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Un solo mondo 2/2011 · 4 Un solo mondo n.2 / Giugno 2011 Periscopio hanno costretto alla fuga i...

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Un solo mondo N. 2 / GIUGNO 2011 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE www.dsc.admin.ch Bangladesh Acqua, fonte di vita e di morte La Georgia sbircia ai mercati europei Filantropi miliardari e cooperazione allo sviluppo
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N. 2/ GIUGNO 2011LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONEwww.dsc.admin.ch

BangladeshAcqua, fonte di vitae di morteLa Georgia sbircia aimercati europei

Filantropi miliardari ecooperazione allo sviluppo

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Sommario

3 Editoriale4 Periscopio

26 Dietro le quinte della DSC34 Servizio35 Nota d’autore con Arno Camenisch35 Impressum

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenziadello sviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri(DFAE), è l’editrice di « Un solo mondo». La rivista non è unapubblicazione ufficiale in senso stretto ; presenta, infatti, ancheopinioni diverse. Gli articoli pertanto non esprimono sempre ilpunto di vista della DSC e delle autorità federali.

D S C

F O R U M

6 BangladeshUn giovane Stato lotta contro povertà,inondazioni e siccitàEntro il 2021 il Bangladesh punta ad annoverasi tra i paesi a medioreddito – una meta molto ambiziosa

11 L’importanza delle ONGIn nessun altro paese al mondo operano così tante organizzazioni non governativequanto in Bangladesh. Il loro impegno è indispensabile, ma cela anche dei rischi

12 Sostenuto dal governo, ostacolato dai burocratiUn’intervista con il politologo Sohel Ibn Ali sul decentramento in atto in Bangladesh

14 «Fermare l’emigrazione è pura illusione»Per molti abitanti del Bangladesh l’emigrazione è l’unico modo per ottenereuna fonte di reddito sicura. Ma anche lo Stato ha il suo tornaconto

16 Protezione contro inondazioni e cicloniNella costruzione di rifugi anticiclone, la Svizzera va incontro alle esigenzedella popolazione locale

17 Cifre e fatti

18 «Una democrazia perfetta non esiste da nessuna parte»Fra tutte le repubbliche del Caucaso, la Georgia è il modello di democrazia più riuscito.Ma il piccolo paese agricolo risente ancora delle conseguenze del conflitto con la Russia

21 Una giornata tipica di...Derek Müller, responsabile dell’ufficio di cooperazione di Tbilisi

22 «Abbiamo bisogno di miscelatori di ceneri!»L’artista georgiano Wato Tsereteli illustra cosa significhi quando in un paesemanca l’iniziativa propria

23 Esperti dell’acqua per il SudanLa Svizzera amplia i propri aiuti per il Sudan meridionale

24 Forni meno voraci di energia per l’industria dei lateriziIn America latina un programma regionale della DSC intende aumentarel’efficacia energetica delle fornaci per frenare il cambiamento climatico

27 Filantropia e cooperazione: un binomio imperfettoSempre più spesso miliardari filantropi si impegnano a favore di paesi poveri.Ma questo sostegno rischia di interferire con gli aiuti delle agenzie statali

30 L’eroe dei mille gradiniCarta bianca: Rafael Alberto Sagárnaga López, giornalista e linguista boliviano,ricorda la sua infanzia

31 Realtà romLe immagini del fotografo losannese Yves Leresche aprono uno squarciosulla vita quotidiana dei rom

O R I Z Z O N T I

C U L T U R A

D O S S I E R

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Concert for Bangladesh – questo il titolo di unodei primi dischi che, ancora ragazzo, compraicon la mia modesta paghetta. Fino ad ogginon mi sono più separato da questa coper-tina piatta in cartoncino arancione, custo-dia di tre LP. Il Concert for Bangladesh è laregistrazione dal vivo di quel grande con-certo tenutosi il 1°agosto 1971 al MadisonSquare Garden di New York, davanti a40000 spettatori.

La folla di popstar e pubblico per i tempi diallora era enorme. George Harrison e Ravi Shankarhanno organizzato e inaugurato l’evento. Tra le illustrestar sul palco vi erano personaggi come Bob Dylan, EricClapton, Ringo Starr e Billy Preston. È stato il primogrande concerto di solidarietà del suo genere, in uncerto senso la madre di tutti i concerti di solidarietà, eper la mia generazione è stato un evento decisivo: hadimostrato che è possibile far scattare una mobilita-zione mondiale per impegnarsi con successo controuna catastrofe umanitaria.

L’immagine sulla copertina dell’album mi è rimasta benimpressa: una foto in bianco e nero di un bambino quasischeletrico. Per molto tempo questa foto è stata unaspecie di simbolo dell’emergenza e della miseria inBangladesh, accanto a tante altre immagini devastantisimili che hanno fatto il giro del mondo, sollecitando lapartecipazione e la presa di posizione.

La catastrofe umanitaria si è prodotta a seguito dellaseparazione del Bangladesh dal Pakistan, delle som-mosse politiche e militari che ne sono conseguite, delgrosso problema dei profughi e della calamità naturaleche ha colpito il paese con il ciclone Bhola. Non è statorisparmiato proprio nulla al paese e ai suoi abitanti.

Ancora per molti anni il Bangladesh veniva con-siderato come un «basket country», il paese

dei cestini dell’elemosina, la patria dei di-sperati che per non morire di fameci allungavano i loro cestini affinché glieliriempissimo di alimentari e aiuti. Decennidopo, mi sono recato in Bangladesh – perla prima volta, in veste di direttore dellaDSC. Durante il viaggio di andata avevoancora in mente queste immagini. È veroche ho visto tanta povertà e tanta ingiusti-zia. Le catastrofi ci sono ancora: i forti

danni causati dalle piogge, la penuria di acqua potabilee i suoli e l’acqua contaminati da arsenico.

Ma non ho visto né disperazione, né letargia, ho inveceincontrato persone che con grande energia e capacitàinventiva prendono il futuro nelle proprie mani. Il soste-gno di cui molti hanno bisogno non porta ad una di-pendenza sul lungo termine, ma rafforza le persone e leaiuta nella loro ricerca di prospettive di vita migliori e au-tonomia economica.

Visitare il Bangladesh mi ha dato la possibilità didimenticare le vecchie immagini che avevo impresse inmente. Il Bangladesh è un esempio di come può fun-zionare lo sviluppo, ecco perché è importante trarre in-segnamento dalle esperienze maturate in Bangladesh.Ve le proponiamo riunite nel dossier della presente edi-zione di «Un solo mondo».

Martin DahindenDirettore DSC

(Tradotto dal tedesco)

Editoriale

La madre di tutti i concertidi solidarietà

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hanno costretto alla fuga i coope-ranti dei programmi sanitari ei portatori del parassita, provo-cando un’ulteriore diffusionedella malattia. I casi recensitinel 2010 nel Sudan meridionaleerano 1690, pari all’80 percento delle infezioni mondiali.«Se, con l’indipendenza, in SudSudan confluiranno più aiutiesteri e le armi taceranno, entroun anno potremo sconfiggere ladracunculiasi», auspica MakoySamuelYiibi, direttore del pro-gramma di lotta al verme dellaGuinea presso il Ministero dellasanità sud-sudanese.www.who.int/dracunculiasis/en

Una crescita difficile(bf) L’Africa inizia a interessaregli investitori: in molti paesi ilceto medio sta progredendo, econ esso il suo potere d’acqui-sto. In soli dieci anni gli investi-menti diretti sono quasi settu-plicati. Ma non ovunque.L’Africa a sud del Sahara rimanela regione più povera del pia-neta a fronte del più alto tassodi crescita demografica. Nelsuo documento «SchwierigesWachstum» («Crescita difficile»)l’Istituto per la popolazione elo sviluppo di Berlino individuanella dinamica demografica unadelle principali cause dell’arre-tratezza economica di talune re-gioni, unitamente alla mancanza

Dimagrire, un gioco daragazze(jls) Solo qualche anno fa ilnzango era l’appannaggio dellebambine e delle ragazze delCongo-Brazzaville. Oggi questogioco di gruppo, che richiedeuno sforzo fisico notevole, èuno sport molto in voga neidue Congo.All’origine di que-st’improvviso entusiasmo c’è unmedico di Brazzaville, MpasiTitov.Alla ricerca di una curaper donne sovrappeso,Titov havisto delle ragazzine giocare anzango e si è lasciato ispirare,

suggerendo alle sue pazienti difare altrettanto. «Dopo alcuniminuti di gioco hanno iniziatoa sudare», racconta. Oggi sem-pre più donne praticano questogioco, che le riporta all’infanziae permette loro di restare informa. Nel 2005 il nzango è di-ventato disciplina sportiva uffi-ciale in Congo-Brazzaville. Hapoi varcato la frontiera e si èdiffuso nella Repubblica demo-cratica del Congo, che a suavolta lo ha integrato nella sualegislazione sportiva. Così orain entrambi i paesi si svolgono

incontri e tornei, e un po’ovun-que sono sorti dei club.

Internet per tutti(gn) Oggi strumento fonda-mentale, internet dovrebbe ap-parire nell’elenco dei dirittiumani. È quanto esige l’orga-nizzazione Ahumanright.org,secondo cui sette persone sudieci non hanno ancora accessoal world wide web – per moltiresta ancora impagabile. Percambiare le cose l’organizza-zione sta realizzando (in inter-net) una colletta per acquistareil satellite Terrestar-1, il cui ge-store ha dichiarato fallimento.In un paese povero – si parla,nel caso specifico, della PapuaNuova Guinea – ciò consenti-rebbe di garantire a tutti unaccesso a internet. «La consulta-zione delle informazioni reperi-bili in rete sostiene l’istruzione,la sanità pubblica e l’accessoad acqua pulita. Grazie a pro-grammi di formazione adistanza è possibile offrireun’istruzione ai bambini cheabitano in zone discoste, e latelemedicina consente ai medicidi trattare i pazienti a distanza»,spiega Kosta Grammatis diAhumanright.org, che intendefinanziare l’accesso gratuito allarete vendendo a partner di tele-comunicazione le offerte abanda larga del satellite.www.ahumanright.org

Stop al verme della Guinea(gn) L’indipendenza del SudSudan potrebbe far presto ap-partenere al passato l’infezionecausata dal verme della Guinea:negli ultimi decenni, infatti,questo parassita che penetra nel-l’organismo attraverso l’assun-zione di acqua insalubre è prati-camente scomparso dall’Asiae da ampie regioni dell’Africa.Nessun successo, invece, per lacampagna dell’OMS contro lapericolosa malattia nel Sudanmeridionale: i conflitti armati

Proteggere il riso dai topi(bf) Nell’ambito di una campagna, in Indonesia e Vietnam200000 coltivatori di riso stanno imparando a proteggere iloro raccolti dai voraci roditori – in modo efficace, econo-mico e sostenibile, rinunciando all’impiego di veleno pertopi a vantaggio di metodi ecologici. In queste due nazionii ratti si collocano al primo, rispettivamente terzo postonella graduatoria degli animali nocivi nel periodo prece-dente i raccolti di riso – davanti a inondazioni, siccità e al-tre catastrofi. Ora i contadini hanno unito le forze per ster-minare tempestivamente i roditori, migliorando l’igiene neicampi e riducendo a due settimane i periodi di piantuma-zione, così da abbreviare anche i periodi di riproduzionedei ratti, simili al processo di sviluppo e di maturazione delriso. Come indicato dall’Istituto di ricerca sul riso IRRI diManila, in Asia i ratti distruggono dal 5 per cento(Malaysia) al 17 per cento (Indonesia) della produzione diriso – una quantità sufficiente a nutrire 225 milioni di per-sone (l’equivalente dell’intera popolazione indonesiana)per un periodo di dodici mesi.www.irri.org (chiave di ricerca: «rats»)

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di investimenti soprattutto a li-vello di pianificazione famigliaree istruzione, e invita a inserirel’evoluzione demografica – ele-mento finora trascurato – nellalista delle priorità della politicadi sviluppo.A supporto della suatesi l’Istituto mette a confrontola situazione di sviluppo inAfrica e in Asia: sulla base delladinamica demografica esso di-mostra coma diversi Stati asiaticisiano riusciti a staccarsi dalfondo classifica dei paesi piùpoveri del pianeta in particolaregrazie a una migliore pianifica-

zione famigliare.www.berlin-institut.org (chiave diricerca: «SchwierigesWachstum»)

Africa troppo vicinaall’acqua(bf) Attualmente in Africa ilnumero di persone vittime ognianno delle inondazioni è diecivolte superiore rispetto a 50anni fa. Secondo uno studiofinanziato dall’UNESCO erealizzato dall’Istituto di tecnicaidraulica e idroingegneriadell’Università Tecnica diVienna, dietro questa tragedia non si celano i cambiamenti cli-

matici. Per il direttore dello stu-dio, il professor Günter Blöschl,e il suo team la colpa va attri-buita all’urbanizzazione selvag-gia che ha reso le città semprepiù vulnerabili alle inondazioni.Lo studio ha analizzato i dati dialluvioni che hanno inondato79 piane fluviali africane negliultimi 30 a 90 anni. Dai risultatiè emerso che le inondazionigravi sono aumentate solamentein quattro piane fluviali, motivoper cui i ricercatori hannoescluso il clima quale causa del-

l’aumento delle vittime, da spie-garsi piuttosto con la crescitademografica nelle zone interes-sate. Questa tendenza potrebbeessere contrastata efficacementecon una pianificazione territo-riale migliore e sistemi di pre-allarme alla portata di tutti.www.hydro.tuwien.ac.at (chiave diricerca: «Flood Fatalities in Africa»)

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Il Bangladesh è uno Stato relativamente giovane.L’allora Pakistan orientale ottenne l’indipendenzasolo nel 1971, dopo una sanguinosa guerra di li-berazione.Il piccolo Stato situato ai margini orien-tali della regione meridionale dell’Asia è quasi to-talmente circondato da territorio indiano e perquesto dipende molto – sia politicamente, sia eco-nomicamente – dal potente vicino, che fra l’altroha svolto un ruolo rilevante nella nascita del Ban-gladesh.

Un giovane Stato lottacontro povertà,inondazioni e siccitàQuest’anno il Bangladesh festeggia 40 anni. Il piccolo Stato delsudest asiatico ambisce a diventare entro il 2021 un paese amedio reddito, ma nonostante i progressi in campo sociale euna crescita economica relativamente rapida, continua ad es-sere fra le nazioni più povere del pianeta. Le cause di questasituazione vanno ricercate nell’instabilità politica, nella corru-zione cronica e nelle frequenti catastrofi naturali. Di AndreaSpalinger*.

Nondimeno, negli ultimi quarant’anni le relazio-ni bilaterali non sono sempre state prive di ten-sioni. I due paesi sono separati da 4000 km di fron-tiere difficili da controllare, e più volte Delhi haaccusato il vicino musulmano di appoggiare gliestremisti islamici e i separatisti attivi nel nordestindiano.Senza contare i milioni di immigrati clan-destini, a causa dei quali qualche anno fa l’Indiaha avviato la costruzione di una recinzione in gra-do di porre un freno al traffico di armi e droga e

Nonostante il Bangladesh presenti da diversi anni una notevole crescita economica del 6 per cento, il 36 per centodella popolazione è ancora costretta a vivere con meno di un dollaro al giorno

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Bangladesh

al flusso di esseri umani dal Bangladesh.A sua vol-ta il Bangladesh è preoccupato perché l’India con-trolla i corsi superiori dei principali fiumi del pae-se, e attraverso la costruzione di dighe potrebbe«lasciare a secco» il piccolo Stato.Sin dalla nascita il Bangladesh è dipeso fortemen-te dall’aiuto allo sviluppo; negli ultimi decenni ha

perciò investito molte energie nella cura delle re-lazioni internazionali – con i vicini paesi del sud-est asiatico, la grande potenza cinese, gli Stati delmondo arabo e anche l’Occidente.

