con me muglieri ogni quattro anni;

i regali da me Filomena su un pocu cari e io sarò u responsabili

da casa sapi? Già mi chiesi si u prossimu rigalu potrà esseri

rifarisi u nasu, lei ama a perfezioni».

Il sacerdote: «Va bene farò un eccezione e vi darò quel giorno,

ma ditemi avete portato il certificato del corso per fidanzati?».

E Jachino: «Chi cosa? È un documentu che dunanu o

Comuni?».

E il prete: «No ragazzi, sono incontri dove si parla di ciò che

andrete a vivere, il vostro matrimonio ed è obbligatorio averlo

per potersi sposare in Chiesa».

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E Filomena presa dalla disperazione: «E ora chi facimmu, è

curpa tua com’è che nun sai st cosi».

E Jachino: «Nun lu sapiva, carmati è a prima vota chi mi

spusu».

Il prete ha invitato entrambi a calmarsi ed ha detto loro che

nella sua Chiesa stava per iniziare uno di quei corsi ed

avrebbero potuto partecipare là, anche per conoscersi meglio; il

tempo era a loro favore, mancavano ancora circa sei mesi alle

nozze, ha comunicato la prima data e si sono salutati dandosi

appuntamento per quella sera alle 20.00.

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11.IL CORSO PREMATRIMONIALE

Arrivata la sera del loro primo appuntamento in Chiesa per

quel corso, Filomena e Jachino si sono presentati vestiti in

maniera un po’ bizzarra e c’erano altre quattordici coppie che

dovevano sposarsi. Al primo incontro padre Vincenzo insieme

a due coppie di sposi laici ha iniziato a farli presentare e ha

chiesto ad ognuno perché la scelta di sposarsi in Chiesa,

ognuno dei ragazzi ha dato la sua esperienza e Filomena

l’ultima a parlare ha detto subito: «Di nuovo la stissa dimanda,

non ci abbiamo già dittu l’artra vota o patre pastori chi lu fazzu

picchì vogghiu l’abitu biancu».

E Jachino: «Ma tu u pigliasti rosa pescu amò!».

Filomena: «Va bè, ci sumiglia o biancu; ma l'ha vistu ca sono

tutti bambini, chi ci facimu in mizzu a tutti chisti».

Padre Vincenzo ha subito ribadito: «Loro sono giovani di venti,

ma anche di venticinque o trent’anni; ognuno arriva a fare

questo passo quando è il momento, state tranquilli, ma andiamo

avanti».

Dopo si sono presentate le coppie che avrebbero condotto il

corso, dando una breve esperienza della loro vita e durante

quella fase Filomena parlava continuamente con il marito, fino

al punto che, padre Vincenzo, ha chiesto alla donna:

«Filomena, c’è qualche problema?». E Filomena con la sua

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solita delicatezza di elefante: «Ma voi pinzate chi io dovessi

accittari i consigghii di na fimmina obesa e n’antra chi pari a

pianura padana? Mi rifiutu, cà dobbimo purtari u nostru amicu

chirurgu, magari vi fannu nu scontu comitiva!».

Padre Vincenzo è intervenuto con un ironico sorriso e le ha

detto: «Cara Filomena, loro hanno incontrato Gesù e non

cercano la felicità in queste cose davvero banali; incontrarsi

con lui e con la fede ti cambia seriamente l’esistenza e non

servono neppure soldi, lo fa gratis, infatti ha dato la sua vita per

la mia e la vostra salvezza, capite?».

E Jachino: «Se è gratis amò pensaci, vidi chi su cuntenti sti

signuri? Poi stu Gesù sacciu chi è potenti! U chirurgu inveci, è

troppu caru!».

In quella stanza una grande risata fatta da tutte quelle coppie.

Poi hanno finito con un vangelo, quello delle nozze di Cana

che vede il primo miracolo di Gesù richiesto da sua madre

Maria, proprio durante un banchetto di nozze e vede la

trasformazione dell’acqua in vino, più buono del primo e

quando Jachino ha sentito di quelle parole ha esclamato: «Bonu

comi antru invitatu o ristoranti, vidi ni pò fari comodu, avimmu

u vinu gratis!».

E Filomena: «Pi mi a beni, ma dici chi veni? Accussì fussimu

già tri si veni u preti quattru».

Non potete neanche immaginare a quale esplosione di risa

hanno portato quelle parole e per questo padre Vincenzo ha

voluto puntualizzare: «Questo è segno che se nella vita

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matrimoniale di quelle coppie un giorno finirà l’amore, con

Gesù e quindi con il matrimonio cristiano, potrà tornare di

nuovo quell’amore, anzi meglio di prima, perché il vino del

miracolo è quello che viene da una vita vissuta con Gesù, lui in

mezzo agli sposi; ma ora andate, ci vedremo la prossima

domenica».

E Jachino: «No, in mizzu no!».

Padre Vincenzo gli ha detto che ne avrebbero parlato nel

prossimo incontro. Tutti si sono salutati e salutavano quella

coppia con un sorrisino sulle labbra, loro non capivano e sono

andati senza salutare proprio nessuno.

Hanno molto atteso l’altro incontro in cui si è parlato

dell’amore di Dio per loro, ma quando padre Vincenzo ha detto

che con il matrimonio cristiano non sarebbero stati in due

all’altare ma in tre e quando ha detto che Gesù sarebbe stato

sempre in mezzo a loro nella loro vita matrimoniale, sia nei

momenti di lite, che in quelli d’amore Jachino ha esclamato:

«No, di nuovo, qistu discursu, allora no, chi su sti matrimoni

moderni, io all’antica sugnu e molto giloso, la me Filomena è

solo mia chi è sta cosa a tri!».

Ancora le risate dei ragazzi erano incontenibili e una coppietta

ha detto: «Non pensavo potesse essere così divertente e ogni

settimana spuntavano nuove coppie che volevano fare lì il

corso in quella Chiesa, perché avevano sentito dell’aria allegra

che si respirava; ma a quell’affermazione padre Vincenzo

doveva dare una spiegazione e tirando un grosso respiro ha

cominciato dicendo: «Allora, il fatto che Gesù sia in mezzo a

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voi è la garanzia che lui protegga sempre il vostro matrimonio

e simboleggia la famiglia, la Trinità; hai dato una

interpretazione tua umana, io non parlo in tal senso, puoi stare

sereno».

