UNA PROVINCIA LEGGERA
PER UNA POLITICA FORTE
PROVINCIA di BERGAMO gruppo consiliare del PARTITO DEMOCRATICO
GIUGNO 2014
PROVINCIA di BERGAMO
gruppo consiliare del
PARTITO DEMOCRATICO
UNA PROVINCIA LEGGERA PER UNA POLITICA FORTE 2
..continuate in ciò che era giusto
Alex Langer
Compito di un’amministrazione locale avveduta è valorizzare i luoghi e la vita delle persone in modo
che i primi si perfezionino nelle loro caratteristiche di qualità, anche in relazione alle generazioni
future, e le seconde trovino uno spazio di vita che le sostiene e le stimola
Si tratta di AIUTARE A GENERARE VALORE DURATURO, ciò avviene promuovendo e consolidando il valore del
territorio, favorendo e qualificando le relazioni sociali
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INDICE
1. COSA VOGLIAMO 4
Perché di questo documento 4
Perché credere nella provincia di Bergamo 4
L’occasione del cambiamento 5
Una nuova governance 5
La comunità bergamasca è in Europa 6
Un nuovo governo per il Sistema Bergamo 7
2. LE COMPETENZE CONFERMATE 8
Pianificazione territoriale di coordinamento 8
Tutela e valorizzazione dell’Ambiente 10
Viabilità e trasporti 11
Edilizia Scolastica e Formazione 12
Assistenza agli enti locali 13
3. I MACROTERRITORI 14
Le fragilità e l’opportunità della montagna bergamasca 14
Attivare la città metropolitana dormiente 15
La pianura bergamasca 16
COMMIATO 18
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1. COSA VOGLIAMO
PERCHÉ DI QUESTO DOCUMENTO
Al termine del mandato consiliare il nostro gruppo provinciale vuole proporre una traccia del suo
operato raccontando le idee principali che in questi cinque anni ha cercato di perseguire.
Siamo convinti che lo sviluppo della nostra comunità passi necessariamente dalla capacità della
politica di avere visione del futuro, di elaborare strategie, fare progetti, e condividerli.
In questo momento di palese difficoltà e disorientamento, nel quale le istituzioni sembrano
prigioniere della dimensione burocratica ed incapaci di tracciare percorsi virtuosi di crescita, e la
politica rischia di essere inadeguata ed autoreferenziale, riteniamo che occorra riproporre con forza
la necessità della politica, come occasione di confronto aperto tra le persone attorno alle idee e non
agli schieramenti pregiudiziali, visione che ci ha accompagnato per tutti gli anni del nostro mandato.
Così proponiamo un documento breve, perché sia leggibile, ma denso e di parte, perché sia possibile
discuterlo, criticarlo e svilupparlo. Vogliamo in questo modo passare il testimone di ciò che abbiamo
visto, pensato ed auspicato nel nostro lavoro di rappresentanti della comunità, convinti che di una
riflessione alla scala provinciale ci sia, oggi più di ieri, grande necessità.
PERCHÉ CREDERE NELLA PROVINCIA DI BERGAMO
Dopo anni di dibattiti su come ridurre e svuotare le provincie italiane, nell’aprile di quest’anno è stata
approvata la L 56 che ne ridefinisce l’assetto. Si tratta di una legge palesemente ancora incompleta,
che dovrà essere inquadrata entro una nuova architettura istituzionale, che si auspica riveli quella
visione sistemica oggi non pervenuta, e che persegua obiettivi ed efficienze di lunga durata e non il
mero ossequio allo schematismo dell’antipolitica.
La politica ha fallito, probabilmente per inadeguatezza ed incapacità di molti suoi rappresentanti, ma
di politica vera, cioè di idee e di indirizzi, c’è assoluto bisogno.
E la politica non può che porsi di fronte alla dimensione reale dei problemi che, oggi, sono spesso di
area vasta, cioè di dimensione ben maggiore delle realtà delle singole comunità locali. I problemi del
riassetto territoriale, ma anche quelli di coesione sociale, spesso sono inaffrontabili se non presi alla
misura di intorni territoriali almeno sovraccomunali.
Le province avevano questo compito, assegnato dalla L.142/90; hanno dedicato con fatica nel corso di
più di vent’anni tantissime risorse a dotarsi di piani, a preparare i propri dirigenti e funzionari, ma ciò
non è bastato. Secondo noi dove questa carenza è stata evidente, ed anche a Bergamo, ciò è
avvenuto soprattutto per la mediocrità della politica che ha dimenticato la propria funzione di
indirizzo e di servizio vedendo nel governo dell’ente locale semplicemente l’occasione del controllo
amministrativo come consolidamento della propria filiera di consenso.
A Bergamo ne è un esempio la sconcertante assenza di idee e di proposte che ha caratterizzato il
programma di mandato dell’ultima amministrazione provinciale di lega e centrodestra, non solo priva
di qualsivoglia proposta di futuro, e questo negli anni della crisi è grave, ma anche molto attenta a
cassare quelle degli altri, come le molte che in questi anni il nostro gruppo ha cercato di proporre e
perseguire. Una politica che non ha idee è una politica inutile. E’ questa da cambiare, non tanto
l’istituzione in sé, che rappresenta invece un capitale collettivo di valore professionale, e di
investimenti di decenni, che sarebbe davvero stolto azzerare.
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La Provincia, ed in particolare quella di Bergamo, ha invece davanti un importante spazio di azione,
solo però se sa porsi come ente di servizio, a supporto delle comunità locali per aiutarle a dialogare
tra loro ed a far emergere, divulgare e consolidare, le loro migliori pratiche amministrative.
Nell’epoca del penultimo mandato, sempre di centrodestra, quando il bilancio della provincia di
Bergamo era più cospicuo, nonostante le denunce pubbliche del gruppo del PD, sul capitolo di
gestione diretta del presidente erano iscritte voci per diversi milioni di euro ogni anno, che il
monarca bergamasco destinava di volta in volta al sostegno di questa o quella iniziativa basandosi solo
su scelte sue, di bontà ed efficienza non verificabili, prive di rapporto con un qualsivoglia criterio
guida. Se in quegli anni si fossero destinate tali risorse a sostenere e premiare in modo trasparente le
esperienze migliori delle comunità locali, ed a favorirne il coordinamento, oggi gli strumenti per
affrontare la crisi sarebbero più efficaci, e l’istituzione provinciale più credibile.
Così oggi, che di risorse c’è n’è molte di meno, e che quelle poche non si possono impiegare per
l’incongruo patto di stabilità, se almeno si spendessero le risorse intellettuali e quelle della fatica
politica, il cui costo economico è certo assai inferiore, la provincia potrebbe comunque ancora
essere il luogo di riferimento per il rinnovo del territorio e la rivitalizzazione della comunità: il luogo
dove i bergamaschi di oggi e di domani trovano uno spazio di elaborazione, confronto e di stimolo.
Invece la maggior parte delle fatiche di commissione e di consiglio di questo mediocre mandato a
guida leghista si sono consumate non a parlare di industria, di edilizia, e di come queste possono e
devono ritrovare spazio competitivo entro il paradigma ambientale, o di scuola e di comunità, e di
come queste debbono e possono rinnovare ed adeguare le loro pratiche, invece si è discusso in
prevalenza, ma con grande fervore (sic), senza ovviamente raggiungere risultato utile, di come
regolamentare la caccia agli ungulati e di come cercare di aggirare le norme comunitarie per tutelare
qualche decina di cacciatori capannisti …….
