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UNA MODELLIZZAZIONE DELL’OSCILLAZIONE TRA STATI IN ...e matematiche. Gran parte dei concetti qui...

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UNIVERSIT ` A DEGLI STUDI DI UDINE Facolt` a di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Matematica Tesi di Laurea UNA MODELLIZZAZIONE DELL’OSCILLAZIONE TRA STATI IN MECCANICA QUANTISTICA Relatore: Laureanda: Prof. ALESSANDRO DE ANGELIS ORIANA MANSUTTI Correlatore: Dott. RICCARDO GIANNITRAPANI ANNO ACCADEMICO 2001-2002
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UNIVERSITA DEGLI STUDI DI UDINE

Facolta di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Corso di Laurea in Matematica

Tesi di Laurea

UNA MODELLIZZAZIONEDELL’OSCILLAZIONE TRA STATIIN MECCANICA QUANTISTICA

Relatore: Laureanda:Prof. ALESSANDRO DE ANGELIS ORIANA MANSUTTI

Correlatore:Dott. RICCARDO GIANNITRAPANI

ANNO ACCADEMICO 2001-2002

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Ai miei nonni

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Prefazione

L’intenzione di questa tesi e quella di modellizzare il fenomeno dell’oscilla-zione dei sistemi fisici tra diversi stati, che e stato osservato per i mesoniK (kaoni), i mesoni B e molto recentemente per i neutrini, nel formalismostandard della meccanica quantistica non relativistica.

Il Capitolo 1 da una prima spiegazione del concetto fisico di oscillazionetra stati e fornisce una breve rassegna critica delle sue formalizzazioni mate-matiche adottate nella letteratura su questo argomento; esso inoltre presentale tappe salienti della storia delle osservazioni sperimentali che testimonianol’oscillazione tra stati per le particelle indicate sopra.

Nel Capitolo 2 sono forniti gli strumenti dell’analisi matematica e dellateoria della probabilita che vengono utilizzati dalla meccanica quantistica nonrelativistica per formalizzare l’idea di sistema fisico e di stato di tale sistema,quella di osservabile e di risultato della sua misura, e quella di evoluzionetemporale di un sistema fisico. L’impegno nella ricerca di fonti bibliografichecon l’impostazione usata in questa tesi e risultato vano, e il materiale espostonel Capitolo 2 e stato selezionato attingendo da vari testi autorevoli, tra iquali E. Prugovecki [1], J. M. Jauch [2], M. Reed e B. Simon [24].

Il Capitolo 3 contiene la modellizzazione dell’oscillazione tra stati delsistema fisico della particella libera non relativistica. Le idee fondamentaliche consentono di ottenere tale modellizzazione sono quella di considerarela massa della particella come un’osservabile fisica (descritta attraverso unoperatore lineare) piuttosto che come un parametro, e quella di rappresentareil sistema fisico per mezzo del prodotto tensoriale di due spazi di Hilbert, conl’introduzione dello spazio delle masse: le oscillazioni tra stati si verificanoquando lo spazio delle masse ha dimensione maggiore di 1 e il sistema si trovain un certo istante in uno stato che non e rappresentato da un autovettoredell’operatore associato alla massa. Vengono poi presentati alcuni esempisignificativi, che offrono la possibilita di formulare ulteriori considerazioni.

Nel Capitolo 4 sono analizzati brevemente alcuni ambiti in cui il lavoroesposto potrebbe ulteriormente svilupparsi.

v

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vi PREFAZIONE

Notazioni

6 sottospazio vettoriale

< A > sottospazio vettoriale generato dall’insieme A

f |A restrizione dell’applicazione f al sottoinsieme A del suo dominio

ℵ0 cardinalita del numerabile

δij delta di Kronrcker (vale 1 se i = j e 0 altrimenti)

χA(x) funzione caratteristica dell’insieme A(vale 1 se x ∈ A e 0 altrimenti)

<(x) parte reale del numero complesso x

=(x) parte immaginaria del numero complesso x

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PREFAZIONE vii

Ringraziamenti

Sono molte le persone con cui sono in debito e alle quali voglio esprimere lamia riconoscenza.

Per primi voglio ringraziare Alessandro e Riccardo, per la pazienza el’amicizia che mi hanno dimostrato durante la stesura di questo lavoro, eperche seguendo questa tesi mi hanno permesso di approfondire lo studio deifondamenti della fisica.

Massimo e il professor Elio Cabib mi hanno aiutata a dissolvere alcunidei dubbi che mi hanno assillato, facendomi guadagnare del tempo prezioso.

Antonella, Silvia, Davide e Giuseppe mi hanno amichevolmente dato unamano con le questioni pratiche e burocratiche.

L’affetto che ho ricevuto dai tanti amici che ho incontrato in questi an-ni, in Universita e fuori, e senz’altro la parte migliore della mia esperienzauniversitaria.

Ai miei genitori Giulia e Aldo esprimo un grande grazie per il loro sostegnoeconomico e morale, unitamente alle mie sorelle Federica e Luigina.

Non potro mai ringraziare abbastanza Marco, anche per avermi aiutatanella trascrizione in LATEX di alcuni paragrafi e per aver letto scrupolosamentela versione finale di questa tesi.

Rivolgo infine uno speciale ringraziamento a Lucia, Anna, Massimo e ilcompianto Don Pietro per avermi convinta a non abbandonare l’Universita.

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Indice

Prefazione vNotazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . vi

Indice ix

1 Motivazioni di interesse fisico 11.1 Introduzione all’oscillazione tra stati . . . . . . . . . . . . . . 11.2 Aspetti matematici presenti nella letteratura . . . . . . . . . . 31.3 Alcune evidenze sperimentali dell’oscillazione tra stati . . . . . 7

2 Brevi richiami sulla struttura matematica della meccanicaquantistica 112.1 Gli spazi di Hilbert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

2.1.1 Definizioni e proprieta fondamentali . . . . . . . . . . . 112.1.2 Basi di spazi vettoriali di dimensione infinita e basi di

spazi di Hilbert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 262.1.3 Separabilita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 372.1.4 Operatori su uno spazio di Hilbert . . . . . . . . . . . 412.1.5 Il teorema spettrale in forma PVM, il teorema

di Gleason e il teorema di Stone . . . . . . . . . . . . . 552.1.6 Prodotto tensoriale di spazi di Hilbert . . . . . . . . . 60

2.2 Elementi di teoria della probabilita . . . . . . . . . . . . . . . 702.2.1 Definizioni ed esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70

2.3 Il formalismo della meccanica quantistica non relativistica . . 752.3.1 Formalizzazione assiomatica . . . . . . . . . . . . . . . 76

3 La particella libera non relativistica oscillante tra due stati 813.1 L’operatore massa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 813.2 Lo spazio delle masse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 853.3 L’oscillazione tra due stati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 893.4 Un esempio di oscillazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100

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x INDICE

4 Conclusioni 1114.1 Panoramica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1114.2 Possibili sviluppi futuri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112

4.2.1 Estensione relativistica del calcolo . . . . . . . . . . . . 1124.2.2 Aggiunta di potenziali esterni . . . . . . . . . . . . . . 1154.2.3 Ulteriori sviluppi matematici . . . . . . . . . . . . . . . 120

Appendice 121A.1 Dimostrazioni citate nel paragrafo 2.1 . . . . . . . . . . . . . . 121

Bibliografia 129

Indice analitico 133

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Capitolo 1

Motivazioni di interesse fisico

Questa tesi propone uno studio semplificato (o toy model in gergo tecnico) dialcuni aspetti matematicamente interessanti relativi all’oscillazione tra statiquantistici in ambito non relativistico. Anche se gli argomenti trattati sa-ranno quasi esclusivamente di carattere matematico, le motivazioni fisichedi questo lavoro sono profonde; il problema sara inquadrato in un ambitoformale e si proporranno alcuni spunti di riflessione sulle conseguenze fisichedelle assunzioni effettuate. Sebbene il carattere semplificato (dovuto ai vin-coli temporali di un lavoro di tesi) ne limiti in qualche modo l’applicabilitadiretta, questo studio puo considerarsi una prima tappa verso una discus-sione critica e propositiva di alcuni aspetti di rilevante interesse per la fisicacontemporanea.

Che cosa significa oscillazione tra stati quantistici? Questo primo capitolotratta l’argomento in termini discorsivi per delinearne le caratteristiche fisichee matematiche. Gran parte dei concetti qui di seguito esposti costituirannopoi materia di approfondimento nel resto della tesi.

1.1 Introduzione all’oscillazione tra stati

La fisica classica porta a pensare al mondo in termini realisti1 e alle carat-teristiche dei sistemi fisici come indipendenti dalle osservazioni che vengonoeffettuate su di essi. Il realismo dei sistemi fisici, che si riflette sulla strutturamatematica con cui li si descrive, ha importanti conseguenze: una di esse ela possibilita di attribuire ad un sistema fisico isolato proprieta ben precise(eventualmente suscettibili di misurazioni) che lo caratterizzano indipenden-

1In altri termini, in fisica classica si considera il mondo esterno come esistente in se,indipendentemente da ogni attivita conoscitiva.

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2 Capitolo 1. MOTIVAZIONI DI INTERESSE FISICO

temente dal suo stato di moto (che non e invece una proprieta peculiare delsistema). Massa e carica elettrica sono due esempi tipici di tali proprieta.

La meccanica quantistica ha fornito un paradigma profondamente diversoda quello classico [1, 2]; non solo l’evoluzione temporale puo variare le pro-prieta cinematiche di un sistema fisico libero, ma puo cambiare anche quelleche classicamente sono considerate le proprieta caratteristiche del sistema.

La teoria che oggi descrive le particelle elementari, guidata da alcuniesperimenti cominciati a meta del secolo scorso, ha aperto una strada chealtera radicalmente la visione classica: un sistema fisico, anche isolato, puoapparentemente mutare nel tempo in un sistema fisico diverso; si dice intal caso che esiste un mixing tra i due sistemi fisici (tipicamente, particelleelementari).

Il fenomeno di mixing discende in maniera diretta dalla struttura ma-tematica della teoria. Come vedremo in dettaglio nel prossimo capitolo, lameccanica quantistica per descrivere i sistemi fisici utilizza gli spazi di Hilbertsul campo dei numeri complessi; gli stati di un sistema fisico sono rappresen-tabili (in alcuni casi) dai vettori di norma 1 dello spazio di Hilbert associato alsistema fisico, usualmente indicati con il simbolo |ϕ〉 nella cosiddetta notazio-ne di Dirac2. I possibili valori delle misure effettuate sul sistema, denominateosservabili, sono invece ottenibili da opportuni operatori lineari sullo spaziodi Hilbert. Dati due vettori |ϕ1〉 e |ϕ2〉, la meccanica quantistica interpretail modulo quadro del loro prodotto scalare, usualmente indicato con 〈ϕ2|ϕ1〉,la probabilita che preparando il sistema fisico nello stato |ϕ1〉 lo si osservinello stato |ϕ2〉.

In questo schema l’evoluzione temporale di un sistema fisico e descrivibilein termini dell’azione di operatori unitari sullo spazio di Hilbert; tale evolu-zione unitaria puo cambiare il vettore che rappresenta lo stato del sistemae, di conseguenza, puo far variare anche il valore delle osservabili ad essoassociate.

Se si indica con U(t) l’operatore unitario che rappresenta l’evoluzionetemporale del sistema per un tempo pari a t, le oscillazioni3 accennate all’i-nizio del capitolo si hanno quando la funzione che determina la probabilitadi transizione dall’osservazione dello stato rappresentato da |ϕ1〉 a quello

2Essa non e una notazione rigorosa ed e in alcuni casi anche fuorviante, come sottoli-neato da [3] e piu recentemente da [4]. In questo primo capitolo verra usata per renderepiu comodo il confronto con la letteratura esistente sull’argomento dell’oscillazione trastati quantistici; nel resto della tesi si usera invece la notazione dell’analisi funzionale.

3Benche il mescolamento di stati possa essere non di tipo oscillante anche in casi fisi-camente plausibili, come analizzato nel dettaglio nel terzo capitolo, e oramai tradizioneparlare di oscillazione intendendo in generale un cambiamento dello stato del sistemadurante l’evoluzione.

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1.2 ASPETTI MATEMATICI PRESENTI NELLA LETTERATURA 3

rappresentato da |ϕ2〉 data da

P1→2(t) ≡ |〈ϕ2|U(t)ϕ1〉|2

non e costante. Questa formula e del tutto generale ed e valida per tutta unaserie di problemi “oscillanti” non interessanti agli scopi di questa tesi, comei sistemi oscillanti di tipo massa-molla o di tipo pendolo. Le conseguenzefondamentali nello sviluppo delle argomentazioni che seguiranno nascono,come si vedra nel paragrafo 1.2, quando gli stati |ϕ1〉 e |ϕ2〉 rappresentanodue particelle considerate diverse: la formula di oscillazione descrive allora ilmixing a cui siamo interessati.

Si osservi che in tale descrizione si da per scontato che entrambe le par-ticelle siano descrivibili nell’ambito dello stesso spazio di Hilbert; questodelicato punto sara ripreso nel terzo capitolo.

In maniera un po’ semplificata ed impropria si dice dunque che quan-tisticamente due particelle possono oscillare l’una nell’altra. L’oscillazionetra stati che descrivono particelle diverse e una manifestazione macroscipicamolto affascinante delle proprieta quantistiche del mondo ed e stata utiliz-zata come modello per lo studio di problemi e sistemi interessanti. Questofenomeno coinvolge vari aspetti tipici della meccanica quantistica, come lacoerenza e la decoerenza, i pacchetti d’onde, la teoria delle misurazioni, lesimilitudini e le differenze tra stati puri e miscele statistiche, il collasso dellafunzione d’onda, i “paradossi” EPR. Inoltre, gli studi sulle simmetrie fonda-mentali e sulle proprieta delle interazioni fondamentali coinvolgono il mixingdi particelle e ne traggono sviluppi di primario interesse.

1.2 Aspetti matematici presenti nella lette-

ratura

Il mixing quantistico e stato proposto piu di cinquant’anni fa ed e oramaiun campo di studi teorici e sperimentali ben affermato, come dimostra lanotevole mole di articoli pubblicati in letteratura; malgrado cio non e statofacile individuare lavori matematicamente significativi.

Sono risultate interessanti un certo numero di opere di rassegna [5], oltrea quelle generali sugli aspetti sperimentali del mixing citati nel paragrafo 1.3,ma il tentativo di cogliere una base matematica solida per la descrizione dioscillazioni quantistiche tra stati a masse diverse si e concentrato su pochilavori relativamente recenti.

Come detto in precedenza, l’approccio seguito in questa tesi e semplifi-cato da varie assunzioni, prima di tutte l’uso di una fisica non relativistica.

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4 Capitolo 1. MOTIVAZIONI DI INTERESSE FISICO

Tale limitazione e ovviamente rilevante, sopratutto per discutere di mixing diparticelle elementari intrinsecamente relativistiche, quali ad esempio i neu-trini. Una trattazione rigorosa del problema avrebbe pero portato troppolontano, poiche sarebbe stato necessario ricorrere quantomeno alla mecca-nica quantistica relativistica o, piu propriamente, alle teorie quantistiche dicampo. L’argomentazione non relativisitica risulta piu semplice, ma altret-tanto interessante, almeno dal punto di vista matematico; inoltre, molti deilavori in letteratura hanno un approccio altrettanto naıf al problema.

Il ragionamento con cui piu comunemente viene affrontato il tema e ap-prossimativamente il seguente [5]: i sistemi fisici con massa fissata ammettonostati particolari che hanno una evoluzione del tipo

U(t)|ϕ1〉 = e−it f(m1)|ϕ1〉

dove f e una funzione solo della massam1 del sistema che dipende dal modellofisico scelto. Tali stati prendono impropriamente (piu avanti sara chiaro ilperche) il nome di stati di massa. Se dunque una particella e descritta da untale stato ad un certo istante iniziale in modo tale che

P1→1(0) = |〈ϕ1|ϕ1〉|2 = 1 ,

si vede facilmente che P1→1(t) = 1 per ogni valore della variabile tempora-le t; la probabilita di vedere la particella rimane 1 durante tutta l’evoluzionetemporale, ovvero non si ha oscillazione.

Si suppone allora che in realta le particelle siano descrivibili da stati chesono combinazioni lineari degli stati di massa ortogonali |ϕ1〉 e |ϕ2〉:

|ϕ1〉′ = α11|ϕ1〉+ α12|ϕ2〉|ϕ2〉′ = α21|ϕ1〉+ α22|ϕ2〉

con opportune condizioni sui coefficienti.Questi stati possono essere fisicamente giustificabili in vario modo; per

esempio nel caso dei neutrini essi sono gli stati di flavour 4 in cui vengonoprodotti.

Questa situazione puo essere descritta nei termini di un cambiamento dibase dello spazio generato da |ϕ1〉 e |ϕ2〉; perche anche |ϕ1〉′ e |ϕ2〉′ siano unabase di tale spazio formata da vettori di norma unitaria, la generica trasfor-mazione che lega le due basi dev’essere di tipo unitario, e questo implica che

4Il termine tecnico flavour, o sapore, deriva dalla teoria quantistica dei campi e dalmodello standard delle particelle elementari; si adottera la locuzione stato di flavour ognivolta che si tratteranno combinazioni lineari di stati di massa, anche quando non si parleradirettamente di neutrini.

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1.2 ASPETTI MATEMATICI PRESENTI NELLA LETTERATURA 5

la matrice A dei coefficienti

A =

(α11 α12

α21 α22

)sia unitaria. Quando quest’ultima matrice assume la forma

A =

(cos θ sin θ− sin θ cos θ

)il numero reale θ prende il nome di angolo di mixing. Si dice mixing massimoil caso θ = π/4. Dunque si ha

|ϕ1〉′ = cos θ |ϕ1〉+ sin θ |ϕ2〉

|ϕ2〉′ = − sin θ |ϕ1〉+ cos θ |ϕ2〉

Per la linearita di U(t) e del prodotto scalare e facile verificare che nel casosemplice di mixing massimo

P1→1(t) =1

2

(1 + cos

[(f(m2)− f(m1)

)t])

da cui si vede che dopo un tempo pari a T = π/(f(m2) − f(m1)

)la proba-

bilita P1→1(T ) e nulla (la particella rappresentata da |ϕ1〉′ e sparita). Si puodimostrare altresı che

P1→2(t) = 1− P1→1(t)

e dunque P1→2(T ) = 1 (e comparsa la particella rappresentata da |ϕ1〉′). Siha quindi l’oscillazione tra i due flavour.

Alcuni interessanti articoli [6] analizzano nel dettaglio l’impostazione delproblema fin qui delineata, mostrandone i limiti matematici e fisici. In parti-colare, viene criticato l’espediente usato in molti testi di convertire l’oscilla-zione temporale in una oscillazione spaziale moltiplicando il periodo T per lavelocita della luce c (nel caso di particelle relativistiche); la principale osser-vazione riguarda il fatto che gli stati del tipo |ϕ1〉 descritti precedentementenon rappresentano stati localizzati spazialmente e risulta quindi problematicointerpretarne l’oscillazione in termini spaziali.

Affinche lo stato fisico di partenza rappresenti un sistema fisico (particel-la) ben localizzato nello spazio, la trattazione del problema e tale che l’analisinaıf illustrata precedentemente non e piu applicabile [7]. Gran parte dellatesi si e occupata di formalizzare tale approccio.

Esiste infine un problema nel considerare il mixing di stati di massa diversiin meccanica quantistica non relativistica che e opportuno riportare in questa

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6 Capitolo 1. MOTIVAZIONI DI INTERESSE FISICO

breve introduzione. Come mostrato per la prima volta da Bargmann [8] ed inseguito ripreso in diversi lavori (si veda [9] per una discussione), se si richiedeche la teoria fisica in cui la massa compare come parametro sia invarianteper trasformazioni di Galilei (che sono essenzialmente traslazioni e rotazionidello spazio euclideo, traslazioni temporali e trasformazioni tra due sistemidi riferimento in moto relativo con velocita costante uno rispetto all’altro),allora il mixing di stati fisici a masse diverse e proibito, ovvero stati dellaforma vista sopra nel caso dei sistemi fisici oscillanti

α |ϕ1〉+ β |ϕ2〉

sono vietati.In precedenza si e detto che alcuni stati fisici di un sistema possono essere

rappresentati da elementi di uno spazio di Hilbert; il viceversa pero non evero, poiche gli esperimenti hanno mostrato che esistono elementi dello spa-zio di Hilbert ai quali non e associabile uno stato fisico: per esempio, non sisono mai osservati in natura stati che fossero rappresentabili da una sovrap-posizione di stati a carica elettrica diversa. Simili regole che selezionano soloalcuni sottospazi dello spazio di Hilbert per la descrizione di sistemi fisiciprendono il nome di regole di superselezione.

Tali regole hanno l’effetto di dividere lo spazio di Hilbert H di partenzain una somma diretta di sottospazi di Hilbert, detti sottospazi coerenti :

H = ⊕iHi

Gli stati fisici sono rappresentabili dagli elementi che appartengono ai sotto-spazi coerenti Hi.

Nel caso della massa, come detto sopra, la richiesta di invarianza dinamicadella teoria rispetto al gruppo di Galilei implica una regola di superselezione.

L’invarianza rispetto ad un gruppo di simmetria viene descritta tramiteuna rappresentazione unitaria del gruppo sullo spazio di Hilbert (ossia unarappresentazione in termini di operatori unitari). Il problema della simmetriasi riduce allora al problema matematico di trovare le condizioni affinche unatale rappresentazione unitaria del gruppo possa esistere; cio che si ottiene eche il gruppo di Galilei possiede una rappresentazione unitaria solo sui sot-tospazi coerenti, vale a dire su

⋃iHi: i sottospazi coerenti Hi rappresentano

in questo caso sistemi fisici a masse definite.Alcuni lavori recenti di Giulini [10] analizzano il problema della supersele-

zione sugli stati di massa da un punto di vista rigoroso e sottolineano in parti-colare che per poter formulare correttamente il problema bisogna introdurreun ingrediente fondamentale che manca completamente dalla trattazione tra-dizionale della meccanica quantistica: l’osservabile massa. Infatti, in mecca-nica quantistica la massa e usualmente un parametro della teoria. Una delle

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1.3 EVIDENZE SPERIMENTALI DELL’OSCILLAZIONE TRA STATI 7

idee fondamentali e quindi quella di descrivere la massa come qualsiasi altraosservabile della meccanica quantistica, ovvero tramite un’opportuno opera-tore lineare su uno spazio di Hilbert: in questo caso la teoria di Bargmannnon impone che l’invarianza della teoria per trasformazioni di Galilei implichila presenza di una regola di superselezione per la massa. Questo argomentosara ripreso nel terzo capitolo e condurra ad un’elegante rappresentazione delproblema dell’oscillazione ed ad una sua soluzione numerica.

1.3 Alcune evidenze sperimentali dell’oscilla-

zione tra stati

Le particelle elementari e le loro antiparticelle vengono distinte in due gruppiprincipali, i leptoni e i quark, a seconda che siano soggette (i quark) o no (ileptoni) all’interazione forte (sono tutte soggette all’interazione gravitazio-nale e a quella debole, mentre solo le particelle elettricamente cariche sonosoggette all’interazione elettromagnetica).

Nel gruppo dei leptoni ci sono 6 particelle (e le loro antiparicelle): glielettroni (e), i muoni (µ), i tauoni (τ), i neutrini elettonici (νe), i neutrinimuonici (νµ) e i neutrini tauonici (ντ ) (i tre tipi di neutrini sono chiamatiautostati di flavour). I neutrini hanno carica elettrica nulla e si propaganoad una velocita molto vicina a quella della luce.

Nel gruppo dei quark ci sono 6 particelle (e le loro antiparticelle); i quarksi combinano per formare centinaia di tipi di particelle elementari. Esse sidistinguono in barioni (hanno spin semintero e sono formate da tre quark) ein mesoni (hanno spin intero e sono formate da un quark e un antiquark). Nelseguito si parlera di alcune particelle che ricadono nella categoria dei mesoni:i mesoni K (o kaoni) neutri (K0) e le loro antiparicelle (K0), i mesoni Bneutri (B0) e le loro antiparicelle (B0), i mesoni D neutri (D0) e le loroantiparicelle (D0) e i pioni a carica elettrica positiva e negativa (π+ e π−).

Nel 1955 Gell-Mann e Pais [11] predissero l’esistenza di due kaoni neutriper poter dare una spiegazione al fatto che entrambe le particelle K0 e K0

decadono in una coppia π+ π−, avanzando l’idea che i due kaoni neutri sianoin realta una miscela di K0 e K0 (stati di massa):

|KS〉 =1

[2 (1 + |ε|2)]1/2[(1 + ε) |K0〉+ (1− ε) |K0〉

],

|KL〉 =1

[2 (1 + |ε|2)]1/2[(1 + ε) |K0〉 − (1− ε) |K0〉

],

dove ε e un piccolo parametro complesso misurato successivamente, respon-

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8 Capitolo 1. MOTIVAZIONI DI INTERESSE FISICO

sabile della rottura della simmetria particella-antiparticella [12]. Questa fula prima volta che in meccanica quantistica si considero un’interferenza trastati con masse leggermente differenti.

Il sistema K0 − K0 non e l’unico in cui si puo rivelare il mixing quanto-meccanico di masse. E attendibile che si possa osservare lo stesso fenomenoin altri sistemi di mesoni neutri, ad esempio nei sistemi D0 − D0 e B0 − B0.In effetti, gia a partire dalla seconda meta degli anni ’80 e stata osservatasperimentalmente l’oscillazione del mesone B [13].

Generalmente, le oscillazioni tra stati di flavour delle particelle possonopresentarsi quando gli stati prodotti e rivelati in un dato esperimento sonola sovrapposizione di due o piu stati con masse differenti.

Ispirato dal lavoro di Gell-Mann e Pais, nel 1957 Bruno Pontecorvo provoa considerare la possibilita di mixing quantomeccanico tra un’altra particellaneutra, il neutrino, e la sua antiparticella [14]; l’oscillazione tra differenti tipidi neutrini fu proposta da Maki, Nakagawa and Sakata nel 1962 [15] e in unsecondo tempo da molti altri ricercatori [16].

L’argomento delle oscillazioni del neutrino e speciale per vari motivi. In-nanzitutto, la massa del neutrino non e mai stata misurata direttamente, ede stata considerata nulla fino a tempi molto recenti, sebbene non ci sia alcunamotivazione teorica che supporti tale ipotesi.

Nel 1968 si comincio a parlare del mistero dei neutrini solari, quando unesperimento compiuto all’interno della miniera d’oro Homesake a Lead, nelSud Dakota [17] rivelo meno neutrini di tipo elettronico di quelli previsti daun modello dettagliato della radiazione solare, il cosiddetto Standard SolarModel, SSM [18]. Per questo risultato furono proposte due spiegazioni: oil modello del Sole era sbagliato, oppure ai neutrini accadeva, durante illoro viaggio verso la Terra, qualcosa che non era ancora stato tenuto inconsiderazione. Se la massa dei neutrini fosse non nulla si potrebbe spiegarecome mai il Sole sembra produrre meno neutrini elettronici di quelli previstidai modelli teorici, poiche sarebbe possibile la loro oscillazione in altri flavourdel neutrino.

Gli esperimenti condotti utilizzando il rivelatore nippo-americano Super-Kamiokande situato nel sottosuolo di Kamioka, nel nord del Giappone, for-nirono nel 1998 [19] la prima evidenza delle oscillazioni del neutrino attra-verso lo studio dei neutrini prodotti dall’interazione dei raggi cosmici conl’atmosfera terrestre.

Una successiva conferma all’oscillazione dei neutrini e stata ottenuta at-traverso l’esperimento SNO (Sudbury Neutrino Observatory) [20], che impie-ga un rivelatore sensibile solo ai neutrini elettronici localizzato a 2 chilomertidi profondita un una ex-miniera vicino a Sudbury nell’Ontario, in Canada.SNO e Super-Kamiokande sono sensibili ai neutrini emessi dal Sole nello stes-

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1.3 EVIDENZE SPERIMENTALI DELL’OSCILLAZIONE TRA STATI 9

Figura 1.1: Illustrazione dell’esperimento K2K.

so intervallo di energie; Super-Kamiokande e pero in grado di rivelare tutti etre i tipi di neutrino: esso e maggiormente sensibile ai neutrini elettronici, manon li distingue dagli altri flavour. Se tra il Sole e la Terra viaggiassero soloneutrini elettronici, allora SNO e Super-Kamiokande dovrebbero misurare lostesso numero di neutrini, mentre se alcuni neutrini solari fossero muonicio tauonici, allora Super-Kamiokande dovrebbe rivelare un numero maggio-re di neutrini rispetto a SNO. In effetti, il numero di neutrini rilevato daSuper-Kamiokande supera quello rilevato da SNO con un livello di confiden-za corrispondente a 3.3 deviazioni standard5. Per avvalorare la previsionedel modello SSM, gli scienziati della collaborazione SNO hanno calcolato ilnumero totale di neutrini solari che raggiungono la Terra, utilizzando anche idati ottenuti dai colleghi di Super-Kamiokande: il loro risultato [20] e in ec-cellente accordo con le stime del modello SSM. Questo esito conferma che larisposta al mistero dei neutrini solari non si trova in un errato modello delleemissioni del Sole, ma nel fatto che i neutrini sono soggetti ad oscillazioni.

Negli ultimi anni anche l’esperimento K2K [21] ha portato risultati ri-levanti sull’oscillazione dei neutrini tra i diversi flavour. Esso utilizza l’ac-celeratore di protoni situato all’High Energy Accelerator Research Organi-zation (KEK) a Tsukuba, in Giappone, e il rivelatore Super-Kamiokandesituato a 250 chilomerti di distanza dal KEK, a Kamioka (Figura 1.1): al

5In fisica e uso comune esprimere il grado di precisione delle affermazioni in terminidi deviazioni standard : quando si enuncia un risultato a un certo numero di deviazionistandard, si intende dire che la misura con cui si confida in quell’affermazione e di unapercentuale pari all’integrale di una gaussiana monodimensionale normalizzata calcolatosu un intorno circolare del valor medio di raggio pari al numero di deviazioni standardspecificato. Per esempio, 3.3 deviazioni standard corrispondono a una percentuale del99.96%.

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10 Capitolo 1. MOTIVAZIONI DI INTERESSE FISICO

KEK viene prodotto un fascio di neutrini, misurandone con grande precisioneil flusso e la contaminazione con neutrini di altre origini tramite una matri-ce di rivelatori; confrontando la misurazione ottenuta da Super-Kamiokandecon quella di KEK, si possono valutare gli effetti delle oscillazioni dei neu-trini. L’oscillazione dei neutrini e convalidata dall’esperimento K2K con unlivello di confidenza pari a 3 deviazioni standard.

Un altro risultato importante e stato raggiunto molto recentemente dal-l’esperimento KamLAND [22]. KamLAND ha rivelato un deficit dei neutriniattesi da reattori nucleari giapponesi ad una distanza di qualche centinaiodi chilometri. Le misurazioni effettuate a KamLAND, in combinazione con idati ricavati dai precedenti esperimenti sui neutrini solari, suffragano l’ipotesidelle oscillazioni di neutrini a piu di 5 deviazioni standard.

Il mixing di neutrini e dunque una realta sperimentale che confermal’ipotesi di neutrini massivi.

Le implicazioni cosmologiche di questa evidenza sono importanti, poicheil fatto che i neutrini siano massivi (come e richiesto dal mixing) fa sı che essicontribuiscano alla densita di massa dell’universo. Dalla combinazione deirisultati sulla massa dei neutrini ottenuti dagli esperimenti di fisica nucleare,si conclude che i neutrini (elettronici, muonici e tauonici) contribuiscono peruna percentuale compresa tra lo 0.1% e il 18% alla densita di massa criticadell’universo (che e il valore della densita di massa al di sopra della qualel’espansione dell’universo ad un certo momento avrebbe termine, iniziandopoi una fase di contrazione fino al collasso; se la densita di massa dell’uni-verso fosse invece inferiore a tale valore critico, l’espansione non avrebbe maifine). Il tasso piu plausibile e lo 0.1%, e nonostante equivalga ad un quar-to della densita di massa di tutte le stelle osservate, risulta probabilmentetroppo piccolo per avere effetti significativi sull’evoluzione della geometriadell’universo. Anche se nell’universo il numero di neutrini e enorme, il lorocontributo relativamente piccolo alla massa dell’universo non consente tutta-via di risolvere completamente il problema della materia oscura (materia lacui esistenza e stata inferita a causa dei suoi effetti dinamici sul moto dellegalassie, ma che non e stata osservata direttamente).

Nel prossimo capitolo si introdurra in maniera formale l’ambiente mate-matico adatto a descrivere la meccanica quantistica non relativistica; que-sto consentira di modellizzare, nel terzo capitolo, l’oscillazione tra stati diflavour.

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Capitolo 2

Brevi richiami sulla strutturamatematica della meccanicaquantistica

Lo scopo di questo capitolo e quello di introdurre il formalismo matematicoconvenzionale della meccanica quantistica non relativistica e la sua interpre-tazione fisica con un’impostazione adatta allo sviluppo della modellizzazionedell’oscillazione tra stati discussa nel Capitolo 3. Sebbene i risultati quiesposti siano noti in letteratura, il basso livello del rigore matematico spessoincontrato nei testi di meccanica quantistica e le grandi differenze tra l’im-postazione dei testi di analisi funzionale e di teoria della probabilita e quellanecessaria per le argomentazioni del terzo capitolo giustificano la trattazione,per certi aspetti originale, contenuta in questo capitolo.

2.1 Gli spazi di Hilbert

Gli spazi di Hilbert separabili ricoprono un ruolo fondamentale nella forma-lizzazione matematica della meccanica quantistica [1, 2, 23, 24, 25]. Infatti,i sistemi fisici vengono descritti attraverso opportuni spazi di Hilbert sepa-rabili, mentre le operazioni di misura effettuate su un sistema fisico e la suaevoluzione sono rappresentate da operatori che agiscono su tali spazi.

2.1.1 Definizioni e proprieta fondamentali

Sia H un insieme. Una funzione da H × H a R e detta metrica o distanzasull’insieme H se ad ogni coppia di elementi ϕ, ψ ∈ H associa un numerod(ϕ, ψ) ∈ R tale che valgano le seguenti proprieta:

11

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12 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

M1. d(ϕ, ψ) 6 d(ϕ, ξ) + d(ξ, ψ) ∀ϕ, ψ, ξ ∈ H (disuguaglianza triangolare)

M2. d(ϕ, ψ) = d(ψ, ϕ) ∀ϕ, ψ ∈ H

M3. d(ϕ, ψ) ≥ 0 ∀ϕ, ψ ∈ H

M4. d(ϕ, ψ) = 0 ⇔ ϕ = ψ .

Un insieme su cui e definita una metrica e detto spazio metrico; se essopossiede anche una struttura di spazio vettoriale, nel seguito sara indicatocon la locuzione spazio vettoriale metrico.

Sia H uno spazio vettoriale sul campo dei numeri complessi C. Nel se-guito, l’operazione tra due elementi di H e indicata con il simbolo +, mentrequella tra un elemento di C e un elemento di H e espressa dalla guistap-posizione dei due elementi; inoltre, la coniugazione in C e denotata da unasterisco ∗, |z| designa il modulo di z ∈ C, e 0 rappresenta sia il numerocomplesso zero che il vettore nullo 0 ∈ H.

Una funzione da H a R e detta norma sullo spazio H se ad ogni elementoϕ ∈ H associa un numero ‖ϕ‖ ∈ R tale che valgano le seguenti proprieta:

N1. ‖ϕ+ ψ‖ 6 ‖ϕ‖+ ‖ψ‖ ∀ϕ, ψ ∈ H (disuguaglianza triangolare)

N2. ‖αϕ‖ = |α| ‖ϕ‖ ∀ϕ ∈ H, α ∈ C

N3. ‖ϕ‖ ≥ 0 ∀ϕ ∈ H

N4. ‖ϕ‖ = 0 ⇔ ϕ = 0 .

Uno spazio vettoriale su cui e definita una norma e detto normato.Un elemento normale di uno spazio normato e un elemento la cui norma

vale 1.Se H e uno spazio normato, la funzione reale d(ϕ, ψ) = ‖ϕ− ψ‖ definita

su H × H risulta essere una metrica su H (si veda la Proposizione A.1 inAppendice, a pagina 121) e prende il nome di metrica (o distanza) associataalla norma.

Una funzione da H ×H a C e detta prodotto scalare o prodotto internosullo spazio H se ad ogni coppia di elementi ϕ, ψ ∈ H associa un numero(ϕ, ψ) ∈ C tale che valgano le seguenti proprieta:

PS1. (ϕ, ψ + ξ) = (ϕ, ψ) + (ϕ, ξ) ∀ϕ, ψ, ξ ∈ H

PS2. (ϕ, αψ) = α (ϕ, ψ) ∀ϕ, ψ ∈ H, α ∈ C

PS3. (ϕ, ψ) = (ψ, ϕ)∗ ∀ϕ, ψ ∈ H

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 13

PS4. (ϕ, ϕ) ≥ 0 ∀ϕ ∈ H

PS5. (ϕ, ϕ) = 0 ⇔ ϕ = 0 .

Uno spazio vettoriale su cui e definito un prodotto scalare e detto prehil-bertiano o euclideo o unitario.

Due elementi di uno spazio prehilbertiano si dicono ortogonali se il loroprodotto scalare e nullo; se sono anche normali sono detti ortonormali.

La restrizione di un prodotto scalare a un sottospazio vettoriale di unospazio prehilbertiano soddisfa banalmente le proprieta di prodotto scalaresul sottospazio, e quindi vale la seguente

Proposizione 2.1. Un sottospazio vettoriale di uno spazio prehilbertiano euno spazio prehilbertiano.

Negli spazi prehilbertiani vale la disuguaglianza di Schwarz

|(ϕ, ψ)| 6√

(ϕ, ϕ)√

(ψ, ψ) ,

come dimostrato in Appendice, a pagina 122.SeH e uno spazio prehilbertiano, la funzione reale ‖ϕ‖ =

√(ϕ, ϕ), ϕ ∈ H,

e una norma su H (Proposizione A.3 in Appendice, a pagina 122), chiamatanorma associata al prodotto scalare, e la metrica ad essa associata e dettametrica associata al prodotto scalare.

Negli spazi prehilbertiani, la disuguaglianza di Schwarz puo essere scrittanella forma usuale:

|(ϕ, ψ)| 6 ‖ϕ‖ ‖ψ‖ ,

dove si sottintende che la norma sia quella associata al prodotto scalare.Una successione (ϕ1, ϕ2, . . . ) in uno spazio metrico con la distanza d

prende il nome di successione di Cauchy se

∀ ε > 0 ∃nε ∈ N : ∀n,m > nε d (ϕn, ϕm) < ε ;

usando la disuguaglianza triangolare delle metriche, si dimostra facilmenteche in uno spazio metrico le successioni convergenti sono tutte di Cauchy.

Uno spazio metrico H e detto completo se ogni successione di Cauchyin H converge ad un elemento di H.

Uno spazio di Hilbert e uno spazio prehilbertiano completo nella metricaassociata al prodotto scalare.

