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Un orizzonte di senso...Le competenze di cittadinanza a scuola. Contenuti, esperienze,...

Date post: 23-Oct-2020
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  • Un orizzonte di senso

    Ripensare il curricolo alla luce di Cittadinanza e Costituzione

    Relazioni e report della Giornata di studio

    tenutasi a Torino il 2 ottobre 2014

  • Copyright 2015, ISTORETO In collaborazione con Servizio Istruzione e Servizi Didattici della Città metropolitana di Torino Stampa: Laboratorio stampa della Città metropolitana di Torino, settembre 2015 Redazione: Riccardo Marchis, Istoreto Impaginazione testi: Flavio Febbraro, Istoreto

  • Un orizzonte di senso

    Ripensare il curricolo alla luce di Cittadinanza e Costituzione

    Relazioni e report della Giornata di studio

    tenutasi a Torino il 2 ottobre 2014

    In collaborazione tra

    Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte

    CESEDI – Città metropolitana di Torino

    ISTORETO

    a cura di Riccardo Marchis

  • Indice

    Presentazione p. 7

    Relazioni

    C’è posto per la cultura nella nostra vita? di Gustavo Zagrebelsky p. 9 Le competenze di cittadinanza a scuola. Contenuti, esperienze, organizzazione di Bruno Losito p. .17

    Indicazioni nazionali e cittadinanza di Marco Rossi-Doria p. 45

    Possibili prospettive per (ri)mettere al centro dei curricoli “Cittadinanza e Costituzione” p. 57 di Paolo Corbucci

    Report dai Gruppi di discussione

    Gruppo 1 - Documentazione a cura di Maria Teresa Ingicco p. 75

    Gruppo 2 - La didattica come luogo di costruzione della cittadinanza a cura di Mira Carello e Riccardo Marchis p. 87

    Gruppo 3 - Le competenze digitali come competenze di cittadinanza

    a cura di Maria Angela Donna, Rodolfo Marchisio p.. 99

    Gruppo 4 - Indicazioni nazionali 12 / Cittadinanza e Costituzione a cura di Federica Ceriani e Gemma Re p. 117

    https://www.youtube.com/watch?v=UCtWfXvuFkUhttps://www.youtube.com/watch?v=UCtWfXvuFkU

  • Presentazione

    La Giornata di studio del 2 ottobre 2014, di cui riportiamo qui relazioni e report, ha riproposto un appuntamento che a cadenze variabili prosegue dal 2009, dedicato a temi e problemi dell’insegnamento Cittadinanza e Costituzione. Nell’occasione Gustavo Zagrebelsky, Bruno Losito, Marco Rossi Doria e Paolo Corbucci hanno sviluppato da differenti punti di osservazione le ragioni per le quali Cittadinanza e Costituzione costituisce - così nel titolo del convegno - un orizzonte di senso in grado di sostenere un generale ripensamento dei curricola, come già aveva suggerito il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione al sorgere delle discussioni sugli orientamenti da fornire a questo nuovo insegnamento. Diverse erano infatti le opzioni in campo, come si ricorderà, diviso tra i fautori dell’istituzione di una materia apposita che rinnovasse le intenzioni dell’Educazione Civica, rimaste negli anni largamente disattese, e chi proponeva un insegnamento che pur dotato di saperi specifici, trovava nella sua trasversalità la dimensione caratterizzante, in grado di innervare le diverse aree disciplinari. A condizionare questo dibattito contribuivano alcuni tratti della legge 169/08 nella quale era stato inserito il provvedimento istitutivo di Cittadinanza e Costituzione accanto a misure che apparivano, agli occhi di autorevoli esperti e commentatori, come confliggenti con l’intenzione di costruire una consapevole cittadinanza. Si vedano lungo queste pagine i riferimenti dedicati a tale temperie da Bruno Losito, nel corso della sua relazione (si veda in particolare alle pp. 20 e 29).

    Conosciamo la risposta fornita dal mondo della scuola, leggibile nella larghissima e, per molti, inattesa partecipazione di migliaia di istituti scolastici al bando di sperimentazione, che ricollegava il nuovo strumento alla consolidata tradizione di esperienze dedicate ai percorsi di cittadinanza attuati in ogni regione. E in effetti l’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione si poneva, nella traduzione delle scuole, al crocevia delle progettazioni didattiche dedicate all’esercizio delle virtù civiche, secondo i consolidati modelli delle precedenti “educazioni”, e di quelle destinate a una più consapevole costruzione delle competenze civico-sociali degli allievi. Lo sviluppo delle innumerevoli sperimentazioni e poi i progetti conseguenti al suo inserimento negli ordinamenti, hanno mostrato le più ampie potenzialità del nuovo insegnamento e le sue intersezioni con le diverse aree disciplinari e con le competenze chiave dell’intero ciclo di studi. Competenze non a caso dette anche “di cittadinanza”. È questo il particolare costrutto, diffuso nell’attività realizzate dalle scuole, che è stato colto dall’Amministrazione e posto con lungimiranza alla base della circolare 86/2010, contenente i binari d’azione del nuovo insegnamento rimasti in sostanza invariati sino a oggi.

  • A modificarsi, semmai, negli anni a seguire sono state le disponibilità di risorse umane ed economiche delle scuole, in costante diminuzione per questo specifico campo al pari di ogni altra voce di bilancio, e - in controcanto - il crescere delle conferme sull’utilità del cantiere di Cittadinanza e Costituzione per l’innovazione e la Cittadinanza. Si pensi in primo luogo alla messa a punto e poi all’entrata in vigore tra il 2010 e il 2012 delle nuove Indicazioni Nazionali per il primo ciclo e delle Linee guida per i diversi indirizzi delle superiori, che evidenziano le confluenze tra il nuovo insegnamento e gli obiettivi di fondo della scuola.

    In questo contesto è parso utile agli organizzatori della Giornata proporre una riflessione sui modi per consolidare Cittadinanza e Costituzione nei curricola, come un’ “antenna” in grado di segnalare l’opportunità di perseguire la cittadinanza attiva e consapevole degli allievi. Una meta educativa, questa, da avvicinare attraverso percorsi che la conducano dal piano delle lontane finalità a quello degli obiettivi praticabili e verificabili, oggetto della progettazione per competenze proposta dalle citate Linee guida e Indicazioni. Certo un itinerario non facile, che abbisogna di concreti spazi di condivisione tra i docenti delle diverse aree, che può trovare in Cittadinanza e Costituzione un facilitatore per iniziare a praticare la trasversalità delle competenze e l’essenzializzazione dei contenuti disciplinari: due aspetti naturalmente insiti nei suoi progetti. La giornata di studi, dunque, ha proposto relazioni e momenti di discussione su aspetti cruciali e problematici della realizzazione di Cittadinanza e Costituzione che, come detto poc’anzi, ha perso negli anni numerose risorse che ne avevano facilitato la diffusione, ma non ha perso - certo - le attenzioni di una scuola vigile pronta ad interpretare i propri ruoli. Una conferma di quest’atteggiamento per nulla rinunciatario è venuta dalle scuole piemontesi che, a un mese di distanza dal convegno, hanno comunicato l’avvio di 227 progetti di Cittadinanza e Costituzione, largamente poi confermata dalle schede di consuntivo ricevute a fine anno scolastico e consultabili alle pagine http://cittadinanza.istruzionepiemonte.it/ Un concreto invito a proseguire insieme il cammino.

    Torino, 14 settembre 2015

    http://cittadinanza.istruzionepiemonte.it/

  • C’è posto per la cultura nella nostra vita?** Gustavo Zagrebelsky, Università degli Studi di Torino Il mio tema è: C’è posto per la cultura nella nostra vita? Vorrei dividere l’esposizione in tre punti. Punto numero uno: che cosa è la cultura. Capisco che dicendo questa frase non pecco per modestia, ma cercherò di dire in poche parole qual è la mia idea di cultura. Secondo tema, secondo capitoletto: la cultura che posto ha e che posto deve avere nella nostra vita. Terzo punto: quali sono le condizioni della cultura, quali le condizioni senza le quali si fa incultura. Allora punto numero uno partiamo, come si fa normalmente in questi casi, con l’aiuto della lingua: cultura. Cultura viene da colere, coltivare, c’è una coltivazione dei terreni, dei campi e c’è una coltivazione della società, anche la società è un terreno che ha bisogno di essere coltivato; se noi non coltiviamo la società, cioè le relazioni tra di noi, la nostra società si riempie di gramigna, esattamente come un campo abbandonato a se stesso. C’è bisogno di questa coltivazione? Sì che c’è bisogno, perché la domanda che noi ci dobbiamo fare è: “com’è che riusciamo a trasformare una somma di individui in qualche cosa che chiamiamo società”? Abbiamo bisogno di un elemento spirituale, sottolineo spirituale, non solo materiale che ci fa dire che noi non siamo dei singoli atomi separati dagli altri, ma facciamo parte di una società e per far parte di una società ci dobbiamo riconoscere in qualche cosa. Questo qualche cosa in cui ci riconosciamo è per l’appunto la cultura. Volendo fare un riferimento, qui ci sono certamente degli insegnanti di storia e filosofia, sapete che una delle grandi teorie del vivere insieme è la teoria contrattualistica elaborata dal diciassettesimo secolo in poi: si sta insieme perché ci si mette d’accordo attraverso patti e contratti. Naturalmente questa è solo un’immagine, non c’è mai stato un consesso degli esseri umani che stipulano, forse i pellegrini della Mayflower, forse, chissà, ma comunque è un’immagine che ci dice come possiamo concepire le nostre relazioni: sono patti. Ma sono sufficienti i patti per stare insieme? Non sono sufficienti. Il filosofo, politico liberale John Locke, a tutti noi ben noto, nell’Epistola sulla tolleranza diceva che i diritti civili, i diritti di cittadinanza potremmo dire, possono essere riconosciuti a tutti meno che ai papisti, e questo è un riferimento storico alla condizione del tempo, perché i papisti nel mondo anglosassone erano considerati dei portatori di politiche, di domande e di esigenze estranee alla comunità in cui erano dei potenziali traditori. Ma