Meno aiuti internazionali, più rimessedall’esteroNegli anni Ottanta e Novanta il paese ha benefi-ciato di cospicui presiti della Banca Mondiale e delFondo Monetario Internazionale, che in questo

La corruzione ostacolalo sviluppoLa corruzione diffusa hanotevolmente frenato losviluppo del Bangladesh,accrescendo il divario traricchi e poveri. Chi nonpuò «ungere» i funzionaripreposti si vede negatol’accesso a servizi primaricome le cure ospedaliere,l’acqua potabile o l’elettri-cità. «Qui il pagamentodi tangenti alle autorità èoramai una consuetudine,come se lo Stato lo avesselegalizzato», afferma il gio-vane proprietario di un ne-gozio a Dacca. SecondoTransparency International,il Bangladesh è uno deipaesi più corrotti del pia-neta – in primis le forze dipolizia, ma anche i funzio-nari dell’amministrazione edella giustizia.

In Bangladesh circa 30 milioni di persone hanno fatto ricorso a un microcredito nel tentativo di evadere dalla povertà

modo avevano un forte influsso sul governo cen-trale. Da allora questo rapporto di dipendenza èstato ridimensionato, anche se Dacca continua aricevere regolarmente aiuti da istituti di credito in-ternazionali.Molto importanti per il Bangladesh sono anche irapporti con gli Stati arabi del Golfo, che danno

lavoro alla maggior parte dei suoi emigrati (vedipagina 14).Lo scorso anno vi sono state rimesse in patria per10 miliardi di dollari, pari al 10 per cento del pro-dotto interno lordo del paese. Per il Bangladeshil denaro spedito a casa dai milioni di lavoratoriall’estero gioca un ruolo assai più importantedei fondi stanziati dalla cooperazione allo sviluppo,che attualmente ammontano a 2 miliardi di dol-lari l’anno circa.

Successi nello sviluppoIn alcuni settori ilBangladesh ha compiutoprogressi di gran lunga su-periori a quelli di altri Statidel sudest asiatico, comeil Vietnam, il Laos, laCambogia o perfino l’India.A titolo di esempio, l’aspet-tativa di vita (67 anni)supera addirittura quelladell’India, nonostante ilreddito nazionale lordodoppio del gigante asia-tico. Oltre la metà della po-polazione bangladese haaccesso a strutture sanita-rie – contro il 31 per centodei cittadini indiani. Ancheil tasso di scolarizzazione èpassato, secondo l’ONU,dal 60 per cento ad oltre il90 per cento nel periodotra il 1990 e il 2009, rag-giungendo un livello netta-mente superiore alla mediaregionale.

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Un territorio densamente popolatoDal 1971 ad oggi la popolazione del Bangladeshè quasi raddoppiata, raggiungendo quota 164 mi-lioni. Con una superficie di appena 144000 km2

– tre volte e mezza l’estensione della Svizzera – èuna delle nazioni più densamente popolate. Ne-gli anni Sessanta e Settanta il Bangladesh ha regi-strato uno dei tassi di crescita demografica più altial mondo. Grazie al controllo delle nascite il tas-so è stato dimezzato, ma permane ancora piutto-sto elevato (1,5 per cento annuo). Un livello cheentro il 2025 potrebbe portare il numero di abi-tanti a quota 200 milioni.La popolazione è costituita per circa due terzi dagiovani sotto i 25 anni.Questo dato potrebbe rap-presentare un enorme vantaggio demografico, seai giovani venisse garantita un’istruzione adegua-ta. Ma a livello formativo c’è ancora parecchio dafare. «Negli ultimi vent’anni il tasso di scolarizza-zione è passato dal 60 a quasi il 100 per cento», af-ferma Rehman Sobhan del Centre for Policy Dia-logue, il più importante think tank del paese. «Masotto il profilo della qualità molte scuole sono an-cora carenti, soprattutto nelle zone rurali, dovespesso mancano insegnanti motivati, spazi adeguatie il materiale per le lezioni. Un bambino su dueabbandona la scuola prima della quinta, e in mol-ti casi anche al termine della scuola elementare i

bambini sanno a malapena leggere e scrivere». Se-condo l’UNICEF, attualmente il tasso di alfabe-tizzazione nel paese è del 54 per cento.

Notevoli progressiDal 2006 il Bangladesh registra una stupefacentecrescita economica del 6 per cento circa. Eppure,con un prodotto interno lordo annuo di 641 dol-lari pro capite, secondo l’Organizzazione per loSviluppo delle Nazioni Unite UNDP il paese re-sta tra le nazioni più povere del pianeta. Se da uncanto il numero di ricchi è notevolmente au-mentato, dall’altro il 36 per cento degli abitantivive con meno di un dollaro al giorno, collocan-dosi pertanto al di sotto della soglia di povertà.Nell’Indice di Sviluppo Umano stilato dall’UNDPnel 2010 il Bangladesh ha dimostrato di aver fat-to passi avanti, risalendo dal 169° al 129° posto.Ciò nonostante continua a collocarsi nella cate-goria di Stati con un «basso grado di sviluppo».L’UNDP critica l’estrema lentezza con cui il go-verno riduce la povertà, ma bisogna riconoscereche in merito ad alcuni criteri specifici dello svi-luppo – come la sanità e l’istruzione – il Bangla-desh ha fatto enormi progressi: il tasso di scolariz-zazione e l’aspettativa di vita sono notevolmentecresciuti, mentre la mortalità infantile e maternaè stata ridotta.

Operai tessili insoddi-sfattiGrazie al basso costo dellaforza lavoro e ai cospicuiincentivi statali, negli ultimivent’anni l’industria tessileè diventata la colonna por-tante dell’economia delBangladesh. Sono circa tremilioni le persone, soprat-tutto donne, che lavoranoin questo settore. Le ope-raie, però, sono sottopa-gate e i loro salari nonsono mai stati ritoccati –e nemmeno adattati allaforte inflazione che attana-glia il paese dal 2007. Loscorso anno tuttavia cisono state delle violenteproteste che a novembre2010 hanno convinto il go-verno ad aumentare il sala-rio minimo mensile delleoperaie tessili da 1662 a3000 taka (ca. 39 franchi).Ma la situazione resta tesa,e a fronte dell’aumento deiprezzi i sindacati chiedonoun ulteriore aumento a5000 taka al mese.

L’industria tessile è il settore economico più importante del paese: genera tre quarti del reddito delle esportazioni e dàlavoro a 3 milioni di persone, la maggior parte donne

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Bangladesh

Grandi progressi nellepari opportunitàIl destino del Bangladeshsi declina al femminile nonsoltanto per le due donneche dominano la scenapolitica, ma anche sottoil profilo della parità tra igeneri. Negli ultimi anni ilpiccolo Stato musulmanoha fatto progressi straor-dinari, assicura la porta-voce dell’Unicef per l’Asiameridionale Sarah Crowe.L’89 per cento dei ragazzie il 94 per cento delle ra-gazze frequenta la scuolaprimaria. Un dato degnodi nota, afferma la Crowe,visto che in tutti gli altriStati della regione le ra-gazze ricevono un’istru-zione in misura molto mi-nore dei coetanei maschi.Nonostante gli importantiprogressi, il tasso di analfa-betismo femminile restapiù alto di quello maschile,anche se il rapporto si èinvertito nei giovani adulti.Secondo l’ONU, nel 2008il 76 per cento delle ra-gazze e il 73 per cento deiragazzi tra i 15 e i 24 annisapeva leggere e scrivere.

Forte presenza di organizzazioniumanitarieSecondo Iftekhar Zaman,responsabile diTranspa-rency International a Dacca, i principali ostacoliallo sviluppo del paese sono la corruzione croni-ca, la debolezza delle istituzioni statali e il malgo-verno.A suo avviso, i risultati incoraggianti com-piuti in campo sociale non sono il frutto di poli-tiche del governo, ma della forte presenza diistituzioni umanitarie.Negli ultimi anni, infatti,or-ganizzazioni non governative (ONG) finanziateprincipalmente con capitali esteri hanno colmatoun vuoto di potere creatosi soprattutto a livello lo-cale,assumendo viepiù compiti e responsabilità so-ciali di fatto di competenza dello Stato (vedi pa-gina 11). «Le ONG hanno svolto un ruolo fon-damentale nello sviluppo del paese», spiega ungiornalista locale, «che però ora è gestito quasi to-talmente da queste ultime – una situazione che dàadito a crescenti critiche».In ogni caso le sfide restano enormi, non da ulti-mo a livello di infrastrutture: la rete stradale è inpessime condizioni,e le frequenti penurie di ener-gia sono un grave ostacolo allo sviluppo del pae-se. Nei prossimi anni il Bangladesh potrà difficil-mente fare a meno delle organizzazioni umanita-rie,perlomeno finché i politici anteporranno i lorointeressi al bene dello Stato.I microcrediti sono da anni uno strumento im-portante di lotta alla povertà.Nel 2006 un pioniere

nel settore, MuhammadYunus, ha ricevuto il Pre-mio Nobel per la Pace per aver creato nel 1983 laGrameen Bank. Nel frattempo gli istituti di mi-crofinanza che erogano finanziamenti a piccoleimprese e agricoltori si sono moltiplicati.Secondo le stime, 30 milioni di bangladesi sonoricorsi al microcredito nel tentativo di sottrarsi allaspirale dell’indigenza. Questo però non ha risol-to le cause strutturali della povertà, e di recentediversi istituti di microfinanza (soprattutto nella vi-cina India, ma anche in Bangladesh) sono cadutiin discredito a seguito di accuse di corruzione opratiche illegali.Bisognerebbe garantire un migliormonitoraggio del settore,ma attualmente burocratie politici corrotti non sembrano in condizione dioffrire più trasparenza.

Riso a sufficienzaIn Bangladesh quasi la metà della popolazione vivedi agricoltura, sebbene oggi questo settore con-tribuisca soltanto al 20 per cento del PIL. Il pro-dotto agricolo di gran lunga più importante èil riso che, nonostante l’alto tasso di crescitademografica, è prodotto in quantità sufficientia soddisfare il fabbisogno della popolazione (fattaeccezione per gli anni in cui il paese è colpito dacatastrofi naturali). Negli ultimi anni il settoreindustriale e quello dei servizi hanno registrato unaforte crescita; tre quarti del reddito delle esporta-zioni sono generati dall’industria tessile, che è

Bangladesh

Golfo del Bengala

India

Myanmar

NepalBhutan

Chittagong

Brahmaputra

Gange

Jamuna Meghna

Dacca

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La politica in balia diuna faida privataLo scenario politico delBangladesh è dominatodalla Lega Popolare delBangladesh (BangladeshAwami League) e dalPartito Nazionalista delBangladesh.Originariamente il primoera un partito storico di si-nistra, il secondo era vicinoall’esercito e agli islamici.Le differenze ideologiche,tuttavia, sono scomparseda tempo e l’unico ele-mento che tiene ancora inpiedi i due partiti è la riva-lità personale tra le duedonne che li dirigono. Lapremier Sheikh Hasina e laleader dell’opposizioneKhaleda Zia hanno «ere-ditato» la guida dei rispet-tivi partiti l’una dal padre,l’altra dal marito, e si fannouna guerra spietata per ac-caparrarsi il potere nelloStato. Centinaia di personehanno perso la vita negliultimi anni a causa degliscontri politici, ma le dueleader sembrano preoccu-parsi poco del bene delloro popolo.

però fortemente esposta alle oscillazioni con-giunturali dei mercati mondiali.

Acqua: un bene o una maledizione?Il Bangladesh si trova sul delta di tre grandi fiumi– il Gange, il Brahmaputra e il Meghna – ed è at-traversato da oltre 200 corsi d’acqua minori.Ognianno la stagione dei monsoni inonda la metà delterritorio nazionale. L’acqua porta con sé prezio-si concimi naturali che rendono i terreni alluvio-nali del sud una delle regioni più fertili del pia-neta.Tuttavia, l’eccesso d’acqua – per molti versi vistocome un dono del cielo – si trasforma talvolta inuna maledizione: periodicamente il paese è sog-getto a gravi catastrofi naturali che, solo negli ul-timi vent’anni, hanno ucciso centinaia di migliaiadi persone,causato milioni di sfollati e distrutto sularga scala abitazioni e infrastrutture. Le forti pre-cipitazioni monsoniche, alle quali in estate si ag-giungono le acque provenienti dallo scioglimen-to dei ghiacciai himalayani, causano inondazionicatastrofiche.Anche le tempeste tropicali, i ciclo-ni, sono un problema crescente per il paese (vedipagina 16). E dopo i monsoni estivi, i mesi da no-vembre ad aprile sono molto secchi e non di radocaratterizzati da periodi di siccità.I mutamenti climatici aumentano i rischi di inon-

dazioni e siccità. Gran parte della superficie delBangladesh si trova pochi metri al di sopra del li-vello del mare.A detta degli esperti dell’Intergo-vernmental Panel on Climate Change dell’ONU,entro il 2050 il 17 per cento del territorio saràsommerso dall’acqua, e 30 milioni di persone sa-ranno profughi del clima.«Questo avrà ripercussioni negative anche sull’ap-provvigionamento del paese», avverte Atiq Rah-man, esperto di tematiche ambientali presso ilCentre for Advanced Studies del Bangladesh.«Gran parte dei campi di riso si trova nelle aree arischio.Già un leggero innalzamento del livello delmare sarebbe sufficiente a causare un accumulo disale nel terreno, costringendo i contadini ad ab-bandonare una terra non più coltivabile». ■

(Tradotto dal tedesco)

*Andrea Spalinger è la corrispondente dall’Asia meri-dionale per la Neue Zürcher Zeitung (NZZ) con sedea Dehli.

Quasi la metà della popolazione del Bangladesh, che conta ben 164 milioni di abitanti, vive dell’agricoltura, tuttavia nelcorso degli ultimi anni anche il settore dei servizi ha registrato una forte crescita

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(gn) Il Bangladesh continua ad essere un paesemolto povero, ma fortunatamente sono finiti itempi delle terribili carestie e gli anni in cui il 90per cento della popolazione viveva in condizionidi estrema povertà.Tutto ciò è stato possibile so-prattutto grazie alle organizzazioni che dagli anniSettanta sono intervenute in tutti i settori, suben-trando a uno Stato troppo debole per assumerepienamente i suoi doveri.Nel corso degli anni, i politici di Dacca si sonoconcentrati su se stessi lasciando quasi totalmentealle organizzazioni umanitarie private l’impegnodi farsi carico dei poveri e dello sviluppo del pae-se. Oggi sono circa 3000 le ONG registrate inBangladesh, attive essenzialmente in settori comelo sviluppo dei villaggi, la sanità e l’istruzione; re-centemente si sono aggiunti altri ambiti, fra cuii diritti umani e l’ambiente.