Dato un insieme X, una topologia su di esso e un sottoinsieme del suoinsieme delle parti P(X) che contiene l’insieme vuoto e l’insieme X, e che echiuso per intersezioni finite e per unioni (qualsiasi). Uno spazio topologico ela coppia formata da un insieme e da una topologia su di esso; quando non

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14 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

ci sono ambiguita, uno spazio topologico viene spesso identificato con il soloinsieme.

Gli elementi della topologia sono detti aperti e i loro complementari in Xsono detti chiusi. Un intorno di un elemento di uno spazio topologico e uninsieme che contiene un aperto che a sua volta contiene l’elemento.

Un elemento di uno spazio topologico X e detto di accumulazione per unsuo sottoinsieme se ogni intorno dell’elemento contiene elementi del sottoin-sieme.

La nozione di elemento di accumulazione permette di caratterizzare isottoinsiemi chiusi di uno spazio topologico attraverso la seguente

Proposizione 2.2. I sottoinsiemi chiusi di uno spazio topologico sono tutti esoli i suoi sottoinsiemi che contengono tutti i loro elementi di accumulazione.

La dimostrazione e data in Appendice, a pagina 124.

Grazie all’identificazione espressa dalla Proposizione 2.2, la chiusura diun sottoinsieme di uno spazio topologico puo essere definita equivalentemen-te come il piu piccolo chiuso che contiene il sottoinsieme (ove l’aggettivo“piccolo” e inteso nel senso dell’ordinamento parziale dell’inclusione insiemi-stica), il quale coincide con l’intersezione di tutti i chiusi che contengono ilsottoinsieme, oppure come l’unione tra il sottoinsieme e l’insieme dei suoipunti di accumulazione. Di solito, la chiusura dell’insieme X viene indicatacon la notazione X.

Siano H uno spazio metrico con la distanza d e ϕ ∈ H. Gli insiemi

Bd(ϕ, r[ = ψ ∈ H : d(ϕ, ψ) < rBd(ϕ, r] = ψ ∈ H : d(ϕ, ψ) 6 r

sono chiamati rispettivamente palla aperta e palla chiusa di centro ϕ e rag-gio r.

Dal momento che l’intersezione di due palle aperte con lo stesso centro euna palla aperta centrata nello stesso elemento e di raggio il minore dei dueraggi, i sottoinsiemi diH tali che per ogni loro elemento contengono una pallaaperta contenente l’elemento, assieme all’insieme vuoto e ad H, soddisfanola definizione di topologia: tale topologia prende il nome di topologia dellametrica d.

Per i sottospazi di uno spazio di Hilbert vale la seguente

Proposizione 2.3. Un sottospazio vettoriale di uno spazio di Hilbert che siachiuso nella topologia della metrica associata al prodotto scalare e uno spaziodi Hilbert.

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 15

Dimostrazione. Siano H uno spazio di Hilbert con il prodotto scalare ( , ) eK 6 H un suo sottospazio chiuso.

Per la Proposizione 2.1 a pagina 13, K e prehilbertiano con il prodottoscalare dato dalla restrizione di ( , ) a K ×K.

Sia (ϕ1, ϕ2, . . . ) una successione di Cauchy in K. Essa lo e allora anchein H, e siccome H e uno spazio di Hilbert e dunque completo, (ϕ1, ϕ2, . . . )converge a un elemento ϕ ∈ H. ϕ e allora un punto di accumulazione per K,poiche c’e una successione di elementi di K che vi converge (la dimostrazionee data dalla Proposizione A.6 a pagina 124), e quindi ϕ ∈ K perche K echiuso per ipotesi.

In sintesi, ogni successione di Cauchy in K converge ad un elemento diK, ossia K e completo; essendo anche prehilbertiano, K e di Hilbert.

Due spazi di Hilbert H1 e H2 si dicono isomorfi, e si scrive H1 ≈ H2,quando esiste un’applicazione lineare biiettiva f : H1 → H2 che non cambiail prodotto scalare, ossia, se ( , )1 indica il prodotto scalare di H1 e ( , )2

quello di H2, allora per ogni ϕ, ψ ∈ H1

(f(ϕ), f(ψ))2 = (ϕ, ψ)1 .

Un sottoinsieme di uno spazio toplogico X si dice denso in X quando ogniintorno di ogni elemento di X interseca il sottoinsieme, ossia quando la suachiusura coincide con X.

Uno spazio metrico H1 e detto densamente immerso nello spazio metri-co H2 se esiste un’applicazione f : H1 → H2 che conserva le distanze tale chef(H1) e denso in H2; se H2 e completo, H2 e detto completamento di H1.

Gli spazi metrici non completi ammettono tutti un completamento, edesso e unico a meno di isomorfismi.

Teorema 2.4.

H1 spazio metrico =⇒

∃H2 spazio metrico completo :

: H2 e completamento di H1

H2,H3 completamenti di H1 =⇒ H2 ≈ H3

Dimostrazione. [1, 23] Siano d1 la metrica di H1 e C1 l’insieme di tutte lesuccessioni di Cauchy di H1.

In C1 si consideri la relazione di equivalenza ≈ tale che (ϕ1, ϕ2, . . . ) ≈(ψ1, ψ2, . . . ) quando lim

n→+∞d1(ϕn, ψn) = 0 (la proprieta riflessiva discende dal-

la proprieta M4. a pagina 11, quella simmetrica dalla proprieta M2. e quellatransitiva dalla M1.); l’insieme delle classi di equivalenza degli elementi di

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16 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

H1 per la relazione ≈ sia indicato con C≈, e ogni classe sia rappresentata conil simbolo [ϕ]≈, dove ϕ = (ϕ1, ϕ2, . . . ) ∈ C1.

La funzione

d≈ : C≈ × C≈ −→ R([ϕ]≈, [ψ]≈) 7−→ d≈([ϕ]≈, [ψ]≈) = lim

n→+∞d1(ϕn, ψn) con (ϕ1, ϕ2, . . . ) ∈ [ϕ]≈

e (ψ1, ψ2, . . . ) ∈ [ψ]≈

risulta essere una metrica su C≈.Essa e innanzitutto ben definita:

d1(ϕn, ψn)

proprieta M1. a pagina 11⇓6 d1(ϕn, ϕm) + d1(ϕm, ψm) + d1(ψm, ψn) =⇒

=⇒ |d1(ϕn, ψn)− d1(φm, ψm)| 6 d1(ϕn, ϕm) + d1(ψm, ψn)

ϕ = (ϕ1, ϕ2, . . . ), ψ = (ψ1, ψ2, . . . ) ∈ C1 =⇒=⇒ ϕ = (ϕ1, ϕ2, . . . ) e ψ = (ψ1, ψ2, . . . ) di Cauchy

=⇒

=⇒(d1(ϕ1, ψ1), d1(ϕ2, ψ2), . . .

)e di Cauchy in R

R e completo

=⇒ ∃ lim

n→+∞d1(ϕn, ψn) ;

per la subadditivita delle metriche, la linearita del limite in R e la definizionedella relazione di equivalenza ≈, il valore di tale limite non dipende dairappresentanti delle classi di equivalenza scelti per la sua valutazione.

Le proprieta delle metriche di pagina 11 per d≈ in C≈ discendono banal-mente dalle stesse proprieta per d1 in H1, dalla linearita del limite in R edalla definizione della relazione di equivalenza ≈.

Per mostrare la completezza di (C≈, d≈), si consideri una successione([ϕ(1)]≈, [ϕ

(2)]≈, . . .)

di Cauchy in C≈ per d≈, e sia(ϕ

(n)1 , ϕ

(n)2 , . . .

)∈ C1

un rappresentante di [ϕ(n)]≈, per ogni n ∈ N. Siccome C1 e formato dallesuccessioni di Cauchy di H1,

∀n ∈ N ∃ rn ∈ N : ∀ s > rn d1

(ϕ(n)s , ϕ(n)

rn

)<

1

n;

allora, dato che valgono

d1

(ϕ(m)rm , ϕ(n)

rn

)d1 metrica⇓6 d1

(ϕ(m)rm , ϕ(m)

s

)+ d1

(ϕ(m)s , ϕ(n)

s

)+ d1

(ϕ(n)s , ϕ(n)

rn

)lim

n→+∞d1

(ϕ(m)s , ϕ(n)

s

)definizione di d≈⇓= d≈

([ϕ(m)]≈, [ϕ

(n)]≈),

il numero d1

(m)rm , ϕ

(n)rn

)puo essere reso piccolo a piacere scegliendo m, n e

s abbastanza grandi e comunque s > maxrm, rn, grazie a come rm e rn

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 17

sono stati definiti e al fatto che([ϕ(1)]≈, [ϕ

(2)]≈), . . .)

e di Cauchy per d≈.

Dunque, poiche limm,n→+∞

d1(ϕ(m)rm , ϕ

(n)rn ) = 0, la successione (ϕ

(1)r1 , ϕ

(2)r2 , . . . ) e di

Cauchy per d1 in H1, e quindi appartiene a C1 e[(ϕ

(1)r1 , ϕ

(2)r2 , . . . )

]≈ ∈ H≈, e

quest’ultima e il limite della successione([ϕ(1)]≈, [ϕ

(2)]≈, . . .)

in quanto

limn→+∞

d≈([ϕ(n)

]≈,[(ϕ(1)

r1, ϕ(2)

r2, . . . )

]≈

)= lim

n→+∞lim

m→+∞d1

(ϕ(n)m , ϕ(m)

rm

)6

6 limn→+∞

limm→+∞

(d1

(ϕ(n)m , ϕ(n)

rn

)+ d1

(ϕ(n)rn , ϕ

(m)rm

))=⇑

scelta di rn

= limn→+∞

1

n+ lim

m,n→+∞d1

(ϕ(n)rn , ϕ

(m)rm

)= 0 .

Allora, ogni successione di Cauchy di C≈ ammette limite in C≈ e C≈ e com-pleto.

Si tratta ora di dimostrare che C≈ e completamento di H1, ossia che esistef : H1 → C≈ che conserva le distanze tale che f(H1) sia denso in C≈.

Siaf : H1 −→ C≈

ϕ 7−→[(ϕ, ϕ, . . . )]≈

;

essa conserva banalmente le metriche: ∀ϕ, ψ ∈ H1

d≈(f(ϕ), f(ψ)

)= d

([(ϕ, ϕ, . . .)]≈, [(ψ, ψ, . . . )]≈) =

= limn→+∞

d1(ϕ, ψ) = d1(ϕ, ψ) .

Per provare che f(H1) e denso in C≈, si osservi che ogni rappresentante(ϕ1, ϕ2, . . . ) di ogni generica classe [(ϕ1, ϕ2, . . . )]≈ ∈ C≈ appartiene a C1 equindi e di Cauchy:

∀n ∈ N ∃ r ∈ N : ∀ s > r d1(ϕs, ϕr) <1

n.

Allora [(ϕr, ϕr, . . . )]≈ ∈ f(H1) e tale che

d≈([(ϕ1, ϕ2, . . . )]≈, [(ϕr, ϕr, . . . )]≈

)= lim

s→+∞d1(ϕs, ϕr) 6

1

n

Manca ancora da dimostrare l’unicita a meno di isomorfismi del comple-tamento.Gli isomorfismi di spazi metrici sono le isometrie biettive. Sia (H2, d2) unaltro completamento di (H1, d1), determinato dall’applicazione f2. Siccome

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18 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

f2(H1) e denso in H2, per ogni ψ ∈ H2 esiste (ϕ1, ϕ2, . . . ) ∈ C1 tale chelim

n→+∞f2(ϕn) = ψ; sia allora

g : H2 −→ C≈ψ 7−→

[(ϕ1, ϕ2, . . . )

]≈ tale che lim

n→+∞f2(ϕn) = ψ .

Se ψ = limn→+∞

f2(ϕn) e ξ = limm→+∞

f2(ζm) sono due elementi di H2, allora

d2(ψ, ξ) = d2

(lim

n→+∞f2(ϕn), lim

m→+∞f2(ζm)

)= lim

m,n→+∞d2(f2(ϕn), f2(ζm)) =

H2 completamento di H1⇓

f2 e isometrica⇓= lim

m,n→+∞d1(ϕn, ζm) = d≈

([(ϕ1, ϕ2, . . . )]≈, [(ζ1, ζ2, . . . )]≈

)=

= d≈(g(ψ), g(ξ)

)e g e un’isometria tra H2 e C≈.Essa poi e iniettiva dal momento che

g(ψ) = g(ξ) =⇒ [(ϕ1, ϕ2, . . . )]≈ = [(ζ1, ζ2, . . . )]≈

definizione di ≈⇓

=⇒

=⇒ limn→+∞

d1(ϕn, ζn) = 0

definizione di d≈⇓

=⇒

=⇒ d≈([(ϕ1, ϕ2, . . . )]≈, [(ζ1, ζ2, . . . )]≈

)= 0

definizione di g⇓

=⇒

=⇒ d≈(g(ψ), g(ξ)

)= 0

d2 metrica⇓

=⇒ ψ = ξ

Per avere la suriettivita, basta osservare che per ogni [(ϕ1, ϕ2, . . . )]≈ ∈ C≈, lasuccessione (ϕ1, ϕ2, . . . ) in H1 e di Cauchy, ed essendo f2 un’isometria, lo eanche (f2(ϕ1), f2(ϕ2), . . . ) in H2; dal fatto che H2 e completo discende alloral’esistenza di un elemento ψ = lim

n→+∞f2(ϕn) ∈ H2, che per definizione di g

e tale che g(ψ) = [(ϕ1, ϕ2, . . . )]≈.

Uno spazio prehilbertiano H1 e detto densamente immerso in un altrospazio prehilbertiano H2 se esiste un’applicazione f : H1 → H2 che conservail prodotto scalare e tale che l’immagine f(H1) del primo spazio attraversotale applicazione sia densa nel secondo spazio H2; se H2 e completo, ossia see uno spazio di Hilbert, H2 e detto completamento di H1.

Anche gli spazi prehilbertiani ammettono tutti un completamento, unicoa meno di isomorfismi.

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 19

Teorema 2.5.

H1 spazio prehilbertiano =⇒

∃H2 spazio di Hilbert :

: H2 e completamento di H1

H2,H3 completamenti di H1 =⇒ H2 ≈ H3

Dimostrazione. [1, 23] Si indichi con (ϕ1, ψ1)1, ϕ1, ψ1 ∈ H1, il prodotto scala-re di H1. Sia H≈ il completamento dello spazio metrico H1 con la metrica d1

associata al prodotto scalare di H1, costruito secondo la dimostrazione delteorema 2.4 a pagina 15.

Bisogna ora dotareH≈ di una struttura di spazio vettoriale sul campo C edi un prodotto scalare tale che la metrica ad esso associata sia proprio quellausata nella dimostrazione citata sopra.

Siano [ϕ]≈, [ψ]≈ ∈ H≈ e α ∈ C; con ϕ = (ϕ1, ϕ2, . . . ) e ψ = (ψ1, ψ2, . . . )successioni di Cauchy in H1, e si definiscano le operazioni:

[ϕ]≈ + [ψ]≈ = [ϕ+ ψ]≈ = [(ϕ1 + ψ1, ϕ2 + ψ2, . . . )]≈

α[ϕ]≈ = [αϕ]≈ = [(αϕ1, αϕ2, . . .)]≈

Le proprieta di queste operazioni necessarie a definire una struttura di spa-zio vettoriale su H≈ discendono direttamente dalle relative proprieta delleoperazioni di H1.

L’applicazione

( , ) : H≈ ×H≈ −→ C([ϕ]≈, [ψ]≈

)7−→

([ϕ]≈, [ψ]≈

)≈ = lim

n→+∞(ϕn, ψn)1

e ben definita, poiche per ogni m,n ∈ N

|(ϕm, ψm)1 − (ϕn, ψn)1| =

= |(ϕm, ψm)1 − (ϕn, ψm)1 + (ϕn, ψm)1 − (ϕn, ψn)1|

propr. PS1.a pag. 12

⇓=

= |(ϕm − ϕn, ψm)1 + (ϕn, ψm − ψn)1| 6

6 |(ϕm − ϕn, ψm)1|+ |(ϕn, ψm − ψn)1|disug. di Schwarz a pag. 13

⇓6

6 ‖ϕm − ϕn‖ ‖ψm‖+ ‖ϕn‖ ‖ψm − ψn‖ =

= ‖ϕm − ϕn‖ ‖ψm − 0‖+ ‖ϕn − 0‖ ‖ψm − ψn‖ =

= d1(ϕm, ϕn) d1(ψm, 0) + d1(ϕn, 0) d1(ψm, ψn)

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20 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

e, siccome i limiti limm→+∞

d1(ψm, 0) = d≈([ψ]≈, [(0, 0, . . . )]≈) e limn→+∞

d1(ϕn, 0) =

d≈([ϕ]≈, [(0, 0, . . . )]≈) sono quantita finite (d≈ e ben definita) e le due distanzed1(ϕm, ϕn) e d1(ψm, ψn) possono essere rese piccole a piacere (le successio-ni ϕ = (ϕ1, ϕ2, . . . ) e ψ = (ψ1, ψ2, . . . ) sono di Cauchy), anche il modulo|(ϕm, ψm)1− (ϕn, ψn)1| puo essere reso arbitrariamente piccolo; allora la suc-cessione ((ϕ1, ψ1)1, (ϕ2, ψ2)2, . . . ) e di Cauchy in C e, per la completezza diC, ammette limite.

Essa verifica la definizione di prodotto scalare su H≈: le proprieta PS1.,PS2., PS3. e PS4. di pagina 12 discendono dalle stesse proprieta riferite a( , )1, e per PS5. si ha:

([ϕ]≈, [ϕ]≈) = 0

difinizione di ( , )≈⇓⇐⇒ lim

n→+∞(ϕn, ϕn)1 = 0 ⇐⇒

⇐⇒ limn→+∞

(ϕn − 0, ϕn − 0)1 = 0 ⇐⇒ limn→+∞

d1(ϕn, 0)1 = 0definizione di ≈

⇓⇐⇒

⇐⇒ ϕ ≈ (0, 0, . . . ) ⇐⇒ [ϕ]≈ = [(0, 0, . . . )]≈

Allora H≈ e una spazio prehilbertiano con il prodotto scalare ( , )≈.Per dimostrare che H≈ e di Hilbert, siccome H≈ e completo nella metrica

d≈, basta verificare che d≈ e la distanza associata al prodotto scalare ( , )≈.Per ogni [ϕ]≈ e [ψ]≈ di H≈ vale:

([ϕ]≈ − [ψ]≈, [ϕ]≈ − [ψ]≈)≈

H≈ spazio vettoriale⇓= ([ϕ− ψ]≈, [ϕ− ψ]≈)≈

definizione di ( , )≈⇓=

= limn→+∞

(ϕn − ψn, ϕn − ψn)1 = limn→+∞

(d1(ϕn, ψn)1

)2=⇑

il limite e lineare⇑

d1 associataa un prodotto scalare

=(

limn→+∞

d1(ϕn, ψn)1

)2definizione di d≈⇓=

(d≈([ϕ]≈, [ψ]≈)

)2Gli isomorfismi di spazi di Hilbert sono le biezioni che conservano il pro-

dotto scalare. Come nella dimostrazione dell’unicita a meno di isomorfismidel Teorema 2.4 a pagina 15, sia H2 un altro completamento di H1 deter-minato dall’applicazione f2 : H1 −→ H2, sia ( , )2 il suo prodotto scalareassociato alla metrica d2, e si consideri l’applicazione

g : H2 −→ H≈ψ 7−→ [(ϕ1, ϕ2, . . . )]≈ tale che lim

n→+∞f2(ϕn) = ψ

grazie alla densita di f2(H1) in H2.La biettivita di g si dimostra esattamente come nella dimostrazione del

Teorema 2.4.

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 21

Per la conservazione del prodotto scalare, infine, se ψ = limn→+∞

f2(ϕn) e

ξ = limm→+∞

f2(ζm) sono due elementi di H2, si osservi che allora

(ψ, ξ)2 = ( limn→+∞

f2(ϕn), limm→+∞

f2(ζm))2 =

= limm,n→+∞

(f2(ϕn), f2(ζm))2 =⇑

f2 conserva il prodotto scalare⇑

H2 completamento di H1

limm,n→+∞

(ϕn, ζm)1

definizione di ( , )≈⇓=

= ([(ϕ1, ϕ2, . . . )]≈, [(ζ1, ζ2, . . . )]≈)≈ = (g(ψ), g(ξ))≈

Dunque, il completamento di uno spazio prehilbertiano e unico a meno diisomorfismi.

Alcuni spazi di Hilbert sono di uso molto comune in meccanica quanti-stica.

Per esempio, (Cn,+, ·), in cui + e · sono la somma componente per com-ponente e il prodotto per scalare (complesso) abituali, con il prodotto scalaredato da

(x, y) =n∑i=0

x∗i yi

per ogni x, y ∈ Cn di componenti x = (x1, . . . , xn) e y = (y1, . . . , yn), euno spazio di Hilbert, indicato con `2(n): la verifica delle condizioni delledefinizioni di spazio vettoriale e di prodotto scalare e banale, e la completezzadiscende da quella di C e dalla finitezza di n.

Un altro esempio, molto importante, di spazio di Hilbert e dato dal-l’insieme `2(∞) (o semplicemente `2) delle successioni di numeri complessiz = (z1, z2, . . . ) tali che

∞∑n=0

|zn|2 <∞ ,

con il prodotto scalare definito da

(z, y) =∞∑n=0

zn∗ yn

per ogni z = (z1, z2, . . . ), y = (y1, y2, . . . ) ∈ `2(∞), come afferma la

Proposizione 2.6. `2(∞) e uno spazio di Hilbert con l’usuale somma com-ponenete per componente, il solito prodotto per uno scalare (complesso) e ilprodotto scalare appena descritto.

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22 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

Dimostrazione. Per dimostrare che `2(∞) e uno spazio vettoriale e sufficienteprovare che la somma e il prodotto per uno scalare sono operazioni interne,in quanto tutte le altre proprieta delle due operazioni necessarie a definireun prodotto scalare (ossia associativita e commutativita della somma, esi-stenza degli elementi neutri delle due operazioni e dell’inverso per la somma,associativita del prodotto per uno scalare con il prodotto tra scalari, distri-butivita del prodotto per uno scalare rispetto alla somma di vettori e a quelladi scalari) si ottengono usando, componente per componente, il fatto che Ce un campo.

Per quanto riguarda la somma per componenti, siano z = (z1, z2, . . . ),y = (y1, y2, . . . ) ∈ `2(∞); allora:

z + y =∞∑n=0

zn +∞∑n=0

yn =∞∑n=0

zn + yn ,

e, per le proprieta del modulo dei numeri complessi e la linearita dell’opera-zione di limite, se < e = indicano rispettivamente le funzioni “parte reale” e“parte immaginaria”, si ricava

∞∑n=0

|zn + yn|2 =∞∑n=0

[(<(zn) + <(yn)

)2

+(=(zn) + =(yn)

)2]=

=∞∑n=0

[(<(zn)

)2+(<(yn)

)2+(=(zn)

)2+(=(yn)

)2+

+ 2 <(zn)<(yn) + 2 =(zn)=(yn)]∀ a,b∈R 2ab6 a2+b2

⇓6

6∞∑n=0

[(<(zn)

)2+(<(yn)

)2+(=(zn)

)2+(=(yn)

)2+

+(<(zn)

)2+(<(yn)

)2+(=(zn)

)2+(=(yn)

)2]=

= 2

∞∑n=0

(|zn|2 + |yn|2

)= 2

∞∑n=0

|zn|2 +∞∑n=0

|yn|2

che e un numero finito perche lo sono entrambi gli addendi. In conclusione,z + y ∈ `2(∞).

Il prodotto per uno scalare e tale che, se α ∈ C e z = (z1, z2, . . . ) ∈ `2(∞),allora:

α z = α( ∞∑n=0

zn

)=

∞∑n=0

αzn ,

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 23

e quindi, per le proprieta del modulo di un prodotto di numeri complessi,

∞∑n=0

|αzn|2 = |α|2( ∞∑n=0

|zn|2)

che e un numero finito poiche prodotto di numeri finiti. Quindi, αz ∈ `2(∞).

Ora bisogna mostrare che l’applicazione definita da

(z, y) =∞∑n=0

zn∗ yn

per ogni z = (z1, z2, . . . ), y = (y1, y2, . . . ) ∈ `2(∞) e un prodotto scalare.

Innanzitutto, e necessario provare che la serie converge per ogni coppiax, y di elementi di `2(∞):

+∞x,y ∈ `2(∞)

⇓>

∞∑n=0

|zn|2 +∞∑n=0

|yn|2 =∞∑n=0

(|zn|2 + |yn|2

)∀ a,b∈R2ab6 a2+ b2

⇓>

>∞∑n=0

2 |zn| |yn||zn|,|yn|> 0

⇓>

∞∑n=0

|zn| |yn|

e, per le proprieta del modulo dei numeri complessi e dal fatto che ogni serieassolutamente convergente converge ad un limite di modulo non superiore allimite della serie dei moduli, si ha:

+∞ >∞∑n=0

|zn| |yn| =∞∑n=0

|zn∗yn| >

∣∣∣∣∣∞∑n=0

zn∗yn

∣∣∣∣∣ .Tralasciando la verifica delle proprieta di prodotto scalare di pagina 12

dell’applicazione ( , ), che risulta banale, bisogna ancora dimostrare che `2(∞)e completo [1].

Sia (z(1), z(2), . . . ) con z(n) = (z(n)1 , z

(n)2 , . . . ) ∀n ∈ N\0, una successione

di Cauchy di elementi di `2(∞) nella metrica associata al prodotto scalare,ossia tale che

∀ ε > 0 ∃nε ∈ N : ∀ r, s > nε ε > d(z(r), z(s)) =∥∥z(r) − z(s)

∥∥ =

=√(

z(r) − z(s), z(r) − z(s))

secondo le definizioni delle pagine 12 e 13.

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24 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

Siccome per ogni indice m fissato la successione complessa (z(1)m , z

(2)m , . . . )

delle componenti m-esime degli elementi della successione considerata e taleche

d(z(r)m , z(s)

m ) =∥∥z(r)

m − z(s)m

∥∥ =

√∣∣∣z(r)m − z

(s)m

∣∣∣2 6

6

√√√√ ∞∑n=1

∣∣∣z(r)n − z

(s)n

∣∣∣2 =

√√√√ ∞∑n=1

(z(r)n − z

(s)n )

∗(z

(r)n − z

(s)n )

=√(

z(r) − z(s), z(r) − z(s))

= d(z(r), z(s)) ,

tale successione e anch’essa di Cauchy e quindi, per la completezza di C,converge.

Siano allora ym = limr→+∞

z(r)m per ogni m ∈ N\0 e y = (y1, y2, . . . ). Per

concludere la dimostrazione basta provare che la successione (z(1), z(2), . . . )converge a y nella metrica associata al prodotto scalare e che y ∈ `2(∞).

Come gia riportato sopra, per definizione di successione di Cauchy, si ha:

∀ ε > 0 ∃nε ∈ N : ∀ r, s > nε ε > d(z(r), z(s)) =

=∥∥z(r) − z(s)

∥∥ =√(

z(r) − z(s), z(r) − z(s))

=

√√√√ ∞∑n=1

(z(r)n − z

(s)n )

∗(z

(r)n − z

(s)n ) =

√√√√ ∞∑n=1

∣∣∣z(r)n − z

(s)n

∣∣∣2 ,e dunque

∀ ε > 0 ∃nε ∈ N : ∀ r, s > nε ε2 >∞∑n=1

∣∣z(r)n − z(s)

n

∣∣2 .Dal momento che

∀ k > 1∞∑n=1

∣∣z(r)n − z(s)

n

∣∣2 >k∑

n=1

∣∣z(r)n − z(s)

n

∣∣2 ,si ha allora che

∀ ε > 0 ∃nε ∈ N : ∀ r, s > nε ∀ k > 1 ε2 >

k∑n=1

∣∣z(r)n − z(s)

n

∣∣2e, facendo tendere s a +∞,

∀ ε > 0 ∃nε ∈ N : ∀ r > nε ∀ k > 1

ε2 > lims→+∞

k∑n=1

∣∣z(r)n − z(s)

n

∣∣2 =k∑

n=1

∣∣z(r)n − yn

∣∣2

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 25

dato che la somma ha un numero finito di addendi.Al limite per k → +∞ vale allora

∀ ε > 0 ∃nε ∈ N : ∀ r > nε ε2 > limk→+∞

k∑n=1

∣∣z(r)n − yn

∣∣2 =

=∞∑n=1

∣∣z(r)n − yn

∣∣2 =∥∥z(r) − y

∥∥2=[d(z(r), y)

]2,

e poiche sia ε che d(z(r)n , yn) sono positivi, si ottiene la definizione di conver-

genza della successione (z(1), z(2), . . . ) a y nella metrica associata al prodottoscalare.

Per mostrare che y ∈ `2(∞), siccome `2(∞) e prehilbertiano, vale ladisuguaglianza triangolare della norma associata al prodotto scalare (pro-prieta N1. a pagina 12), e quindi ∀ r > nε

‖y‖2 =∥∥y − z(r) + z(r)

∥∥2N1.⇓6( ∥∥y − z(r)

∥∥+∥∥z(r)

∥∥ )2 6(ε+

∥∥z(r)∥∥ )2 ,

che e un numero finito perche z(r) ∈ `2(∞).Questo conclude la dimostrazione.

Seguono ora alcune definizioni riguardanti la teoria della misura, con ilsolo scopo di fissarne la nomenclatura.

Una σ-algebra di un insieme e un sottoinsieme del suo insieme delle partiche e chiuso per unioni numerabili e per complementazione e che contienel’insieme vuoto (o, equivalentemente, l’insieme stesso).

La coppia data dall’insieme e da una sua σ-algebra e detta spazio misu-rabile, e gli elementi della σ-algebra sono detti insiemi misurabili o sempli-cemente misurabili.

Un’applicazione tra uno spazio misurabile e uno spazio topologico e dettamisurabile se le controimmagini degli aperti sono misurabili.

La σ-algebra generata dagli aperti di una topologia su un insieme edetta la σ-algebra dei boreliani, e i suoi elementi sono chiamati boreliani ;un’applicazione e detta boreliana, se e misurabile nello spazio misurabiledeterminato dalla σ-algebra dei boreliani.

Se (X,F) e uno spazio misurabile, una funzione µ : F → [0,+∞] tale che

∀ i ∈ N Xi ∈ Fr 6= s ⇒ Xr ∩ Xs = ∅

⇒ µ

(⋃i∈N

Xi

)=∑i∈Nµ(Xi)

∃ Y ∈ F : µ(Y) < +∞e chiamata misura sullo spazio misurabile (X,F).

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26 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

Un’applicazione reale misurabile e detta semplice se assume solo un nu-mero finito di valori positivi. Il suo integrale secondo Lebesgue su un insiememisurabile e dato dalla somma dei prodotti tra ogni valore che essa assumee la misura dell’intersezione tra il sottoinsieme su cui assume quel valore e ilmisurabile su cui si intende calcolare l’integrale.

Per le applicazioni reali misurabili positive l’integrale secondo Lebesgue suun misurabile e definito come l’estremo superiore dell’insieme degli integralisu quel misurabile delle funzioni semplici con valori non superiori a quellidell’applicazione.

L’integrale secondo Lebesgue delle altre applicazioni reali misurabili e datodalla differenza tra l’integrale della parte positiva e quello della parte nega-tiva. Se µ e una misura, f un’applicazione reale misurabile e Y un insiememisurabile, l’integrale di f sull’insieme Y nella misura µ e indicato con ilsimbolo

∫Yf dµ.

Osservazione 2.7. Integrando secondo Lebesgue su un insieme misurabile lafunzione costante che assume il valore 1 si ottiene la misura di quel misurabile:∫

Ydµ = µ(Y).

2.1.2 Basi di spazi vettoriali di dimensione infinita ebasi di spazi di Hilbert

Negli spazi vettoriali metrici, e quindi anche in quelli prehilbertiani e neglispazi di Hilbert, la definizione di base (o sistema completo) e diversa da quelladegli spazi vettoriali; tuttavia, le due definizioni coincidono in dimensionefinita.

Sia H uno spazio vettoriale. Il sottospazio generato da un insieme S ⊆ He il piu piccolo (nel senso dell’inclusione insiemistica) sottospazio vettoriale diH contenente S, ed e qui indicato con < S >. In questo modo, esso e ben defi-nito perche esiste ed e unico (per la dimostrazione si veda la Proposizione A.7in Appendice, a pagina 125), e per esso vale la seguente

Proposizione 2.8.

H spazio vettoriale

S ⊆ H

=⇒ < S > = combinazioni lineari

degli elementi di S

Per la dimostrazione si rimanda alla Proposizione A.8 a pagina 126.Per base di uno spazio vettoriale si intende, sia nel caso di dimensione

finita che in quello di dimensione infinita, un suo sottoinsieme linearmenteindipendente che genera tutto lo spazio.

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 27

Un insieme di vettori, finito o meno, e detto linearmente indipendentese il vettore nullo puo essere espresso come combinazione lineare dei suoielementi soltanto se i coefficienti della combinazione sono tutti nulli [26].

Si osservi che, per definizione, le combinazioni lineari sono formate da unnumero finito di addendi, e quindi un insieme di infiniti elementi e linear-mente indipendente se e solo se ogni suo sottoinsieme finito e a sua voltalinearmente indipendente.

Tutti gli spazi vettoriali non banali, qualunque sia la loro dimensione,hanno almeno una base, come enunciato dal seguente

Teorema 2.9. Ogni spazio vettoriale diverso dal solo vettore nullo ammetteuna base:

H spazio vettoriale, H 6= 0 =⇒ H ammette una base

La dimostrazione di questo teorema fa uso della nozione di insieme indut-tivo (insieme parzialmente ordinato tale che ogni suo sottoinsieme totalmenteordinato ha un maggiorante nell’insieme) e del

Lemma 2.10 (di Zorn). Ogni insieme induttivo ammette un elemento mas-simale.

Dimostrazione. (del Teorema 2.9) [27]Sia M l’insieme di tutti i sottoinsiemi di H linearmente indipendenti.

L’obiettivo e quello di dimostrare che M, essendo induttivo, possiede elementimassimali, e che questi sono basi di H.

M = sottoinsiemi di H linearmente indipendentiH 6= 0 =⇒ ∃ϕ 6= 0 : ϕ ∈ H

=⇒ ϕ ∈ M

⇓M 6= ∅

Ovviamente, ⊆ e un ordine parziale su M. Per dimostrare che M e indut-tivo, bisogna provare che ogni suo sottoinsieme totalmente ordinato ha unmaggiorante in M.

Siano I un insieme di indici e Bi ∈ M per ogni i ∈ I tali che l’insiemeBi : i ∈ I e totalmente ordinato, e sia

B =⋃i∈I

Bi ,

che e banalmente maggiorante per Bi : i ∈ I.Manca da dimostrare che B ∈ M, cioe che B e linearmente indipendente.

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28 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

Se ϕ1, ϕ2, . . . , ϕn e un sottoinsieme finito (n ∈ N) di B, allora[ϕj ∈ B ∀ j ∈ 1, . . . , n =⇒

=⇒ ∀ j ∈ 1, . . . , n ∃ ij ∈ I : ϕj ∈ Bij

][Bi : i ∈ I totalmente ordinato, n ∈ N =⇒

=⇒ ∃ k ∈ I : ∀ j ∈ 1, . . . , n Bij ⊆ Bk

]

=⇒

=⇒ ϕj ∈ Bk ∀ j ∈ 1, . . . , nBk ∈ M

=⇒

=⇒ ϕ1, . . . , ϕn e indipendente ,

quindi B e linearmente indipendente e dunque appartiene a M. Questocompleta la dimostrazione che M e induttivo.

Siccome M e induttivo, per il Lemma 2.10 di Zorn M ammette un elementoB massimale.

Sia HB il sottospazio di H generato da B.[∃ϕ ∈ H : ϕ /∈ HB =⇒ ϕ ∪ B ∈ M (indipendente)

B massimale per M

=⇒ assurdo

]=⇒

=⇒ @ϕ ∈ H : ϕ /∈ HB

HB ⊆ H

=⇒ HB = H

Allora B e un insieme indipendente che genera H, ossia una base di H.

Corollario 2.11. Per ogni sottospazio diverso dal solo vettore nullo di unospazio vettoriale, lo spazio vettoriale ammette una base contenente una basedel sottospazio:

K,H spazi vettoriali0 6= K 6 H

=⇒

H ammette una basecontenente una base di K

Dimostrazione. L’esistenza di una base BK diK discende dal Teorema 2.9. Ladimostrazione della tesi in esame ricalca quella del Teorema 2.9, con l’unicadifferenza che l’insieme M e scelto nel modo seguente:

M = sottoinsiemi di H linearmente indipendenti contenenti BK

Anche in dimensione infinita vale il

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 29

Lemma 2.12. L’espressione di un elemento di uno spazio vettoriale comecombinazione lineare di vettori di una base e unica a meno di permutazionidegli addendi.

Dimostrazione. Siano H uno spazio vettoriale sul campo K, B una sua basee ϕ ∈ H. Per definizione di base,

∃n ∈ N , α1, . . . , αn ∈ K , ϕ1, . . . , ϕn ∈ B : ϕ =n∑i=1

αiϕi .

Senza perdita di generalita, si suppone che αi 6= 0 ∀ i ∈ 1, . . . , n.Si considerino due combinazioni lineari di vettori della base B che rap-

presentano lo stesso vettore:

n∑i=1

αiϕi =m∑j=1

βjψj

con n,m ∈ N, α1, . . . , αn, β1, . . . , βm ∈ K \0 e ϕ1, . . . , ϕn, ψ1, . . . , ψm ∈ B.Se, per assurdo, per ogni s ∈ 1, . . . ,m dovesse valere ψs 6= ϕr per ogni

r ∈ 1, . . . , n, allora si avrebbe

ψs =1

βs

( n∑i=1

αiϕi −m∑j=1j 6=s

βjψj

),

quindi ψs non sarebbe indipendente in B, e B non sarebbe una base. Dunque,ϕi : i ∈ 1, . . . , n

=ψj : j ∈ 1, . . . , n

e n = m,

e cambiando opportunamente l’ordine nella seconda combinazione lineareconsiderata, si ottiene:

n∑i=1

αiϕi =n∑i=1

βiϕi .

Se poi esistesse k ∈ 1, . . . , n tale che αk 6= βk, allora

ϕk =1

αk − βk

( n∑i=1i6=k

(βi − αi) ϕi

),

e ancora una volta, ϕk non sarebbe indipendente in B, e B non sarebbe unabase. Dunque, si conclude che

αiϕi : i ∈ 1, . . . , n

=βjψj : j ∈ 1, . . . ,m

.

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30 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

Il prossimo teorema lega biunivocamente le applicazioni lineari su unospazio vettoriale (di qualunque dimensione) ai valori che esse assumono sullebasi dello spazio.

Teorema 2.13. Ogni applicazione definita su una base di uno spazio vetto-riale puo essere univocamente prolungata ad un’applicazione lineare definitasu tutto lo spazio vettoriale:

0 6= H,V spazi vettorialisul campo KB base di H

h : B −→ V applicazione

=⇒ ∃ ! l : H −→ V lineare : l|B = h

Dimostrazione. [27] Sia l : H −→ V tale che per ogni ϕ ∈ H valga

l(ϕ) =n∑i=1

αih(ϕi) ,

dove n ∈ N, α1, . . . , αn ∈ K e ϕ1, . . . , ϕn ∈ B sono tali che

ϕ =n∑i=1

αiϕi .