E Filomena: «Ma propriu in tutti i mumenti ava stari in mezzo

a noi?».

E il sacerdote provato seriamente nella pazienza: «Lui è stato, è

e sarà sempre con tutti noi in ogni momento, lo è pure ora».

E Jachino: «Unni è chi l'ha invitari o ristoranti, nun lu vidu,

dicitimi dov’è».

E padre Vincenzo:« È nel fratello accanto a noi, nel prossimo;

perché se non riesci ad amare il fratello che vedi, come potrai

amare colui che non vedi materialmente; è facile amare chi ci

sta simpatico, le persone care, ma coloro che ci danno

“FASTIDIO!!!”, può farcelo fare solo lui e anche se non lo si

vede materialmente a rivelare la sua presenza è il cuore e

l’anima».

Alla fine di quell’incontro padre Vincenzo asciugandosi i

sudori si è fermato a pregare, per quei ragazzi, perché davvero

il Signore potesse aiutarli.

Poi ad un altro incontro in cui hanno parlato di Adamo ed Eva

e si è detto che, con la costola di Adamo ha preso vita la donna,

Jachino ha detto a Filomena: «Vistu? Antru chi chirurgu, di mi

pigliasti a vita!».

E lei: «Nun t'allargare troppu sa, beddra vita!».

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Quei laici che conducevano quell’esperienza parlavano negli

incontri con molta ricchezza di parole, di esperienze e tutte

quelle coppie di ragazzi erano toccate profondamente

nell’animo e nel cuore, gli unici a sembrare di un altro pianeta

erano davvero quei due.

Poi c’è stato un incontro che parlava delle lettere di S.Paolo, la

parola che diceva: “Le donne siano sottomesse ai mariti come

la Chiesa lo è a Cristo” e senza neanche fare finire quel

catechista Jachino gridando al centro della sala in piedi ha detto

rivolto alla sua metà: «Vistu, tu nun l’ha mai vulutu capiri, a

comandare divo essere io, tu sottomessa, devi u-b-b-i-d-i-r-e!».

E lei: «Fermati amò, di sicuro c'è u truccu, ci sarà un

significatu cumu tutti li cosi chi nun ammu caputu fina a ora,

prima di gioiri spetta!».

E il catechista infatti ha detto: «Come dice molto bene

Filomena c’è un senso, prima che i futuri mariti gioiscano

fanno bene ad ascoltare, dunque la parola continua così “e voi

mariti amate le vostre mogli, come? Come Cristo ha amato la

Chiesa e come l’ha amata? Dando la vita per essa sulla Croce».

E Filomena: «Vistu, nun parli chiù? Io t'ubbidisciu, ma tu devi

moriri, si tu mori, ti lassu sceglieri puri comi; mori pi mi e iu

ubbidisciu caru».

E padre Vincenzo: «Filomena l’ha detto in modo ironico, ma il

senso è proprio quello, morire non fisicamente, ma accettare

l’idea dell’altro quando è diversa dalla nostra e ci fa soffrire,

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morire dentro; va bene ragazzi ci vediamo al prossimo

incontro».

Hanno fatto altri incontri affrontando proprio i temi del

matrimonio, della famiglia e della sua missione, del dono dei

figli e quella sera Filomena è saltata dalla sedia dicendo che,

non volendo perdere la sua fantastica forma fisica, o non faceva

figli o se li faceva in laboratorio o nell’utero di un’altra donna e

con molta misericordia e pazienza, padre Vincenzo ha spiegato

insieme a un catechista quanto importante sia per la coppia, che

il bambino possa essere frutto di un amore unitivo e

procreativo.

A quelle parole Filomena ha detto: «Chi cosa? Chi significa

parlati chiù facili».

E padre Vincenzo con molta semplicità: «Un figlio che nasca

semplicemente da un atto di amore ed unione fra un uomo e

una donna, che si donano l’uno all’altra e ve lo dico, perché

avete chiesto di sposarvi in Chiesa e questo è il matrimonio

cristiano».

E loro con una faccia strana: «Caspita patre pastore, lei è na

potenza!».

Finiti quegli incontri, l’ultimo servito a condividere

l’esperienza di quei giorni e mangiare poi qualcosa insieme;

tutti erano contenti e Filomena era quasi dispiaciuta che fosse

finito, gli abbracci e le lacrime, Filomena si era pure

affezionata a quelle donne catechiste fuori dai canoni fisici da

lei reputati fondamentali e anche con gli altri ragazzi era nata

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una bella amicizia e per finire, lei ha invitato alla festa sia il

prete che le due coppie che hanno condotto quel corso e

Jachino ha detto: «Beni, devo dillo a Gaitanu che simmu nui, u

preti, i quattru catechisti e Gesù, vistu ca è sempri cu nui!».

E padre Vincenzo sorridendo: «Per Gesù non serve un posto,

lui non ne ha bisogno e mi raccomando, passate domani per

definire meglio il giorno delle vostre nozze».

L’indomani sono andati ed hanno scritto l’orario, padre

Vincenzo gli ha suggerito le letture della messa e quando

Filomena gli ha detto: «Padre e pastore, pi fiori vulissi rosi

bianchi e girasoli; n'ava accattari assai pi favuri!».

E lui: «Cara la mia Filomena, ma ai fiori dovete pensare voi, di

solito non è compito del prete».

E lei: «Va be u capivu!».

Poi padre Vincenzo prima che andassero via gli ha consigliato

di confessarsi e loro straniti gli hanno detto: «Ma nui non

avimmu peccati, non abbiamu ucciso, rubatu, o antru».

E padre Vincenzo: «Vi aiuto io».

Partono insieme e lui dice loro: «Piano uno ad uno per favore,

la confessione è personale!».

E Jachino dice a Filomena: «Allora vacci tu, non è che a fari

fare u cavaliri sulu quannu ti cunveni!».