Una ONG con 100000 dipendentiAccanto alle numerose piccole organizzazioni an-corate nel tessuto locale, sono sorte anche vere eproprie grandi imprese che operano a livellonazionale e internazionale. La più importante èsicuramente la Bangladesh Rural AdvancementCommittee (BRAC) specializzata nei servizi aipoveri, che con un budget annuo di 500 milionidi dollari e 100000 dipendenti somiglia più a unamultinazionale che a un’organizzazione umanita-ria. Il suo portafoglio comprende una serie diaziende di successo che generano profitti che, aloro volta, possono essere investiti nella lotta allapovertà.A causa della debolezza e della corruzione che peranni ha caratterizzato il governo bangladese, leONG sono state scelte come interlocutore prefe-renziale dei donatori internazionali e bilateralicome la DSC, in una dinamica che a sua volta raf-forzava la posizione di potere delle stesse rispettoallo Stato.Tuttavia, dal 2008 è in carica un gover-no intenzionato ad assumere le proprie responsa-bilità e a riprendere il controllo sui servizi offertidalle ONG e sui fondi investiti a tale scopo.La DSC ha accolto con favore questo importante

sviluppo e intende sostenerlo, come spiega Jac-queline Schmid, responsabile di programma dellaDSC per il Bangladesh. «Oggi ci impegniamomaggiormente a livello di amministrazione e go-verno. È importante rafforzare le strutture statali,un compito che in alcuni casi svolgiamo avvalen-doci dell’aiuto delle ONG».Questo non vuol diretrasferire allo Stato le attività e le conquiste delleONG, ma far sì che le numerose – e insostituibi-li – iniziative private vengano inserite in una stra-tegia nazionale globale. ■

(Tradotto dal tedesco)

L’importanza delle ONGNessun altro paese al mondo ha tante organizzazioni non go-vernative come il Bangladesh. Le ONG sostituiscono lo Statoquando viene meno ai suoi doveri. Nella sanità, nell’istruzioneo nell’erogazione di microcrediti il loro impegno è indispen-sabile, ma cela anche dei rischi.

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to. Ma se vogliamo un’amministrazione pubblicain grado di accogliere le richieste dei poveri, l’u-nica possibilità per il Bangladesh – e i suoi 164 mi-lioni di abitanti – risiede nel decentramento e nelrafforzamento delle autorità locali. Per un gover-no centrale che ha sede nella capitale è difficile svol-gere le proprie funzioni nelle regioni periferiche.Lo Stato deve decentralizzare i poteri, i servizi e lefunzioni.

Nell’attuale piano quinquennale del Bangla-desh il decentramento occupa un intero ca-pitolo. Con quali risultati?Negli ultimi due anni qualcosa si è mosso:sono sta-te introdotte nuove leggi riguardanti i diversi li-velli di amministrazione locale ed è stato approva-to un «Right to Information Act», una legge cheobbliga le autorità locali alla trasparenza, ricono-

«Un solo mondo»: Sono molti i paesi checonsiderano il decentramento politico unimportante strumento di lotta alla povertà,e il Bangladesh è uno di questi. Quale van-taggio ne traggono i poveri?Sohel Ibn Ali: Da voi, in Svizzera, tutto parte daicittadini. In Bangladesh, invece, tutte le decisionisono prese dal governo centrale. Sia l’amministra-zione pubblica che i partiti politici hanno struttu-re fortemente centralizzate, con le relative conse-guenze sulla ripartizione del potere, delle risorse edei servizi.A livello locale, governo e amministra-zione sono nelle mani di cosiddette elite, che oc-cupano le loro funzioni comportandosi come pri-medonne e attuano un programma implementatodal Ministero di Dacca. In simili condizioni, per ipoveri e gli emarginati è molto difficile esprimerele proprie esigenze e richiedere i servizi dello Sta-

Sostenuto dal governo, ostacolatodai burocratiL’attuale governo del Bangladesh considera il decentramentoun elemento importante nella lotta alla povertà. Negli ultimi tem-pi ha approvato una serie di leggi che danno maggiori poterialle amministrazioni locali. Attuarle, tuttavia, non è facile e ri-chiederà molto tempo, come rivela Sohel Ibn Ali a colloquio conGabriela Neuhaus.

Sohel Ibn Ali dirige dal2008 la sezione «Governolocale e decentramento»presso la DSC in Bangla-desh. Laureatosi in scienzepolitiche ed economiaaziendale, già durante glistudi in Bangladesh, GranBretagna e Filippine SohelIbn Ali si è specializzato intematiche quali i diritti fon-diari dei poveri e le rela-zioni tra Stato e ONG. Dal1998 ha mobilitato i poveridelle regioni discoste delpaese per il riconosci-mento dei loro diritti sulleterre. Prima di approdarealla DSC, Sohel Ibn Ali halavorato presso la divisione«Governo locale e decen-tramento» di un’ONG na-zionale, per una società diconsulenza internazionalee nell’ambito di un pro-getto finanziato da dona-tori, producendo anchenumerose pubblicazioni sultema.

Con il decentramento si punta soprattutto a rafforzare le amministrazioni locali per renderle pronte ai futuri impegni –come per esempio la costruzione di scuole, ospedali o strade

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Bangladesh

scendo ai cittadini il diritto di consultare i docu-menti relativi a progetti e bilanci pubblici. In que-sto modo abbiamo creato un solido quadro lega-le.Grazie all’impegno concreto e attivo del gover-no a favore del decentramento, sono già stati fattiprogressi concreti, come l’introduzione di elezio-ni nei sottodistretti. Sul fronte dei sostenitori del-le riforme,anche i donatori hanno rafforzato il loroimpegno. Sia alle autorità locali che alla popola-zione viene fornito il sostegno necessario affinchéle une possano svolgere i loro compiti, gli altri tu-telare al meglio i propri interessi.

Ci sono ostacoli, difficoltà in questo percorso?Negli ultimi tempi abbiamo fatto notevoli pro-gressi, ma naturalmente ci sono anche delle diffi-coltà. Soprattutto nei sottodistretti si creano con-flitti con i burocrati, poco propensi a rinunciare aipoteri di cui hanno goduto finora, ma anche traparlamentari nazionali e neoeletti rappresentantilocali del popolo.Il rafforzamento delle autorità lo-cali disorienta anche le ONG che erano solite sub-entrare allo Stato e che, in alcuni casi, faticano a

rivedere il proprio ruolo e il loro impegno alla base.Ci troviamo quindi in una situazione in cui la Pre-mier e il governo sono favorevoli al rafforzamen-to delle autorità locali e al processo di decentra-mento, mentre i burocrati dei livelli amministra-tivi intermedi oppongono una forte resistenzaperché non vogliono rinunciare al loro potere.Fac-ciamo sempre due passi avanti, uno indietro, e poialtri due avanti. Il processo di decentramento ri-chiede molto tempo, poiché modifica l’economiapolitica della nazione e segna la fine della culturache ha caratterizzato finora la politica del paese.

Quale ruolo svolge la Svizzera, Stato dona-tore relativamente piccolo, nel processo didecentramento?Per noi la Svizzera rappresenta la patria della de-mocrazia partecipativa. La maggior parte dei poli-tici in Bangladesh sa che da voi ci sono referen-dum popolari e discussioni pubbliche sui bilanci eche le scelte di pianificazione partono dai cittadi-ni.Inoltre,grazie alla sua lunga esperienza nel cam-po della partecipazione locale, la DSC gode diun’ottima fama in Bangladesh.Oggi collaboriamo

Democrazia nei sotto-distrettiDal 2009 i rappresentantidelle autorità a livello deisottodistretti (upazila) nonsono più insediati dall’alto,ma vengono eletti demo-craticamente. Queste pic-cole unità amministrativesvolgono un ruolo impor-tante ai fini del decentra-mento, e per preparare i483 consigli degli upazilaai loro nuovi compitil’UNDP ha lanciato unprogetto a lungo terminecofinanziato nella sua fasepreparatoria dalla DSC.L’obiettivo è sviluppare lecompetenze delle autoritàlocali affinché in futuropossano farsi carico dialcuni compiti dello Statoe offrire le relative presta-zioni. Come organizza-zione partner la DSC puòdare un importante contri-buto in tal senso, graziealla pluriennale esperienzaacquisita durante il pro-gramma di sviluppo dellecomunità agricole, cheha permesso di migliorarenotevolmente la qualitàdel governo locale in oltre300 villaggi.

«Il processo didecentramento richiede

molto tempo».

con diversi partner a vari livelli, poiché da un can-to vogliamo migliorare i servizi offerti dalle auto-rità locali, dall’altro mettere le cittadine e i cittadi-ni in condizione di esprimere le loro esigenze epartecipare all’amministrazione locale. Così, loscorso anno nell’ambito dei nostri progetti oltre500000 donne e uomini hanno preso parte a con-sultazioni pubbliche sulla pianificazione dei bilan-ci e dei progetti annuali dei comuni.Parallelamentelavoriamo anche a livello nazionale e con i massmedia per rafforzare la fiducia nelle nuove istitu-zioni.

Come vede il futuro?È difficile fare previsioni. In passato si sono verifi-cate situazioni in cui abbiamo messo in dubbio per-sino la nostra stessa democrazia. D’altronde, ancheun cambio ai vertici del governo a seguito di ele-zioni regolari potrebbe modificare inaspettata-mente le priorità. Sono però fermamente convin-to che il processo di decentramento non possa piùessere arrestato.Negli ultimi anni si è lavorato mol-to in modo mirato, oggi i gruppi locali sono beneorganizzati, per cui imporre un cambiamento dirotta sarebbe difficile – tanto più che dopo tantianni oggi quasi a tutti i livelli abbiamo finalmenterappresentati politici eletti democraticamente perdifendere le nuove priorità dinanzi al governo na-zionale. ■

(Tradotto dall’inglese)

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La «Terra del Bengala» è una terra di emigranti.Mi-lioni di persone hanno abbandonato il paese percercare lavoro soprattutto in ricchi Stati arabi –Ara-bia Saudita,EmiratiArabi Uniti,Kuwait,Oman.Maanche in paesi asiatici – Malesia, Singapore e India– o in Nord America e Inghilterra.Alcuni lavora-no come muratori, lattonieri e manovali nel fio-rente settore edile delle metropoli arabe; altri sonoal servizio di famiglie benestanti come autisti, aiu-to cucina e baby sitter, altri ancora sono manodo-pera nelle fabbriche dell’Asia meridionale.Ogni anno un milione di persone lascia il Bangla-desh per trasferirsi all’estero, sovente per un perio-do di 5-6 anni e con la benedizione del governo.Per lo Stato gli emigranti sono preziosi come l’o-ro: secondo le stime ufficiali, solo lo scorso annoquesti hanno inviato ai loro congiunti 10 miliardidi dollari; le rimesse degli emigranti contribuisco-no per almeno il 10 per cento al prodotto internolordo. Inoltre, si stimano a quasi il doppio le som-me di denaro inviate tramite canali non ufficiali.«Le rimesse verso il Bangladesh sono cresciute an-che nel 2008 e 2009,nonostante la grave crisi eco-

«Fermare l’emigrazione èpura illusione»Per molti abitanti del Bangladesh l’emigrazione è l’unico modoper ottenere una fonte di reddito sicura per sé e la propria fa-miglia. Ma anche lo Stato ha il suo tornaconto: per il Bangla-desh l’emigrazione è il secondo fattore economico, anche seancora poco regolamentato. Una solida politica di emigrazio-ne dovrà ora fornire delle soluzioni. Di Maria Roselli.

nomica», sottolinea Lorenza Rossi, esperta di mi-grazione della DSC.

Regolamentare l’emigrazioneL’emigrazione è un importante fattore economi-co per il governo del paese.«Se l’emigrazione con-tinuerà a crescere, presto i versamenti degli emi-granti potrebbero superare i profitti generati dal set-tore tessile, attualmente il più importante ramoeconomico del Bangladesh», afferma Joseph Gun-tern, direttore dell’ufficio di cooperazione dellaDSC a Dacca.164 milioni di abitanti e una superficie solo tre vol-te e mezza più grande della Svizzera: per centinaiadi migliaia di disoccupati bangladesi l’emigrazio-ne rappresenta l’unica possibilità di assicurarsi unreddito. «Credere che alcuni progetti di sviluppopossano creare impieghi in misura sufficiente a fre-nare l’emigrazione è pura illusione», sottolinea Jo-seph Guntern.Per questo la DSC sostiene un pro-getto di regolamentazione dell’emigrazione avvia-to dal governo e attuato con il sostegno dell’Orga-nizzazione Internazionale del Lavoro (OIL).

Le migrazioni a livellomondiale• Secondo i dati fornitidall’ONU, nel 2010 oltre200 milioni di persone vive-vano al di fuori del paesed’origine, pari a circa il3 per cento della popola-zione mondiale.• Si stima che nel 2030 il40 per cento dei lavoratoridi tutto il mondo proverràda India e Cina.• Secondo le stime, nel2008 le agenzie di recluta-mento internazionali cheaiutano gli emigranti nellaricerca di lavoro all’esterohanno realizzato un fattu-rato di 225 milioni di dollari,collocando 900000 per-sone.• Le stime valutano a 305miliardi di dollari le rimesseinviate ufficialmente dagliemigrati ai paesi d’originenel 2008 – il doppiodell’Aiuto pubblico allosviluppo.

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Bangladesh

Controlli sulle agenzie di collocamentoIl progetto agisce a svariati livelli. Innanzituttovengono create delle normative di base per una so-lida politica dell’emigrazione,visto che finora il go-verno non disponeva di alcuna strategia per la re-golamentazione dei flussi migratori. Il progetto siconcentra in particolare sulle agenzie di colloca-mento e sulle informazioni fornite a chi decide dipartire. Oltre la metà degli emigranti, infatti, trovalavoro all’estero grazie all’intermediazione di agen-zie che si recano nei villaggi per reclutare le per-sone che pensano di trasferirsi all’estero,senza peròspiegare loro i possibili rischi.Diversamente da quanto accade in altri Stati conalti tassi di emigrazione,in Bangladesh queste agen-zie sono poco soggette a un controllo statale,nono-stante la grande importanza che ciò riveste per tu-telare chi sceglie di emigrare. Mentre nelle Filip-pine, ad esempio, le agenzie svolgono un realelavoro d’informazione, lo stesso non accade inBangladesh. A questo si aggiunge che le agenzierichiedono pagamenti anticipati e percepisconocommissioni. In alcuni casi,poi, sono coinvolte di-verse agenzie, che ogni volta si fanno pagare.

Porre fine allo sfruttamentoNella maggior parte dei casi le persone che lascia-no il Bangladesh non sanno molto di quello che leaspetta, e proprio per questo è fondamentale for-nire loro informazioni sulle condizioni di lavoronello Stato di destinazione – spiegando loro anchediritti e doveri. «Si tratta di informazioni di vitaleimportanza per gli emigranti che, spesso, nei paesidi destinazione sono vittima di un vergognososfruttamento da parte dei datori di lavoro, che liingannano sul salario o,peggio,ritirano i passaporti

Emigrazione e lavoroNel 90 per cento deicasi chi sceglie di emi-grare lo fa per cercarelavoro. Con la globaliz-zazione il mercato dellavoro è diventato piùflessibile e il numero dipersone che partono incerca di un’occupazioneè aumentato. Sebbenela maggior parte degliemigranti viva in paesi invia di sviluppo, gli Statida cui provengono le ri-messe ufficiali sono prin-cipalmente Stati Uniti,Arabia Saudita eSvizzera. Il lavoro di chiemigra produce beneficinon solo per gli emigrati,le loro famiglie e le loronazioni di origine, maanche per i paesi rice-venti, come la Svizzera.I flussi migratori mettonoin circolazione denaro,merci, conoscenze eidee, rafforzando il ruolosvolto dai paesi di ori-gine sulla scena globale.Spesso emigrare nonvuol dire solo andarvia, ma anche tornare.Grazie alle conoscenze,al capitale e alle espe-rienze acquisite all’e-stero gli emigrati chetornano possono dareun importante contributoallo sviluppo economicoe sociale del loro paesedi origine.