L’OCCASIONE DEL CAMBIAMENTO
Eppure questo è un momento particolare, dove la politica dovrebbe esprimere il meglio di sé, e dove,
di fronte al crollo verticale del modello economico precedente, si sono aperti spazi di pensiero e di
progettazione davvero nuovi ed anche, se li si sa vedere, entusiasmanti.
Purché si colga che oggi la guida della trasformazione avviene solo se si è portatori di un pensiero
strategico, orientato al medio lungo periodo, che sa collocare il procedimento amministrativo in
relazione agli obiettivi di sviluppo, che privilegia il cambiamento positivo alla conservazione dello
status quo.
Progettare il cambiamento richiede una strategia, la strategia richiede un’idea, di comunità e di
territorio.
Non possiamo più tollerare che il Consiglio Provinciale, e d’ora in poi anche l’Assemblea dei Sindaci,
che dovrebbero essere la massima espressione della comunità bergamasca (dei suoi territori e dei
suoi partiti) sia un luogo inutile, privato di qualsivoglia profondità di pensiero e di confronto.
La caduta di qualità dell’istituzione provinciale è lo specchio del balbettio della nostra comunità. Di
fronte allo scadimento del dibattito pubblico, la soluzione non è l’eliminazione di tale pratica, ma la
riqualificazione della politica e l’innalzamento di qualità della rappresentanza.
UNA NUOVA GOVERNANCE
Chi ci ha governato, soprattutto negli ultimi tre mandati, non aveva ben chiaro il significato del
concetto di governance, pensava che bastasse installarsi alla plancia di comando per dipanare direttive
e controllare i loro sviluppi. Pensava che l’efficienza amministrativa, magari se presidiata dai propri
affiliati, e non importa se talvolta palesemente inadeguati, portasse da sola qualità e modernità.
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Ma la provincia trae il senso della sua esistenza non tanto per le pratiche amministrative cui è
chiamata, ma, soprattutto per il suo essere luogo di coordinamento dei territori e delle comunità.
Cioè per il suo essere quello spazio pubblico, l’unico esistente nella nostra unità territoriale, dove si
possono cercare le collaborazioni istituzionali e promuovere e valorizzare le opportunità. Ma per
coordinare e promuovere occorre avere delle idee e proporle al servizio di tutti, non basta voler
comandare.
Per questa ragione siamo convinti che oggi più che mai sia necessaria un’istituzione democratica di
dimensione territoriale vasta. Ma questa istituzione, che continuiamo a riconoscere nella provincia,
può svolgere il suo compito, ancora confermato nelle deleghe principali dalla L 56, solo se sa porsi in
modo radicalmente differente dalle antiquate pratiche del passato, cioè se sa essere al contempo
leggera e forte: leggera nei suoi procedimenti (essenziali e non pletorici), forte nella sua guida politica.
Quando l’obiettivo politico è chiaro, anche il procedimento amministrativo diventa fluido. Il
procedimento privo di obiettivi è a-finalistico, votato necessariamente all’appesantimento ed al
rallentamento. In questi anni non abbiamo avuto strategie sbagliate, semplicemente la provincia non
ha avuto obiettivi strategici.
La Provincia di Bergamo dispone di una elevata capacità professionale dei suoi dirigenti e funzionari,
su argomenti fra l’altro di notevole complessità: ambiente, territorio, sociale, progettazione tecnica,
diritto amministrativo, ecc …… Si tratta di un patrimonio intellettuale consistente, ma spesso
lasciato senza obiettivi se non quelli dell’esecuzione del procedimento amministrativo. Ma la missione
della provincia è soprattutto ideativa e progettuale, è di riferimento per il cambiamento della
comunità, che, come ormai sta divenendo chiaro a tutti, se non cambia, retrocede sempre più.
Ed allora il funzionario provinciale non può essere considerato solo come il mero applicatore delle
sempre più controverse procedure normative, ma può, vista anche la qualità del capitale umano nella
nostra istituzione, diventare tutor del territorio, promotore del suo sviluppo. Si tratta cioè di
assumere finalmente, purtroppo con decenni di ritardo, una logica object oriented, dove il compito dei
dirigenti è la ricerca delle condizioni perché il territorio si sviluppi (obiettivo assegnato alla provincia
dal 19901!) e non solo il controllo che tutte le carte siano in regola. Si tratta di fare un piccolo ma
decisivo salto logico: DALLA SCRIVANIA AL TERRITORIO.
Da noi è una rivoluzione ciò che nei paesi più civili è prassi. Siamo certi che questa modalità liberi
energie interne e stimoli quelle esterne. Aiuta dunque, finalmente, lo sviluppo della comunità.
LA COMUNITÀ BERGAMASCA È IN EUROPA
Già dieci anni fa abbiamo proposto l’istituzione di un Ufficio Europa, sul modello di alcune esperienze
virtuose dove, con poco investimento, si poteva costituire un piccolo nucleo qualificato di
competenze per aiutare i 244 comuni bergamaschi a partecipare ai bandi europei: segnalando le
scadenze, proponendo gli schemi di base, fornendo il supporto tecnico necessario. Dati alla mano ci
era chiaro che il suo costo si sarebbe ripagato nel giro di un paio d’anni, sviluppando poi grandi utilità
per tutte le amministrazioni locali, sia in termini di fundraising, ma anche di consolidamento di buone
pratiche progettuali e di coordinamento, e dunque di comunità.
Ovviamente l’inadeguatezza di allora reputò superflua tale operazione, preferendo investimenti molto
più costosi in società partecipate con finalità parapubbliche, attraverso la partecipata ABM. Di tale
esperienza rimangono oggi perlopiù debiti per decine di milioni di euro. Vogliamo chiudere questo
capitolo e riaprire il capitolo Europa. La comunità vasta di Bergamo deve essere attrice europea ,
capace di dialogare con Bruxelles e di cogliere in anticipo le direzioni dell’Agenda Strategica
1 Dalla L. 142/90 poi ripresa dal TUL del 2000: La Provincia ……rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne
promuove e ne coordina lo sviluppo
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comunitaria. Ignorarla significa continuare a perseguire la marginalità. Poiché tale obiettivo è
contenuto anche nel programma di mandato del nuovo sindaco di Bergamo, i due enti dovranno
fattivamente collaborare per perseguirlo.
UN NUOVO GOVERNO PER IL SISTEMA BERGAMO
La L. 56 prevede dunque vi sia ancora un ente provinciale, con però una rappresentanza di secondo
livello, che chiama perciò ad una maggiore responsabilità i sindaci ed i consiglieri di tutti i comuni
bergamaschi. Questa rinnovata forma di governo rischia di scontare un periodo lungo di
assestamento che, oggi, in una situazione di emergenza socioeconomica, non possiamo permetterci.
Occorre dunque che la rinnovata istituzione provinciale, ed in particolare gli amministratori del
territorio chiamati a dargli consistenza, sappiano velocemente sia definire non solo obiettivi
finalmente chiari ed adeguati, sia coinvolgere i dirigenti ed i responsabili con modalità finalmente
moderne, ed anche definire criteri di azione nuovi per gli organi politici, negli ultimi anni invece
imbalsamati in procedure tanto stanche quanto inutili.