Filomena va per confessarsi e si siede.

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Padre Vincenzo le chiede: «Dimmi, da quanto tempo non ti

confessi».

E lei: «Di quannu mi fici a cresima patri, ma pecchì nun haiu

piccati, nun sbagghiu mai nella vita!».

E lui: «Ma dimmi, ti capita di pensare male di qualcuno o

invidiarlo, ti capita magari di litigare con il tuo fidanzato o di

dire qualche bugia, magari ti sarai arrabbiata in alcuni momenti

di questi lunghi anni».

E lei: «Sì patri, chissu sì, è successu tutti i cosi chi dissi, ma

nun pinsava fussiru piccati».

E il sacerdote: «Magari avrai detto pure delle parolacce, ucciso

qualcuno …».

E lei l’ha interrotto improvvisamente dicendo: «Parolacci sì,

ma ammazzatu quarcunu no, nun dicimmu minchiati».

E lui: «Quando parlo di omicidio non intendo con la pistola, si

può ferire qualcuno con i gesti o con le parole, anche dicendo

cretino a qualcuno».

E lei: «Ah sì, chistu sì, allura sugnu proprio assassina, quanti

voti haiu dittu cretinu, a un poliziottu a casa mia pi

l'interrogazione un saccu di voti».

Per finire il sacerdote gli ha chiesto: «E con il tuo fidanzato

vivete nella castità? Dopo quindici anni di fidanzamento!».

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E lei: «Ma nissunu ha dittu qà di esseri na santa, però avi un

misi chi facimmu i bravi carusi, devo mittere l’abitu da

sposa!».

Il sacerdote stava spiegando il significato importante della

castità e l’ha invitata a chiedere di tutto perdono, poi ha

chiamato Jachino e con lui le stesse domande e tutto era simile

alla sua fidanzata, ma ad una domanda, quella sulla fedeltà alla

sua fidanzata lui ha detto: «Patre debbo confessarici na cosa,

ho tradito Filomena cu na fimmina!».

E il sacerdote: «In che senso, ci sei andato a letto?».

E Jachino: «No chistu no pi furtuna, ma si fermò e mi chiesi

“vorrei chiederle un’informazione” - io ci risposi: «Dicissi,

chiedissi puri» - e lei: “Cercavo una farmacia, ne conosce

qualcuna qua vicino?” - Io a sta dumanna divintavu un pazzu,

passiava avanti e indietro, ero tutto sudato, ma alla fini vincivu

iu e non ci detti l’informazioni chi mi chiesi, scappavu comu

nu veru eroe».

Padre Vincenzo facendo le spallucce: «Non capisco, perché hai

fatto questo e cosa c’entra con il tradimento alla tua

fidanzata?».

E lui: «Patri, patri, tutti cosi iu ci debbo diri, si vedi che è preti;

in farmacia chi cosa vinninu!».

E lui: «Tante medicine Jachino, proprio tante!».

E Jachino: Ancora nun c' arriva! Vinninu puri i preservativi, u

sapi chi su; dra fimmina si era invachita do me fascinu e

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biddrizza e cu a scusa da farmacia era pi abboddarmi e iu ci

stava cadinnu tuttu sanu, perché era piuttosto bona, ma io ho

resistito, scappavu, nun mi dici bravu».

Padre Vincenzo: «Bene figliolo, hai una grande e sviluappata

fantasia, non c’è che dire, adesso va bene, vi siete confessati e

ci vediamo il giorno delle vostre nozze, mi raccomando, se

riuscite, venite a messa in questo tempo che manca,

avvicinatevi ai sacramenti ed alla preghiera.

Loro hanno risposto che avrebbero fatto il possibile e si sono

salutati.

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12. IN ATTESA

Tornati a casa hanno cominciato a parlare di quell’esperienza

vissuta ed erano contenti, qualcosa era cambiata nelle loro vite,

ma non se ne rendevano ancora conto.

Dopo aver mangiato la pizza davanti alla tv, hanno pianificato

la giornata dell’indomani! Avrebbero dovuto provvedere ai

fiori per la Chiesa e per il bouquet.

La mattina svegli prestissimo, era solo mezzogiorno e senza

neanche fare colazione si sono vestiti e sono andati dal fioraio

del paese; arrivati là, poco prima della chiusura, hanno

cominciato a cercare per vedere cosa fare, ma quando

chiedevano un preventivo, i costi arrivavano alle stelle, così lei

ha deciso di ridurre all’essenziale la quantità e dalle rose è

passata alle margheritine bianche, semplici, ma molto belle.

Completato quel compito arduo, sono andati via, ma usciti di là

alle 19.00 di sera, tediando quella povera donna che avrà

rinnegato la sua professione mille volte e che sicuramente

resterà traumatizzata a vita.

Dopo i fiori hanno voluto fare una passeggiata e sono arrivati

al castello; loro non sempre uscivano e raramente erano visti in

giro, non amavano essere scartati o beffeggiati.

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Quando erano lassù e dinanzi a quel meraviglioso panorama lui

ha dettoFilomena: «Mi avevo scordato quantu fosse bellu di

lassù e divo confessariti chi …».

Filomena l’ha interrotto dicendogli: «No, non ti poi confissari

con mi, nun sugnu preti, pi chistu devi andari di patri

Vincenzo».

Lui sorridendo le ha dato un bacio e le ha detto: «Iera sulu un

modu di diri, m'u mparaiu anchi iu sai! Ti stava dicinnu chi

sugnu veru felici; nonostanti u fattu chi tanti cristiani n'annu

trattatu mali e forsi u fannu ancora piglinnuni pi du scimuniti,

ma iu sugnu felici u stessu e stari na Chiesa cu tutti dri

cristiani, potti sperimentari chiddru chi sumiglia assai a na

famigghia, chiddra chi nun ammu mai avutu vistu chi

n'abbannunaru tutti».