    * Trascrizione non rivista dall’Autore

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  • quello che a noi interessa di più è che Locke negava i diritti di cittadinanza agli atei. Adesso generalizziamo il discorso: negava il diritto di cittadinanza a coloro che non riconoscevano qualche cosa al di sopra di sé. Diciamo un elemento terzo: quando noi ci mettiamo d’accordo facendo dei patti, ci mettiamo in una relazione a due, io e te, e poi si moltiplicano i patti a due. Allora perché Locke negava i diritti di cittadinanza agli atei? Ripeto, a coloro che non riconoscevano un elemento di responsabilità al di sopra di ciascuno, perché diceva per l’appunto: gli atei non hanno nessun motivo per stare ai patti. Avendo stabilito dei patti può nascere immediatamente dopo la necessità e anche la possibilità di violarli a proprio vantaggio e questo naturalmente distrugge la vita comune. I patti di per sé non sono sufficienti allo stare insieme, bisogna che ci sia una garanzia al di sopra, allora si sta ai patti perché si ritiene che ci sia un elemento spirituale, per l'appunto la cultura, che ci impone di stare ai patti, ci impone di riconoscerci come facenti parte di una comunità e non semplicemente come membri egoisti o approfittatori della vita comune. Perché si pagano le imposte? Non certo perché si ha paura della sanzione, almeno nella situazione nostrana, se noi dovessimo pensare che i contribuenti pagano le imposte perché hanno paura dell’Agenzia delle entrate … L’Agenzia delle entrate interviene qualche volta, ma per eccezione, normalmente si pagano le imposte. O, diciamo così: quelli che pagano le imposte normalmente lo fanno perché ritengono che sia necessario questo contributo alla formazione di un elemento terzo che ci fa stare tutti insieme. E va bene, questo per quel che riguarda la definizione della cultura come elemento terzo che dobbiamo costruire tra di noi: nelle società libere la cultura non è il prodotto della propaganda, è nelle società autoritarie o totalitarie che la cultura si trasforma in propaganda, quindi è come qualche cosa che viene imposto dall’alto. Nelle società libere siamo noi che dobbiamo creare cultura, cioè creare punti di riferimento etico spirituali che spetta a noi elaborare. Ora, da quello che già vi ho detto dovrebbe risultare chiaro che la cultura è una condizione senza la quale non si vive insieme, o meglio si può vivere insieme sotto la sferza: la cultura ci fa vivere insieme liberamente, se non c’è cultura, c’è la forza che si impone per farci stare insieme, quindi l’alternativa è questa. Che posto ha la cultura nella nostra esistenza? Ce lo chiediamo in un momento in cui sembra che la cultura sia un po’ la Cenerentola delle forze costitutive della società. Dico forze costitutive della società perché c’è una celeberrima teoria sul vivere insieme: quali sono le condizioni, quali sono le forze, i pilastri che tengono insieme una società? Una teoria che nasce già da Platone, che poi ha avuto vari sviluppi e che è stata studiata, per chi vuole dei riferimenti bibliografici, da un grande studioso morto qualche anno fa, che si chiamava Georges Dumézil che ha studiato le società tripartite, o le società trifunzionali.

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  • Qual è il senso di questa teoria: le società si reggono su tre pilastri: la politica, cioè il governo e l’esercizio dell’autorità; l’economia, ossia la produzione di beni necessari alla sopravvivenza materiale, e la cultura. Questi sono i tre pilastri, non c’è società che non si preoccupi del governo, che non si preoccupi dello sviluppo economico, della produzione di beni necessari alla sopravvivenza materiale. E non c’è società che non abbia una sua cultura. Tutti e tre questi elementi sono importanti l’uno quanto l’altro, anzi la cultura è più importante di tutti gli altri, questo ve lo dico perché in questo momento di depressione culturale dobbiamo - scusate se dico ‘dobbiamo’ perché anch’io faccio parte del mondo della scuola - ritrovare l’orgoglio della nostra professione. Orgoglio che non è questione solo di danaro, non è questione di generico riconoscimento sociale. Si diceva ai miei tempi: il maestro o la maestra com’era rispettata dalle famiglie, e com’è che invece spesso le famiglie hanno nei confronti degli insegnanti atteggiamenti prepotenti e aggressivi? Pensano che i loro figli presso gli insegnanti debbano essere solo difesi, perché gli insegnanti sono visti come degli avversari, se non come dei nemici. Sì tutto questo va bene, ma prima di tutto l’orgoglio dell’insegnante dovrebbe consistere nel sapere e nel far sapere che senza cultura, di cui gli insegnanti sono i depositari primi, non c’è società che regga. Perché non c’è società che regga? Se ci riflettiamo, di questi tre elementi solo uno ha una capacità unificatrice, una funzione di convivenza. Perché? Perché gli altri due sono fattori indispensabili ma creano separazione: qual è l’oggetto della politica? Il potere, l’acquisizione e l’esercizio del potere, dunque nel campo della politica si apre una gara a chi acquista più potere, no? È una competizione per il potere, ma questa competizione ha come conseguenza che si creano potenti e impotenti, si divide la società: ripeto la politica è indispensabile ma nel suo nucleo più profondo è una forza divisiva. E l’economia: qual è l’oggetto dell’economia? Il bene che si cerca è la ricchezza, il danaro diciamo. Nel mondo dell’economia si apre una gara per l’accumulazione di ricchezza, ma allora anche qui alla fine della gara, una gara che è sempre in corso, si creerà una distinzione tra ricchi e poveri. Ecco come questi due pilastri della nostra vita, ripeto indispensabili, hanno però un valore distruttivo e di disunità. Lasciati per loro conto questi due fattori, ripeto paradossalmente necessari, hanno l’effetto di distruggere. Non so se è convincente, a me pare, poi basta guardarci intorno per avere delle riprove. Allora che cosa è che invece tiene insieme: è la cultura, la terza funzione, la più debole naturalmente, dal punto di vista dei mezzi materiali, perché si rivolge alle menti, si rivolge al mondo delle idee, non certo al mondo dei beni materiali o del potere materiale, del potere di governo. Ma, come spesso accade nella nostra esistenza, sono proprio le cose fragili quelle più importanti: se noi non abbiamo cultura, avremo prima

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  • poi la guerra di tutti contro tutti, cioè la società frantumata, divisa. Vi dicevo che questa teoria della società tripartita o trifunzionale, la troviamo dappertutto. Posso fare una digressione sulle cose mie che forse c’entrano un po’? Qui c’è di mezzo il numero tre: trifunzionale, che è il numero magico che spiega tantissime cose. Voi sapete benissimo che nella religione cristiana Dio è uno e trino e nel Medioevo le tre figure della Trinità erano identificate nelle tre funzioni sociali: lo Spirito Santo, la cultura; il Figlio il produttore di alimento, alimentazione, no? “questo è il mio corpo”, eccetera eccetera, e il Padre il governo, Dio Padre. Nel mondo medioevale queste cose le si ritrovavano. Quando Luigi XVI ha convocato gli Stati generali a Versailles nel 1789, aveva convocato per l’appunto il suo regno diviso secondo queste tre funzioni: c’era il terzo stato, diciamo il terzo ceto, era quello dei produttori, ossia la borghesia incipiente che poi avrebbe preso il potere, dopo la rivoluzione. Poi c’era il mondo ecclesiastico che rappresentava la cultura del tempo, perché nel Medioevo e nell’antico regime la cultura stava nei grandi monasteri o nelle università controllate dal clero. Poi c’era il ceto della nobiltà che era quella alleata col sovrano, che esercitava il governo. Si diceva allora che la società medioevale era divisa tra bellatores, quelli che fornivano gli eserciti, la cavalleria e il danaro per fare le guerre, ed era alleata col sovrano; i laboratores, che nel medioevo erano i contadini e si occupavano per l’appunto della funzione economica, della produzione di beni; e gli oratores, dove per oratores non si intendevano coloro che chiacchieravano, come sto facendo in questo momento, ma coloro che pregavano, ‘orare’, perché la cultura era monopolio della grande tradizione degli studi teologico politici della Chiesa cattolica. Tutto questo è durato fino alla fine dell’antico regime, oggi non è più così, oggi la funzione culturale non è più riservata a un ceto, ma non è sparita come tale, si è semplicemente diffusa in tutta la società. Tutti noi, che ci si occupi prevalentemente di politica o che ci si occupi prevalentemente di economia, dobbiamo anche essere persone di cultura: le funzioni , ma nella società ugualitaria che ha superato le barriere dell’antico regime tutto questo si è semplicemente diffuso e sarebbe buona cosa che i nostri politici fossero uomini di cultura, o no? Ecco. Adesso faccio un discorso retro: io capisco benissimo di appartenere al passato millennio ma non sono il solo. Fino a qualche decennio fa sarebbe stato immaginabile un partito politico che non avesse avuto i suoi intellettuali o, se vogliamo esagerare, i suoi filosofi politici? Sarebbe stato immaginabile? No. Anche i nostri uomini d’affari, i nostri imprenditori, sarebbe buona cosa che fossero uomini di cultura? Posso raccontare un aneddoto, senza fare nomi? Qualche tempo fa sono stato invitato a cena in un ambiente di grandi imprenditori e finanzieri, e va bene andiamo a questa cena, mia moglie si è sottratta giustamente a priori, io invece, anche incuriosito, sono andato. Allora i due terzi della cena sono stati dedicati al seguente argomento: se sia meglio la Maserati o l’Audi 8, perché era appena uscito un nuovo

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  • modello di Maserati. Naturalmente voi potete capire che un vecchio professore del millennio precedente, non aveva nulla da dire sull’argomento, quindi io ero seduto vicino alla padrona di casa che ad un certo punto si rivolge a me, gentilmente, e mi fa: “E lei professore che macchina ha?” Allora io devo dirvi che possiedo due automobili: una è una Panda e l’altra è una Multipla, perché essendo noi in tre la Multipla ha tre sedili, come sapete, è una invenzione geniale, se uno fa un viaggio si sta insieme, infatti l’hanno abolita, non la producono più. Io ho ancora questa che funziona, allora alla domanda: “E lei professore” perché io stavo zitto, era anche un po’ imbarazzante, alla domanda “Lei che macchina ha?” ho detto faccio il mio colpo, parto dalla piccola e arrivo all’ammiraglia. Ecco e allora dico “Ma io ho una Panda”, allora tutti: “Ah è una macchina meravigliosa”. Questo solo per dirvi che io pensavo che in questo ambiente si discutesse del futuro dell’economia in Italia, della tenuta dei rapporti sociali, della politica europea a proposito del rapporto debito pubblico, Pil, no? Si discuteva se fosse meglio l’Audi o la Maserati. Ora c’è bisogno che anche nel mondo dell’imprenditoria ci sia un po’ di cultura. Pensate a che cosa era l’esperienza della Olivetti, prima e dopo la guerra: quello era un crogiolo di esperienze in cui i tre elementi di cui vi ho parlato erano presenti. Alla Olivetti lavoravano fior di intellettuali che sono stati una ricchezza anche negli anni successivi per tutta l’Italia, scrittori come Paolo Volponi, per esempio, celeberrimo scrittore di romanzi, dirigeva la Fondazione della Olivetti, e tanti urbanisti che hanno poi operato anche dopo. Quindi l’elemento culturale legato alla politica territoriale, e poi naturalmente la grande impresa. C’è stato un momento nel quale l’Olivetti stava per conquistare il mercato americano nella produzione di apparecchiature elettroniche, poi è possibile che quell’esperienza sia stata soffocata, perché naturalmente l’idea olivettiana che si concentrava nella parola ‘comunità’, la rivista, la casa editrice, eccetera, era avversata. Comunità non nel senso di comunità chiusa, anzi tutt’altro: era un’idea comunitaria aperta al federalismo, all’Europa. Adriano Olivetti è stato un precursore dell’idea federale, ma quell’idea si è scontrata con l’ostilità delle altre forze imprenditoriali perché all’Olivetti si erano stabilite delle relazioni che noi chiameremmo relazioni sindacali completamente diverse rispetto al conflitto che esisteva nelle altre grandi fabbriche, quindi diciamo la Confindustria di allora era tutt’altro che favorevole all’esperienza olivettiana. Pensate che l’obiettivo di Olivetti era di arrivare a una gestione della sua impresa fatta da una fondazione, cioè un imprenditore avrebbe dovuto essere parte di una fondazione in cui entravano rappresentanti degli azionisti, dei lavoratori, della cultura e delle amministrazioni locali, l’impresa sarebbe diventata una propaggine di questo mondo per l’appunto comunitario. È stata stroncata dalla opposizione dell’imprenditoria, l’altra imprenditoria, ed è stata anche stroncata dall’incomprensione dei partiti politici. Forse ci fosse stata un po’ più di cultura in quei due ambiti, quell’esperienza sarebbe andata avanti e forse avrebbe creato un modello