Il Consiglio Provinciale nella nuova versione ridotta a sedici consiglieri dovrà necessariamente saper
diventare organo fondamentale di governo, non un semplice ratificatore di delibere, ma costruttore
di idee e strategie pubbliche. Deve finalmente occuparsi degli argomenti centrali del territorio, dei
nodi ambientali, delle problematiche urbanistiche, dell’evoluzione delle attività produttive,
dell’aggiornamento delle pratiche sociali e di formazione. Il Consiglio Provinciale deve divenire il
luogo dove il Sistema Bergamo si confronta, convocando con periodicità elevata l’assemblea dei
sindaci, ma anche le rappresentanze delle categorie, l’università e gli altri soggetti di rilevanza
territoriale, affinché le politiche proposte riescano a consolidarsi con la costruzione del consenso
necessario.
Occorrerà definire rapidamente i percorsi, per rendere operativo il nuovo consiglio, in modo che
esso sappia porre al centro i progetti di sviluppo. L’assenza di assessori non dovrà impedire di uscire
dal vizio della mera supervisione amministrativa che ha caratterizzato questi anni. I nuovi consiglieri
dovranno per primi essere project oriented, cioè capaci di assumersi la responsabilità politica e
culturale della guida dei principali progetti complessi divenendone gli ambasciatori presso la comunità
provinciale.
E’ forse utile ricordare che, nella nostra visione di politica, chi governa, come detto, lo può fare solo
se ha idee chiare, e noi riteniamo che il PD provinciale le abbia, ma dal momento in cui governa si
pone al centro delle questioni e rappresenta l’intera comunità. Chi governa si assume in carico il
dialogo, e la fatica di ascolto e mediazione che questo comporta, con tutte le componenti della
comunità, non solo con l’area di sua prossimità, come purtroppo qui invece avviene da decenni. Solo
così la comunità può ritrovare coesione e vivacità proficua.
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2. LE COMPETENZE CONFERMATE
Non essendo ancora chiare le deleghe che Regione Lombardia darà alle province lombarde, occorre
per il momento semplicemente riferirsi alle competenze contenute nell’art. 85 della L 56, che inoltre
non risultano ancora coordinate con il Testo Unico degli Enti Locali (D.Lgs 267/2000):
pianificazione territoriale di coordinamento;
tutela e valorizzazione dell’ambiente;
pianificazione del trasporto pubblico, costruzione e gestione delle strade provinciali;
programmazione della rete scolastica e gestione dell’edilizia scolastica;
assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali, controllo dei fenomeni discriminatori.
Pur avendo il nostro gruppo consiliare, negli anni del mandato scorso, elaborato proposte su tutti i
temi precedentemente di competenza (es. turismo, cultura, servizi sociali, agricoltura, ecc…), visto lo
stato in divenire della definizione di ruolo dell’ente, riteniamo opportuno ora limitarci solo ad alcuni
principali spunti sulle competenze confermate.
PIANIFICAZIONE TERRITORIALE DI COORDINAMENTO
RAPIDAMENTE AD UN’AGENDA OPERATIVA
La Provincia ha iniziato a pensare al suo ruolo di ente di coordinamento d’area vasta, subito dopo la
L. 142/90. Ai primi anni ’90 risale infatti l’avvio del primo tentativo di pianificazione territoriale
provinciale, poi non giunto a termine. Solo nel 2004, 14 anni dopo la 142 e quattro anni dopo la
legge regionale 1/2000 che confermava tali competenze, la Provincia è riuscita ad approntare il
proprio Piano Territoriale di Coordinamento.
Questa fatica nella pianificazione d’area vasta è stata abbastanza comune alle province italiane. Però
poi il PTCP di Bergamo, pur con tutti i suoli limiti di strumento tanto ipernormativo quanto poco
strategico, è diventato comunque la cornice di riferimento della pianificazione locale. Anche se,
vergognosamente, dopo la sua approvazione, nulla di significativo, né dall’amministrazione Bettoni né
da quella Pirovano, è stato fatto per arricchirlo di contenuti progettuali e per adeguarlo alle istanze
locali: né con la concertazione dei piani d’area, in primis quello della Grande Bergamo neppure avviato,
né con il reale sviluppo di accordi di programma veramente qualificanti.
Di certo è meglio un modesto PTCP che la sua assenza. Ancor meglio però è la capacità di
trasformare il piano stesso da mero documento di controllo amministrativo, quale è ora, in piano
strategico orientato a temi concreti: la riqualificazione urbana mediante i singoli PGT, la qualificazione
del nodo aeroportuale e dell’area di Porta Sud a Bergamo, la guida delle dinamiche sull’area della
Brebemi, la promozione di politiche a sostegno delle aree produttive, il coordinamento del territorio
metropolitano di Bergamo, la riorganizzazione e modernizzazione del trasporto pubblico, la
riqualificazione dei centri storici anche mediante l’housing sociale, la valorizzazione della montagna
bergamasca.
Sono, questi, esempi di temi per i quali la provincia può svolgere quel ruolo importante di
promozione dello sviluppo territoriale e di qualificazione ambientale che le singole amministrazioni
comunali da sole non possono affrontare o lo possono solo in modo decisamente parziale.
Per fare ciò occorre però che, in pochi mesi, e con un percorso di condivisione con le realtà locali,
istituzionali, associative ed imprenditoriali, il piano sia SBUROCRATIZZATO, eliminando gli aspetti
normativi ridondanti e dotandolo invece di un’AGENDA STRATEGICA capace di orientare ed aiutare le
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amministrazioni locali e la cittadinanza a perseguire attività di qualificazione del territorio, anche in
linea con gli indirizzi comunitari per i quali, fra l’altro, è possibile candidarsi all’ottenimento di fondi.
L’attività di controllo dei singoli PGT comunali, dunque, oggi svolta con diligenza encomiabile ma in
totale assenza di indirizzo strategico, può divenire così l’occasione per incentivare collaborazioni tra
la Provincia ed i comuni sui temi di loro interesse ma sovraccomunali, orientando così anche i PGT
ad essere strumenti snelli di promozione del territorio e di forme di cittadinanza attiva.
Tale radicale riorientamento della pianificazione territoriale è oggi l’atto primo necessario dell’ente
d’area vasta. In un momento in cui il modello di crescita edilizia per continua espansione, di questi
decenni, è arrivato al limite, e tutti gli attori, in primis anche le associazioni del mondo edile, si
interrogano su quali siano i nuovi possibili spazi di lavoro e se questi siano davvero percorribili.
Un piano operativo dunque, che riesce ad aiutare, con politiche chiare, con protocolli istituzionali
certi e, possibilmente, anche con accordi col mondo bancario ed assicurativo, la riconversione del
settore edile verso la prevalenza della rigenerazione urbana, è un piano che può aprire spazi
imprenditoriali molto ampi e contribuire alla tenuta della competenza di lavoro che oggi si sta già
disperdendo.
Un piano che sa indicare le pratiche e le procedure corrette per valorizzare l’ambiente naturale ed i
beni culturali e storici della Provincia è uno strumento che supera il ruolo, alla fine perdente, di
apparato di negazione, verso il ruolo di strumento di promozione, che ritiene possibile conciliare
attività economica e tutela e valorizzazione dell’ambiente.