E lei: «Vero amuri mi, pruvu a stessa cosa e vidisti comu dri

coppi chi n' hannu fattu u corsu cumu sio vulivanu beni? Una

era obesa, ma u maritu a vuliva beni daveru, poi setti figli. E

l’antra, un po’ bruttina, nente di che, ma erano filici e io circaiu

di rifugiarimi na chirurgia; u fici perchì pensava chi aviva a

divintari beddra a tutti i costi e ristarici, pi nun esseri

abbannunata mai nì ti, comu fui abbannunata puri di ma

genitori; mi sintivu rifiutata, non amata e chistu mi fici

soffrire».

E lui l’ha abbracciata dicendole: «Amò nun ti preoccupari, io

nun ti lassu mai, ti amu; si a luci di l'ucchi mii, nun putissi

campari senza di ti; ma puri iu pruvaiu belli cosi cu sti personi,

mi sintivu daveru beni, a casa capivu troppu cosi».

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Poi sono rimasti abbracciati sotto quella luna, stretti,

accarezzati dal vento e un signore vedendoli gli ha detto:

«Come siete dolci e cari!».

E Jachino nella sua irresistibile innocenza: «A pasticceria è

drà, ci vedi? Nui non simmu né dolci né cari».

Quel vecchietto non ha capito molto quella battuta e preso il

suo bastone ha continuato a passeggiare.

Dopo qualche ora ed un po’ infreddoliti, sono tornati a casa e

sono andati a letto, limitandosi a dormire semplicemente

abbracciati; dopo quel corso hanno capito pure il significato

dello stare insieme, del donarsi e lei con spontaneità gli ha

detto: «Amò ti piaciu comi donu?».

E Jachino: «Durmi amò su i tri di notti; chi vo diri nun

capisciu».

E lei: «Sarai cuntentu quando mi dugnu a ti; u dicivanu o corsu

chi l’uno è donu pi l’antru».

E Jachino: «Certo amuri mi, nun vidu l’ura, ma ora durmimmu.

I giorni passavano ed attendevano con ansia quel momento del

loro, con un’eccitazione tutta nuova.

Un giorno sentono bussare alla loro porta, aprono ed era la

polizia; dovevano formalizzare le loro precedenti confessioni e

chiedere altro; ma non era andato il solito poliziotto, si era

rifiutato di tornare in quella casa ed hanno mandato un altro

collega.

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Quella donna ne ha chiesto il motivo, avrebbe voluto scusarsi

per il suo comportamento, ma gli è stato detto che era l’altro

non poteva, era occupato. Filomena non ha creduto a quelle

parole, semplice sì, parecchio ingenua, ma quella cosa l’aveva

capita e non le piaceva!

Finito con tutte quelle carte Jachino e Filomena pensavano e

ripensavano alle cose accadute; pensavano a quel tentato

omicidio, al furto nel palazzo e diceva alla sua metà: «Sai,

vulissi tantu essiri utili a polizia e nun ristava ammucciatu pi

paura e sti sordi, iu nun li vogghio, mi fanu stari mali, mi fannu

sentiri un complici».

Filomena accarezzandogli i capelli gli ha detto: «Ha ragiune

amuri mi, ti sugnu vicina; faccimmu na cosa, niscimmu e li

dammu a u primu poviru chi vidimmu pì strata e chi nun sapi

di unni vininu».

E lui: «Brava amuri mi, tu si n 'angelu».

Prendono quei soldi ed escono in cerca di un povero a cui

poterli dare e ne incontrano alcuni e Jachino dice: «Chi pinsi, li

dugnu a iddru, vidi comu è cominatu mali! Avi tri figli e nenti

di mangiari, dammuli a iddru».

E Filomena: «No iddru no, non pari accussì poviru, talìa avi u

cellulari, parla o telefunu; no, iddru nun va beni».

Continuano a camminare e vedono un extracomunitario

all’uscita del supermercato che aiuta con i carrelli e chiede un

offerta e Jachino: «Chi ni pinsi amuri mi, li dammu a iddru;

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dopu u disagiu e li difficortà chi avi na vita, luntanu du so

paisi, dammuli a iddru».

E Filomena: «Ma chi dici, vinniru cà pi invadeiri u nustru

territoriu e nun lassarici nenti, talìa su a tutti i banni, dannuti a

unu nun facisti nenti, anche iddru nun va beni».

Jachino a quel discorso è rimasto un po’male e le ha detto: «Ma

chi ti capità, parli comi tanti pirsoni e tanti politici, comi si nun

fussiri esseri umani; arrivammu nui pi capiri cosa è giustu o

no».

E lei: «Ma chi ti succedi, divintasti improvvisamentiu saggiu

du villaggiu? Va be comu dici tu, m a iddru no».

Dopo ore di vagare e tanti poveri che non erano congeniali agli

occhi di Filomena Jachino stanco le ha detto: «Ma nun c’è un

poviru chi ti sta beni, iu sugnu stancu; allora ni dammu un po’

a ognunu, così n'aiutammu di chiù; di unu dici chi è cu i sordi e

va a ubriacarisi, l’antru chi si droga, l’antru dici chi è riccu e

sta a chiederi l’elemosina pi diventari benestanti alli spaddri di

l'antri, ma chi amma a fari!».

E Filomena: «Va beni amuri mi, ha ragiuni tu, o prossimu chi

incuntrammu li dammu e basta».

Camminano e incontrano un barbone e Jachino le dice: «Basta,

ecco u nostru poviru dacci a busta».

Filomena la esce dalla borsa e con tanta spinta emozionale lo

avvicina e gli dice: «Scusassi si a disturbammu, ma avimmu a

pinzeru di regalari sta busta cu decimila euro».

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Appena lei la porge quel povero con uno sguardo che pare il

campione del mondo di salto in alto dice afferrandola:

«Grazi!».

Il vero problema è che Filomena non la lascia, la tiene stretta e

si vede quel povero che la tira da una parte lei dall’altra;

Jachino che la invita a sganciarsi e lei a dire di no, fino al punto

che da un colpo in testa a quel poveretto si riprende la busta e

scappa via gridando: «Non pozzo darici cu sti sordi, su fruttu di

un tentato omicidiu, mi dispiaci, li dammu a polizia».