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  • per altre esperienze. Quindi per dire come la cultura è fondamentale e non deve essere vista come un compartimento stagno, ma deve avere una funzione, diciamo, di fecondazione generale. Ora che posto ha la cultura, dicevo: rischia di apparire la Cenerentola. Certamente quando urgono problemi politici predominanti o problemi economici si rischia di non considerare che proprio la cultura può essere lo strumento che ci aiuta a creare i contesti in cui si affrontano insieme, senza fratture, senza conflitti. Un inciso: naturalmente la cultura non è l’Eden dove tutti vanno d’accordo, la cultura in una società libera è fatta di confronti e scontri. Ma come si fa cultura? Io intanto direi a questo pubblico fatto di insegnanti che dovremmo fare una riflessione su questo punto che di solito è trascurato e al quale io sono molto legato: allora l’economia ha come oggetto la ricchezza, la politica ha come oggetto il potere, la cultura che cosa ha come oggetto? Le idee, è il mondo delle idee. Naturalmente ci sono tanti tipi di idee: idee utopiche, idee pratiche, idee politiche, idee tecniche per risolvere problemi tecnici, ma allora quando si parla di politica si considera il potere un bene, qualche cosa a cui aspiriamo, quando si parla di economia si pensa alla ricchezza come un bene cui tendiamo, tendiamo smodatamente. Una piccola parentesi: gli esseri umani sono tra gli esseri viventi i più smodati, non che nelle società degli animali non ci sia il potere, non ci sia l’esigenza di accumulare beni materiali, ma questi altri esseri nostri vicini si fermano nel momento in cui diciamo che l’esigenza è soddisfatta. Solo gli esseri umani sembra che non abbiano confini nella ricerca del potere e nella ricerca della ricchezza. Sono due beni il cui appetito è illimitato, anzi potremmo dire che si alimenta da sé: più si ha e più si vuole, è una maledizione, è una maledizione della specie umana. Dicevo il mondo della cultura è il mondo delle idee, mentre là dicevamo che danaro e potere sono dei beni a cui tendiamo, noi tendiamo alle idee. Io vi devo dire che tra i miei momenti di maggiore felicità vi è quando mi viene una buona idea, un’idea che io considero buona, poi naturalmente la riprova è fuori di me. Quando si calcola il livello di benessere di una popolazione, sapete che si fanno delle indagini demoscopiche in Inghilterra, in Francia, negli Stati Uniti, eccetera, anche il re del Butan dice “io governo perché sono al servizio del benessere dei miei sudditi”, e allora che cosa vogliono i suoi sudditi? Ricchezza, tranquillità, pace sociale, sicurezza, ambiente salubre, buone relazioni tra i cittadini, turismo controllato, eccetera. Badate che in queste indagini entrano elementi estremamente sottili, come per esempio la qualità delle relazioni umane: chissà cosa vuol dire? Va be’. Quindi potrebbe benissimo entrarci il capitolo idee: la vostra vita è soddisfatta in quanto ci sono idee, che vuol dire creatività, teatro, poesia informazione, filosofia, insomma e tutto il mondo delle idee. A nessuno è mai venuto in mente di mettere le idee nei

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  • questionari. Pensate a che tristezza ci sarebbe in una società in cui non ci fossero idee, sarebbe un deserto spirituale. Ecco, il primo grande compito degli insegnanti, secondo me, è far amare le idee. Siccome la memoria mi tradisce molto spesso, uso andare a lezione non con un testo scritto ma con una scaletta di argomenti. Un giorno non trovavo questa scaletta e ho detto: “Sentite ragazzi ho perso il filo, facciamo una cosa: prendiamo l’ultimo argomento della lezione precedente e discutiamolo insieme, cioè, detto in altri termini, facciamoci venire delle idee insieme su questo argomento. L’argomento era la pena di morte, che è un tema classico di qualunque corso di diritto costituzionale; si può studiare tutto il diritto costituzionale partendo da questo spunto. Bene siamo stati due ore a produrre idee insieme e gli studenti - alla fine non so se era un grande complimento - hanno detto: “Professore non c’è stata lezione più interessante di questa”, ecco la gioia delle idee. Pensate a come doveva essere felice Archimede che era riuscito, immergendosi nella vasca, a calcolare il volume di un corpo tondo, tondeggiante. Ecco, ho trovato grandissima soddisfazione. Il mondo della cultura dovrebbe secondo me agire su questo piano: la soddisfazione intellettuale è forse una delle grandi soddisfazioni della nostra esistenza. Secondo compito promuovere le idee e la loro durata. Il mondo della cultura è un mondo di durata, proprio come la coltura nei campi, i terreni vanno lavorati, vanno trasformati, vanno migliorati, vanno concimati e non è un fatto istantaneo. Anche qui scusate una piccola esperienza personale, se posso portarla: da un po’ di tempo è in corso una polemica nei confronti dei cosiddetti professoroni, e io sono stato insignito di questo titolo ad honorem, “tacciano i professoroni”, e ho avuto in passato dei contatti con la ministra Boschi, che era tra coloro che avevano usato queste forme, la quale m’ha detto: “Professore non se la sarà mica presa per questa definizione”? Io dico: “Ma per la verità un pochino sì, non tanto, ma un pochino sì” e lei dice: “Ma no, non se la deve prendere perché sa la comunicazione ha le sue esigenze”. Allora maltrattare i propri simili significa andare incontro alle esigenze della comunicazione. Comunque io le ho detto: “Guardi in ogni caso non me la sono presa più che tanto, perché io sono favorevolissimo all’idea che i giovani si contrappongano ai vecchi”. Questo fa parte della nostra esistenza individuale, noi siamo per lo più cresciuti contestando i nostri genitori, se non abbiamo passato questa fase della nostra esistenza forse non siamo pienamente cresciuti, la crescita è un continuo confronto, conflitto, con ciò che c’era prima, e sono i genitori quelli stanno prima dei figli, quindi largo ai giovani. Però, cara signora ministra, l’unica cosa che lei non ci può chiedere è di fare i giovani”. Noi siamo anziani, siamo vecchi, siamo una generazione o due anteriore, e la cosa più disgustosa è vedere le persone che hanno una loro storia, una loro formazione, che

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  • fanno finta di essere quello che non sono. Ma fino a quando nella nostra società ci sarà spazio per le persone di generazioni precedenti, fino a quando la nostra società accetterà la presenza delle persone più avanti negli anni, queste persone hanno il dovere di essere se stessi. Che la crescita dei giovani avvenga attraverso il conflitto, ma attraverso il conflitto vuol dire attraverso la presa di coscienza di ciò che si è accumulato nella esperienza di coloro che li hanno preceduti. Tutto questo ci porta a dire che la cultura è un fatto di durata, lo dicevo già prima, il tempo è necessario per formare cultura, e il tempo è necessario per accedere alla cultura. E io propongo questo esperimento facendomi forza di un bellissimo passo di una delle lettere familiari di Francesco Petrarca, nel quale si dice: “Caro lettore - si rivolge ai suoi lettori - aprendo questa pagina dimentica il creditore che sta battendo alla tua porta per riscuotere il suo credito, dimentica la tua moglie petulante che ti ha rovinato il giorno precedente, dimentica la notte di passione amorosa che ti immaginavi di poter avere e non hai avuto, dimentica tutto questo e pensa a quanta fatica io ho dedicato nello scrivere queste pagine che adesso tu leggi, dedica alla lettura almeno un po’ della fatica che ci ho messo io”. Praticamente questa indicazione per me si trasforma nella seguente cosa, nel seguente esercizio che penso sarebbe utile anche per gli studenti di qualunque tipo di scuola: non solo leggere i testi ma ricopiarli. Se c’è una cosa che ha reso più futile la produzione scientifica nel mio campo, nel campo del diritto, è la possibilità di trasferire immediatamente testi attraverso il “taglia incolla” dalla fonte al testo di arrivo, perché questi testi non vengono letti, vengono solo scorsi, mentre la ricopiatura di un brano - vi assicuro - impone di entrare nei contenuti molto più profondamente e sarebbe forse un buon esercizio per i vostri studenti dire: “Questo è il testo, ricopiatelo manualmente”, perché si scrive lentamente e scrivendo le parole si capisce perché c’è una parola e non un’altra, ecco, perché Petrarca ha tanto faticato. “Ricopiatelo, buttate via il testo, e adesso riscrivetelo”, sarebbe interessante fare un confronto tra un esercizio consistente nel leggere e fare il riassunto, come normalmente si fa, e il ricopiare e il riprodurre, e vedere i due risultati qualitativamente che differenza hanno. Credo che si guadagnerebbe con la seconda operazione che consiste nel costringere, nell’invitare lo studente a soffermarsi. Se c’è una cosa, una capacità che abbiamo perduto nella nostra vita, e forse anche nelle scuole, è il soffermarsi. E con questa parola io mi fermo.