L’obiettivo della pianificazione territoriale è dunque non quello di una superpianificazione comunale,
ma quello del rinnovamento degli asset fondamentali del territorio, rigenerando così anche il
paesaggio urbano e la fruizione e tutela di quello ambientale verso forme di maggiore dignità e qualità.
Contribuendo così anche alla tenuta generale del valore patrimoniale oggi in seria discussione.
Per fare ciò però intendiamo valorizzare al massimo le competenze progettuali già presenti in
provincia, passando dal controllo di scrivania ex-post a forme di tutoraggio attivo da parte dei molti
qualificati dirigenti e funzionari rispetto alle difficoltà delle amministrazioni locali. Aiutare chi sviluppa
idee a trovare il modo di perseguirle correttamente, ed vantaggio di tutti, ponendo le norme a
servizio dell’obiettivo pubblico e non gli obiettivi a servizio della procedura, è questa la missione che
proponiamo per rinnovare la capacità bergamasca di produrre territorio.
IL LAVORO, ELEMENTO CENTRALE DELLA RINNOVATA PIANIFICAZIONE
In provincia di Bergamo vi sono 61 milioni di mq di aree produttive (60 mq ad abitante, bambini
compresi) ed una competenza ed attitudine riconosciuta, che si concretizza in una specifica cultura
del lavoro. Essa però è spesso dispersa più che diffusa, segmentata, priva di infrastrutture.
La provincia in forza della lr 1/2000 doveva selezionare le principali aree produttive provinciali per
promuovere in esse specifici parchi di impresa, APEA, Aree Produttive Ecologicamente Attrezzate,
con l’obiettivo di svilupparvi l’infrastrutturazione di banda, una migliore gestione della mobilità, servizi
condivisi alle imprese ed ai lavoratori, l’ausilio alla razionalizzazione dello smaltimento dei rifiuti ed
alla riduzione della dispersione energetica. Tutto ciò anche al fine di facilitare, in un contesto
supportato, la riqualificazione delle imprese esistenti e la formazione di nuovi soggetti imprenditoriali.
La completa incapacità della provincia a farsi promotrice di questa sua competenza, poteva non
essere colta negli anni del benessere e del lavoro diffuso. Ora invece, col sistema manifatturiero in
evidente crisi, non può più essere accettata. Riteniamo pertanto necessario che la nuova agenda
operativa del PTCP ponga al suo centro l’individuazione delle principali agglomerazioni produttive
ove promuovere una specifica governance con i comuni interessati e con le associazioni di categoria,
avente l’obiettivo della rigenerazione di impresa e della valorizzazione del capitale umano ed
imprenditoriale di quei contesti.
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TUTELA E VALORIZZAZIONE DELL’AMBIENTE
ACQUE, LA RICCHEZZA DI BERGAMO
La comunità bergamasca trae ragione fondamentale della sua storia e della sua cultura, ed ha
sviluppato una notevole ricchezza imprenditoriale, per la presenza di un sistema idrico naturale assai
generoso ed articolato. La ricchezza d’acqua ha costruito il paesaggio bergamasco ed è stata ragione
fondamentale del suo sviluppo manifatturiero.
Pertanto il percorso di gestione unitaria del sistema idrografico è strategico per ogni pensiero di
futuro. A patto che questa gestione sappia avere una visione generale della risorsa e pensare ad una
strategia di sua valorizzazione pubblica orientata al lungo periodo. Occorre perciò che l’Autorità
d'Ambito Territoriale Ottimale non sia un mero ufficio nato per adempiere alla normativa vigente,
ma che divenga capace di proporre una visione ed una cultura della risorsa idrica come elemento
necessario di valore territoriale. Riteniamo cioè che l’Autorità d’Ambito, in correlazione con
l’istituzione provinciale di cui è emanazione, debba divenire il luogo di valenza politica dove
promuovere ed ispirare azioni strategiche per l’ambiente bergamasco attraverso l’obiettivo della
qualità e della pubblicità dell’acqua. Se l’autorità d’ambito, in dialogo con i soggetti di rilevanza
territoriale, sa porsi come obiettivo l’ambiente ed il paesaggio del bacino idrografico bergamasco,
cioè se sa assumere un obiettivo strategico di valenza paesaggistica, le conseguenti direttive di
efficienza tecnica da assegnare al gestore Uniacque possono essere più incisive e dirimenti.
Parimenti, a valle, Uniacque deve superare le palesi difficoltà in cui versa oggi, cambiando indirizzo
verso una gestione maggiormente attenta all’articolazione territoriale ed al dialogo corretto ed
efficiente con l’utenza e con le comunità locali, e verso una programmazione aziendale che riveli
maggiore managerialità e precisione.
ENERGIA, UN SERBATOIO DI VALORE
La Provincia di Bergamo ha coadiuvato oltre 150 amministrazioni comunali nell’adesione al Patto dei
Sindaci per la riduzione dell’emissioni climalteranti. Ne è seguita la redazione di altrettanti PAES, piani
per l’efficentamento energetico dei territori comunali. Tuttavia gran parte delle azioni contenute in
questi piani, soprattutto quelle a maggiore potenziale impatto di sviluppo economico, e cioè
coinvolgenti il settore privato (riqualificazione edifici, smart grid,…), non hanno avuto seguito, stante
la difficoltà di ogni singola amministrazione ad innescare iniziative di riqualificazione complesse,
oltretutto in assenza di risorse.
La provincia può invece svolgere un ruolo decisivo per innescare queste operazioni, definendo delle
buone pratiche, convenzionandosi con operatori economici e finanziari (credito, assicurazione, Esco)
e divenendo garante dei singoli percorsi comunali. Si tratta di avviare, tramite la leva del risparmio
energetico, un generale processo di rigenerazione dei tessuti urbani, che, oltretutto può essere ben
coordinato alla dimensione urbanistica, vista la competenza della provincia sui singoli PGT.
L’ARIA, UN VALORE IRRINUNCIABILE
Sono ormai abituali, nel periodo invernale, i superamenti delle soglie di inquinanti nell'aria nella parte
più abitata del territorio. I dati diffusi dall'ARPA e dall'Agenzia Europea per l'Ambiente confermano la
criticità della qualità dell'aria a Bergamo e provincia e la necessità di interventi urgenti e concreti.
Delle tanto sbandierate misure promesse dalla Regione e dal centrodestra finora s'è visto poco o
nulla. Occorre affrontare la questione alla giusta scala territoriale, con l'azione fondamentale della
Regione, e puntare da subito sul potenziamento dei trasporti pubblici: primo fra tutti il treno e il
progetto di potenziamento della tratta Ponte San Pietro – Albano Sant'Alessandro, che deve divenire
una linea metropolitana efficiente. Ed impostando già oggi, anche grazie alle competenze urbanistiche
della provincia, la città del domani, attenta alle prestazioni energetiche degli edifici e alle forme di
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mobilità dolce nel tessuto urbano e nei quartieri che dovranno essere a basse emissioni; città fossil
free che, nello spirito del Patto dei Sindaci, svolgano il proprio importante ruolo a sostegno del
cambiamento degli stili di vita, recuperando spazi di relazione e di coesione sociale.
