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Unione Europea a rischio di collasso · interstatale nel marzo 2012 dai governi di 25 stati su 28 e...

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Luigi Vinci Unione Europea a rischio di collasso La sinistra europea si attivi a rovesciare assetti anti- democratici, bluff monetaristi e neoliberisti e relativi disastrosi orientamenti antisociali e antieconomici, che nella crisi del 2008 si sono generalizzati, onde prevenirne il collasso e rilanciarne le motivazioni valide, ed evitare una gigantesca tragedia sociale In appendice Quale forma partito. Contributo a una franca discussione nella sinistra Edizioni Punto Rosso Fondamenta 1
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Luigi Vinci

Unione Europea a rischiodi collasso

La sinistra europea si attivi a rovesciare assetti anti-democratici, bluff monetaristi e neoliberisti e relatividisastrosi orientamenti antisociali e antieconomici,che nella crisi del 2008 si sono generalizzati, ondeprevenirne il collasso e rilanciarne le motivazionivalide, ed evitare una gigantesca tragedia sociale

In appendiceQuale forma partito.

Contributo a una franca discussionenella sinistra

Edizioni Punto RossoFondamenta

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Finito di stampare: gennaio 2018presso Digital Print, Segrate, Milano

EDIZIONI PUNTO ROSSO Viale Monza 255 - 20126 Milano [email protected]; www.puntorosso.it

Direzione Editoriale: Roberto Mapelli e Raffaele K. Salinari. Redazione delle Edizioni Punto Rosso: Nunzia Augeri, Eleo-nora Bonaccorsi, Serena Daniele, Roberto Mapelli, GiuseppeMarchi, Raffaele K. Salinari, Pietro Senigaglia, DomenicoScoglio, Franca Venesia.

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Indice

Unione Europea a rischio di collasso

1. Una struttura, quella dell’Unione Europea, a gestione auto-ritaria e burocratica e orientata in senso antisociale, e da ciòportata a sviluppo lento e ridotto e a forti difficoltà in sede diuscita effettiva da situazioni di larga crisi sociale 5

2. Approfondimenti. Un tema sul quale è indispensabile farechiarezza a sinistra: perché quel che viene considerato debitopubblico sia, in realtà, un problema significativo solo a deter-minate condizioni, parimenti perché questo problema, guar-dando all’Occidente, sia proprio della sola zona euro 24

3. Come tentare di affrontare da sinistra i problemi della si-tuazione italiana nella loro qualità effettiva 66

Appendice

Luigi Vinci 91Quale forma partito.Contributo a una franca discussione

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Unione Europeaa rischio di collasso

1. Una struttura, quella dell’Unione Euro-pea, a gestione autoritaria e burocratica eorientata in senso antisociale, e da ciò por-tata a sviluppo lento e ridotto e a forti diffi-coltà in sede di uscita effettiva da situazio-ni di larga crisi sociale

a. Perché un rifacimento profondo dell’UE èindispensabile alla sua sopravvivenza

L’ipotesi base da condividere a sinistra dovreb-be affermare che l’appartenenza all’UE vada con-fermata, e però che essa vada rifatta in profondità.Lo stesso dovrebbe valere per i poteri della BancaCentrale Europea in sede di gestione monetaria,poiché incompleti. Il collasso dell’UE, e conse-guentemente dell’euro, comporterebbe disastri diampissima portata, dalla marginalizzazione planeta-ria degli stati che la compongono, anche i più forti,e dalla conseguente colonizzazione da parte deigrandi sistemi contigui, Stati Uniti e Russia, allosconquasso di rapporti economici consolidati e diquelli tra le popolazioni. Nella zona euro, dal crollodel valore di risparmi e pensioni a pesanti cadutedelle sue economie nazionali per di più con tantodi accompagnamento di inflazione. Inoltre il com-plesso dei disastri interverrebbe pesantemente sul

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complesso della realtà generale del pianeta. Pari-menti salirebbero pesantemente le tensioni tra StatiUniti e Russia, a gara per prendersi la torta euro-pea.

Il rifacimento dell’UE è tra le condizioni obbli-gate, sul piano economico e sociale, del supera-mento dell’unità organica in essa di generalizzatepolitiche antisociali (“liberalizzazioni” a tutto cam-po ovvero peggioramenti drastici e continuatividelle condizioni lavorative, della qualità di servizisociali e pubblici, dell’effettiva universalità di quellisociali, ecc.), da un lato; dall’altro, del superamentodi coessenziali politiche economiche e di bilancio,tra cui campeggia il fiscal compact (deciso come pattointerstatale nel marzo 2012 dai governi di 25 statisu 28 e avviato formalmente il 1° gennaio 2013 – itre che non hanno aderito sono Regno Unito,Croazia e Repubblica Ceca, tutti fuori dall’euro),cioè campeggia l’obbligo per tali stati di tendere abilanci pubblici in pareggio attraverso (soprattutto,in concreto) tagli a spesa sociale, servizi pubblici,investimenti produttivi. Queste politiche oggi ral-lentano e negli anni passati hanno gravemente dan-neggiato lo sviluppo di quasi tutti gli stati apparte-nenti all’UE, rendendo la zona euro, principalmen-te, il fanalino di coda, assieme all’America Latina,in sede di ripresa economica del pianeta. Solo laGermania da tutto ciò ha tratto, come si vedrà, be-nefici economici.

Inoltre il rifacimento dell’UE è tra le condizionidel superamento della conseguente sua crisi di cre-dibilità presso quote larghe e crescenti di classi po-

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polari e medie, poiché colpite da impoverimento eda ondate continue di precarizzazione e di rifaci-mento di mondi di vita e di relazioni sociali. La de-stabilizzazione in permanenza delle condizioni divita è diventata il dato esistenziale più gravoso dilarghe maggioranze sociali europee. E’ dunquequesto il dato di base, sociale e psicologico, costitu-tivo delle richieste popolari di chiusure di confini edi erezioni di reticolati, delle adesioni popolari aposizioni razziste e xenofobe, del consenso popo-lare a movimenti nazionalisti più o meno fascisti oqualunquisti, della sfiducia e dell’astio popolari neiconfronti della “politica”, dei suoi portatori profes-sionali tradizionali, tutti quanti omogeneamenteconsiderati ceto separato, autoreferenziale, cinico,arricchito a tutto danno popolare, della sfiducia edell’astio popolari nei confronti di governi, “corpiintermedi”, élites colte, cosmopolite, abbienti. E’qui, parimenti, il dato di base costitutivo dell’emer-genza e della crescita di una molteplicità di feno-meni di imbarbarimento. Emergono ovunquenell’UE e si affermano, soprattutto nella sua parteorientale, figure, più che preoccupanti, di politicitendenti alla costruzione di rapporti diretti di tipocarismatico-autoritario con seguaci e quote signifi-cative di popolo. Infine a rafforzare questi anda-menti e le formazioni più o meno fasciste o qua-lunquiste c’è, paradossalmente, la promessa da par-te di esse della ricostituzione a livello statale-nazio-nale, togliendo di mezzo l’UE, di una democraziasequestrata da ceti politici tradizionali, burocrazieeuropee, élites cosmopolite, ecc.

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Sul piano politico, ancora, il rifacimento dell’UEè tra le condizioni del superamento della struttura,effettivamente non democratica, del suo impiantoistituzionale complessivo. Un limitato deficit demo-cratico presiedette alla stessa origine dell’UE, edesso, anziché essere corretto, verrà incrementato abalzi, in parte a cavallo del 2000, soprattutto dallacrisi del 2008 in avanti, nel corso della quale è dive-nuta assoluta, per decisione dei governi, convintaod obbligata che fosse, la centralizzazione del co-mando politico nelle burocrazie (Commissione Eu-ropea al sommo, in quanto esecutivo continuativa-mente operante, burocrati apicali delle divisionifondamentali della Commissione, Eurogruppo,cioè sodalizio dei ministri economici e finanziaridella zona euro, sua presidenza stabile). Si trattacosì oggi di un enorme potere di intervento ancheintrusivo, insindacabile e sanzionatorio, dunque aradicale contrasto delle possibilità democratichedegli stati membri, soprattutto se della zona euro,in campo economico e sociale. Il principio fonda-mentale, primario, non a caso tra quelli fondativinel Trattato di Maastricht, di “sussidiarietà” (che si-gnifica che all’UE competa di agire solo in sede diquestioni che gli stati membri non siano in gradodi adeguatamente affrontare) è stato perciò quasicompletamente annullato.

Solo il prelievo fiscale risulta estraneo a questasocializzazione burocratico-autoritaria: non a caso,ciò avendo sino a ieri consentito a grandi impresemultinazionali e a grande finanza mondializzata di-slocazioni proprietarie di comodo, addirittura, di

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fatto, di non pagare tasse, inoltre, a tutt’oggi, con-sentito una massa enorme di evasione fiscale e diattività speculative d’ogni sorta a favore di classiricche, grandi gruppi imprenditoriali, banched’affari, fondi di investimento, ecc. Di converso,ciò avrebbe quasi obbligato i governi UE a incre-mentare l’attitudine a rifarsi con il fisco a danno diclassi popolari e medie, a ridurre sistematicamentela spesa sociale, a incrementare quindi anche perquesta via l’ostilità popolare nei confronti dell’UE,delle sue istituzioni, delle sue forze politiche tradi-zionali di governo, ecc. La Brexit riflette certoumori cronici britannici, ma è per via di tale andaz-zo che è diventata una realtà. Lo stesso vale per lasvolta antidemocratica in Polonia e in Ungheria eper il razzismo dilagato in questi stati così come inUngheria, Cechia, Slovacchia, Austria.

Sicché il rifacimento dell’UE è anche tra le con-dizioni del superamento di una tendenza che va alRegno Unito all’Europa centrale al disfacimento e,salvo correzioni profonde di rotta, al collassodell’UE come tale. E’ evidente da tempo come glielementi di collante, culturali, politici, ideologici,materiali che crearono nel dopoguerra una conver-genza molto solida tra le grandi famiglie politiche etra gli stati della parte occidentale dell’Europa sia-no precipitati in grande difficoltà e si stiano scom-ponendo, appunto per effetto del modo in cui l’UEè stata gestita dai suoi più alti comandi, il Consigliodei Capi di Stato e di Governo, la CommissioneEuropea (e, sotto traccia, i governanti democristia-ni tedeschi: ma del ruolo tedesco nella determina-

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zione del corso europeo si dovrà vedere attenta-mente, e lo si farà più avanti, essendo questione digrande portata). Come accennato Stati Uniti e Rus-sia, ciò constatando, tendono a incentivare l’anda-mento dissolutorio e a recuperare influenza in par-te degli stati UE, segnatamente in quelli orientali.Oggi la Commissione abbaia, minaccia, manda or-dini e preavvisi di intervento coattivo, ma poi devetrattare contraddittorie concessioni ai governi. Icommissari economici palesano sempre più atteg-giamenti differenti. Il presidente della Commissio-ne Juncker, tentando di mettere assieme capra e ca-voli, allude da qualche tempo all’obiettivo di unarevisione della governance UE (se ne vedrà più avan-ti). Il Parlamento Europeo è scoraggiato, sempremeno attivo, sempre più inerte. Una politica esteraeuropea sostanzialmente non esiste, ogni grandestato la fa a modo suo; e, quel che fa, è spesso piùdi danno all’UE che di ausilio. Su questa lineaespositiva si potrebbe proseguire a lungo.

b. Il vecchissimo “nuovo”: un’ideologia di ma-trice arcaica a giustificazione “tecnica” ovverosedicente “oggettiva” e come tale “valida” diuna politica radicalmente antisociale oltre chea forte attitudine antieconomica

E’ utile precisare come i contemporanei orienta-menti di politica economica e di bilancio UE sianoil repêchage, tutto ideologico, per nulla scientifico, diuna particolare variante di neoliberismo, quello de-finito “monetarista”, i cui fondatori (i creatori dellacosiddetta “economia classica”) risalgono a fine

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Settecento-primo Ottocento. La loro teoria affer-ma la necessità (nient’altro che un astrattoassioma), da parte della politica monetaria dellostato, del mantenimento dell’eguaglianza in valoretra flussi in moneta e flussi produttivi (cui va ag-giunta la modesta spesa a copertura di strutture eapparati dello stato), pena altrimenti inevitabile (aloro dire) l’intervento di fenomeni inflativi incon-trollabili e di una crisi economica. Il compito di pe-requare la quantità di circolazione monetaria al va-lore della produzione corrente di merci e alla spesastatale, quindi, è l’unico compito economico signi-ficativo assegnato ai governi, per il resto l’econo-mia, cioè produzione alimentare, investimento ca-pitalistico e sfruttamento delle forze di lavoro, devecorrere liberamente.