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  • Le competenze di cittadinanza a scuola. Contenuti, esperienze, organizzazione Bruno Losito, Università degli Studi Roma 3 Non è facile intervenire sulle questioni che sono oggetto del mio intervento, dopo quello del professor Zagrebelsky, anche se cercherò, per quanto è possibile, di mettere in luce alcuni punti di contatto con quanto il professore ha proposto. Prima Claudio Dellavalle ricordava che non è la prima volta che sono qui con voi a ragionare di educazione alla cittadinanza. Anche il titolo del mio intervento di due anni fa, per chi era presente, nel settembre del 2012, non era molto diverso da quello di oggi1. Prima di tutto, quindi, vorrei rassicurarvi sul fatto che non ripeterò, o cercherò di non ripetere, le stesse cose. Quello che mi interesserebbe fare è ragionare con voi su quello che è successo negli ultimi due anni, per capire se quello che è successo appunto dal settembre del 2012 ad oggi ci può aiutare a riflettere meglio sulla costruzione delle competenze di cittadinanza a scuola. Su questo credo che una premessa sia doverosa: io credo che, come dice il mio collega professor Vertecchi, se volessimo metterci d’accordo su un significato univoco del termine competenza non basterebbe un nuovo Concilio di Nicea, nel senso che in ogni documento che noi leggiamo questo termine viene utilizzato con accezioni profondamente diverse fra loro. Sono anche d’accordo con chi dice che, in termini molto generali, l’idea oggi prevalente di competenza ne sottolinea prevalentemente gli aspetti di carattere operativo e strumentale. Non a caso, se voi pensate all’introduzione di questo termine in campo educativo, inizialmente non era mai usato senza aggettivazioni. Fino a un po’ di anni fa si parlava di competenze professionali dell’insegnante; o si usava il termine competenza per indicare quello che oggi nella vulgata pedagogica si chiama il saper fare. Questo, però, è solo uno dei modi di intendere il termine competenza. Se noi leggiamo una serie di documenti - mi riferisco prevalentemente ad alcuni documenti prodotti a livello europeo, in cui il termine competenza è utilizzato con un’accezione molto più ampia - possiamo cogliere come questo termine non sia in contrasto, io credo, con un discorso più approfondito relativo alle conoscenze, alla cultura stessa e, quindi, alla dimensione unitaria che dovremmo cercare, nei limiti del possibile, di dare anche alle nostre conoscenze. Fermo restando quanto veniva detto prima sulla specificità e sul livello di specializzazione delle conoscenze, che

    1 Cfr. La costruzione delle competenze di cittadinanza a scuola, in Cittadinanza e Costituzione. Le parole, gli strumenti, i percorsi. Relazioni e report della Giornata di lavoro,Torino 2013; è consultabile all’indirizzo http://www.istoreto.it/didattica/Dispensa_Cittadinanza_Costituzione.pdf

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    https://www.youtube.com/watch?v=UCtWfXvuFkUhttp://www.istoreto.it/didattica/Dispensa_Cittadinanza_Costituzione.pdf

  • caratterizzano oggi il nostro “sapere”, anche qui per usare un altro termine probabilmente abusato. Proverò a ragionare di competenze di cittadinanza in un’ottica che non è di carattere soltanto operativo e strumentale. Come dicevo, anche se non vorrei ripetere cose di cui abbiamo già discusso insieme in passato, vorrei comunque esplicitare alcune convinzioni di carattere generale, relative a quanto dirò in questo intervento. In primo luogo, io credo che quando noi parliamo di competenze di cittadinanza dobbiamo capire che esse sono qualcosa che riguarda tutti noi, cioè sono qualcosa che riguarda tutti gli individui, tutti i cittadini in quanto tali, indipendentemente dalla loro collocazione sociale, indipendentemente dalla professione che svolgono, indipendentemente dai gruppi, dai diversi gruppi sociali, all’interno dei quali sono inseriti. Questa è l’accezione che viene generalmente attribuita al termine competenza quando si parla, ad esempio, di competenze chiave. Nello stesso tempo, se vogliamo andare più nello specifico e riferirci ai documenti - anche prodotti in ambito italiano, ma che ricalcano documenti internazionali, prevalentemente europei e dell’OCSE - tutte quelle che in questi documenti vengono indicate come competenze chiave, a mio parere, sono a pieno titolo competenze di cittadinanza. Nel senso che quando parliamo di competenze linguistiche, quando parliamo di imparare ad imparare, quando parliamo di competenze digitali, parliamo di qualcosa che serve ed è indispensabile per tutti i cittadini. Un cittadino, come si dice in modo molto retorico, che partecipa in modo attivo e consapevole alla vita politica e sociale, non può non possedere un livello di conoscenze e di competenze in questi ambiti indicati solitamente nei documenti come competenze chiave. Da questo punto di vista, i dati che noi abbiamo sui livelli raggiunti dai nostri studenti, per esempio nelle comparazioni internazionali, non sono rassicuranti. Se vediamo qual è il loro livello di conoscenze e competenze nell’ambito della lettura, ma anche in quelli scientifico e matematico, il dato è assolutamente preoccupante. Difficile scindere un discorso su competenze più specifiche, come quelle che vengono chiamate le competenze civiche e sociali, da un discorso più generale di questo tipo: mi risulta difficile capire come io, o chiunque altro, possa partecipare in modo attivo e consapevole alla vita sociale e pubblica, se non sono in grado di interpretare correttamente un testo, di decodificare diversi tipi di messaggi, di capire cosa c’è dietro le diverse posizioni presenti nel dibattito pubblico. Questa è una prima convinzione che vi sottopongo per la discussione. La seconda è che - e questo credo sia l’elemento più interessante anche di alcune esperienze realizzate qui in Piemonte, su cui poi tornerò, sperando di averle interpretate correttamente sulla base dei materiali che ho avuto modo di leggere - se noi vogliamo lavorare in un’ottica di costruzione di competenze chiave, non si può continuare a ragionare

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  • mantenendo la stessa organizzazione dell’insegnamento, della didattica, la stessa organizzazione della scuola nel suo complesso - con l’attuale organizzazione delle cattedre e dell’orario - che abbiamo attualmente. Lavorare in questa direzione richiede necessariamente innovazione dal punto di vista metodologico e didattico, ma anche dal punto di vista organizzativo. Un aspetto, di cui abbiamo più volte discusso, è che non è che si impara a diventare cittadini solo perché si acquisiscono delle conoscenze: c’è un problema di qualità dell’esperienza che gli studenti hanno effettivamente la possibilità di realizzare all’interno della classe e all’interno della scuola. È necessario che le scuole si caratterizzino come ambienti democratici di apprendimento, tenendo inoltre presente che le competenze di cittadinanza in generale non si acquisiscono solo nella scuola: la scuola è un momento importante, rilevante, determinante, ma non il solo all’interno del quale si acquisisce questo tipo di conoscenze e competenze. E questo nel bene e nel male, nel senso che poi, all’esterno della scuola, le influenze del mondo che la circonda non necessariamente offre agli studenti la possibilità di realizzare esperienze “positive”. Si parlava prima di non cultura dei politici, o degli imprenditori, ma se guardassimo soltanto al costume, al malcostume, imperante a livello politico locale e nazionale, parlare poi agli studenti di valori di cittadinanza è un po’ difficile, o per lo meno andrebbe fatto per contrasto. Credo che questo sia un altro elemento da tenere presente, perché ci aiuta a capire qual è il ruolo della scuola, che in fondo e per fortuna è un luogo protetto, all’interno della quale possiamo forse controllare meglio e agire meglio su alcuni elementi che lo caratterizzano. Detto questo, che è appunto un po’ la premessa delle cose che vorrei condividere con voi, io credo che rispetto a due anni fa ci siano vari aspetti che dobbiamo tener presenti: il primo, e credo che su questo Marco Rossi Doria poi interverrà in modo specifico, è che sono stati due anni in cui abbiamo avuto modo, all’interno della scuola, di lavorare e di riflettere sulle nuove indicazioni per il curricolo, con tutta una serie di elementi culturali e metodologico-didattici che in questo documento vengono suggeriti alle scuole e agli insegnanti. Il secondo aspetto è che, ovviamente, le scuole nel frattempo hanno lavorato: ci sono due anni in più di lavoro, di esperienza, realizzati sotto questo ombrello che chiamiamo Cittadinanza e Costituzione. E questo ci consente di ragionare su elementi di novità, di difficoltà, su alcuni suggerimenti che provengono da queste esperienze. Nel mio intervento proverò a proporvi alcuni spunti di riflessione sulle esperienze condotte qui in Piemonte. Il terzo è che c’è stata, soprattutto nell’ultimo anno, una produzione di linee guida e di documenti, da parte degli Uffici Scolastici Regionali, che

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  • hanno cercato di indirizzare il lavoro delle scuole in modo molto diverso da regione a regione. Nonostante o grazie a queste diversità, disponiamo di una “produzione” di materiali notevolmente più ampia di quanto non avessimo due anni fa. L’ultimo elemento da ricordare è che forse vale la pena di tenere in considerazione alcune proposte, o suggestioni, presenti nel documento del governo sulla “buona scuola”, indipendentemente dal giudizio generale su questo documento. Sono anche convinto però, poi cercherò di specificarlo meglio, che forse c’è l’esigenza di andare oltre Cittadinanza e Costituzione in quanto tale, rispetto alla formulazione iniziale di alcuni anni fa, e soprattutto che sia necessario - anche se capisco che ragionare sempre in termini di cambiamento di quadro normativo per gli insegnanti e per le scuole è molto difficile - cambiare anche alcuni elementi dell’organizzazione scuola.

    Riguardo a Cittadinanza e Costituzione credo sia opportuno ricordare che la proposta della sua introduzione nei curricoli scolastici si colloca in un contesto, all’interno di un clima politico e culturale particolare e che nello stesso periodo si è proceduto alla reintroduzione dei voti numerici nella scuola dell’obbligo e del voto di condotta. Si trattava di un clima a mio parere fortemente influenzato da posizioni di tipo conservatore. Paradossalmente, il ‘ritorno’ ai voti numerici e la reintroduzione del voto di condotta si sono caratterizzati come scelte profondamente in contraddizione con il modo in cui le scuole hanno poi cercato di impostare il lavoro di educazione alla cittadinanza, sotto l’ombrello di Cittadinanza e Costituzione. Credo che questa contraddizione dovrebbe assolutamente essere superata, anche dal punto di vista normativo.