RIFIUTI, INDICATORI DELLA NOSTRA QUALITÀ CIVILE
Gestione dei rifiuti: tema complesso, e troppo spesso affrontato partendo dalla coda, ovvero dalle
modalità di smaltimento dei rifiuti. La vera sfida è quella di reimpostare il sistema di produzione e le
nostre abitudini quotidiane – oseremmo dire l'intero sistema economico - al fine di prevenire la
produzione di rifiuti e imballaggi, prima ancora che puntare sulle comunque ovvie e corrette strade
del riuso, del recupero e del riciclo (in quest'ordine esatto); su ciò il Partito Democratico ha da
tempo presentato una proposta di legge regionale. Per quanto riguarda gli inceneritori, gli impianti in
provincia di Bergamo sono perfettamente in grado di far fronte, già oggi, alle necessità; ne consegue
che l'ipotesi di realizzazione di nuovi impianti o di ampliamento degli esistenti non può assolutamente
essere accolta. Occorre invece puntare sulla riqualificazione degli impianti esistenti, introducendo le
tecnologie innovative in corso di sperimentazione nei paesi più avanzati, quali ad esempio il
trattamento meccanico biologico a freddo, e pianificare con maggiore oculatezza l'intero ciclo dei
rifiuti; il piano provinciale bergamasco, sovradimensionato nonostante la crisi economica in atto,
richiede una approfondita rivisitazione. Fondamentale l'attenzione alle regole ed ai controlli: per
quanto riguarda il ciclo illegale dei rifiuti Bergamo è la seconda provincia lombarda, in una Lombardia
che a sua volta è la quarta regione in Italia per intensità di questo fenomeno.
CAVE, BASTA FERITE INUTILI AL PAESAGGIO ED ALL’AMBIENTE
Piano cave della Provincia di Bergamo: uno strumento di pianificazione nato male, e finito peggio,
soprattutto per la completa opacità del percorso di approvazione regionale, come emerge anche
dalle inchieste in corso. Ora è oltretutto decaduto perché redatto senza rispettare le normative
europee e senza coordinarsi con le istanze del territorio. Occorre ripartire da zero, garantendo
ovviamente l’operatività del settore, ma definendo subito delle regole chiare di coordinamento
dell’attività con i territori ove insistono, dimensionando le scelte alle reali necessità del mercato. E’
da rivedere è anche la legge regionale in materia, come da proposta da tempo depositata dal Partito
Democratico: maggior coinvolgimento delle comunità ed enti locali, garanzie e tempi certi per il
recupero naturalistico degli ambiti escavati.
VIABILITÀ E TRASPORTI
PER UN SISTEMA INTEGRATO DI MOBILITÀ
La competenza sulla viabilità è una delle più antiche della Provincia. La provincia deve occuparsi delle
strade sovraccomunali, progettarle, costruirle e mantenerle. Nelle maggiore o minore qualità delle
strade provinciali passa l’efficienza dell’economia bergamasca e l’immagine del territorio. E’ questa
pertanto una competenza importantissima, non solo per gli aspetti funzionali ma anche per quelli
ambientali e sociali.
A fronte di ciò la provincia ha formato nei decenni competenze di alta professionalità. La politica
inadeguata però non le ha sapute guidare: ha dapprima predisposto, negli anni ’80, un piano per la
viabilità faraonico (gli anni delle spese facili), di cui è stata realizzata solo una parte, ha poi cercato
(negli anni bettoniani) di esternalizzare le competenze progettuali ad una società ad hoc (ABM2)
aumentando così inutilmente i costi, ed infine, negli anni leghisti, vista la riduzione delle somme a
disposizione, ha tagliato tutto, manutenzione compresa (e le buche sulle strade sono sotto gli occhi di
tutti).
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Eppure proprio la crisi doveva essere un’occasione importante di riflessione. Su questo argomento il
PD ha elaborato proposte di consiglio, ovviamente ignorate (la minoranza non deve fare proposte ci è
stato detto …) per una revisione del piano della viabilità (per realizzare tutto quanto previsto al
ritmo di spesa di oggi ci vorrebbero circa 300 anni !), all’interno di un progetto integrato di mobilità.
Si tratta cioè di prendere atto finalmente che non tutto può essere risolto con le grandi opere, anzi
queste, spesso, oltre a consumare suolo e costare molto come investimento, generano poi
esternalità negative e problemi e costi elevati anche in fase di manutenzione.
Nel decennio scorso la Provincia avrebbe potuto cogliere l’occasione del rinnovo della pianificazione
comunale (PGT), di cui lei aveva la supervisione mediante il PTCP, per integrare in essa la
riqualificazione di molti tratti provinciali esistenti all’interno di operazioni di trasformazione
concordata, ottenendo così l’effetto di costruire pratiche condivise con le amministrazioni comunali e
di far partecipare al costo delle infrastrutture le operazioni private di valorizzazione. Anche su
questo tema (era il mandato 2005-2009) il PD aveva formulato proposte specifiche. Ora che la
trasformazione del territorio è incorsa in una fase di fermo generalizzato, il tema è palesemente un
altro, la possibilità di integrare le nuove opportunità di infomobilità all’interno di un sistema a scala
provinciale che correli, con le tecnologie tipiche di una smart land, il controllo e la fluidificazione della
mobilità privata con il trasporto pubblico, anche mediante forme di sussidiarietà pubblica del
trasporto privato. Sul tema del mobility management la Provincia ha effettivamente nominato un
responsabile, ma lasciandogli risorse risibili senza di fatto la possibilità di avviare e strutturare
operazioni di lunga portata.
Tuttavia vi è un’importante occasione connessa alla realizzazione, ormai avviata, dell’Agenzia per il
trasporto pubblico locale, cui partecipano Provincia, Comune e Regione, che sarà chiamata a
progettare e governare il trasporto pubblico per l’intero bacino provinciale. Stante la continua
riduzione dei fondi trasferiti per tali servizi, se non vi sarà un indirizzo politico deciso verso
l’innovazione e l’integrazione dei sistemi di trasporto, l’esito probabile sarà la riduzione delle tratte e
la selezione dei servizi. E ciò proprio in un momento di crisi dove la cittadinanza abbisognerebbe di
maggiore trasporto pubblico. L’opportunità, invece, di avviare ora una progettazione territoriale per
appaltare un servizio del valore di centinaia di milioni di euro è certo da cogliere per ripensare
interamente il tema del trasporto integrandolo con le nuove modalità oggi disponibili, car sharing, car
pooling, telecontrollo e anche con una decisa integrazione con la rete della mobilità dolce (piste
ciclabili), per la quale la provincia ha un proprio piano da coordinarsi con i PGT di tutti i comuni.
Si tratta quindi di capire come la crisi stia innescando effetti nuovi anche sulle abitudini della mobilità
privata, potendo favorire in questo momento di difficoltà, lo spostamento di molti utenti dal costoso
uso individuale dell’automezzo privato o verso un trasporto pubblico rinnovato o verso forme di
integrazione del mezzo privato con la rete provinciale. All’interno di questo tema, fra l’altro, ben si
colloca la riqualificazione metropolitana del servizio ferroviario nella tratta PS Pietro – Montello,
costantemente sostenuta dal PD e mai seriamente perseguita dalla Provincia.
Ma oltre all’importanza del nodo centrale di Bergamo è il complesso del territorio, anche nelle sue
aree più svantaggiate perché meno accessibili, quali i territori montani, che può trarre giovamento
dalla costruzione di un sistema territoriale di infomobilità.