Mentre dice e pensa queste cose corre e Jachino corre dietro a

lei, le chiede di fermarsi, mentre quel barbone si tiene la testa

dal dolore e Filomena è come fuggitiva senza potere dare o

potere dare alcuna spiegazione.

Filomena sempre correndo dice al futuro marito: «Mi dispiaci,

nun ci ha potti fari, pinsaiu chi anchi iu sugnu povira e pui ci

veni nu biddru nasu; accossì puzzu fiutari li personi tinti chi

punnu pigliarini in giru pi chiederi cosi loschi e tinti».

Parlava e continuava a correre, arrivata a casa si è distesa

distrutta sopra il letto e abbracciava quella busta; un’avidità

insaziabile appartiene all’uomo e spogliarsene è davvero

difficile!

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13. QUALCOSA STAVA CAMBIANDO

Sono stati un’intera giornata senza rivolgersi la parola e ad un

certo punto lui è uscito senza dire nulla, sono passate ore e lei

non lo vedeva ritornare; era triste e preoccupata.

Verso la sera lui è tornato e lei si è arrabbiata molto, così lui è

uscito nuovamente di casa per non tornare neanche la notte.

Filomena era disperata, ha chiamato la polizia e denunciato la

scomparsa del marito, ha chiesto pure se qualcuno potesse

andare a casa sua; è andato il poliziotto che era stato sempre

calmo e paziente con loro e ha cominciato a farle domande e

lei: «Sig. Agenti, dopu na vita di stari insiemi ho litigato cu l'

amuri miu e propriu prima du matrimoniu e sugnu disperata!».

L’agente le ha chiesto: «Ma come mai, cos’è successo mi

dica».

Lei gli ha raccontato la storia di quei soldi prima celati nelle

loro precedenti confessioni e quel poliziotto spontaneamente le

ha detto: «Ma come mai non ci avete mai detto nulla, sapete

che è un reato?».

E lei: «Riatu! ma che riatu e rIato d’Egittu, ca u riatu è a

scomparsa du me Jachinu; voi purtatimillu e vi dugnu i

decimila euro comu pagamentu du riscattu, io l'amu e rinunciu

ai sordi si necessariu!».

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Il poliziotto le ha detto: «No signora, non ha capito, noi

cercheremo suo marito, ma a prescindere che lo troviamo o a

prescindere che sia vivo o morto, i soldi li dobbiamo confiscare

lo stesso».

E lei: «Bravu Sig. agenti! Ci fazzu i me complimentazioni, lei

mi parla DI u me possibili Jachino murtu e pensa a fischiari,

bravu daveru; siti propriu tutti cretini ni sta polizia».

E il poliziotto: «Io intanto non ho detto fischiare, ma

confiscare, che significa portare via i soldi e poi la mia cara

signora, non può insultare sempre gli agenti che parlano con

lei, anche questo è reato».

Filomena gli ha risposto: «Intantu sugnu ancora signorina e

nun è certu u primu riatu chi fazzu, mi dispiaci, aiu sta

dibolizza, ma mi cunfissavu non preoccupatevi, Gesù mi

perdonò».

Il poliziotto abbastanza allarmato le ha detto, ma in che senso

non è il primo reato, di che reato sta parlando!».

E lei: «Di omicidiu Sig. poliziotto, di chi reatu ha parlari».

E lui: «Omicidiu? E non è il primo che fa? C’è qualcosa che

mi sfugge, sta dicendo che lei è un assassina?».

E Filomena: «Veramenti a voi vi sfuggi propriu tuttu e tutti;

ebbene sì, mancu u sapiva, mu dissi patri Vincenzo, u preti chi

n'avi spusari chi ammazzavu tanti cristiani, dopu ca mi

cunfissavu».

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Quel poliziotto le ha detto: «Un attimo, prima di parlare di

matrimonio c’è altro; ci segua in centrale e l’ergastolo dopo

questa confessione non gli è lo leva nessuno, magari ha ucciso

pure suo marito e dice che è scomparso».

E Filomena presa sotto braccio da quegli agenti e dimenandosi

gridava: «Mai nuddru è statu arrestatu pi na confessioni; patri

Vincenzu mi dissi di dirici tuttu e stari tranquilla, pirchì nun mi

fussi capitatu nenti, mi dissi chi Diu mi ama, chiamatilu pì

favuri e vi spiegherà tutti cosi».

Loro imperterriti arrivano alla centrale e quando il poliziotto

che li aveva interrogati a casa la vede da lontano scappa, non

ne vuole sapere; condotta dinanzi ai superiori ripartono con

l’interrogatorio e le chiedono registrando: «Quindi è disposta a

confermare di avere confessato?».

E lei: «Sì cunfissaiu, si nun mi cunfissava nun putiva

spusarimi; ma chi c’è di mali, voi nun v'ati cunfissatu mai?».

«E conferma di essere un’assassina ed aver ucciso tante

persone?» - ribadisce quel poliziotto.

E lei: «Certu, lo confermu e allura!».

Il poliziotto immediatamente le chiede: «Ora non resta altro da

fare che dirci il nome delle sue vittime»

E lei: «Ma chi dumanna difficili, cu si li ricorda; su troppi per

darivlli tutti, ni basta quarcuno?».

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Il poliziotto: «Tutti, uno ad uno e cominci per favore, prima lo

sapremo e prima lo diremo ai loro familiari».

Lei all’improvviso vedendo ripassare quel poliziotto che aveva

preso le giuste distanze da loro dice: «Ecco, uno è iddru».

Tutti si girano sconvolti e le dicono: «Ma ha bevuto prima di

venire qua? Quell’uomo, il nostro collega è vivo, non è stato

ucciso».

E lei: Ora ho capisciuto, voialtri siti chiù tardi di mi; vuliva diri

chi ci dissi cretinu non sacciu quanti voti e patri Vincenzo mi

spiegò chi diri sti cosi a n'antru nostru simili è u stessu chi

ammazzallu, no nu corpu, ma nill’anima; iu quanti voti aiu

statu ammazzata, non n'aveti mancu idea».