Lo scorso anno le rimesse dei cittadini del Bangladesh hanno superato i 10 miliardi di dollari. Gli emigrati sono peròquasi esclusivamente uomini – ora, un progetto sostenuto dalla DSC si adopera perché anche le donne possano emi-grare in sicurezza

per impedire loro di cercare un altro impiego o dirimpatriare», spiega Jacqueline Schmid, responsa-bile di programma della DSC.Il progetto intende agire sulle agenzie di colloca-mento affinché forniscano agli emigranti le infor-mazioni necessarie.«Al momento le agenzie si limi-tano a mettere in mano ai migranti un opuscoloinformativo sui loro diritti nel paese di destinazio-ne, che però serve a poco se la persona è analfabe-ta».Anche nei comuni si dovranno istruire funzio-nari in grado di consigliare chi si appresta a lasciareil paese.

Promuovere anche l’emigrazionefemminileCirca il 95 per cento delle persone che abbando-nano il Bangladesh è costituito da uomini – ancheper ragioni storiche, dato che per decenni alledonne è stato vietato di emigrare senza le loro fa-miglie. Sebbene negli ultimi anni le leggi siano di-venute più flessibili, l’emigrazione femminile nonè ancora accettata a livello sociale. Per di più, neipaesi di destinazione le donne corrono rischi piùgravi rispetto a quelli cui sono esposti i concitta-dini di sesso maschile.Per questo motivo il progetto si concentra in modoparticolare sulle donne,così da garantire loro la pos-sibilità di emigrare in totale sicurezza. D’altronde,l’emigrazione non è una fonte di ricchezza solo perlo Stato: gli emigranti bangladesi guadagnano me-diamente quattro volte più dei concittadini che re-stano in patria, e ogni anno inviano alle famiglieoltre 100000 taka (circa 1350 franchi). ■

(Tradotto dal tedesco)

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(gn) Il Bangladesh è un paese particolarmente sog-getto a catastrofi naturali.Oltre alle inondazioni chesi verificano ogni anno e ai cicloni sporadici,c’è an-che un rischio sismico latente. Il paese deve inoltrefare i conti con le conseguenze di erosione e sicci-tà. Per questo l’introduzione di misure per la ridu-zione dei rischi (Disaster Risk Reduction DRR)rappresenta una priorità per il paese, messo a duraprova dalle catastrofi naturali,e viene fortemente so-stenuta da Stato, donatori e ONG.Misure di prevenzione mirate consentono di evi-tare molti danni. In un villaggio sul fiume Jamunasostenuto dalla DSC è stata costruita una piattafor-ma sopraelevata dove gli allevatori possono porta-re in salvo gli animali in caso di alluvione. In un al-tro villaggio,prima della stagione delle piogge i con-tadini costruiscono semplici dighe che oppongonoresistenza all’acqua fino al termine dei raccolti. «IlBangladesh ha una superficie quasi completamen-te pianeggiante ed è caratterizzato da un’elevatadensità di popolazione. Pertanto, anche il minimoinnalzamento del livello idrometrico può avereconseguenze devastanti per milioni di persone»,spiega Barbara Rothenberger, responsabile DRRper la divisione Asia e America del settore AiutoUmanitario della DSC.Per questo i progetti di svi-luppo riguardanti le zone a rischio portano parti-colare attenzione alla prevenzione delle catastrofi.

Protezione contro inondazionie cicloni

C’è spazio anche per gli animaliOltre a questo cosiddetto «mainstreaming» vi sonoprogetti incentrati sulla riduzione del rischio inquanto tale.La DSC ha sostenuto, ad esempio, l’or-ganizzazione di un corso informatico di sensibiliz-zazione in ambito DRR e l’istituzione di un per-corso di studi sulla gestione dei rischi presso l’uni-versità di Dacca.Dall’emergenza seguita al ciclone Sidr del 2007 ènato un progetto pilota che prevede la partecipa-zione dei cittadini a corsi ed esercitazioni che li pre-parano ad affrontare meglio i cicloni futuri.I dodici rifugi anticiclone costruiti nell’ambito diquesto programma sono stati progettati da espertidi edilizia della DSC in stretta collaborazione conla popolazione locale. «Volevamo trarre il massimodalle esperienze passate per realizzare rifugi antici-clone in linea con le esigenze della popolazione»,spiega Barbara Rothenberger. Per questo, le strut-ture offrono spazi di ritiro per le donne e riserva-no delle aree agli animali (pecore, mucche ecc.), divitale importanza per gli allevatori. ■

(Tradotto dal tedesco)

Puntualmente in Bangladesh inondazioni e cicloni causanoenormi danni a questo paese densamente popolato. Negli ul-timi anni il governo e i donatori hanno intensificato gli sforziper ridurre il rischio di catastrofi. Nella costruzione di rifugianticiclone – o cyclone shelters – la Svizzera risponde alle esi-genze della popolazione locale.

DRR: la nuova sfidaAlla luce dei crescentiproblemi causati dacambiamenti climatici,inquinamento ambien-tale ed erosione, in fu-turo la prevenzione dellecatastrofi (Disaster RiskReduction DRR) po-trebbe acquisire viepiùimportanza. La coopera-zione allo sviluppo haancora poca esperienzain questo campo. Perquesto la DSC intendeattribuire particolare ri-lievo allo sviluppo di pro-getti e strategie in am-bito DRR. Con Americacentrale, Marocco,Bolivia, Medio Oriente eAsia centrale, il Bangla-desh rappresenta unadelle sei aree in cui laDSC conduce da diversianni programmi di DRR.In occasione di un work-shop, lo scorso invernoè stato testato il nuovomanuale Clima & DRRCheck, che in futurosarà utilizzato nei pro-grammi e nei progettidella DSC.

In stretta collaborazione con i cittadini interessati, gli esperti edili della DSC hanno costruito 12 rifugi che offrono pro-tezione dai cicloni e dalle inondazioni alle persone e agli animali

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Cifre e fatti

Obiettivi di sviluppoSecondo la Banca Mondiale, il Bangladesh è sulla buona strada per raggiungere gli Obiettivi disviluppo del Millennio in merito a sanità e istruzione. Il governo bangladese si è inoltre posto comeobiettivo di ridurre l’attuale tasso di povertà dal 40 al 15 per cento entro il 2021 e intende annoverarsientro lo stesso anno fra i paesi a medio reddito.

NomeRepubblica popolare delBangladesh

CapitaleDacca – 6,7 milioni di abitantinel centro urbano, ca. 12 mi-lioni nell’agglomerato

Superficie144000 chilometri quadrati

Popolazione164,4 milioni di abitanti

Struttura demografica0-14 anni 34,6 per cento15-64 anni 61,4 per cento> 65 anni 4 per cento

Crescita demografica1,55 per cento (2010)

Etnie98 per cento bengali2 per cento altri gruppi etnici

LingueBangla o bengali, inglese

EconomiaIl 45 per cento della popola-zione attiva lavora nell’agri-coltura.Il tasso di disoccupazione èdel 5,1 per cento.Il 36 per cento vive sotto lasoglia di povertà.

Politica e amministrazioneIl Bangladesh è una repubblica a par-lamento monocamerale, l’assembleanazionale, rieletta ogni cinque anni.45 dei 345 seggi sono riservati alledonne. Le unità amministrative più im-portanti sono i sette circoli governativi,a loro volta suddivisi in distretti esottodistretti (upazila). Soprattuttogli upazila e i 68000 comuni rurali delpaese dovranno assumere in futuromaggiori responsabilità per lo sviluppolocale e regionale.

LinkSito web con ricche informazioni sul paese, la popolazione e le relazioni con la Svizzera:www.bangladesch.ch

Settimanale in lingua inglese: www.weeklyholiday.net

Sito web dell’ufficio di cooperazione della DSC in Bangladesh (in inglese):www.swiss-cooperation.admin.ch/bangladesh

Sito web del Bangladesh Development Research Center (BDRC): www.bangladeshstudies.org

Elenco di oltre 2200 ONG registrate attive in Bangladesh: www.ngosinbd.com

Sito web di BRAC, la maggiore ONG bangladese: www.brac.net

Sito web della banca Grameen fondata dal Nobel per la Pace Muhammad Yunus: www.grameen.com

La minaccia dei mutamenti climaticiAttualmente il Bangladesh concorre soltanto in misuradello 0,06 per cento alle emissioni di gas a effetto serra,ma sul fronte delle conseguenze dei mutamenti climaticiè in cima alla lista delle nazioni più esposte: un terzo delterritorio nazionale è costituito da zone costiere pianeg-gianti a rischio d’inondazione. Nella regione del delta delGange-Brahmaputra, popolata da 35 milioni di persone,il 62 per cento della zona costiera è meno di tre metri,l’86 per cento meno di cinque metri sopra il livello delmare. L’innalzamento del livello del mare di un solometro inonderebbe 30000 chilometri quadrati di territorio,lasciando senza tetto 15 milioni di persone.

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Il sogno di Nikolai Nikolaishvili è infestato di er-bacce. «Ma solo per il momento!», dice il giovanegeorgiano aggirandosi per il suo giardino, mentresorride con prudente ottimismo. Fra antichi rosetie cespugli di rose appassite si intravvedono alcunepareti destinate a diventare il pianterreno di un al-loggio per turisti. Il viticoltore ha iniziato i lavoricon il padre due anni fa. Poi i soldi sono finiti. Ni-kolaishvili spera di trovare uno sponsor,prima o poi.Il trentacinquenne punta alla viticoltura e all’agri-turismo per guadagnarsi da vivere e provvedere allafamiglia.«Agricoltura e turismo sono le uniche coseche abbiamo».Tsinandali, il paesino in cui è nato, dista due ore dimacchina dalla capitaleTbilisi,nella provincia di Ka-khezia, considerata il granaio e la cantina del pae-

se.Qui,poco lontano dalla frontiera con l’Azerbai-gian, da alcuni migliaia di anni si pratica la viticol-tura.I terreni sono coltivati a frutteti con mele,pere,pesche,albicocche.E disseminate fra le morbide col-line si trovano abbazie e chiese centenarie. La re-gione ha tutto per diventare un polo turistico.Soloche molti,che vorrebbero guadagnarsi da vivere conil turismo, fanno la stessa esperienza di Nikolai-shvili. Mancano i soldi per tentare il primo passo.

Un tempo si sparava ai nuvoloni dipioggiaMa,se non altro,nel frattempo le strade asfaltate as-sicurano un collegamento rapido con la capitale.Fino a qualche anno fa, la provincia era quasi ir-raggiungibile. Nel frattempo, nella maggior parte

«Una democrazia perfetta nonesiste da nessuna parte»

Fra tutte le repubbliche del Caucaso, la Georgia è il modello didemocrazia più riuscito. Dalla Rivoluzione delle Rose nel 2003,corruzione e clientelismo sono stati combattuti con successo.Eppure, ancora oggi, il piccolo paese agricolo risente delle con-seguenze del conflitto con la Russia, che fino all’embargo del2006 era il primo paese importatore di vino e prodotti agricoligeorgiani. Ora gli abitanti della Georgia sperano in un’aperturadei mercati di sbocco europei e nell’arrivo di turisti ricchi.Di Ann-Dorit Boy*.

Diritti umani e demo-craziaLe speranze che laRivoluzione delle Rosee il governo Sakaashvilispianassero il terrenoalla democrazia, si sonoavverate solo in parte.Opposizione e osserva-tori internazionali criti-cano soprattutto lamancanza di libertàdi stampa. La maggiorparte dei media sonosottoposti al controllodello Stato. Gli osserva-tori delle elezioni denun-ciano anche irregolaritàe opere di falsificazionielettorali nelle ultime ele-zioni presidenziali tenu-tesi nel gennaio del2008. Le fondazioniamericane che, dopo larivoluzione avevano con-gelato tutti i mezzi per lademocratizzazione, nelfrattempo sono ritornatenel paese e finanzianofra l’altro organizzazionidei diritti umani, qualila «Georgian YoungLawyers Association»,costituita nel 1994, chespesso difende le vittimedell’arbitrio di autorità dipolizia e giustizia. Tutta-via, l’organizzazione nonha mai vinto un pro-cesso in cui erano ingioco gli interessi delloStato.

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Georgia

dei villaggi, su ambi i lati della strada corre una filadi sottili tubi metallici verniciati di rosso: sono lecondotte del gas.Anche gli allacciamenti delle re-gioni rurali alla rete di canalizzazione e elettricitàsono stati attuati. Eppure, anche a ben vent’anni didistanza dalla dichiarazione di indipendenza dal-l’Unione sovietica,molti stanno ancora aspettandoinvano i benefici del progresso,soprattutto negli in-sediamenti più remoti.«La vita è migliorata dopo la rivoluzione», affermaNikolai Nikolaishvili,malgrado tutto.Si riferisce allaRivoluzione delle Rose del 2003 che ha tolto il po-tere al presidente Eduard Shevardnaze,ponendo finea nepotismo e corruzione, e nominando a succes-sore il presidente attualmente in carica MikhailSaakashvili.Da quando è lui a tenere in mano le re-dini, la vita è andata lentamente migliorando, affer-ma ancheWaja, il padre di Nikolaishvili.Sotto She-vardnaze non c’era niente di niente, né elettricità,né pane. Oggi la famiglia vive in una casa con cor-rente elettrica e gas, sul tetto vi è persino un’enor-me antenna parabolica.«Tuttavia, non abbiamo ancora raggiunto del tuttoil tenore di vita che avevamo negli anni Ottanta»,afferma ancora pensieroso il giovane. Padre e figliosono seduti nella sala da pranzo gelida, dove la fa-miglia solitamente accoglie gli ospiti al lungo tavo-lo di legno.Qualche turista, in estate, trova alloggionelle camere della casa. Il fatto è che è stato instal-lato un sistema nuovo, completamente diverso,spiega Nikolai. Ora ognuno è responsabile di sestesso.Prima, ricorda il giovane, il governo provve-deva persino al bel tempo. Per proteggere l’uva, fa-cevano salire in cielo gli aerei da combattimento,che abbattevano le nuvole di pioggia. «Oggi siamodi nuovo chiamati ad assumerci il rischio da soli»,dice Nikolaishvili alzando le spalle. L’anno scorso

la grandine, in piena vendemmia, ha distrutto lametà del raccolto.