    Detto questo, esplicito il mio punto di vista sulle competenze di cittadinanza. Quando parlo di competenze chiave, faccio riferimento a due documenti fondamentali. Il primo, che viene citato anche nelle indicazioni nazionali per il curricolo, è la raccomandazione del Parlamento Europeo sul lifelong learning del 2006, in cui vengono individuate alcune competenze chiave, tra le quali sono anche inserite le competenze sociali e civiche. Il secondo documento, che forse per alcuni aspetti e dal punto di vista del contributo che ne può derivare per il lavoro all’interno delle scuole sulle competenze chiave è anche più interessante, è il rapporto del progetto OCSE sulla definizione e la selezione delle competenze chiave, il progetto DE.SE.CO. In questo rapporto, le competenze chiave che vengono individuate sono soltanto tre, non sono otto o di più. Perché sottolineo questo aspetto? Perché in questo rapporto, quando si parla di competenze chiave, viene usata l’espressione “costellazione di competenze”, proprio per sottolineare il fatto che le conoscenze riferibili a diverse aree di competenza possono essere comuni a più ambiti disciplinari e richiedono connessioni, richiedono

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  • lavoro comune, richiedono costruzione di percorsi comuni di queste competenze, che è un po’ l’opposto di quello che invece mi sembra sia il segno prevalente del lavoro nelle scuole, che va troppo spesso nella direzione di quanto messo in luce dall’intervento precedente, caratterizzandosi cioè come tentativo di specificare in modo particolareggiato i singoli aspetti delle competenze o, per usare un termine che spesso si trova nei documenti delle scuole, di “declinare” le competenze chiave materia per materia, cosa che secondo me è abbastanza poco utile. La cosa interessante è che, se noi ragioniamo in termini di competenze chiave come dicevo prima, nessuna di queste competenze può essere costruita all’interno di un unico ambito disciplinare, o meglio di una singola materia scolastica. Nei documenti ai quali ho fatto riferimento, le conoscenze e le abilità che vengono riferite a ciascuna competenza chiave, i processi di carattere metacognitivo e gli aspetti di carattere affettivo-motivazionale che vengono indicati quando si parla di queste competenze, spesso si sovrappongono ed è difficile distinguere in modo netto tra un ambito di competenza e un altro: se si accetta questa impostazione, il moltiplicare il numero delle competenze disciplina per disciplina, materia per materia, risulta veramente poco sostenibile dal punto di vista concettuale, mentre invece la cosa interessante - che dovrebbe essere poi il modo in cui le scuole potrebbero lavorare - è cercare di capire come, dal punto di vista delle diverse materie, si costruiscono queste competenze chiave. Il che vuol dire sicuramente individuare conoscenze specifiche, ma anche ragionare su una serie di abilità e su alcuni processi di carattere metacognitivo, che andrebbero sollecitati nel lavoro didattico, che non sono così diversi fra materia e materia, che non sono, cioè, separati nettamente da materia a materia. Certo, alcune conoscenze sono assolutamente tipiche di alcuni ambiti, di alcune discipline, anche se nella scuola l’insegnamento non è organizzato per ‘discipline’, ma piuttosto per ‘materie’, che non è esattamente la stessa cosa. Ad esempio, quando insegniamo “scienze” nella scuola media, di fatto, insegniamo una serie di argomenti che sono oggetto di discipline diverse. Quando insegniamo la lingua italiana, non insegniamo la linguistica, che è un’altra cosa. Sottolineo questo aspetto perché credo riguardi anche Cittadinanza e Costituzione, visto che in alcuni documenti ministeriali si è voluto sottolineare che si tratta di una disciplina, con un suo presunto “statuto epistemologico” autonomo. In questa prospettiva, l’educazione alla cittadinanza potrebbe diventare un fulcro intorno a cui ruotano e si costruiscono conoscenze, abilità, se volete cultura, il senso dello stare insieme, che non sono tipici né della matematica, né delle scienze, né della storia, né della geografia, ma che ognuna di queste materie può contribuire a costruire. Credo che, appunto, l’immagine utilizzata nel progetto DE.SE.CO, della

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  • costellazione delle competenze, sia un’immagine abbastanza potente da questo punto di vista, e che ci debba far riflettere. Se noi guardiamo, in modo più specifico come ci vengono presentate le cosiddette competenze sociali e civiche, ci rendiamo conto che le caratteristiche di queste competenze e gli elementi di conoscenza che nel documento del Parlamento e del Consiglio Europeo del 2006 vengono ad esse riferite, difficilmente sono riconducibili a un’unica materia scolastica. Al contrario, presuppongono contributi di materie diverse, presuppongono un lavoro di carattere integrato fra diverse materie. Oltre a indicare specifiche conoscenze, in questo documento si insiste molto sul fatto che ciò che è importante è il tipo di esperienza che gli studenti possono fare all’interno della scuola, la possibilità – cioè – di esercitare i propri diritti e doveri di cittadinanza, in un’ottica che non li considera come futuri cittadini, ma come cittadini già adesso, che dovrebbero avere l’opportunità, in questo ambiente protetto che è la scuola, di iniziare a esercitare i propri diritti e doveri, a confrontarsi con ciò che questo esercizio comporta. Credo che, per esempio, nelle indicazioni per il curricolo ci siano alcuni elementi importanti che vanno in questa direzione. Credo che la sottolineatura delle caratteristiche della scuola come comunità educante, il richiamare con forza il senso di legalità e l’etica della responsabilità, l’insistere sulla coesione e l’integrazione sociale, l’offrire esempi di possibile partecipazione, di coinvolgimento diretto degli studenti (anche per gli studenti del primo ciclo, perché spesso ci si nasconde dietro al problema dell’età per sostenere che quando gli studenti sono troppo giovani non è possibile coinvolgerli direttamente nei processi decisionali o di cura della scuola, degli ambienti, degli spazi) presenti nelle indicazioni siano molto importanti. Così come ritengo sia importante il richiamo alla opportunità, o necessità sarebbe giusto dire, di adottare procedure di carattere didattico che favoriscano la partecipazione attiva degli studenti. Gli esempi che si fanno sono quelli che conosciamo dell’apprendimento per scoperta e per esplorazione, dell’apprendimento collaborativo, della didattica laboratoriale. Quello che io credo sia interessante è che vengono prese in considerazione, quando si parla di ambiente scuola dal punto di vista che ci interessa, sia la dimensione scuola sia la dimensione classe. Nelle indicazioni nazionali non è possibile operare una distinzione tra questi due livelli e credo che questo sia congruente con alcune conoscenze che ci sono state fornite anche da alcune indagini internazionali. Mi riferisco, in particolare, alle indagini condotte dall’IEA sull’educazione civica alla cittadinanza2. Sia l’indagine condotta nel 1999, sia poi quella del 2009 hanno messo in

    2Si veda Indagine Internazionale sull’Educazione Civica e alla Cittadinanza. Quadro di riferimento, Tecnodid, 2010, traduzione italiana dell’opera International Civic and Citizenship Education Study Assessment Framework, a cura dell’International Association for the Evaluation of Educational

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  • evidenza come il clima di classe sia una variabile rilevante che risulta associata sia ai livelli di conoscenza degli studenti, sia ai valori rilevati in alcuni atteggiamenti legati alla dimensione della convivenza e della vita civica e sociale. Questi risultati stanno ad indicare come la qualità dell’esperienza che gli studenti fanno di un clima aperto alla discussione, al dialogo, alla partecipazione, alla possibilità di contribuire essi stessi a determinare i processi di insegnamento-apprendimento, sia un fattore rilevante che influenza il loro livello di conoscenza e di consapevolezza. Gran parte delle esperienze che gli studenti hanno modo di vivere si realizzano al di fuori della scuola, in famiglia e - soprattutto - nel territorio in cui essi vivono e in cui la scuola è inserita. Anche su questo nelle indicazioni nazionali sono presenti alcuni spunti interessanti: si insiste, secondo me in modo efficace, sulla necessità di inserire le scuole nelle proprie comunità di appartenenza, in un’ottica che vede la scuola non come una comunità isolata, non come un mondo a parte, ma piuttosto come una istituzione inserita in una rete di relazioni che vengono fortemente influenzate dal territorio, dalle sue caratteristiche socio-culturali e dalle sue maggiori o minori ricchezza o povertà. Da questo punto di vista, a me sembra che in Piemonte abbiate alcune esperienze che potrebbero essere definite in qualche modo “storiche”: basterebbe citare il lavoro che è stato fatto negli anni passati nell’ambito dell’educazione ambientale e per lo sviluppo sostenibile, o l’esperienza dei Consigli Comunali dei ragazzi, che hanno lasciato un segno e che sono stati presi come riferimento anche da scuole di altre regioni e di altri territori. In questo quadro, Cittadinanza e Costituzione che cosa ci ha dato in questi ultimi anni? Rispetto a questa domanda, credo che la prima cosa che dobbiamo riconoscere e che dobbiamo cercare di dire con chiarezza è che noi non lo sappiamo esattamente, non abbiamo un quadro sufficientemente chiaro, esaustivo, organizzato di che cosa sia successo nelle scuole in questi anni a partire dalla legge e dalle linee guida, nell’ ambito di Cittadinanza e Costituzione. Dai dati di cui disponiamo, molto frammentari, Cittadinanza e Costituzione è un ombrello, un ombrello sotto il quale troviamo esperienze di diverso tipo, indipendentemente dal loro valore e dalla qualità che vogliamo loro riconoscere. Sicuramente si tratta di un panorama molto differenziato, il che potrebbe essere un elemento di ricchezza, o potrebbe anche essere un elemento se non di confusione, quanto meno di non chiarezza. Poter disporre di alcuni elementi condivisi di conoscenza su quanto è stato realizzato in questi anni credo sarebbe molto utile per la prosecuzione del lavoro e per poter formulare suggerimenti da fornire alle scuole e per valorizzare le esperienze migliori.