Tra gli effetti di questa teoria di politica econo-mica sono da segnalare la morte per fame di centi-naia di migliaia di irlandesi o la loro emigrazione dimassa negli Stati Uniti e nel Canada tra il 1845 e il1851, poiché il governo tory (conservatore) inglese,orientato in senso monetarista, rifiutò a lungo aiutialimentari a copertura del crollo, dovuto a malattia,particolarmente intenso nei primi due anni, dellaproduzione irlandese di patate. Una popolazioneallora di circa 8,5 milioni di persone calò del 25-30%. Né è stata l’UE, in tempi attuali, il secondogrande bersaglio di questa variante del liberismo:essa fu sperimentata negli anni ottanta e novanta,con effetti sociali e politici ben più catastrofici diquelli irlandesi. Si è trattato infatti di molte centina-ia di milioni di morti per fame e pandemie: né que-

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sto disastro si è a tuttora esaurito, unendo ormai datempo a denutrizione e pandemie guerre etniche ecollassi di stati. Ciò, concretamente, è avvenuto pereffetto dell’imposizione di politiche di “aggiusta-mento strutturale” a stati della periferia capitalisti-ca, in gran parte africani ma anche latino-americanie asiatici sud-orientali, dopo che gli shock petroliferidegli anni settanta avevano portato alle stelle iprezzi delle fondamentali valute occidentali. Il pri-mo shock (1973) era avvenuto a seguito della guerraa sorpresa mossa da Egitto e Siria a Israele e vintada quest’ultima: esso fu accompagnato dalla deci-sione degli stati arabi dell’OPEC di alzare i prezzidel loro petrolio, in reazione all’appoggio occiden-tale a Israele. Il secondo shock (1979) e i relativi rial-zi avverranno a seguito della vittoria della rivolu-zione khomeinista in Iran. Furono tali rialzi a com-portare il rialzo dei prezzi delle valute occidentali:dissestando così i bilanci della ex periferia, impe-gnati dalla restituzione dei prestiti a tassi variabiliottenuti da grande finanza capitalistica, Fondo Mo-netario Internazionale e Banca Mondiale. Inoltredissestando la condizione finanziaria dell’Italia (in-debitamento a marce forzate), gestita dalla destradc andreottiana, ultraclientelare e corrotta. Altrogrande effetto fu la cosiddetta stagflazione (feno-meno economico fino ad allora mai sperimentatosu scala significativa): cioè l’unità di inflazione e re-cessione-deflazione. Tutto questo parimenti posefine ai “trent’anni gloriosi” del dopoguerra delleeconomie occidentali, e porrà ai loro governi ilproblema di come rilanciare la ripresa delle loro

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economie, risolto, com’è noto, dalle politiche neoli-beriste varate nel Regno Unito da Margaret That-cher e negli Stati Uniti da Ronald Reagan e prose-guite da Bill Clinton, ovvero dal rovesciamentodelle politiche keynesiane di quei trent’anni.

L’assioma monetarista, rammento, fu alla base,defunta l’economia classica, dell’economia cosid-detta neoclassica (o marginalista) dell’ultimo quartodell’Ottocento. Poi, poco oltre, quest’assioma en-trerà nella discussione della Scuola di Vienna, cheteorizzava come senza libero mercato sarebbe ad-dirittura impossibile ogni razionale ragionamentoeconomico: essa però l’assioma lo duttilizzerà assai.Lo stesso accadrà successivamente nella discussio-ne della tuttora vivente Scuola neoliberista di Chi-cago (recenti anni settanta), che lo consegnerà aMargaret Thatcher e a Ronald Reagan. Quest’ulti-mo tuttavia lo applicherà solo sul versante delmondo del lavoro, macellandone le capacità orga-nizzative e di lotta sindacale, ma al tempo stessocreando moneta a manetta, dovendo compensarein sede di bilancio federale gli abbattimenti del pre-lievo fiscale alle classi ricche e alle grandi imprese.In ultimo, l‘assioma monetarista si imporrà all’UE,in una forma per di più massimamente radicalizza-ta, e nei termini più faziosi nella zona euro, neglianni novanta, per imposizione della Germania edella Commissione Europea, divenuta nel frattem-po organico braccio armato tedesco.

La Scuola di Chicago, può essere utile precisare,non contesta l’intervento statale in economia: malo articola rispondendo all’obiettivo di un “ordina-

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to andamento” della “libertà di mercato” ergo diquella borghese-capitalistica (ovvero rispondendoall’obiettivo di un andamento economico non di-sturbato né politicamente né da movimenti popo-lari di contestazione). Trattasi dunque di una“scuola” tutta proiettata all’abbattimento dei con-dizionamenti posti a tale forma di libertà dalle con-quiste del mondo del lavoro (tutta proiettataall’abbattimento dei suoi diritti nell’impresa e sulmercato del lavoro, dei sistemi di welfare, dei dirittipensionistici, ecc.).

Può essere utile rammentare, infine, come ilmonetarismo tedesco addirittura recuperi dall’eco-nomia classica la Legge di Say: lo sgangherato eco-nomista classico che aveva dichiarato, ai primidell’Ottocento, che una politica economica gestitaricorrendo alla parità tra moneta circolante e valoredella produzione corrente delle imprese ecc. nonsolo avrebbe garantito il massimo sviluppodell’economia ma pure prevenuto la precipitazionedi crisi. Le crisi avrebbero potuto manifestarsi soloin presenza di eccessive immissioni di denaro daparte dello stato nel processo economico. Un insie-me evidente di scemenze, che nessun economistadel tempo riprese, e che Marx ridicolizzò.

Giova infine ribadire come l’effettività nell’UEdi tutta questa paccottiglia ideologica avverrà gra-datamente e, in concreto, verrà scatenata alla gran-de solo nel contesto della crisi del 2008.

In precedenza, cioè a metà degli anni trenta, lapaccottiglia era stata spazzata via dall’applicazionedella teoria keynesiana delle condizioni e dei mezzi

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del superamento delle crisi, e, più in generale, dellecondizioni dello sviluppo: avendo tale teoria con-sentito al mondo di uscire rapidamente dalla crisidel 1929. Essa fu non a caso la teoria adottata datutti gli stati sviluppati dell’epoca, dalla Germaniadi Hitler agli Stati Uniti di Roosevelt, e sarebbe sta-ta dopo la guerra per poco meno di quarant’anni lateoria economica di tutto l’Occidente. In Italia essafu la teoria di Mussolini e poi sarà quella della DCcome del PCI, del Psi come del PLI. Non solo:sarà questa la teoria di riferimento della stessa UEoriginaria, pur con incertezze: si veda quello che fu,ancora nel 1993, il Piano Delors (il suo “libro bian-co”: un progetto di giganteschi investimenti infra-strutturali su scala europea aventi in avvio a volanofinanziamenti – per il 25-30% – da parte UE). Oc-correrà giungere alla Commissione Europea a gui-da Prodi (1999-2004) perché cominciasse l’attaccoa fondo nell’UE ai diritti del lavoro salariato. La di-rettiva in materia che il commissario Bolkestein(olandese, liberale, preposto al mercato interno)propose al voto del Consiglio Europeo e del Parla-mento Europeo stabiliva che il lavoratore di unostato UE la cui impresa lo avesse portato a operarein un altro stato sempre UE avrebbe potuto essereretribuito con un salario al livello di quelli dello sta-to di provenienza. Per esempio un lavoratore po-lacco impiegato in Germania da un’impresa polac-ca avrebbe potuto essere retribuito con un salarioal livello di quelli polacchi. Il Consiglio approvò ladirettiva, il Parlamento Europeo invece la bocciò.Nel giugno del 2004 ci saranno le elezioni europee.

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La nuova Commissione proporrà nel 2006 analogadirettiva, e il nuovo Parlamento Europeo stavolta laapproverà, essendo cambiato a fondo il profilo po-litico del gruppo socialista.

In conclusione, il neoliberismo UE non ha ache vedere con il neoliberismo USA se non inquanto ambedue orientati alla liberalizzazione e allamondializzazione capitalistiche degli investimentiproduttivi, dei flussi finanziari, delle condizionidelle forze di lavoro. La differenza fondamentaletra i due neoliberismi, già precisata, è che quelloUSA, al contrario di quello UE, opera sovrappro-ducendo dollari ovvero “indebitandosi” alla gran-de. Lo stesso vale per il neoliberismo adottato dastati extra-europei altamente sviluppati (come, peresempio, Giappone, Canada, Sud Corea, Australia)o semisviluppati (come, per esempio, l’India).

Tra breve si considereranno con maggiore pre-cisione i fattori sostanziali dell’ossessione moneta-rista fatta propria dal grosso dell’UE e diventataparossistica con il fiscal compact.

c. Il “vecchissimo nuovo” monetarista altronon è, in realtà, che un accenno minore neiTrattati fondativi dell’UE: esso solo in seguitodiverrà organico e fungerà da cavallo di Troiadi politiche antisociali

Per la verità una tendenziale introduzione almonetarismo si trova nel Trattato fondativo stessodell’UE (quello di Maastricht, febbraio 1992): cheprevede che il debito pubblico dei vari stati nondebba superare il 60% del PIL e il deficit il 3% an-

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nuo. Ciò danneggerà l’Italia, ma anche la Francia,bisognose in quel momento di un deficit sul 4-5%onde efficacemente tutelare il proprio patrimonioindustriale di base e provvedere al suo ammoder-namento tecnologico. Si trattò di una concessionefatta dalla Francia di Mitterrand alla Germania diKohl, unanimemente timorosa, quest’ultima, di ri-trovarsi in quella condizione di catastrofica infla-zione galoppante in cui era incorsa per ben duevolte nel Novecento a seguito delle sconfitte subitenelle guerre mondiali. Era tuttavia convinzione ge-neralizzata nei governi e nelle famiglie politichefondamentali che l’UE avrebbe potuto agevolmen-te sopportare un tale limite alla sua spesa e ai suoiinvestimenti pubblici, data una strapotenza econo-mica complessiva che ne avrebbe senz’altro fattouna formidabile esportatrice. Successivamente, perdi più, l’unico parametro di cui la CommissioneEuropea e in generale il dibattito tra le famiglie po-litiche fondamentali europee si occuperanno saràquello del deficit al 3% massimo. Inoltre le sollecita-zioni da parte della Commissione a raggiungerequest’obiettivo non furono mai particolarmentecogenti. In altre parole, il monetarismo risultavamarginale se non abbandonato.