Un divario enorme fra città e campagnaQuesto spirito pionieristico e l’orgoglio della nuo-va Georgia e del suo governo risultano evidenti so-prattutto nella capitaleTbilisi. Sulla collina sopra lacittà, Sakaashwili ha fatto costruire una residenzapresidenziale in stile neoclassicistico. Non troppolontano,sempre sulla sponda sinistra del fiume Kura,si vede la cupola di pietra della cattedrale di Same-ba, la più importante chiesa dell’ortodossia geor-giana,simbolo di una religiosità riscoperta.Un mo-dernissimo ponte con una tettoia di vetro portaall’altro lato del fiume. Poco distante, alcuneescavatrici preparano il terreno per la costruzionedi un parco futuristico. La pittoresca città vecchia,invece – con i suoi balconi di legno intagliato e lecase di pietra a un piano – è abbandonata al degra-do. Il presidente investe soprattutto in generose in-frastrutture turistiche nei centri balneari di Batumisul Mar Nero.Nella capitale, questo lo sa anche Nikolaishvili, giàoggi il tenore di vita non è più paragonabile a quel-lo della piccola cittadina diTsinandali.Il giovane pa-dre di famiglia era predestinato a vivere nella me-tropoli. Dopo essersi laureato in economia inter-nazionale a Tbilisi con il massimo dei voti, glisarebbe piaciuto fare l’economista. Ma non c’era-no posti di lavoro, e così ha cominciato ad occu-parsi di viticoltura.Ha moglie e due figli piccoli damantenere, e ben presto anche i genitori.È il padre che gli ha insegnato l’arte della viticol-tura tradizionale. L’uva viene pestata con i piedi emessa a macerare in grossi contenitori, prima diessere travasata nelle cosiddette Kwewri, botti diargilla calate nella terra. Si produce così un vino

Georgia

Russia

Turchia

Nikolai Nikolaishvili (in alto a destra) pur essendo laureato in economia non ha trovato un lavoro a Tbilisi (a sinistra), capi-tale della Georgia. Insieme al Padre Waja si è dunque dedicato alla produzione di vini che intende esportare in Europa

Armenia

Mar Nero

Azer-baigian

Tbilisi

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bianco che sa di terra, nella caraffa sembra quasigiallo. Sui loro 4 ettari di terreno i Nikolaishvilivinificano circa 20 tonnellate di uva. La metà delraccolto, soprattutto le varietà di uva rossa, vienevenduta immediatamente a una delle grosse canti-ne industriali della regione. Il basso costo d’acqui-sto dell’uva è sovvenzionato dallo Stato. Il vino diproduzione propria invece Nikolaishvili lo vendesul mercato interno e ai turisti.Attualmente si stadando da fare per ottenere il certificato ufficiale diproduzione di vino biologico che gli permetterà diesportare i prodotti anche in Europa. L’organizza-zione non governativa Elkana,che organizza ancheformazioni in agriturismo, lo aiuta in questo am-bizioso progetto.

Schiudere nuovi mercatiL’embargo russo per i prodotti georgiani,varato nel2006, non tocca direttamente Nikolaishvili, tutta-via l’effetto è stato percepito in tutto il paese.«Il pri-mo anno è stato difficilissimo per tutti»,dice il gio-vane.Dall’oggi al domani, l’intera produzione viti-cola è crollata dell’80 per cento. Ora la situazioneinizia lentamente a distendersi.Nel 2010,stando allecifre del ministero dell’economia, la Georgia haesportato 15 milioni di bottiglie, il 34 per cento inpiù rispetto all’anno precedente.Prima dell’embargo, le esportazioni si elevavano a59 milioni di bottiglie.Pian piano, i georgiani stan-no conquistando nuovi mercati, l’Ucraina e so-prattutto i paesi dell’Europa occidentale. Alcunigruppi multinazionali più giovani, quali la TelianiValley, si concentrano sui mercati dell’Europa oc-cidentale,puntando sin dall’inizio alla qualità e ope-rando con azioni di marketing mirate. Dopo laguerra dell’agosto del 2008 e la soppressione tota-le dei rapporti diplomatici con la Russia,i georgianinon sperano più in una ripresa del commercio conla Russia. Se il turismo nel paese continua a svi-

lupparsi secondo le aspettative – Nikolaishvili ne èconvinto – un giorno l’intera produzione verrà co-munque consumata nel paese stesso.

Successi nella lotta contro la corruzioneTuttavia di strada da compiere ne rimane parecchia.Stando ai sondaggi, la maggior parte dei georgianiconsidera la disoccupazione,che sfiora il 13 per cen-to, il problema più urgente. La corruzione, che peri vicini armeni e azerbaigiani rappresenta ancorauno degli ostacoli maggiori nella vita quotidiana, èstata debellata dal governo. Sakaashvili ha trovatosoluzioni di successo, soprattutto con una riformaestesa della polizia e con un notevole aumento deisalari.Il presidente,tuttavia,non è riuscito a risolvere i pro-blemi sociali. Le pensioni sono ancora catastrofica-mente basse e i veterani di guerra scendono in piaz-za regolarmente rivendicando maggior sostegno daparte dello Stato.La maggior parte dei georgiani usatermini simili a quelli scelti da Nikolaishvili per va-lutare lo stato della giovane democrazia, denotan-do un prudente ottimismo: «Una democrazia per-fetta non esiste da nessuna parte».Sebbene nel suo paese non abbia nessuna chancedi esercitare il mestiere imparato e malgrado nonsia facile crearsi un’esistenza, emigrare per NikolaiNikolaishvili non è mai stata un’opzione.Continuaa sperare di poter un giorno realizzare il suo sognodella piccola pensione sul terreno del padre.La metàdel materiale di costruzione l’ha già comprato. ■

(Tradotto dal tedesco)

*Ann-Dorit Boy è libera corrispondente da Mosca perdiversi media germanofoni (Neue Zürcher Zeitung, DieZEIT, Spiegel Online) e viaggia regolarmente nei paesidel Caucaso meridionale.

SfollatiDopo la guerra civile del1992/93 per la repub-blica parziale di Abkhaziae la guerra dei cinquegiorni nell’estate 2008per l’Ossezia meridio-nale, due regioni dissi-denti, gli sfollati interniin Georgia sarebbero250000. Per l’inverno leorganizzazioni di aiutointernazionale hannomesso a disposizionedelle case prefabbricate.Ma ancora oggi moltepersone vivono in condi-zioni disastrose in campiper profughi interni, exgiardini d’infanzia e casedi studenti. All’inizio del2010, le organizzazioniper i diritti umani hannoprotestato, perché il go-verno ha costretto nu-merose famiglie di profu-ghi, che stando alleindicazioni delle autoritàvivevano nella capitalecon statuto illegale, atrasferirsi e insediarsinelle campagne. Ma lì,affermano i tutori dei di-ritti umani, le possibilitàdi lavoro e di formazioneper gli sfollati sono an-cora peggiori che nellacapitale.

Tbilisi è caratterizzata da mille contrasti e tanta voglia di riscossa

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Georgia

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«Posso concedermi il lusso di non dovermi alzaretroppo presto al mattino, visto che in Georgia lavita lavorativa non inizia prima delle dieci e che ilnostro ufficio apre alle nove. Esco di casa dopo unprimo lungo caffè con mia moglie, ancora primache inizi il traffico quotidiano. Ci metto poco adarrivare in ufficio, una passeggiata breve e piace-vole, e alle otto sono sul posto e mi godo quest’o-ra in cui i collaboratori non sono ancora arrivati.Ho tempo, posso concentrarmi e dedicarmi allepratiche da sbrigare, senza che nessuno mi distur-bi.A partire dalle nove e mezza invece scatta l’at-tività frenetica quotidiana.Vedo i miei collabora-tori in brevi riunioni e strutturo lo svolgimentodella giornata. L’ufficio di cooperazione conta 15dipendenti, di cui due svizzeri. Altre cinque per-sone collaborano negli uffici di programma a Eri-wan e a Baku, dove lavora anche il mio supplente.

Fra Berna e Tbilisi vi sono tre ore di fuso orario.Passa dunque un po’ di tempo, prima che da Ber-na giungano le prime mail con le notizie di attua-lità.Aspettando, invio vari documenti, mi occupodi domande e richieste di credito e discuto con imiei collaboratori che gestiscono i vari progetti.Verso le undici iniziano le prime riunioni. Di so-lito,i partner vengono da noi,nei nostri uffici.Oggiaspetto i tre partner del progetto di Care Interna-tional, un’organizzazione non governativa inter-

nazionale che per la DSC realizza un progetto nel-l’ambito dello sviluppo rurale nella regione mon-tana di Racha. Si tratta di una riunione di routine:abbiamo ricevuto il rapporto semestrale, parliamodi quesiti ancora irrisolti e pianifichiamo la pros-sima visita e la riunione con il governatore dellaregione.Questo progetto interessa soprattutto l’al-levamento di bestiame. L’obiettivo è di contribui-re a ridurre la povertà assai diffusa attraverso il per-fezionamento della produzione lattiero casearia.

L’impegno dellaSvizzeraL’8 agosto del 2008 scop-pia un conflitto armatofra la Georgia da un latoe la Federazione russa,Abkhazia e Ossezia meri-dionale dall’altro. Quandola Federazione russa, il 26agosto riconosce le regionidissidenti di Ossezia meri-dionale e Abkhazia inquanto Stati indipendenti,la Georgia decide di porreimmediatamente fine airapporti diplomatici. Surichiesta di entrambi gliStati, la Svizzera all’iniziodel 2009 si assume la rap-presentanza degli interessidiplomatici e consolaridella Federazione russa,rispettivamente dellaGeorgia a Mosca. Dopo ilconflitto dell’agosto 2008,la Svizzera partecipa al-l’aiuto d’emergenza umani-tario internazionale nellazona colpita dal conflitto.La Svizzera è attiva inGeorgia nonché negliStati limitrofi Armenia eAzerbaigian dagli anni1990 con diversi progettidi aiuto umanitario ecooperazione tecnica.Il programma realizzatonell’ambito della strategiadi cooperazione con ilCaucaso meridionalecomprende inoltre un pro-gramma della Seco focaliz-zato sull’Azerbaigian.www.deza.admin.ch(Paesi/CIS/Caucaso meri-dionale)www.swisscooperation.ad-min.ch/southerncaucasus

Una giornata tipica di...Derek Müller, responsabile dell’ufficio di cooperazione di Tbilisi

«Discutiamo deiquesiti ancora irrisolti

e pianifichiamo laprossima visita e un

incontro con il governa-tore della regione».

I ritmi incalzano veramente solo dopo la breve pau-sa di mezzogiorno.Alle tredici il mio autista mi ac-compagna alla sede generale dell’Onu.Non guidoio stesso, visto che i posteggi a Tbilisi sono prati-camente inesistenti.Alla riunione dei paesi dona-tori, diretta da uno dei rappresentanti Onu, parte-cipano tutti i responsabili delle organizzazioni mul-tilaterali e bilaterali per lo sviluppo. Sono incontristimolanti, informativi che mi permettono di far-mi un’idea del campo di attività delle altre agen-zie. Oggi, in primo piano vi sono le attività uma-nitarie inAbkhazia,una zona importante anche peril nostro programma in Georgia.Verso le tre – aBerna nel frattempo si è fatto mezzogiorno – sonodi ritorno in ufficio e inizio il mio interscambio dicorrispondenza elettronica dinamico e a volte fre-netico con la centrale. Occorre chiarire gli ultimidettagli a riguardo delle domande di progetto e ri-spondere agli ultimi interrogativi.

Poi faccio una pausa caffè con il mio supplente cheè responsabile dell’attuazione del programma uma-nitario. In quest’occasione discutiamo anche diquestioni di carattere operativo e prepariamo la riu-nione settimanale con l’ambasciatore.Dopo mi ri-tiro nel mio ufficio, dove per un’altra oretta, insie-me al capo delle finanze,mi dedico a questioni am-ministrative.Verso le sei e trenta la giornata di lavorosi conclude.A casa faccio prima di tutto alcuni eser-cizi di yoga,poi trascorro la serata con mia moglie.Nel caso ideale ci prepariamo qualche gustosa ce-netta, preferibilmente a base di verdura o funghifreschi raccolti da noi». ■

(Trascritto da Maria Roselli)

(Tradotto dal tedesco)

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Una voce dalla Georgia

Per ben 70 anni – più di tre generazioni – nell’exUnione sovietica, qualsiasi azione, qualsiasi pen-siero individuale era proibito. Il regime non soloha vietato la proprietà privata, ma ha commessoatti ben più gravi: ha soffocato l’ini-ziativa privata di quasi trecento mi-lioni di individui.

In quest’ottica la Georgia forse appa-re come un caso estremo. Il terrenofertile e il clima mediterraneo vizia-no gli abitanti di questo paese, rega-lando loro una ricca quantità e varie-tà di frutta e verdura, nonché acqua esole in abbondanza.La barzelletta clas-sica sugli abitanti di questo paese vedeun contadino assopito all’ombra diun melo. Un viandante si avvicina elo prega di raccogliergli una mela dal-l’albero, ovviamente dietro pagamen-to.Ma il contadino lo ignora, finché apoco a poco tutto il paese si riunisceattorno al fannullone e il più vecchiogli chiede:«Perché non raccogli la mela al signo-re, ti pagherà profumatamente?»«Perché dovrei farlo?»«Perché potresti diventare ricco e po-tresti vivere tranquillo per tutta lavita!»«Vivere tranquillo? Ma è quello chegià faccio...»

La ricchezza della natura del nostropaese aggrava il problema mentale ere-ditato dai soviet.Anche se la Georgia(il significato del termine «geos» è terra) disponedi terreni fertili perfetti per l’agricoltura, oggi lamaggior parte dei suoli sono abbandonati. Il cli-ma è mite, la natura rigogliosa, per guadagnarsi davivere, gli abitanti di questo paese non devonosforzarsi come i contadini al nord, costretti ad af-frontare le ostilità del clima.

Un personaggio molto noto in Georgia, protago-nista di favole popolari, è il «miscelatore di cene-ri»,un uomo che fissa un punto davanti a sé,men-tre con un bastone fruga tra la cenere.Mentre pri-ma era simbolo di pigrizia e ozio, oggi il per-sonaggio ha una connotazione positiva. Il misce-latore di ceneri non mescola le ceneri così, comegli pare e piace, ma lasciando un’impronta, svi-luppando delle idee e stimolando ad agire.La Georgia ha bisogno di personaggi come il mi-

scelatore di ceneri. Gli abitanti devono sviluppa-re iniziative private, grandi e piccole.Vent’anni fa,il nostro paese ha scelto, consapevolmente o no, lademocrazia.Però non è stato comunicato in modo

chiaro che la democrazia funzionabene solo con persone autonome eimpegnate e che tutti i cittadini – nelsettore privato e nel governo – gui-dano insieme il paese, curandolo esviluppandolo. Organizzarsi in modoautonomo e fare affidamento al pro-prio spirito di iniziativa costituisce lasfida principale. Se cresce il settoreprivato, si viene a creare un equilibriofra governo e popolazione. Ogni cit-tadino si assumerà allora la responsa-bilità, e non si lamenterà dei difettialtrui.

Un esempio modesto che prova cheè possibile anche in Georgia portareavanti lo sviluppo, è costituito dalnuovo centro d’arte contemporaneache noi – un gruppo di artisti diTbi-lisi – abbiamo costituito l’anno scor-so. Il centro è sponsorizzato da ungruppo industriale georgiano, e fral’altro ha beneficiato di un finanzia-mento di avviamento da parte di ar-tisti svizzeri amici,nonché dalla DSC.All’inizio vi era l’idea, ma mancava-no uno spazio adeguato e i mezzi.Oggiil CCATbilisi funziona in quanto or-ganizzazione indipendente, che fral’altro offre un ciclo formativo infor-male nel settore multimediale. Può

ospitare artisti locali o internazionali e curatorinonché realizzare programmi di scambio. Il pri-mo progetto di esposizione del CCA ha riscon-trato un notevole riconoscimento internazionaleanche oltre frontiera.

Lasciando le nostre impronte, anche noi del CCAsiamo dei miscelatori di ceneri. ■

(Tradotto dal georgiano)

«Abbiamo bisogno di miscelatori di ceneri!»

Wato Tsereteli ha studiato

cinematografia a Tbilisi e

fotografia ad Anversa in

Belgio. Ha 36 anni e oggi

è attivo quale curatore di

esposizioni internazionali,

direttore artistico, foto-

grafo e artista. Le sue

opere d’arte sono bi-,

tri- e quadridimensionali.

Il Center of Contemporary

Art di Tbilisi (www.cca.ge)

di cui Wato Tsereteli è

cofondatore, funge anche

da piattaforma di forma-

zione, ricerca e esposi-

zione per artisti e

professionisti.