    Achievement (IEA). È consultabile all’indirizzo: http://www.iea.nl/fileadmin/user_upload/Publications/Electronic_versions/ICCS_2009_Framework_Italian.pdf

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  • In particolare, che cosa è successo in Piemonte? A questo proposito, mi permetto di mettere in evidenza alcuni elementi che credo di aver rilevato dalla lettura di alcuni materiali che ho avuto l’opportunità di analizzare. Nel pomeriggio, nei gruppi di lavoro, avrò magari modo di ricredermi o di approfondire diversamente la mia opinione. Vorrei, comunque, indicare ora alcuni aspetti che a me sembrano interessanti, perché mi sembra che vadano proprio nella direzione del discorso della integrazione, della non parcellizzazione, del non limitarsi alla sottolineatura delle caratteristiche di singole materie scolastiche, quanto piuttosto verso il tentativo di vedere come le diverse materie possano contribuire a costruire le competenze di cittadinanza all’interno della scuola. In particolare, una prima caratteristica che mi sembra di cogliere in queste esperienze realizzate nell’ambito di Cittadinanza e Costituzione in Piemonte è che esse abbiano consentito di ragionare e di utilizzare una serie di procedure e di approcci didattici innovativi. Anche se parlare di innovazione rischia di mettere in evidenza come approcci e procedure che dovrebbero essere comuni all’interno della scuola in realtà non lo siano affatto. Mi riferisco a quell’insieme di procedure didattiche che puntano proprio a sollecitare la partecipazione diretta, la collaborazione fra studenti, la discussione in classe, la valorizzazione delle dimensioni anche di carattere affettivo ed emotivo - come tutto ciò che, soprattutto nella scuola del primo ciclo, è legato a quella che viene indicata come “didattica del gioco”. Un altro elemento interessante - anche rispetto alla polemica che spesso accompagna l’uso delle nuove tecnologie a scuola - mi sembrano le modalità in cui esse sono state inserite e utilizzate in alcune scuole. Il lavoro con e sulle nuove tecnologie è stato un’opportunità per costruire non solo quella che viene definita come competenza digitale, ma anche le competenze linguistiche, la capacità di ricerca, la capacità di decodificare i messaggi, la capacità di distinguere fra i diversi tipi di informazione, l’abituare i ragazzi a esprimere valutazioni e giudizi sulle informazioni reperite attraverso la rete. Credo che questo costituisca un buon esempio di come un lavoro in un ambito specifico possa proporsi l’obiettivo di contribuire alla costruzione di alcune competenze di carattere generale. Mi sembra anche che in queste esperienze ci sia un tentativo di valorizzare non tanto gli aspetti più legati alle singole materie, quanto piuttosto gli elementi di connessione, di intersezione tra di esse. Ancora, e secondo me questo aspetto risulta particolarmente interessante, si coglie una forte attenzione al problema della valutazione, intesa - se ho capito bene dalla lettura dei materiali - come documentazione dei processi didattici e come raccolta di informazioni sulla base delle quali sviluppare una riflessione comune fra i docenti e con

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  • gli studenti rispetto ai percorsi avviati e ai risultati conseguiti. Questo aspetto è particolarmente rilevante, perché vuol dire lavorare anche sulla autovalutazione degli studenti e sulla dimensione metacognitiva, stimolando gli studenti a riflettere sul proprio modo di apprendere, sul come sono arrivati o non arrivati a determinati risultati. In questo quadro, alcuni materiali elaborati all’interno di queste esperienze cercano di mettere in relazione le procedure didattiche messe in atto con il “che cosa” osservare e come osservare, individuando nella valutazione una attività fondata sulla documentazione, che non si risolve nella sola attribuzione di un voto o di un giudizio, ma che si configura come interpretazione il più possibile condivisa dei dati raccolti nel corso delle attività didattiche. Si tratta di un processo difficile, ma praticabile, come dimostrano i materiali ai quali sto facendo riferimento. Sempre per citare un’esperienza piemontese - a cui ho partecipato direttamente - questo è il modo di lavorare che ha caratterizzato un progetto che negli anni scorsi abbiamo portato avanti con un gruppo di insegnanti dell’AIMC di Asti. Il progetto era focalizzato sul problema della valutazione delle competenze e non su Cittadinanza e Costituzione, ma era molto simile nella impostazione ai progetti sostenuti da Istoreto in questo ambito. La vicinanza è data dal riferimento alle competenze chiave, di cui le competenze di cittadinanza fanno parte. Contemporaneamente, abbiamo assistito al diffondersi di interventi da parte delle istituzioni locali e degli Uffici scolastici regionali. In questo caso, il panorama è estremamente variegato: se leggiamo i documenti e le indicazioni prodotti, troviamo molti elementi di riflessione, ma anche proposte profondamente diverse l’una dall’altra. A titolo di esempio, si potrebbe fare riferimento alle proposte di due Uffici scolastici regionali, quello della Lombardia e quello dell’Abruzzo. Indipendentemente dall’accordo o disaccordo con queste proposte, è quasi impossibile non cogliere la differenza profonda di impostazione tra di esse, entrambe sostenute da uffici scolastici regionali. Queste differenze così profonde potrebbero essere un indice di ricchezza e di varietà, ma anche di una mancanza di indirizzo comune. Anche in questo caso sarebbe necessaria una attività di monitoraggio e di valutazione (di confronto, se si vuole), che non c’è stata e che nessuno ha provato a organizzare. Ovviamente se leggiamo questi materiali troviamo diverse accentuazioni, una diversa importanza attribuita alle diverse dimensioni che solitamente vengono individuate quando si parla di competenze, in alcuni casi ci si limita agli aspetti prevalentemente conoscitivi più che cognitivi, cioè alle conoscenze in senso stretto, in altri si insiste di più sulle altre dimensioni.

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  • Introduco qui una parentesi che credo sia interessante: sempre nello studio dell’IEA sull’educazione civica alla cittadinanza del 2009, nel questionario rivolto ai dirigenti scolastici e nel questionario rivolto ai docenti, c’era una domanda in cui si chiedeva di individuare quali fossero, secondo i rispondenti, gli obiettivi fondamentali da perseguire nell’ambito dell’educazione civica alla cittadinanza. Le tre aree di obiettivi a cui si riferivano gli item contenuti nella domanda, erano quelle delle conoscenze, della partecipazione, dei valori. La stragrande maggioranza degli insegnanti e dei dirigenti in tutti i Paesi ha indicato come più importante l’acquisizione di alcune conoscenze, mettendo in secondo piano gli obiettivi legati alla partecipazione e alla acquisizione di valori. Il che, da un lato, è probabilmente anche giustificato dal tipo di domanda e dal modo in cui essa era stata costruita (con una formulazione degli item tale da poter essere ‘adeguati’ per tutti i Paesi partecipanti). Ma è, però, anche indicativo del fatto che per gli insegnanti l’obiettivo fondamentale è quello di fare acquisire conoscenze; altri aspetti, che pure contribuiscono al loro processo di costruzione e di sviluppo, sembrerebbero messi in secondo piano, almeno stando agli esiti di questa rilevazione. Tornando alle esperienze realizzate nell’ambito di Cittadinanza e Costituzione, nelle linee guida e nei documenti elaborati dagli USR ci sono varie proposte e indicazioni relative alle procedure didattiche, prevalentemente di tipo interattivo (ovviamente non sappiamo se queste linee guida si siano tradotte o meno in effettivi progetti a livello di scuole); ci sono richiami alle competenze chiave, che però sono fondamentalmente quelle indicate nell’allegato al Regolamento per l’obbligo scolastico, non quelle individuate nella Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio Europeo del 2006 o nel progetto DE.SE.CO. È identificabile, secondo me, una tendenza abbastanza forte a “declinare”, questo è il termine purtroppo usato, le competenze materia per materia, individuando descrittori apparentemente anche molto specifici, ma per i quali è difficile - in realtà - identificare i dati e le informazioni che bisognerebbe raccogliere per poter costruire misure ad essi riferibili. È anche riscontrabile una diversa concezione del rapporto fra materie e competenze chiave e rimane molto forte, in alcuni di questi documenti, l’ottica delle “educazioni”. L’educazione civica e alla cittadinanza, cioè, è presentata come una delle “educazioni”, che si aggiunge all’educazione stradale, all’educazione alla salute, all’educazione alimentare e così via. Un aspetto interessante è costituito dalla presenza di alcune indicazioni relative all’organizzazione della didattica e curricolare, in funzione dell’educazione alla cittadinanza. Si tratta di elementi di riflessione interessanti, perché ci consentono di fare alcune considerazioni, a partire dai diversi approcci all’educazione alla cittadinanza che sono stati individuati negli ultimi anni.

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  • La prima è che è difficile individuare una scelta nettamente prevalente fra i tre approcci che venivano indicati nelle linee guida per Cittadinanza e Costituzione: materia separata, approccio integrato, approccio globale a livello di scuola. Su questo va anche detto che, nella discussione che ha accompagnato l’introduzione nei curricoli scolastici di Cittadinanza e Costituzione, nel nostro Paese c’è stato un fraintendimento di quello che è avvenuto per esempio in quei Paesi che hanno scelto di introdurre l’educazione civica come materia separata. Quando si è proposto di considerare Cittadinanza e Costituzione come una materia a sé stante, sono stati spesso richiamati gli esempi della Spagna e dell’Inghilterra, senza però considerare che cosa è veramente accaduto in questi due Paesi. In nessuno di essi, infatti, l’inserimento dell’educazione civica e alla cittadinanza nel curricolo nazionale si è tradotto nell’introduzione di un orario settimanale specifico per questa materia, per tutti gli studenti dalla scuola dell’infanzia all’ultimo anno di scuola secondaria superiore: in Spagna si prevedeva soltanto (e l’attuale governo di centrodestra sta rivedendo questa proposta, non so a che punto sia la discussione) l’introduzione di questa materia in un anno comune a tutti gli studenti, credo il quarto della scuola primaria, e in un altro anno a scelta da parte delle diverse regioni autonome, quindi solo in due momenti del percorso scolastico. Nel Regno Unito, in particolare in Inghilterra, l’introduzione dell’educazione alla cittadinanza nel curricolo nazionale ha comportato la presenza di una prova nazionale relativa a questa materia ad alcuni key stage, ma le scuole nella loro autonomia erano e sono libere di scegliere se dedicare un orario specifico a questa materia o di utilizzare al contrario approcci integrati, di individuare o meno un coordinatore per quest’area curricolare. Come risulta da indagini che hanno accompagnato questa esperienza, molte scuole non hanno fatto nulla. Quindi, ancora una volta, nel nostro dibattito abbiamo un po’ curvato l’esperienza internazionale a nostro uso e consumo. Ancora: dall’indagine IEA emerge una conferma della compresenza di approcci diversi all’educazione civica e alla cittadinanza. Una domanda del questionario rivolto ai dirigenti scolastici, chiedeva quale fosse l’approccio adottato dalla scuola e il dato interessante è che non sembra ci siano scelte univoche. Questi approcci, cioè, oltre ad essere differenti da scuola a scuola, non solo coesistono all’interno di ciascun singolo Paese, ma sono utilizzati contemporaneamente in molte scuole. Credo che questa ‘flessibilità’ utilizzata dalle scuole sia un elemento interessante, perché lavorare per costruire competenze richiede una flessibilità molto maggiore di quanto l’attuale organizzazione della nostra scuola oggi consenta. Credo che un orario rigido, diviso per ore settimanali, uguale per tutto l’anno, per tutti gli studenti, connotino un’organizzazione scolastica poco coerente con il lavoro “per competenze”.