L’applicazione l e ben definita per l’unicita dell’espressione di ϕ comecombinazione lineare di vettori della base B (per il Lemma 2.12 appenadimostrato), e la sua restrizione agli elementi di B coincide ovviamente con h.

Essa e inoltre lineare. Infatti, siano α, β ∈ K, ϕ, ψ ∈ H, e

ϕ =n∑i=1

αiϕi e ψ =m∑j=1

βjψj

le loro espressioni nella base B, con n,m ∈ N, α1, . . . , αn, β1, . . . , βm ∈ K \0e ϕ1, . . . , ϕn, ψ1, . . . , ψm ∈ B. Allora

αϕ+ βψ = α

( n∑i=1

αiϕi

)+ β

( m∑j=1

βjψj

)=

n∑i=1

(ααi)ϕi +m∑j=1

(ββj)ψj ,

quindi, per come si e definita l’applicazione l, si ha:

l(αϕ+ βψ) = l

( n∑i=1

(ααi)ϕi +m∑j=1

(ββj)ψj

)=

=n∑i=1

(ααi)h(ϕi) +m∑j=1

(ββj)h(ψj) =

= α

( n∑i=1

αih(ϕi)

)+ β

( m∑j=1

βjh(ψj)

)= α l(ϕ) + β l(ψ) .

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 31

Infine, l e anche l’unica applicazione con le proprieta richieste, poiche perogni ϕ ∈ H, posti n ∈ N, α1, . . . , αn ∈ K e ϕ1, . . . , ϕn ∈ B in modo che

ϕ =n∑i=1

αiϕi ,

ogni g : H −→ V lineare tale che g|B = h assume il valore

g (ϕ) = g

( n∑i=1

αi ϕi

)=

n∑i=1

αi g(ϕi) =n∑i=1

αi h(ϕi) = l (ϕ) .

Per base ortogonale di uno spazio prehilbertiano si intende una sua baseformata da elementi a due a due ortogonali; se essi sono ortonormali, allorala base e detta ortonormale.

Teorema 2.14. Ogni spazio prehilbertiano di dimensione al piu numerabilee diverso dal solo vettore nullo ammette una base ortonormale:

H spazio prehilbertiano, H 6= 0dim(H) 6 ℵ0

=⇒ H ammette una base ortonormale

Dimostrazione. [1] Per il Teorema 2.9 di pagina 27, H ammette una base B,e siccome la sua dimensione e al piu numerabile, essa puo essere scritta nellaforma B = ϕ1, ϕ2, . . . .

La base ortonormale viene ricavata da B seguendo il noto procedimentodi ortonormalizzazione di Gram-Schmidt, ponendo:

ψ1 = ϕ1/ ‖ϕ1‖ ;

ψn =(ϕn −

n−1∑i=1

(ϕi, ϕn)ϕi

)/(∥∥ϕn − n−1∑i=1

(ϕi, ϕn)ϕi∥∥) ∀n > 1 .

Gli elementi di ψ1, ψ2, . . . sono ovviamente normali, e per induzione si di-mostra che sono a due a due ortogonali. Siccome ogni elemento della baseB = ϕ1, ϕ2, . . . puo essere scritto come combinazione lineare degli elementidi ψ1, ψ2, . . . per come sono stati costruiti questi ultimi, per la Proposi-zione 2.8 a pagina 26, i due insiemi generano lo stesso spazio, e dunqueψ1, ψ2, . . . e una base ortonormale di H.

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32 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

Proposizione 2.15. Se H e uno spazio prehilbertiano di dimensione al piunumerabile e ϕ1, ϕ2, . . . e una sua base ortonormale, allora per ogni ϕ ∈ Hvale

ϕ =∑i∈N

(ϕi, ϕ

)ϕi .

Dimostrazione. Basta osservare che

ϕ =∑i∈N

αiϕi =⇒(ϕi, ϕ

)=(ϕi,∑j∈N

αjϕj)

=∑j∈N

αj(ϕi, ϕj

)=⇑

ortonormalita

αi

I coefficienti(ϕi, ϕ

)prendono il nome di coefficienti di Fourier di ϕ nella

base ϕ1, ϕ2, . . . .Per base di uno spazio vettoriale metrico, o sistema completo, si inten-

de un suo sottoinsieme linearmente indipendente tale che la chiusura (nellatopologia della metrica) dello spazio che esso genera coincide con l’interospazio [1].

Una base, o sistema completo, di uno spazio normato, e una base dellospazio vettoriale metrico con la metrica associata alla norma; di conseguenza,per gli spazi prehilbertiani e per gli spazi di Hilbert una base, o sistemacompleto, e una base dello spazio vettoriale metrico con la metrica associataal prodotto scalare.

Per gli spazi prehilbertiani e per gli spazi di Hilbert di dimensione al piunumerabile si considerano spesso le basi ortonormali, o sistemi ortonormalicompleti, che sono basi, o sistemi ortonormali, i cui elementi sono normalie a due a due ortogonali; la loro esistenza e garantita dal Teorema 2.14 apagina 31.

Si osservi che per i sottospazi vettoriali degli spazi metrici completi, ein particolare per quelli degli spazi di Hilbert, la proprieta di chiusura nellatopologia della metrica e quella di completezza sono equivalenti, come asseritodalla seguente

Proposizione 2.16. Un sottospazio vettoriale di uno spazio vettoriale me-trico completo e chiuso nella topologia della metrica se e solo se esso ecompleto:

H spazio vettoriale metrico completo

V 6 H

=⇒

[V chiuso ⇐⇒ V completo

]

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 33

Dimostrazione.

⇒(x1, x2, . . . ) in V di Cauchy

⇓(x1, x2, . . . ) in H di Cauchy =⇒

⇑H completo

∃x ∈ H : xii→+∞−−−−→ x

Proposizione A.6,

pag. 124⇓

=⇒

=⇒ x e di accumulazione per V =⇒⇑

V chiuso

x ∈ V]

=⇒

=⇒ V completo

⇐[x ∈ H di accumulazione per V

Proposizione A.6, pag. 124⇓

=⇒

=⇒ ∃ (x1, x2, . . . ) in V : xii→+∞−−−−→ x

le successioni convergentisono di Cauchy (pag. 13)

⇓=⇒

=⇒ ∃ (x1, x2, . . . ) in V di Cauchy : xii→+∞−−−−→ x

V completo⇓

=⇒ x ∈ V]

=⇒

=⇒ V chiuso

Se uno spazio normato ha dimensione finita, le sue basi nel senso vettorialesono anche sistemi completi. Per dimostrare questo fatto si fa uso del

Lemma 2.17.

H spazio normato

n ∈ N\0, ϕ1, . . . , ϕn ⊆ H linearmente indipendente

=⇒ ∃ c > 0 :

∀ (α1, . . . , αn) ∈ Cn ‖α1ϕ1 + · · ·+ αnϕn‖ > c (|α1|+ · · ·+ |αn|)

Dimostrazione. [23] Se si pone βj = αj/(|α1|+ · · ·+ |αn|) ∀ j ∈ 1, . . . , n,si tratta di dimostrare che ∃ c > 0 : ‖β1ϕ1 + · · ·+ βnϕn‖ > c.

Siccomen∑j=1

|βj| =n∑j=1

∣∣∣∣ αj(|α1|+ · · ·+ |αn|)

∣∣∣∣ =1

(|α1|+ · · ·+ |αn|)

n∑j=1

|αj| = 1 ,

la tesi e certamente verificata se si prova che

∃ c > 0 : ∀ (β1, . . . , βn) ∈ Cn :n∑j=1

|βj| = 1 ‖β1ϕ1 + · · ·+ βnϕn‖ > c .

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34 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

Si proceda per assurdo.

@ c > 0 : ∀ (β1, . . . , βn) ∈ Cn :n∑j=1

|βj| = 1 ‖β1ϕ1 + · · ·+ βnϕn‖ > c =⇒

=⇒ ∀ r ∈ N\0 ∃ (β(r)1 , . . . , β(r)

n ) ∈ Cn :n∑j=1

∣∣∣β(r)j

∣∣∣ = 1 e∥∥∥β(r)1 ϕ1 + · · ·+ β(r)

n ϕn

∥∥∥ 61

r=⇒

=⇒ ∃ (y(1), y(2), . . . ) con y(r) = β(r)1 ϕ1 + · · ·+ β(r)

n ϕn ∀ r ∈ N\0 :∥∥y(r)∥∥ =

∥∥∥β(r)1 ϕ1 + · · ·+ β(r)

n ϕn

∥∥∥ 61

r

r→+∞−−−−→ 0

Si prendano ora in considerazione le successioni (β(1)j , β

(2)j , . . . ) dei coeffi-

cienti di ϕj, j ∈ 1, 2, . . . . Dato che

∀ r ∈ N\0n∑j=1

∣∣∣β(r)j

∣∣∣ = 1 =⇒

=⇒ ∀ r ∈ N\0, j ∈ 1, 2, . . . ∣∣∣β(r)j

∣∣∣ 6 1 =⇒

=⇒ ∀ j ∈ 1, 2, . . . (β(1)j , β

(2)j , . . . ) e una successione limitata ,

tutte le loro sottosuccessioni sono ovviamente anch’esse limitate, e quindi peril teorema di Bolzano-Weierstraß ammettono a loro volta una sottosuccessio-ne convergente.

Nel caso j = 1, siano:

(β(1)11 , β

(2)11 , . . . ) una sottosuccessione convergente di (β

(1)1 , β

(2)1 , . . . );

(y(1)1 , y

(2)1 , . . . ) la corrispondente sottosuccessione di (y(1), y(2), . . . );

β1 = limr→+∞

β(r)11 ;

β(r)1j ∀ j ∈ 2, . . . , n : y

(r)1 = β

(r)11 ϕ1 + · · ·+ β

(r)1n ϕn.

La successione (β(1)12 , β

(2)12 , . . . ) dei coefficienti di ϕ2 e una sottosuccessione

di (β(1)2 , β

(2)2 , . . . ), e dunque ammette una sottosuccessione convergente; siano

allora:

(β(1)22 , β

(2)22 , . . . ) una sottosuccessione convergente di (β

(1)12 , β

(2)12 , . . . );

(y(1)2 , y

(2)2 , . . . ) la corrispondente sottosuccessione di (y

(1)1 , y

(2)1 , . . . );

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 35

β2 = limr→+∞

β(r)22 ;

β(r)2j ∀ j ∈ 1, 3, . . . , n : y

(r)2 = β

(r)21 ϕ1 + · · ·+ β

(r)2n ϕn.

La successione (β(1)21 , β

(2)21 , . . . ) dei coefficienti di ϕ1 e una sottosuccessione di

(β(1)11 , β

(2)11 , . . . ) perche (y

(1)2 , y

(2)2 , . . . ) e sottosuccessione di (y

(1)1 , y

(2)1 , . . . ), e

dunque limr→+∞

β(r)21 = β1.

Proseguendo in modo analogo per i coefficienti di tutti i ϕi in ordinecrescente di indice i ∈ 3, 4, . . . , n, alla fine si ha una sottosuccessione

(y(1)n , y

(2)n , . . . ) di (y(1), y(2), . . . ) tale che

∀ r ∈ N\0 y(r)n = β

(r)n1 ϕ1 + · · ·+ β(r)

nnϕn e

∀ j ∈ 1, . . . , n limr→+∞

β(r)nj = βj

Allora, dato che la distanza considerata per la definizione di limite e quellaassociata alla norma, l’operatore di limite risulta lineare, e si ottiene:

limr→+∞

y(r)n = lim

r→+∞

(r)n1 ϕ1 + · · ·+ β(r)

nnϕn

) linearita del limite⇓=

=(

limr→+∞

β(r)n1

)ϕ1 + · · ·+

(lim

r→+∞β(r)nn

)ϕn = β1ϕ1 + · · ·+ βnϕn .

Sia y = β1ϕ1 + · · ·+ βnϕn; allora valgono

∥∥y(r)n − y

∥∥ =∥∥y(r)

n − y∥∥+ ‖y‖ − ‖y‖ >

>∥∥y(r)

n − y + y∥∥− ‖y‖ =

∥∥y(r)n

∥∥− ‖y‖∥∥y(r)n − y

∥∥ =∥∥y − y(r)

n

∥∥+∥∥y(r)

n

∥∥− ∥∥y(r)n

∥∥ >

>∥∥y − y(r)

n + y(r)n

∥∥− ∥∥y(r)n

∥∥ = ‖y‖ −∥∥y(r)

n

∥∥e quindi ∥∥∥ lim

r→+∞y(r)n

∥∥∥ = ‖y‖ = limr→+∞

∥∥y(r)n

∥∥ .

Dato che (y(1)n , y

(2)n , . . . ) e sottosuccessione di (y(1), y(2), . . . ), a sua volta(∥∥y(1)

n

∥∥,∥∥y(2)n

∥∥, . . . ) e sottosuccessione di( ∥∥y(1)

∥∥ ,∥∥y(2)∥∥ , . . . ), e quest’ultima

converge a 0. Dunque,

‖y‖ = limr→+∞

∥∥y(r)n

∥∥ = limr→+∞

∥∥y(r)∥∥ = 0

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36 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

In questo modo si giunge alla seguente contraddizione:

‖y‖ = 0

propr. N4.pag. 12⇓

=⇒ y = 0

ϕ1,...,ϕn indip.y=β1ϕ1+···+βnϕn

⇓=⇒ βj = 0 ∀ j ∈ 1, . . . , n

n∑j=1

∣∣βj∣∣ =n∑j=1

∣∣∣ limr→+∞

β(r)nj

∣∣∣ =n∑j=1

limr→+∞

∣∣∣β(r)nj

∣∣∣ =⇑

sommafinita

limr→+∞

n∑j=1

∣∣∣β(r)nj

∣∣∣ =⇑

1

nPj=1

˛β

(r)nj

˛=1

∀ r∈N\0

Proposizione 2.18. I sottospazi vettoriali di dimensione finita degli spazinormati sono chiusi nella topologia della metrica associata alla norma:

H spazio normato

V 6 H : dim(V) 6 +∞

=⇒ V chiuso

Dimostrazione. [23] Per la Proposizione 2.16 a pagina 32, V e chiuso se e solose e completo.

Siano n = dim(V) e ϕ1, . . . , ϕn una base di V in senso vettoriale. Perogni successione (x1, x2, . . . ) di Cauchy di V siano αij con i ∈ 1, . . . , n ej ∈ N\0 tali che (per il Lemma 2.12 a pagina 29)

xj = α1jϕ1 + · · ·+ αnjϕn .

Sia c > 0 la costante del Lemma 2.17 a pagina 33 relativa a ϕ1, . . . , ϕn,cosicche

∀ (α1, . . . , αn) ∈ Cn ‖α1ϕ1 + · · ·+ αnϕn‖ > c (|α1|+ · · ·+ |αn|) .

Allora, ∀ ε > 0 ∃nε ∈ N : ∀ r, s > nε

ε > ‖xr − xs‖ = ‖(α1r − α1s)ϕ1 + · · ·+ (αnr − αns)ϕn‖ >

> c(|α1r − α1s|+ · · ·+ |αnr − αns|

)e, a maggior ragione, ε > c |αir − αis| ∀ i ∈ 1, . . . , n . Quindi, anche le nsuccessioni (αi1, αi2, . . . ), i ∈ 1, . . . , n, sono di Cauchy in C e convergonoper la completezza di C. Siano allora

αi = limr→+∞

αir , i ∈ 1, . . . , n

x = α1ϕ1 + · · ·+ αnϕn ∈ V .

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 37

Manca da dimostrare soltanto che xrr→+∞−−−−→ x, che e vero poiche

‖xr − x‖ = ‖(α1r − α1)ϕ1 + · · ·+ (αnr − αn)ϕn‖

N1. e N2.a pagina 12

⇓6

6 |(α1r − α1)| ‖ϕ1‖+ · · ·+ |(αnr − αn)| ‖ϕn‖r→+∞−−−−→

⇑αi= lim

r→+∞αir

0 .

Corollario 2.19. Le basi in senso vettoriale degli spazi normati di dimen-sione finita sono anche sistemi completi.

Dimostrazione. Per le definizione di sistema completo a pagina 32 e la Pro-posizione precedente.

Quest’ultima proprieta e ovviamente valida anche per i sottospazi di spaziprehilbertiani e di Hilbert, con la topologia della metrica e con la normaassociate al prodotto scalare.

2.1.3 Separabilita

Quando uno spazio topologico ammette un sottoinsieme numerabile denso, sidice che tale spazio e separabile.

Uno spazio prehilbertiano e detto separabile se lo e nella topologia del-la metrica associata al prodotto scalare. La separabilita e una proprietaautomaticamente ereditata dai sottospazi vettoriali, poiche vale la

Proposizione 2.20. Un sottospazio vettoriale di uno spazio prehilbertianoseparabile e separabile.

Dimostrazione. [1] SiaH uno spazio prehilbertiano separabile con il prodottoscalare ( , ) e K 6 H un suo sottospazio.

Per la Proposizione 2.1 a pagina 13, K e prehilbertiano con il prodottoscalare dato dalla restrizione di ( , ) a K ×K.

Sia ora R = ϕ1, ϕ2, . . . un sottoinsieme numerabile denso in H a partiredal quale costruirne uno denso in K [1].

Se d e la metrica associata al prodotto scalare ( , ), per ogni coppia diindici m,n ∈ N\0 si prenda un elemento ψmn ∈ K in modo che

d(ψmn, ϕn) <1m

se ∃ un tale ψmn ∈ Kψmn = 0 altrimenti

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38 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

Allora l’insieme S = ψmn : m,n ∈ N\0 e un sottoinsieme numerabiledi K.

Esso e anche denso in K. Infatti, per ogni ϕ ∈ K e m > 0 ∃ϕn ∈ Rtale che d(ϕ, ϕn) <

1m

poiche R e denso in H. Deve allora essere ψmn 6= 0,altrimenti, per come e stato scelto, non potrebbe esistere in K alcun elementoψ tale che d(ψ, ϕn) <

1m

, contrariamente al fatto che ϕ ∈ K e d(ϕ, ϕn) <1m

.Quindi, per la disuguaglianza triangolare (proprieta M1. a pagina 11) vale

d(ϕ, ψmn) 6 d(ϕ, ϕn) + d(ϕn, ψmn) <1

m+

1

m=

2

m,

e dunque S e denso in K.

Gli spazi prehilbertiani separabili sono caratterizzati dalla cardinalitadelle loro basi.

Teorema 2.21. Sia H uno spazio prehilbertiano. Allora:

H e separabile ⇐⇒ H ammette una base numerabile

Dimostrazione. [1]

H separabile ⇒[∃ S denso in H :

S e numerabile⇒ S = H ⇒ < S > = H⇒ ∃T base numerabile di < S >

⇒ T e base numerabile di < T > = < S > = H

⇐Sia T = ϕ1, ϕ2, . . . una base numerabile di H, e sia S l’insieme

S = a1ϕ1 + · · ·+ anϕn : <(ai),=(ai) ∈ Q ∀ i ∈ 1, . . . , n, n ∈ N\0 ,

che e numerabile. Bisogna mostrare che S e denso in H.Siccome T e una base, o sistema completo, di H, per ogni ϕ ∈ H e per

ogni ε > 0 esiste tε ∈< T > tale che ‖ϕ− tε‖ 6 ε2, ovvero

∀ϕ ∈ H,∀ ε > 0 ∃n ∈ N\0, α1, . . . , αn ∈ C :

‖ϕ− (α1ϕ1 + · · ·+ αnϕn)‖ 6ε

2.

Per la densita di Q2 in C, posto k = ‖ϕ1‖+ · · ·+ ‖ϕn‖,

∀αi ∈ C ∃ ai ∈ C : <(ai),=(ai) ∈ Q : ‖αi − ai‖ 6ε

2k,

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 39

e dunque

‖ϕ− (a1ϕ1 + · · ·+ anϕn)‖ 6 ‖ϕ− (α1ϕ1 + · · ·+ αnϕn)‖++ ‖(α1ϕ1 + · · ·+ αnϕn)− (a1ϕ1 + · · ·+ anϕn)‖ 6

2+

ε

2k(‖ϕ1‖+ · · ·+ ‖ϕn‖) = ε .

Lemma 2.22 (Disuguaglianza di Bessel).

H spazio prehilbertianoϕ1, ϕ2, . . . ⊆ H ortonormale numerabile

ψ ∈ H

=⇒

=⇒ ∀n ∈ N\0n∑i=1

∣∣(ϕi, ψ)∣∣2 6 ‖ψ‖2 (disuguaglianza di Bessel)

Dimostrazione. [1] Sia ψn =n∑i=1

(ϕi, ψ)ϕi per ogni n ∈ N\0. Siccome

(ψn, ψ − ψn

)=( n∑i=1

(ϕi, ψ)ϕi, ψ −n∑j=1

(ϕj, ψ)ϕj

)PS1., PS2. e PS3.a pagina 12

⇓=

=n∑i=1

(ϕi, ψ)∗(ϕi, ψ)−n∑i=1

n∑j=1

(ϕi, ψ)∗(ϕj, ψ)(ϕi, ϕj)

ϕ1,...,ϕnortonormali

⇓=

=n∑i=1

∣∣(ϕi, ψ)∣∣2 − n∑

i=1

∣∣(ϕi, ψ)∣∣2 = 0 ,

allora

‖ψ‖2 =(ψ, ψ

)=(ψ − ψn + ψn, ψ − ψn + ψn

)PS1. e PS3.a pagina 12

⇓=

=(ψ − ψn, ψ − ψn

)+(ψ − ψn, ψn

)+(ψn, ψ − ψn

)+(ψn, ψn

)=

=(ψ − ψn, ψ − ψn

)+(ψn, ψn

)= ‖ψ − ψn‖2 + ‖ψn‖2 >

> ‖ψn‖2 =( n∑i=1

(ϕi, ψ)ϕi,n∑j=1

(ϕj, ψ)ϕj

)PS1., PS2. e PS3.a pagina 12

⇓=

=n∑i=1

n∑j=1

(ϕi, ψ)∗(ϕj, ψ)(ϕi, ϕj)

ϕ1,...,ϕnortonormali

⇓=

n∑i=1

∣∣(ϕi, ψ)∣∣2

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40 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

La separabilita di uno spazio di Hilbert ha l’importante conseguenzaespressa dai seguenti enunciati.

Teorema 2.23. Sia H uno spazio di Hilbert separabile. Allora:

H ha base con n elementi ⇐⇒ H ≈ `2(n)

H ha base infinita ⇐⇒ H ≈ `2(∞)

Dimostrazione. [1] Le due necessita (⇐) sono ovvie.Sia ϕ1, . . . , ϕn una base ortonormale diH, che esiste per il Teorema 2.14

a pagina 31. Allora l’applicazione

f : H −→ `2(n)ϕ 7−→ (α1, . . . , αn) : α1ϕ1 + · · ·+ αnϕn = ϕ

risulta un isomorfismo dei due spazi. Infatti, e ovviamente suriettiva, e l’iniet-tivita deriva dalla Proposizione 2.8 a pagina 26, dal Lemma 2.12 a pagina 29e dal Corollario 2.19 a pagina 37.

Per la linearita, si osserva facilmente che per ogni ϕ = α1ϕ1 + · · ·+αnϕn,ψ = β1ϕ1 + · · ·+ βnϕn ∈ H , α, β ∈ C

f(αϕ+ βψ) = f(αα1ϕ1 + · · ·+ ααnϕn + ββ1ϕ1 + · · ·+ ββnϕn) =

= (αα1 + ββ1, . . . , ααn + ββn) =

= α(α1, . . . , αn) + β(β1, . . . , βn) = αf(ϕ) + βf(ψ)

Per la conservazione del prodotto scalare, infine, comunque presi dueelementi ϕ = α1ϕ1 + · · ·+ αnϕn, ψ = β1ϕ1 + · · ·+ βnϕn ∈ H vale

(ϕ, ψ

)=(α1ϕ1 + · · ·+ αnϕn, β1ϕ1 + · · ·+ βnϕn

)PS1., PS2. e PS3.a pag. 12

⇓=

=n∑i=1

n∑j=1

αi∗βj(ϕi, ϕj

) ϕ1,...,ϕnortonormali

⇓=

n∑i=1

αi∗βi

def. pag. 21⇓=

=((α1, . . . , αn), (β1, . . . , βn)

)=(f(ϕ), f(ψ)

)Nel caso di dimensione infinita, data la separabilita di H, per il Teore-

ma 2.21 a pagina 38 e il Teorema 2.14 a pagina 31 esso ammette una baseortonormale numerabile ϕ1, ϕ2, . . . .

Per la definizione di base di pagina 32 e di chiusura di pagina 14, per ogniϕ ∈ H esistono α1, α2, . . . ∈ C tali che

ϕ =∞∑i=1

αiϕi .

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 41

La tesi e dimostrata se si prova che l’applicazione

f : H −→ `2(∞)

ϕ 7−→ (α1, α2, . . .) :∞∑i=1

αiϕi = ϕ

e un isomorfismo dei due spazi.Innanzitutto, f(ϕ) ∈ `2(∞) per ogni ϕ ∈ H: siccome per ogni j ∈ N\0

(ϕj, ϕ) =(ϕj,

∞∑i=1

αiϕi)

=∞∑i=1

αi(ϕj, ϕi)

ϕ1,...,ϕnortonormali

⇓= αj ,

e possibile sfruttare la disuguaglianza di Bessel del Lemma 2.22 a pagina 39,e trovare che

+∞ > ‖ϕ‖2

disuguaglianzadi Bessel

⇓>

n∑i=1

∣∣(ϕi, ϕ)∣∣2 =

n∑i=1

|αi|2 .

f e suriettiva per la completezza di H e iniettiva per l’unicita del limitenegli spazi normati.

La linearita e la conservazione del prodotto scalare si dimostrano in modoanalogo a quello del caso di dimensione finita.

Corollario 2.24. A meno di isomorfismi, esiste un unico spazio di Hilbertseparabile per ogni cardinalita delle sue basi.

2.1.4 Operatori su uno spazio di Hilbert

Per operatore su un insieme H si intende un’applicazione T : DT → H conDT ⊆ H. Quando non ci sono ambiguita, l’applicazione dell’operatore T adun elemento ϕ ∈ DT viene indicata indifferentemente con T (ϕ) o con Tϕ.

Un operatore T su uno spazio metrico (H, d) e detto continuo quando

∀ ε > 0 ∃ δε > 0 : ∀ϕ, ψ ∈ DT d(ϕ, ψ) < δε ⇒ d(Tϕ, Tψ) < ε .

Un operatore T su uno spazio vettoriale H e detto lineare se, comunquepresi ϕ, ψ ∈ DT , α, β ∈ C, vale T (αϕ + β ψ) = αTϕ + β Tψ; se, invece,T (αϕ+ β ψ) = α∗ Tϕ+ β∗ Tψ l’operatore T e detto antilineare.

Un operatore limitato e un operatore T su uno spazio normato H per ilquale

∃M > 0 : ∀ϕ ∈ DT ‖Tϕ‖ 6 M ‖ϕ‖ .

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42 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

Teorema 2.25.

H spazio normato

T operatore su H lineare o antilineare

=⇒

[T continuo ⇐⇒ T limitato

]Dimostrazione. [1]

⇒Si tratta di trovare una costante M > 0 tale che ∀ϕ ∈ DT ‖Tϕ‖ 6

(M) ‖ϕ‖. Grazie alla continuita di T , ∀ ε > 0 ∃ δε > 0 : ∀ϕ, ψ ∈ DT

d(ϕ, ψ) = ‖ϕ− ψ‖ < δε =⇒ d(Tϕ, Tψ) = ‖Tϕ− Tψ‖ < ε .

Nel caso particolare in cui ε = 1 e ψ = 0 si ricava che ∃ δ1 > 0 : ∀ϕ ∈ DT

d(ϕ, 0) = ‖ϕ‖ < δ1 =⇒ d(Tϕ, T (0)) =⇑

T lineare oantilineare

d(Tϕ, 0) = ‖Tϕ‖ < 1 .

Se ‖ϕ‖ = 0, allora ϕ = 0 per la proprieta N4. a pagina 12, e ∀M > 0

0 = ‖0‖ = ‖T (0)‖ = ‖Tϕ‖ 6 M ‖ϕ‖ = 0 .

Se ‖ϕ‖ > 0, si ha∥∥∥∥ δ12 ‖ϕ‖

ϕ

∥∥∥∥ =δ1

2 ‖ϕ‖‖ϕ‖ =

δ12

< δ1

scelta di δ1⇓

=⇒∥∥∥∥T( δ1

2 ‖ϕ‖ϕ)∥∥∥∥ < 1

δ12 ‖ϕ‖

‖Tϕ‖ =

∥∥∥∥ δ12 ‖ϕ‖

∥∥∥∥T lineare oantilineare

⇓=

∥∥∥∥T( δ12 ‖ϕ‖

ϕ)∥∥∥∥

=⇒

=⇒ ‖Tϕ‖ < 2

δ1‖ϕ‖ ,

e quindi, ponendo M = 2/δ1, e soddisfatta la definizione di operatore limitato.

⇐Dato ε > 0, bisogna trovare un δε > 0 per il quale per ogni ϕ, ψ ∈ DT tali

che ‖ϕ− ψ‖ < δε valga ‖Tϕ− Tψ‖ < ε.Siccome T e lineare o antilineare e limitato, esiste M > 0 tale che

‖Tϕ− Tψ‖

T lineare oantilineare

⇓= ‖T (ϕ− ψ)‖

T limitato⇓6 M ‖ϕ− ψ‖ ;

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 43

basta ora porre δε = ε/M e si ottiene che ∀ ε > 0 ∃ δε = ε/M > 0 : ∀ϕ, ψ ∈ DT

d(ϕ, ψ) = ‖ϕ− ψ‖ <ε

M= δε =⇒

=⇒ d(Tϕ, Tψ) = ‖Tϕ− Tψ‖ =

= ‖T (ϕ− ψ)‖ 6 M ‖ϕ− ψ‖ < Mε

M= ε .

Per le applicazioni lineari limitate vale la seguente

Proposizione 2.26.

H1,H2 spazi di Hilbert

DT denso in H1

T : DT −→ H2 lineare e limitata

=⇒ ∃ ! T : H1 −→ H2 lineare e limitata

tale che T |DT = T

(esiste un’unica estensione lineare e limitata di T a tutto lo spazio).

Dimostrazione. [1] Si indichino con ‖ ‖1 e ‖ ‖2 le norme associate ai prodottiscalari di H1 e H2 rispettivamente.

ϕ ∈ H1

DT denso in H1

=⇒ ∃ϕ1, ϕ2, . . . ⊆ DT : lim

n→+∞ϕn = ϕ

⇓ϕ1, ϕ2, . . . e di Cauchy

T limitata ⇒ ∃M > 0 : ∀m,n ∈ N ‖Tϕm − Tϕn‖2

T lineare⇓=

= ‖T (ϕm − ϕn)‖2 6 M ‖ϕm − ϕn‖1

=⇒

=⇒ Tϕ1, Tϕ2, . . . e successione di Cauchy in H2

H2 spazio di Hilbert ⇒ H2 completo

=⇒

=⇒ ∃ ζ ∈ H2 : limn→+∞

Tϕn = ζ

Questo limite non dipende dalla successione convergente a ϕ che si escelta; infatti, se ψ1, ψ2, . . . ⊆ DT e tale che lim

n→+∞ψn = ϕ, allora

limn→+∞

‖Tϕn − Tψn‖2 = limn→+∞

‖T (ϕn − ψn)‖2

T limitata⇓6 limn→+∞

M ‖ϕn − ψn‖1 = 0 =⇒

=⇒ limn→+∞

Tψn = limn→+∞

Tϕn

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44 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

Si puo quindi porre Tϕ = ζ, ossia indicare con Tϕ l’elemento di H2 taleche lim

n→+∞‖Tϕ− Tϕn‖2 = 0 per ogni successione ϕ1, ϕ2, . . . convergente a ϕ.

Ovviamente, T |DT = T .Siccome l’operatore di limite nella topologia di una metrica associata a

un prodotto scalare e lineare, anche T risulta lineare per la linearita di T .Se ϕ0, ϕ1, ϕ2 . . . converge a ϕ ∈ H1, allora per ogni n ∈ N

‖Tϕ‖2 6 ‖Tϕ− Tϕn‖2 + ‖Tϕn‖2 6 ‖Tϕ− Tϕn‖2 + M ‖ϕn‖1

e poiche limn→+∞

‖Tϕ− Tϕn‖2 = 0 e limn→+∞

‖ϕn‖1 = ‖ϕ‖1 vale

‖Tϕ‖2 6 M ‖ϕ‖1 .

Per dimostrare infine l’unicita di T , si consideri un’applicazione operatoreS con le stesse proprieta di T ; per ogni ϕ ∈ H1, se ϕ0, ϕ1, ϕ2, . . . ∈ H1

converge a ϕ, allora

limn→+∞

‖Sϕ− Tϕn‖2

S|DT =T

⇓= lim

n→+∞‖Sϕ− Sϕn‖2

S lineare⇓= lim

n→+∞‖S(ϕ− ϕn)‖2

S limitata dicostante N

⇓6

6 N limn→+∞

‖(ϕ− ϕn)‖1

ϕn→ϕ⇓= 0

ossia Sϕ = Tϕ.

Se H e uno spazio di Hilbert ed esiste un unico operatore T ∗ tale che

∀ϕ ∈ DT ∗ , ψ ∈ DT (ϕ, Tψ) = (T ∗ϕ, ψ) ,

l’operatore T ∗ prende il nome di operatore aggiunto di T ; se T ∗ = T , ossiase hanno lo stesso dominio e assumono gli stessi valori, si dice che T e unoperatore autoaggiunto.

Proposizione 2.27. L’aggiunto di un operatore su uno spazio prehilbertianoquando esiste e sempre lineare.

Dimostrazione. Sia H uno spazio prehilbertiano, DT ⊆ H, T : DT → H unoperatore e T ∗ : DT ∗ → H il suo aggiunto. Allora, per ogni α1, α2 ∈ C,ϕ1, ϕ2 ∈ DT ∗ e ψ ∈ DT vale:(T ∗(α1ϕ1 + α2ϕ2), ψ

)=(α1ϕ1 + α2ϕ2, Tψ

)= α∗1

(ϕ1, Tψ

)+ α∗2

(ϕ2, Tψ

)=

= α∗1(T ∗ϕ1, ψ

)+ α∗2

(T ∗ϕ2, ψ

)=(α1T

∗ϕ1 + α2T∗ϕ2, ψ

)e poiche T ∗ esiste, esso e ben definito e quindi dev’essere

T ∗(α1ϕ1 + α2ϕ2) = α1T∗ϕ1 + α2T

∗ϕ2

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 45

Il Lemma che segue e usato nella dimostrazione della caratterizzazionedegli operatori che ammettono l’aggiunto e nella definizione degli operatoridi proiezione (o proiettori, a pagina 48).

Lemma 2.28.

H spazio di Hilbert

V 6 H,V chiuso

ϕ ∈ H

=⇒ ∃ ϕ1, ϕ2 ∈ H :

ϕ = ϕ1 + ϕ2

ϕ1 ∈ V(ϕ2, ψ) = 0 ∀ψ ∈ V

(Per ogni sottospazio chiuso di uno spazio di Hilbert, ogni elemento dellospazio di Hilbert e somma di un elemento appartenente al sottospazio e di unelemento ortogonale a ogni elemento del sottospazio.)

Dimostrazione. [1] Sia d = inf‖ϕ− ξ‖ : ξ ∈ V. Allora esiste una succes-sione (ξ1, ξ2, . . . ) in V tale che lim

n→+∞‖ϕ− ξn‖ = d.

Se d = 0,

limn→+∞

‖ϕ− ξn‖ = 0 =⇒ limn→+∞

ξn = ϕ

V chiuso

H di Hilbert

Prop. 2.16 pag. 32

⇓=⇒ V completo

=⇒ ϕ ∈ V

e in questo caso ϕ1 = ϕ e ϕ2 = 0 soddisfano l’enunciato del Lemma.Se d > 0 si osservi che per ogni m,n ∈ N\0 con m > n, vale∥∥∥∥ϕ− 1

2

(ξm + ξn

)∥∥∥∥2

+

∥∥∥∥1

2

(ξm − ξn

)∥∥∥∥2

=

=(ϕ− 1

2(ξm + ξn), ϕ−

1

2(ξm + ξn)

)+(1

2(ξm − ξn),

1

2(ξm − ξn)

)=

=[(ϕ, ϕ

)− 1

2

(ϕ, ξm

)− 1

2

(ϕ, ξn

)− 1

2

(ξm, ϕ

)+

1

4

(ξm, ξm

)+

1

4

(ξn, ξn

)+

− 1

2

(ξn, ϕ

)+

1

4

(ξn, ξm

)+

1

4

(ξn, ξn

)]+

+[14

(ξm, ξm

)− 1

4

(ξm, ξn

)− 1

4

(ξn, ξm

)+

1

4

(ξn, ξn

)]=

=1

2

(ϕ, ϕ

)− 1

2

(ϕ, ξm

)+

1

2

(ϕ, ϕ

)− 1

2

(ϕ, ξn

)+

− 1

2

(ξm, ϕ

)+

1

2

(ξm, ξm

)− 1

2

(ξn, ϕ

)+

1

2

(ξn, ξn

)=

=1

2

(ϕ, ϕ− ξm

)+

1

2

(ϕ, ϕ− ξn

)− 1

2

(ξm, ϕ− ξm

)− 1

2

(ξn, ϕ− ξn

)=

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46 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

=1

2

(ϕ− ξm, ϕ− ξm

)+

1

2

(ϕ− ξn, ϕ− ξn

)=

=1

2‖ϕ− ξm‖2 +

1

2‖ϕ− ξn‖2 .

Per come e stato scelto d, limm→+∞

‖ϕ− ξm‖ = limm→+∞

‖ϕ− ξn‖ = d, ed

inoltre, poiche 12(ξm + ξn) ∈ V , d 6

∥∥ϕ− 12(ξm + ξn)

∥∥ ; quindi

limn,m→+∞

∥∥∥∥1

2

(ξm − ξn

)∥∥∥∥2

= 0

ossia la successione (ξ1, ξ2, . . . ) e di Cauchy. Siccome V e chiuso e H e di Hil-bert, per la Proposizione 2.16 a pagina 32 V e completo, e dunque (ξ1, ξ2, . . . )ammette limite in V . Sia ξ tale limite.

Si ponga ora ϕ1 = ξ ∈ V . Per concludere la dimostrazione basta verificareche ϕ2 = ϕ − ϕ1 e tale che (ϕ2, ψ) = 0 ∀ψ ∈ V; non si perde generalitasupponendo che ψ sia normale, dato che (ϕ2, ψ) = ‖ψ‖ (ϕ2,

ψ‖ψ‖).