Quel poliziotto si è lasciato andare in un disperato grido di

sfogo, ha cominciato a dare pugni a porte, tavoli ecc … non

riusciva a calmarsi ed è stato in quel momento che è entrato

Jachino con padre Vincenzo; quando Filomena li ha visti è

andata correndo incontro al suo fidanzato e il sacerdote si è

scusato con la polizia spiegando loro qual cosina; finito là ha

riportato a casa i due e la polizia naturalmente ha chiesto

nuovamente di quei soldi e Filomena ha risposto: «Pirchì mi

cridistivu? U dicu chi siti tutti babbi, a storia di sordi non gne

vera, ha inventavu pi smoviri a polizia, mi dispiaci».

A quelle parole quel poliziotto ha detto: «Per favore lasciateli

andare, non voglio più rivederli in tutta la mia vita.

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Giunti a casa con il sacerdote hanno parlato un pochino e padre

Vincenzo ha chiesto loro cosa fosse accaduto e Jachino ha

provato a raccontargli della storia dei soldi, dei poveri e della

loro prima lite e divisione.

Padre Vincenzo come prima cosa ha chiesto a Filomena:

«Cara, perché hai mentito alla polizia dicendo che quei soldi

non esistevano e perché vuoi tenerli a tutti i costi con te,

nonostante tu conosca la loro provenienza?».

Filomena con gli occhi bassi: «Non lo so patri, mi veni troppu

forti distaccarimi, m'attaccu alli cosi e ai sordi in particolari, è

siliconi per i ma denti».

E quel sacerdote con amore e pazienza: «Ma hai visto che i

soldi non danno la felicità, hai visto come vi siete spaccati a

causa loro con il tuo futuro marito».

E lei: «Avi ragiuni patri, io ci pruvu, ma comu ha fari!».

Il sacerdote gli ha risposto: «Piano piano, chiedi aiuto a Gesù;

in questo tempo che vi separa dalle nozze provate a pregare

insieme e riflettere, di certo vi arriverà la risposta giusta, io non

vi dico altro e non vi obbligo a fare nulla contro la vostra

volontà, ma una cosa devo chiedervela».

E Jachino: «Chi cosa patri!».

E lui: «Fate la pace. Almeno questo, fatemi andare tranquillo e

sereno».

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A quelle parole i due si sono abbracciati e in un lago di lacrime

Filomena gli ha chiesto perdono e Jachino lo stesso. A quello

spettacolo padre Vincenzo li ha salutati e loro l’hanno

ringraziato tante volte e sono rimasti in silenzio a pensare

stretti l’uno all’altra.

Quella giornata era stata strana, piena di emozioni negative,

piene di malessere e di rischio, il rischio di perdere la persona

amata non per delle sciocchezze, ma per delle barriere costruite

solidamente, che non lasciavano spazio più ai sentimenti, che

non lasciavano posto più all’amore.

Quell’esperienza aveva toccato i loro cuori e le loro anime,

erano diventati fragili, insicuri, avevano toccato il loro limite;

avevano conosciuto il rischio che proviene dall’avidità dei

soldi, del facile guadagno; avevano capito e forse giustificato le

persone che per la ricchezza ed il potere si lasciano sopraffare

fino a provocare piccole guerre, nell’ambito familiare per

un’eredità o un gruzzoletto di denaro, per arrivare poi fino

all’orrore delle grandi guerre con sterminatori, vittime, fuoco,

violenza e animi mai appagati né dalle vittorie, né dal tanto

agognato denaro, ma solo uno squallido scenario di morte,

capace di carpire sempre i pensieri, sentimenti, capace di non

lasciare spazio a un briciolo di amore o umanità; diventati

come animali con tutti, a volte persino con quelli della stessa e

propria casa. Allora fermati uomo, pensa alle ferite, alle

conseguenze che tu puoi provocare; fermati e riprendi in mano

la tua vita e onora rispettando quella degli altri, Fermati uomo

per conoscere e capire, per inseguire e desiderare prima del

potere, della stima e del denaro la vera felicità, per poter dire:

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“ho trovato cos’è la vera gioia, la vera gioia viene dal saper

amare”; dono e dote che non è facile possedere, allora buona

fortuna uomo, cerca nel posto giusto e spera che la durata della

vita ti sia sufficiente per poterla riconoscere e trovare.

Filomena e Jachino con la loro semplicità ci sono riusciti, spera

di riuscire anche tu.

L’indomani l’atmosfera tra i due era davvero brutta, raramente

avevano litigato e ora uno era nemico dell’altra.

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14.ARRIVA IL GIORNO DEL Sì

È arrivato finalmente il giorno del fatidico sì e padre Vincenzo

passeggiava già un paio di ore prima abbastanza nervoso,

nessuno poteva dirgli nulla! Quella coppia aveva ultimato ogni

cosa e si doveva preparare solo ad affrontare quel giorno unico,

esclusivo!

Dovevate vederli lei era uscita per andare dall’estetista,

perdendo lì insieme alle 500 euro, ben quattro ore di tempo e

Jachino a casa ad aspettare e passeggiare avanti e indietro;

quando l’ha vista finalmente ritornare, tirata bene a lucido,

sono andati entrambi dal barbiere che ha cominciato dalla

sposa; quel poveretto non sapeva davvero dove mettere le

mani, ma alla fine ha cercato di fare un buon lavoro,

un’acconciatura semplice, il meglio che poteva e poi è passato

allo sposo. Tornati a casa lei ha detto al suo amato: «Pi favuri

amò, vistiti tu e va in Chiesa e pui mi vistu iu, nun po’ vidimi

prima du matrimoniu, porta sfurtuna!».

Lui: «Ma u to vistitu l’accattammu insimi u canusciu».E lei:

«Na cosa è vidilu e n’antra è vidilu addossu a mi, scusa!».

E lui: «Ma iu già u vitti addossu a ti, tu pruvasti nu camerinu ».

E lei: «Ancora! Ma fari propriu arrabbià? E gridando a

squarciagola – ta vestiri e ta livari di palli, io ora vignu, u

capisti o ancora no, amuri mi!».