Assurdamente il debito pubblico, prima solo ca-sualmente citato, diventerà nelle discussioni e nellepreoccupazioni in seno all’UE e in specie alla zonaeuro il parametro fondamentale e una sorta di os-sessione maniacale quando esploderà la crisi del2008: proprio nel periodo in cui tutto si dovevafare dal punto di vista del contrasto alla crisi e della

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ripresa, salvo che stringere i cordoni della spesa e,di conseguenza, non poter realizzare grandi investi-menti pubblici.

L’UE, contrariamente alle attese molto appesan-tita dal fatto di non essere uno stato, né federale eneppure confederale, bensì un’unione di stati so-vrani dentro alla quale ogni questione significativasarà sin dall’inizio oggetto di trattative suscettibilidi durare molto spesso anni dentro a istituzioni e agoverni o tra istituzioni e governi, si troverà nellacrisi a perdere ogni elemento significativo di intesatra loro, ognuno essendo ripiegato su posizioni erichieste particolari. Nella “società dell’informazio-ne”, cita ogni documento UE, la velocità è una di-sciplina indispensabile al funzionamento: nel 2008la velocità già infima dell’UE in sede di ragiona-menti ed esecuzioni verrà bloccata dalla Commis-sione Europea con un solido feroce freno. Assur-damente, invece di ragionare su come affrontarevalidamente la crisi (vale a dire con una politicamonetaria espansiva orientata a investimenti), supressione tedesca e grazie alla connivenza francesee degli stati nordici nell’UE verranno raddoppiatele sedi burocratiche e ne verranno incrementati ipoteri di comando e di intervento autoritari. Piùsedi si troveranno a occuparsi delle medesime cose,creando scontri di competenza e confusione. Pari-menti questi poteri, formati in termini dominantida figure di ultramonetaristi agli ordini tedeschi, siaccaniranno contro gli stati a debito pubblico piùalto, senza valutare quali ne fossero le capacità direggere il debito, molto diverse (l’Italia era in grado

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di reggerlo, la Grecia no, dato che il servizio delsuo debito, cioè la remunerazione dei prestiti otte-nuti dal lato della grande finanza capitalistica edell’FMI, si mangiava il capitale di base, e ciò ten-deva a portarla al default e al collasso dell’economia.Essa dunque necessitava di immediati aiuti finan-ziari, inoltre di evitare svendite di tale capitale.Com’è noto non andò così, la Grecia fu insensata-mente massacrata).

Insensatamente dannosa, ancora, risulterà que-sta situazione dal punto di vista degli stessi contimacroeconomici dei vari stati UE: dato che in con-dizioni di recessione il debito non può che aumen-tare, per via di una tendenziale fissità di moltegrandi spese da un lato e del forte calo delle entra-te fiscali dall’altro. Sicché, ancor più insensatamen-te, la Commissione Europea porterà a sistematicitàe a minuziosità estreme i suoi interventi preventivisulle leggi di bilancio, imponendo loro tagli oriz-zontali e minacciando sanzioni se non effettuati,con particolare sadismo nella zona euro e avendoin essa a delinquenziale bersaglio, onde chiarireall’UE chi comandasse, la povera Grecia. Per di piùrea, orrore, di disporre di un governo di sinistraantiliberista.

Non poteva non diventare parossistica nell’UE,operando in questo modo (e sulla scia di ciò che laGermania aveva cominciato a fare da poco dopo lasua riunificazione dell’ottobre del 1990), l’attività diincremento delle esportazioni. Ciò avrebbe coin-volto assai l’Italia, stato già a forte propensione suquesto terreno. Grottescamente ciò porterà l’Italia

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a un effetto a livello di crescita pari grosso modo azero: in quanto la deflazione salariale e la precariz-zazione del lavoro, obbligate dalla forzaturasull’export, incrementerà la stagnazione del mercatointerno e l’attitudine già in corso dell’intera econo-mia alla deflazione. Più o meno lo stesso accadràaltrove nella zona euro. La stessa Germania, cam-pione mondiale dell’export, e che ci guadagna, per-ché, dato l’alto livello tecnologico del suo sistemacomplessivo, esporta a prezzi alti per il 10% opoco meno del suo PIL (stropicciandosene di quelparametro di Maastricht che vieta di andarenell’export oltre il suo 6%), ha dovuto praticareun’ampia deflazione salariale. Con tanto di effetti,analogamente alla poco austera Italia, infine, di de-stabilizzazione politica.

d. La trasformazione drammatica in un potereclassista a gestione oligarchica, burocratica eautoritaria cui il vecchissimo “nuovo” ha finitocol portare nell’UE ciò che ne doveva invececomporre la democrazia

Un paradosso fondamentale europeo è il se-guente: che l’UE, giuridicamente, come indicato,un’unione di stati sovrani, è oggi composta, al con-trario, da stati, in modo particolare da quelli dellazona euro, che hanno perso la propria sovranità insede di politiche economiche e di bilancio, e diconseguenza l’hanno largamente persa in sede dipolitiche sociali e di gestione politica; sicché, in po-che parole, sono stati espropriati della possibilità diautonoma decisione democratica al livello delle

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fondamentali materie di governo. Non a caso intutta l’UE e in particolare nella zona euro le popo-lazioni non vedono più differenze sostanziali tra levarie forze tradizionali di governo, né vedono piùun’utilità per sé sia di tali forze che delle varie isti-tuzioni di governo e rappresentative, consideran-dole tutte manipolatrici o manipolate e tutte al ser-vizio di convenienze di ceto politico autoreferen-ziale e di élites privilegiate. Non a caso tali popola-zioni vanno sempre meno a votare o votano a ca-saccio o per destre radicali antieuropee ecc.

Al contrario, per esempio, stati federali come gliStati Uniti o confederali come il Canada si caratte-rizzano per rapporti molto netti di sussidiarietà traistituzioni centrali e istituzioni locali; precisamente,per una distribuzione dei poteri che assegna mono-polisticamente a istituzioni centrali solo esteri, dife-sa, sicurezza nazionale, politica monetaria. Il fisconegli USA è certo di preminente pertinenza federa-le, ma a esso si aggiungono fiscalità spesso con-grue di stati federati e di amministrazioni urbane.Gli stati federati USA e le province canadesi si fan-no proprie politiche di bilancio secondo proprie at-titudini politiche democraticamente definite daloro parlamenti e governi.

Riguardo al rimanente delle materie operanoistituzioni locali oppure vari modi di spartizionedelle decisioni e dei compiti con quelli centrali, subase parlamentare o tramite trattative. Situazioniconsiderate di emergenza possono essere centraliz-zate a livello federale, ma nei loro termini più gene-rali soltanto. Avvenne così, per esempio, quando

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l’Amministrazione Kennedy aprì lo scontro con glistati del sud-est a nome dei diritti dei neri. L’Oba-macare, sempre per esempio, risultò impositivo epreciso nella regolazione dei comportamenti delleassicurazioni private, cui è impedito sia di escluderedalla loro copertura situazioni che non rendano unguadagno, o comportino un rischio di deficit, che diimporre in tal caso prezzi esorbitanti ecc., mentrele forme del finanziamento diretto a realtà sanitariepubbliche o private variano a seconda della legisla-zione degli stati federati. Ulteriori esempi del gene-re potrebbero essere quelli di altri stati-continente,come India o Brasile. In tutti questi stati la demo-crazia, per quanto imperfetta, limitata, deformata,negli Stati Uniti assai poco partecipata, continuaquindi a esistere.

Dunque la democrazia negli Stati Uniti o in Ca-nada esiste, oltre che a livello locale, anche a quellofederale: mentre nell’UE non solo non esiste a li-vello locale in termini minimamente adeguati (so-prattutto nella zona euro) ma non esiste neppure alivello comunitario, sequestrata, come già indicato,da istituzioni tutte burocratiche.

C’è un Parlamento Europeo: ma che non ha po-tere di iniziativa legislativa (essa è nelle mani dellaCommissione) e che deve spartire il voto sui testilegislativi della Commissione con il Consiglio Eu-ropeo (in genere, il Consiglio dei Capi di Stato e diGoverno; a volte, invece, le altre sue formazioni,tra cui, in specie, il Consiglio Ecofin, cioè quelloaddetto alle questioni economiche e finanziarie), eciò concretamente significa che questo parlamento

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non riesce in genere a imporre propri emendamen-ti, quando lo voglia, se non in termini più che ri-dotti.

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2. Approfondimenti. Un tema sul quale èindispensabile fare chiarezza a sinistra:perché quel che viene considerato debitopubblico sia, in realtà, un problema signifi-cativo solo a determinate condizioni, pari-menti perché questo problema, guardandoall’Occidente, sia proprio della sola zonaeuro

a. L’esistenza di un elevato debito pubblico ècondizionante (fatte salve situazioni tendential collasso finanziario, vedi Cipro o Grecia)solo quando esso sia proprio di stati che nondispongano di indipendenza monetaria (o, insua sostituzione, non possano liberamente di-sporre di moneta emessa da altre realtà istitu-zionali)

Il carattere rigidamente classista-capitalisticodell’UE attuale si esprime in una molteplicità dimodi. Se ne sono considerati alcuni. Un ulterioremodo basilare è portato dall’attuale configurazioneistituzionale della zona euro, priva di indipendenzamonetaria.

Gli stati della zona euro hanno trasferito all’UEla politica monetaria: ma ciò non ha comportato,come buon funzionamento economico e buonsenso politico avrebbero voluto, l’assegnazione allaBanca Centrale Europea del complesso delle com-petenze monetarie proprie delle precedenti banchecentrali (nonché proprie di qualsiasi altra bancacentrale altrove nel pianeta, stati collassati o massi-

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mamente precari a parte). Intanto, la BCE non puòfinanziare gli stati membri, cioè non può risponde-re a loro richieste monetarie. In secondo luogo, ildebito pubblico dei vari stati è rimasto a essi anzi-ché essere consegnato, quanto meno in congruaparte, alla BCE.

Gli stati membri della zona euro devono perciòingegnarsi a trovare dentro alle loro economie imezzi finanziari attraverso i quali sostenere spese einvestimenti, tra cui il welfare. Certo possono ancherivolgere richieste di mezzi finanziari a programmigestiti dalla Commissione Europea: a un labirinto,tuttavia, che copre solo alcune necessità, è dotatodi mezzi esigui (l’1% circa del PIL della totalità de-gli stati membri essendo quanto, ridicolmente, ov-vero in omaggio al monetarismo, ne finanzia il98% delle attività), inoltre è ultraregolamentato, ègestito arbitrariamente da burocrati, è caratterizza-to da tempi esecutivi lunghissimi. Sicché gli statimembri della zona euro debbono richiedere prestitial mercato finanziario privato ergo alla finanza spe-culativa, che ovviamente presta se ne trae un gua-dagno (il cosiddetto servizio del debito), tanto piùcongruo quanto più abbia a che fare con stati ca-ratterizzati da elementi di debolezza economica opolitica, a volte inventata dalle agenzie di rating, as-sociazioni a delinquere al servizio della speculazio-ne finanziaria statunitense e direttamente specula-trici esse pure.