Sempre per come e stato scelto d,

‖ϕ2‖ = ‖ϕ− ϕ1‖ =∥∥ϕ− lim

n→+∞ξn∥∥ = lim

n→+∞‖ϕ− ξn‖ = d

e dato che ϕ1 e ψ appartengono a V

d 6 ‖ϕ− (ϕ1 + (ϕ2, ψ)ψ)‖ = ‖ϕ2 − (ϕ2, ψ)ψ‖ ;

siccome poi

0 = (ϕ2, ψ)− (ϕ2, ψ)

‖ψ‖=1⇓= (ϕ2, ψ)− (ϕ2, ψ)(ψ, ψ) =

=(ϕ2 − (ϕ2, ψ)ψ, ψ

)=⇒

(ψ, ϕ2 − (ϕ2, ψ)ψ

)= 0 ,

si ricava

(ϕ2, ψ)2 + d2 6 (ϕ2, ψ)2 + ‖ϕ2 − (ϕ2, ψ)ψ‖2 =

= (ϕ2, ψ)2 +(ϕ2 − (ϕ2, ψ)ψ, ϕ2 − (ϕ2, ψ)ψ

)=

= (ϕ2, ψ)2 +[(ϕ2, ϕ2)− (ϕ2, ψ)(ϕ2, ψ)− (ϕ2, ψ)

(ψ, ϕ2 + (ϕ2, ψ)ψ

)]=

= (ϕ2, ψ)2 + (ϕ2, ϕ2)− (ϕ2, ψ)2 = ‖ϕ2‖2 = d2

e quindi dev’essere (ϕ2, ψ) = 0.

Gli operatori che ammettono l’aggiunto sono caratterizzati dal seguente

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 47

Teorema 2.29. Sia H uno spazio di Hilbert e T un operatore su H didominio DT . Allora:

∃T ∗ ⇐⇒ DT e denso in H .

Dimostrazione. [1]

⇐Per la buona definizione di T ∗, bisogna dimostrare che se

∀ϕ ∈ H ∃ ϕ ∈ H : ∀ψ ∈ DT (ϕ, ψ) = (ϕ, Tψ) ,

allora tale ϕ e unico. Questo e vero poiche

∃ ϕ1, ϕ2 : (ϕ1, ψ) = (ϕ, Tψ) e (ϕ2, ψ) = (ϕ, Tψ) ∀ψ ∈ DT =⇒

=⇒ (ϕ1, ψ) = (ϕ2, ψ) ∀ψ ∈ DT

ϕ = ϕ1 − ϕ2

=⇒ (ϕ, ψ) = 0 ∀ψ ∈ DT

DT denso in Hϕ ∈ H

=⇒ ∃ ψ1, ψ2, . . . ∈ DT : lim

n→+∞ψn = ϕ

=⇒

=⇒ (ϕ, ϕ) = (ϕ, limn→+∞

ψn) = limn→+∞

(ϕ, ψn) = limn→+∞

0 = 0 =⇒

=⇒ ϕ = 0 =⇒ ϕ1 = ϕ2

Per dimostrare l’esistenza di T ∗, bisogna provare che DT ∗ 6= ∅; questo e vero,poiche ponendo T ∗(0) = 0, per le proprieta PS3. e PS1. a pagina 12, si ha:[

∀ϕ ∈ DT (0, Tψ) = 0 = (0, ψ) = (T ∗(0), ψ)]

=⇒ 0 ∈ DT ∗

⇒Per assurdo, sia DT non denso in H. In questo caso:

H\DT 6= ∅ =⇒ ∃ ϕ ∈ H\DT

Lemma 2.28a pag.45

⇓=⇒ ∃ ϕ1, ϕ2 :

ϕ = ϕ1 + ϕ2

ϕ1 ∈ DT

(ϕ2, ψ) = 0 ∀ψ ∈ DT

Ma

(ϕ2, ψ) = 0 ∀ψ ∈ DT

(0, Tψ) = 0 ∀ψ ∈ DT

⇒ (ϕ2, ψ) = (0, Tψ) ∀ψ ∈ DT ⇒ T ∗(0) = ϕ2

Proposizione 2.27 a pag. 44 ⇒ T ∗ lineare ⇒ T ∗(0) = 0

⇒ ϕ2 = 0 ⇒ ϕ = ϕ1 ∈ DT assurdo

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48 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

Gli operatori autoaggiunti godono della proprieta espressa dalla seguente

Proposizione 2.30. Se T e un operatore autoaggiunto su uno spazio diHilbert H, allora

(ϕ, Tϕ) ∈ R ∀ϕ ∈ H .

Dimostrazione. Si osservi che, per le definizioni di T ∗ data sopra e del pro-dotto scalare a pagina 12, per ogni ϕ, ψ ∈ H

(ϕ, Tψ) = (T ∗ϕ, ψ) = (ψ, T ∗ϕ)∗,

quindi, se T e un operatore autoaggiunto, vale

(ϕ, Tψ) = (ψ, Tϕ)∗

e dunque(ϕ, Tϕ) = (ϕ, Tϕ)∗ ∈ R .

Siano H uno spazio di Hilbert separabile e ϕ1, ϕ2, . . . una sua baseortonormale (Teoremi 2.21 a pagina 38 e 2.14 a pagina 31); un operatorelineare T suH e detto di classe traccia o di tipo traccia se la serie

∑i∈N

(ϕi, Tϕi)

converge allo stesso valore per ogni base ortonormale ϕ1, ϕ2, . . . di H. Sel’operatore lineare T e di classe traccia, il valore Tr(T ) =

∑i∈N

(ϕi, Tϕi) e

chiamato traccia di T . Si osservi che l’applicazione Tr e lineare.Un operatrore autoaggiunto di classe traccia prende il nome di operatore

densita quando la sua traccia e uguale a 1.Un operatore π su uno spazio di Hilbert H e detto proiettore o operatore

di proiezione sul sottospazio chiuso V di H se per ogni ϕ ∈ Hπ(ϕ) ∈ Ve(ϕ− π(ϕ), ψ

)= 0 ∀ψ ∈ V

e il valore π(ϕ) prende il nome di proiezione di ϕ sul sottospazio V .

Proposizione 2.31. La definizione appena data di proiettore o operatore diproiezione e una buona definizione.

Dimostrazione. [1] Bisogna dimostrare l’esistenza e l’unicita di π(ϕ) per ogniϕ ∈ H.

L’esistenza e garantita dal Lemma 2.28 a pagina 45.

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 49

L’unicita si prova osservando che per ogni ϕ1 ∈ V che verifica la condizione(ϕ− ϕ1, ψ

)= 0 ∀ψ ∈ V , si ricava che

‖π(ϕ)− ϕ1‖2 =(π(ϕ)− ϕ1, π(ϕ)− ϕ1

)=

=(π(ϕ)− ϕ+ ϕ− ϕ1, π(ϕ)− ϕ1

)=

= −(ϕ− π(ϕ), π(ϕ)− ϕ1

)+(ϕ− ϕ1, π(ϕ)− ϕ1

)=

= − 0 + 0 = 0

dato che (ϕ − π(ϕ), ψ) = 0 e (ϕ − ϕ1, ψ) = 0 ∀ψ ∈ V , e π(ϕ) − ϕ1 ∈ Vperche π(ϕ) e ϕ1 appartengono a V e V e sottospazio di H; quindi, per laproprieta N4. delle norme a pagina 12, ϕ1 = π(ϕ).

Proposizione 2.32. I proiettori, o operatori di proiezione, sono lineari.

Dimostrazione. [1] Dato che per ogni α, β ∈ C, ϕ1, ϕ2 ∈ V si ha che([αϕ1 + βϕ2]− [απ(ϕ1) + βπ(ϕ2)], ψ

)=

= α∗(ϕ1 − π(ϕ1), ψ

)+ β∗

(ϕ2 − π(ϕ2), ψ

)= α∗0 + β∗0 = 0

per ogni ψ ∈ V per definizione di π(ϕ1) e π(ϕ2), siccome π e ben definitadev’essere π(αϕ1 + βϕ2) = απ(ϕ1) + βπ(ϕ2).

Osservazione 2.33. Si osservi che gli operatori autoaggiunti e idempotentisono limitati di costante non superiore a 1; infatti, se A e un operatoreautoaggiunto e idempotente, allora per ogni ϕ ∈ DA si ha:

‖Aϕ‖2 =(Aϕ,Aϕ

)=⇑

A autoaggiunto

(AAϕ,ϕ

)=⇑

A idempotente

(Aϕ,ϕ

)6⇑

disug. Schwarzpag. 13

‖Aϕ‖ ‖ϕ‖

Il teorema che segue caratterizza i proiettori come gli operatori autoag-giunti e idempotenti.

Teorema 2.34. Sia π un operatore definito su tutto lo spazio di Hilbert H.Allora

π e di proiezione ⇐⇒

π = π∗

π = π2

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50 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

Dimostrazione. [1]

⇒Sia V il sottospazio chiuso di H su cui π e proiettore; per ogni ϕ, ψ ∈ H

si ottiene(ϕ, π(ψ)

)=(ϕ− π(ϕ), π(ψ)

)+(π(ϕ), π(ψ)

)=⇑

(ϕ−π(ϕ),π(ψ))=0⇑

π(ψ)∈V

=(π(ϕ), π(ψ)

)π(ϕ)∈V

⇓(π(ϕ),ψ−π(ψ))=0∗=0

⇓=

=(π(ϕ), ψ − π(ψ)

)+(π(ϕ), π(ψ)

)=(π(ϕ), ψ

)e per la definizione di operatore aggiunto e autoaggiunto a pagina 44 e peril Teorema 2.29 a pagina 47, π∗ = π.

Siccome π e ben definito eπ(ϕ) ∈ Ve(π(ϕ)− π(ϕ), ψ

)=(0, ψ

)= 0 ∀ψ ∈ V

dev’essere π(π(ϕ)) = π(ϕ) per ogni ϕ ∈ H, ossia π2 = π.

⇐Se π e un operatore autoaggiunto, esso e lineare per la Proposizione 2.27

a pagina 44. Allora l’insieme

V = ϕ ∈ H : π(ϕ) = ϕ

e un sottospazio vettoriale di H, poiche per ogni α, β ∈ C e ϕ, ψ ∈ V si ha

π(αϕ+ βψ) = απ(ϕ) + βπ(ψ) = αϕ+ βψ .

Per dimostrare che V e chiuso, si consideri un punto ϕ ∈ H di accumu-lazione per V . Per la Proposizione A.6 a pagina 124, esiste una successioneϕ1, ϕ2, . . . di elementi di V tale che ϕ = lim

n→+∞ϕn. Siccome π e limitato (per

l’Osservazione 2.33 a pagina 49) e lineare, per il Teorema 2.25 a pagina 42esso e continuo e dunque

π(ϕ) = π(

limn→+∞

ϕn)

= limn→+∞

π(ϕn)

ϕn∈V⇓= lim

n→+∞ϕn = ϕ .

Allora ϕ ∈ V , e per la Proposizione 2.2 a pagina 14 V e chiuso.Per provare che π(ϕ) ∈ V per ogni ϕ ∈ H basta osservare che, essendo

π2 = π,π(π(ϕ)

)= π(ϕ) =⇒

⇑definizione di V

π(ϕ) ∈ V .

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 51

Infine, per ogni ϕ ∈ H e ψ ∈ V si ha:(ϕ− π(ϕ), ψ

)=⇑

ψ∈V

(ϕ− π(ϕ), π(ψ)

)=⇑

π=π∗

(π(ϕ− π(ϕ)), ψ

)=⇑

π lineare

=(π(ϕ)− π(π(ϕ)), ψ

)=⇑

π=π2

(π(ϕ)− π(ϕ), ψ

)=

=(0 , ψ

)= 0

e con questo sono soddisfatte tutte le richieste della definizione di proiettoresul sottospazio V di pagina 48.

Il codominio dei proiettori e caratterizzato dal seguente

Corollario 2.35. Se π e un proiettore sul sottospazio V dello spazio di HilbertH, allora

V = ϕ ∈ H : π(ϕ) = ϕ .

Dimostrazione. La dimostrazione e contenuta nel ramo ⇐ della dimostra-zione del Teorema precedente.

Proposizione 2.36. I proiettori sono identificati dal sottospazio in cui giac-ciono le immagini degli elementi del loro dominio.

Dimostrazione. Se π fosse un proiettore sia sul sottospazio V1 che sul sot-tospazio V2, allora per il Corollario 2.35 a pagina 51 si ottiene subito cheV1 = V2.

Viceversa, se π1 e π2 soddisfano la definizione di proiettore sullo stessosottospazio V , allora per ogni ϕ ∈ H si ha

‖π1(ϕ)− π2(ϕ)‖2 =(π1(ϕ)− π2(ϕ), π1(ϕ)− π2(ϕ)

)=

=(π1(ϕ)− ϕ+ ϕ− π2(ϕ), π1(ϕ)− π2(ϕ)

)=

= −(ϕ− π1(ϕ), π1(ϕ)

)+(ϕ− π2(ϕ), π1(ϕ)

)+

+(ϕ− π1(ϕ), π2(ϕ)

)−(ϕ− π2(ϕ), π2(ϕ)

)=⇑

π1(ϕ),π2(ϕ)∈Vπ1,π2 proiettori su V= − 0 + 0− 0 + 0 = 0

e quindi per la proprieta N4. delle norme a pagina 12, π1(ϕ) = π2(ϕ) per ogniϕ ∈ H, ossia π1 = π2.

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52 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

Proposizione 2.37.

H spazio di Hilbert separabileπ proiettore su V 6 H

ψ1, ψ2, . . . base ortonormale di V

=⇒ ∀ϕ ∈ H π(ϕ) =∑i∈N

(ψi, ϕ

)ψi

Dimostrazione. Per il Corollario 2.11 a pagina 28, sia ψ1, ψ2, . . . , ϕ1, ϕ2, . . . una base ortonormale di H. Allora, per ogni ϕ ∈ H

π(ϕ)

Prop.2.15,pag.32⇓= π

(∑i∈N

(ψi, ϕ

)ψi +

∑j∈N

(ϕj, ϕ

)ϕj

)Prop.2.32,pag.49⇓=

=∑i∈N

(ψi, ϕ

)π(ψi) +

∑j∈N

(ϕj, ϕ

)π(ϕj)

Corol.2.35,pag.51Prop.2.15,pag.32

π(ϕj)∈V⇓=

=∑i∈N

(ψi, ϕ

)ψi +

∑j∈N

(ϕj, ϕ

)(∑k∈N

(ψk, π(ϕj)

)ψk

)(ψk,π(ϕj))

π=π∗⇓= (π(ψk),ϕj)

ϕj⊥V3π(ψk)⇓= 0

⇓=

=∑i∈N

(ψi, ϕ

)ψi +

∑j∈N

(ϕj, ϕ

)(∑k∈N

0ψk

)=∑i∈N

(ψi, ϕ

)ψi

I proiettori forniscono un primo esempio di operatori di classe traccia edi operatori densita, come asserito dalla

Proposizione 2.38. I proiettori su sottospazi di dimensione finita di spazidi Hilbert separabili sono operatori di classe traccia.I proiettori su spazi monodimensionali sono operatori densita.

Dimostrazione. Sia π un proiettore sul sottospazio V dello spazio di Hilbertseparabile H, e siano ψ1, . . . , ψn e ψ1, . . . , ψn, ϕ1, ϕ2, . . . rispettivamenteuna base ortonormale di V e una base ortonormale di H contenente quelladi V (Corollario 2.11 a pagina 28). Se ξ1, ξ2, . . . e un’altra base ortonormaledi H, allora per la Proposizione 2.15 a pagina 32

αki =(ψi, ξk

), αkj =

(ϕj, ξk

), βik =

(ξk, ψi

)= α∗ki , γjk =

(ξk, ϕj

)= α∗kj

sono i coefficienti di Fourier tali che per ogni k ∈ N, i ∈ 1, . . . , n e j ∈ N

ξk =n∑i=1

αkiψi +∑i∈N

αkjϕj , ψi =∑k∈N

βikξk , ϕj =∑k∈N

γjkξk .

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 53

Allora, siccome per ogni i, r ∈ 1, . . . , n e j, s ∈ N(ψi, π(ψr)

)=⇑

Corollario 2.35

(ψi, ψr

)= δir(

ψi, π(ϕs))

=⇑

π=π∗

(π(ψi), ϕs

)=⇑

ϕs⊥V3π(ψi)

0

(ϕj, π(ψr)

)=⇑

ϕj⊥V3π(ψr)

0 =⇑

ϕj⊥V3π(ψs)

(ϕj, π(ψs)

)si ricava, grazie alla Proposizione precedente,

∑k∈N

(ξk, π(ξk)

)=∑k∈N

( n∑i=1

αkiψi +∑j∈N

αkjϕj ,

n∑r=1

αkrψr

)=

=∑k∈N

[ n∑i=1

n∑r=1

α∗kiαkr(ψi, π(ψr)

)+∑j∈N

n∑r=1

α∗kjαkr(ϕj, π(ψr)

)]=

=∑k∈N

n∑i=1

α∗kiαki =∑k∈N

n∑i=1

βikβ∗ik =

ξ1,ξ2,... ortonormali

=n∑i=1

∑k∈N

∑l∈N

βikβ∗il

(ξl, ξk

)=

n∑i=1

(∑l∈N

βilξl ,∑k∈N

βikξk

)=

=n∑i=1

(ψi, ψi

)=⇑

ψ1,ψ2,... ortonormali

n∑i=1

1 = n < +∞

Quindi Tr(π) = n, dove n e la dimensione del sottospazio V .Se la dimensione di V e 1, allora Tr(π) = 1 e dunque π e un operatore

densita.

La proposizione che segue riveste una grande importanza nella formaliz-zazione del concetto di risultato di una misura fisica.

Proposizione 2.39. Siano H uno spazio di Hilbert separabile, ϕ ∈ H, πϕ ilproiettore sul sottospazio generato da ϕ e A un operatore autoaggiunto su H.Allora

Tr(πϕA) =(ϕ,Aϕ

)Dimostrazione. Senza perdita di generalita, si assuma che ϕ sia normale.Siano poi ϕ0 = ϕ, ϕ0, ϕ1, ϕ2, . . . una base ortonormale di H (per il Co-rollario 2.11 a pagina 28) e ξ1, ξ2, . . . una generica base ortonormale di H.

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54 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

Utilizzando la Proposizione 2.15 a pagina 32, il Teorema 2.34 a pagina 49 ela Proposizione 2.37 a pagina 52 si ottiene

∑k∈N

(ξk,πϕAξk

) π∗ϕ=πϕ⇓=

∑k∈N

(πϕ(ξk), Aξk

)=

=∑k∈N

((ϕ0, ξk

)ϕ0,∑i∈N

(ϕi, Aξk

)ϕi

) A∗=A⇓=

=∑k∈N

((ϕ0, ξk

)ϕ0,∑i∈N

(Aϕi, ξk

)ϕi

)=

=∑k∈N

∑i∈N

(ϕ0, ξk

)∗(Aϕi, ξk

)(ϕ0, ϕi

)ϕ0,ϕ1,... ortonormali⇓=

=∑k∈N

(ϕ0, ξk

)∗(Aϕ0, ξk

)(ϕ0, ϕ0

)=

(Aϕ0,

∑k∈N

(ξk, ϕ0

)ξk

)=

=(Aϕ0, ϕ0

) A∗=A⇓=

(ϕ0, Aϕ0

) ϕ=ϕ0⇓=(ϕ,Aϕ

)Sia T un operatore lineare e T ∗ il suo aggiunto. T e detto operatore

unitario se T ∗T = TT ∗ = I, dove I indica l’operatore identico.Le immagini attraverso un operatore unitario degli elementi di una base

ortonormale costituiscono ancora una base ortonormale; infatti vale la

Proposizione 2.40. Se T e un operatore unitario sullo spazio di Hilbert He ϕ0, ϕ1, ϕ2, . . . e una sua base ortonormale, anche Tϕ0, Tϕ1, Tϕ2, . . . e unabase ortonormale di H.

Dimostrazione. L’ortonormalita discende dal fatto che(Tϕi, Tϕj

)=(ϕi, T

∗Tϕj)

=(ϕi, ϕj

)= δij .

Per l’indipendenza lineare si osservi che

0 =∑i∈NαiTϕi

Propr. N4. pag.12delle norme

⇓⇐⇒ 0 =(∑i∈NαiTϕi,

∑j∈N

αjTϕj)

=∑i∈N

∑j∈N

αiαj(Tϕi, Tϕj

)=

=∑i∈N

∑j∈N

αiαj(ϕi, T

∗Tϕj)T ∗T=I⇓=∑i∈N

∑j∈N

αiαj(ϕi, ϕj

)=⇑

(ϕi,ϕj)=δij

=∑i∈Nα2i ⇐⇒

⇐⇒ 0 = αi ∀ i ∈ N

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 55

Le trasformazioni unitarie conservano la traccia di un operatore e la suaproprieta di essere autoaggiunto, come dimostrato di seguito.

Proposizione 2.41. Sia T e un operatore unitario. Allora

A operatore di classe traccia =⇒ Tr(T ∗AT ) = Tr(TAT ∗) = Tr(A)

A operatore autoaggiunto =⇒ T ∗AT e TAT ∗ sono autoaggiunti

Dimostrazione. Sia ϕ0, ϕ1, ϕ2, . . . e una base ortonormale dello spazio diHilbert considerato. Allora

Tr(T ∗AT ) =∑i∈N

(ϕi, T

∗ATϕi)

=∑i∈N

(Tϕi, ATϕi

)=⇑

Prop. 2.40

Tr(A) .

Per TAT ∗ i passaggi sono analoghi.Siano ϕ e ψ due elementi dello spazio di Hilbert. T ∗AT e autoaggiunto

poiche(ϕ, T ∗ATψ

)=(Tϕ,ATψ

)=(A∗Tϕ, Tψ

)=⇑

A∗=A

(ATϕ, Tψ

)=(T ∗ATϕ, ψ

)e similmente TAT ∗.

Se 0 6= ϕ ∈ H , α ∈ C e T e un operatore lineare su H, e sono tali che

Tϕ = αϕ ,

ϕ e detto autovettore di T , e α autovalore di T relativo all’autovettore ϕ; nelcaso in cui H sia uno spazio di funzioni, ϕ e detto anche autofunzione.

2.1.5 Il teorema spettrale in forma PVM, il teoremadi Gleason e il teorema di Stone

Una misura a valori nei proiettori (locuzione abbreviata con la sigla PVM,dall’inglese Projection Valued Measure) e definita come un’applicazione

ω : B(R) 7−→ Π(H)

tra la σ-algebra B(R) dei boreliani di R nella topologia della metrica euclideae l’insieme Π(H) dei proiettori dello spazio di Hilbert H tale che [24]

ω(∅) = O (operatore nullo)

ω(R) = I (operatore identita)

ω(⋃i∈N

Bi

)=∑i∈Nω(Bi) ⇐=

Bi ∈ B(R) ∀ i ∈ NBr ∩ Bs = ∅ ⇐ r 6= s

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56 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

dove con∑i∈Nω(Bi) si intende l’operatore tale che

limN→+∞

∥∥∥∥∥[N∑i=0

ω(Bi)](ϕ)−

[∑i∈N

ω(Bi)](ϕ)

∥∥∥∥∥ = 0 ∀ϕ ∈ H .

Proposizione 2.42. Siano H uno spazio di Hilbert separabile, ω una mi-sura a valori nei proiettori (PVM) di H e ϕ un elemento di H. Alloral’applicazione

µϕω : B(R) −→ [0,+∞]B 7−→ µϕω(B) =

(ϕ, ω(B)ϕ

)e una misura sullo spazio misurabile (R,B(R)).

Dimostrazione. Siano B un boreliano di R nella topologia della metrica eu-clidea e ψ1, ψ2, . . . una base ortonormale del sottospazio su cui giaccionole proiezioni attraverso ω(B).Allora:

µϕω(B) =(ϕ, ω(B)ϕ

)Proposizione 2.37pag.52⇓=(ϕ,∑i∈N

(ψi, ϕ)ψi)

=∑i∈N

(ψi, ϕ)(ϕ, ψi) =

=∑i∈N

(ϕ, ψi)∗(ϕ, ψi) =

∑i∈N

‖(ϕ, ψi)‖2 > 0

µϕω

(⋃i∈N

Bi

)=(ϕ, ω

(⋃i∈N

Bi

)ϕ)ω e PVM

⇓=(ϕ,(∑i∈N

ω(Bi))ϕ)

=∑i∈N

(ϕ, ω(Bi)ϕ

)=

=∑i∈N

µϕω(Bi)

∅ ∈ B(R)

µϕω(∅) =(ϕ, ω(∅)ϕ

)ω e PVM⇓=(ϕ,Oϕ

)=(ϕ, 0)

= 0

=⇒ ∃B ∈ B(R) :

µϕω(B) < +∞

dove B1,B2, . . . ⊆ B(R) sono tali che ∀ r, s ∈ N [r 6= s⇒ Br ∩ Bs = ∅].

Il teorema spettrale in forma PVM [24] mette in corrispondenza biuni-voca gli operatori autoaggiunti di uno spazio di Hilbert e le misure a valorinei proiettori di quello spazio. Di esso verra fatto un uso molto ampio sianella formalizzazione del concetto di risultato di una misura fisica che nel-la descrizione degli effetti di oscillazione quantistica, che sono l’obiettivo diquesta tesi.

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 57

Teorema 2.43 (Teorema spettrale in forma PVM). Se H e uno spazio diHilbert, A(H) e l’insieme dei suoi operatori autoaggiunti e Ω(H) e l’insiemedelle misure a valori nei suoi proiettori, allora esiste una biezione A(H) −→Ω(H), che si ricava dall’equazione(

ϕ,Aϕ)

=

∫Rid dµϕω ∀ϕ ∈ H

per A ∈ A(H) e ω ∈ Ω(H), dove id indica l’applicazione identica e µϕω lamisura su (R,B(R)) data da µϕω(B) =

(ϕ, ω(B)ϕ

)(grazie alla Proposizione

precedente).Inoltre, per ogni funzione boreliana f : R −→ C e per ogni operatore

autoaggiunto A ∈ A(H), l’operatore f(A) risulta ben definito dalla relazione(ϕ, f(A)ϕ

)=

∫Rf dµϕωA

per ogni ϕ ∈ ψ ∈ H :∫R|f |2 dµψωA < +∞, dove ωA indica la PVM

associata ad A.

Per l’articolata dimostrazione si fa riferimento al testo [24] della biblio-grafia.

Osservazione 2.44. Utilizzando la definizione di funzione di un operatoreautoaggiunto contenuta nel precedente Teorema spettrale, si puo vedere fa-cilmente che per ogni operatore autoaggiunto A l’aggiunto dell’operatore eiA

e l’operatore e−iA, e che eiA e un operatore unitario (e indica il numero diNepero ed i l’unita immaginaria).

Il teorema di Gleason, enunciato di seguito, viene usato per mettere in bie-zione le misure di probabilita sui proiettori (identificati dai relativi sottospazichiusi per la Proposizione 2.36 a pagina 51) e gli operatori densita.

Teorema 2.45 (Teorema di Gleason). Sia H uno spazio di Hilbert (reale ocomplesso) separabile di dimensione diversa da 2 e L(H) l’insieme dei suoisottospazi chiusi. Allora

∀µ : L(H) −→ RV 7−→ µ(V) : µ(0) = 0

µ(H) = 1

µ(<⋃i∈N

Vi >) =∑i∈N

µ(Vi) ⇐

Vi ∈ L(H) ∀ i ∈ N

Vr ∩ Vs = ∅ ⇐ r 6= s

∃ ! ρµ : H −→ H operatore densita tale che

µ(V) = Tr(ρµπV) ∀V ∈ L(H)

ove πV indica il proiettore sul sottospazio V.

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58 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

La dimostrazione del teorema di Gleason risulta alquanto elaborata epuo essere reperita nel testo [30]; la biezione annunciata sopra si ottieneosservando che, per il Corollario 2.11 a pagina 28 e per la Proposizione 2.37a pagina 52, per ogni operatore densita ρ l’applicazione µρ dai sottospazichiusi ai numeri reali tale che ad ogni sottospazio chiuso V associa il valoreµρ(V) = Tr(ρπV) (dove πV e ancora il proiettore sul sottospazio V) soddisfale tre proprieta dell’applicazione µ dell’enunciato del teorema di Gleason.

Se U(x) : x ∈ R e un insieme di operatori unitari su uno spazio di Hil-bert dipendenti dal parametro reale x tale che U(0) = I (operatore identico)e che per la composizione valga la formula U(x1)U(x2) = U(x1 + x2) perogni x1, x2 ∈ R, allora esso insieme all’operazione di composizione possiedela struttura di gruppo abeliano, indicato con la locuzione gruppo unitario aun parametro (l’elemento neutro e dato ovviamente dall’operatore identico,e la simmetrizzabilita e le proprieta associativa e commutativa discendonodalla validita delle stesse per la somma di numeri reali).Inoltre, se per x → x0 vale U(x)ϕ → U(x0)ϕ per ogni elemento ϕ del-lo spazio di Hilbert, il gruppo unitario a un parametro e detto fortementecontinuo.

Proposizione 2.46. Se A e un operatore autoaggiunto di uno spazio diHilbert H, l’insieme eixA : x ∈ R e un gruppo unitario a un parametrofortemente continuo.

Dimostrazione. [24] Innanzitutto, ponendo f(z) = eixz, z ∈ R, vale

∫R|f |2 dµψωA =

∫R

1 dµψωA

Oss. 2.44⇓= µψωA(R)

def. di µψωA del

Teorema spettrale⇓=(ψ, ωA(R)ψ

)ωA e PVM⇓=(ψ, Iψ

)= ‖ψ‖2

e dunque l’insieme ψ ∈ H :∫R|f |2 dµψωA < +∞ e l’intero H.

Per l’Osservazione 2.44 a pagina 57 eixA : x ∈ R e un insieme di opera-tori unitari. Inoltre, per le definizioni contenute nel Teorema spettrale 2.43e quella di misura a valori nei proiettori a pagina 55, si ha che ei0A = I eper ogni x1, x2 ∈ R vale ei(x1+x2)A = eix1Aeix2A. Dunque eixA : x ∈ R e ungruppo unitario a un parametro.

Inoltre, per ogni ϕ ∈ H normale,

limx→x0

∥∥eixAϕ− eix0Aϕ∥∥2

= limx→x0

(eixAϕ− eix0Aϕ, eixAϕ− eix0Aϕ

)Oss. 2.44⇓=

= limx→x0

[(ϕ, eixA−ixAϕ

)−(ϕ, eix0A−ixAϕ

)+

−(ϕ, eixA−ix0Aϕ

)+(ϕ, eix0A−ix0Aϕ

)]=

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 59

= limx→x0

[(ϕ, ϕ

)−(ϕ, eix0A−ixAϕ

)−(ϕ, eixA−ix0Aϕ

)+(ϕ, ϕ

)]ϕ normale⇓=

= limx→x0

[2−

(ϕ, eix0A−ixAϕ

)−(ϕ, eixA−ix0Aϕ

)]Ponendo fx−(z) = ei(x0−x)z e fx+(z) = ei(x−x0)z per z ∈ R, si ottiene che|fx−(z)| = |fx+(z)| = 1 per ogni z ∈ R, e la funzione costante di valore 1 emisurabile e vale, per quanto visto all’inizio di questa dimostrazione,∫

R|1| dµψωA =

∫R

1 dµψωA = ‖ψ‖2 < +∞

per ogni ψ ∈ H. Allora e possibile usare il teorema della convergenza domina-ta (reperibile per esempio nel testo indicato al riferimento bibliografico [29])e passare il limite sotto il segno di integrale; quindi,

limx→x0

∥∥eixAϕ− eix0Aϕ∥∥2

= limx→x0

[2−

(ϕ, eix0A−ixAϕ

)−(ϕ, eixA−ix0Aϕ

)]=

= limx→x0

[2−

∫Rfx− dµϕωA −

∫Rfx+ dµϕωA

] teorema dellaconvergenza dominata

⇓=

= 2−∫

Rlimx→x0

fx− dµϕωA −∫

Rlimx→x0

fx+ dµϕωA

limx→x0

fx−= limx→x0

fx+=1

⇓=

= 2−∫

R1 dµϕωA −

∫R

1 dµϕωA = 2− ‖ϕ‖2 − ‖ϕ‖2ϕ normale

⇓= 0

Siccome eixAϕ = ‖ϕ‖ eixA ϕ‖ϕ‖ , per ogni ϕ ∈ H si ha che eixAϕ → eix0Aϕ per

x → x0, e dunque eixA : x ∈ R e un gruppo unitario a un parametrofortemente continuo.

Per i gruppi unitari a un parametro fortemente continui vale il

Teorema 2.47 (Teorema di Stone). Per ogni gruppo unitario a un parametroU(x) : x ∈ R fortemente continuo su uno spazio di Hilbert H esiste unoperatore autoaggiunto A su H tale che per ogni x ∈ R

U(x) = eixA

(il significato di eixA e definito nel Teorema spettrale 2.43).

Anche la dimostrazione del Teorema di Stone e contenuta nel riferimentobibliografico [24].

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60 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

2.1.6 Prodotto tensoriale di spazi di Hilbert

Siano H1,H2, . . . ,Hn spazi vettoriali su uno stesso campo K. Se anche H euno spazio vettoriale su K, e

⊗ : H1 × · · · × Hn −→ H

e un’applicazione multilineare con la seguente prorieta:

[Tens.] ∀ g : H1 × · · · × Hn −→ V multilineare, V spazio vettoriale su K,

∃ ! h : H −→ V lineare tale che g = h ⊗

allora lo spazio H e detto prodotto tensoriale (algebrico [1]) degli spazi vet-toriali H1, . . . ,Hn determinato dall’applicazione ⊗ [27, 28]. Anche l’applica-zione ⊗ e detta prodotto tensoriale: il contesto in cui la locuzione e usatachiarisce se si sta trattando dello spazio vettoriale o dell’applicazione.

Data una n-upla di spazi vettoriali e sempre possibile parlare del loroprodotto tensoriale, grazie al

Teorema 2.48. Ogni n-upla di spazi vettoriali ammette un prodotto tenso-riale (algebrico).

Dimostrazione. [27] Un esempio di prodotto tensoriale (algebrico) degli spazivettorialiH1, . . . ,Hn sul campo K e dato dall’insieme Mult(H∗

1×· · ·×H∗n,K)

delle applicazioni multilineari da H∗1×· · ·×H∗

n a K, dove H∗j indica l’insieme

delle applicazioni lineari da Hj a K, ovvero lo spazio duale di Hj, per ognij ∈ 1, . . . , n.

La struttura di spazio vettoriale sul campo K di Mult(H∗1×· · ·×H∗

n,K) edi H∗

j per ogni j ∈ 1, . . . , n con le usuali operazioni di somma di funzioni edi moltiplicazione per uno scalare discendono dal fatto che essi sono formatida applicazioni lineari.

L’applicazione ⊗ che determina il prodotto tensoriale e

⊗: H1 × · · · × Hn −→ Mult(H∗1 × · · · × H∗

n,K)

(ϕ1, . . . , ϕn) 7−→ (ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕn): H∗1 × · · · × H∗

n −→ K(f1, . . . , fn) 7−→ f1(ϕ1) · · · fn(ϕn)

ed e multilineare poiche fj ∈ H∗j e lineare per ogni j ∈ 1, . . . , n. Per

verificare la proprieta [Tens.] per ⊗, ossia che

∀ g : H1 × · · · × Hn −→ V multilineare, V spazio vettoriale su K,∃ ! h : Mult(H∗

1 × · · · × H∗n,K) −→ V lineare tale che g = h ⊗

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 61

si osservi che se per ogni j ∈ 1, . . . , n l’insieme ϕji : i ∈ Ij e una baseper Hj con Ij un opportuno insieme di indici, allora

B = ϕ1i1 ⊗ ϕ2i2 ⊗ · · · ⊗ ϕnin : ij ∈ Ij, j ∈ 1, . . . , n

e una base per Mult(H∗1 × · · · × H∗

n,K) (Teorema A.10 a pagina 127 del-l’Appendice). Data allora g : H1 × · · · × Hn −→ V multilineare, per ilTeorema 2.13 a pagina 30 sia h : Mult(H∗

1 × · · · × H∗n,K) −→ V l’unica

applicazione lineare tale che

h|B : B −→ Vϕ1i1 ⊗ · · · ⊗ ϕnin 7−→ g(ϕ1i1 , . . . , ϕnin)

Manca da dimostrare soltanto che g = h ⊗, che e banale per com’e statadefinita h, poiche h e lineare e g e ⊗ sono multilineari.

Il prodotto tensoriale di una n-upla di spazi vettoriali e sostanzialmenteunico, nel senso che l’applicazione ⊗ e unica a meno di isomorfismi, comeprecisato dalla seguente:

Proposizione 2.49. Siano H e K prodotti tensoriali degli spazi vettorialiH1,H2, . . . ,Hn determinati rispettivamente dalle applicazioni multilineari

⊗ : H1 × · · · × Hn −→ H : H1 × · · · × Hn −→ K.

Allora ∃ ! f : H −→ K isomorfismo di spazi vettoriali tale che = f ⊗.

Dimostrazione. [27] Per la definizione di prodotto tensoriale determinatoda ⊗ si ha:[

proprieta [Tens.] riferita a ⊗con g = e V = K

]=⇒

[∃ ! f : H −→ K lineare

tale che = f ⊗

]Per provare che f e l’unico isomorfismo di spazi vettoriali tra H e K

manca da dimostrare che f e biiettiva.La definizione di prodotto tensoriale determinato da da:[

proprieta [Tens.] riferita a con g = ⊗, V = H e H = K

]=⇒

[∃ ! l : K −→ H lineare

tale che ⊗ = l

]Allora, per la proprieta associativa della composizione di funzioni,

= f ⊗ = (f l) ⊗ = l = (l f) ⊗ ,

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62 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

e (f l) ed (l f) risultano lineari poiche sono composizione di applicazionilineari.

Siano idH e idK le funzioni identiche su H e K rispettivamente. Anch’essesono lineari e soddisfano le relazioni:

= idK ⊗ = idH ⊗ .

Usando ancora la definizione di prodotto tensoriale si ricava:[proprieta [Tens.] riferita a con g = , V = K e H = K

]=⇒

[∃ ! h : K −→ K lineare

tale che = h

](f l) : K−→ K lineare tale che = (f l) idK : K−→ K lineare tale che = idK

unicita⇓

=⇒

=⇒ (f l) = idK

[proprieta [Tens.] riferita a ⊗

con g = ⊗ e V = H

]=⇒

[∃ ! h : H −→ H lineare

tale che ⊗ = h ⊗

](l f) : H−→ H lineare tale che ⊗ = (l f) ⊗idH : H−→ H lineare tale che ⊗ = idH ⊗

unicita⇓

=⇒

=⇒ (l f) = idH

Allora f e biiettiva (Proposizione A.9 in Appendice, a pagina 126), edunque e l’isomorfismo dell’enunciato della proposizione.

L’unicita a meno di isomorfismi del prodotto tensoriale di una n-upladi spazi vettoriali H1,H2, . . . ,Hn consente di indicare genericamente taleprodotto con

H1 ⊗H2 ⊗ · · · ⊗ Hn ;

inoltre, se (ϕ1, ϕ2, . . . , ϕn) ∈ H1×H2×· · ·×Hn e l’applicazione ⊗ determinaun prodotto tensoriale degli spazi vettoriali H1, . . . ,Hn, il simbolo

ϕ1 ⊗ ϕ2 ⊗ · · · ⊗ ϕn

rappresenta ⊗(ϕ1, ϕ2, . . . , ϕn) e prende il nome di prodotto tensoriale di(ϕ1, ϕ2, . . . , ϕn).