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Svizzera attiva in Sudan già da molti anniGià da oltre 15 anni, la DSC si impegna sui montiNuba e nel Kordofan meridionale. Inoltre, da alcu-ni anni mette a disposizione di Unicef uno specia-lista di gestione delle acque anche per il sud delpaese. Nella città di Aweil, la DSC attualmente stacostruendo un proprio ufficio di campo, per forni-re un sostegno ancora più efficace in materia di ap-provvigionamento idrico e igiene attraverso inizia-tive dirette. Il progetto è stato preventivato per treanni e dispone di un budget di 5 milioni di franchi.«In questa regione, già al momento del Trattato dipace del 2005,i rimpatrianti erano numerosi,ora conil referendum sull’indipendenza del Sud Sudan que-sta tendenza al ritorno si è ulteriormente rafforza-ta.L’enorme fabbisogno di acqua per uomini e ani-mali costituisce una grossa sfida per il giovanegoverno sud-sudanese», fa notare Martin Jaggi,responsabile per il Sudan presso la DSC. Nei pros-simi mesi potrà contare sull’assistenza di specialistitecnici provenienti dalla Svizzera che lo aiuterannoa mettere in piedi l’organizzazione e l’infrastruttu-ra necessarie nel settore idrico. ■

(Tradotto dal tedesco)

(gn) «Considerando il sostegno finanziario fornitodall’estero da tanti anni, oramai ci si aspetterebbeun progressivo miglioramento nell’approvvigiona-mento idrico delle popolazioni rurali», dice WalterBaumgartner,esperto in materia di gestione delle ac-que e membro del gruppo tecnico del Corpo sviz-zero di aiuto umanitarioWater and EnvironmentalSanitation (WES).Da gennaio del 2010 è impegnatonel Kordofan meridionale,dove su mandato di Uni-cef avvia, coordina e controlla progetti idrici.Qui, nei villaggi più remoti, durante i periodi disiccità manca l’acqua, mentre nelle stagioni dellepiogge ce n’è fin troppa.Per questo,negli ultimi annisono stati costruiti impianti sanitari e migliaia dinuove pompe idrauliche,che tuttavia,già dopo unoo due anni non funzionano più.«Nel Sudan assistiamo allo scontro di due mondi: lamanutenzione complessa delle strutture petroliferesembra essere un gioco da ragazzi,mentre la ripara-zione di una semplice pompa a mano risulta im-possibile», spiega riassumendoWalter Baumgartner.Ecco perché Unicef si adopera per un’organizza-zione più efficace a livello amministrativo, per unadiversificazione presso gli offerenti di risorse idrichee sistemi di trattamento delle acque reflue, nonchéper un coinvolgimento maggiore delle comunità lo-cali nella manutenzione degli impianti.

Esperti dell’acqua per il Sudan

Le spese per l’aiuto umanitario in Sudan sono le più alte delmondo. Il fabbisogno è enorme, i progressi lenti. La Svizzeracontinua ad ampliare i propri aiuti che devolve dal 1994 attra-verso contributi bilaterali e multilaterali alle organizzazioni part-ner e con progetti propri nel sud del paese.

Aiuto d’emergenza ericostruzioneSebbene il Sudan non siané un paese prioritariodella cooperazione sviz-zera, né un beneficiario diun programma regionale,la Svizzera contribuiscecon un budget di circa14 milioni l’anno all’aiutoumanitario per il Sudan.La DSC a Khartum e Jubadispone di due uffici di pro-gramma, competenti dellaattuazione del programmaa medio termine per ilSudan 2010-12. A taleproposito, il distacco diesperti nelle agenzie uma-nitarie dell’Onu, i contributialle organizzazioni partner,nonché la realizzazione diazioni dirette costituisconole colonne portanti delle at-tività di sostegno dellaDSC. Oltre alla DSC, an-che la divisione politica IVe il DDPS sono presentinel Sud Sudan nei settorimediazione, trasformazionedi conflitti e sicurezza.

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Un solo mondo n.2 / Giugno 201124

(jls) Le fornaci abbondano nelle periferie dellegrandi metropoli latinoamericane.Di solito, si tro-vano nel bel mezzo dei quartieri residenziali. Giàda lontano si intravvedono le dense colonne difumo nero che si alzano da queste costruzioni inmuratura. Il concetto di base è rimasto immutatada migliaia di anni: il forno in cui si ammassano imattoni da cuocere si trova alla base di una torrequadrata o cilindrica, aperta verso il cielo. Questeinstallazioni sono poco efficaci in termini energe-tici.L’assenza di camino, insieme al metodo di cot-tura arcaico, genera una forte perdita di calore. Senon hanno i mezzi per comprare legna da ardere,i produttori di laterizi non esitano a bruciare com-bustibile poco costoso ma molto inquinante, peresempio vecchi pneumatici, plastica, letame, oliousato o altri rifiuti. L’inquinamento dell’aria met-te in pericolo la loro salute, ma anche quella delle

Una lunga esperienzaDa anni la DSC si adoperaper migliorare l’efficaciaenergetica nell’industria deilaterizi. Dal 1996 ha contri-buito alla diffusione di unmodello di origine cinesein Asia, il cosiddetto fornoverticale VSBK (VerticalShaft Brick Kiln). Le primeesperienze sono state ma-turate in India: dopo averadattato il sistema allecondizioni locali e averloperfezionato, si è passatialla produzione di oltrecento forni VSBK. La DSCha poi esteso il program-ma anche al Nepal, alVietnam, all’Afghanistane al Pakistan. Un progettoha appena preso avvio inSudafrica. La costruzionedi un forno di questo tipocosta fra i 60000 e i100000 dollari. Il prezzopurtroppo è troppo elevatoper i piccoli produttori chepartecipano al programmalanciato in America latina.

Forni meno voraci di energia perl’industria dei lateriziIn America latina le fabbriche artigianali di laterizi sono un’im-portante fonte di inquinamento da gas a effetto serra. Un pro-gramma regionale della DSC intende aumentare l’efficacia ener-getica delle fornaci per attenuare il cambiamento climatico. Que-sto adattamento tecnologico dovrebbe migliorare anche laqualità dell’aria e il reddito dei produttori.

loro famiglie e di tutte le persone che abitano invicinanza delle fornaci.

Una sfida globaleLe fabbriche artigianali di laterizi coprono circa il50 per cento della domanda del mercato. Si trattain generale di aziende informali, a gestione fami-liare, con meno di 10 dipendenti – lavoratori pre-cari, con un salario che oscilla fra i 90 e i 180 dol-lari al mese, a seconda del paese.Alcuni produtto-ri riescono a sbarcare il lunario solo perché tuttala famiglia lavora nell’azienda senza paga.Nel 2010 la DSC ha lanciato un programma re-gionale per migliorare l’efficacia energetica dellefornaci artigianali in America latina. Gli interventiavvengono simultaneamente inArgentina,Bolivia,Brasile, Colombia, Ecuador, Messico e Perù.«Il cambiamento climatico non conosce frontiere.

Così come in Messico (in alto) e in Colombia (a destra) in molti Stati dell’America latina vi sono fabbriche artigianali dilaterizi che riescono a sopravvivere solo perché tutta la famiglia dei proprietari lavora nell’azienda senza percepire unsalario

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25Un solo mondo n.2 / Giugno 2011

Affinché l’impatto sia efficace, la problematica vaaffrontata con un’ottica più ampia», spiega JanineKuriger,responsabile di programma della DSC.Neisette paesi selezionati per il programma si contano48000 fornaci che ogni anno generano 6 milionidi tonnellate di gas a effetto serra (GES). Le espe-rienze del passato hanno mostrato che l’adatta-mento tecnologico dei forni tradizionali permet-te di ridurre le emissioni in ragione del 30 per cen-to.

Tecnologie efficaci e accessibiliEntro il 2013 sono previste iniziative pilota in col-laborazione con 970 fabbriche di mattoni,nonchécon altri attori pubblici e privati. Specialisti tecni-ci elaboreranno e attueranno nuovi concetti te-cnologici. Probabilmente verranno lanciate delleformule che si differenziano tra di loro, poiché lasituazione varia da un paese all’altro.«Siamo alla ri-cerca di tecnologie adatte alle condizioni locali ealle possibilità finanziarie degli imprenditori», evi-denzia Janine Kuriger. Le nuovi fornaci sarannomunite di camini e camere comunicanti per ricu-perare il calore. I produttori dovranno rinunciareall’utilizzo di combustibili eccessivamente inqui-nanti. Una piattaforma regionale assicura l’inter-scambio di esperienze e conoscenze fra i paesi par-tecipanti, ma anche con le regioni dell’Asia e del-l’Africa. La DSC vuole promuovere la coopera-zione sud-sud, perché il problema delle fabbrichedi laterizi esiste in tutti paesi in via di sviluppo.

Aumenti di salario in vistaOltre all’effetto positivo sul clima, la costruzionedi fornaci più efficaci presenta anche un interesseeconomico. Ci vorrà meno combustibile per pro-durre la stessa quantità di mattoni, la durata di cot-tura sarà ridotta e la qualità del prodotto finale mi-gliore. Di conseguenza i fabbricanti di laterizi po-tranno aumentare il loro reddito del 10 per cento.«L’aspetto economico è determinante», dichiaraJanine Kuriger. «Nessun proprietario cambierà ilsuo forno solo per ridurre l’impatto climatico. Mal’idea diventa interessante se sa che l’investimentoavrà un tornaconto economico».Il nuovo concetto tecnologico sarà parte di un mo-dello integrale di gestione delle fornaci che con-sidera altresì gli elementi economico-sociali.È pre-visto, ad esempio, di accrescere le conoscenze de-gli imprenditori in materia di gestione aziendale ecommercializzazione. Un’analisi del mercato edi-lizio dovrà inoltre permettere di rispondere me-glio alla domanda. I proprietari delle fabbriche sa-ranno incoraggiati anche ad allinearsi all’economiaformale.A livello sociale, le iniziative saranno accompagnate

Gas e catastrofiL’America latina è respon-sabile del 12 per centodelle emissioni mondiali digas a effetto serra (GES),un tasso superiore alla me-dia, se si considera la suapopolazione. Il biossido dicarbonio liberato attraversola deforestazione rappre-senta il 46 per cento delleimmissioni di GES nella re-gione, mentre le immissionida consumo di energia fos-sile costituiscono il 26 percento. Gli altri GES sonoresponsabili del restante 28per cento. Provengono dalsettore agricolo, dallo smal-timento dei rifiuti e dall’indu-stria. Le conseguenze delcambiamento climatico col-piscono l’America latina nelvivo e si manifestano attra-verso la moltiplicazione de-gli eventi meteorologiciestremi, lo scioglimento deighiacciai e la diffusionedelle malattie tropicali.

da diverse campagne di sensibilizzazione per con-tenere, in primo luogo, il lavoro minorile e pro-muovere nel contempo la parità di trattamento frauomo e donna.

Sul mercato del carboneUna volta che i modelli pilota saranno stati speri-mentati, il programma li riprodurrà su ampia sca-la in tutti i sette paesi interessati. L’obiettivo è dicoinvolgere 24000 fornaci. In questa prospettiva,

la DSC cerca già sin d’ora di impiantare un mec-canismo di finanziamento durevole e sostenibile.La vendita di crediti-carbone è una delle opzioniprese in considerazione. «Stiamo esaminando se èpossibile azionare i meccanismi creati dal proto-collo di Kyoto, anche se le fabbriche sono moltopiccole,informali e disseminate sul territorio di varipaesi», afferma Janine Kuriger. Sui mercati inter-nazionali del carbone, i paesi del Nord possonocompensare le emissioni GES finanziando proget-ti nel Sud che contribuiscano ad attenuare il cam-biamento climatico. Se le fornaci latinoamericanetrovano investitori interessati,potranno ammortiz-zare l’acquisto dei nuovi forni. ■

(Tradotto dal francese)

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Dietro le quinte della DSC

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d’Europa. I reparti pediatricidegli ospedali moldavi in partelavorano in condizioni disa-strose, spesso mancano per-sino gli strumenti più basilarinecessari al funzionamento.I processi organizzativi per lamedicina d’urgenza sonocomplessi, le assicurazioninazionali di malattia copronoi costi finanziari delle presta-zioni mediche solo in misurainsufficiente. Dal 2005 inMoldavia la DSC si adoperaper il miglioramento della sa-lute di madre e bambino. Nel2010 questo impegno è statoportato ad un nuovo livello. Siprevede infatti di allestire unsistema di aiuto d’emergenzanazionale per bambini nonchédue centri moderni di prontosoccorso pediatrico. È previ-sto anche di finanziare inizia-tive di formazione per perso-nale medico e campagne diprevenzione contro gli infor-tuni che coinvolgono i bambininelle case e nel traffico stra-dale.Durata del progetto:2010 – 2013Volume: 4,5 milioni di CHF

Cartografia delle risorseidriche del Ciad(bm) Come in molti paesi dellaregione subsahariana delSahel, anche in Ciad la man-canza d’acqua è un problemacruciale. L’agricoltura e l’alle-vamento, le principali attivitàeconomiche del paese, ne-cessitano di grandi quantitàd’acqua. Dallo scorso gen-naio, la DSC sostiene un pro-

Più fondi per l’aiuto allosviluppo(mqs) Nella sessione primave-rile, il Parlamento svizzero hadeciso di aumentare l’aiutopubblico allo sviluppo, portan-dolo allo 0,5 per cento delprodotto nazionale lordo (PNL)entro il 2015. Per gli anni 2011e 2012, DSC e SECO po-tranno disporre complessiva-mente di 640 milioni di franchiin più. La DSC impiegherà ifondi per programmi bilateralinei settori acqua e clima, peraccrescere il Fondo di svi-luppo africano, nonché per uncontributo al Programma delleNazioni Unite per lo sviluppo(UNDP) e all’iniziativa di sde-bitamento. Con un tassodello 0,5 per cento del PNL,la Svizzera si colloca nellamedia superiore dei paesidonatori riuniti nel comitatodi sviluppo dell’OCSE.Il Parlamento ha altresì appro-vato la proroga e l’aumentodei mezzi per la cooperazioneallo sviluppo con i paesidell’Europa dell’Est e con laComunità di Stati indipen-denti, nonché l’aumento dicapitale delle banche per losviluppo. Per la DSC, la deci-sione del Parlamento a favoredi un maggior impegno sviz-zero nella cooperazione inter-nazionale rappresenta unaprova di fiducia e uno stimoloper continuare con efficaciail proprio operato.