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E lui: «Certu u capivu, ma ora carmati chi ti scunsi u truccu! A

cunfissioni chi facisti un vali chiù sennò, cu sta raggia».

E lei: «Si nun ti ni va, annullu a cunfissioni cu li lignati!».

Lui si è vestito ed èandato in Chiesa, pensava che fosse un

matrimonio deserto, ma quando è arrivato là c’èra molta folla

ed è riescito con fatica a passare, erano i curiosi della città che

avevano sentito molto parlare di loro e delle stranezze che li

riguardavano e lui si sentiva quasi un divo e si atteggiava come

tale».

Dopo due ore piene si vede in lontananza la sposa, con quel

vestito eccentrico rosa pesco, che risaltava non poco le sue doti

innaturali; arrivata, lo sposo le ha baciato la fronte come gli

aveva spiegato il sacerdote e il sacrestano ha gridato al signore

dell’organo: «Parta la marcia funebre!».

E il sacerdote: «Marcia, Nuziale, Pasquale».

Quegli sposi hanno attraversato quel corridoio centrale

accompagnati l’uno dall’altra, in una Chiesa gremita di gente e

per finire chi hanno trovato dentro? La TV locale, era lì per

riprendere il matrimonio diventato ormai un fatto storico, un

evento pubblico e lei, non ha perso occasione per dire al suo

Jachino: «Ti rendi cuntu, a TV è cà pi mi, lu mannanu in onda

comu i matrimoni di divi du spettaculu».

E lui: «Certo amò, ti l'haiu sempri dittu chi sì a me diva di

holliwood, anchi si ora nun su importanti stì cosi, avimu

finarmenti caputu quali su i cosi importanti da vita!»

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Iniziata quella cerimonia che vede prima le letture fatte da

quelle due coppie laiche del corso per fidanzati e poi il

sacerdote con la sua omelia; hanno scelto proprio il vangelo

delle nozze di Cana, ma quando doveva iniziare la sua predica

era in difficoltà, in realtà non sapeva che dire su di loro, poi

vedere tanta gente, la televisione; ma ad un certo punto ha

cominciato parlando un po’ di ciò che gli ha colpito di loro due

e cioè la loro semplicità, del modo in cui si sono conosciuti e

per finire ha fatto un invito ai novelli sposi, quello di vivere il

loro matrimonio insieme alla Chiesa e lì mai l’avesse fatto,

parte Jachino che ha detto in piena celebrazione e ad alta voce:

«Patri, aviva dittu con Gesù, cu tutta a Chiesa mi pari

n'esagerazioni!».

Subito il prete l’ha interrotto dicendo: «Prendete gli anelli per il

rito; i due si sono guardati in faccia e Filomena: «Amò l'anelli,

nun l'avimu!».

Ma in quella sala ogni ospite ha offerto degli anelli che

avevano fino a trovare quello della misura giusta di quella

strana coppia.

Ci sono poi state le preghiere e le offerte fatte dai ragazzi

conosciuti al corso e alla formula del prete “Vi dichiaro marito

e moglie”- Jachino ha gridato: «U sposu pò vasari la sposa».

Ha dato il bacio più intenso che possa esistere e l’applauso è

stato davvero incontenibile, tanta gente a gioire con chi era

stata considerata gente forse tarda o poco intelligente, ma che

era stata in grado di trascinare un’intera città alle loro nozze;

due sempliciotti che dovevano festeggiare solo in due, diventati

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poi tre con Gesù e otto con il sacerdote e i formatori; poi un

numero infinito di partecipanti, ma non persone costrette a

vivere quell’evento perché invitati e quindi in dovere di farlo,

magari passando tutto il tempo della celebrazione fuori dalla

Chiesa, ma gente che ha avuto il desiderio di esserci pur

restando in piedi e pur restando fuori per chi non ha trovato

spazio e seguendo l’intera messa, senza perderne neppure una

virgola.

Alla fine erano tutti fuori per il rito del lancio del riso che

avevano provveduto i cittadini stessi e anche quell’emozione è

stata regalata loro, capace di riempire i loro cuori e quella TV

ha fatto un servizio ripresa eccellente, altro che fotografo.

Quella coppia rimasta colpita da tutta quella festa, mai avevano

visto o vissuto nella loro vita una cosa simile, perché erano

stati scartati ed allontanati come la peste dai loro stessi

familiari, si vergognavano per quello che erano ed erano solo i

loro figli; quando i due hanno visto l’affetto di tante gente

Jachino ha esclamato: «Forza, ora tutti cu nui a fari festa a

Trattoria ”A Rustica”, dal mio amico Gaitano e vugliu usari cu

tuttu u cori tuttii sordi chi haiu anchi si non partu pu viaggiu di

nozzi, nun m'interessa, aiu u piaciri di festeggiari cu tutta a

città ca prisenti stu mumentu di felicità; iu truvaiu finarmenti

na vera famigghia, grazi!».

E Filomena: «Finarmenti na cosa giusta dicisti, sugnu

finarmenti d'accordu cu ti, ora pozzo diri, viniti a fari festa tutti

cu nui e si nun avissiru bastari i sordi, ci aiutati!».

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Quella gente è stata felice di quell’invito ed è accorsa copiosa;

arrivati là, Gaetano era un po’ in difficoltà, nel locale entravano

a malapena trenta persone e lui ne aspettava solo otto, ma con

la collaborazione di tutti si sono messi fuori senza sentire il

freddo della nostra bella Enna alta, in quella giornata rigida di

febbraio; erano tutti ammassati, c’era chi beveva, chi mangiava

i buonissimi stuzzichini che Gaetano e la sua squadra hanno

saputo preparare in un baleno, era un posto molto rinomato

proprio per come si mangia bene, più di tanti ristoranti raffinati

con la sputacchia nel piatto come diceva sempre Jachino! Dopo

aver fatto festa per ore cantando, ridendo, ballando in mezzo

alla strada, quella gente non solo non ha fatto usare loro i soldi,

hanno addirittura pagato il pranzo del banchetto anche a loro ed

hanno pure regalato altri soldi, con un biglietto che diceva:

«Grazie a voi la città ha vissuto oggi un momento di

spensieratezza ed allegria, di semplicità ed armonia, persa per

la frenesia della vita; per la superficialità delle relazioni, per la

schiavitù dei social network dove nessuno osa più parlare con

l’altro guardandolo in faccia! E a tutte quelle persone che vi

hanno rifiutato, che vi hanno usato anche per fare del male

come nel palazzo in cui lavoravi noi diciamo:

“VERGOGNATEVI”, restate sempre così, non perdete mai la

vostra simpatica allegria e insegnate a noi che l’abbiamo ormai

persa da tempo, nonostante il benessere e l’intelligenza che

pensiamo di possedere, quella che è “LA GIOIA PER LA VITA

DI OGNI GIORNO”e insegnatelo ai vostri figli, ancora

grazie».