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 63

Osservazione 2.50. Si osservi che per ogni i ∈ 1, 2, . . . , n, per la multili-nearita di ⊗ vale:

ϕ1 ⊗ · · · ⊗ (αϕi + βψi)⊗ · · · ⊗ ϕn =

= α(ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕi ⊗ · · · ⊗ ϕn) + β(ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ψi ⊗ · · · ⊗ ϕn)

per ogni scelta di ϕ1 ∈ H1, . . . , ϕi, ψi ∈ Hi, . . . , ϕn ∈ Hn, α, β ∈ K. Allora,se ϕi = 0 per i ∈ 1, . . . , n, qualunque siano ϕ1, . . . , ϕi−1, ϕi+1, . . . , ϕn si ha

ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕi−1 ⊗ 0⊗ ϕi+1 ⊗ · · · ⊗ ϕn = 0H1⊗···⊗Hn

dove 0H1⊗···⊗Hn indica l’elemento neutro di H1 ⊗ · · · ⊗ Hn; inoltre, in ge-nerale, una combinazione lineare di prodotti tensoriali non si puo scriverecome prodotto tensoriale di combinazioni di vettori; infatti, per n = 2, conϕ1, ψ1 ∈ H1 e ϕ2, ψ2 ∈ H2, si ottiene in generale:

ϕ1 ⊗ ϕ2 + ψ1 ⊗ ψ2 6=6= ϕ1 ⊗ ϕ2 + ϕ1 ⊗ ψ2 + ψ1 ⊗ ϕ2 + ψ1 ⊗ ψ2 = (ϕ1 + ψ1)⊗ (ϕ2 + ψ2) .

Una rappresentazione utile degli elementi di H1⊗ · · ·⊗Hn si ricava dallaseguente

Proposizione 2.51. Lo spazio vettoriale H1⊗· · ·⊗Hn e generato dai prodottitensoriali degli elementi di H1 × · · · × Hn.

Dimostrazione. Sia E ⊆ H1 ⊗ · · · ⊗ Hn l’insieme delle combinazioni linearidei prodotti tensoriali degli elementi di H1 × · · · × Hn, ossia il sottospaziodi H1 ⊗ · · · ⊗ Hn generato da tali prodotti tensoriali; allora anche E e unospazio vettoriale (sullo stesso campo). Se si costruisce un prodotto tensoriale : H1 × · · · × Hn −→ E , ricorrendo alla Proposizione 2.49 a pagina 61 siottiene che H1 ⊗ · · · ⊗ Hn ≈ E , ed essendo E 6 H1 ⊗ · · · ⊗ Hn, si concludeche H1 ⊗ · · · ⊗ Hn = E .

L’applicazione : H1 × · · · × Hn −→ E

(ϕ1, . . . , ϕn) 7−→ ⊗(ϕ1, . . . , ϕn)

e multilineare perche lo e ⊗, e soddisfa la proprieta [Tens.] della definizionedi prodotto tensoriale di pagina 60. Infatti, siano

g : H1 × · · · × Hn −→ V

un’applicazione multilineare e V uno spazio vettoriale (sullo stesso campo);allora[

proprieta [Tens.] a pag. 60con H = H1 ⊗ · · · ⊗ Hn

]=⇒

[∃ ! h : H1 ⊗ · · · ⊗ Hn −→ Vlineare tale che g = h ⊗

]

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64 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

Sia f = h|E la restrizione di h a E . Essa esiste ed e lineare perche h esisteed e lineare. Inoltre, per ogni ϕ ∈ H1 × · · · × Hn si ha:(

f )(ϕ)= scelta

di

f=h|E⊗(ϕ)∈E

= f((ϕ)

) ⇓= f

(⊗(ϕ)

) ⇓= h

(⊗(ϕ)

)=

=(h ⊗

)(ϕ) = g(ϕ) ,

quindi f e tale che g = f .Essa e poi l’unica con queste proprieta, perche se ce ne fosse un’altra,

f1, diversa da f , per ogni base BE di E (vedi Teorema 2.9 a pagina 27) f1

dovrebbe differire da f in almeno un vettore di tale base (altrimenti f1 e fcoinciderebbero per il Teorema 2.13 a pagina 30), e quindi il prolungamentoper linearita (ancora per il Teorema 2.13) dell’applicazione h1 definita su unabase B di H1 ⊗ · · · ⊗ Hn contenente la base BE di E (vedi Corollario 2.11 apagina 28) e tale che

h1(ϕ) = f1(ϕ) ∀ϕ ∈ BE

sarebbe un’applicazione lineare H1 ⊗ · · · ⊗ Hn −→ V diversa da h, che eassurdo per l’unicita di h.

Allora anche E e un prodotto tensoriale di H1 × · · · × Hn e quindi, perla Proposizione 2.49 a pagina 61, E e H1 ⊗ · · · ⊗ Hn sono isomorfi, dunqueuguali siccome E 6 H1 ⊗ · · · ⊗ Hn.

Per la proposizione appena dimostrata, poiche H1 ⊗ · · · ⊗ Hn e generatodai prodotti tensoriali degli elementi di H1 × · · · × Hn, i suoi elementi sonoscrivibili nella forma:

m∑i=1

αi(ϕ1,i ⊗ ϕ2,i ⊗ · · · ⊗ ϕn,i)

con (ϕ1,i, . . . , ϕn,i) ∈ H1 × · · · × Hn e αi ∈ C per ogni i ∈ 1, 2, . . . ,m,m ∈ N.

SeH1,H2, . . . ,Hn sono spazi di Hilbert sul campo C con i prodotti scalari( , )1, ( , )2, . . . , ( , )n nell’ordine, e H1⊗a · · ·⊗aHn e loro prodotto tensorialealgebrico determinato dall’applicazione ⊗a, sia

( , ) : (H1 ⊗a · · · ⊗a Hn)× (H1 ⊗a · · · ⊗a Hn) −→ C

l’applicazione i cui valori sono definiti da:( r∑i=1

αi(ϕ1,i ⊗a · · · ⊗a ϕn,i) ,s∑j=1

βj(ψ1,j ⊗a · · · ⊗a ψn,j)

)=

=r∑i=1

( s∑j=1

α∗iβj

( n∏k=1

(ϕk,i, ψk,j)k

)).

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 65

Essa soddisfa la definizione di prodotto scalare di pagina 12 (grazie al fattoche le operazioni sono in numero finito, la dimostrazione si esegue attraversosemplici passaggi aritmetici); lo spazio di Hilbert che e il completamento (siveda pagina 18 per la definizione) dello spazio prehilbertiano H1⊗a · · ·⊗aHn

con il prodotto scalare appena descritto e detto prodotto tensoriale (hil-bertiano [1]) degli spazi di Hilbert H1, . . . ,Hn, ed e anch’esso indicato conH1 ⊗ · · · ⊗Hn [2]; se f e un’applicazione che determina l’immersione densadi H1 ⊗a · · · ⊗a Hn in H1 ⊗ · · · ⊗ Hn, con ⊗ si intende l’applicazione

⊗ : H1 × · · · × Hn −→ H1 ⊗ · · · ⊗ Hn

(ϕ1, . . . , ϕn) 7−→ f(ϕ1 ⊗a · · · ⊗a ϕn)

Quando gli spazi H1, . . . ,Hn sono di Hilbert, se non diversamente precisatocon H1 ⊗ · · · ⊗ Hn ci si riferisce al prodotto tensoriale hilbertiano.

Anche per i prodotti tensoriali di spazi di Hilbert vale la Proposizione 2.49a pagina 61 che ne afferma l’unicita a meno di isomorfismi: infatti, l’isomor-fismo di spazi vettoriali f della dimostrazione e anche isomorfismo di spazi diHilbert, poiche i due prodotti tensoriali e ⊗ conservano il prodotto scalareper definizione e = f ⊗.

Se gli spazi di Hilbert H1, . . . ,Hn sono separabili, lo e anche il loro pro-dotto tensoriale (hilbertiano), e una sua base, o sistema completo, puo esserecostruita a partire dalle basi dei singoli spazi, come affermato dal seguente

Teorema 2.52. Sia n ∈ N, e per ogni j ∈ 1, . . . , n siano Hj uno spaziodi Hilbert, Ij un opportuno insieme di indici e ϕji : i ∈ Ij una base, osistema completo, di Hj. Allora ϕ1i1 ⊗ · · · ⊗ ϕnin : ij ∈ Ij, j ∈ 1, . . . , ne una base di H1 ⊗ · · · ⊗ Hn.

Inoltre, se H1, . . . ,Hn sono separabili, allora H1 ⊗ · · · ⊗Hn e separabile,e se per ogni j ∈ 1, . . . , n la base ϕji : i ∈ Ij e ortonormale, allora ancheϕ1i1 ⊗ · · · ⊗ ϕnin : ij ∈ Ij, j ∈ 1, . . . , n e ortonormale.

Dimostrazione. [1] Bisogna innanzitutto provare l’indipendenza lineare del-l’insieme ϕ1i1 ⊗ · · · ⊗ ϕnin : ij ∈ Ij, j ∈ 1, . . . , n e che la chiusura dellospazio che genera e lo spazio H1 ⊗ · · · ⊗ Hn.

Sia H1⊗a · · · ⊗aHn il prodotto tensoriale algebrico il cui completamentoe H1 ⊗ · · · ⊗ Hn; per la definizione di completamento a pagina 18, esisteun’applicazione f : H1 ⊗a · · · ⊗a Hn −→ H1 ⊗ · · · ⊗ Hn che conserva ilprodotto scalare tale che f(H1 ⊗a · · · ⊗a Hn) e denso in H1 ⊗ · · · ⊗ Hn;siccome conserva il prodotto scalare, f e lineare.

Per dimostrare che ϕ1i1⊗· · ·⊗ϕnin : ij ∈ Ij, j ∈ 1, . . . , n e linearmen-te indipendente, si consideri una combinazione lineare nulla dei suoi elementi,di coefficienti αi1i2...in ∈ C; allora

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66 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

0 =∑ij∈Ij

j∈1,...,n

αi1...inϕ1i1 ⊗ · · · ⊗ ϕnin =∑ij∈Ij

j∈1,...,n

αi1...inf(⊗a (ϕ1i1 , . . . , ϕnin)

)⊗a multilinearef lineare

⇓=

= f

(⊗a

( ∑ij∈Ij

j∈1,...,n

αi1...in(ϕ1i1 , . . . , ϕnin)

))=⇒⇑

⊗a multilinearef lineare

=⇒∑ij∈Ij

j∈1,...,n

αi1...in(ϕ1i1 , . . . , ϕnin) = 0 =⇒⇑

(ϕ1i1,...,ϕnin )

indipendenti in H1×···×Hn

αi1...in = 0 ∀ ij ∈ Ij,∀ j ∈ 1, . . . , n

Per la Proposizione 2.51 a pagina 63, valida per i prodotti tensoriali al-gebrici, ϕ1i1 ⊗a · · · ⊗a ϕnin : ij ∈ Ij, j ∈ 1, . . . , n genera H1⊗a · · · ⊗aHn,e siccome f e lineare e f(H1 ⊗a · · · ⊗a Hn) e denso in H1 ⊗ · · · ⊗ Hn, anchelo spazio generato da f(ϕ1i1 ⊗a · · · ⊗a ϕnin) : ij ∈ Ij, j ∈ 1, . . . , n =ϕ1i1 ⊗· · ·⊗ϕnin : ij ∈ Ij, j ∈ 1, . . . , n e denso in H1⊗· · ·⊗Hn, e quindila sua chiusura coincide con H1 ⊗ · · · ⊗ Hn.

Se gli spazi H1, . . . ,Hn sono separabili, per il Teorema 2.21 a pagina 38 labase ϕji : i ∈ Ij e numerabile per ogni j ∈ 1, . . . , n, quindi e numerabileanche ϕ1i1⊗· · ·⊗ϕnin : ij ∈ Ij, j ∈ 1, . . . , n, e ancora per il Teorema 2.21H1 ⊗ · · · ⊗ Hn e separabile.

Infine, se per ogni j ∈ 1, . . . , n la base ϕji : i ∈ Ij e ortonormale,allora per ogni ij, kj ∈ Ij vale(

ϕ1i1 ⊗ · · · ⊗ ϕnin , ϕ1k1 ⊗ · · · ⊗ ϕnkn)

=

=(f(ϕ1i1 ⊗a · · · ⊗a ϕnin), f(ϕ1k1 ⊗a · · · ⊗a ϕnkn)

)f conservail prodotto scalare

⇓=

=(ϕ1i1 ⊗a · · · ⊗a ϕnin , ϕ1k1 ⊗a · · · ⊗a ϕnkn

)=

n∏r=1

(ϕrir , ϕrkr

)r

ϕ1i1,...,ϕnin

ortonormali⇓=

=n∏r=1

δirkr

ossia ϕ1i1 ⊗ · · · ⊗ ϕnin : ij ∈ Ij, j ∈ 1, . . . , n e ortonormale.

Corollario 2.53. La dimensione del prodotto tensoriale di un numero finitodi spazi di Hilbert di dimensione finita e uguale al prodotto delle dimensionidei singoli spazi.

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 67

Se H1⊗· · ·⊗Hn e il prodotto tensoriale di n spazi di Hilbert e A1, . . . , Ansono operatori lineari limitati su H1 . . . ,Hn rispettivamente, con il simbolo

A1 ⊗ · · · ⊗ An

si intende l’applicazione tale che se ϕ1 ∈ H1, . . . , ϕn ∈ Hn, allora

(A1 ⊗ · · · ⊗ An)(ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕn) = A1ϕ1 ⊗ · · · ⊗ Anϕn ;

esso viene detto prodotto tensoriale degli operatori A1, . . . , An.

Osservazione 2.54. A1 ⊗ · · · ⊗ An e ben definito su tutto H1 ⊗ · · · ⊗ Hn, elineare e limitato.La linearita di A1⊗· · ·⊗An discende dalla multilinearita del prodotto tenso-riale, e per la Proposizione 2.51 a pagina 63 A1⊗ · · · ⊗An risulta quindi bendefinita su tutto il prodotto tensoriale algebrico degli spazi H1 . . . ,Hn, chee denso nel prodotto tensoriale hilbertiano H1 ⊗ · · · ⊗ Hn per la definizionedi quest’ultimo a pagina 65; siccome poi A1 ⊗ · · · ⊗ An risulta un operatorelimitato di costante pari al prodotto delle costanti degli operatori A1, . . . , Angrazie alla definizione del prodotto scalare su H1 ⊗ · · · ⊗ Hn, utilizzando laProposizione 2.26 a pagina 43 si conclude che A1 ⊗ · · · ⊗ An e ben definitosu tutto H1 ⊗ · · · ⊗ Hn.

Per ben definire il prodotto tensoriale di operatori autoaggiunti non li-mitati sull’intero prodotto tensoriale hilbertiano di spazi di Hilbert si ricorreal Teorema spettrale 2.43. Ricordando che i proiettori sono operatori linearilimitati (Teorema 2.34 a pagina 49), si osservi che vale la

Proposizione 2.55.

H1 . . . ,Hn spazi di Hilbert

ωk misura a valori nei proiettori di Hk, k ∈ 1, . . . , n

=⇒

=⇒ ωk : B(R) −→ Π(H1 ⊗ · · · ⊗ Hn)B 7−→ I⊗ · · · ⊗ I⊗ ωk(B)⊗ I⊗ · · · ⊗ I

e misura a valori nei proiettori di H1 ⊗ · · · ⊗ Hn

dove B(R) indica la σ-algebra dei boreliani di R nella topologia euclidea,Π(H1 ⊗ · · · ⊗ Hn) l’insieme dei proiettori di H1 ⊗ · · · ⊗ Hn e I l’operatoreidentico.

Dimostrazione. I⊗ · · · ⊗ I⊗ ωk(B)⊗ I⊗ · · · ⊗ I e ben definito per l’Osserva-zione 2.54.

Sugli elementi di ⊗(H1 × · · · × Hn) e banale verificare che esso e idem-potente, e per linearita si deduce che lo e sul prodotto tensoriale algebrico

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68 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

di H1, . . . ,Hn grazie alla Proposizione 2.51 a pagina 63. Dal momento cheI ⊗ · · · ⊗ I ⊗ ωk(B) ⊗ I ⊗ · · · ⊗ I e lineare e limitato (ancora per l’Osser-vazione 2.54), esso e continuo per il Teorema 2.25 a pagina 42, e quindil’idempotenza vale sull’intero H1 ⊗ · · · ⊗ Hn.

Analogamente, I ⊗ · · · ⊗ I ⊗ ωk(B) ⊗ I ⊗ · · · ⊗ I risulta autoaggiuntosu ⊗(H1 × · · · × Hn) dalla definizione del prodotto scalare per il prodottotensoriale di spazi di Hilbert a pagina 65 e poiche lo sono I e ωk(B); esso eallora autoaggiunto su H1 ⊗ · · · ⊗ Hn per la linearita e la continuita.

Per il Teorema 2.34 a pagina 49, I⊗· · ·⊗ I⊗ωk(B)⊗ I⊗· · ·⊗ I e dunqueun proiettore di H1 ⊗ · · · ⊗ Hn.

Per concludere, si osservi che ωk soddisfa le proprieta delle PVM di pa-gina 55:ωk(∅) = I⊗ · · · ⊗ I ⊗ ωk(∅) ⊗ I⊗ · · · ⊗ I =

= I⊗ · · · ⊗ I ⊗ O ⊗ I⊗ · · · ⊗ I =⇑

Oss. 2.50, pag. 63

O

ωk(R) = I⊗ · · · ⊗ I ⊗ ωk(R) ⊗ I⊗ · · · ⊗ I == I⊗ · · · ⊗ I ⊗ I ⊗ I⊗ · · · ⊗ I = I

ωk

(⋃i∈N

Bi

)= I⊗ · · · ⊗ I⊗ ωk

(⋃i∈N

Bi

)⊗ I⊗ · · · ⊗ I =

= I⊗ · · · ⊗ I⊗(∑i∈N

ωk(Bi))⊗ I⊗ · · · ⊗ I =

=∑i∈N

(I⊗ · · · ⊗ I⊗ ωk(Bi)⊗ I⊗ · · · ⊗ I

)=∑i∈N

ωk(Bi)

Se A1, . . . , An sono operatori lineari limitati su H1, . . . ,Hn nell’ordine,vale ovviamenteA1 ⊗ · · · ⊗ An =

=(A1 ⊗ I⊗ · · · ⊗ I

)(I⊗ A2 ⊗ I⊗ · · · ⊗ I

) · · ·

(I⊗ · · · ⊗ I⊗ An

).

Nel caso in cui per k ∈ 1, . . . , n Ak sia autoaggiunto non limitato, si con-sideri la misura a valori nei proiettori ωAk associata ad Ak dal Teoremaspettrale 2.43 a pagina 57. Per la Proposizione 2.55,

ωAk : B(R) −→ Π(H1 ⊗ · · · ⊗ Hn)B 7−→ I⊗ · · · ⊗ I⊗ ωAk(B)⊗ I⊗ · · · ⊗ I

e una PVM, e dunque, ancora per il Teorema spettrale 2.43, ad essa e as-sociato un operatore autoaggiunto Ak su H1 ⊗ · · · ⊗ Hn; allora l’operatoreA1 ⊗ · · · ⊗ Ak−1 ⊗ Ak ⊗ Ak+1 ⊗ · · · ⊗ An e definito come(

A1 ⊗ · · · ⊗ Ak−1 ⊗ I⊗ · · · ⊗ I) Ak

(I⊗ · · · ⊗ I⊗ Ak+1 ⊗ · · · ⊗ An

).

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2.1 GLI SPAZI DI HILBERT 69

Osservazione 2.56. Sia ϕ1⊗ϕ2⊗· · ·⊗ϕn un elemento di⊗(H1×H2×· · ·×Hn).Con le notazioni del Teorema spettrale 2.43 si ottiene che per ogni borelianoB ∈ B(R) vale

µϕ1⊗···⊗ϕnωAk (B) =(ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕn, ωAk(B)ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕn

)=

=(ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕn,

[I⊗ · · · ⊗ I⊗ ωAk(B)⊗ I⊗ · · · ⊗ I

]ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕn

)=

=(ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕn, ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕk−1 ⊗ ωAk(B)ϕk ⊗ ϕk+1 ⊗ · · · ⊗ ϕn

)=

=(ϕk, ωAk(B)ϕk

) n∏i=1i6=k

(ϕi, ϕi

)= µϕkωAk (B)

n∏i=1i6=k

(ϕi, ϕi

)

poiche le identita e ωAk(B) sono operatori limitati, ed allora

(ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕn, Ak ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕn

)=

∫Rid dµϕ1⊗···⊗ϕnωAk

=[ n∏i=1i6=k

(ϕi, ϕi

)] ∫Rid dµϕkωAk =

[ n∏i=1i6=k

(ϕi, ϕi

)](ϕk, Akϕk

)=

=(ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕn, ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕk−1 ⊗ Ak ϕk ⊗ ϕk+1 ⊗ · · · ⊗ ϕn

)Dal momento che il Teorema spettrale 2.43 garantisce la buona definizionedell’operatore Ak, si puo porre

Ak = I⊗ · · · ⊗ I⊗ Ak ⊗ I⊗ · · · ⊗ I

intendendo l’operatore I ⊗ · · · ⊗ I ⊗ Ak ⊗ I ⊗ · · · ⊗ I come quello che ad ungenerico elemento ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕk−1 ⊗ ϕk ⊗ ϕk+1 ⊗ · · · ⊗ ϕn associa l’elementoϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕk−1 ⊗ Ak ϕk ⊗ ϕk+1 ⊗ · · · ⊗ ϕn. Allora anche per gli operatoriautoaggiunti non limitati si puo scrivere

(A1 ⊗ · · · ⊗ An)(ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕn) = A1ϕ1 ⊗ · · · ⊗ Anϕn

(come a pagina 67 per gli operatori limitati) e l’estensione agli elementi diH1 ⊗ · · · ⊗ Hn \ ⊗(H1 × · · · × Hn) e ottenuta in maniera ovvia dalla mul-tilinearita del prodotto tensoriale (in questo modo A1 ⊗ · · · ⊗ An risultanecessariamente lineare).

Osservazione 2.57. Se ρ1, ρ2, . . . , ρn sono operatori densita su H1,H2, . . . ,Hn

rispettivamente, l’operatore ρ1 ⊗ ρ2 ⊗ · · · ⊗ ρn e un operatore densita suH1 ⊗H2 ⊗ · · · ⊗ Hn: infatti, esso e ovviamente autoaggiunto, e se per ognij ∈ 1, . . . , n ϕij : ij ∈ N\0 e una base diHj, allora per il Teorema 2.52

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70 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

a pagina 65

Tr(ρ1 ⊗ · · · ⊗ ρn) =∑

j∈1,...,nij∈N\0

(ϕi1 ⊗ · · · ⊗ ϕin , (ρ1 ⊗ · · · ⊗ ρn) (ϕi1 ⊗ · · · ⊗ ϕin)

)=

=∑

j∈1,...,nij∈N\0

(ϕi1 , ρ1ϕi1

)· · ·(ϕin , ρnϕin

)=[∑i1

(ϕi1 , ρ1ϕi1

)]· · ·[∑in

(ϕin , ρnϕin

)]=

= Tr(ρ1) · · ·Tr(ρn) = 1 · · · 1 = 1

2.2 Elementi di teoria della probabilita

Nel paragrafo 2.3 sara evidenziato come la meccanica quantistica descrivala realta in temini intrinsecamente probabilistici [1, 2, 25, 32]. Questo pa-ragrafo contiene pertanto alcune definizioni della teoria della probabilita ei collegamenti tra questa e la teoria degli spazi di Hilbert su cui si basa ilformalismo della meccanica quantistica.

2.2.1 Definizioni ed esempi

Nella teoria della probabilita [33] l’insieme dei possibili risultati di un espe-rimento viene detto spazio campionario o spazio degli eventi.

Una variabile casuale sullo spazio misurabile (X,F) e un’applicazioneh : X −→ R tale che x ∈ X : h(x) 6 a ∈ F ∀ a ∈ R.

Una misura di probabilita sullo spazio misurabile (X,F) e un’applicazioneP : F −→ [0, 1] tale che P (∅) = 0

P (X) = 1

P(⋃i∈N

Xi

)=∑i∈N

P (Xi) ⇐=

Xi ∈ F ∀ i ∈ NXr ∩ Xs = ∅ ⇐ r 6= s

La terna data da un insieme, una sua σ-algebra e una misura di proba-bilita sullo spazio misurabile da essi costituito prende il nome di spazio diprobabilita.

Proposizione 2.58. Una combinazione convessa di misure di probabilitasullo stesso spazio misurabile e anch’essa una misura di probabilita su quellospazio misurabile.

Dimostrazione. Siano (X,F) uno spazio misurabile, Pi : F −→ [0, 1] unamisura di probabilita su (X,F) per ogni i ∈ N e αj un numero reale positivoper ogni j ∈ N tale che

∑j∈N

αj = 1. Allora P : F −→ [0, 1]Y 7−→ P (Y) =

∑i∈NαiPi(Y)

soddisfa la definizione di misura di probabilita su (X,F), poiche

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2.2 ELEMENTI DI TEORIA DELLA PROBABILITA 71

P (∅) =∑i∈NαiPi(∅) =

∑i∈Nαi0 = 0

P (X) =∑i∈NαiPi(X) =

∑i∈Nαi1 = 1

P( ⋃j∈N

Xj

)=∑i∈NαiPi

( ⋃j∈N

Xj

)=∑i∈Nαi∑j∈N

Pi(Xj) =∑j∈N

∑i∈NαiPi(Xj) =

∑j∈N

P (Xj)

con Xj ∈ F per ogni j ∈ N tali che [r 6= s⇒ Xr ∩ Xs = ∅].

Se (X,F , P ) e uno spazio di probabilita e h e una variabile casuale sullospazio misurabile (X,F), una funzione

F : R −→ [0, 1]a 7−→ F (a) = P

(h 6 a

)= P

(x ∈ X : h(x) 6 a

)e chiamata funzione di distribuzione della misura di probabilita P per lavariabie casuale h.

Proposizione 2.59. Una combinazione convessa di funzioni di distribuzioneper la stessa variabile casuale e anch’essa una funzione di distribuzione perquella variabile casuale.

Dimostrazione. Siano h una varabile casuale sullo spazio misurabile (X,F),Fi : R −→ [0, 1] una funzione di distribuzine della misura di probabilitaPi per la variabile casuale h per ogni i ∈ N e αj un numero reale positivoper ogni j ∈ N tale che

∑j∈N

αj = 1. Allora F : R −→ [0, 1]a 7−→ F (a) =

∑i∈NαiFi(a)

soddisfa la definizione di funzione di distribuzione della misura di probabilitaP =

∑i∈NαiPi (Proposizione 2.58 a pagina 70) per la variabile casuale h, poiche

F (a) =∑i∈N

αiFi(a) =∑i∈N

αiPi(j 6 a) = P (j 6 a) .

Una variabile casuale h : X −→ R e detta discreta se h assume unaquantita al piu numerabile di valori.

Una variabile casuale h e detta continua per la funzione di distribuzione Fse esiste una funzione integrabile f : R −→ [0,+∞[ tale che

F (a) =

∫ a

−∞f(u) du

per ogni a ∈ R; una tale funzione f prende il nome di densita di probabilitaper la funzione di distribuzione F per la variabile casuale h (sullo spazio diprobabilita (X,F , P )).

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72 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

Per una variabile casuale discreta h con immagine h1, h2, . . . il numero

E(h) = h =∑i∈N

hiP (h = hi) =∑i∈N

hiP (x ∈ X : h(x) = hi)

e detto valor medio oppure valore atteso o ancora valore di aspettazione dellavariabile casuale h per la misura di probablilita P (oppure per la funzione didistribuzione F , se F e una funzione di distribuzione di P per h).

Per una variabile casuale continua h il valor medio (o atteso o di aspetta-zione) della densita di probabilita f (oppure della funzione di distribuzione F ,se f e densita di probabilita per F , o della misura di probablilita P , se f edensita di probabilita sullo spazio di probabilita (X,F , P )) e invece il numero

E(h) = h =

∫Ruf(u) du .

Per le funzioni di distribuzione che sono combinazione convessa di funzionidi distribuzione (o, equivalenemente, per le misure di probabilita che sonocombinazione convessa di misure di probabilita) il valor medio (o atteso odi aspettazione) della variabile casuale e la combinazione convessa dei valorimedi delle variabili casuali delle funzioni di distribuzione (o delle misure diprobabilita) della combinazione convessa.

In generale, se P e una misura di probabilita sullo spazio misurabi-le (X,F), essa soddisfa banalmente la definizione di pagina 25 di misuranel senso della teoria di Lebesgue; allora si definisce valor medio (o attesoo di aspettazione) della variabile casuale h per la funzione di distribuzio-ne P (x ∈ X : h(x) 6 a), a ∈ R (o, semplicemente, della misura diprobabilita P ) il valore

E(h) = h =

∫X

id dP

dell’integrale secondo Lebesgue della funzione identica id calcolato su tutto Xnella misura P (la funzione identica risulta misurabile secondo Lebesgue ba-nalmente). Le definizioni di valor medio per le variabili casuali discrete econtinue costituiscono un caso particolare di quest’ultima definizione. Se,

inoltre, f : R → R e la funzione tale che per ogni z ∈ R f(z) =(z −E(h)

)2,

il valore

σ2(h) =

∫X

f dP

e detto varianza della variabile casuale h per la funzione di distribuzioneP (x ∈ X : h(x) 6 a, a ∈ R) (o della misura di probabilita P ).

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2.2 ELEMENTI DI TEORIA DELLA PROBABILITA 73

Le proposizioni che seguono forniscono alcuni esempi di misure di pro-babilita tratti dalla teoria degli operatori sugli spazi di Hilbert, e sarannoutilizzate nell’interpretazione fisica del formalismo della meccanica quanti-stica.

Proposizione 2.60. Siano H uno spazio di Hilbert separabile, ω una misuraa valori nei proiettori (PVM) di H e ϕ un elemento normalizzato di H.Allora l’applicazione

µϕω : B(R) −→ [0, 1]B 7−→ µϕω(B) =

(ϕ, ω(B)ϕ

)e una misura di probabilita sullo spazio misurabile (R,B(R)).

Dimostrazione. L’applicazione µϕω e ben definita per il Teorema spettra-le 2.43 a pagina 57, e inoltre valgono le proprieta delle misure di probabilita:

µϕω(∅) =(ϕ, ω(∅)ϕ

)ω e PVM⇓=(ϕ,Oϕ

)=(ϕ, 0)

= 0

µϕω(R) =(ϕ, ω(R)ϕ

)ω e PVM⇓=(ϕ, Iϕ

)=(ϕ, ϕ

)ϕ e normale⇓= 1

µϕω

(⋃i∈N

Bi

)=(ϕ, ω

(⋃i∈N

Bi

)ϕ)ω e PVM

⇓=(ϕ,(∑i∈N

ω(Bi))ϕ)

=∑i∈N

(ϕ, ω(Bi)ϕ

)=

=∑i∈N

µϕω(Bi)

dove B1,B2, . . . ⊆ B(R) sono tali che ∀ r, s ∈ N [r 6= s⇒ Br ∩ Bs = ∅].

Proposizione 2.61. Se A e un operatore autoaggiunto sullo spazio di HilbertH, ϕ e un suo autovettore di autovalore λ, ωA e la misura a valori nei pro-iettori di H associata all’operatore A dal Teorema spettrale 2.43 a pagina 57e µϕωA e la misura di probabilita (per la Proposizione precedente) sullo spaziomisurabile (R,B(R)) data da µϕωA(B) =

(ϕ, ωA(B)ϕ

)per ogni B ∈ B(R),

allora

µϕωA(B) = χB(λ) .

Dimostrazione. Sia f : R → R la funzione che vale f(x) = (x− λ)2 per ognix ∈ R. Allora, secondo le definizioni contenute nel Teorema spettrale,∫

Rf dµϕωA =

(ϕ, f(A)ϕ

)=(ϕ, (A− λI)2ϕ

)=(ϕ, (A− λI)(Aϕ− λϕ)

)Aϕ=λϕ⇓=

=(ϕ, (A− λI)(λϕ− λϕ)

)=(ϕ, (A− λI)0

)= 0

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74 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

e siccome f e un’applicazione non negativa, l’insieme su cui f e diversa da 0deve avere misura nulla (si veda per esempio nel testo [29]); dunque

0 = µϕωA(x ∈ R : f(x) 6= 0) =

= µϕωA(x ∈ R : (x− λ)2 6= 0) = µϕωA(R \ λ)

Dal momento che µϕωA(R) = 1 per la Proposizione precedente, per le pro-prieta delle misure di probabilita di pagina 70 si ottiene:

µϕωA(λ) = µϕωA(R)− µϕωA(R \ λ) = 1− 0 = 1 ,

e la tesi si ricava ancora dall’additivita di µϕωA per le unioni disgiunte.

Osservazione 2.62. Nelle ipotesi della Proposizione precedente, il valor mediorisulta essere∫

Rid dµϕωA =

∫R\λ

id dµϕωA +

∫λ

id dµϕωA = 0 + λχλ(λ) = λ .

Allora l’integrale

∫Rf dµϕωA con f(x) = (x− λ)2 contenuto nella dimostra-

zione e la varianza della misura di probabilita µϕωA . Quindi, la proprieta cheper ogni B ∈ B(R)

µϕωA(B) = χB(λ)

quando ϕ e un autovettore di autovalore λ per l’operatore autoaggiunto A lacui PVM associata dal Teorema spettrale 2.43 e ωA, discende dal fatto chein queste ipotesi la misura di probabilita µϕωA ha varianza nulla.

Osservazione 2.63. Si osservi che per la Proposizione 2.39 a pagina 53 lamisura di probabilita µϕω dell’enunciato della Proposizione 2.60 a pagina 73e tale che per ogni B ∈ B(R) valga:

µϕω(B) =(ϕ, ω(B)ϕ

)= Tr(πϕω(B))

Teorema di Gleason2.45 pag.57

⇓= µπϕ(ω(B))

dove πϕ e il proiettore sul sottospazio generato da ϕ e µπϕ e la misura di pro-babilita sui proiettori associata all’operatore πϕ dal Teorema 2.45 di Gleasona pagina 57: in questo senso si puo allora dire che la Proposizione 2.39 apagina 53 e un caso particolare del Teorema di Gleason.

Risulta ora naturale proporre la seguente

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2.3 IL FORMALISMO DELLA MECCANICA QUANTISTICA 75

Proposizione 2.64. Siano H uno spazio di Hilbert separabile, ω una misuraa valori nei proiettori (PVM) di H e ρ un operatore densita su H. Alloral’applicazione

µρω : B(R) −→ [0, 1]B 7−→ µρω(B) = Tr(ρω(B))

e una misura di probabilita sullo spazio misurabile (R,B(R)).

Dimostrazione. L’applicazione µϕω risulta ben definita grazie al Teorema 2.45di Gleason a pagina 57 e soddisfa le proprieta delle misure di probabilita:

µρω(∅) = Tr(ρω(∅))ω e PVM

⇓= Tr(ρO) = 0

µρω(R) = Tr(ρω(R))ω e PVM

⇓= Tr(ρ I) = Tr(ρ)

ρ op. densita⇓= 1

µρω

(⋃i∈N

Bi

)= Tr(ρω

(⋃i∈N

Bi

))ω e PVM

⇓= Tr(ρ

(∑i∈N

ω(Bi)))

Tr e lineare⇓=∑i∈N

Tr(ρω(Bi)) =

=∑i∈N

µρω(Bi)

dove B1,B2, . . . ⊆ B(R) sono a due a due disgiunti.

2.3 Il formalismo della meccanica quantistica

non relativistica

Secondo i postulati della meccanica quantistica [1, 2, 25, 31, 32], le proprietadello stato di un sistema fisico non stabiliscono in maniera deterministicai risultati delle misurazioni che si possono effettuare su quel sistema, mapermettono di predire solo la probabilita con cui si ottengono tali risultati.Inoltre, questa probabilita non quantifica la possibilita che lo stato possiedaeffettivamente una specifica proprieta prima dell’interazione tra il sistemae l’apparato di misura, come avviene nella fisica classica: per la meccanicaquantistica, essa esprime la probabilita che l’apparato di misura interagiscacon il sistema in modo da rivelare tale proprieta.

In meccanica quantistica, lo stato di un sistema fisico e definito come ilrisultato della preparazione del sistema stesso, dove per preparazione di unsistema si intende una sequenza di trattamenti che influenzano il sistemaconsiderato. Per sapere quali trattamenti influenzino un sistema e necessariala conoscenza delle leggi della fisica. Si dice che due stati sono identici,o che due sistemi si trovano nello stesso stato quantistico, quando tutte le

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76 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

condizioni rilevanti nella preparazione del sistema sono prodotte nel modo piusimile possibile. La nozione di rilevanza per le condizioni nella preparazionedi un sistema dipende anch’essa dalle leggi della fisica.

Seguendo l’impostazione di Ugo Fano [34], per stato di un sistema si inten-de l’insieme dei dati sul sistema che sono richiesti per prevedere, utilizzandole leggi della fisica, i risultati di futuri esperimenti su quel sistema.

Gli stati cosı definiti possono essere suddivisi in due classi: gli stati purie le miscele statistiche.

Uno stato puro e uno stato del sistema per il quale esiste un esperimento(ancorche non tecnicamente realizzabile) che da un risultato predicibile concertezza quando il sistema si trova in quello stato e solamente in quello. Lapreparazione di uno stato puro puo essere immaginata come un insieme diattivita conclusa dall’azione di un filtro che lascia il sistema indisturbato see soltanto se esso si trova nello stato che si intende preparare.

Uno stato che non e puro e detto miscela statistica. Le miscele statistichesono descritte attraverso combinazioni di stati puri in modo che la probabilitadi trovare un determinato risultato in un esperimento sia pari alla mediapesata delle probabilita di trovare quel risultato per ogni stato puro dellacombinazione (sovrapposizione incoerente).

Qualunque grandezza di un sistema che puo essere misurata prende ilnome di osservabile del sistema. Anche la formalizzazione del concetto dimisura risente della connotazione probabilistica della meccanica quantistica.

2.3.1 Formalizzazione assiomatica

Formalmente [1, 2, 25, 31, 32], un sistema fisico e rappresentato da uno spaziodi Hilbert separabile H sul campo dei numeri complessi C.

A ogni stato del sistema viene associato un operatore densita (si vedapagina 48) sullo spazio di Hilbert che rappresenta il sistema: gli stati puricorrispondono agli operatori di proiezione su un sottospazio monodimensio-nale (Proposizione 2.38 a pagina 52), e dunque, per la Proposizione 2.36 apagina 51, ai sottospazi generati dai singoli elementi dello spazio di Hilbertche rappresenta il sistema; le miscele statistiche corrispondono ad operatoridensita che non sono proiettori. A motivo del legame tra gli stati puri e glielementi dello spazio di Hilbert che rappresenta il sistema fisico, tale spazioviene detto spazio degli stati.