Salute dei bambini inMoldavia(lrf) In Moldavia il tasso dimortalità infantile è moltoelevato rispetto ad altri Stati

getto di cartografia delle ri-sorse idriche del paese, affin-ché le popolazioni del Ciad, inparticolare gli allevatori e gliagricoltori, possano accedervipiù facilmente. Grazie alla rea-lizzazione di carte topografi-che, geologiche e idrogeologi-che su scala nazionale olocale si potranno approfon-dire e ampliare le conoscenzein merito alle risorse disponi-bili. Il progetto punta altresìallo sviluppo della rete di sta-zioni meteorologiche e allaformazione di quadri nazionali.La DSC potrà mettere al servi-zio del governo del Ciad le co-noscenze specialistiche pre-senti sul territorio, in collabo-razione con l’Organizzazioneeuropea per la ricerca nu-cleare (Cern), il Programmasatellitare dell’ONU (Onusat) ele istituzioni svizzere attive nelsettore.Durata del progetto:2011 –2014Volume: 6 milioni di CHF

Programmi di terapia pertossicodipendenti nelle pri-gioni estoni(lrf) La tossicodipendenzain Estonia è un problemaenorme: almeno l’1 per centodella popolazione è tossico-mane (senza alcoldipendenti).Fra le sostanze più usate figu-rano il fentanile e le amfeta-mine. I fenomeni direttamentecorrelati alla tossicodipen-denza sono criminalità legataall’acquisto della droga eemarginazione sociale: lametà dei tossicomani sonodisoccupati, due terzi hannogià scontato pene detentivein precedenza, il tasso di reci-diva fra gli ex-detenuti è supe-riore alla media. Per questomotivo, la Svizzera finanziaun’iniziativa volta a istituire neipenitenziari dei posti di tera-

pia per tossicodipendenti.L’idea di base: offrire ai dete-nuti la possibilità di seguireun programma di disintossica-zione e reintegrarli nella so-cietà, riducendo così anchela criminalità correlata alladroga. Il progetto viene realiz-zato in stretta collaborazionecon l’Ufficio federale della sa-nità pubblica. Una volta con-clusa la prima fase, sarà rile-vato dallo Stato estone.Durata del progetto:2011 – 2014Volume: 950 000 CHF

L’impronta idricacolombiana(mqs) SuizAgua (www.suiz-aguacolombia.net) è un pro-getto pilota della coopera-zione fra DSC e aziendesvizzere private. Le sedi co-lombiane delle multinazionaliClariant, Holcim, Nestlé eSyngenta analizzano le lorocatene produttive per indivi-duare le possibilità di ridurreil proprio consumo idrico,minimizzando anche la loro«impronta idrica» (www.water-footprint.org). Le aziende siassumono inoltre le loro re-sponsabilità sociali, soste-nendo progetti locali digestione dell’acqua. Le espe-rienze maturate in Colombiafungeranno da faro in tutto ilmondo, visto che confluirannoanche nella normativa ISO sulwaterfootprinting promossadalla Svizzera.Durata del progetto:2010 – 2012Volume: 1,05 milioni di CHF –di cui DSC 450000 CHF

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L’anno scorso i miliardari nel mondo erano 1011,mentre erano soltanto 25 nel 1991. L’esplosionedella ricchezza privata ha suscitato molte vocazionifilantropiche.E così cresce il numero di industrialie finanzieri molto facoltosi che decide di operareper il bene delle collettività. A tale scopo creanofondazioni donatrici beneficiando delle agevola-zioni fiscali concesse a questo tipo d’istituzione.Da una quindicina d’anni, negli Stati Uniti e inEuropa le fondazioni si sono moltiplicate.Esse de-dicano una parte viepiù crescente delle loro spe-se allo sviluppo. La fondazione di Bill Gates è digran lunga la più potente del pianeta: ogni annol’istituzione spende circa 3 miliardi di dollari, dicui oltre 1,8 miliardi a favore della salute.

L’approdo del «filantrocapitalismo»Questi imprenditori sociali hanno cambiato il vol-to della filantropia. «I nuovi mecenati si impegna-no personalmente nei progetti, sono concentrati

sui risultati e amministrano le loro donazioni comedegli investimenti», commenta David Keller, re-sponsabile dei partenariati istituzionali con il set-tore privato alla DSC.Se i fondi sono destinati allalotta contro l’AIDS, il rendimento del capitale in-vestito si misura ad esempio sul numero di pazientiin cura o di casi individuati.Parallelamente a questo movimento chiamato «fi-lantrocapitalismo», sempre più imprese prendonocoscienza delle loro responsabilità sociali e inizia-no a finanziare attività di sviluppo, sia direttamen-te, sia tramite una fondazione.I loro interventi nonsono soltanto a scopo benefico, ma contribuisco-no altresì a migliorare l’immagine della società. Intaluni casi vengono correlati ad obiettivi com-merciali.

Le fondazioni prese di mira dalle criticheNegli ambienti della cooperazione i donatori pri-vati – che, secondo le stime, destinano dai 3 ai 5

Filantropia e cooperazione:un binomio imperfettoSempre più spesso miliardari filantropi si impegnano a favoredi paesi poveri. Pur avendo dato un impulso particolare alla lot-ta contro le pandemie, questo supporto può interferire con gliaiuti delle agenzie statali. Sul campo i rappresentanti della DSCosservano attentamente la crescita in potenza degli attori pri-vati. Di Jane-Lise Schneeberger.

Il parco El Azhar, sito nella capitale dell’Egitto, è stato allestito nel 2005 dalla Aga Khan Development Network, unafondazione con sede a Ginevra che oggi cura tra l’altro lo sviluppo dei quartieri adiacenti al parco

Filantropi elveticiLa Svizzera conta circa12000 fondazioni.Mancando dati statisticicompleti, non è dato di sa-pere quante dispongono diun proprio patrimonio, néquante finanziano progettidi sviluppo. Il principalemecenate attivo in questosettore è il principe KarimAga Khan, a Ginevra, chedal 1967 ha creato inizial-mente una fondazione, poitutta una rete di agenziecon mandati specifici:sanità, istruzione, microfi-nanza, promozione dell’im-prenditorialità privata, ripri-stino di strutture edilizieecc. La Rete Aga Khan perlo sviluppo (AKDN) è pre-sente in 25 paesi musul-mani e spende 450 milionidi franchi all’anno.L’imprenditore StephanSchmidheiny occupa laseconda posizione: creatanel 1994, la sua FundaciónAvina investe 30 milioni difranchi all’anno in progettidi sviluppo sostenibileideati e attuati da attori dellasocietà civile in Americalatina.

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battere l’AIDS, ad esempio, ha convogliato versoquesto campo molti esperti del settore sanitario ascapito della lotta alla mortalità materna o alle ma-lattie diarroiche.

Gli aiuti al bilancio passano in secondopianoL’aiuto privato può anche compromettere gli sfor-zi profusi per armonizzare gli aiuti e rafforzare ilsistema sanitario. In Mozambico le agenzie tradi-zionali si coordinano per sostenere le strategie delMinistero della sanità al quale assegnano aiuti bud-getari. Il problema è che la maggior parte dei do-natori privati non vuole alimentare il bilanciodello Stato e mette in piedi strutture supplemen-tari o parallele. «Il loro arrivo ha dissestato la di-namica di consolidamento del sistema», si ramma-

miliardi all’anno allo sviluppo – sono fonte di ac-cesi dibattiti.Alle fondazioni si rimprovera talvol-ta di privare lo Stato di entrate fiscali e volersi so-stituire alle agenzie di cooperazione pubbliche.Ta-lune replicano che, proprio grazie all’elasticitàdelle loro strutture, sono molto più efficaci dei fi-nanziatori statali. Un’altra critica riguarda l’assen-za di controllo democratico: le fondazioni opera-no come meglio aggrada loro, mentre le agenziedevono rendere conto al Parlamento. Per DavidKeller, è proprio questa indipendenza a conferireloro un netto vantaggio: «Le fondazioni possonoassumersi rischi e sperimentare approcci innova-tori, cosa che non è sempre possibile per gli altriattori. Purtroppo, solo le migliori lo fanno». Ci sipreoccupa anche dell’influsso dei filantrocapitali-sti sul settore sanitario, che assorbe la metà delleloro donanzioni: dato il suo peso finanziario, unuomo come Bill Gates ha il potere di deciderequali malattie saranno combattute nel mondo equali, invece, dovranno aspettare.I nuovi donatori privilegiano cosiddetti approcci«verticali», ossia specifici per una malattia, checonsentono di ottenere rapidamente risultati,mentre il sostegno al sistema sanitario produce ef-fetti solo a lungo termine. Gran parte dell’aiutoprivato transita dunque attraverso programmi in-

ternazionali come il Fondo mondiale di lotta con-tro l’AIDS, la tubercolosi e il paludismo o l’Al-leanza GAVI per i vaccini.

Progressi nella lotta alle pandemieIn Tanzania la DSC è molto attiva nel settore sa-nitario. Jacques Mader, responsabile di questi pro-grammi, sottolinea l’impatto positivo dell’aiutoprivato:«È una fonte preziosa di finanziamenti,perun paese dove i bisogni sono smisurati.Senza que-ste donazioni sarebbe impossibili finanziare mol-te attività. Penso in particolare a ricerche moltomirate che non rientrano nel mandato delle agen-zie pubbliche e non interessano le case farmaceu-tiche». La Fondazione Bill e Melinda Gates finan-zia, ad esempio, la messa a punto di prodotti in-novatori di lotta alla malaria destinati allaproduzione locale. D’altro canto, da quando l’ac-cesso alle cure e ai mezzi di prevenzione è mi-gliorato le grandi pandemie avanzano più lenta-mente.«Bisogna però fare in modo che le risorse privatenon creino distorsioni nelle priorità del serviziopubblico», precisa Jacques Mader. Negli ultimianni l’afflusso massiccio di fondi destinati a com-

Interessi convergentiIl telefono cellulare puòessere utilizzato per evitaredi rimanere senza medi-cine nelle zone discostedei paesi poveri – comedimostra il programma«SMS for life» in Tanzania:ogni settimana, i centri sa-nitari ricevono un SMS chechiede loro quanti medica-menti contro la malaria ri-mangono in giacenza.L’aggiornamento regolaredell’inventario elettroniconazionale permette di rifor-nire tempestivamente idispensari. Lanciato daNovartis, questo pro-gramma è sostenuto dal-l’organizzazione Faire re-culer le paludisme, leimprese Vodafone e IBM ela DSC. In un partenariatopubblico-privato di questogenere, ognuno ha il suotornaconto: se è vero chela distribuzione di medi-cine, la circolazione diSMS e l’utilizzo di pro-grammi informatici vannoa vantaggio delle impresepartecipanti, non va tra-scurato nemmeno il fattoche la messa a punto diquesto nuovo sistema per-mette di risolvere uno deiproblemi maggiori dellosviluppo.

La ‘Fondazione Novartis per lo sviluppo sostenibile’ del-l’omonima impresa farmaceutica svizzera è, tra l’altro,attiva nell’ambito della lotta contro la lebbra in India

«Per quanto questeazioni siano lodevoli,

ci si può chiederequanto siano ancorate

nella sociatà».

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rica Franziska Freiburghaus, responsabile dei pro-grammi sanitari della DSC in Mozambico. «Il Mi-nistero deve dedicare molto tempo a questi nuo-vi attori, che esigono rapporti specifici e riunionibilaterali a tutti i livelli. Pertanto non accorda piùla priorità alle domande presentate dal gruppo deidonatori tradizionali, che finanziano un quartodel suo budget». Fortunatamente la situazione stamigliorando. I privati si rendono conto che perallargare a tutto il paese la fornitura di medica-menti ed evitare di creare iniquità occorre forni-re le necessarie risorse al sistema sanitario.

I partenariati vanno per la maggioreI partenariati pubblico-privato (PPP) sembranoessere la soluzione migliore per evitare doppionie razionalizzare l’indirizzamento degli aiuti, e daqualche anno sono in piena espansione. «I PPPsono molto importanti per lo sviluppo.Permetto-no di finanziare vasti programmi e favoriscono loscambio di competenze tecniche», sottolinea SamPickens,portavoce della ReteAga Khan per lo svi-luppo. «Quando uno dei nostri progetti ottienebuoni risultati a livello locale, cerchiamo sempredei partner per riprodurlo su una scala più ampia».Questa rete filantropica collabora da anni conagenzie pubbliche e imprese.

Nel paese dellefondazioniNegli Stati Uniti, dove at-tualmente le fondazioni do-natrici sono oltre 75000, lafilantropia vanta una lungatradizione. Benché sola-mente una dozzina finanziprogetti di sviluppo, que-ste dispongono di enormicapitali. Con un capitaledi 34 miliardi di dollari laFondazione Bill e MelindaGates rimane la numerouno – seguita, in partico-lare, dalle fondazioni Ford,Rockefeller, Moore,Carnegie, Soros, Hewlette Kellogg. In cambio diun’esenzione fiscale com-pleta, la legge le costringea spendere ogni anno al-meno il 5 per cento deiloro attivi. In Europa unsimile obbligo non esiste.In questo settore vi è per-tanto un notevole capitaledormiente. In questi ultimianni, grazie alle riforme fi-scali attuate in molti paesieuropei il numero dellefondazioni è notevolmenteaumentato.Contrariamente agli StatiUniti, però, la maggiorparte è stata creata da im-prese, non da persone.

La Bill & Melinda Gates Foundation sostiene in Senegal un programma dell’organizzazione ‘Roll Back Malaria’ che in-segna tra l’altro agli allievi l’uso corretto delle zanzariere contro la malaria

E se il rubinetto venisse chiuso?Eppure molti donatori privati proseguono imper-territi la cavalcata in solitaria. Nel Burkina Fasomeridionale la piccola città di Dano beneficia dadieci anni delle elargizioni di un ricco architettotedesco. Gisbert Dreyer ha deciso di investire par-te del suo patrimonio nello sviluppo di questa re-gione. La sua fondazione ha già finanziato fra lealtre cose la trivellazione di pozzi, la costruzionedi una diga associata ad una vasta zona irrigata ela ristrutturazione di alcune scuole. «Per quantoqueste azioni siano lodevoli, ci si può chiederequanto siano ancorate nella società e quanto sia-no durevoli», fa notare Philippe Fayet, capo del-l’ufficio di cooperazione DSC nel Burkina Faso.Che ne sarebbe di questi progetti se il loro bene-fattore si ritirasse o la sua ricchezza fosse inghiot-tita da una crisi finanziaria? È facile costruire stra-de o pozzi. Ma la vera sfida dello sviluppo consi-ste nel definire con le comunità locali chi assumeràla responsabilità di queste infrastrutture una voltaportato a termine il progetto». ■

(Tradotto dal francese)

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La città di La Paz, fondata nel1548 attorno al fiume che sol-cava un’ampia vallata, è cresciutadomando le montagne. Infatti,da una quarantina d’anni aquesta parte, quando scende lanotte, tutt’attorno si accendonomigliaia di luci artificiali.A voltesembra un immenso Colosseo,i cui spettatori con le loro torcedanno il benvenuto a un eroe.

L’unica vetta che sembra indoma-bile è il ghiacciaio dei montiIllimani, a sudest, che risplendeniveo durante il giorno. Ma peril resto, ogni monte che attorniail centro di la Paz si è trasfor-mato in quartiere.

Quarant’anni fa vi era un’ecce-zione: un quartiere non era im-prigionato tra le montagne, ma siestendeva fino all’altipiano an-dino. Era una gelida terrazza dacui si poteva ammirare la distesafittamente edificata e vigilatadall’Illimani. Si chiamava El Alto.Adesso è una città di un milionedi abitanti, ubicata a 3900 metrisopra il livello del mare, 300 me-tri più del centro di La Paz.

Quando avevo sei anni e vivevoin centro, nella «gran casa» della

L’eroe dei mille gradini

Rafael Alberto SagárnagaLópez, 47 anni, è un giornali-sta e linguista boliviano. Èeditore della rivista «Día D» edella rivista di cronaca specia-lizzata «Pie Izquierdo». I suoireportage e le sue cronachesono pubblicati dai domenicalidei principali quotidiani delsuo paese e da diversi portalistranieri. I suoi lavori hannovinto premi nazionali e interna-zionali.

mia famiglia materna, certe mat-tine di buon’ora accompagnavomia nonna Sara al suo negoziodi alimentari. È allora che iniziaia vedere quelli che lei e le suecoetanee chiamavano «gli ometti»che ogni mattina all’alba scende-vano da El Alto.

Per un paio d’ore, migliaia emigliaia di ometti e potremmodire di donnine aimara scende-vano per le stradine ripide affret-tando il passo al ritmo di un’in-vasione. La loro pelle doratabrillava per la lotta tra il caloredel loro corpo agitato e il freddodell’alba di La Paz.Venivano nelcentro cittadino per costruireedifici, guidare veicoli altrui,servire nelle case, nei ristoranti enegli ospedali. Scendevano da ElAlto per svolgere il loro primolavoro, la loro proverbiale provadi perseveranza.