EDILIZIA SCOLASTICA E FORMAZIONE
SCUOLE E COMUNITÀ, SCUOLE COME CUORE DELLA VITA URBANA
La settorializzazione della politica scolastica ha prodotto danni evidenti. Una diffusa rete di edifici,
spesso all’epoca realizzati con criteri elevati, sono stati oggetto di scarsi interventi manutentivi e,
laddove ciò è accaduto, senza un’idea del valore pubblico dello spazio scolastico.
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L’esempio più lampante è riconoscibile nel cd. campus scolastico di Bergamo, posto oltre la ferrovia
nell’area di Porta Sud, dove da decenni convivono, separati addirittura da filo spinato, i diversi
fabbricati delle scuole tecniche superiori. Così nel territorio provinciale dove la carenza o
inadeguatezza di strutture, di cui molte quelle sportive, è talvolta drammatica, i pochi interventi fatti
sono sempre stati orientati alla sola, peraltro parziale, soluzione dell’urgenza, senza mai valutare
pienamente che gli edifici scolastici non sono dei meri contenitori funzionali, ma sono dei luoghi
particolari, sono centri attivi di comunità, riferimenti per gli studenti ed i loro genitori, e
promuovono attorno ad essi un uso intensivo dello spazio.
Progettare o ristrutturare una scuola, od anche solo farle manutenzione, significa scegliere se dare o
meno valore alla comunità ove è inserita, e questo lo si può fare promuovendo la partecipazione alle
scelte, disegnando lo spazio pubblico esterno ed il suo rapporto con l’interno, costruendo un
rapporto tra nuovi spazi e Piani di Offerta Formativa, affinché le scuole non siano dei segmenti
settoriali del sapere, ma centri riconoscibili della formazione culturale del territorio. Occorre
pertanto superare la segmentazione delle competenze e considerare che gli spazi scolastici debbano
essere fruiti in modo plurimo ed intensivo dalla comunità e debbano quindi essere coordinati con il
tessuto urbano d’intorno in modo che non risultino dei meri recinti funzionali (ad esempio
coordinando ad essi la rete degli accessi ciclabili ed il sistema delle aree verdi).
L’integrazione degli usi e degli spazi, che passa necessariamente per la paziente tessitura di accordi
con le dirigenze scolastiche e con le amministrazioni coinvolte, è un dato fondamentale dell’economia
della condivisione (share economy) che oltre a generare comunità, mediante la valorizzazione delle
relazioni locali, produce anche risparmi riconoscibili.
Poiché il tema dell’edilizia scolastica è stato posto al centro dell’azione del governo, grazie anche alle
maggiori possibilità operative connesse all’esclusione delle spese per edilizia scolastica dal patto di
stabilità, la provincia, oltre ad essere attore diretto della manutenzione, e perciò in primis chiamata a
rappresentare le migliori pratiche, potrà farsi promotrice di una decisa attività di supporto agli enti
locali, anche avvalendosi della consulenza degli ordini degli architetti e degli ingegneri, perché i nuovi
interventi divengano occasione di rinnovamento dell’identità locale, mediante la qualità
dell’architettura, e di valorizzazione della comunità, mediante la definizione di progetti di
partecipazione.
ASSISTENZA AGLI ENTI LOCALI
LA LEGALITÀ COME RETE DI BUONE PRATICHE
E’ inutile fingere che da noi non sia penetrata la criminalità organizzata. I capitali sporchi stanno
occupando il credito, le attività commerciali e produttive, oltre a minare il tessuto di convivenza.
Tuttavia a fronte di ciò la risposta sembra ancora essere solo quella della redazione di strumenti
amministrativi di controllo e non quella di promozione di buone pratiche. L’economia criminale si
sconfigge infatti promuovendo lo sviluppo e valorizzando le pratiche migliori. Compito della provincia
è dunque soprattutto la codifica e la diffusione di una rinnovata cultura amministrativa che sappia
rendere efficiente il nostro sistema istituzionale, facendolo uscire dal mero controllo di forma verso il
raggiungimento di obiettivi di sviluppo.
E’ solo con la diffusione di una cultura della trasparenza e con la promozione delle pratiche migliori
già oggi diffuse nel territorio che possiamo raggiungere quell’integrazione ed efficienza istituzionale
che meglio di altre diviene capace di un’azione di presidio territoriale e di contrasto all’economia
criminale.
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3. I MACROTERRITORI
LE FRAGILITÀ E L’OPPORTUNITÀ DELLA MONTAGNA BERGAMASCA
L'assenza dell'area montana fra le zone interessate ad una maggior dinamica trasformativa degli ultimi
decenni non è certamente indice di una condizione di stabilità del rapporto uomo-ambiente in questi
territori. Al contrario, costituisce segnale di una incapacità complessiva ad aggiornare questo dialogo
alle modalità dell'abitare contemporaneo.
Le rilevanti trasformazioni economiche e territoriali del dopoguerra si sono manifestate nei territori
della montagna bergamasca in un quadro in cui il numero elevato delle comunità costituiva il segnale
di una "capillare" presenza dell'uomo, e di un suo presidio attivo nell'utilizzo articolato delle
differenti caratteristiche del territorio montano. Le differenze della geomorfologia del territorio
costituivano occasioni per una pluralità degli usi. La montagna era perciò risorsa economica ad
elevata complessità in cui l'utilizzo, che ora denominiamo sinteticamente agro-silvo-pastorale, ma che
è caratterizzato in realtà da una notevole articolazione delle sue specialità, coesisteva, fin da tempi
remoti, con una presenza marcata di attività di tipo industriale, sia tessili che di lavorazione dei
metalli, manifatture del cuoio e lavorazione del legno, produzione della carta, ma anche estrattive.
Le modalità trasformative intervenute, avendo operato modifiche legate ad un quadro generale di
trasformazioni delle attività economiche e dei modelli di vita, non strettamente relazionate, nè
facilmente relazionabili, alle specificità del territorio ove avvenivano, hanno contribuito ad una perdita
di riconoscibilità di quelle differenze territoriali, prima considerate come risorse, e, quindi, ad una
riduzione della capacità complessiva dell'uomo di rapportarsi al suo ambiente, e conseguentemente,
di trarne vantaggio attraverso la sua "cura".
Ciò è avvenuto non solo per l'indaguatezza del modello di sviluppo affermatosi, ma anche per
l'oggettiva difficoltà delle forme tradizionali dell'abitare la montagna a mantenere la competizione con
gli altri territori in cui la diffusione del modello di vita urbano avveniva con più facilità. Si pensi a cosa
significa organizzare una rete di adduzione dell'acqua potabile e dei collettori e depuratori degli
scarichi, adeguata alle nuove esigenze, che coinvolga più comuni, laddove tradizionalmente ogni
comunità aveva la sua fonte e gli scarichi non costituivano un problema.
Si è generata così nella montagna una strana commistione tra la costruzione del "nuovo", portatrice
di modernità, ma spesso incapace di cogliere e valorizzare le qualità del territorio, e la permanenza
del "vecchio", sentita come testimonianza, talvolta rivendicata con orgoglio, della propria identità, ma
anche percepita come segno di arrettratezza e povertà e perciò stesso ritenuta inadeguata alle nuove
necessità e, conseguentemente, abbandonata al degrado con una certa facilità, o tutelata
esclusivamente come fatto folcloristico.
Questa fragilità è riconoscibile anche valutando le condizioni attuali d'uso dell'intero territorio
montano. In generale la situazione idrogeologica della montagna bergamasca indica la presenza diffusa
di fenomeni classificabili come di dissesto, che si manifestano in prevalenza in ambiti non forestati o
abbandonati dal punto di vista agricolo.