Quando lo spazio degli stati con cui si rappresenta il sistema e il prodottotensoriale hilbertiano H1⊗H2⊗· · ·⊗Hn di n spazi di Hilbert H1,H2, . . .Hn,uno stato puro associato al proiettore sul sottospazio generato da un elementodi H1 ⊗ · · · ⊗ Hn \ ⊗(H1 × · · · × Hn) e detto stato entangled, mentre se

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2.3 IL FORMALISMO DELLA MECCANICA QUANTISTICA 77

esso corrisponde al proiettore sul sottospazio generato da un elemento di⊗(H1 × · · · × Hn) e chiamato stato non entangled.

A ogni osservabile e associato un unico operatore autoaggiunto sullo spa-zio di Hilbert che rappresenta il sistema; sono dette regole di corrisponden-za quelle regole che specificano quale operatore autoaggiunto corrispondea ogni osservabile, mettendo cosı in relazione il formalismo con il contestosperimentale.

Siano ora A l’operatore autoaggiunto associato a un’osservabile di unsistema fisico, ωA la misura a valori nei proiettori associata ad A dal Teoremaspettrale 2.43 a pagina 57, B un boreliano di R nella topologia della metricaeuclidea e ρ l’operatore densita associato ad uno stato del sistema; il numero

µρA(B) = µρωA(B) = Tr(ρωA(B))

(per la Proposizione 2.64 a pagina 75 µρωA e una misura di probabilita suiboreliani di R) e interpretato come la probabilita che il valore ottenuto dallamisurazione dell’osservabile legata ad A (o, equivalentemente, alla PVM ωA)con il sistema nello stato ρ appartenga al boreliano B. Di conseguenza, ilvalore atteso (o valor medio)

∫R id dµρωA della misura di probalilita µρωA sullo

spazio misurabile (R,B(R)) e interpretato come il valore atteso dell’osserva-bile associata ad A quando il sistema si trova nello stato ρ; come osservatonel riferimento bibliografico [33], per esso vale∫

Rid dµρωA = Tr(ρA) .

Quando il sistema si trova in uno stato puro e quindi esiste ϕ ∈ H normaletale che ρ = πϕ, con πϕ il proiettore sul sottospazio generato da ϕ, per ilTeorema spettrale 2.43 a pagina 57, la Proposizione 2.60 e l’Osservazione 2.63a pagina 74 si ha (

ϕ,Aϕ)

=

∫Rid dµπϕωA ,

e dunque(ϕ,Aϕ

)rappresenta il valore atteso dell’osservabile associata all’o-

peratore autoaggiunto A quando il sistema si trova nello stato puro associatoal proiettore sul sottospazio generato da ϕ; grazie all’ultima uguaglianza, efacile dimostrare la proprieta

∫R id dµρωA = Tr(ρA) quando lo stato ρ = πϕ

e puro, considerando una base ortonormale ϕ0, ϕ1, ϕ2, . . . di H tale che perun qualche j ∈ N sia ϕj = ϕ, cosicche πϕ(ϕi) = δij:∫

Rid dµρωA =

∫Rid dµπρωA =

(ϕ,Aϕ

)=∑i∈N

(πϕϕi, Aϕi

)π∗ϕ=πϕ⇓=

=∑i∈N

(ϕi, πϕAϕi

)= Tr(πϕA) = Tr(ρA) .

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78 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

Lo stato di un sistema rappresentato dal proiettore sul sottospazio gene-rato da un autovettore dell’operatore associato a un’osservabile del sistemae detto autostato di quell’osservabile; in questo caso, se A e l’operatore e ϕil suo autovettore normalizzato di autovalore λ, il valore atteso dell’osserva-bile associata ad A e allora dato da

(ϕ,Aϕ

)=(ϕ, λϕ

)= λ

(ϕ, ϕ

)= λ; la

Proposizone 2.30 a pagina 48 garantisce che λ e un numero reale.

Dunque, quando il sistema si trova in un autostato di un’osservabile, ilvalore atteso della misura di quell’osservabile e dato dal relativo autovalore,e la sua varianza e nulla per l’Osservazione 2.62 a pagina 74; questo impo-ne che la misura associata all’osservabile e al suo autostato (dal Teoremaspettrale 2.43 a pagina 57) di ogni boreliano e nulla se esso non contienel’autovalore associato all’autovalore in questione e pari a 1 in caso contrario,come risulta dalla Proposizione 2.61 a pagina 73:

A autoaggiunto

Aϕ = λϕ

=⇒ ∀B ∈ B(R) µϕωA(B) =

0 se λ /∈ B1 se λ ∈ B

Il fatto che la misura di un’osservabile abbia varianza nulla puo allora essereinterpretato fisicamente dicendo che quella misura da un risultato certo, chee il suo valor medio.

Quando il sistema fisico e rappresentato dal prodotto tensoriale H1⊗H2

di due spazi di Hilbert separabili e ρ e un operatore densita su di esso,allora gli operatori densita ρ1 su H1 e ρ2 su H2 tali che per ogni operatoreautoaggiunto A1 su H1 e per ogni operatore autoaggiunto A2 su H2 valganole relazioni

Tr(ρ (A1 ⊗ I2)

)= Tr1(ρ1A1)

Tr(ρ (I1 ⊗ A2)

)= Tr2(ρ2A2)

(dove I1 e I2 indicano rispettivamente gli operatori identici su H1 e su H2,Tr l’applicazione traccia su H1 ⊗ H2, Tr1 quella su H1 e Tr2 quella su H2)prendono il nome di stati ridotti dell’operatore densita ρ. Si puo dimostra-re [2] che gli stati ridotti ρ1 e ρ2 appena definiti esistono e sono unici perogni operatore densita ρ.

Da un punto di vista fisico, le relazioni che legano l’operatore densitaai suoi stati ridotti permettono di ottenere una descrizione del sistema fisicocomplessivo in ognuno dei due spazi di Hilbert che formano il prodotto tenso-riale che rappresenta il sistema: il valor medio dell’osservabile associata ad A1

(se tale osservabile esiste) con il sistema fisico rappresentato dallo spazio H1

nello stato rappresentato dall’operatore densita ρ1 e uguale al valor mediodell’osservabile associata ad A1 ⊗ I2 con il sistema rappresentato dallo spa-

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2.3 IL FORMALISMO DELLA MECCANICA QUANTISTICA 79

zio H1⊗H2 nello stato rappresentato dall’operatore densita ρ (analogamenteper A2 e ρ2).

Vale [2] inoltre il seguente

Teorema 2.65. Gli stati ridotti di un sistema sono puri se e solo se lo statodel sistema e non entangled.

Ne verra fornito un esempio nel Capitolo 3, a pagina 99.Fino a qui si e trattato soltanto della cinematica dei sistemi fisici; il

seguito di questo paragrafo riguarda invece la loro dinamica.L’evoluzione di un sistema fisico e rappresentata da un operatore uni-

tario dipendente dalla variabile temporale. Se ρ0 e l’operatore densita cherappresenta lo stato di un sistema al tempo t0 e U(t) e l’operatore unitarioche esprime l’evoluzione temporale del sistema dopo un tempo t, l’operatoredensita ρ(t+ t0) che rappresenta il sistema dopo un tempo t dal tempo t0 edato da

ρ(t+ t0) = U(t)∗ ρ0 U(t)

(ρ(t+ t0) risulta un operatore densita per la Proposizione 2.41 a pagina 55).Perche U(t) abbia il significato fisico desiderato, si impone che U(0) = I (ope-ratore identico) e che U(t + s) = U(t)U(s), ossia che l’evoluzione calcolatadopo un tempo t + s sia la stessa calcolata prima per un tempo t e poi, sulrisultato di questa, per un tempo s. Allora la composizione di operatori dievoluzione e un’operazione interna associativa, che ammette come elementoneutro l’operatore identico e tale che ogni operatore del tipo U(t) e simme-trizzabile: l’insieme degli operatori di evoluzione U(t) costituiscono insiemealla composizione un gruppo unitario a un parametro; si richiede poi che set→ t0, allora U(t)ϕ→ U(t0)ϕ per ogni ϕ ∈ H, ossia che il gruppo degli ope-ratori di evoluzione sia anche fortemente continuo (per le definizioni si veda apagina 58). Il Teorema 2.47 di Stone a pagina 59 garantisce allora l’esistenzadi un operatore autoaggiunto A tale che U(t) = eitA, e la Proposizione 2.46 apagina 58 assicura che per ogni operatore autoaggiunto A gli operatori dellaforma eitA sono adatti a descrivere l’evoluzione temporale dei sistemi fisici (ilsignificato di eitA e definito nel Teorema spettrale 2.43 a pagina 57): l’opera-

tore autoaggiunto H tale che gli operatori eit~ H descrivono l’evoluzione di un

sistema fisico e detto operatore hamiltoniano, o semplicemente hamiltoniano,del sistema considerato (~ e la costante di Planck h = 6.63 10−34Js divisaper 2π, ossia ~ = 1.05 10−34Js).

Se il sistema si trova in uno stato puro, esso e associato a un operatoredensita che e un proiettore su un sottospazio monodimendionale dello spaziodi Hilbert H che rappresenta il sistema; sia ϕ un elemento normale di talesottospazio, e si indichi con πϕ il proiettore associato allo stato puro preso

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80 Capitolo 2. STRUTTURA MATEMATICA DELLA M.Q.

in esame. Lo stato del sistema dopo un tempo t sara allora rappresentatodall’operatore densita U(t)∗ πϕ U(t). Per ogni ψ ∈ H si ottiene che

U(t)∗ πϕ U(t)ψ

Proposizione 2.37a pagina 52

⇓= U(t)∗

(ϕ,U(t)ψ

)ϕ =

(U(t)∗ϕ, ψ

)U(t)∗ϕ

Proposizione 2.37a pagina 52

⇓= πU(t)∗ϕ ψ

siccome per la Proposizione 2.40 a pagina 54 anche U(t)∗ϕ e normale, e allora

U(t)∗ πϕ U(t) = πU(t)∗ϕ .

Dunque, gli stati puri di un sistema fisico evolvono sempre in altri stati puri,e per studiarne l’evoluzione e sufficiente limitarsi all’analisi del modo in cuil’aggiunto dell’operatore di evoluzione trasforma gli elementi dello spazio diHilbert separabile che rappresenta il sistema fisico.

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Capitolo 3

La particella libera nonrelativistica oscillante tra duestati

Come affermato nella Prefazione, l’obiettivo principale di questa tesi consistenell’evidenziare come il formalismo standard della meccanica quantistica nonrelativistica introdotto nel Capitolo 2 possa prevedere il fenomeno dell’oscil-lazione dei sistemi fisici tra diversi stati, ed e proprio di questo che si occupail presente capitolo, trattando il caso della particella libera.

3.1 L’operatore massa

Secondo i postulati della meccanica quantistica non relativistica [1, 2, 25, 31,32], il sistema fisico costituito da una particella libera di massa m 6= 0 puoessere rappresentato dallo spazio di Hilbert separabile L2(R3): se L2(R3) el’insieme delle funzioni f a valori complessi definite quasi ovunque rispet-to alla misura µ di Lebesgue in R3, che siano misurabili rispetto a µ e taliche

∫R3 |f |2 dµ < +∞, allora L2(R3) e lo spazio di Hilbert separabile for-

mato dalle classi di equivalenza di L2(R3) rispetto alla relazione di ugua-glianza quasi ovunque, con il prodotto scalare

([f ], [g]

)=∫

R3 f∗g dµ per

ogni [f ], [g] ∈ L2(R3) (si veda per esempio il testo [1] della bibliografia permaggiori dettagli).

Nel seguito gli elementi dell’insieme quoziente di L2(R3) verranno indicatida un loro rappresentante, dal momento che questa convenzione non daraorigine ad alcuna ambiguita.

L’osservabile data dalla probabilita di osservare la particella in un sot-

81

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82 Capitolo 3. LA PARTICELLA LIBERA OSCILLANTE

toinsieme Y di R3 corrisponde all’operatore autoaggiunto

TY :L2(R3) −→ L2(R3)ψ 7−→ TYψ : R3 −→ C

z 7−→ χY(z)ψ(z)

dove χY indica la funzione caratteristica dell’insieme Y, e dunque tale pro-babilita e(

ψ, TYψ)

=

∫R3

ψ∗χYψ dµ =

∫Y

ψ∗ψ dµ =

∫Y

|ψ|2 dµ .

Si osservi che TY e un proiettore su L2(R3) (la verifica delle condizioni delTeorema 2.34 a pagina 49 risulta banale) e che se Y = R3, allora TY = I(I indichi l’operatore identico di L2(R3)).

Si assume inoltre che l’operatore hamiltoniano (definito a pagina 79) chedescrive l’evoluzione della particella libera non relativistica sia

H =P 2

2m

dove l’operatore momento lineare (o quantita di moto) P e definito come

P = −i~∇

(∇ indica l’operatore gradiente in R3 ∇ =(

∂∂x1, ∂∂x2, ∂∂x3

), con x1, x2, x3

una base ortonormale di R3), e P 2 come

P 2 = −~2∆

(∆ denota l’operatore di Laplace o laplaciano in R3 ∆ = ∂2

∂x21

+ ∂2

∂x22

+ ∂2

∂x23

e x1, x2, x3 una base ortonormale di R3). Esso e applicabile alle funzionidi L2(R3) che sono differenziabili due volte e tali che il loro laplaciano siaancora in L2(R3); il loro insieme e pero denso in L2(R3) [1], e quindi lo spaziodi Hilbert che esse generano e proprio L2(R3).

L’hamiltoniano della particella libera dipende dunque da un parametrodel sistema, la massa m della particella, e il valore di questo parametro e ot-tenuto compiendo una misura sul sistema. La massa dovrebbe dunque essereconsiderata un’osservabile del sistema (si veda a pagina 76 per la definizionedi osservabile), e secondo la formalizzazione introdotta a partire da pagina 76ad essa deve essere associato un operatore autoaggiunto.

Questo tipo di considerazioni sui parametri del sistema che compaiononell’hamiltoniano vengono normalmente trascurate nei testi di meccanica

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3.1 L’OPERATORE MASSA 83

quantistica non relativistica, mancando di coerenza con il legame tra le os-servabili e gli operatori che invece sottolineano diffusamente; l’operatore as-sociato all’osservabile legata ad un parametro risulta essere l’operatore iden-tico moltiplicato per il valore del pararametro, ossia, nel caso della massa,l’operatore M = mI.

Per mostrare che tale operatore M = mI e adatto ad essere associatoall’osservabile massa, si utilizza la seguente

Proposizione 3.1. La misura a valori nei proiettori associata all’operato-re M dal Teorema spettrale 2.43 a pagina 57 e

ωM : B(R) −→∏

(L2(R3))

B 7−→ ωM(B) =

O se m /∈ BI se m ∈ B

Dimostrazione. La verifica delle proprieta delle PVM di pagina 55 e banale.Bisogna dimostrare che per ogni ϕ ∈ L2(R3)(

ϕ,Mϕ)

=

∫Rid dµϕωM .

Si osservi che per ogni boreliano B ∈ B(R) si ha

µϕωM (B) =(ϕ, ωM(B)ϕ

)=

(ϕ,Oϕ

)= 0 se m /∈ B(

ϕ, Iϕ)

=(ϕ, ϕ

)se m ∈ B

=(ϕ, ϕ

)χB(m)

e dunque∫Rid dµϕωM =

∫]−∞,m[

id dµϕωM +

∫m

id dµϕωM +

∫]m,+∞[

id dµϕωM =

= sups

n∑i=1

aiµϕωM(]−∞,m[∩x ∈ R : s(x) = ai

):

s 6 id semplice misurabile di n valori a1, . . . , an

+

+ sups

n∑i=1

aiµϕωM(m ∩ x ∈ R : s(x) = ai

):

s 6 id semplice misurabile di n valori a1, . . . , an

+

+ sups

n∑i=1

aiµϕωM(]m,+∞[∩x ∈ R : s(x) = ai

):

s 6 id semplice misurabile di n valori a1, . . . , an

=

= 0 + supa

a µϕωM

(m

): a 6 m

+ 0 =

= mµϕωM(m

)= m

(ϕ, ϕ

)χm(m) = m

(ϕ, ϕ

)

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84 Capitolo 3. LA PARTICELLA LIBERA OSCILLANTE

come ovviamente e anche per(ϕ,Mϕ

)=(ϕ,mIϕ

)= m

(ϕ, ϕ

).

Dalla precedente Proposizione si ricava immediatamente che per ogniboreliano B ∈ B(R) e per ogni operatore densita ρ su L2(R3)

µρωM (B) = Tr(ρωM(B)

)=

Tr(ρO) = Tr(O) = 0 se m /∈ BTr(ρ I) = Tr(I) = 1 se m ∈ B

= χB(m)

e, secondo l’interpretazione data a pagina 77, questo significa che la proba-bilita che il valore ottenuto dalla misurazione dell’osservabile legata a M conil sistema nello stato ρ appartenga al boreliano B e 1 se m appartiene alboreliano e nulla altrimenti; inoltre, il valore atteso dell’osservabile associataa M quando il sistema si trova in un qualunque stato ρ vale∫

Rid dµρωM = Tr(ρM) = Tr(ρmI) = mTr(ρ I) = m

essendo ρ un operatore densita, e la sua varianza e nulla, similmente all’Os-servazione 2.62 a pagina 74, che significa che il risultato della sua misura em con certezza. L’operatore M possiede quindi le caratteristiche opportuneper essere messo in corrispondenza con l’osservabile massa: esso sara indicatocon la locuzione operatore massa.

Si osservi che ogni elemento di L2(R3) risulta autovettore dell’operatoremassa M di autovalore m, e dunque ogni stato del sistema rappresentato daun proiettore, ossia ogni stato puro, e un autostato dell’osservabile massa(secondo la definizione di pagina 78).

Sia ora f : R\0 → C l’applicazione tale che f(x) = 12x

(siccome m 6= 0,0 e un boreliano di misura nulla per µρωM per ogni stato ρ). Per il Teoremaspettrale 2.43, con il simbolo

1

2M

si intende l’operatore f(M) tale che per ogni ϕ ∈ L2(R3)(ϕ, f(M)ϕ

)=

∫R3

f dµϕωM .

Per considerazioni del tutto simili a quelle contenute nella dimostrazione dellaProposizione 3.1 a pagina 83, si ha che(

ϕ, f(M)ϕ)

=

∫R3

f dµϕωM =

∫m

f dµϕωM =

= f(m)µϕωM (m) =1

2m

(ϕ, ϕ

)χm(m) =

1

2m

(ϕ, ϕ

).

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3.2 LO SPAZIO DELLE MASSE 85

Anche l’operatore 12m

I e tale che(ϕ,

1

2mIϕ)

=1

2m

(ϕ, ϕ

)per ogni ϕ ∈ L2(R3); siccome il Teorema spettrale 2.43 garantisce la buonadefinizione di f(M), dev’essere

1

2M= f(M) =

1

2mI .

L’operatore hamiltoniano H =P 2

2mpuo allora essere scritto anche nella

forma

H =P 2

2M=

P 2

2mI ,

poiche per ogni ϕ ∈ L2(R3) vale

P 2

2Mϕ =

P 2

2mIϕ =

P 2

2mϕ

(siccome gli operatori1

2Me P 2 commutano, come si vede facilmente essen-

do1

2M=

1

2mI, il simbolo

P 2

2Mnon contiene ambiguita sull’ordine in cui

debbono essere applicati gli operatori1

2Me P 2.)

Si osservi per concludere che tutta la trattazione contenuta nel presenteparagrafo puo essere riportata anche al caso in cui nell’hamiltoniano di unsistema compaia un parametro diverso dalla massa (per esempio, la caricaelettrica), e anche le considerazioni che seguiranno possono essere applicatesimilmente in quell’eventualita.

Lo sviluppo della teoria con il solo cambiamento dato dal considerare iparametri come osservabili fisiche conduce agli stessi risultati dei testi chetrascurano questa cautela. Per poter ricavare l’oscillazione tra stati bisognaintrodurre un altro elemento inconsueto, che e lo spazio delle masse, di cuisi occupa il prossimo paragrafo.

3.2 Lo spazio delle masse

SiaHm uno spazio di Hilbert di dimensione 1 (e separabile per il Teorema 2.21a pagina 38) e si consideri il prodotto tensoriale hilbertiano Hm ⊗ L2(R3);esso e uno spazio di Hilbert separabile per il Teorema 2.52 a pagina 65, e peril Teorema 2.23 a pagina 40 e isomorfo a L2(R3).

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86 Capitolo 3. LA PARTICELLA LIBERA OSCILLANTE

Siano ora Im l’operatore identico di Hm, I quello di L2(R3) e M = mIm.Su Hm ⊗ L2(R3) si consideri l’operatore autoaggiunto M ⊗ I, secondo ladefinizione a pagina 67, essendo sia M che I limitati.

Proposizione 3.2. La misura a valori nei proiettori associata all’operato-re M ⊗ I dal Teorema spettrale 2.43 a pagina 57 e

ωM⊗I : B(R) −→∏

(Hm ⊗ L2(R3))

B 7−→ ωM⊗I(B) =

O⊗ I se m /∈ BIm ⊗ I se m ∈ B

Dimostrazione. Per provare la validita delle proprieta delle PVM di pagina 55per ωM⊗I si ricorre all’osservazione 2.50 a pagina 63 e il procedimento risultabanale.

Per ogni ϕ ∈ Hm ⊗ L2(R3) e per ogni boreliano B ∈ B(R) vale

µϕωM⊗I(B) =(ϕ, ωM⊗I(B)ϕ

)Osservazione 2.50a pagina 63

⇓=

(ϕ, 0)

= 0 se m /∈ B(ϕ, ϕ

)se m ∈ B

=(ϕ, ϕ

)χB(m) ,

e dunque, come nella dimostrazione della Proposizione 3.1, si ottiene∫Rid dµϕωM⊗I = mµϕωM⊗I

(m

)= m

(ϕ, ϕ

)χm(m) = m

(ϕ, ϕ

).

Siccome per la multilinearita del prodotto tensoriale si ricava(ϕ, (M ⊗ I)ϕ

)=(ϕ, (mIm ⊗ I)ϕ

)= m

(ϕ, (Im ⊗ I)ϕ

)= m

(ϕ, ϕ

),

per Teorema spettrale 2.43 dev’essere(ϕ, (M ⊗ I)ϕ

)=

∫Rid dµϕωM⊗I .

Per ogni boreliano B ∈ B(R) e per ogni operatore densita ρ su L2(R3),se O e I indicano l’operatore nullo e quello identico di Hm ⊗ L2(R3) rispet-tivamente, per la Proposizione appena dimostrata si ha:

µρωM⊗I(B) = Tr(ρωM⊗I(B)

)=

Tr(ρ O) = Tr(O) = 0 se m /∈ B

Tr(ρ I) = Tr(I) = 1 se m ∈ B

= χB(m)

e, seguendo le argomentazioni a pagina 77, questo si interpreta dicendo chela probabilita che il valore ottenuto dalla misurazione dell’osservabile legataa M ⊗ I con il sistema nello stato ρ appartenga al boreliano B e 1 se m

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3.2 LO SPAZIO DELLE MASSE 87

appartiene al boreliano e 0 in caso contrario; in aggiunta, per ogni operatoredensita ρ, il valore atteso dell’osservabile associata a M⊗ I quando il sistemasi trova nello stato ρ vale∫

Rid dµρωM⊗I = Tr

(ρ(M ⊗ I)

)= Tr

((ρmIm ⊗ I)

)= mTr

((ρ Im ⊗ I)

)= m

per la linearita dell’applicazione traccia e poiche ρ un operatore densita. Se-guendo le considerazioni dell’Osservazione 2.62 a pagina 74, la sua varianzarisulta nulla, e dunque il risultato della sua misura e il valore certo m. L’o-peratore M ⊗ I su Hm ⊗L2(R3) ha dunque le proprieta necessarie ad essereassociato all’osservabile massa.

Analogamente al caso dell’operatore massa su L2(R3) (si veda a pagi-na 84), anche per l’operatore massa M ⊗ I su Hm ⊗ L2(R3) ogni elementodi Hm ⊗ L2(R3) e suo autovettore associato all’autovalore m: ogni statopuro del sistema, che e rappresentato da un proiettore su un sottospaziomonodimensionale, e un autostato dell’osservabile massa.

L’operatore 12M

⊗ P 2, per la definizione a pagina 68 e per l’Osservazio-ne 2.56 a pagina 69, e tale che per ogni ϕm ⊗ ψ ∈ Hm ⊗ L2(R3)( 1

2M⊗ P 2

) (ϕm ⊗ ψ

)=( 1

2mI⊗ P 2

) (ϕm ⊗ ψ

)=

=(Im ⊗

P 2

2m

) (ϕm ⊗ ψ

)= ϕm ⊗

P 2

2mψ .

Proposizione 3.3. La misura a valori nei proiettori associata all’operato-re 1

2M⊗ P 2 dal Teorema spettrale 2.43 a pagina 57 e

ω 12M

⊗P 2 : B(R) −→∏

(Hm ⊗ L2(R3))

B 7−→ ω 12M

⊗P 2(B) = Im ⊗ ωP2

2m

(B)

dove ωP2

2m

e la PVM associata a P 2

2min L2(R3).

Dimostrazione. Per l’Osservazione 2.50 a pagina 63, la validita delle pro-prieta della definizione di PVM a pagina 55 per ω 1

2M⊗P 2 discende diretta-

mente dal fatto che ωP2

2m

e una PVM.

Siccome per ogni boreliano B ∈ B(R) e per ogni ϕm ⊗ ψ ∈ Hm ⊗ L2(R3)

µϕm⊗ψ Im⊗ωP22m

(B) =(ϕm ⊗ ψ, (Im ⊗ ωP2

2m

(B)) (ϕm ⊗ ψ))

=

=(ϕm ⊗ ψ, ϕm ⊗ ωP2

2m

(B)ψ)

=

=(ϕm, ϕm

)(ϕ, ωP2

2m

(B)ψ)

=(ϕm, ϕm

)µψ ω P2

2m

(B)

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88 Capitolo 3. LA PARTICELLA LIBERA OSCILLANTE

allora∫Rid dµϕm⊗ψ I⊗ωP2

2m

=(ϕm, ϕm

) ∫Rid dµψ ω P2

2m

=(ϕm, ϕm

)(ψ,

P 2

2mψ)

=

=(ϕm ⊗ ψ, ϕm ⊗

P 2

2mψ)

=(ϕm ⊗ ψ,

(Im ⊗

P 2

2m

)(ϕm ⊗ ψ)

)=

=(ϕm ⊗ ψ,

( 1

2mIm ⊗ P 2

)(ϕm ⊗ ψ)

)=

=(ϕm ⊗ ψ,

( 1

2M⊗ P 2

)(ϕm ⊗ ψ)

)

Per il Teorema spettrale 2.43 a pagina 57, l’operatore eit~

12M

⊗P 2e l’ope-

ratore tale che per ogni ϕm ⊗ ψ ∈ Hm ⊗ L2(R3)(ϕm ⊗ ψ, e

it~

12M

⊗P 2

(ϕm ⊗ ψ))

=

∫Rf dµϕm⊗ψ ω 1

2M⊗P2

con f : R → C tale che per ogni z ∈ R f(z) = eit~ z.

Come osservato nella dimostrazione della Proposizione precedente∫Rf dµϕm⊗ψ ω 1

2M⊗P2

=(ϕm, ϕm

) ∫Rf dµψ ω P2

2m

=(ϕm, ϕm

)(ψ, e

it~P2

2mψ)

=

=(ϕm ⊗ ψ, ϕm ⊗ e

it~P2

2mψ)

=

=(ϕm ⊗ ψ,

(Im ⊗ e

it~P2

2m

)(ϕm ⊗ ψ)

)ed allora dev’essere

eit~

12M

⊗P 2

= Im ⊗ eit~P2

2m .

Dato il legame tra osservabili e operatori autoaggiunti stabilito dalle inter-pretazioni a pagina 77 attraverso il Teorema spettrale 2.43 a pagina 57, perogni osservabile del sistema, se essa e associata all’operatore A su L2(R3),allora essa e equivalente sia dal punto di vista cinematico che dal punto divista dinamico all’osservabile associata all’operatore Im⊗A su Hm⊗L2(R3);per esempio, la probabilita di osservare la particella nel sottoinsieme Y di R3

e associata all’operatore Im ⊗ TY, con TY come definito a pagina 82.Nel seguito lo spazio di Hilbert rappresentativo della particella libera

preso in considerazione sara allora Hm⊗L2(R3), e Hm sara chiamato spaziodelle masse.

A questo punto sono stati introdotti entrambi gli elementi (operatoremassa e spazio delle masse) che consentono di descrivere stati del sistemache non siano autostati di massa e di illustrare le oscillazioni tra stati inambito non relativistico.

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3.3 L’OSCILLAZIONE TRA DUE STATI 89

3.3 L’oscillazione tra due stati

Giunti a questo punto, risulta naturale chiedersi come si sviluppi la teo-ria fin qui delineata nel caso in cui la dimensione dello spazio Hm non siasemplicemente 1, bensı, per esempio, sia uguale a 2.

Se la dimensione di Hm e 2, l’operatore M su Hm tale che M ⊗ I e l’ope-ratore massa su Hm ⊗ L2(R3) puo ammettere due autovettori ortonormali.Siano allora ϕ1, ϕ2 ∈ Hm due elementi ortonormali e m1,m2 ∈ ]0,+∞[ taliche

Mϕ1 = m1ϕ1

Mϕ2 = m2ϕ2

Siccome ϕ1 e ϕ2 sono indipendenti e costituiscono una base per Hm, per ognielemento ϕm di Hm esistono a1, a2 ∈ C \ 0 tali che ϕm = a1ϕ1 +a2ϕ2. Perla linearita di M

Mϕm = a1Mϕ1 + a2Mϕ2 = a1m1ϕ1 + a2m2ϕ2 ,

ed allora, se πϕ1 e πϕ2 indicano rispettivamente il proiettore sul sottospaziogenerato da ϕ1 e quello sul sottospazio generato da ϕ2, l’operatore M e

M = m1πϕ1 +m2πϕ2 .

In termini matriciali, nella base ϕ1, ϕ2 tale operatore puo essere scrittonella forma

M =

(m1 00 m2

)La misura a valori nei proiettori ωM associata a M dal Teorema spettra-

le 2.43 a pagina 57 e quella tale che(ϕm,Mϕm

)=

∫Rid dµϕmωM ∀ϕm ∈ Hm

µϕmωM (B) =(ϕm, ωM(B)ϕm

)∀B ∈ B(R)

Ora, se ω e l’applicazione

ω : B(R) −→∏

(Hm)

B 7−→ ω(B) =

Im se B ∩ m1,m2 = m1,m2πϕ1 se B ∩ m1,m2 = m1πϕ2 se B ∩ m1,m2 = m2O se B ∩ m1,m2 = ∅

e facile provare che essa e una misura a valori nei proiettori di Hm. Per laProposizione 2.42 a pagina 56, l’applicazione

µϕmω : B(R) −→ [0,+∞]B 7−→ µϕmω(B) =

(ϕm, ω(B)ϕm

)

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90 Capitolo 3. LA PARTICELLA LIBERA OSCILLANTE

e una misura sullo spazio misurabile (R,B(R)); essa e tale che

µϕmω(B) =

(ϕm, ϕm

)= |a1|2 + |a2|2 se B ∩ m1,m2 = m1,m2(

ϕm, πϕ1ϕm)

= |a1|2 se B ∩ m1,m2 = m1(ϕm, πϕ2ϕm

)= |a2|2 se B ∩ m1,m2 = m2(

ϕm,Oϕm)

= 0 se B ∩ m1,m2 = ∅

e dunque∫Rid dµϕmω =

∫m1∪m2

id dµϕmω = m1 |a1|2 +m2 |a2|2 =

= |a1|2m1 + a∗1a2m20 + a∗2a1m10 + |a2|2m2 =

= |a1|2m1

(ϕ1, ϕ1

)+ a∗1a2m2

(ϕ1, ϕ2

)+

+ a∗2a1m1

(ϕ2, ϕ1

)+ |a2|2m2

(ϕ2, ϕ2

)=

=(a1ϕ1 + a2ϕ2, a1m1ϕ1 + a2m2ϕ2

)=

=(ϕm,Mϕm

)Siccome il Teorama spettrale 2.43 garantisce che la PVM ωM e ben definita,allora ωM = ω, e quindi

ωM : B(R) −→∏

(Hm)

B 7−→ ωM(B) =

Im se B ∩ m1,m2 = m1,m2πϕ1 se B ∩ m1,m2 = m1πϕ2 se B ∩ m1,m2 = m2O se B ∩ m1,m2 = ∅

Sempre per il Teorema spettrale 2.43

1

2M

rappresenta l’operatore f(M) tale che per ogni ϕ ∈ L2(R3)(ϕm, f(M)ϕm

)=

∫R3

f dµϕm ωM

per ogni ϕm ∈ Hm, con f : R \ 0 → C tale che f(x) = 12x

. Per le proprietadella misura µϕm ωM appena trovate, si ha che(ϕm, f(M)ϕm

)=

∫R3

f dµϕm ωM =

∫m1∪m2

f dµϕm ωM =

=1

2m1

µϕm ωM (m1) +1

2m2

µϕm ωM (m2) =1

2m1

|a1|2 +1

2m2

|a2|2 =

=(a1ϕ1 + a2ϕ2,

1

2m1

a1ϕ1 +1

2m2

a2ϕ2

)=(ϕm,

[ 1

2m1

πϕ1 +1

2m2

πϕ2

]ϕm)

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3.3 L’OSCILLAZIONE TRA DUE STATI 91

e dunque dev’essere

1

2M= f(M) =

1

2m1

πϕ1 +1

2m2

πϕ2 .

Il Teorema spettrale 2.43 associa all’operatore 12M⊗P 2 la misura a valori

nei proiettori ω 12M

⊗P 2 tale che

(ϕm ⊗ ψ,

( 1

2M⊗ P 2

)(ϕm ⊗ ψ)

)=

∫Rid dµϕm⊗ψ ω 1

2M⊗P2

∀ ϕm ⊗ ψ ∈ Hm ⊗ L2(R3)

µϕm⊗ψ ω 12M

⊗P2(B) =

(ϕm ⊗ ψ, ω 1

2M⊗P 2(B)(ϕm ⊗ ψ)

)∀B ∈ B(R)

Sia ω e l’applicazione

ω : B(R) −→∏

(Hm)B 7−→ ω(B) = πϕ1 ⊗ ω P2

2m1

(B) + πϕ2 ⊗ ω P2

2m2

(B)

dove ω P2

2m1

e ω P2

2m2

sono le PVM su L2(R3) associate agli operatori P 2

2m1e P 2

2m2

dal Teorema spettrale 2.43; si dimostra facilmente che ω e una misura a valorinei proiettori di Hm. L’applicazione

µϕm⊗ψ ω : B(R) −→ [0,+∞]B 7−→ µϕm⊗ψω(B) =

(ϕm ⊗ ψ, ω(B) (ϕm ⊗ ψ)

)e una misura sullo spazio misurabile (R,B(R)) per la Proposizione 2.42 apagina 56 e per ogni B ∈ B(R) essa vale

µϕm⊗ψ ω(B) =(ϕm ⊗ ψ, ω(B) (ϕm ⊗ ψ)

)=

=(ϕm ⊗ ψ, (πϕ1 ⊗ ω P2

2m1

(B) + πϕ2 ⊗ ω P2

2m2

(B)) (ϕm ⊗ ψ))

=

=(ϕm, πϕ1ϕm

)(ψ, ω P2

2m1

(B)ψ)

+(ϕm, πϕ2ϕm

)(ψ, ω P2

2m2

(B)ψ)

=

= |a1|2 µψ ω P22m1

(B) + |a2|2 µψ ω P22m2

(B)

Allora∫Rid dµϕm⊗ψ ω = |a1|2

∫Rid dµψ ω P2

2m1

+ |a2|2∫

Rid dµψ ω P2

2m2

=

= |a1|2(ψ,

P 2

2m1

ψ)

+ |a2|2(ψ,

P 2

2m2

ψ)

=

=1

2m1

|a1|2(ψ, P 2ψ

)+

1

2m2

|a2|2(ψ, P 2ψ

)=

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92 Capitolo 3. LA PARTICELLA LIBERA OSCILLANTE

=[ 1

2m1

|a1|2 +1

2m2

|a2|2](ψ, P 2ψ

)=

=(ϕm, (

1

2m1

πϕ1 +1

2m2

πϕ2)ϕm)(ψ, P 2ψ

)=

=(ϕm,

1

2Mϕm)(ψ, P 2ψ

)=

=(ϕm ⊗ ψ,

( 1

2M⊗ P 2

)(ϕm ⊗ ψ)

)per ogni ϕm ⊗ ψ ∈ Hm ⊗ L2(R3). Siccome gli elementi di ⊗(Hm × L2(R3))costituiscono un sottoinsieme denso in Hm ⊗ L2(R3), grazie al Teoremaspettrale 2.43 si conclude che ω 1

2M⊗P 2 = ω, ossia

ω 12M

⊗P 2(B) = πϕ1 ⊗ ω P2

2m1

(B) + πϕ2 ⊗ ω P2

2m2

(B)

per ogni B ∈ B(R).

Se f : R → C e l’applicazione tale che per ogni z ∈ R f(z) = eit~ z, secondo

la definizione contenuta nel Teorema spettrale 2.43 l’operatore eit~

12M

⊗P 2e

quell’operatore tale che per ogni ϕm ⊗ ψ ∈ Hm ⊗ L2(R3)

(ϕm ⊗ ψ, e

it~

12M

⊗P 2

(ϕm ⊗ ψ))

=

∫Rf dµϕm⊗ψ ω 1

2M⊗P2

e per le argomentazioni precedenti si ha che per ogni ϕm⊗ψ ∈ Hm⊗L2(R3)∫Rf dµϕm⊗ψ ω 1

2M⊗P2

= |a1|2∫

Rf dµψ ω P2

2m1

+ |a2|2∫

Rf dµψ ω P2

2m2

=

= |a1|2(ψ, e

it~

P2

2m1ψ)

+ |a2|2(ψ, e

it~

P2

2m2ψ)

=

=(ϕm, πϕ1ϕm

)(ψ, e

it~

P2

2m1ψ)

+(ϕm, πϕ2ϕm

)(ψ, e

it~

P2

2m2ψ)

=

=(ϕm ⊗ ψ, πϕ1ϕm ⊗ e

it~

P2

2m1ψ + πϕ2ϕm ⊗ eit~

P2

2m2ψ)

=(ϕm ⊗ ψ,

[πϕ1 ⊗ e

it~

P2

2m1 + πϕ2 ⊗ eit~

P2

2m2

](ϕm ⊗ ψ)

).

Allora dev’essere

eit~

12M

⊗P 2

= πϕ1 ⊗ eit~

P2

2m1 + πϕ2 ⊗ eit~

P2

2m2 .