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  • Nella scuola del primo ciclo, c’è una maggiore flessibilità rispetto ai diversi modelli organizzativi adottati nella scuola secondaria di primo e di secondo grado, dove tutto è molto più difficile, il lavorare per progetti diventa problematico. Lavorare per competenze non richiede tanto un carico di lavoro “aggiuntivo” a quanto già si fa, richiede piuttosto un’organizzazione della didattica (e delle scuole) del tutto diversa da quella attuale. Per quanto riguarda alcune conoscenze specifiche, che attualmente non sono presenti nei “programmi” delle materie curricolari, è possibile ipotizzare dei moduli ad hoc, che non necessariamente comportano l’introduzione di una specifica materia (tipo Cittadinanza e Costituzione) in tutti gli anni del percorso scolastico. Uno spazio “normativo” per proposte di questo genere già esiste, è quello dei curricoli di scuola, che offrono la possibilità di introdurre momenti importanti di innovazione. È ipotizzabile, ad esempio, di introdurre moduli che coprano un periodo limitato del tempo e dell’orario scolastico, senza che questo ne comporti la cristallizzazione, affidati a insegnanti in possesso delle competenze necessarie e che non necessariamente debbono corrispondere ai profili previsti dalle attuali classi di concorso. Certo, c’è bisogno di “accompagnare” queste esperienze, c’è un problema di formazione e sarebbe anche necessario affrontare problemi di natura contrattuale e sindacale. Ma si tratterebbe, comunque, di una strada innovativa. Mi sembra che nel documento sulla “buona scuola” siano presenti alcune indicazioni in questa direzione. Non so se le soluzioni proposte siano quelle adeguate, però ci sono delle suggestioni interessanti, al di là di qualsiasi giudizio che vogliamo dare su questo documento nel suo insieme e del tipo di cultura e di cultura della scuola che esprime, ammettendo che ne esprima una. Ci sono, ad esempio, dei passaggi che io credo vadano approfonditi (e non solo sul Web) e possibilmente in un linguaggio chiaro, coerente con la dimensione educativa, e non solo di tipo evocativo: termini tipo hackathon, nugging, data schools, school guarantee e così via potranno anche essere suggestivi e sembrare molto moderni, ma rischiano di coprire vuoti culturali non indifferenti. Penso, ad esempio, ai riferimenti alla gestione di progetti, all’ampliamento dell’offerta formativa, all’idea che ci possa essere un organico non soltanto di scuola, ma di reti di scuole – che mi ricorda quello che un tempo veniva indicato come “organico di distretto”. Certo, in alcuni casi si tratta di possibilità in teoria già esistenti per le scuole, ma largamente non sfruttate. Io non credo che questo derivi soltanto dalla mancanza di risorse, credo che ci sia, piuttosto, un problema di cultura, di modo di concepire la scuola e il lavoro didattico. Mi sembra si possa stabilire un’analogia con quanto si è verificato in passato con i Decreti delegati, in particolare quello in cui si affrontavano i temi della

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  • sperimentazione. Penso all’articolo due sulla sperimentazione cosiddetta metodologica didattica, che consentiva senza spese alle scuole di introdurre elementi considerevoli di innovazione didattica e metodologica - non dal punto di vista organizzativo, per le innovazioni di carattere organizzativo era necessario fare riferimento l’articolo tre. Ebbene, le possibilità offerte dall’articolo sulla sperimentazione metodologica e didattica non sono state utilizzate quasi da nessuna scuola, pur essendo a costo zero. Mi sembra che sia evidente come anche allora ci fosse un problema di “cultura” degli insegnanti, di “cultura” dei dirigenti, di nostra “cultura” della scuola in generale. Quali saranno le condizioni che verranno create perché le innovazioni indicate nel documento sulla “buona scuola” si verifichino effettivamente in futuro lo vedremo, però il problema è quanto meno enunciato. Così come è presente un riferimento a un altro aspetto che io ritengo fondamentale: l’insistenza sull’idea che l’insegnante sia un professionista riflessivo, cosa che ci diciamo da parecchi anni, ma che non riusciamo a realizzare. Concludo, con un accenno problema dei voti numerici e del voto di condotta. Come già accennavo all’inizio di questo intervento, è evidente la contraddizione fra quel tipo di impostazione e l’ottica del lavoro per la costruzione e per lo sviluppo delle competenze. Se questo è vero, però, credo anche che sia importante ricordare, quale fosse il clima politico e culturale all’interno del quale è stata proposta alla nostra scuola l’introduzione di Cittadinanza e Costituzione. Non dico che fosse proprio un clima da law and order, però era una situazione in cui il problema principale sembrava fosse riportare l’ordine e la disciplina all’interno della scuola, dopo i guasti derivanti dal prevalere della cosiddetta “cultura del Sessantotto”. L’educazione civica era vista fondamentalmente, da chi la riproponeva a livello ministeriale, dal ministro diciamolo in modo esplicito, in questa ottica di carattere restauratore: vorrei ricordare, anche per segnare le profonde differenze culturali per esempio con la nuova stesura delle indicazioni nazionali - e visto che siamo in Piemonte - la famosa mozione Cota, in cui veniva raccomandato al governo di creare classi separate, “differenziali” chiamiamole con il loro nome, per gli studenti non italiani che dovevano rimanere parcheggiati in queste classi fino a quando non avessero acquisito una adeguata competenza linguistica nella nostra lingua, unitamente a una conoscenza perfino degli statuti regionali. Io mi chiedo quanti dei nostri studenti italiani avrebbero dovuto passare, e per quanti anni, in queste classi prima di poter essere accolti nelle classi normali. Allora, il clima politico e culturale in cui è stata proposta la valorizzazione o la ripresa dell’educazione civica, perché così veniva chiamata, all’interno della nostra scuola, era questo.

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  • Dobbiamo ringraziare una parte del ministero, io credo in modo particolare l’allora direttore Dutto, e la commissione che ha lavorato su Cittadinanza e Costituzione, perché sono riusciti a modificare questa ottica; ma la proposta politico-culturale andava tutta in questa direzione e il ripristino del voto di condotta, nel modo in cui è stato presentato e nella connessione proprio alla educazione civica, ne era una evidente espressione. Non dobbiamo dimenticare questo clima e questa ottica va superata. Così come credo vada superata l’ottica che vede in Cittadinanza e Costituzione una “disciplina”: Cittadinanza e Costituzione è un titolo, è un ombrello, è quello che volete, sicuramente non è una disciplina. Chiudo dicendo che, appunto, quello che oggi ci serve è ancora molta ricerca, molto lavoro di autovalutazione. Soprattutto, anche alla luce dell’ultima direttiva sul Servizio nazionale di valutazione del 18 settembre, oltre che a parlare di autovalutazione delle scuole, di valutazione esterna delle scuole, di valutazione dei dirigenti, di valutazione degli insegnanti, forse dovremmo cominciare anche a parlare di valutazione delle politiche scolastiche, delle scelte che queste politiche determinano e dei loro esiti, perché su questo noi non facciamo mai i conti.

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  • Bruno Losito, Università Roma Tre

    Le competenze di cittadinanza a scuolaContenuti, esperienze, organizzazione

    Un orizzonte di sensoRipensare il curricolo alla luce di Cittadinanza e Costituzione

    Torino, 2 Ottobre 2014

    Questo intervento

    Convegno del 2012Alcune convinzioni di partenza Le competenze di cittadinanza sono competenze

    chiave. Tutte le competenze chiave sono competenze di cittadinanza

    La costruzione e lo sviluppo di competenze di cittadinanza a scuola richiede di innovare i contesti di insegnamento apprendimento e alcuni aspetti consolidati dell’organizzazione della didattica

    31

    Allegato

  • Questo intervento

    La costruzione delle competenze di cittadinanza non è solo il risultato delle attività formali di insegnamento-apprendimento, ma anche delle esperienze che gli studenti realizzano all’interno della scuola e della classe (‘ambiente democratico di apprendimento’)

    Le competenze di cittadinanza non si costruiscono solo a scuola

    Questo intervento

    Cambiamenti/elementi di novità rispetto a due anni fa Indicazioni nazionali per il curricolo esperienze realizzate dalle scuole nell’ambito

    di CeC iniziative degli USR………………….. la ‘Buona scuola’

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    Allegato

  • Questo intervento

    Andare oltre CeC Modificare alcune scelte operate negli

    anni passati parallelamente alla proposta di introduzione di CeC voti numerici voto di condotta

    Competenze di cittadinanza

    Competenze chiave DeSeCo (usare gli strumenti in modo

    interattivo, interagire in gruppi eterogenei, agire autonomamente) Raccomandazione del Parlamento europeo e

    del Consiglio del 2006 (competenze chiave per il lifelong learning) Competenze sociali e civiche

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    Allegato

  • Competenze di cittadinanza

    Nessuna di queste competenze chiave è costruibile all’interno di un solo ambito disciplinare (da una sola materia)

    Più materie possono contribuire alla costruzione di conoscenze e abilità riferibili a una competenza

    Competenze di cittadinanza

    Più materie possono contribuire alla costruzione di conoscenze e abilità riferibili a una competenza conoscenze, abilità, aspetti

    metacognitivi, aspetti motivazionali ‘Costellazione di competenze’

    (DeSeCo)

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    Allegato

  • Competenze civiche e sociali

    Questo vale anche per le competenze sociali e civiche in senso stretto personali, interpersonali, interculturali partecipazione alla vita sociale e lavorativa società sempre più diversificate risoluzione di conflitti partecipazione attiva e democratica

    Competenze civiche e sociali

    “Conoscenza dei concetti di democrazia, giustizia, eguaglianza, cittadinanza e diritti civili”

    Conoscenza “delle vicende contemporanee nonché dei principali eventi e tendenze nella storia nazionale, europea e mondiale”

    “Consapevolezza degli obiettivi, dei valori e delle politiche dei movimenti sociali e politici”

    Processi di integrazione europea, UE, diversità e identità culturali in Europa

    35

    Allegato

  • Ambiente scuola

    Indicazioni nazionali per il curricolo scuola come comunità educante senso di legalità, etica della responsabilità coesione e integrazione partecipazione degli studenti (decisioni, cura degli

    ambienti e degli spazi,…) esplorazione e scoperta, apprendimento

    collaborativo, didattica laboratoriale Livello classe (didattica) e livello scuola IEA-ICCS: clima di classe

    Scuola, territorio, contesti

    Indicazioni nazionali per il curricolo territorio e comunità di appartenenza

    Esperienze piemontesi (‘storiche’) educazione ambientale e per lo sviluppo sostenibile consigli comunali dei ragazzi ……..