E’ questa, dunque, una realtà che incrementaessa pure l’indebitamento degli stati della zona

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euro. Salvo la Germania, come tra poco si vedrà,che invece ci guadagna.

b. E’ dunque della massima importanza politi-ca e sociale problematizzare la questione deldebito. Prima di tutto, perché esso è strumentodi un orientamento antisociale e, grottesca-mente, antieconomico di politica economica

Ogni indebitamento pubblico è considerato or-mai da tempo nell’UE e in specie nella sua zonaeuro un crimine orribile, assolutamente immorale,un’offesa ai sacri principi protestanti dell’“austeri-tà” e del “rigore”, date le frenesie della Commis-sione Europea, data la trazione tedesco-luteranadella Commissione, dato il fiscal compact. Se un tem-po, sulla scia del Trattato di Maastricht, il deficitmassimo consentito era pari al 3% del PIL, recen-temente, cioè nella crisi del 2008, 25 stati UE,come già indicato, saranno impegnati dal fiscal com-pact all’obbligo di giungere a un buon ritmo (con-cordato con la Commissione ergo da essa sostan-zialmente imposto) al pareggio di bilancio e, a que-sto fine, all’obbligo di giungere a zero crescita deldeficit. In aggiunta a ciò va riprecisato che, se è veroche, stando a tale Trattato, il debito pubblico mas-simo legittimo era posto a livello del 60% del PIL,è anche vero che il suo sforamento, anche quandocorposo, non era in genere considerato un dato si-gnificativo dal punto di vista macroeconomico (ameno che, come nei casi di Grecia e di Cipro, in-tervenisse il rischio di un collasso finanziario: comein effetti accadrà loro all’inizio della crisi, ma disa-

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strati dal rapporto stretto tra le loro banche e quel-le tedesche, venditrici di titoli spazzatura fabbricatinegli Stati Uniti); mentre, al contrario, nella crisi del2008 tutti gli stati della zona euro verranno impe-gnati all’impossibile obbligo di portarsi a quel livel-lo massimo del debito, appunto dal fiscal compact. Iveri effetti di questi impegni saranno, data la crisi,ovvero data la caduta produttiva e delle entrate fi-scali, un lungo periodo di stagnazione combinatacon brevi ulteriori cadute e con deflazione deiprezzi, poi, data una crescita più o meno al rallen-tatore, la sempre più accanita effettuazione di taglisistematici a spesa e a investimenti pubblici, in ter-mini pesanti ovunque nella zona euro, in terminiinsopportabili, sotto il profilo sia economico chesociale, in presenza di condizioni debitorie elevate,come, in particolare, quelle dell’Italia (essendo statala Francia da ciò salvata per via della necessità te-desca di averla a partner scodinzolante nelle decisio-ni strategiche dell’UE).

Sempre stando all’Italia: l’unità di imposizionidella Commissione Europea e di subalternità osse-quiosa nei suoi confronti da parte dei governi daMonti a Gentiloni l’ha obbligata non solo a tagli re-cord ai bilanci pubblici, superati solo dalla Grecia,ma anche alla prosecuzione oltranzista delle già im-provvide privatizzazione anni novanta dell’indu-stria di base, con relativa sua quasi completa distru-zione, inoltre l’ha obbligata a subire la svendita digrandi quote di industria e servizi pubblici (ma an-che privati) a operatori industriali e finanziari in ge-nere stranieri, che quanto meno se ne sbattono del

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bisogno italiano di ridarsi la possibilità di praticarecoerenti politiche industriali e di ricostruire un pro-prio coerente e massimamente avanzato modelloproduttivo. Hanno quindi mangiato e mangianotutti ormai in Italia, dai fondi sovrani arabi allaCina all’Australia ecc. I dati attuali dicono che oltreil 50% delle imprese italiane sono nelle mani pro-prietarie di fondi esteri. Specificando, il grosso delbottino è in mani tedesche (vedi soprattutto mec-canica ad alto livello tecnologico, finita come sub-fornitrice a bassi salari dell’industria meccanica eautomobilistica tedesca) e in mani francesi (vediTelecom e Generali, ma vedi soprattutto agro-ali-mentare.

Il saccheggio francese in questi anni dell’agro-alimentare italiano, che è avvenuto e continua adavvenire per il tramite delle poderose strutture fi-nanziarie francesi guidate dallo stato e specializzatein interventi nel settore oltre che direttamente inagricoltura, ciò che ha reso l’agro-alimentare fran-cese il settore industriale a maggiore valore aggiun-to).

In breve, tutto questo ha recato a un “modello”dell’economia italiana, oltre che colonizzato, degra-dato, di serie B, per così dire, rispetto a quellidell’Europa settentrionale, nonostante la presenzain esso consistenti di eccellenze industriali, delmade in Italy, di una capacità di export che fa l’Italiacomunque seconda nell’UE alla Germania.

Non si tratta, beninteso, di rivendicare l’autar-chia, se non altro perché sarebbe un obiettivo im-possibile, le economie del pianeta sono da tempo

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immerse in processi ampi di globalizzazione diogni sorta di rapporti, intrecci, scambi: bensì di ri-vendicare la possibilità di autodeterminazione de-mocratica dell’Italia in campo economico, quindi lapossibilità di realizzazione di sue convenienze e disue necessità, molte delle quali più che drammati-che. E tra queste convenienze e necessità, va da sé,è la riappropriazione nazionale degli assets strategi-ci.

c. Subalternità alla Commissione Europea ebrutale classismo antisociale dei governi italia-ni da Monti a Renzi a Gentiloni-Padoan hannoconcorso a questa situazione

Questi governi, va sottolineato, hanno concorsopiù che altrove nella stessa zona euro a tale situa-zione: tagliando la totalità dei servizi pubblici equella dei finanziamenti alle amministrazioni locali,precarizzando più che altrove il lavoro, rifiutandopolitiche di prelievo fiscale di tipo sia straordinarioche progressivo a carico di classi ricche, grandi ren-dite, grandi proprietà, immobili di lusso, finanzaspeculativa, con la panzana che un tale tipo di pre-lievo deprimerebbe la domanda. Lo sbocco nonpoteva che essere anche per questa via numero eportata delle misure antisociali e l’impoverimentocrescente delle condizioni materiali di classi popo-lari e medie.

Obiettivo di queste operazioni è stato anche dimettere in grande difficoltà la capacità dei lavorato-ri organizzati di reagire, cioè è stato di rendere fati-cosissime loro vertenze e trattative, di indebolirne i

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sindacati, di dividerli, ecc. Il degrado del modelloeconomico ha perciò fatto da partner aggiuntivo diun degrado del modello sociale determinatodall’intenzione di classe, in Italia all’opera fin daglianni ottanta, di una redistribuzione del reddito so-ciale e della forza politica a vantaggio crescentedelle classi ricche e a danno crescente di quelle po-polari. Alla fine sono state danneggiate anche leclassi medie, inoltre buona parte dell’imprenditoriadi piccola e media dimensione.

In conclusione, altro paradosso, effettuare inve-stimenti oggi comporta in Italia, ma anche in lar-ghe aree della zona euro, non già l’alimentazione dicrescita e sviluppo, bensì la creazione parallelamen-te a sviluppo di una tendenza a rallentarlo.

Si consideri, in prospettiva più generale, cioèche travalica l’Italia, perché questo avvenga quandovengano tagliate le condizioni di vita delle classi in-feriori, e non quando vengano tagliate le entrate diquelle ricche. Mentre gli incrementi di reddito e dibenessere delle classi popolari, e di parte ormai ri-levante delle classi medie, gira in larga prevalenzain direzione di maggiori consumi, con effetti dun-que positivi di movimentazione degli investimentiproduttivi, al contrario gli incrementi di ricchezzadelle classi ricche girano quasi completamente indirezione del risparmio speculativo, che per di piùè nelle mani di una grande finanza le cui sedi fon-damentali sono a Londra e a New York, che operasu scala planetaria, che si avvale di banche ombra edi paradisi fiscali, che quindi offre alla grande e inmolteplici forme la possibilità ai ricchi di evadere il

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fisco, ecc. In poche parole, per quanto riguardamolto l’Italia, ma anche gli altri stati UE, c’è che gliincrementi di ricchezza delle classi ricche se nevanno quasi completamente altrove, oltre a essereantieconomiche.

Sempre in prospettiva più generale, non è nean-che vero, da una ventina o venticinquina d’anni aquesta parte, che l’inflazione finanziaria (l’immensasovrabbondanza di liquidità di fatto – i titoli specu-lativi “siepe”, futures, ecc. sempre più arditi e com-plicati prodotti da banche d’affari, grandi imprese,fondi pensione, fondi di investimento ecc., favoritia suo tempo dalle liberalizzazioni reaganiane e so-prattutto clintoniane, allo scopo – non l’unico maquello decisivo – di dinamizzare un andamentodelle economie occidentali colpito dagli shock pe-troliferi decisi dagli stati arabi come ritorsionedell’appoggio occidentale a Israele, ed entrato instanca) possa più costituire una spinta a nuova cre-scita. E’ stato così per il primo mezzo millennio delcapitalismo, non è più così oggi. E’ valso fino a ieriper la Cina, o l’India, o il Brasile, ecc., non è piùcosì oggi neanche per questi stati.

Tale abnorme sovrabbondanza di liquidità, chequanto meno decuplica il valore del PIL annuomondiale, morde infatti terribilmente e in più modisull’economia reale, determina essa per primal’impoverimento delle classi lavorative, dovendocontinuamente alimentarsi per conto del propriostesso sostegno, deprime dunque la domanda inter-na degli stati, saccheggia crescentemente le risorsedel pianeta, lo avvelena ovunque e in tutti i modi;

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parimenti gira su se stessa (anzi lo fa il 90% diessa), incrementando in periodici momenti di eufo-ria i rischi di crisi derivanti da operazioni competi-tive o speculative i cui esiti possano rivelarsi disa-strosi. La moneta e i suoi equivalenti sono anchemerce; se ne è altamente eccedente l’offerta, se ingran parte non vengono usati, tendono a deprez-zarsi; se una banca o una holding precipitano in unatale situazione, avendo fatto cilecca una loro grossaoperazione, collassano; se sono una grande realtà,si tirano dietro le altre analoghe, data la molteplici-tà delle interconnessioni; ciò a sua volta intervienenegativamente sull’economia “reale”, venendole amancare credito, o alzandosene il prezzo. Eccetera.

d. Come in Italia sia stata trasformata unaquantità immensa di ricchezza pubblica in ric-chezza privata, dunque sia stata con ciò creataun’immensa quantità di debito pubblico onde,prima di tutto, giustificare misure antisocialid’una pesantezza estrema, seconde solo aquelle imposte da UE e FMI alla Grecia. Lacontrorivoluzione neoliberista-monetarista afirma Monti

Banca d’Italia è la quarta realtà mondiale deten-trice di riserve in oro: esse fanno circa 90 miliardi,forse più (è un valore oscillante; (le altre grandirealtà sono, nell’ordine, Fed statunitense, Bunde-sbank tedesca, FMI). Alle riserve italiane in orovanno aggiunte quelle in euro, in altra valuta pre-giata e in assets di varia natura (solo quelli in titoli

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pubblici italiani fanno circa 300 miliardi), per unacifra complessiva (a fine 2016) di circa 775 miliardi.