Grazie alle considerazioni sull’evoluzione degli stati puri esposte a pagi-na 80, se uno stato puro e rappresentato dal proiettore sul sottospazio genera-to dal generico elemento normale Φ = a1ϕ1⊗ψ+a2ϕ2⊗ξ diHm⊗L2(R3), tale

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3.3 L’OSCILLAZIONE TRA DUE STATI 93

stato puro evolve al tempo t nello stato associato al proiettore sul sottospaziogenerato dall’elemento

e−it~

12M

⊗P 2

Φ =(πϕ1 ⊗ e

− it~

P2

2m1 + πϕ2 ⊗ e− it

~P2

2m2

)(a1ϕ1 ⊗ ψ + a2ϕ2 ⊗ ξ) =

= a1ϕ1 ⊗ e− it

~P2

2m1ψ + a2ϕ2 ⊗ e− it

~P2

2m2 ξ

Si consideri l’elemento normale di Hm ⊗ L2(R3)

Φα = ϕα ⊗ ψ = (α1ϕ1 + α2ϕ2)⊗ ψ .

Senza perdita di generalita, per la multilinearita del prodotto tensoriale, sipossono supporre normali entrambi gli elementi ϕα di Hm e ψ di L2(R3).

Sia ϕβ = β1ϕ1 + β2ϕ2 un elemento di Hm ortonormale a ϕα, cosiccheϕα, ϕβ sia una base ortonormale di Hm. I coefficienti di ϕα e ϕβ sono legatidalle seguenti relazioni (che sono le condizioni affinche la trasformazione dallabase ϕ1, ϕ2 alla base ϕα, ϕβ sia unitaria):

|α1|2 + |α2|2 = 1 |β1|2 + |β2|2 = 1

|β1|2 = |α2|2 |β2|2 = |α1|2

poiche la condizione di ortonormalita 0 =(α1ϕ1 + α2ϕ2, β1ϕ1 + β2ϕ2

)=

α∗1β1 + α∗2β2 implica che nel caso in cui α2 = 0 sia β1 = 0 e dunque|β2|2 = 1 = |α1|2

|β1|2 = 0 = |α2|2

mentre se α2 6= 0 essa impone che debba valere β2 =−α∗1β1

α∗2=⇒

=⇒ 1 = |β1|2 +|α1|2 |β1|2

|α2|2=⇒

|β1|2 =

1

1 + |α1|2

|α2|2=

|α2|2

|α2|2 + |α1|2= |α2|2

|β2|2 =|α1|2

|α2|2|β1|2 =

|α1|2

|α2|2|α2|2 = |α1|2

Siano ora Fα = πϕα ⊗ I e Fβ = πϕβ ⊗ I. Siccome ϕα e ϕβ costituisconouna base ortonormale di Hm, e facile dimostrare che la loro somma Fα + Fβe l’operatore identico su Hm ⊗ L2(R3).

Un autovettore ϕ⊗ ψ + ζ ⊗ ξ di Fα e tale che esiste λ ∈ C per il quale

λ(ϕ⊗ ψ + ζ ⊗ ξ) = (πϕα ⊗ I)(ϕ⊗ ψ + ζ ⊗ ξ) = πϕαϕ⊗ ψ + πϕαζ ⊗ ξ =

=(ϕα, ϕ

)ϕα ⊗ ψ +

(ϕα, ζ

)ϕα ⊗ ξ =⇒

=⇒

(ϕα, ϕ

)ϕα = λϕ =⇒ ∃ γ ∈ C : ϕ = γϕα(

ϕα, ζ)ϕα = λζ =⇒ ∃ δ ∈ C : ζ = δϕα

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94 Capitolo 3. LA PARTICELLA LIBERA OSCILLANTE

e dunque, per la multilinearita del prodotto tensoriale,

ϕ⊗ ψ + ζ ⊗ ξ = γϕα ⊗ ψ + δϕα ⊗ ξ = ϕα ⊗ γψ + ϕα ⊗ δξ =

= ϕα ⊗ (γψ + δξ)

Allora, gli autovettori dell’operatore Fα sono gli elementi Φα = ϕα ⊗ ψ perogni ψ ∈ L2(R3), e analogamente quelli di Fβ sono gli elementi Φβ = ϕβ ⊗ ξ,ξ ∈ L2(R3); gli stati del sistema rappresentati dai proiettori sui sottospazigenerati da tali autovettori saranno chiamati rispettivamente autostati diflavour (o autostati di sapore) α e autostati di flavour (o di sapore) β.

L’osservabile fisica corrispondente agli operatori Fα e Fβ sara quindi laprobabilita che il sistema venga osservato in un autostato di flavour α e inautostato di flavour β nell’ordine.

Si supponga che il sistema si trovi nell’autostato di flavour α, corrispon-dente al proiettore sul sottospazio generato dall’elemento normale

Φα = ϕα ⊗ ψ = (α1ϕ1 + α2ϕ2)⊗ ψ

con ψ ∈ L2(R3), che e uno stato non entangled (come definito a pagina 76).Dopo un tempo t, lo stato del sistema sara quello associato all’elemento

e−it~

12M

⊗P 2

Φα = α1ϕ1 ⊗ e− it

~P2

2m1ψ + α2ϕ2 ⊗ e− it

~P2

2m2ψ

e questo e uno stato entangled ogniqualvolta e−it P2

2m1ψ e e−it P2

2m2ψ non sonolinearmente dipendenti.

La probabilita di osservare il sistema nell’autostato di flavour α sara datainizialmente da(

Φα, Fα Φα

)=(ϕα ⊗ ψ, (πϕα ⊗ I) (ϕα ⊗ ψ)

)=

=(ϕα, πϕαϕα

)(ψ, ψ

)=(ϕα, ϕα

)(ψ, ψ

)= 1 · 1 = 1

come ovvio, mentre al tempo t essa vale(e−

it~

12M

⊗P 2

Φα, Fαe− it

~1

2M⊗P 2

Φα

)=

=([α1ϕ1 ⊗ e

− it~

P2

2m1ψ + α2ϕ2 ⊗ e− it

~P2

2m2ψ],

(πϕα ⊗ I)[α1ϕ1 ⊗ e

− it~

P2

2m1ψ + α2ϕ2 ⊗ e− it

~P2

2m2ψ])

=

=([α1ϕ1 ⊗ e

− it~

P2

2m1ψ + α2ϕ2 ⊗ e− it

~P2

2m2ψ],[

α1

(ϕα, ϕ1

)ϕα ⊗ e

− it~

P2

2m1ψ + α2

(ϕα, ϕ2

)ϕα ⊗ e

− it~

P2

2m2ψ])

=

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3.3 L’OSCILLAZIONE TRA DUE STATI 95

= |α1|2(ϕα, ϕ1

)(ϕ1, ϕα

)(e− it

~P2

2m1ψ, e− it

~P2

2m1ψ)

+

+ α∗1α2

(ϕα, ϕ2

)(ϕ1, ϕα

)(e− it

~P2

2m1ψ, e− it

~P2

2m2ψ)

+

+ α∗2α1

(ϕα, ϕ1

)(ϕ2, ϕα

)(e− it

~P2

2m2ψ, e− it

~P2

2m1ψ)

+

+ |α2|2(ϕα, ϕ2

)(ϕ2, ϕα

)(e− it

~P2

2m2ψ, e− it

~P2

2m2ψ)

=⇑

Osservazione 2.44a pagina 57

= |α1|4(ψ, ψ

)+ |α1|2 |α2|2

(e− it

~ P2( 1

2m1− 1

2m2)ψ, ψ

)+

+ |α2|2 |α1|2(ψ, e

− it~ P

2( 12m1

− 12m2

)ψ)

+ |α2|4(ψ, ψ

)=

= |α1|4 + |α2|4 + |α1|2 |α2|2[(ψ, e

− it~ P

2( 12m1

− 12m2

)ψ)∗

+

+(ψ, e

− it~ P

2( 12m1

− 12m2

)ψ)]

=

= |α1|4 + |α2|4 + |α1|2 |α2|2 2<(ψ, e

− it~ P

2( 12m1

− 12m2

)ψ)

=

= 1− 2 |α1|2 |α2|2 + 2 |α1|2 |α2|2<(ψ, e

− it~ P

2( 12m1

− 12m2

)ψ)

=

= 1− 2 |α1|2 |α2|2[1−<

(ψ, e

− it~ P

2( 12m1

− 12m2

)ψ)]

che non e pari a 1 per ogni t > 0 e per ogni ψ ∈ L2(R3) nel caso in cui sia α1

che α2 siano non nulli e m1 6= m2. Essendo Fα + Fβ = Im ⊗ I, la probabilitadi osservare il sistema nell’autostato di flavour β al tempo t e allora datadalla formula(e−

it~

12M

⊗P 2

Φα, Fβ e− it

~1

2M⊗P 2

Φα

)= 2 |α1|2 |α2|2

[1−<

(ψ, e

− it~ P

2( 12m1

− 12m2

)ψ)]

Dunque, se il sistema e inizialmente in un autostato di flavour che non eun autostato di massa (α1 6= 0 6= α2), esistono opportune scelte della fun-zione ψ tali che ci sia una probabilita non nulla che in un tempo successivoall’istante t = 0 il sistema venga osservato in un diverso autostato di fla-vour, o, addirittura, che in taluni istanti la probabilita di osservare il sistemanell’autostato di flavour diverso da quello originario sia 1, e sia qundi nullaquella di osservarlo nello stato iniziale: si e allora ottenuta l’oscillazione delsistema tra due stati.

Se si pone ψ1(t) = e− it

~P2

2m1ψ

ψ2(t) = e− it

~P2

2m2ψ

dai passaggi precedenti si ricava che la probabilita di osservare la particellanell’autostato di flavour α puo essere scritta anche nella forma

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96 Capitolo 3. LA PARTICELLA LIBERA OSCILLANTE

(e−

it~

12M

⊗P 2

Φα, Fαe− it

~1

2M⊗P 2

Φα

)=

= |α1|4(e− it

~P2

2m1ψ, e− it

~P2

2m1ψ)

+ |α1|2 |α2|2(e− it

~P2

2m1ψ, e− it

~P2

2m2ψ)

+

+ |α1|2 |α2|2(e− it

~P2

2m2ψ, e− it

~P2

2m1ψ)

+ |α2|4(e− it

~P2

2m2ψ, e− it

~P2

2m2ψ)

=

= |α1|4(ψ1(t), ψ1(t)

)+ |α1|2 |α2|2

(ψ1(t), ψ2(t)

)+

+ |α1|2 |α2|2(ψ2(t), ψ1(t)

)+ |α2|4

(ψ2(t), ψ2(t)

)=

=(|α1|2 ψ1(t) + |α2|2 ψ2(t), |α1|2 ψ1(t) + |α2|2 ψ2(t)

)=

=

∫R3

∣∣|α1|2 ψ1(t) + |α2|2 ψ2(t)∣∣2 dµ

Si considerino gli operatori FαY e FβY definiti rispettivamente da

FαY = πϕα ⊗ TY FβY = πϕβ ⊗ TY

con Y un sottoinsieme di R3 e TY l’operatore definito a pagina 82. Essirisultano banalmente autoaggiunti, e le osservabili ad essi corrispondenti sonola probabilita di osservare la particella nel sottoinsieme Y di R3 nell’autostatodi flavour α e β rispettivamente.

Allora, se lo stato iniziale del sistema e rappresentato dal proiettore sulsottospazio generato dall’elemento Φα, la probabilita di osservare la parti-cella in esame in Y nell’autostato di flavour α dopo un tempo t e data dalvalore di(e−

it~

12M

⊗P 2

Φα, FαYe− it

~1

2M⊗P 2

Φα

)=

=([α1ϕ1 ⊗ e

− it~

12m1

⊗P 2

ψ + α2ϕ2 ⊗ e− it

~1

2m2⊗P 2

ψ],

(πϕα ⊗ TY)[α1ϕ1 ⊗ e

− it~

12m1

⊗P 2

ψ + α2ϕ2 ⊗ e− it

~1

2m2⊗P 2

ψ])

=([α1ϕ1 ⊗ ψ1(t)+α2ϕ2 ⊗ ψ2(t)

],

(πϕα ⊗ TY)[α1ϕ1 ⊗ ψ1(t) + α2ϕ2 ⊗ ψ2(t)

])=(|α1|2 ψ1(t), TY |α1|2 ψ1(t)

)+(|α1|2 ψ1(t), TY |α2|2 ψ2(t)

)+

+(|α2|2 ψ2(t), TY |α1|2 ψ1(t)

)+(|α2|2 ψ2(t), TY |α2|2 ψ2(t)

)=

=([|α1|2 ψ1(t) + |α2|2 ψ2(t)], TY[|α1|2 ψ1(t) + |α2|2 ψ2(t)]

)=

=

∫Y

∣∣|α1|2 ψ1(t) + |α2|2 ψ2(t)∣∣2 dµ

mentre quella di osservarla nell’autostato di flavour β, sempre nel sottoinsie-

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3.3 L’OSCILLAZIONE TRA DUE STATI 97

me Y di R3, risulta(e−

it~

12M

⊗P 2

Φα, FβYe− it

~1

2M⊗P 2

Φα

)=

=([α1ϕ1 ⊗ e

− it~

12m1

⊗P 2

ψ + α2ϕ2 ⊗ e− it

~1

2m2⊗P 2

ψ],

(πϕβ ⊗ TY)[α1ϕ1 ⊗ e

− it~

12m1

⊗P 2

ψ + α2ϕ2 ⊗ e− it

~1

2m2⊗P 2

ψ])

=([α1ϕ1 ⊗ ψ1(t)+α2ϕ2 ⊗ ψ2(t)

],

(πϕβ ⊗ TY)[α1ϕ1 ⊗ ψ1(t) + α2ϕ2 ⊗ ψ2(t)

])= α∗1α1

(ϕβ, ϕ1

)(ϕ1, ϕβ

)(ψ1(t), TY ψ1(t)

)+

+ α∗1α2

(ϕβ, ϕ2

)(ϕ1, ϕβ

)(ψ1(t), TY ψ2(t)

)+

+ α∗2α1

(ϕβ, ϕ1

)(ϕ2, ϕβ

)(ψ2(t), TY ψ1(t)

)+

+ α∗2α2

(ϕβ, ϕ2

)(ϕ2, ϕβ

)(ψ2(t), TY ψ2(t)

)=

=([α1β1ψ1(t) + α2β2ψ2(t)], TY[α1β1ψ1(t) + α2β2ψ2(t)]

)=

=

∫Y

|α1β1ψ1(t) + α2β2ψ2(t)|2 dµ

Le due funzioni|α1|2 ψ1(t) + |α2|2 ψ2(t)

α1β1 ψ1(t) + α2β2 ψ2(t)

ricoprono allora il ruolo di funzione d’onda rispettivamente per lo stato diflavour α e per lo stato di flavour β.

Gli stati ridotti (definiti a pagina 78) dello stato rappresentato dal pro-iettore ρ sul sottospazio generato dall’elemento entangled

Φ(t) = e−it~

12M

⊗P 2

Φα =

= α1 ϕ1 ⊗ ψ1(t) + α2 ϕ2 ⊗ ψ2(t)

che rappresenta lo stato del sistema al tempo t, risultano essere le miscelestatistiche

ρm(t) =

(|α1|2 α∗1α2

(ψ1(t), ψ2(t)

)α∗2α1

(ψ2(t), ψ1(t)

)|α2|2

)ρc(t) = |α1|2 πψ1(t) + |α2|2 πψ2(t)

sugli spazi Hm e L2(R3) rispettivamente (πψ1(t) e πψ2(t) indicano i proiettorisui sottospazi di L2(R3) generati da ψ1(t) e ψ2(t)).

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98 Capitolo 3. LA PARTICELLA LIBERA OSCILLANTE

Infatti, se ρ = πΦ(t) e ψ1, ψ2, . . . e una base ortonormale di L2(R3),allora per ogni operatore autoaggiunto Am su Hm si ha

Tr(ρAm ⊗ I) =∑

r

(ϕ1 ⊗ ψr, πΦ(t) (Am ⊗ I)(ϕ1 ⊗ ψr)

)+

+∑

s

(ϕ2 ⊗ ψs, πΦ(t) (Am ⊗ I)(ϕ2 ⊗ ψs)

)=

=∑

r

(Φ(t), Amϕ1 ⊗ ψr

)(ϕ1 ⊗ ψr,Φ(t)

)+

+∑

s

(Φ(t), Amϕ2 ⊗ ψs

)(ϕ2 ⊗ ψs,Φ(t)

)=

=∑

r

[α∗1(ϕ1, Amϕ1

)(ψ1(t), ψr

)+ α∗2

(ϕ2, Amϕ1

)(ψ2(t), ψr

)]α1

(ψr, ψ1(t)

)+

+∑

s

[α∗1(ϕ1, Amϕ2

)(ψ1(t), ψs

)+ α∗2

(ϕ2, Amϕ2

)(ψ2(t), ψs

)]α2

(ψs, ψ2(t)

)=

= |α1|2(ϕ1, Amϕ1

)(ψ1(t),

∑r

(ψr, ψ1(t)

)ψr)

+

+ α∗2α1

(ϕ2, Amϕ1

)(ψ2(t),

∑r

(ψr, ψ1(t)

)ψr)

+

+ α∗1α2

(ϕ1, Amϕ2

)(ψ1(t),

∑s

(ψs, ψ2(t)

)ψs)

+

+ |α2|2(ϕ2, Amϕ2

)(ψ2(t),

∑s

(ψs, ψ2(t)

)ψs)

=

= |α1|2(ϕ1, Amϕ1

)+ α∗2α1

(ϕ2, Amϕ1

)(ψ2(t), ψ1(t)

)+

+ α∗1α2

(ϕ1, Amϕ2

)(ψ1(t), ψ2(t)

)+ |α2|2

(ϕ2, Amϕ2

)=

=([|α1|2 ϕ1 + α∗1α2

(ψ1(t), ψ2(t)

)ϕ2], Amϕ1

)+

+([α∗2α1

(ψ2(t), ψ1(t)

)ϕ1 + |α2|2 ϕ2], Amϕ2

)e perche ρm(t) sia tale che quest’ultima espressione sia uguale a

Trm(ρm(t)Am) =(ϕ1, ρm(t)Amϕ1

)+(ϕ2, ρm(t)Amϕ2

)=

=(ρm(t)ϕ1, Amϕ1

)+(ρm(t)ϕ2, Amϕ2

)(Trm e l’applicazione traccia di Hm) ρm(t) dev’essere l’operatore rappresen-tato, nella base ϕ1, ϕ2 di Hm, dalla matrice indicata sopra.

Per quanto riguarda lo stato ridotto ρc(t), se Ac e un generico operatoreautoaggiunto su L2(R3), allora

Tr(ρ Im ⊗ Ac) =∑

r

(ϕ1 ⊗ ψr, (πΦ(t) Im ⊗ Ac)(ϕ1 ⊗ ψr)

)+

+∑

s

(ϕ2 ⊗ ψs, (πΦ(t) Im ⊗ Ac)(ϕ2 ⊗ ψs)

)=∑

r

(ϕ1 ⊗ ψr, Φ(t)

)(Φ(t), ϕ1 ⊗ Acψr

)+

+∑

s

(ϕ2 ⊗ ψs, Φ(t)

)(Φ(t), ϕ2 ⊗ Acψs

)=

=∑

r α1

(ψr, ψ1(t)

)α∗1(ψ1(t), Acψr

)+

+∑

s α2

(ψs, ψ2(t)

)α∗2(ψ2(t), Acψs

)=

=∑

r |α1|2(πψ1(t)ψr, Acψr

)+∑

s |α2|2(πψ2(t)ψs, Acψs

)=

=∑

n

(ψn, [|α1|2 πψ1(t) + |α2|2 πψ2(t)]Acψn

)= Tr2(ρc(t)Ac)

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3.3 L’OSCILLAZIONE TRA DUE STATI 99

(dove Tr2 e l’applicazione traccia di L2(R3)) vale se ρc(t) e l’operatore densitaρc(t) = |α1|2 πψ1(t) + |α2|2 πψ2(t) gia indentificato.

Si osservi che, per il Teorema 2.65 a pagina 79, i due stati ridotti sonoentrambi puri se e soltanto se Φ(t) non e entangled, ossia se e soltanto se ψ1(t)e ψ2(t) sono linearmente indipendenti oppure uno tra α1 e α2 e nullo.

Lo stato ridotto ρm(t) su Hm dipende sia dai coefficienti α1 e α2 dellostato iniziale, sia dal prodotto scalare tra ψ1(t) e ψ2(t); dunque, la riduzionesullo spazio delle masse Hm e influenzata dall’evoluzione delle componentiappartenenti a L2(R3) dell’elemento di Hm⊗L2(R3) che rappresenta lo statodel sistema.

La probabilita di osservare il sistema nello stato ridotto ϕα se il sistemasi trova nello stato ridotto ρm(t) e, per quanto visto in precedenza,

Trm(ρm(t)πϕα) =([|α1|2 ϕ1 + α∗1α2

(ψ1(t), ψ2(t)

)ϕ2], πϕαϕ1

)+

+([α∗2α1

(ψ2(t), ψ2(t)

)ϕ1 + |α2|2 ϕ2], πϕαϕ2

)=

=([|α1|2 ϕ1 + α∗1α2

(ψ1(t), ψ2(t)

)ϕ2],

(ϕα, ϕ1

)ϕα)

+

+([α∗2α1

(ψ2(t), ψ1(t)

)ϕ1 + |α2|2 ϕ2],

(ϕα, ϕ2

)ϕα)

=

= |α1|4 + |α1|2 |α2|2(ψ1(t), ψ2(t)

)+ |α1|2 |α2|2

(ψ2(t), ψ1(t)

)+ |α2|4 =

=(|α1|2 ψ1(t) + |α2|2 ψ2(t), |α1|2 ψ1(t) + |α2|2 ψ2(t)

)che coincide con il risultato ottenuto a pagina 96 nel calcolo della probabilitadi osservare il sistema nell’autostato di flavour α al tempo t.

Per quanto riguarda lo stato ridotto ρc(t) su L2(R3), il valor medio del-l’osservabile associata all’operatore autoaggiunto Ac su L2(R3) con il sistemanello stato rappresentato da ρc(t) risulta essere, dai calcoli precedenti,

Tr2(ρc(t)Ac) =∑n

(ψn, ρc(t)Acψn

)=

=∑n

(ψn, |α1|2 πψ1(t) + |α2|2 πψ2(t)Acψn

)=

=∑r

|α1|2(πψ1(t)ψr, Acψr

)+∑s

|α2|2(πψ2(t)ψs, Acψs

)=

=∑r

|α1|2(ψ1(t), ψr

)∗(ψ1(t), Acψr

)+∑s

|α2|2(ψ2(t), ψs

)∗(ψ2(t), Acψs

)=

= |α1|2(ψ1(t), Ac

∑r

(ψr, ψ1(t)

)ψr)

+ |α2|2(ψ2(t), Ac

∑s

(ψs, ψ2(t)

)ψs)

=

= |α1|2(ψ1(t), Ac ψ1(t)

)+ |α2|2

(ψ2(t), Ac ψ2(t)

)Allora la probabilita di osservare il sistema nel sottoinsieme Y di R3, che

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100 Capitolo 3. LA PARTICELLA LIBERA OSCILLANTE

corrisponde all’operatore TY definito a pagina 82, risulta essere

Tr2(ρc(t)TY) = |α1|2(ψ1(t), TYψ1(t)

)+ |α2|2

(ψ2(t), TYψ2(t)

)=

= |α1|2∫

Y

|ψ1(t)|2 dµ+ |α2|2∫

Y

|ψ2(t)|2 dµ

che e invece diversa da quelle ottenute per i due flavour alle pagine 96 e 97,poiche mancano i prodotti scalari misti: la conoscenza dello stato del siste-ma nello spazio delle masse Hm altera radicalmente la distribuzione dellaprobabilita di osservare il sistema in un sottoinsieme Y di R3 dato.

Gli autostati di flavour possono essere interpretati come gli stati in cui laparticella studiata viene prodotta nelle interazioni in cui si origina e in cuiessa interagisce con gli strumenti di misura con cui viene rivelata: per questoessi sono indicati anche con la locuzione autostati di interazione.

3.4 Un esempio di oscillazione

Per poter dare una rappresentazione grafica dell’effetto dell’oscillazione dellaparticella libera tra due autostati di flavour si considerera qui il caso unidi-mensionale in cui il sistema e rappresentato dallo spazio di Hilbert separabileHm ⊗ L2(R).

Si supponga che all’istante iniziale la particella si trovi nell’autostato diflavour α

Φα(x) = (α1ϕ1 + α2ϕ2)⊗ ψ(x)

Si scelga poi come esempio una funzione ψ(x) ∈ L2(R) tale che la den-sita |ψ(x)|2 della probabilita di osservare la particella in una regione datacalcolata a pagina 82 sia una funzione normale (o gaussiana)

|ψ(x)|2 =1√2πσ

e−12(x−νσ

)2

di valor medio ν, varianza σ2 e deviazione standard (o scarto quadraticomedio) σ.

Ora, se ψ e la funzione tale che per ogni x ∈ R

ψ(x) =

√σ

4√

2π3

∫Re−σ

2(k−k0)eikx dk

con p0 = k0~ il momento lineare iniziale della particella, allora [35]

|ψ(x)|2 =1√2πσ

e−12x2

σ2

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3.4 UN ESEMPIO DI OSCILLAZIONE 101

e proprio una normale di valor medio 0 e varianza σ2. Inoltre, le due funzioni

ψ1(x, t) = e− it

~P2

2m1ψ(x) ψ2(x, t) = e− it

~P2

2m2ψ(x)

risultano essere [35]

ψ1(x, t) =4

√σ2

eiη1

4

√σ4 + ~t2

4m21

eik0xe−(x−~k0

m1t)

2

4σ2+2i~tm1

ψ2(x, t) =4

√σ2

eiη2

4

√σ4 + ~t2

4m22

eik0xe−(x−~k0

m2t)

2

4σ2+2i~tm2

con ηj = −θj − ~k20

2mjt e θj tale che tan(2θj) = ~t

2mjσ2 per j ∈ 1, 2.Si scelgano i coefficienti α1, α2, β1 e β2 che determinano gli autostati di

flavour nella forma

α1 = cos θ α2 = sin θ

β1 = − sin θ β2 = cos θ

In letteratura θ ∈ R e denominato angolo di mixing (si veda a pagina 5).I grafici riportati sono stati prodotti utilizzando il programma Mathema-

tica 4.0 della Wolfram Research Inc.I valori delle massem1 em2 e del momento lineare iniziale p0 presenti nelle

formule che esprimono ψ1(x, t) e ψ2(x, t) sono stati fissati arbitrariamenterispettivamente a 10, 15 e 10, e la costante ~ e stata posta uguale a 1.

Nel caso del mixing massimo (θ = π4) e con una deviazione standard

σ = 1 per il modulo quadro della funzione ψ(x), le probabilita di osservareil sistema nell’autostato di flavour α e nell’autostato β in qualche puntodella retta reale ottenute dalle formule a pagina 96 e 97 sono rappresentatein funzione del tempo nei grafici della Figura 3.1, in cui si vede che essisono, per cosı dire, il complemento a 1 l’uno dell’altro, e che l’oscillazionedei flavour rivelati e presente solo all’inizio dell’evoluzione. Dopo una primafase di ampie oscillazioni delle due probabilita, esse si attestano al valore 1

2:

se si sottraggono i termini di interferenza

2<(|α1|2 |α2|2

∫Rψ1(t)

∗ψ2(t) dµ)

e 2<(α∗1β

∗1α2β2

∫Rψ1(t)

∗ψ2(t) dµ)

agli integrali di pagina 96 e 97 (che con Y = R danno la probabilita di

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102 Capitolo 3. LA PARTICELLA LIBERA OSCILLANTE

10 20 30 40 50t

0.2

0.4

0.6

0.8

1P

(a) Flavour α

10 20 30 40 50t

0.2

0.4

0.6

0.8

1P

(b) Flavour β

Figura 3.1: Grafici della probabilita di osservare la particella nel flavour αe nel flavour β in funzione del tempo nel caso del mixing massimo (π

4) con

deviazione standard iniziale 1.

osservare la particella nei due flavour), si ottiene rispettivamente

|α1|4∫

R|ψ1(t)|2 dµ + |α2|4

∫R|ψ2(t)|2 dµ e

|α1|2 |β1|2∫

R|ψ1(t)|2 dµ + |α2|2 |β2|2

∫R|ψ2(t)|2 dµ

che nel caso di mixing massimo, in cui α1 = cos π4

= 1√2, α2 = sin π

4= 1√

2,

β1 = − sin π4

= − 1√2

e β2 = cos π4

= 1√2

valgono[1√2

]4

+

[1√2

]4

=1

2e

[1√2

]2 [1√2

]2

+

[− 1√

2

]2 [1√2

]2

=1

2

dato che ψ1(t) e ψ2(t) sono ottenute con una trasformazione unitaria dielementi normali di L2(R).

Questo particolare e chiarito dall’analisi della Figura 3.2, che illustra l’an-damento in funzione del tempo della probabilita di osservare il sistema neidue flavour in un intorno circolare delle posizioni x dell’asse reale di raggiopari alla deviazione standard scelta. Dopo un certo tempo tale probabilitasi propaga come se fosse costituita da due gaussiane che si spostano a ve-locita diversa (diminuendo il loro massimo e aumentando la loro deviazionestandard) separandosi sempre piu e quasi senza interferire tra loro, mentreinizialmente la loro interferenza e molto evidente; questo comportamento e il-lustrato anche dalla Figura 3.3, che contiene alcune sezioni verticali paralleleal piano < x, P > del grafico della Figura 3.2 (a) riguardante il flavour α.

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3.4 UN ESEMPIO DI OSCILLAZIONE 103

10

20

30

40

50

x10

20

30

40

50

t

0

0.2

0.4

0.6

P

10

20

30

40

50

x

(a) Flavour α

10

20

30

40

50

x10

20

30

40

50

t

0

0.2

0.4

0.6

P

10

20

30

40

50

x

(b) Flavour β

Figura 3.2: Grafici della probabilita P in funzione del tempo t di osservarela particella nel flavour α e nel flavour β in un intorno delle posizioni x nelcaso del mixing massimo (π

4) con una deviazione standard iniziale 1.

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104 Capitolo 3. LA PARTICELLA LIBERA OSCILLANTE

10 20 30 40 50x

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

P

(a) t = 0

10 20 30 40 50x

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

P

(b) t = 3

10 20 30 40 50x

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

P

(c) t = 6

10 20 30 40 50x

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

P

(d) t = 9

10 20 30 40 50x

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

P

(e) t = 15

10 20 30 40 50x

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

P

(f) t = 20

10 20 30 40 50x

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

P

(g) t = 30

10 20 30 40 50x

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

P

(h) t = 45

Figura 3.3: Sezioni verticali del grafico della Figura 3.2 (a) (flavour α, mixingmassimo (π

4), deviazione standard iniziale 1) parallele al piano < x, P >.

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3.4 UN ESEMPIO DI OSCILLAZIONE 105

10 20 30 40 50t

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

P

(a) x = 0

10 20 30 40 50t

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

P

(b) x = 3

10 20 30 40 50t

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

P

(c) x = 5

10 20 30 40 50t

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

P

(d) x = 7

10 20 30 40 50t

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

P

(e) x = 9

10 20 30 40 50t

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

P

(f) x = 13

10 20 30 40 50t

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

P

(g) x = 25

10 20 30 40 50t

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

P

(h) x = 35

Figura 3.4: Sezioni verticali del grafico della Figura 3.2 (a) (flavour α, mixingmassimo (π

4), deviazione standard iniziale 1) parallele al piano < t, P >.

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106 Capitolo 3. LA PARTICELLA LIBERA OSCILLANTE

10 20 30 40 50t

0.2

0.4

0.6

0.8

1P

(a) Flavour α

10 20 30 40 50t

0.2

0.4

0.6

0.8

1P

(b) Flavour β

Figura 3.5: Grafici della probabilita di osservare la particella nel flavour αe nel flavour β in funzione del tempo nel caso del mixing a 30 (π

6) con una

deviazione standard iniziale 1.

Il fatto che l’intersezione tra il supporto di ψ1(t) e quello di ψ2(t) tendaall’insieme vuoto al cresere di t spiega come mai togliendo i termini di inter-ferenza (che allora tendono a 0 al crescere di t) alle formule che esprimono laprobabilita di osservare un dato flavour si ottenga proprio il limite asintoticodi tale probabilita.

La Figura 3.4 illustra come varia nel tempo la probabilita di osservarela particella nel flavour α a diverse distanze dalla posizione in cui essa estata prodotta. Le distanze sufficientemente grandi vengono raggiunte daidue massimi locali della probabilita ad intervalli ben separati; se si avesse unnumero elevato di particelle di questo tipo, un rivelatore collocato lontanodal posto in cui esse sono state prodotte evidenzierebbe due picchi di osser-vazione, e l’intervallo di tempo che li dividerebbe sarebbe legato alla distanzatra la sorgente delle particelle e il rivelatore.

Dunque, l’oscillazione tra i flavour non continua indefinitamente, ma simantiene solo fintanto che il prodotto scalare

(ψ1(t), ψ2(t)

)e sensibilmente

diverso da zero: questa condizione di coerenza e in accordo con i risultati dialcuni lavori presenti in letteratura [7] (in particolare, l’articolo di Zralek).

Si osservi inoltre che le oscillazioni spaziali ricavate con l’approccio seguitofin qui non ricorre all’espediente utilizzato in molti testi di moltiplicare irisultati temporali per la velocita del sistema, ma sono invece ottenute nelmodo corretto.

Con un angolo di mixing di π6, i grafici delle probabilita in funzione del

tempo di osservare il sistema nell’autostato di flavour α e nell’autostato di

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3.4 UN ESEMPIO DI OSCILLAZIONE 107

10

20

30

40

50

x10

20

30

40

50

t

0

0.2

0.4

0.6

P

10

20

30

40

50

x

(a) Flavour α

10

20

30

40

50

x10

20

30

40

50

t

0

0.2

0.4

0.6

P

10

20

30

40

50

x

(b) Flavour β

Figura 3.6: Grafici della probabilita P in funzione del tempo t di osservarela particella nel flavour α e nel flavour β in un intorno delle posizioni x nelcaso del mixing a 30 (π

6) con una deviazione standard iniziale 1.

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108 Capitolo 3. LA PARTICELLA LIBERA OSCILLANTE

10 20 30 40 50t

0.2

0.4

0.6

0.8

1P

(a) Flavour α

10 20 30 40 50t

0.2

0.4

0.6

0.8

1P

(b) Flavour β

Figura 3.7: Grafici della probabilita di osservare la particella nel flavour α enel flavour β in funzione del tempo nel caso del mixing massimo (π

4) con una

deviazione standard iniziale 0.5.

flavour β in qualche punto della retta reale sono riportati nella Figura 3.5;anche in questo caso la somma del valore delle due probabilita risulta 1 adogni istante, ma il valore a cui esse tendono asintoticamete e diverso: infatti,α1 = cos π

6=

√3

2, α2 = sin π

6= 1

2, β1 = − sin π

6= −1

2e β2 = cos π

6=

√3

2, e

dunque gli integrali delle pagine 96 e 97 con Y = R e privati dei termini diinterferenza

2<(|α1|2 |α2|2

∫Rψ1(t)

∗ψ2(t) dµ)

e 2<(α∗1β

∗1α2β2

∫Rψ1(t)

∗ψ2(t) dµ),

ossia le due formule

|α1|4∫

R|ψ1(t)|2 dµ + |α2|4

∫R|ψ2(t)|2 dµ e

|α1|2 |β1|2∫

R|ψ1(t)|2 dµ + |α2|2 |β2|2

∫R|ψ2(t)|2 dµ ,

valgono (ψ1(t) e ψ2(t) sono elementi normali di L2(R))[√3

2

]4

+

[1

2

]4

=10

16=

5

8e

[√3

2

]2 [1

2

]2

+

[−1

2

]2[√

3

2

]2

=6

16=

3

8

che sono proprio i valori degli asintoti nei due grafici della Figura 3.5.La Figura 3.6 contiene i grafici per il flavour α e per il flavour β della

probabilita in funzione del tempo di osservare il sistema in un intorno circo-lare delle posizioni x dell’asse reale di raggio pari alla deviazione standard

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3.4 UN ESEMPIO DI OSCILLAZIONE 109

iniziale. A causa del fatto che il mixing non e massimo, le oscillazioni sonovisibilmente meno pronunciate.

Fissando la deviazione standard iniziale al valore 0.5, ossia con una mi-gliore localizzazione della particella al momento in cui viene prodotta rispettoagli esempi precedenti, per un angolo di mixing di 45 (mixing massimo) siottengono i grafici contenuti nelle Figure 3.7 e 3.8. La fase di accentuatainterferenza e in questo caso piu breve, e le sezioni verticali dei grafici dellaFigura 3.8 dopo la fase di interferenza mostrano entrambe due massimi localiinferiori rispetto al caso della deviazione standard iniziale di 1, e pendenzemeno ripide nelle vicinanze di tali massimi; questo e dovuto a un piu rapidoallargamento delle due gaussiane.

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110 Capitolo 3. LA PARTICELLA LIBERA OSCILLANTE

10

20

30

40

50

x10

20

30

40

50

t

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

P

10

20

30

40

50

x

(a) Flavour α

10

20

30

40

50

x10

20

30

40

50

t

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

P

10

20

30

40

50

x

(b) Flavour β

Figura 3.8: Grafici della probabilita P in funzione del tempo t di osservarela particella nel flavour α e nel flavour β in un intorno delle posizioni x nelcaso del mixing massimo (π

4) con una deviazione standard iniziale 0.5.

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Capitolo 4

Conclusioni

4.1 Panoramica

L’obiettivo raggiunto con questa tesi e quello di modellizzare il fenomenodell’oscillazione dei sistemi fisici tra diversi stati nell’ambito della meccanicaquantistica non relativistica. Tale risultato e stato conseguito attraverso unaricostruzione del formalismo sufficientemente rigorosa da poter ricavare talioscillazioni all’interno della formalizzazione stessa del problema.

Nel Capitolo 1, contenente le motivazioni fisiche di questo lavoro, e statodescritto in maniera discorsiva che cosa si intende per oscillazione dei sistemifisici; inoltre, sono stati illustrati gli approcci a questo argomento propostiin letteratura ed e stata esposta la storia (molto recente) delle evidenze spe-rimentali dell’oscillazione tra stati, riguardante i mesoni K, i mesoni B e ineutrini. In particolare, sono state discusse le modellizzazioni matematichepresentate dalle fonti bibliografiche che sono state prese in considerazione,sottolineandone i punti deboli.

Nel Capitolo 2 e stati ricostruito il formalismo della meccanica quantisti-ca non relativistica utilizzato per modellizzare le oscillazioni tra stati. Alloscopo di ottenere una sistemazione degli strumenti teorici adeguata all’im-postazione del problema sviluppata in questa tesi (e inutilmente cercata neitesti di meccanica quantistica e negli articoli che si occupano delle oscilla-zioni tra stati), sono stati introdotti gli elementi dell’analisi matematica edella teoria della probabilita che sono stati utilizzati poi con rigore per for-malizzare i concetti di cui si occupa la meccanica quantistica e per ottenerela modellizzazione dell’oscillazione tra stati. La trattazione scrupolosa de-gli strumenti matematici necessari alla meccanica quantistica non solo hapermesso di chiarire con semplicita alcuni problemi legati alle oscillazioni trastati, ma ha consentito anche di inquadrare meglio l’argomento di questa tesi

111

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112 Capitolo 4. CONCLUSIONI

in un contesto matematico. La meccanica quantistica e una teoria complessanon solo da un punto di vista matematico, ma (sopratutto) da un punto divista interpretativo; pertanto questa tesi non esaurisce completamente tuttele problematiche che sono state considerate, poiche sarebbe eccessivamen-te gravoso tenendo conto del tempo e dello sforzo necessari per acquisirefamiliarita con questa teoria.