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    Allegato

  • L’esperienza di CeC

    Ad oggi non abbiamo un quadro chiaro ed esaustivo

    Molteplicità di esperienze, varietà di impostazioni

    L’esperienza di CeC

    Le esperienze piemontesi nell’ambito di CeC contesti e didattiche innovativi: ricerca/azione,

    lavori di gruppo, laboratori anche a classi aperte, didattica della discussione, didattica del gioco, cooperative learning, peer education

    nuove tecnologie (non sempre utilizzate in modo innovativo). [Esempio di contributo allo sviluppo delle competenze linguistiche]

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    Allegato

  • L’esperienza di CeC

    tendenza a valorizzare la trasversalità nei progetti di CeC (anche in riferimento alla Indicazioni nazionali per il curricolo)

    attenzione alla valutazione intesa come documentazione (anche dei processi): diari, relazioni degli studenti, registrazioni, schede di osservazione, prove di verifica, raccolte di considerazioni e riflessioni degli studenti

    elaborazione di schede che mettono in relazione contenuti, obiettivi, contesti, procedure didattiche e procedure e strumenti valutativi

    L’esperienza di CeC

    ‘Linee guida’ e attività di formazione degli USR, anche in rapporto alle Indicazioni per il curricolo diversa accentuazione delle dimensioni delle

    competenze (cognitiva, affettivo-motivazionale, metacognitiva) attenzione alle procedure didattiche di tipo

    collaborativo e interattivo

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    Allegato

  • L’esperienza di CeC

    richiamo alle competenze chiave (imparare ad imparare, progettare, comunicare, collaborare e partecipare, agire in modo autonomo e responsabile. risolvere problemi, individuare collegamenti e relazioni, acquisire ed interpretare l’informazione) attenzione allo sviluppo delle competenze e

    tentativo di articolazione interna delle stesse (‘descrittori’)

    differenze nella concezione del rapporto tra materie e competenze chiave permanere dell’ottica delle cosiddette

    ‘educazioni’ suggerimenti per soluzioni organizzative

    interne alla scuole (dipartimenti)

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    Allegato

  • Le scelte ‘organizzative’

    I tre approcci indicati per CeC (materia separata, integrazione tra materie, approccio globale)

    Esperienze di altri Paesi Indicazioni emerse dall’indagine IEA-ICCS

    Le scelte ‘organizzative’

    Una didattica volta alla costruzione e allo sviluppo di competenze richiede flessibilità

    Non rigidità dei curricoli e degli orari (moduli, progetti, differenziazioni per periodi dell’anno,…)

    ‘Curricolo di scuola’Reti

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    Allegato

  • Le scelte ‘organizzative’

    Le competenze necessarie formazione

    Il reclutamento aspetti contrattuali

    La ricerca

    Le scelte ‘organizzative’

    La ‘Buona scuola’ Si tratta di realizzare concretamente quanto già previsto in via

    sperimentale dal 1999 e in via generale dal 2012: l’organico dell’autonomia, ovvero un team di docenti che aiuti la scuola a gestire da sola, o in rete con altre, le molte attività complementari all’ordinaria attività didattica: dallo sviluppo delle eccellenze e dal recupero all’integrazione al sostegno ai ragazzi diversamente abili; dalla programmazione del fabbisogno scolastico e della gestione delle supplenze all’aumento del tempo scuola, alla gestione di progetti e – più in generale – all’ampliamento dell’offerta formativa.

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    Allegato

  • Le scelte ‘organizzative’

    La ‘Buona scuola’ Un esempio? Per un liceo è già possibile, in teoria, cambiare

    fino al 30% del piano di studi dell’anno scolastico. La norma richiede che questa quota oraria sia gestita utilizzando l’organico di cui l’istituto è dotato oppure attraverso docenti non nell’organico della scuola, retribuiti con risorse accessorie. Nella gran parte dei casi, tuttavia, le scuole non hanno i fondi per remunerare docenti esterni alla scuola, mentre quelli interni hanno orari rigidi e competenze non riconvertibili. La norma dunque esiste, ma come spesso accade, non la si può attuare.

    Le scelte ‘organizzative’

    La ‘Buona scuola’ Al docente va offerta l’opportunità di: continuare a

    riflettere in maniera sistematica sulle pratiche didattiche; di intraprendere ricerche; di valutare l’efficacia delle pratiche educative e se necessario modificarle; di valutare le proprie esigenze in materia di formazione; di lavorare in stretta collaborazione con i colleghi, i genitori, il territorio.

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    Allegato

  • Valutazione e voti

    In che misura la valutazione delle competenze (tutte le competenze) è compatibile con la scelta di una valutazione espressa in voti numerici?

    Valutazione: documentazione e interpretazione

    Contesti e dimensione evolutiva delle competenze

    Valutazione e voti

    Il voto di ‘condotta’Clima politico-culturale entro il quale è

    stata proposto l’inserimento di CeC

    CeC non è una ‘disciplina’

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    Allegato

  • Abbiamo ancora bisogno di ricercaAbbiamo bisogno di percorsi di

    autovalutazione delle scuoleAvremmo bisogno di una attività seria di

    monitoraggio e di valutazione delle politiche scolastiche

    Grazie per l’attenzione !

    [email protected]

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    Allegato

  • Indicazioni nazionali e cittadinanza Marco Rossi-Doria, Insegnante, Esperto d’integrazione educativa e sociale

    Ho riflettuto, nel venire qui, sul tema che mi è stato proposto, Indicazioni nazionali e cittadinanza. E ho pensato se affrontarlo presentando delle slide che ho preparato, oppure affidarmi a un racconto. E ho deciso di prendere il rischio di affidarmi a un racconto. Vorrei sviluppare questo racconto cercando di capire insieme - anche se provvisoriamente e probabilmente con molti difetti - a che punto stiamo davvero nel rapporto tra quello che sono chiamate a realizzare le scuole, così come viene richiesto dalle Indicazioni nazionali e la possibilità di promuovere effettivamente i diversi caratteri che assume la cittadinanza nei nostri contesti, che sono contesti molto diversi tra loro. Questo racconto lo vorrei fare esprimendo in maniera esplicita i miei punti di vista, perché i racconti sono di parte ed è onesto intellettualmente, credo, dire quali sono i punti di vista. E mi preme, intanto, fare una riflessione proprio sul rapporto tra punto di vista e ruolo che si ricopre, secondo Costituzione. Ecco: il mio punto di vista oggi è più libero dell’ultima volta che sono stato in questa sala, perché quando uno ricopre incarichi istituzionali, di governo - io ero, l’ultima volta che ci siamo incontrati, sottosegretario di stato - deve parlare per la posizione che ricopre, non è che può parlare liberamente. E non è che l’ultima volta ho parlato in modo diverso come costrizione. Dato che parliamo di Costituzione, lo facevo per senso delle regole da seguire entro le istituzioni, regole che condivido. Se, infatti, una persona, un cittadino ricopre un incarico si assume i compiti e anche i limiti alla libertà personale che l’incarico raccomanda o richiede. Insomma, oggi c’è gente che ricopre posti istituzionali e parla ‘come je pare’ - per dirla alla romana. Ecco io non penso che si debba fare così. Se hai avuto la fiducia delle Camere come membro del potere esecutivo, allora non puoi parlare per te stesso, quando parli in pubblico di questioni pubbliche ma “parli per il governo che stai rappresentando” o tenendo conto del fatto che sei membro del governo, ti piaccia o no quello che sta facendo il governo; e te ne assumi l’onere. Altrimenti non ci vai al governo. E quindi, quando parlavo qui come sottosegretario l’ultima volta, avevo una sacrosanta riduzione di libertà del mio pensiero. Lo dico perché veramente siamo in una situazione in cui si pensa - che si coprano o non si coprano posizioni istituzionali - puoi dire quel che ti pare e come ti pare. Ecco, io non penso che sia così. Dunque, ora sono più libero. E posso raccontare liberamente per riflettere insieme sul rapporto tra Indicazioni e scuola di tutti i giorni, in termini di diritti di cittadinanza.

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  • Nel novembre del 2011, quando sono diventato sottosegretario e ho avuto la delega al primo ciclo di istruzione e alle Indicazioni per il Curriculum che ne determina indirizzi e obiettivi, noi eravamo messi nel seguente modo: avevamo due indicazioni per le scuole, che dovevano guidare il concreto, quotidiano fare scuola e non si era deciso quali erano le indicazioni per il lavoro dei nostri docenti nelle scuole della Repubblica. Voi capite che per il nostro tema era una situazione incredibile: tu devi indicare alle scuole - che sono un’autonomia funzionale dello stato, ex titolo quinto della Costituzione - un quadro unitario di riferimento per attuare traguardi e obiettivi di apprendimento e, invece, ci sono due ipotesi, due quadri diversi di riferimento per attuare il mandato costituzionale dell’obbligo all’istruzione. Una ipotesi era la cosiddetta riforma Moratti dove erano elencati in modo molto dettagliato e prescrittivo ben più di cento obiettivi specifici di apprendimento per i nostri bambini e ragazzi che i docenti dovevano mettere al centro del proprio operare didattico ed educativo per portare i ragazzi verso l’apprendimento e lo sviluppo della cittadinanza. Una seconda ipotesi erano le indicazioni per il curricolo che aveva proposto la commissione voluta da Fioroni (alla cui stesura peraltro avevo partecipato come membro della commissione ad hoc). Queste ridavano libertà ai docenti pur definendo una guida in termini di traguardi, un chiaro indirizzo ma senza elencare ogni specifico obiettivo poiché si voleva salvaguardare la libertà, costituzionalmente sancita, dell’insegnamento, si voleva tenere conto delle differenze di contesto pur salvando un approccio unitario nazionale e si privilegiava l’autonomia delle scuole acquisita ex titolo V rinnovato della Costituzione rispetto a una prescrittività troppo dettagliata proveniente dal centro. Quindi avevamo due ipotesi davvero alternative, per impianto concettuale, metodo e merito di come fare scuola. E - quando mi fu data questa delega, alla fine del 2011 - la Repubblica italiana non aveva deciso quale delle due adottare. Erano state anche fatte delle consultazioni che non erano secretate, ma nessuno ne sapeva l’esito e intanto erano passati degli anni e si discuteva senza decidere quale fosse la linea di indirizzo della Repubblica per fare scuola. Ecco… continuando questa mia narrazione, dovevamo ridiventare una Repubblica, una comunità seria e, pertanto, dire alle scuole quali erano le indicazioni. Questa era la prima cosa da fare, una tappa non più rimandabile. Al contempo sapevamo e registravamo tutti, da tempo, che emergevano - in maniera sparsa ma abbastanza consistente - alcune preoccupazioni dalle scuole su cosa fosse importante mettere in queste indicazioni. E, però, non avevamo i dati su queste opinioni diffuse. Vi era, perciò, una seconda cosa da fare: enucleare questi temi che le scuole sentivano come cruciali per avere buoni indirizzi e traguardi verso i quali lavorare per dare piena

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  • cittadinanza in termini di conoscenze e competenze ai bambini e ragazzi dai 3 ai 14 anni. Ne voglio elencare alcuni di questi indirizzi sui quali si dibatteva nelle scuole e sui quali era chiaro - per me che arrivavo lì con un mandato di governo - che si doveva decider


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