Si nota con chiarezza, inoltre, il fenomeno dell'aumento delle superfici coperte da boschi. Tuttavia la
risorsa forestale rivela nel nostro territorio un uso discontinuo quasi occasionale, senza che siano
stati avviati estesi progetti di riassetto fondiario finalizzati alla promozione di una filiera del legno
moderna.
Un altro segno dell'abbandono dell'utilizzo esteso del territorio montano si ha dall'individuazione di
vaste superfici soggette a dinamiche di rinaturalizzazione. Si tratta di aree in cui è fortemente
diminuito, quasi annullato, il carico antropico. Arretrando la presenza dell'uomo, risorge la natura
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naturale sbiadendo i segni della natura naturata. E' questo un fenomeno nuovo che può anche
assumere significato positivo, non solo dal punto di vista della salute ecologica, ma anche per
l'interessante ricomparsa nel nostro orizzonte, ove l'artificializzazione si spinge a livelli sempre più
alti, di territori opachi, dove può, per contrasto, rappresentarsi la selvaticità della natura. Questo
tema, poiché le aree soggette a rinaturalizzazione sono prevalentemente dislocate nell'alta montagna,
può aprire interessanti sviluppi all'ipotesi di valorizzazione di ambienti naturali non solo come
conservazione del bene ma come progetto di valorizzazione naturalistica di luoghi ad elevata
connotazione ecologica.
L'abbandono delle aree montane, molto evidente per certe zone e per certe attività (la zootecnia
della fascia montana medio-bassa è quasi completamente scomparsa), non ha impedito comunque di
mantenere tuttora un quadro di attività ancora sufficientemente articolato. Si può allora sostenere
che nonostante l'evidenza di mutamenti che hanno modificato parte dell'ambiente montano, anche
comportando un impoverimento delle sue caratteristiche, si può ancora riconoscere la specialità
delle zone montane nella loro molteplicità, cioè nell'elevata articolazione delle loro peculiarità e dei
modi attraverso i quali queste sono esperite.
L'attenzione alla molteplicità delle qualità del territorio montano è allora la strategia con cui
affrontare le problematiche ad esso connesse. Certamente è la più impegnativa perché propone un
quadro differenziato di interventi miranti alla salvaguardia delle caratteristiche del territorio, ed alla
valorizzazione del significato della loro articolata compresenza.
E' chiaro inoltre che nella strategia esposta occorre, a lato delle iniziative orientate al settore
secondario ed al settore turistico, ipotizzare anche una decisa valorizzazione del settore primario, sia
come garanzia della "cura" del paesaggio montano, e quindi dell’ambiente non solo locale, ma anche
come fattore di integrazione economica per le popolazioni locali. In questo senso sono da perseguirsi
esperienze come i contratti di paesaggio che assegnando agli operatori locali obiettivi ambientali,
permettono lo svilupparsi delle loro attività economiche, perché supportate e guidate anziché
costrette entro percorsi autorizzatori complessi e spesso defatiganti e dunque ulteriormente
penalizzanti i territori già svantaggiati.
Il tema della montagna è ormai comunque riconosciuto a livello mondiale come dotato di una chiara
rilevanza per la tutela della biodiversità e dunque di una specificità che richiede orientamenti e
strategie specifiche analoghe, anche in territori fra loro molto distanti, per poter portare o
mantenere le popolazioni ed i luoghi ad un livello di qualità adeguato alle potenzialità dell’ambiente.
Si ricordano ad esempio la Carta mondiale delle popolazioni di montagna– 2000, la Piattaforma di Bishkek
per le montagne -2002. si richiama tuttavia come, anche a livello alpino via siano iniziative
sovrannazionali per la valorizzazione dei temi connessi alla montagna.
ATTIVARE LA CITTÀ METROPOLITANA DORMIENTE
Dopo le amministrative del 25 maggio a Bergamo è stato sottoscritto tra trentun sindaci
dell’hinterland, oltre al sindaco del capoluogo, un documento per promuovere lo sviluppo dell’area
metropolitana di Bergamo. Le adesioni sono rappresentative di un territorio di oltre 330.000 abitanti.
Il documento, ponendosi l’obiettivo di attivare la città metropolitana dormiente considera come
Bergamo sia oggi anche fisicamente unita con circa 40 comuni a formare una grande città priva di
governo. La costruzione di un livello istituzionale corrispondente a questa dimensione è necessaria,
ma dipende da riforme nazionali e dunque non è praticabile a breve.
Sono comunque immediati ed urgenti i problemi che questa incoerenza istituzionale comporta, è
perciò necessario attivare subito un percorso di coordinamento efficace che non ricada negli errori
dei tentativi precedenti, quali l’evocazione di inutili e sbagliati poteri speciali o la costituzione di
commissioni senza progetti chiari.
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Proprio nel momento in cui le province ridefiniscono il proprio ruolo, l’alleanza strategica con le
comunità dell’area metropolitana potrà essere possibile solo se Bergamo saprà costruire accordi con
i sindaci dell’intorno, per assumere decisioni che si rivelino vantaggiose per tutti.
Il giusto percorso, da avviare subito, è allora la costruzione di un quadro partecipato di accordi basati
su un principio di convenienza reciproca, dove Bergamo assuma il ruolo di ente propositivo e di
servizio, coadiuvato dalla Provincia, capace di proporre un’agenda delle iniziative di utilità comune, da
adottarsi secondo priorità condivise, ma anche ad assetto variabile e quindi con modi fortemente
operativi.
Il documento dei 32 sindaci si articola su 6 strategie portanti, riguardanti la mobilità, i servizi, il fare
impresa, le aree verdi, il welfare e la gestione ambientale, ed evidenzia due risorse territoriali che la
città si impegna a considerare come parte del territorio vasto: città alta ed il nodo aeroporto-
stazione.
Le sei strategie portanti di quel documento, derivanti in parte dal lavoro di valutazione e proposta
elaborato da questo gruppo consiliare, sono ben sovrapponibili alle iniziative strategiche che si
propongono per l’intera dimensione territoriale. In più contengono indicazioni per l’elaborazione di
un coordinamento istituzionale sul sistema dei servizi e per un nuovo welfare metropolitano, quali
prodromi di nuove unioni comunali, che potranno certo fungere da buone pratiche di riferimento
anche per il resto del territorio provinciale.
Con la definizione di una visione strategica condivisa, Bergamo potrà finalmente operare come città
europea, in tal senso il documento contiene anche l’indicazione dell’avvio di un Ufficio Europa,
organizzato sull’agenda UE 2014-2020, da porsi al servizio della progettualità dell’intero territorio
metropolitano. Gli obiettivi metropolitani porteranno dunque ad una serie di strategie pienamente
coerenti con gli obiettivi di innovazione e coesione europei, in quanto molti dei progetti e delle
pratiche attivabili per raggiungerli sono finanziabili dai fondi quali Horizon 2020, Cosme, ecc…
Il seguito di questa importante plurima adesione, grazie all’azione strategica assunta in primis dal
Comune di Bergamo, sarà presto l’arricchimento e la condivisione della visione generale lì definita,
mediante l’allargamento anche ad altre comunità dell’hinterland, le discussioni approfondite nei singoli
consigli comunali e la conseguente definizione di un’agenda operativa che articoli le strategie generali
delineate.