Il risparmio postale, tutto popolare, gestito fi-nanziariamente da Cassa Depositi e Prestiti è a cir-ca 320 miliardi. Alle attività di Cassa Depositi ePrestiti vanno inoltre aggiunti 35-40 miliardi di as-sets vari. Cassa Depositi e Prestiti è oggi per l’83%proprietà del Tesoro, cioè dello stato (per il 17% èproprietà di 65 realtà bancarie i cui statuti impedi-scono operazioni di lucro e che, in genere, cioè es-sendo quasi tutte casse di risparmio, fanno capo afondazioni pubbliche). Essa fu formalmente priva-tizzata nel settembre del 2003, pur rimanendo sot-to il controllo del Tesoro.

L’Italia dal lato della sua condizione finanziariapubblica risulta, guardando a questi dati, straricca.E’ di 365 miliardi circa la somma di ciò che sostan-zialmente giace a far muffa, cioè l’oro, più la quotadi pertinenza del Tesoro del risparmio postale de-positato in Cassa Depositi e Prestiti, circa 275 mi-liardi. Essendo il PIL dell’Italia a circa 1.680 miliar-di, 365 miliardi ne fanno ben oltre il 20%. Essendoil debito pubblico italiano circa 2.240 miliardi, 365miliardi ne fanno ben oltre il 15%.

Queste cifre, obiettivamente impressionanti, ba-sterebbe grattarle un pochetto da parte dello statoper cominciare a ridurre significativamente il debi-to pubblico (ammesso e non concesso che sia essola questione decisiva dell’economia italiana), po-nendo così termine al thriller tedesco dell’insoppor-tabile economicamente e moralmente debito italia-no. Ancora, basterebbe incrementare un po’ di

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grattamento per portare l’Italia, nonostante tuttogrande potenza industriale, a concorrere significati-vamente a quel complesso di impegni di ricercatecnologica e di rifacimento dell’apparato econo-mico complessivo, di quello dei servizi, di quelloabitativo, dei territori, della qualità dei suoli nonchédelle acque interne e dei mari, delle abitudini socialiche è richiesto dal complesso degli impegni postidagli inquinamenti, dal riscaldamento del clima edai conseguenti disastri sociali e ambientali.

La montagna delle altre risorse testé accennatepotrebbe essere grattata qui e là essa pure. Si consi-deri all’uopo anche quell’enorme risorsa che è il ri-sparmio privato (esso è pari al doppio del debitopubblico: cioè è a circa 4.500 miliardi): una quotadel quale potrebbe essere prelevata da un sistemafiscale progressivo (tra l’altro anche riducendo ilprelievo fiscale sulla povera gente). Si consideri inquesta prospettiva anche l’enorme patrimonio edi-lizio di pregio.

Che cosa c’è tuttavia che non funziona, cioè checosa è intervenuto a impedire all’Italia di usare unafrazione di tutti questi soldi, assets, risparmi ecc.,dunque a impedirle di ridurre a buon ritmo il debi-to pubblico, come pretendono Commissione Eu-ropea, Eurogruppo, Germania ecc. (sempre am-messo e non concesso che sia qui la questione de-cisiva dell’economia italiana)?

Che cosa ha fatto sì che dall’essere l’Italiaun’economia straricca essa si sia trovata in pochianni a essere un’economia malata, logorata, affati-cata? Che cosa c’è stato, di conseguenza, a impe-

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gnare l’Italia in tagli feroci alla spesa e agli investi-menti pubblici, a obbligarla a impoverimento, pre-carizzazione e inoccupazione del mondo del lavo-ro, a impedirle di fare fronte in termini minima-mente decenti alla quantità dei suoi drammaticiproblemi?

Qualcosa in materia di significativo si è già indi-cato: il carattere demente, tutto in funzione antiso-ciale, tutto al servizio dell’arricchimento dei ricchi,delle politiche di bilancio facenti capo all’UE, par-ticolarmente ossessive e blindate guardando allazona euro; ovvero il carattere demente delle impo-sizioni della Commissione Europea, dei richiamitedeschi, del fiscal compact, dell’impossibilità di ope-rare liberamente in sede di investimenti pubblici,ecc. Si è anche indicata la complicità servile dei go-verni italiani. Si vedrà più avanti il perché reale deicomportamenti dell’establishment tedesco. Ma dallato dei governi italiani, va aggiunto, non si è tratta-to solo di complicità servile: essi nel contesto dellacrisi esplosa nel 2008 oltre ad avere obbedito alleimposizioni della Commissione hanno realizzatomisure la cui ferocia antisociale si è collocata a li-velli ineguagliati rispetto a quelli di ogni altro statoUE (Grecia esclusa, essa però perché ricattata). Ciòavvenne, esattamente, da parte del governo “tecni-co” Monti (2013). I governi successivi hanno gesti-to quanto realizzato da questo governo, quasi maiaggiungendo granché, fatto salvo il governo Renziche invece ci ha aggiunto un bel po’ di suo.

Si sottovaluta spesso a sinistra e nei sindacati laqualità complessiva delle operazioni antisociali

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dell’“agenda” praticata dal governo Monti. Questeoperazioni compresero, guardando a quelle grosse,“riforma” (massacro) del sistema pensionistico,abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori,favori fiscali senza contropartita alcuna alle impre-se, “dismissioni” ergo svendite industriali e di servi-zi, fiscal compact e quindi spending review (ovvero tagliferoci e in genere orizzontali ai trasferimenti mo-netari a enti locali, ministeri, tribunali, istruzione,sanità, scuola, università, ricerca, ecc., allo scopo diabbattere la spesa pubblica complessiva; nel casodello sforamento degli obiettivi di risparmio, defi-niti dalle leggi di bilancio, da parte di questa o quel-la realtà, blocco stesso dei trasferimenti monetari aenti locali ecc. e quindi della loro spesa). A ciò vaaggiunta la revisione privatistica dello statuto diCassa Depositi e Prestiti: in quanto all’insegnadell’impedimento di suoi investimenti, poiché difatto pubblici, a sostegno dell’economia italiana. Ilfiscal compact fu addirittura introdotto in Costituzio-ne dal governo Monti (ciò avvenne, giova sottoli-neare, solo in Italia). Paradossalmente, del com-plesso degli effetti del fiscal compact a sinistra non siparla in termini critici adeguati, si parla solo o quasisolo di alcuni di essi, come per esempio la spendingreview: ma fu proprio il fiscal compact la misura piùradicalmente antisociale, antieconomica e, fonda-mentalmente, di grande portata antidemocratica diquell’“agenda”. D’altra parte il PD era appena an-dato in barca a vela, era in parte incerto in una suaparte in sede di critica al monetarismo e in un’altrasua parte invece condividendolo, riuscendo dunque

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a fine 2013 a rovinare una vittoria elettorale a por-tata di mano, appunto facendo propria su imposi-zione di Letta l’“agenda Monti” due settimane pri-ma del voto. Neppure, spesso, si parla adeguata-mente a sinistra di Cassa Depositi e Prestiti, dellasua gestione e delle sue possibilità dal lato della ri-presa e dello sviluppo dell’economia italiana,dell’occupazione, ecc.

Vediamo meglio che cosa accadde a propositodi Cassa Depositi e Prestiti. Eventuali suoi investi-menti, essendo stata giuridicamente privatizzata giànel settembre del 2003, sul versante di imprese oservizi non avrebbero potuto essere giudicati, a ri-gore, stando alla normativa UE, illegali aiuti di sta-to, a meno che tendessero ad alterare andamenti dimercato nel senso della creazione di situazioni dimonopolio, dunque di situazioni in grado di fare li-beramente i propri prezzi. Ma Monti obbligò CassaDepositi e Prestiti, intervenendo sul suo statuto, alimitarsi a incamerare le plusvalenze delle azioni odobbligazioni di imprese o servizi in suo possesso.Data la crisi, il problema di un potente uso antici-clico delle risorse finanziarie dello stato e dei suoidintorni economici, quale che ne fosse lo statuto,sarebbe invece stato d’obbligo: e, concretamente,Cassa Depositi e Prestiti era la risorsa pubblica ol-tre che la più grossa anche quella più facilmentefungibile. Si sarebbe al più trattato di interveniresul suo statuto in senso opposto a quello voluto daMonti, orientandolo a che i suoi investimenti nonguardassero solo a incassi finanziari per di più di

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breve-medio termine ma prima di tutto a obiettividi periodo in sede di sviluppo e occupazione.

Si sarebbe dovuto fare, in breve, po’ come av-viene, in altre forme, negli Stati Uniti, dove ancheFed e Tesoro hanno statuti privatistici. Semplice-mente nella situazione italiana sarebbe stata CassaDepositi e Prestiti, controllata dal Tesoro, a farepiù o meno tutto il necessario, dato che il sistemadelle banche di stato europee, quindi Banca d’Italiae BCE, disponevano solo dell’obiettivo della stabi-lità dei prezzi.

Torniamo a Monti: il suo governo intervennesullo statuto di Cassa Depositi e Prestiti restringen-done, anziché ampliandone, poteri e facoltà di in-vestimento (solo di recente questo statuto è statoritoccato, pur in termini del tutto insufficienti, daparte del governo Gentiloni: data la condizione pe-santissima di bilancio in quel momento dell’Italia,data la gravità della sua crisi sociale, dato quantopossa conseguirne di rischi al PD di sconfitta elet-torale). Sarà quindi quell’intervento di Monti a giu-stificare come “oggettiva” la spending review. Comesi vede, di economicamente “oggettivo”nell’“agenda Monti” in realtà non ci fu nulla. A so-stegno di fiscal compact e spending review fu parimentiinventata l’“oggettività” di un rischio di collasso fi-nanziario dell’Italia: altra grande balla, a determina-re il rialzo del servizio del debito dei titoli sovraniitaliani fu soprattutto l’impedimento posto dal go-verno Monti a politiche anticrisi.

Tale condizione finanziaria nel 2013 dell’Italia(il rialzo in primo luogo che, grazie all’“agenda

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Monti”, appariva inarrestabile del servizio del debi-to dei suoi titoli sovrani) fece sì, quindi, che quasitutta la sinistra di governo considerasse “inevitabi-le” la spending review: prendendo così la vera immen-sa cantonata autodistruttiva di credibilità e forieradi sconfitte e rotture. In precedenza, giova precisa-re, non è vero che la sinistra di governo si fosse to-talmente allineata al neoliberismo monetarista: nonne aveva compreso essenza sociale ed estrema peri-colosità, tuttavia aveva tentato di contenerne gli ef-fetti più antisociali e più antieconomici.

In breve, fiscal compact e spending review non furo-no, in solido alla recessione dell’intero Occidentescatenata nel 2008 dalla crisi del sistema finanziariostatunitense, il tentativo disperato oggettivamentenecessario di porre termine a un disastro finanzia-rio galoppante dell’Italia, pur al prezzo di una pe-santissima recessione e poi di una lunga stagna-zione-deflazione della sua economia. Si sarebbepotuto operare abbastanza agevolmente, al contra-rio, in sede di riduzione del servizio del debito deititoli italiani, evitando così tagli feroci a spesa so-ciale e a trasferimenti monetari, massacro dellacondizione lavorativa e del sistema pensionistico,ecc.: sarebbero bastate misure di prelievo fiscalestraordinario (una “patrimoniale”) a carico dellaricchezza e/o il passaggio a una fiscalità fortemen-te progressiva.