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Dopo quel discorso Filomena e Jachino piangevano come

bambini, ma non era finita, perché padre Vincenzo ha voluto

dire due parole: «All’inizio ero davvero preoccupato, non

sapevo come fare per loro e se sposarli davvero, ma la loro

semplicità mi ha davvero conquistato; nonostante fossero

davvero lontani dalla Chiesa, credendo in alcune cose che li

distaccavano dai valori, come la chirurgia, non volere figli per

la forma fisica e molto altro; ma quando abbiamo parlato loro

della fede, hanno accolto meglio di molti altri, cambiando

molte cose nel loro quotidiano, proprio per la loro semplicità e

devo ringraziarli perché mi capita di dimenticarlo anch’io,

nonostante io sia un prete, grazie ragazzi!».

Poi chi arriva? Il Sindaco con una bella fascia per la signora e

una medaglia per Jachino, non si può descrivere l’espressione

dei loro volti, non se l’aspettavano di sicuro e il Sindaco ha

detto: «La città di Enna vi ringrazia a nome di tutti i cittadini di

cui il primo sono io, grazie!».

Dopo tutta quella festa quei due sposi non potevano non dire

nulla e ha cominciato Jachino che aggiustandosi quella

cravatta, che sembrava di ferro e cercando di parlare un italiano

migliore possibile ha detto: «Io divo essere gratu a tutti pì li

vostri paroli, mi sentu così emulsionato! Sentiri tuttu stu calore

è pi mi na cosa morto importanti; è veru, ho fatto tanti errori,

non volendo lavurare, non avendomi spusato prima, facinnumi

prenderi pu culu da assassini e latri, ma non l’ho fattu apposta,

Gesù chi è sempri cu mi u sapi, chiditilu a iddru si nun mi

crditi e dicitilu a u poliziottu; ora però truvavu na Chiesa chi mi

ha accorto anchi si haiufattu tanti sbagli, un preti chi mi fici

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sentiri subitu vulutu beni a casa mia; poi canuscivu Gesù e mi

dissi padre Vincenzo chi sarà sempri cu mi, cu nui e poi Carlo,

lu vidu là, u primu angilu de la me vita, nun se scurdatu di mi,

ciao Sig. Prisidenti e grazi di tutti cosi, di confetti, du travagliu,

da to amicizia e scusimi si nun sonu statu capaci di su lavoru di

portiri!».

A quelle parole quell’uomo ha fatto un cenno come dire: «Non

temere!».

Ma Jachino ha continuato a dire: «Ma dovrebbiro vergognarsi

comu dicistivu tutti, chiddri chi si approfittaru da me

ignoranza, pì fari quantu ficiru e i decimila euri nun li vogliu

chiù, nun m'interessa nessuna crociera cu sti sordi; vugliu essiri

na persona onesta e pi chistu devu diri grazie a tutti!».

Poi ha cominciato il suo discorso Filomena: «Anchi iu vulissi

ringraziari tutti pì l’affettu dimostratu; è veru, anchi iu

sbagliavu tanti cosi na vita a cuminciari do ma corpu, l'ho

cangiato sutta i ferri pirchì nun mi piaceva, chi stupidità nun lu

farei chiù e ti vuliva diri amò, chi mi tegnu stu nasu, Gesù mi

dissi chi è bellissimu e pirfettu, chiddru chi mi detti iddru

pirsonalmente!».

E Jachino: «Gesù? No, Unni u vidisti, senza di mi!».

E lei: «Lu incuntravu cu ti in Chiesa e mi fici capiri sti cosi

ascuntannu li letturi, incuntrnnu tutti li personi du cursu chi

eranu felici, vicinu ai sacramenti, difatti vugliu tanti figli e chi

si ni frega d'ingrassari, vugliu na famiglia e vugliu essiri filici e

pì chistu chi vugliu ringraziari porpriu tutti e si u viditi pì

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favuri, o poliziottu chi vinni a casa nostra, non mi ricordu u

nomu, purtatici le ma scusi pi avirici dittu tanti voti cretinu».

Dopo un caloroso applauso sono partiti per il viaggio di nozze

con i soldi regalati da tutti quei cittadini, hanno raccolto ben 50

mila euro e da quel momento sono diventati cittadini attivi e

ben voluti da tutti; hanno saputo che quel Giudice si era

svegliato dal coma e le persone che avevano commesso quei

vari reati erano stati tutti presi ed arrestati, anche con l’aiuto di

Jachino e Filomena, che non volevano restare più in silenzio

per paura. Attenti, perché tutti possiamo cadere vittime del

male e dell’inganno e cadere in uno stato di morti viventi,

infelici e privi di meraviglia, gioia, gratitudine, fiducia, la

fiducia nell’altro. A volte la vita non è facile da comprendere,

ma la realtà ce ne darà un dettagliato resoconto nel corso degli

anni, sarebbe sempre opportuno fare del bene per poi

dimenticarlo, senza vantarsene, anziché operare il male e

restare ad esso inchiodati e schiavizzati, costretti a ricordarlo in

ogni momento della propria esistenza; sarebbe magnifico fare

della propria vita un capolavoro; auguri Filomena, auguri

Jachino, ci ricorderemo sempre della vostra storia, ci

ricorderemo sempre di voi, ditelo ai vostri familiari che non

hanno saputo riconoscere il bene prezioso di cui siete ricolmi.


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