Dopo questa prima migrazioneverso El Alto e La Paz, molti, giàconvertitisi in commercianti, ini-ziarono la seconda, più lontana.Alcuni studiosi li hanno chiamatii «fenici del Sudamerica».Però per me allora erano gliometti. Non era un terminespregiativo. Notai che Sara non

intendeva «uomo piccolo», maqualcosa come «giovane che sifa uomo», «giovane che nel suovolersi affermare commuove».

Arturo era uno di quegli ometti.Quando i suoi risparmi arriva-vano al limite, scendeva e addi-rittura risaliva per quelle stradineirte, dette «las mil gradas» (i millegradini). Ogni tanto, fermandosia riprendere fiato, il suo sguardosi stagliava sui tetti degli edifici esulle vette dell’Illimani. Certo,qualche volta ha anche percorsoi dodici chilometri che separanoEl Alto da La Paz in un bussovraffollato.

Iniziò la sua prova di perseve-ranza a tredici anni. Un annodopo cambiò strada: invece discendere verso le costruzioni,si diresse verso la clinica doveavrebbe lavorato con Alberto,mio padre. Un giorno,Arturoaccettò una missione supple-mentare, accompagnare me ladomenica alle partite di calcioo al cinema.

Arturo veniva a prendermi alla«gran casa». Quella casa dovesolitamente lavoravano tre oquattro donnine e un ometto

per le matriarche e i lorodiscendenti.

Capitava che la matriarca piùanziana, la mia prozia zitella,mia nonna e le sue amichecommentassero la vita degliometti. Facevano qualche battutadiscreta sui loro nomi pomposidel santorale cattolico con icognomi in aimara.

Sono più di vent’anni chenella «gran casa» non vivonopiù matriarche. Sono mortenegli anni Ottanta.I loro figli si sono trasferiticon le famiglie in dipartimentidove non ci sono più donninee ometti a servizio.A La Paznon si trovano case spaziosecome quella. La nostra «grancasa» è vuota.

E qualche settimana fa è ricom-parso Arturo. Ci siamo ricono-sciuti. Ha notato che ho sorrisoperché guardandolo negli occhil’ho rivisto scendere «las mil gra-das» quella prima volta e arrivarequi 30 anni dopo. Era venuto acomprare la «gran casa». ■

(Tradotto dallo spagnolo)

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Realtà rom

(mr) La maggior parte dei 6 milioni di rom in Europa orientale e centrale vive in Bulgaria, Romania, Ungheria eSlovacchia. La povertà che dilaga fra gli zingari – così vengono chiamati ancora oggi in questi paesi – è da quattroa dieci volte maggiore rispetto al resto della popolazione. Nel 2005 i governi di Bulgaria, Ungheria, Romania,Repubblica Ceca, Croazia, Macedonia, l’allora Serbia e Montenegro e la Slovacchia hanno dichiarato il loro impegnopolitico contro la discriminazione dei rom. Vogliono adoperarsi per contrastare la povertà e l’emarginazione socialedei rom. La «Decade of Roma Inclusion 2005-2015» è un’iniziativa internazionale che vede riuniti al tavolo di nego-ziazione governi, organizzazioni non governative e alleanze di società civile rappresentanti i rom. L’iniziativa ha de-

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finito quattro filoni prioritari per un impegno a favore dei rom: formazione, occupazione, salute e alloggi. Cogliamol’occasione per presentare alcune foto scattate dal losannese Yves Leresche, tratte dal volume fotografico pubbli-cato a margine della «Decade of Roma» e intitolato «Roma Realities», edito dalla DSC e dalla Banca mondiale.«Roma Realities» può essere acquistato al prezzo di 20 franchi, inviando una mail a: [email protected]

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luppo? Come è cambiata lacooperazione allo sviluppo negliultimi decenni? Cosa significanoi termini più ricorrenti? Lerisposte si trovano nel nuovo«ABC della politica di sviluppo».L’opuscolo nel pratico formatoA5 comprende, oltre a un’intro-duzione alla tematica, anche unampio glossario dei terminichiave. Si presta sia come operadi consultazione, sia per l’in-segnamento di storia e educa-zione civica nelle scuole mediesuperiori o professionali. Oltreall’«ABC della politica di svi-luppo», il Dipartimento federaledegli affari esteri (EDA) nellastessa collana propone altri titoli:«ABC dei diritti dell’uomo»,«ABC del diritto internazionalepubblico», «ABC del diritto in-ternazionale umanitario» non-ché «ABC della diplomazia».Gli opuscoli ABC sono disponibiligratuitamente in italiano, tedesco,francese e inglese, individualmenteo in blocco per classi. Una versionePDF è disponibile sul sitowww.eda.admin.ch/eda/it/home/doc/publi.html; per le ordinazioni:[email protected] tel. 031 322 31 53

Per la pace, i diritti dell’uomoe la sicurezza(mls) Ci sono molti motivi percui la Svizzera si impegna alivello mondiale per la pace, idiritti dell’uomo e la protezionee la sicurezza delle personevulnerabili. Lo fa perché si trattadi una tradizione umanitaria edi un obiettivo di politica estera,ma anche perché ciò è nel suointeresse.Il nuovo opuscolo per il pub-blico «Per la pace, i diritti del-l’uomo e la sicurezza» riportacome la Svizzera si impegna perla pace ad esempio in Nepal,Burundi o nel Sud Sudan, comecerca di conciliare l’economiacon la protezione dei dirittiumani e cosa intraprende perproteggere meglio i rifugiati e

La magia della musicamorna(er) La sua voce scura, inconfon-dibilmente calda, attira il pub-blico sin dai primi anni ’90.Insignita di numerosi riconosci-menti è l’ambasciatrice indi-scussa della musica morna, carat-teristica delle isole capverdiane,l’arcipelago al largo dell’Africaoccidentale. Cesaria Evora conle sue canzoni convoglia nelmondo le sensazioni racchiusein questa musica tradizionale:solitudine, melanconia, nostalgiae dolore. Eppure nelle marnastroviamo anche l’allegria delson, del bolero, della samba.Cesaria Evora il 27 agostofesteggia il suo 70° anniversario.Evento che sarà celebrato con

un album tutto da ascoltare.Documenta gli incontri dellasublime cantante con 18 perso-naggi provenienti da 14 paesi,fra cui Ismael Lo, Salif Keita,Adriano Celentano, BernardLavilliers, Marisa Monte eGaetanoVeloso. Un gruppo diartisti che non riesce a sottrarsial fascino della musica morna ein duetto con Cesaria Evoraanima questi brani che fluttuanoagili e graziosi riempiendo l’ariadi magia.Cesaria Evora: «Cesaria Evora&…» (Lusafric, RCA/SonyMusic)

Una poesia acustica distruggente bellezza(er) Da ventenne, negli anni ’60,non era solo un calciatore edribblatore brillante, ma anche ilChuck Berry e l’Elvis Presley diMali. Nel frattempo, a 68 anni, ilchitarrista e cantante BoubacarTraoré, la cui vita è appena stataripresa in un bellissimo film, en-tusiasma i suoi fan in tutto ilmondo con un ineguagliabileblues di stampo malese. I pezzidel nuovo CD sono cantati con

voce sonora e vellutata, con untimbro sabbioso, forse perchésono nati sui campi della suaazienda agricola. «Tutto quantoqui attorno è cresciuto nel suotempo ed è custodito nel mo-mento». Dalla chitarra acusticasprigiona riff armoniosi inter-rotti da cascate di corde chiaree spumeggianti. Che culminanoin un fitto insieme di suoni diblues emessi da un’armonica abocca vibrante, ritmi molleg-gianti di calebassa, balafon edolci suoni di n’goni (liuto), inun intreccio bellissimo di poesiaacustica intramontabile.BoubacarTraoré: «Mali Denhou»(Lusafrica/Musikvertrieb)

ABC della politica di sviluppo(sdt) Cosa intendiamo per svi-

Servizi TV e reportage(jtm) Come è iniziata la storia della cooperazione sviz-zera allo sviluppo? Che cosa fa la Svizzera a Haiti?Un nuovo dossier di SF Wissen (www.wissen.sf.tv)risponde a queste e altre domande. Contiene circa30 contributi e reportage realizzati dalla televisionesvizzera di lingua tedesca sulla cooperazione allosviluppo e l’aiuto umanitario nelle diverse epoche

temporali. I contributi più antichi sono tratte dalle rassegne settimanali televisive degli anni1960, che raccontano gli inizi della cooperazione allo sviluppo. La gamma abbraccia tema-tiche che spaziano dagli interventi attuali dell’aiuto umanitario alle più recenti iniziative perl’acqua in Medio Oriente. La varietà tematica nonché l’arco temporale che si estende sucinque decenni rendono questo dossier un vero forziere pieno di tesori da scoprire.www.wissen.sf.tv50 anni DSC: le informazioni attuali sulle attività e gli eventi per l’anniversario della DSCsi trovano sul sito www.deza.admin.ch/50years

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Un solo mondo n.2 / Giugno 2011 35

Impressum:«Un solo mondo» esce quattro volte l’annoin italiano, tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione(DSC) del Dipartimento federale degli affariesteri (DFAE)

Comitato di redazione:Martin Dahinden (responsabile)Catherine Vuffray (coordinamento globale)Marie-Noëlle Bossel, Marc-André Bünzli,Beat Felber, Thomas Jenatsch, Roland Leffler,Sabina Mächler, Nicole Suhner

Redazione:Beat Felber (bf – produzione)Gabriela Neuhaus (gn) Maria Roselli (mr)Jane-Lise Schneeberger (jls) Ernst Rieben (er)

Progetto grafico: Laurent Cocchi, Losanna

Litografia e Stampa: Vogt-Schild Druck AG,Derendingen

Riproduzione di articoli:La riproduzione degli articoli è consentitaprevia consultazione della redazione ecitazione della fonte. Si prega di inviareuna copia alla redazione.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente(solo in Svizzera) presso: DFAE, Servizioinformazioni, Palazzo federale Ovest,3003 BernaE-mail: [email protected]. 031 322 44 12Fax 031 324 90 47www.dsc.admin.ch

860215346

Stampato su carta sbiancata senza cloroper la protezione dell’ambiente

Tiratura totale: 54200

Copertina: Dacca; Monika Flückiger

ISSN 1661-1683

Vari

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Film

Nota d’autore

Osservatore e scrittore

Arno Camenisch, 33 anni, haricevuto vari premi letterari perla sua opera d’esordio «SezNer»; recentemente con «Hinterdem Bahnhof» (Engeler Verlag,2010) è uscito il secondo librodello scrittore grigionese.

(bf) «Per me è evidente, scrivereva di pari passo con il viaggiare.Ho passato un anno in viaggiodalla Colombia all’Argentina.In questo periodo, nella cittàequadoregna di Esmeraldasho collaborato anche in un pro-getto con ragazzi di strada. E lìho vissuto cosa significa se pergiorni e giorni manca l’acquapotabile, o si sciopera per setti-mane intere, o la gente non haun tetto per ripararsi. Sia viag-giando, sia scrivendo, indossoi panni dell’osservatore. Vale adire: cerco di immedesimarmicon gli altri, di capire. Si trattadi un atteggiamento di rispetto,di un ampliamento di orizzonti,per vedere cosa o come po-trebbe essere la vita. Forse èper via dell’approccio cinemato-grafico che curo nella mia scrit-tura, che sono anche un appas-sionato di cinema. In particolareil film «Historias mínimas» del-l’argentino Carlos Sorin mi haprofondamente impressionato –è un film incredibilmente poe-tico e delicato con un linguag-gio cinematografico fitto e unamodalità di racconto forte, quasiminimalista».

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i profughi affinché non diven-tino vittime della tratta umana.Inoltre nell’opuscolo esprimonola loro testimonianza personeche hanno influenzato la politicasvizzera della pace, dei dirittiumani, della migrazione nonchéquella umanitaria, e che conti-nueranno a farlo in futuro.L’opuscolo «Per la pace, i dirittidell’uomo e la sicurezza» è otteni-bile in italiano, francese e tedesco.Versione elettronica:www.eda.admin.ch/eda/it/home/doc/publi.htmlPer le ordinazioni:[email protected] 031 322 31 53

I media trasformano ilmondoLa radio e la televisione svol-gono una funzione importantenella nostra società: sono piatta-forme per informazione, sensibi-lizzazione, educazione, istru-zione, discussione, partecipa-zione, democratizzazione e cul-tura. Il DVD «Les médias trans-forment le monde» propone duefilmati. Il primo mostra comenel Niger dagli anni 1990 doz-zine di radio private e regionalisono diventate il mezzo dicomunicazione più amato ediffuso. E il secondo fa vederecome in Iran la ricezione diprogrammi televisivi via satellite,anche se vietata, è in realtà unodei passatempi preferiti dellapopolazione. Grazie alle antenne

paraboliche clandestine, ledonne e gli uomini iranianiaccedono all’informazione eall’intrattenimento che esulanodagli ambiti circoscritti dellesevere autorità di censura.«Les médias transforment lemonde», Svizzera 2010, da 14anni; DVD e DVD-ROM con ma-teriali di accompagnamento e fogli dilavoro. È ottenibile anche in tedesco.Per informazioni: «Films pour unseul monde», tel. 031 398 20 88,www.filmeeinewelt.ch

Cicli postdiplomaIl NADEL (corso postdiplomasu paesi in via di sviluppo) delPolitecnico di Zurigo nel se-mestre autunnale 2011 proponei seguenti corsi di perfeziona-mento:Pianificazione e monitoraggio diprogetti e programmi (26.-30.9.)Valutazione di progetti eprogrammi (4.-7.10.)Gestione di sistemi di coopera-zione e reti (11.-14.10.)Creare e pilotare programmiper i paesi (25.-28.10.)Domande strategiche di attualitànella cooperazione allo sviluppo(16.-18.11.)

Micro e macro prospettive nellalotta contro la povertà(22.-25.11.)Migrazione e sviluppo (7.-9.12.)Per informazioni e iscrizioni:Politecnico federale Zurigo,NADEL; tel. 044 632 42 40,www.nadel.ethz.ch

Nuova newsletter della DSCLa nuova newsletter della DSCpropone, a cadenza bimestrale,una selezione delle informazionipiù pertinenti in merito ai pro-getti, le pubblicazioni e glieventi realizzati dalla coopera-zione svizzera allo sviluppo. Inogni edizione sarà inoltre appro-fondito un tema e in un riqua-dro saranno riportati gli eventidi attualità, come per esempio il50° anniversario della DSC. Lanewsletter edita in italiano, tede-sco, francese e inglese si presentacon un piacevole layout. È sud-divisa in capitoli e grazie ai nu-merosi link permette di acce-dere facilmente a dettagliateinformazioni. L’abbonamentoalla newsletter si fa on-line sulsito della DSC: www.dsc.admin.ch

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«Per noi la Svizzera rappresenta lapatria della democrazia partecipativa.La maggior parte dei politici inBangladesh sa che da voi ci sonoreferendum popolari e discussionipubbliche sui bilanci».Sohel Ibn Ali, pag. 13

«Agricoltura e turismo sono le unichecose che abbiamo».Nikolai Nikolaishvili, pag. 18

«Le fondazioni possono assumersirischi e sperimentare approcci innova-tori, cosa che non è sempre possibileper gli altri attori. Purtroppo, solo lemigliori lo fanno».David Keller, pag. 28


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