Una posizione critica chiara dal lato della sini-stra politica, inoltre, avrebbe bloccato Monti; seesso, in ipotesi, avesse insistito, la critica della sini-

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stra avrebbe messo il popolo italiano nella condi-zione di capire i suoi veri moventi e di reagire.

Si è sostenuto di recente da parte di media libe-ral-neoliberisti democratico-confusionari che l’eco-nomista Monti manifestò con quelle sue operazioniun’assoluta incompetenza economica. A sostegnodi questo ragionamento ci sta che per responsabili-tà di Monti il modello economico italiano, già gra-vato e frenato dalle precedenti larghe distruzionidella sua industria di base, venisse a collocarsi sta-bilmente a un livello di produttività media inferiorea quella tedesca o francese o nordica e si aprisse diconseguenza alla più larga colonizzazione proprie-taria, caotizzando ogni possibilità di una politicaeconomica orientata a obiettivi di sviluppo nonchédi natura sociale. Ma non c’è stata dal lato di Montinessuna incompetenza: dal punto di vista del suoreale obiettivo egli fece il pieno; grand commis delgrande capitale italiano, compì genialmente il ruoloche gli era stato affidato. Quella di Monti fu dun-que una controrivoluzione ambiziosissima corona-ta da trionfale successo. Dichiara ciò prima di ognialtra cosa il fiscal compact in Costituzione: cioèl’impedimento allo stato a orientare, ricorrendo allepratiche della democrazia, il processo economico esociale. Il fiscal compact infatti pone in radice, strut-turalmente, la natura dello stato italiano come libe-rista-monetarista quindi come antisociale oltre cheademocratico.

Il popolo italiano questo lo avverte, pur nellostato confusionale in cui si trova, pur date disgre-gazioni di mondo del lavoro e classi popolari e crisi

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della loro coscienza di classe, ed è prima di tuttoper questo che va sempre meno a votare; oppure,che ci va in quelle poche occasioni in cui si tratta didifendere i princìpi iscritti in una Costituzione de-mocratica e progressista quotidianamente violata.Il popolo italiano intende difendere, ciò nonostan-te, una storia. Solo il fascismo osò a suo tempoqualcosa di altrettanto sconvolgente l’assetto socia-le, economico e istituzionale complessivo dell’Italiaquale è stata l’“agenda Monti”.

Veniamo, in ultimo, all’oro di Banca d’Italia: ri-sorsa inutilizzata, come accennato, ma stavolta per-ché giuridicamente inutilizzabile. Cioè qui Montic’entra solo per il fatto, ovvio, di non aver mai no-minato l’oro di Banca d’Italia. C’entra invece chel’oro di proprietà degli stati della zona euro nonsolo fu messo a disposizione della neonata BCE(giugno 1998) ma che ne fu anche impedita lorototalmente la gestione, fatta salva la circostanza diun’inflazione galoppante, un’eventualità al livellodello zero assoluto. A rendere ancora più assurda lacosa c’è che il complesso dell’oro degli stati dellazona euro vale sette od otto volte quanto ipotetica-mente necessario al superamento di un’inflazionegaloppante (questa fu la stima, più o meno venti-cinque anni fa, fornita dalla Commissione Euro-pea). Ragionevolezza vorrebbe che gli stati dellazona euro possano quanto meno gestire una quotadel proprio oro, nel quadro per esempio della rego-lazione OMC, orientata, più ragionevolmente, aprevenire operazioni suscettibili di precipitose ca-dute dei suoi prezzi, peraltro effettuate dalle conti-

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nue vendite clandestinamente operate dagli StatiUniti.

e. Il debito pubblico, in realtà, non è, nella suaparte prevalente, debito, bensì investimento:dunque, spendendolo, creazione di ricchezza.Sono perciò massimamente importanti una se-ria problematizzazione della questione del de-bito e un’adeguata constatazione di ciò checomporti per gli stati, le economie e le popola-zioni europee la gestione neoliberista-moneta-rista del debito pubblico: miseria pubblica, ric-chezza privata

Campisce, tra i trucchi lessicali volgari del neoli-berismo, e di quello monetarista in forma partico-larmente idiota, dogmatica, arrogante, brutale, lapretesa di considerare “spesa” qualsiasi uscita fi-nanziaria di parte pubblica, persino quando si trattidi investimento “immediatamente” (cioè diretta-mente) produttivo di valore, cioè produttivo di ac-ciaio, patate, ecc. Dunque il contributo pubblicoalla riattivazione produttiva di un’impresa, pubblicao privata che sia, entrata in crisi è calcolata nell’UEcome spesa e quindi posta come incremento a defi-cit e, di conseguenza, a debito pubblici. Sicché, peresempio, se un’impresa pubblica incorsa in guairiuscisse a beneficiare di aiuti di stato (a determina-te particolari condizioni ciò può accadere: peresempio se il significato economico e sociale diquest’impresa è da considerare, con il beneplacitodella Commissione Europea, “strategico”) e da taliaiuti fosse risanata, si dovrà procedere prima possi-

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bile alla sua privatizzazione (ergo alla sua svendita aprivati, che in genere ne ridurranno occupazione eproduzione. In Italia, ad aggravare le cose, si trattaspesso di gruppi imprenditoriali o di holding stranie-re). D’altra parte, se questa svendita di quest’impre-sa non avvenisse essa tornando attiva concorrereb-be alla riduzione di deficit e debito, smentendo tuttapaccottiglia teorica neoliberista-monetarista.

Qual è il meccanismo istituzionale e giuridicoche comporta tutto ciò. La regolazione UE preve-de, in via di principio, il divieto di aiuti di stato alleimprese, poiché ciò turberebbe il mercato; pari-menti affida un’eventuale deroga all’insindacabiledecisione della Commissione Europea; e sarà sem-pre essa, qualora acconsentisse, a imporre i tempi,in genere tappe forzate, della privatizzazione o ri-privatizzazione dell’impresa (non occorre neppureche sia stata risanata a tutti gli effetti, dunque abbiarecuperato il complesso delle sue attività): ciò cheautomaticamente comporta che sarà l’acquirenteprivato a farne il prezzo.

Va da sé che non significa niente per la Com-missione Europea che economie in competizionecon quelle della zona euro, quali le economie diStati Uniti, Giappone, Sud Corea, Cina ecc., prati-chino alla grande aiuti di stato. Grazie al dogmati-smo della Commissione, all’avvio dell’euro corri-spose l’avvio del disastro, in tutta l’UE, in modorafforzato nella zona euro, della siderurgia e dellacantieristica navale. La Sud Corea, per esempio,fece il pieno della produzione navale civile mondia-le proprio grazie al fatto di sostenere i propri can-

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tieri con aiuti di stato che giungevano fino al 60%dei costi di produzione.

Sono da considerare investimenti pubblici soloquelli che portano direttamente alla creazione divalore? Questo è un secondo tipo di trucco lessica-le, sostitutivo se del caso del precedente, del neoli-berismo monetarista europeo. Certo la spesa mili-tare, per esempio, è largamente effettiva spesa (manon lo è la ricerca affidata a strutture industriali odirettamente militari: per esempio, la produzioneaeronautica civile beneficia negli Stati Uniti allagrande della ricerca militare in aerei militari, missili,satelliti, nuovi materiali, nuovi combustibili, ecc.).Ma, in realtà, è investimento anche buona parte diciò che è indicato nei bilanci pubblici UE comespesa, e quindi immediatamente annotato comeuscita; è investimento, cioè, anche quanto indiretta-mente porti alla creazione di valore, e, quindi, diricchezza sociale. Il complesso dell’economia pub-blica è fatto di molte cose, sanità, scuola e universi-tà, ricerca teorica, politiche assistenziali, trasporti,poste, politiche ambientali, tutele del patrimoniostorico-culturale, ecc., e solo in termini in genereridotti se ne trae immediatamente un reddito: main ogni caso si tratta, in termini sostanziali, di inve-stimento, in quanto tale complesso reca, pur in for-ma mediata, pur a volte nel lungo periodo, grandericchezza sociale, e con essa valore. Si tratta di in-vestimento, guardando all’Italia, per la medesimaragione, la risistemazione del territorio, delle acqueinterne, dei mari, dell’aria, dei territori terremotati,inondati, desertificati, del patrimonio storico-cultu-

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rale, ecc. Prima di tutto, infatti, ciò tende a elevaree a stabilizzare a elevato livello la qualità lavorativa,il benessere e quindi la produttività dell’intera po-polazione (di quella anziana e di quella delle gene-razioni non ancora lavorative comprese), a ridurrein termini relativi al complesso economico la spesain servizi assistenziali, manutenzioni straordinarie,ecc.; in breve, a spingere verso l’alto crescita eco-nomica e suo sviluppo qualitativo.

Tutto ciò inoltre favorisce l’impiego lavorativoextrafamiliare delle donne e ne facilita la parità re-tributiva e in sede di ruoli lavorativi, tende a civiliz-zare e a democratizzare i rapporti intrafamiliari esociali tra donne e uomini, tende a trasformare illavoro di cura in una realtà non più sfruttata e op-pressiva, tende a redistribuirlo tra donne e uomini;e anche questo significa creazione di benessere so-ciale e di ricchezza.

Se, in ipotesi, dell’insieme di queste considera-zioni si tenesse conto nel calcolo dei livelli sia deldeficit che del debito pubblici dell’Italia, probabil-mente si constaterebbe (un calcolo preciso è moltodifficile da fare, in ogni caso è facile intuire un datodi massima) che il debito italiano probabilmentenon è superiore al 60% del PIL, o, se superiore, losarebbe di poco, e che il suo deficit è negativo (cosaquest’ultima che significa che il reale bilancio pub-blico italiano è in forte attivo). Concretamente giàsi sa che da tempo il bilancio pubblico dell’Italia è,al netto del servizio del debito dei suoi titoli sovra-ni, in attivo. Tra i motivi per cui, per esempio, ilGiappone è a oltre il 200% del suo debito pubblico

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in rapporto al suo PIL e se ne infischia, c’è anchequesto: che tale debito è prevalentemente compo-sto da investimenti cioè non è in gran parte debitoeffettivo. Lo stesso vale per gli Stati Uniti, per laCina, per una grande quantità di altri stati.

f. Il carattere truffaldino degli strumenti tecni-ci usati dalla Commissione Europea per il con-teggio di deficit e debito dei paesi del sud del-la zona euro

Una questione di cui non si tiene conto nel di-battito politico italiano se non altro perché richiedeun minimo di cognizioni tecniche è quella dei crite-ri di previsione degli effetti macroeconomici deter-minati dagli orientamenti “tecnici” e dalle imposi-zioni politiche della Commissione Europea. Pur-troppo si tratta di una questione diventata di dram-matica importanza sia economica che sociale che,infine, politica nel contesto della crisi aperta nel2008 dai fallimenti che l’anno precedente avevanocoinvolto grandi banche d’affari e poi l’intero siste-ma finanziario statunitensi. Come si è già conside-rato, alla crisi del 2008 seguì l’estrema radicalizza-zione monetarista della Commissione, e con essadei governi di quasi tutti gli stati membri dell’UE,dunque seguì il fiscal compact. Parimenti il Consigliodei Capi di Stato e di Governo consentì la centra-lizzazione nelle mani della Commissione di enormipoteri, in aggiunta a quelli storici di indirizzo, insede di manomissione delle leggi di bilancio deglistati della zona euro e del complesso delle loro de-cisioni e delle loro attività economiche correnti.