Nel Capitolo 3 e stata modellizzata l’oscillazione tra gli stati di flavourdi un sistema fisico costituito da una particella libera. I punti cardine di talemodellizzazione sono l’introduzione di un operatore per descrivere la massadel sistema (che e considerata alla stregua di tutte la altre osservabili fisi-che, e non come un parametro) e la rappresentazione del sistema fisico comeprodotto tensoriale di due spazi di Hilbert separabili, uno di dimensione 2per la descrizione dell’osservabile massa e uno della potenza del numerabileper la descrizione dell’osservabile posizione: nel caso in cui lo stato inizia-le del sistema non corrisponda ad un autostato dell’operatore associato allamassa, durante l’evoluzione del sistema si verifica l’oscillazione tra stati. Lapossibilita di descrivere la massa come osservabile del sistema fisico (e quin-di attraverso un operatore autoaggiunto su un particolare spazio di Hilbert)apre inoltre ulteriori campi di indagine di cui accenneremo brevemente nellaprossima sezione. Con l’ausilio dei grafici ottenuti per qualche caso partico-lare, sono stati infine illustrati alcuni aspetti del comportamento dei sistemiche oscillano tra due stati.

4.2 Possibili sviluppi futuri

Come gia accennato nella Prefazione, questo lavoro di tesi ha analizzatoda un punto di vista matematico un problema fisico rilevante, risolvendo neldettaglio alcuni casi particolari ed impostando il problema in termini generali;partendo dai risultati ottenuti, primo tra tutti una formulazione coerentedel problema, e possibile immaginarne alcuni possibili sviluppi futuri. Puravendo intrapreso tali ricerche da poco tempo, sono gia emersi alcuni aspettiinteressanti: questo paragrafo ne contiene un parziale resoconto, privo didettagli tecnici.

4.2.1 Estensione relativistica del calcolo

Per poter effettuare un calcolo realistico di oscillazioni di flavour per particellequali i neutrini, bisogna tener conto della natura relativistica di tali particelle.Le possibili strategie sono molteplici: la piu naturale e quella di utilizzareuna hamiltoniana relativistica al posto della semplice p2

2musata in questa tesi.

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4.2 POSSIBILI SVILUPPI FUTURI 113

Come ben noto in fisica [36], l’uso naıf di una hamiltoniana relativisti-ca tipo

√c2p2 +m2c4 crea problemi tecnico-matematici ed interpretativi; in

particolare, la meccanica quantistica relativistica che ne deriva nella formu-lazione semplice di Klein-Gordon presenta patologie matematiche (riassuntedalla presenza di stati ad energia negativa e dalle questioni sulla possibilitadi usare il modulo quadro della funzione d’onda come distribuzione di pro-babilita) che ne impediscono l’applicabilita diretta al caso qui studiato. Uncalcolo realistico necessita della teoria quantistica di campo, che in ogni casoesula totalmente dall’ambito delle considerazioni presenti in questa tesi.

Volendo tuttavia tentare un calcolo semplificato, si potrebbe partire dal-l’ipotesi di massa molto piccola (per entrambi gli autostati di massa checompongono lo stato di flavour); in questo caso si potrebbe quindi scrivereuna hamiltoniana del tipo

H ' cp+c3m2

2p

(che e lo sviluppo in serie di Taylor ai primi due termini non nulli intorno adm = 0 per l’hamiltoniana relativisitca) da usare nell’evoluzione temporaledei due autostati di massa. I grafici ottenuti usando tale hamiltoniana perun sistema con m1 = 1, m2 = 2, k0 = 20 e σ = 1 (sempre usando unitageometriche, ovvero ~ = c = 1) sono riportati nella Figura 4.1.

Come si vede l’andamento e del tutto simile al caso non relativistico,con pero qualche differenza notevole. Innanzitutto, la separazione delle duecomponenti di massa e piu lenta che nel caso non relativistico; questo, uni-tamente al fatto che la forma dei grafici delle componenti di massa tende adallargarsi molto piu lentamente, mantiene l’oscillazione tra stati di flavourper un tempo maggiore. Nei grafici riportati si vede che la separazione nettaavviene dopo un tempo piuttosto lungo: i primi tre grafici riguardano la fasedell’oscillazione di flavour (la probabilita diminuisce nel tempo). Infine, sinoti che durante la fase coerente il sistema si sposta a velocita prossime a 1,ovvero esso e realmente relativistico; gli effetti dovuti al fatto che le velocitasono inferiori a 1 iniziano a mostrarsi nel quarto grafico e sono evidenti nelquinto.

La scelta di un k0 relativamente grande rispetto alle masse, ossia di un’e-nergia cinetica grande rispetto all’energia di riposo della particella, e obbli-gata da ragioni numeriche: usando un k0 piu piccolo sorgono problemi diconvergenza e si ottengono evoluzioni delle funzioni d’onda assolutamentenon realistiche, come evidenziato dalla Figura 4.2 realizzata con k0 = 1, chemostra un flusso di probabilita superluminare verso sinistra.

La risoluzione di questi problemi richiedera sicuramente un certo lavoroteorico, ma gia a questo punto sembra probabile che essi siano riconducibili

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114 Capitolo 4. CONCLUSIONI

-4 -2 2 4x

0.2

0.4

0.6

0.8

1P

(a) t = 0

8 10 12 14x

0.2

0.4

0.6

0.8

1P

(b) t = 10

48 50 52 54x

0.2

0.4

0.6

0.8

1P

(c) t = 50

495 500 505 510x

0.2

0.4

0.6

0.8

1P

(d) t = 500

995 1000 1005 1010x

0.2

0.4

0.6

0.8

1P

(e) t = 1000

Figura 4.1: Grafici della distribuzione di probabilita spaziale per il flavourin cui la particella viene inizialmente preparata nel caso del mixing massimo(π

4) con una deviazione standard iniziale σ = 1 e k0 = 20.

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4.2 POSSIBILI SVILUPPI FUTURI 115

-4 -2 2 4x

0.2

0.4

0.6

0.8

1P

(a) t = 0

-10 -5 5 10x

0.2

0.4

0.6

0.8

1P

(b) t = 2

Figura 4.2: Grafici della distribuzione di probabilita spaziale per il flavourin cui la particella viene inizialmente preparata nel caso del mixing massimo(π

4) con una deviazione standard iniziale σ = 1 e k0 = 1.

alle patologie della meccanica quantistica relativistica ricordate all’inizio diquesto paragrafo. In ogni caso sembra che un’approssimazione relativisticasia possibile con poco sforzo.

Bisogna comunque notare che la teoria esposta in questa tesi e le sueapplicazioni numeriche possono essere immediatamente impiegate nei casi dioscillazioni tra stati di sistemi non relativistici, quali per esempio, in taluniregimi sperimentali, quelli dei kaoni neutri o quelli costituiti da particelle aspin semintero immerse in un campo magnetico.

4.2.2 Aggiunta di potenziali esterni

Un’altra possibile estensione al lavoro qui presentato consiste nell’introdu-zione di potenziali esterni, ossia nel considerare un sistema non piu libero;puo essere infatti interessante studiare come una propagazione non libera deidue stati di massa possa influenzare l’oscillazione dello stato di flavour.

L’hamiltoniano di una particella non libera in una dimensione e del tipo:

H =p2

2m+ V (x)

in cui V (x) e la funzione potenziale che rappresenta l’interazione del siste-ma con l’esterno. Per risolvere numericamente tale problema si deve farricorso a qualche algoritmo numerico piu robusto e flessibile dell’integrazionenumerica implementata dal programma Mathematica 4.0 della Wolfram Re-search Inc. utilizzato per produrre i grafici precedenti; in letteratura viene

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116 Capitolo 4. CONCLUSIONI

-100-50

050

100

x

025

5075

100t

0

0.05

0.1

0.15

P

0

0.05

0.1

0.15

P

(a)

-100 -50 0 50 1000

20

40

60

80

100

120

(b) Il grafico (a) guardatodall’alto

Figura 4.3: Grafici della probabilita di osservare lo stato di flavour inizialenel caso della particella libera ottenuti tramite il metodo di Crank-Nicholson

spesso proposto per questo tipo di calcoli l’algoritmo di Crank-Nicholson.Tale algoritmo permette di risolvere in maniera efficiente le equazioni diffe-renziali paraboliche alle derivate parziali. Per collegarsi a quanto visto nelcapitolo precedente, l’evoluzione temporale di uno stato data da

ψ(t) = e−it~ Hψ(0)

risulta essere la soluzione dell’equazione differenziale

i~∂ψ(x, t)

∂t= − ~2

2m

∂2ψ(x, t)

∂x2+ V (x)ψ(x, t)

dove nell’espressione dell’hamiltoniana H data sopra l’operatore p e espres-so nella forma −i~ ∂

∂x. Il metodo di Crank-Nicholson risolve la precedente

equazione differenziale usando una griglia discreta.Lo studio dell’evoluzione dello stato di flavour, ottenenuto con l’imple-

mentazione di tale metodo per l’evoluzione degli autostati di massa, ha datoalcuni risultati interessanti.

Per poter confrontare tali risultati con quelli del Capitolo 3, nella Fi-gura 4.3 e riportata l’evoluzione libera di uno stato di flavour con mixingmassimo, m1 = 1, m2 = 1.5, σ = 5 e k0 = 1: i due grafici mostrano la proba-bilita di osservare lo stato di flavour iniziale in funzione della posizione x edel tempo t. Come si puo vedere l’andamento corrisponde qualitativamentea quanto gia ottenuto nel capitolo precedente.

Segue ora l’analisi di due casi interessanti di particella non libera.

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4.2 POSSIBILI SVILUPPI FUTURI 117

-100-50

050

100

x

025

5075

100t

0

0.05

0.1

0.15

P

0

0.05

0.1

0.15

P

(a)

-100 -50 0 50 1000

20

40

60

80

100

(b) Il grafico (a) guardatodall’alto

Figura 4.4: Grafici della probabilita di osservare lo stato di flavour inizialein presenza di un potenziale lineare

Potenziale lineare di una forza di massa

Un potenziale lineare del tipo

V (x) = −mgx

(con g una costante) corrisponde al potenziale di una forza costante dellaforma

~F = mgx

dove x rappresenta il versore della coordinata x. Essa approssima una forzagravitazionale in prossimita della superficie di un pianeta e g ne rappresental’accelerazione di gravita (che si suppone costante).

Nel formalismo del Capitolo 3, si puo scrivere per l’hamiltoniano

H =1

2M⊗ P 2 − gM ⊗X

dove X e l’operatore coordinata definito su L2(R) come

X : ψ(x) −→ xψ(x) .

La Figura 4.4 contiene i grafici ottenuti ponendo g = 0.1 (gli altri pa-rametri del calcolo sono uguali al caso libero trattato sopra). Come si puochiaramente vedere, l’effetto del campo gravitazionale e quello di rallenta-re l’evoluzione libera dei due autostati di massa; questo allunga il periodo

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118 Capitolo 4. CONCLUSIONI

-100-50

050

100

x

025

5075

100t

0

0.05

0.1

0.15

0.2

P

0

0.05

0.1

0.15

0.2

P

(a)

-100 -50 0 50 1000

20

40

60

80

100

120

(b) Il grafico (a) guardatodall’alto

Figura 4.5: Grafici della probabilita di osservare lo stato di flavour inizialein presenza di un gradino di potenziale con V0 = 0.1

in cui tali autostati risultano sovrapposti ed aumenta quindi il numero dioscillazioni di flavour prima che la decoerenza sopraggiunga e l’oscillazionesi smorzi.

Gradino di potenziale

I risultati ottenuti introducendo una funzione potenziale a gradino del tipo

V (x) =

0 per x < 0V0 per x ≥ 0

sono mostrati nelle Figure 4.5, 4.6 e 4.7 (per accentuare gli effetti nei graficigli autovalori degli autostati di massa sono stati fissati a m1 = 1 e m2 = 2).

La Figura 4.5 illustra il caso di un gradino di altezza finita molto bassa(V0 = 0.1), tale che entrambi gli autostati di massa di cui e composto lo statodi flavour di partenza possano “passare” (l’energia cinetica media e pari a 0.5per il primo autostato di massa e 0.25 per il secondo); come si vede, si ha unpassaggio completo nella ragione x > −20 della funzione d’onda, ma con uneffetto di deflessione per entrambe le componenti (rifrazione).

Nella Figura 4.6 il gradino di potenziale e alto V0 = 0.3. In questo casosolo una componente di massa riesce a superarlo, mentre l’altra componente(escludendo una piccola profondita di penetrazione dovuta all’effetto di ondaevanescente) rimbalza sulla parete. Il grafico contenente la veduta dall’alto e

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4.2 POSSIBILI SVILUPPI FUTURI 119

-100-50

050

100

x

025

5075

100t

0

0.05

0.1

0.15

0.2

P

0

0.05

0.1

0.15

0.2

P

(a)

-100 -50 0 50 1000

20

40

60

80

100

120

(b) Il grafico (a) guardatodall’alto

Figura 4.6: Grafici della probabilita di osservare lo stato di flavour inizialein presenza di un gradino di potenziale con V0 = 0.3

-100-50

050

100

x

025

5075

100t

0

0.05

0.1

0.15

0.2

P

0

0.05

0.1

0.15

0.2

P

(a)

-100 -50 0 50 1000

20

40

60

80

100

120

(b) Il grafico (a) guardatodall’alto

Figura 4.7: Grafici della probabilita di osservare lo stato di flavour inizialein presenza di un gradino di potenziale “infinito” (simulata da un gradino dipotenziale con V0 = 10)

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120 Capitolo 4. CONCLUSIONI

stato realizzato con una scala di colori adatta ad evidenziare maggiormentela probabilita non nulla di osservare il sistema nella regione delle x positive.

Nella Figura 4.7 e invece presente un gradino di potenziale “infinito” (quisostituito da un gradino molto alto (V0 = 10) rispetto alle energie cinetichemedie dei due autostati di massa) e si ha riflessione totale per entrambe lecomponenti di massa. In questo caso il grafico (b) a colori accentuati mettein risalto che la probabilita di rivelare il sistema nella regione x > 0 e nulla.

In tutti e tre i casi si notano cambiamenti nelle proprieta dell’oscillazionetra gli stati di flavour che sarebbe interessante studiare nel dettaglio con unulteriore lavoro di approfondimento teorico e numerico.

4.2.3 Ulteriori sviluppi matematici

Rimangono infine alcuni sviluppi matematici che potrebbero rivelarsi signi-ficativi per un ulteriore studio. Tra questi vi e sicuramente l’analisi del pro-blema di oscillazione tra stati quando la dimensione dello spazio delle massee maggiore di due. Oltre che al caso fisicamente rilevante di tre autostatidi massa (applicabile alle tre famiglie di neutrini viste nel primo capitolo),il problema ha anche un interesse puramente matematico. In particolare, sipotrebbe studiare metodicamente il legame tra il fenomeno dell’oscillazionee le proprieta della trasformazione unitaria tra la base spettrale dell’opera-tore di massa M e la base formata dagli autostati di interazione (flavour), inrelazione anche alla dimensione dello spazio delle masse Hm.

Il formalismo qui adottato permette di studiare i problemi a massa va-riabile dinamicamente. Nel Capitolo 3 si e mostrato come l’evoluzione dellostato ridotto nello spazio delle masse sia dipendente dall’evoluzione spazialedei due autostati di massa; l’introduzione nell’hamiltoniano di un terminedinamico per la massa descriverebbe invece una reale evoluzione dello statoin Hm, corrispondente grosso modo a quella dei sistemi a massa variabiledella meccanica classica.

Un’altra estensione interessante del calcolo potrebbe essere quella di cal-colare le probabilita di osservare gli autostati di flavour nello spazio di Hil-bert Hm ⊗ L2(R3) anziche nello spazio Hm ⊗ L2(R) usato negli esempi delCapitolo 3: questo, pero, dovrebbe aggiungere poco all’analisi qualitativa quipresentata.

Infine sarebbe importante raffrontare l’approccio presentato in questa tesial problema della descrizione di una osservabile per la massa, con la regola disuperselezione di Bargman citata nel Capitolo 1 [8]. In particolare, un’analisigruppale sulle rappresentazioni unitarie del gruppo di Galilei sullo spazio diHilbert Hm ⊗ L2(R3), sulla falsariga di quanto suggerito in [10], potrebberivelarsi estremamente interessante.

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Appendice

In questa Appendice sono fornite le dimostrazioni che sono state omesse nellatrattazione principale poiche sono diffusamente note. L’esposizione non haalcun obiettivo di organicita e segue l’ordine in cui gli enunciati sono citati.

A.1 Dimostrazioni citate nel paragrafo 2.1

Questo paragrafo contiene le dimostrazioni delle proprieta utilizzate nel Pa-ragrafo 2.1 a proposito degli spazi di Hilbert.

Proposizione A.1.

H spazio vettoriale‖ ‖ : H −→ R norma

=⇒ d : H×H−→ R

(ϕ, ψ) 7−→ d(ϕ, ψ) = ‖ϕ− ψ‖ e metrica

Dimostrazione. Bisogna verificare le quattro proprieta delle metriche M1,M2, M3 e M4 a pagina 11 a partire dalle proprieta delle norme N1, N2, N3 eN4 di pagina 12.

Per ogni ϕ, ψ, ξ ∈ H valgono:

M1. d(ϕ, ψ) = ‖ϕ− ψ‖ = ‖ϕ− ξ + ξ − ψ‖N1⇓6

6 ‖ϕ− ξ‖+ ‖ξ − ψ‖ = d(ϕ, ξ) + d(ξ, ψ)

M2. d(ϕ, ψ) = ‖ϕ− ψ‖ = ‖(−1)(ψ − ϕ)‖N2⇓= |−1| ‖ψ − ϕ‖ =

= ‖ψ − ϕ‖ = d(ψ − ϕ)

M3. d(ϕ, ψ) = ‖ϕ− ψ‖N3⇓≥ 0

M4. 0 = d(ϕ, ψ) = ‖ϕ− ψ‖N4⇓⇐⇒ ϕ− ψ = 0 ⇐⇒ ϕ = ψ

121

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122 APPENDICE

Teorema A.2 (Disuguaglianza di Schwarz).

H spazio vettoriale( , ) : H×H −→ C prodotto scalare

ϕ, ψ ∈ H

=⇒ |(ϕ, ψ)| 6√

(ϕ, ϕ)√

(ψ, ψ)

Dimostrazione. La dimostrazione ricorre ovviamente alle proprieta del pro-dotto scalare PS1, PS2, PS3, PS4 e PS5 a pagina 12.

Se ψ = 0, si ottiene la tesi con i banali passaggi seguenti:

|(ϕ, ψ)| = |(ϕ, 0)| = |(ϕ, 0 · 0)|PS2⇓= |0 · (ϕ, 0)| = 0 6

√(ϕ, ϕ) · 0 =

=√

(ϕ, ϕ) ·√

0PS5⇓=√

(ϕ, ϕ)√

(0, 0) =√

(ϕ, ϕ)√

(ψ, ψ) .

Se ψ 6= 0, per la proprieta PS5 dev’essere (ψ, ψ) 6= 0, e si ha:

0

PS4⇓6(ϕ− (ϕ, ψ)

(ψ, ψ)ψ , ϕ− (ϕ, ψ)

(ψ, ψ)ψ)(ψ, ψ)

PS1 e PS2⇓=

=

(ϕ− (ϕ, ψ)

(ψ, ψ)ψ , ϕ

)− (ϕ, ψ)

(ψ, ψ)

(ϕ− (ϕ, ψ)

(ψ, ψ)ψ , ψ

)(ψ, ψ)

PS3, PS1 e PS2⇓=

=

[(ϕ, ϕ)− (ϕ, ψ)

(ψ, ψ)(ϕ, ψ)

]∗− (ϕ, ψ)

(ψ, ψ)

[(ψ, ϕ)− (ϕ, ψ)

(ψ, ψ)(ψ, ψ)

]∗(ψ, ψ)

PS3⇓=

=

(ϕ, ϕ)− (ϕ, ψ)

(ψ, ψ)(ψ, ϕ)− (ϕ, ψ)

(ψ, ψ)(ϕ, ψ) +

(ϕ, ψ)

(ψ, ψ)(ψ, ϕ)

(ψ, ψ) =

=

(ϕ, ϕ)− (ϕ, ψ)

(ψ, ψ)(ϕ, ψ)

(ψ, ψ) = (ϕ, ϕ)(ψ, ψ)− (ϕ, ψ)2 ,

e quindi si ha la tesi.

Proposizione A.3.

H spazio vettoriale( , ) : H×H −→ C prodotto scalare

=⇒

=⇒ ‖ ‖ : H−→ Rϕ 7−→ ‖ϕ‖ =

√(ϕ, ϕ)

e norma

Dimostrazione. Bisogna verificare le quattro proprieta delle norme N1, N2,N3 e N4 a pagina 12 usando le proprieta dei prodotti scalari PS1, PS2, PS3,PS4 e PS5.

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A.1 DIMOSTRAZIONI CITATE NEL PARAGRAFO 2.1 123

Per ogni ϕ, ψ ∈ H e α ∈ C, se < indica la funzione “parte reale”, valgono:

N1. ‖ϕ+ ψ‖ =√

(ϕ+ ψ, ϕ+ ψ)PS1⇓=√

(ϕ+ ψ, ϕ) + (ϕ+ ψ, ψ)PS3⇓=

=√

(ϕ, ϕ+ ψ)∗ + (ψ, ϕ+ ψ)∗PS2⇓=

=√

(ϕ, ϕ)∗ + (ϕ, ψ)∗ + (ψ, ϕ)∗ + (ψ, ψ)∗PS3⇓=

=√

(ϕ, ϕ) + (ϕ, ψ)∗ + (ϕ, ψ) + (ψ, ψ) =

=

√‖ϕ‖2 + 2< (ϕ, ψ) + ‖ψ‖2 6

6√‖ϕ‖2 + 2 |(ϕ, ψ)|+ ‖ψ‖2

Schwarz⇓6

6√‖ϕ‖2 + 2

√(ϕ, ϕ)

√(ψ, ψ) + ‖ψ‖2 =

=

√‖ϕ‖2 + 2 ‖ϕ‖ ‖ψ‖+ ‖ψ‖2 =

√(‖ϕ‖+ ‖ψ‖)2 =

= ‖ϕ‖+ ‖ψ‖

N2. ‖αϕ‖ =√

(αϕ, αϕ)PS2⇓=√α(αϕ, ϕ)

PS3⇓=√α(ϕ, αϕ)∗

PS2⇓=√α(α(ϕ, ϕ)

)∗=

=√αα∗(ϕ, ϕ)∗

PS3⇓=

√|α|2(ϕ, ϕ) = |α|

√(ϕ, ϕ) = |α| ‖ϕ‖

N3. ‖ϕ‖ =√

(ϕ, ϕ)

PS4⇓∈ R ed e ovviamente non negativa

N4. 0 = ‖ϕ‖ =√

(ϕ, ϕ)PS5⇓⇐⇒ ϕ = 0

Lemma A.4. In uno spazio topologico l’intersezione (di qualunque cardina-lita) di chiusi e un chiuso.

Dimostrazione.

X spazio topologico

I insieme di indici

Ci ⊆ X : Ci chiuso ∀ i ∈ I

⇒ ∀ i ∈ I ∃Ai ⊆ X : Ai aperto e Ci = X\Ai ⇒

⋃i∈I

Ai e aperto⋂i∈I

Ci =⋂i∈I

(X\Ai) = X\(⋃i∈I

Ai

)⇒⋂i∈I

Ci e chiuso

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124 APPENDICE

Proposizione A.5. Siano X uno spazio topologico e S ⊆ X. Allora

S chiuso ⇐⇒ S contiene tutti i suoi punti di accumulazione

Dimostrazione.⇒

x di accumulazione per S ⇒ S ∩ I 6= ∅ ∀ I intorno di x

x /∈ S ⇒ x ∈ X\SS chiuso ⇒ X\S aperto

⇒ X\S intorno di x

=⇒ S ∩ X\S 6= ∅

ASSURDO

⇐L’obiettivo e quello di dimostrare che se S contiene tutti i suoi punti di

accumulazione e se Ci : i ∈ I, S ⊆ Ci e Ci chiuso e l’insieme di tutti ichiusi che contengono S, allora

S =⋂i∈I Ci ,

che e chiuso per il Lemma precedente.L’inclusione S ⊆

⋂i∈I

Ci e ovvia.

Per dimostrare che S ⊇⋂i∈I

Ci, si proceda per assurdo:

x ∈

⋂i∈I

Ci

A aperto : x ∈ A e A ∩ S = ∅ ⇒ S ⊆ X\A⇓

X\A chiuso ⇒ ∃ j ∈ I : X\A = Cj

=⇒ x ∈ X\A

ASSURDO

=⇒

=⇒ ∀x ∈⋂i∈I

Ci ∀A aperto : x ∈ A A ∩ S 6= ∅

def. punto diaccumulazione

⇓=⇒

=⇒ ∀x ∈⋂i∈I

Ci x e di accumulazione per S

ipotesi su S⇓

=⇒

=⇒ ∀x ∈⋂i∈I

Ci x ∈ S =⇒⋂i∈I

Ci ⊆ S

Proposizione A.6. Siano X uno spazio metrico, S ⊆ X e x ∈ X. Allora

x e di accumulazione per Snella topologia della metrica

⇐⇒ ∃ (x1, x2, . . . ) successione in Sconvergente ad x

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A.1 DIMOSTRAZIONI CITATE NEL PARAGRAFO 2.1 125

Dimostrazione.

⇒Siano d la distanza di X e Bd(x, r[= y ∈ X : d(x, y) < r la palla aperta

di raggio r centrata in x; allora

x di accumulazione per S

x ∈ Bd(x, 1n[ aperto

=⇒ Bd(x, 1

n[ ∩ S 6= ∅ =⇒

=⇒ ∃xn ∈ Bd(x, 1n[ ∩ S .

La successione degli xn cosı scelti e una successione in S convergente a x.

⇐Per definizione di convergenza, ogni palla aperta centrata in x contiene

almeno un elemento della successione (x1, x2, . . . ); dal fatto che tale succes-sione e contenuta in S, ogni aperto che contiene x contiene anche almeno unelemento di S.

Proposizione A.7. La definizione di sottospazio generato da un sottoinsie-me di uno spazio vettoriale come il piu piccolo sottospazio vettoriale dellospazio vettoriale che contiene il sottoinsieme e una buona definizione.

Dimostrazione. La tesi e provata se si dimostra che esiste un unico sotto-spazio dello spazio vettoriale che contiene il sottoinsieme ed e a sua voltacontenuto in ogni altro sottospazio che contiene lo stesso sottoinsieme.

Siano H lo spazio vettoriale considerato, S ⊆ H un suo sottoinsiemee Vi : i ∈ I, Vi 6 H e S ⊆ Vi l’insieme di tutti i sottospazi di H checontengono S.

L’intersezione⋂i∈I

Vi sicuramente esiste, e unica, e per essa vale⋂i∈I

Vi ⊆ V ∀V 6 H : S ⊆ V .

Per concludere che < S >=⋂i∈I

Vi manca ancora da dimostrare che⋂i∈I

Vi e

un sottospazio vettoriale; questo e vero perche

α, β ∈ Cϕ, ψ ∈

⋂i∈I

Vi ⇒ ϕ, ψ ∈ Vi ∀ i ∈ I

Vi 6 H ∀ i ∈ I

=⇒ αϕ+ βψ ∈ Vi ∀ i ∈ I =⇒

=⇒ αϕ+ βψ ∈⋂i∈I

Vi .

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126 APPENDICE

Proposizione A.8.

H spazio vettoriale

S ⊆ H

=⇒ < S > = combinazioni lineari

degli elementi di S

Dimostrazione.

⊆L’insieme delle combinazioni lineari degli elementi di S e banalmente un

sottospazio vettoriale di H e contiene S, quindi per la definizione di < S >vale

< S > ⊆ combinazioni lineari degli elementi di S .

def. < S > ⇒

< S > spazio

vettoriale⇒ comb. lineari degli

elementi di < S > ⊆ < S >

S ⊆ < S >

⇒ combinazioni lineari degli elementi di S ⊆ < S >

Proposizione A.9. Siano V1,V2,V3 e V4, e siano definite le applicazioni

g : V1 → V2 f : V2 → V3 h : V3 → V4 .

Alloraf g suriettiva =⇒ f suriettivah f inettiva =⇒ f iniettiva

Dimostrazione.

f g suriettiva =⇒ ∀ψ ∈ V3 ∃ ϕ ∈ V1 : (f g)(ϕ) = ψ =⇒=⇒ ∀ψ ∈ V3 ∃ ξ = g(ϕ) ∈ V2 :

f(ξ) = f(g(ϕ)) = (f g)(ϕ) = ψ =⇒ f suriettiva

h f inettiva =⇒ ∀ϕ, ψ ∈ V2

[(h f)(ϕ) = (h f)(ψ) ⇒ ϕ = ψ

]=⇒

=⇒ ∀ϕ, ψ ∈ V2

[f(ϕ) = f(ψ) ⇒ (h(f(ϕ)) = (h(f(ψ)) ⇒⇒ (h f)(ϕ) = (h f)(ψ) ⇒ ϕ = ψ

]=⇒

=⇒ f inettiva

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A.1 DIMOSTRAZIONI CITATE NEL PARAGRAFO 2.1 127

Teorema A.10. Siano H1,H2, . . . ,Hn spazi vettoriali sul campo K, siaϕji : i ∈ Ij base per Hj con Ij un opportuno insieme di indici per ognij ∈ 1, . . . , n e sia

⊗: H1 × · · · × Hn −→ Mult(H∗1 × · · · × H∗

n,K)

(ϕ1, . . . , ϕn) 7−→ (ϕ1 ⊗ · · · ⊗ ϕn): H∗1 × · · · × H∗

n −→ K(f1, . . . , fn) 7−→ f1(ϕ1) · · · fn(ϕn)

AlloraB = ϕ1i1 ⊗ ϕ2i2 ⊗ · · · ⊗ ϕnin : ij ∈ Ij, j ∈ 1, . . . , n

e una base di Mult(H∗1 × · · · × H∗

n,K).

Dimostrazione. Si consideri una combinazione lineare degli elementi di B chesia uguale all’applicazione nulla:∑

ij∈Ijj∈1,...,n

αi1i2...inϕ1i1 ⊗ · · · ⊗ ϕnin = 0

Per ogni j ∈ 1, . . . , n e per ogni i ∈ Ij siano ϕ∗ji ∈ H∗j tali che

ϕ∗ji: Hj −→ Kψ 7−→ ai : ψ =

∑k∈Ij

akϕjk

allora, per ogni coefficiente αl1l2...ln della combinazione, per linearita delleapplicazioni e per la definizione delle ϕ∗ji, si ha:

0 =

( ∑ij∈Ij

j∈1,...,n

αi1i2...inϕ1i1 ⊗ · · · ⊗ ϕnin

)(ϕ∗1l1 , . . . , ϕ

∗nln

)=

=∑ij∈Ij

j∈1,...,n

αi1i2...in(ϕ1i1 ⊗ · · · ⊗ ϕnin

)(ϕ∗1l1 , . . . , ϕ

∗nln

)=

=∑ij∈Ij

j∈1,...,n

αi1i2...inϕ∗1l1

(ϕ1i1) · · ·ϕ∗nln(ϕnin) = αl1l2...ln

e dunque l’indipendenza lineare di B e provata.Per mostrare che B genera Mult(H∗

1×· · ·×H∗n,K), si osservi innanzitutto

che per ogni j ∈ 1, . . . , n l’insieme ϕ∗ij : i ∈ Ij e una base per H∗j ; infatti,

e linearmente indipendente poiche(∑i∈Ij

aiϕ∗ji

)ϕk = ak ∀ k ∈ Ij

⇓∑i∈Ij

aiϕ∗ji = 0 =⇒ ai = 0 ∀ i ∈ Ij

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128 APPENDICE

e genera H∗j dal momento che

∀ϕ∗ ∈ H∗j , ∀ϕ =

∑i∈Ij

biϕji ∈ Hj si ha:

ϕ∗(ϕ) = ϕ∗(∑i∈Ij

biϕji

)=∑i∈Ij

biϕ∗(ϕji) =

∑i∈Ij

ϕ∗(ϕji)ϕ∗ji(biϕji) =

=

(∑i∈Ij

ϕ∗(ϕji)ϕ∗ji

)(∑k∈Ij

(bkϕjk)

)=

(∑i∈Ij

ϕ∗(ϕji)ϕ∗ji

implica che ϕ∗ =∑i∈Ij

ϕ∗(ϕji)ϕ∗ji.

Analogamente,

∀ f ∈ Mult(H∗1 × · · · × H∗

n,K) ,

∀ ξ∗ =∑ij∈Ij

j∈1,...,n

ci1...in(ϕ∗1i1, . . . , ϕ∗nin) ∈ H

∗1 × · · · × H∗

n si ha:

f(ξ∗) = f( ∑ij∈Ij

j∈1,...,n

ci1...in(ϕ∗1i1, . . . , ϕ∗nin)

)=∑ij∈Ij

j∈1,...,n

ci1...inf(ϕ∗1i1 , . . . , ϕ∗nin) =

(ϕ1i1 ⊗ · · · ⊗ ϕnin)(ϕ∗k1, . . . , ϕ∗kn) =

1 se ∀ j ∈ 1, . . . , n ij = kj0 se ∃ j ∈ 1, . . . , n : ij 6= kj

⇓=

( ∑ij∈Ij

j∈1,...,n

f(ϕ∗1i1 , . . . , ϕ∗in)ϕ1i1 ⊗ · · · ⊗ ϕnin

)( ∑

kj∈Ijj∈1,...,n

ck1...kn(ϕ∗1k1, . . . , ϕ∗nkn)

)=

=

( ∑ij∈Ij

j∈1,...,n

f(ϕ∗1i1 , . . . , ϕ∗in)ϕ1i1 ⊗ · · · ⊗ ϕnin

)(ξ∗)

che permette di concludere che f =∑ij∈Ij

j∈1,...,n

f(ϕ∗1i1 , . . . , ϕ∗in)ϕ1i1 ⊗ · · · ⊗ ϕnin .

Dunque B genera Mult(H∗1 × · · · × H∗

n,K).

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129

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Indice analitico

∆ , 82`2 o `2(∞), 21`2(n), 21~, 79∇, 82σ-algebra, 25

dei boreliani, 25h, 79B(R), 55L2(R), 100L2(R3), 81L2(R3), 81

accumulazione (elemento di), 14angolo di mixing, 5, 101aperto, 14applicazione

boreliana, 25misurabile, 25semplice, 25

autofunzione, 55autostato di un’osservabile, 78

di flavour, 7, 94di interazione, 100

autovalore, 55autovettore, 55

barione, 7base, 26

di uno spazio di Hilbert, 32di uno spazio metrico, 32di uno spazio normato, 32

di uno spazio prehilbertiano, 32ortogonale, 31ortonormale, 31, 32

boreliani, 25di R, 55

chiuso, 14chiusura di un insieme, 14coefficienti di Fourier, 32completamento

di uno spazio metrico, 15di uno spazio prehilbertiano, 18

costante di Planck, 79

densita di massa critica dell’universo,10

densita di probabilita, 71distanza o metrica, 11

associata a un prodotto scalare,13

associata a una norma, 12disuguaglianza

di Bessel, 39di Schwarz, 13, 122triangolare

delle metriche, 12delle norme, 12

elettrone, 7entanglement, 76

flavour, 4, 94funzione

133

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134 INDICE ANALITICO

boreliana, 25di distribuzione, 71gaussiana, 100misurabile, 25normale, 100semplice, 25

gaussiana, 100gradiente, 82gruppo unitario a un parametro, 58

fortemente continuo, 58

hamiltoniano di un sistema fisico, 79

immersione densaper spazi metrici, 15per spazi prehilbertiani, 18

indipendenza lineare, 26insieme induttivo, 27integrale secondo Lebesgue

applicazioni positive, 26applicazioni reali, 26applicazioni semplici, 26

intorno, 14isomorfismo di spazi di Hilbert, 15

laplaciano, 82lemma di Zorn, 27leptone, 7

materia oscura, 10mesone, 7metrica o distanza, 11

associata a un prodotto scalare,13

associata a una norma, 12miscela statistica, 76mistero dei neutrini solari, 8misura, 25

a valori nei proiettori, 55di Lebesgue, 81di probabilita, 70

misurabile, 25misurazione

carattere probabilistico, 75mixing tra sistemi fisici, 2

angolo di mixing, 5mixing massimo, 5

momento lineare, 82muone, 7

norma, 12associata a un prodotto scalare,

13normale, 100normalita (negli spazi normati), 12notazione di Dirac, 2

operatore, 41aggiunto, 44antilineare, 41associato a un osservabile, 77autoaggiunto, 44continuo, 41densita, 48di classe (o tipo) traccia, 48di Laplace, 82di proiezione, 48hamiltoniano di un sistema fisico,

79limitato, 41lineare, 41massa, 84unitario, 54

ortogonalita, 13ortonormalita, 13ortonormalizzazione di

Gram-Schmidt, 31oscillazione dei sistemi fisici, 3, 95osservabile, 2, 76

pallaaperta, 14chiusa, 14

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INDICE ANALITICO 135

particelle elementari, 7pione, 7prodotto

scalare o interno, 12tensoriale

(algebrico) di spazivettoriali, 60

(hilbertiano) di spazidi Hilbert, 65

di operatori, 67, 68proiettore, 48proiezione, 48projection valued measure, 55PVM, 55

quantita di moto, 82quark, 7

regole di superselezione, 6

sapore, 4, 94sistema completo

di uno spazio di Hilbert, 32di uno spazio metrico, 32di uno spazio normato, 32di uno spazio prehilbertiano, 32

sistema fisicoevoluzione, 79preparazione, 75rappresentazione formale, 76

sistema ortonormale completo, 32sottoinsieme denso, 15sottospazio coerente, 6sottospazio generato da un insieme,

26sovrapposizione incoerente, 76spazio

campionario o degli eventi, 70degli stati, 76delle masse, 88di Hilbert, 13

separabile, 37

spazi isomorfi, 15di probabilita, 70euclideo, 13metrico, 12

completo, 13misurabile, 25normato, 12prehilbertiano, 13

separabile, 37topologico, 14

separabile, 37unitario, 13

stato di un sistema, 2, 75, 76evoluzione, 2miscela statistica, 76puro, 76

entangled, 76non entangled, 77

rappresentazione formale, 76stati identici, 76stato di massa, 4stato ridotto, 78

successione di Cauchy, 13

tauone, 7topologia, 13

di una metrica, 14traccia, 48trasformazioni di Galilei, 5

valor medio o atteso o di aspettazio-ne, 72

variabile casuale, 70continua, 71discreta, 71

varianza, 72


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