LA PIANURA BERGAMASCA
E’ ormai quasi un luogo comune che la pianura bergamasca si appresti a cambiare di ruolo nel
panorama territoriale regionale; non è invece assolutamente patrimonio condiviso cosa questo
significhi.
Alla evidente capacità di trasformazione grande e minuta del paesaggio lombardo sembra non essere
corrisposta finora infatti un’altrettanta capacità di governo delle trasformazioni accadute, con il
portato inevitabile di uno sviluppo che ha talvolta acuito i conflitti sociali, spesso dimenticato o
sottovalutato i dati ambientali, raramente compreso e valorizzato le caratteristiche del territorio. Se
la trasformazione avviene a discapito della qualità del paesaggio, cioè se la trasformazione si rivela
incapace di produrre un nuovo paesaggio congruente con le sue caratteristiche fondamentali, essa
non si rivela portatrice di fattori di identità ma complessivamente produce fenomeni di straniamento,
di sradicamento delle condizioni dell’abitare e della qualità delle relazioni tra gli uomini.
Il previsto cambiamento di ruolo della pianura irrigua bergamasca, dovuto allo scenario di sviluppo
infrastrutturale sovralocale, (quadruplicamento ferroviario, Brebemi, IPB, Interporto, nell’insieme
corridoio 5) non è dunque automaticamente un cambiamento positivo. Può essere un’occasione
importante di miglioramento della qualità di questi luoghi solo se sarà in grado di rinnovarne
fortemente l’identità.
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Perché ciò accada occorre che le differenti comunità locali interessate si sforzino di convergere verso
alcuni obiettivi generali, per esprimere una visione di territorio perlomeno potenzialmente
condivisibile nei suoi tratti fondamentali. Doveva essere questo il compito di coordinamento della
Provincia di Bergamo. Compito che, nonostante i numerosi Ordini del Giorno e raccomandazioni del
nostro gruppo consiliare essa non ha saputo o voluto cogliere.
La nuova centralità della pianura dipende ora dunque da scelte infrastrutturali per lo più decise
altrove, rispetto alle quali il ruolo delle comunità locale è più nel “come” piuttosto che nel “se”. Ciò
nondimeno il come è assai decisivo: se la nuova vicinanza con Milano, dovuta alla maggior frequenza
dei treni ed alla nuova autostrada, non si accompagna con un disegno ordinato delle trasformazioni
territoriali, la pianura bergamasca rischia di diventare elemento marginale nella periferia orientale
della città-regione milanese, perdendo dunque identità e valori anziché rafforzare il proprio ruolo
territoriale.
Viceversa se le trasformazioni infrastrutturali contribuiscono a ridurre la congestione del sistema
della mobilità e si accompagnano al rafforzamento della qualità dei suoi molti nuclei urbani, qualità del
costruito, dei suoi utilizzi e delle relazioni dei suoi abitanti, il ruolo urbano di Treviglio, di Caravaggio,
di Calcio, di Romano e delle altre città e paesi del loro intorno, nel più vasto sistema della
competizione regionale può rafforzarsi portando valore aggiunto ai sistemi urbani ed al territorio in
generale.
Perché ciò possa accadere occorre che le trasformazioni urbanistiche principali avvengano non per
semplici addizioni successive, in una, potenzialmente inesauribile, attività progressiva di occupazione
del suolo, ma all’interno di un assetto territoriale che ne sostiene la misura e la contempera con la
decisa salvaguardia del sistema delle aree aperte. Ciò significa, in estrema sintesi, demandare le attese
di trasformazione principali a quelle parti di territorio che nella nuova geografia degli assetti
infrastrutturali risultano più sollecitate, sapendone però governare il cambiamento ed al contempo
tutelando il resto del territorio. La posizione di privilegio di questi territori all’interno del sistema
delle relazioni internazionali, la loro prossimità con Milano (Brebemi e stazione ferroviaria), ne fanno
luoghi privilegiati che appare decisivo non dissipare con attività meramente estensive, a basso valore
aggiunto ed a scarso interesse relazionale.
Ci è chiaro che se le comunità locali riusciranno ad orientare una pressione trasformativa così estesa,
con modalità coordinate, potranno nel tempo arricchire l’intero territorio della bassa bergamasca di
funzioni privilegiate quali armature del sistema economico e culturale dell’intera provincia.
Perché gli scenari di trasformazione delineati possano efficacemente contenere il consumo di suolo
non basta confermare alle zone esterne la loro vocazione agricola, occorre capire che l’agricoltura
locale si trova oggi in una situazione di forte spaesamento. Il modello dell’agricoltura storica è ora
scavalcato da uno scenario che richiede misure aziendali ben più considerevoli delle storiche, sia per
dimensione dei fondi che per quantità dei capi di bestiame. Contemporaneamente, sia la tendenziale
diminuzione delle risorse idriche, che riduce le prospettive di coltivazioni idrovore come la
maiscoltura, o le nuove normative comunitarie che rendono sempre più problematica la
concentrazione di capi di bestiame, evidenziano la necessità di riorientare velocemente i sistemi
aziendali verso orizzonti capaci di contemperare il dato ambientale come un assunto imprescindibile.
Il PTCP può allora essere l’occasione per un patto di sviluppo delle aree agricole, condiviso con i
conduttori aziendali, che abbia come riferimento un’importante azione di valorizzazione di quei
territori in ordine alla qualità della produzione agricola (più legata alla specializzazione, valorizzazione
e certificazione che alla sua estensione), alla possibilità della molteplicità degli usi per attività capaci di
integrare il reddito aziendale, soddisfando al contempo le attese della popolazione urbana anche con
attività legate alla pratica sportiva, alla ricettività, alla vendita dei prodotti tipici, all’educazione
ambientale (di riferimento a tal fine è l’importante esperienza provinciale delle fattorie didattiche).
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COMMIATO
Nel corso di questi anni abbiamo indossato delle casacche, quelle di consiglieri provinciali, sapendo
che erano solo in prestito, dateci in primis dagli elettori che ci hanno votato e dal partito
democratico che ci ha proposto.
Sono stati anni intensi, in cui abbiamo morso il freno per cercare in tutti i modi di stimolare chi
governava a farlo in nome di tutti, come dovrebbe essere e spesso non è, ma soprattutto a farlo, cioè
ad elaborare proposte, individuare strategie, compiere azioni significative e riconoscibili.
Abbiamo perciò vestito il ruolo dell’opposizione di governo, cercando di spingere sulla proposta più
che sul semplice contradditorio. Abbiamo purtroppo assistito, e non solo nell’ultimo mandato, ad
una generale perdita di tempo, probabilmente per incapacità di visione più che per assenza di
impegno.
Poiché però siamo convinti che una politica senza capacità di visione sia una politica inutile, quando
non dannosa, e che l’assenza della politica impedisca lo sviluppo del territorio e della comunità,
assieme al ringraziamento a chi ci ha dato fiducia, abbiamo scelto di lasciare questo documento,
compendio della nostra proposta di questi anni, nella speranza che possa essere traccia di partenza
per una discussione aperta, capace di caratterizzare l’esordio del nuovo ente provinciale finalmente
per la selezione del progetto piuttosto che per la semplice sola ricerca degli equilibri.
Franco Cornolti Serafino Carissimi Matteo Rossi Filippo Simonetti Alberto Vergalli