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Gli uffici della Commissione Europea dispon-gono storicamente, tramite strumenti informatici,di rilevazioni statistiche che oltre a monitorare an-damenti dei PIL e dei deficit e debiti pubblici deglistati membri UE ne monitorano le composizioniper aree, settori, ecc. A ciò inoltre aggiungono pre-visioni, basate su modelli econometrici, relativeall’insieme di tali andamenti su scale temporali siadi breve che di medio termine. Tali modelli si basa-no su ipotesi percentuali (“indicatori”) riguardantilo svolgimento di ciascuno di tali andamenti; lacomposizione unitaria di tali ipotesi costituisce una“matrice” (un “modello”, in sostanza) del processodell’intera economia UE, parimenti consentel’estrazione dalla “matrice” di un “parametro”(chiamato output gap) che ipotizza gli andamenti fu-turi dei PIL dei vari stati UE, dei loro deficit e debi-ti, dei loro punti di forza e delle loro debolezze ecc.Sembra tutto quanto, a questo punto, tecnicalità aparte, molto semplice, molto oggettivo, molto ri-goroso. Operano invece alcune fregature di fondo.

Quali. La prima fregatura è che gli indicatoriipotizzano in termini tendenzialmente identici sta-to per stato UE gli andamenti delle varie compo-nenti i loro complessi economici; cioè, per fare unesempio, consegnano al fattore produzione di or-tofrutticoli di ogni stato UE il medesimo indicato-re. La seconda, che ciò tende a costruire un “para-metro” essenzialmente unitario, cioè valevole per latotalità degli stati: “stranamente” dunque accadeche le economie di Germania e stati del norddell’UE risultano in possesso di elevate virtù eco-

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nomiche, quindi di efficienti e ben orientati gover-ni, e gli stati di sud mediterraneo, e l’Italia in spe-cie, invece si collocano a un livello deplorevole digestione delle loro realtà economiche, dati ineffi-cienti governi. Si può opinare che in ciò ci sia qual-cosa di vero. Giusto: ma il fatto prima di tutto èche questa differente valutazione riflette la diffe-renza fondamentale tra i “modelli” tra stati delnord e stati del sud. Anche se l’Italia, quindi, fossevirtuosissima in senso nordico risulterebbe inveceuna realtà deplorevole. Facciamo un esempio.L’export tedesco è fatto quasi tutto di produzioneindustriale meccanica e automobilistica; quello ita-liano quasi per metà di produzione meccanica equasi per metà di made in Italy e agro-alimentare. E’chiaro che non ha senso, data questa situazione,l’assegnazione all’Italia del medesimo “parametro”della Germania, in virtù del quale l’Italia non puòche essere considerata arretrata, dato il livello rela-tivamente basso della composizione del capitale dimade in Italy, agro-alimentare, turismo. Tra parente-si: made in Italy e agro-alimentare sono i settoridell’economia italiana a maggiore valore aggiunto.Tornando alle fregature: questa situazione farà sìche da parte della Commissione sarà assiduo ilbombardamento sugli stati del sud, semplicementeperché mediamente più indebitati di quelli delnord, di critiche puntigliose, sorveglianze speciali,richiami, minacce di intervento coattivo, limitazionidi quanto tali stati richiedano a sostegno finanzia-rio di elementi delle loro economie, ecc.; mentre, diconverso, nei confronti degli stati virtuosi la gene-

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rosità risulta massima (per la verità, guardando allaFrancia, la generosità sarà molto larga anche seessa virtuosa non è per nulla: ma già sappiamo ilperché di quest’anomalia).

Giova indicare come gli stati del sud, tra cuil’Italia stessa, da due anni a questa parte abbianosottolineato nelle riunioni delle formazioni delConsiglio (quella dei Capi di Stato e di Governo,quella Ecofin, ecc.) la non sovrapponibilità tra i“modelli” del nord e quelli del sud, e richiesto unarevisione di “parametro” e “matrice” che tengaconto di questo dato. Niente di particolarmentedifficoltoso, solo un po’ più complicato. La rispo-sta della Commissione Europea è consistita nelconcedere l’affiancamento alla tradizionale “matri-ce” una “matrice” più comprensiva delle differen-ze, soprattutto differenziando i parametri, tuttaviarimanendo in campo come decisiva la “matrice”tradizionale e usando quella comprensiva delle dif-ferenze come elemento da introdurre nelle trattati-ve tra Commissione e stati, disponendole così dallato della Commissione alla concessione di “flessi-bilità” in sede di bilancio pubblico.

Basta questo, in tutta evidenza, a definire inrealtà spazzatura non solo la cosiddetta qualitàscientifica, oggettiva, ecc. delle posizioni e delle im-posizioni della Commissione, delle pretese tede-sche, ecc., ma anche la loro qualità, politica, moraledi tali posizioni e imposizioni. Senza, inoltre, la cri-si inoltrata della costruzione europea, il fatto chegli stati dell’est se ne stropiccino degli ordini dellaCommissione in sede di sistemazione dei migranti,

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la Brexit, la differenza di opinioni tra il becerocommissario Dombrovskis e il più duttile Mosco-vici, la discussione su quale “matrice” ecc. sarebbeancora al palo. Nonostante si tratti di minutaglia: lanuova situazione ha recato all’Italia nientepopodi-meno che 3 o 4 miliardi aggiuntivi da spenderequest’anno; e non solo: la Commissione ha impo-sto al governo Gentiloni-Padoan come contropar-tita, ovviamente ottenendola senza fatica, che l’Ita-lia proceda solertemente in questo 2018 a taglicongrui del debito pubblico.

E’ stata al contrario rinviata la discussionesull’introduzione di ulteriori “indicatori”, tra cuibazzecole come la vulnerabilità dei mercati finan-ziari e le “sfide di sostenibilità” (sociale, ambienta-le, politica, ecc.) “nel medio termine”.

Ma veniamo all’ultima fregatura. A niente è ser-vito che da più o meno tempo le stime riguardantitutta questa materia effettuate da OCSE, FMI edalla stessa BCE si differenzino nettamente daquelle della Commissione Europea, considerandoletroppo ottimistiche quanto a prospettive di anda-mento di PIL, occupazione, capacità produttiva, in-flazione (perché troppo bassa, quindi di freno allacrescita economica); e a niente è servito cheOCSE, FMI, BCE critichino la Commissione per ilfatto di eludere sistematicamente la registrazionedegli effetti delle loro posizioni e delle loro imposi-zioni agli stati della zona euro. Non solo. L’UfficioParlamentare di Bilancio (uno strumento tecnicomolto valido del Parlamento Europeo) ha stimatocome nella crisi il campo statistico di incertezza dei

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dati (l’“intervallo di confidenza”) riguardanti il “pa-rametro” output gap fosse addirittura di 5 punti per-centuali (esattamente, da +0,5 di crescita a -5,3):ciò che significa che non si sa, guardando a talidati, se l’economia europea va così così, va piutto-sto male, è alla vigilia di una catastrofe, e che gio-carsela con i dadi può funzionare meglio.

La Grecia è stata un eccellente osservatorio diche cosa il modo di operare della CommissioneEuropea possa catastroficamente comportare. Fu-rono imposti da Commissione e da FMI alla Gre-cia, tre anni fa, reiterati tagli draconiani, si ricorde-rà, a spesa pubblica, pensioni, minimi salariali (ac-canto a svendite di imprese pubbliche, servizi so-ciali, porti, ferrovie, isole). Ciò fu argomentato so-stenendo che il “moltiplicatore fiscale” (la riduzio-ne del PIL indotta dal ribasso della spesa pubblicae della domanda sociale interna) fosse dello 0,5%:cioè basso, dunque portatore di effetti sociali nega-tivi di quei tagli relativamente limitati. In realtà il“moltiplicatore fiscale” greco si collocò attornoall’1,5%, portando a una caduta recessiva dellaGrecia enormemente più grave e quindi aun’immensa tragedia sociale. Commissione Euro-pea e FMI sapevano benissimo che sarebbe andatacosì: si legge nella loro lettera di “raccomandazio-ni” al governo greco seguita all’accordo con Com-missione, FMI e BCE sui finanziamenti necessari aprevenire il default, che un rischio recessivo superio-re avrebbe potuto esserci… ma se il governo greconon fosse risultato capace di effettuare tutte lesvendite e tutti i tagli “necessari”.

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Ancora, mentre la Commissione Europea conti-nuava, nella crisi, a ragionare di “moltiplicatori fi-scali” attorno allo 0,5%, quelli del complesso deglistati UE andranno dallo 0,9% all’1,7%. In breve,anziché, come “previsto” dalla Commissione, subi-re da parte di quasi tutti gli stati processi recessivileggeri e facilmente superabili, accadrà a tutti quan-ti gli stati, Germania compresa, di subire una reces-sione di portata superiore a quella della crisi del1929.

g. Tuttavia affinché le considerazioni sin quisviluppate riescano a farsi politica e a fare ri-sultati di rilievo occorre realizzare una serie diobiettivi preliminari, di natura non solo politi-ca e giuridica ma anche istituzionale

Va da sé che affinché tali considerazioni signifi-chino qualcosa di realistico a livello pratico-politi-co, economico e sociale occorre non solo fare i cal-coli economici in modo giusto ma anche recupera-re indipendenza monetaria da parte statale o, in al-ternativa migliore, fare della BCE una banca cen-trale con le medesime attribuzioni delle altre grandibanche centrali del pianeta; e, al tempo stesso, faredell’UE una realtà democratica aperta alle richiestee alle necessità delle popolazioni. Altrimenti il de-bito fittizio continuerà a porsi come debito vero,con tutto quel che di antisociale e di antieconomi-co ne consegue. Inoltre occorre, in Italia, la rina-zionalizzazione effettiva e la ridefinizione “keyne-siana” (vedremo tra poco cosa significhi) delle fina-

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lità di Cassa Depositi e Prestiti. I motivi di ciòsono già stati in parte illustrati.

Va da sé, ancora, che occorre conquistare gran-di cambiamenti della struttura istituzionale dell’UEe degli stati membri, parimenti che occorre rifare iTrattati, o, quanto meno, rifarsi a quello di Maastri-cht, al tempo stesso aggiornarlo; parimenti, che oc-corre porre termine all’impedimento di aiuti di sta-to e fare di essi componenti attive di grandi pro-grammi generali di sviluppo finanziati in terminiampi dalla BCE. Non è che basti creare debito espenderlo; una creazione ampia di moneta devesempre essere unita a progetti di investimento, a in-crementi dell’occupazione ecc., salvo guai econo-mici.

Va da sé che occorre anche rifare le sinistre eu-ropee; che occorre che quelle socialdemocratiche, aopera dei loro settori migliori, superino quei cedi-menti neoliberisti e monetaristi e quelle cadute mi-nimaliste in sede di obiettivi che le hanno caratte-rizzate in questi decenni; al tempo stesso, che oc-corre che quelle “radicali” operino al superamentodi involuzioni settarie, ultimatiste ed estremiste.Questi processi appaiono oggi in atto persino, or-mai, in Italia: ma necessita operare a generalizzarli.

Realizzare obiettivi di questa natura non è né fa-cile né breve. Occorre a sinistra, accanto a orientar-si a una propria solida ricostruzione politico-cultu-rale e pratico-organizzativa, ragionare anche guar-dando molto al medio-lungo periodo. Questo si-gnifica solidità di nervi e di cervello dal lato deigruppi dirigenti, loro capacità di rapportarsi davve-

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ro alle classi popolari, alle attese, ai bisogni, ai modidi pensare che oggi le caratterizzano, loro capacitàdi essere in ogni senso interni, quindi, a questeclassi, vale a dire anche nella selezione delle que-stioni e nei linguaggi. E significa una “tattica”anch’essa di periodo, capace di flessibilità, capacedi guardare anche a obiettivi parziali. Occorre capi-re a sinistra come tra le condizioni per fare grandirisultati ci sia la ricostruzione del tessuto organiz-zativo delle classi popolari, e come ciò richieda agi-re per recuperare il terreno perduto dai diritti so-ciali, dai diritti del mondo del lavoro, dalle sue con-dizioni materiali. Non solo il tipico minimalismosocialdemocratico di quest’epoca è da superare,perché essenzialmente inutile, mistificante la realtà,foriero di sconfitte e perdite di forze dal lato popo-lare, ma è tale anche il fenomeno simmetrico delradicalismo settario.

h. La responsabilità politica primaria dei disa-stri economici e sociali portati all’UE (in ter-mini speciali alla sua zona euro e, in essa, aisuoi stati mediterranei) dalle politiche neolibe-riste-monetariste gestite nella crisi dalla Com-missione Europea è dell’establishment tede-sco; sono sua responsabilità primaria i pesan-tissimi effetti economici, sociali e ormai anchepolitici derivanti da tale gestione

Cosa ci sta molto concretamente alla base, cioèattraverso quali atti primariamente politici, di tuttoquel che si sta considerando? Intanto, come indica-to, c’è il fatto che gli stati della zona euro, essendo

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impediti di battere moneta o non potendone di-sporre a opera della BCE, constatano una sorta disistematica transustanziazione di debito fittizio indebito effettivo. Si potrebbe ovviare? Certamente,e non solo come indicato, ma anche trasferendo ildebito (o, transitoriamente, una sua parte congrua)sulla zona euro come tale ovvero consegnandoloalla BCE ovvero a emissioni sistematiche di suoi ti-toli sovrani. O, quanto meno, si potrebbe ovviareconsegnandogliene parte congrua: per esempio il60%, definito legale, come già si è scritto, nel Trat-tato di Maastricht. Il servizio pagato a remunera-zione dei titoli BCE sarebbe a livello zero o pocopiù, finirebbero a riserva in Cina o in qualche statodi quelli che galleggiano sul petrolio, come succedea dollaro, yen, ecc.

Che cosa impedisce, allora, che qualcosa di ciòpiù o meno avvenga da parte dell’UE? Si tratta didue dati di significato globale della sua realtà, fa-centi cioè parte organica del suo complesso siste-mico. Il primo consiste nell’uso dell’UE da partedelle sue classi dominanti e delle loro (ricche) clien-tele politiche, mediatiche, professionali, intellettua-li, accademiche, ovvero consiste nell’infinita rivin-cita famelica operata da alcuni decenni a questaparte da tali classi e clientele a danno delle classipopolari, particolarmente accanita nei confrontidelle classi operaie, così ripagandosi ad abundantiame in crescendo dell’aver subìto nel dopoguerra permezzo secolo politiche di redistribuzione progres-siva del reddito, congrui sistemi di welfare, buoni li-velli di democrazia. E questo si capisce da sé. Il se-

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condo dato, più difficile da constatare, analizzare eragionare, consiste nelle pretese dei grandi poteriindustriali e finanziari della Germania e nel coes-senziale indirizzo politico della sua destra democri-stiana-conservatrice (non contrastata sino a ieridalla socialdemocrazia), il cui obiettivo strategico,realizzata nel 1990 la riunificazione, rapidamente econ crescente determinazione diverrà la conquistadi storici e quasi antropologici obiettivi tedeschi: ildominio sull’Europa, il recupero in questo mododel rango di grande potenza mondiale.

Oggi come ieri la Germania soffre di essere unagrande potenza economica (la quarta nel mondo, laprima o la seconda nella classifica dell’alta tecnolo-gia industriale, la seconda in quella delle riserve inoro, la prima grande esportatrice, avendo qui battu-to recentemente la Cina), il cui spazio territoriale ètuttavia esiguo, la cui popolazione è una frazione diquella degli stati continente, che non dispone dimaterie prime, che non è autosufficiente né sul pia-no energetico né su quello alimentare, ecc. Va quasida sé che l’obiettivo di qualsiasi forte potere plane-tario borghese-capitalistico posto in queste condi-zioni non potrebbe che essere l’espansione territo-riale. E poiché oggi il ricorso a quest’obiettivo nonpuò essere affidato all’azione o a pressioni militari(anzi alla sconfitta della seconda guerra mondiale èseguita una Germania semidisarmata), ciò chel’establishment tedesco ha fatto sistematicamente inquesti oltre due decenni e mezzo è consistitonell’acquisizione del controllo e della gestione delmassimo potere possibile sull’UE; e ciò è concreta-

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mente avvenuto, operando su vari piani. Uno diessi è la difesa nelle sedi UE degli specifici interessifrancesi, consentendo così alla Francia la possibilitàdi infischiarsene dei parametri di Maastricht e amaggior ragione del fiscal compact; è cioè in tal modoche la Germania (tramite i suoi governi conserva-tori-democristiani) è venuta a disporre della forzapolitica necessaria. Contemporaneamente essa haoperato all’acquisizione del controllo dei livelli api-cali della burocrazia dell’UE (sono tedeschi o difede tedesca ergo neoliberista-monetarista tutti oquasi tutti i responsabili delle divisioni generali del-la Commissione Europea), nonché alla collocazio-ne di sodali non tedeschi ma di fede tedesca alla te-sta di strutture decisive (come per esempio la presi-denza dell’Eurogruppo: il suo ex titolare Dijssel-bloem è olandese ed è iscritto al Partito Laburistadel suo paese, ma è di stretta fede neoliberista emonetarista; come per esempio la vicepresidenza,preposta alle questioni economiche, della Commis-sione: il suo titolare Dombrovkis è lettone, eanch’egli è di pari fede). Massima generosità tede-sca invece verso gli altri stati in sede di copertura diruoli secondari o inutili (si veda l’assegnazioneall’Italia del cosiddetto Alto Rappresentante dellaPolitica Estera dell’UE. Già solo la denominazionealtisonante dice dell’imbroglio, nonché della dabbe-naggine cialtrona o peggio di chi lo ha presentatoin Italia come grande onore). Ancora: stropiccian-dosene dei danni gravi recati alle economie più in-dustriali della parte storica dell’UE (Italia soprat-tutto, ma anche Francia, Spagna, Olanda, Belgio,

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Austria, addirittura Svezia e Danimarca, sebbeneesse siano fuori dall’euro), la Germania ha pratica-to a fondo la deflazione salariale, arma potentissi-ma ai fini di una competizione sui mercati esteri,che in realtà è quasi tutta intra-europea (l’export te-desco va più o meno all’80% negli altri stati UE, evi stradomina quello costituito da prodotti indu-striali ad alta tecnologia). Si parla in Italia degli altisalari (2.000 euro netti) alla Volkswagen: ma i suoinuovi assunti percepiscono a parità di mansionepoco più della metà di questa cifra. Oltre 7 milionidi lavoratori sono in Germania a cosiddetti mini-jobs ovvero a circa 700 euro al mese. Si parla moltodella superiorità della tecnologia tedesca come fat-tore sostanziale dell’export: ciò è vero, ma grazie an-che alla deflazione salariale. Ancora: la Germaniaha teso sistematicamente all’acquisizione diretta ocomunque al controllo rigoroso di aree strategicheproduttive (soprattutto industria meccanica, ma an-che chimica, ad alta tecnologia) in altri stati. Allagrande in Italia: non ci sono dati precisi (ne forni-sce solo la FIOM dell’Emilia-Romagna), comun-que si tratta di qualcosa come 2-3 mila imprese dimedie dimensioni del nord dell’Italia che fornisco-no semilavorati all’industria meccanica e automobi-listica tedesca, ovviamente a prezzi che vengonoimposti dalle imprese acquirenti o appaltatrici,usando il ricatto del trasferimento delle commessein Polonia o Cechia (un ricatto reale: per esempiola produzione in Italia di pannelli fotovoltaici – unaproduzione ad alta tecnologia e che impegna lavo-ratori altamente qualificati – fu realizzata fino al

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2011 da un’impresa tedesca, la MEMC, dotata didue unità produttive; poi la proprietà tedesca deci-derà di spostare la produzione in Polonia, e l’Italiafu nell’immediato costretta a comperare pannelliall’estero, tedesco-polacchi o cinesi).

Si tratta inoltre, a proposito di questa colonizza-zione tedesca di una grossa fetta dell’industriaavanzata dell’Italia, di una notevole estorsione divalore a danno del nostro paese. Lo stesso vale perFrancia ecc. A est analoga estorsione si basa so-prattutto sulla delocalizzazione di attività produtti-ve, ma ormai anche di servizi, ad alta intensità dilavoro, beneficiando così dei locali bassissimi salari.Ciò fa sì, per esempio, che in Polonia oltre il 40%degli investimenti sia tedesco, oltre il 40%dell’import sia tedesco, ecc. Ancora: analoga estor-sione avviene attraverso la continua campagna al-larmistica sulle condizioni politiche instabili e suquelle finanziarie precarie dell’Italia, sugli italianiimprovvide cicale, ecc., usando come testimonial se-dicenti esperti e oggettivi camerieri a disposizionedella Germania negli apparati dell’UE e nei medialiberal-neoliberisti europei compresi quelli italiani.Lo spread che ne è conseguito a oggi a danno dei ti-toli sovrani italiani è manna infatti per i risparmia-tori europei di media e bassa capacità, in generetranquilli, e giova specificare come un 35-40% ditali titoli sia trattato da banche tedesche. Il normalecittadino tedesco è da lunga pezza convinto dicome la Germania mantenga buona parte dell’UE;è vero l’esatto contrario.

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Non solo: l’ossessività delle campagne tedeschein tema di “austerità”, “rigore”, ecc. di bilancio, in-somma la micragneria bottegaia e avara di AngelaMerkel e più in generale dei suoi governi, la massa-crata incivile e assurda della Grecia ordinata dal go-verno tedesco alla Commissione Europea, l’ostru-zionismo tedesco nei confronti di ogni misura an-che ridotta di socializzazione europea dei debiti so-vrani dei vari stati, se è vero che la complessità deiloro fattori politici non viene facilmente colta dallepopolazioni europee è anche vero che ha portatoper via intuitiva a un crescente calo delle simpatiedelle popolazioni europee, oltre che nei confrontidelle matrigne istituzioni europee, anche in quellidella loro padrona Germania. Il fatto che la Ger-mania si sia impadronita politicamente dell’UE èda tempo, infatti, più che evidente. Vero è che sonosuccursali economiche semicoloniali della Germa-nia gli stati dell’est europeo: ma a ciò hanno sem-pre più corrisposto distacco politico e ostilità po-polare. Analoga cosa vale per gli stati del nord Eu-ropa. Il disegno di un’Europa sempre più una sortadi Germania allargata, come tale grande potenzamondiale a tutti gli effetti, è entrata anche per tuttoquesto in crisi. E, di conseguenza, è entrata in unacrisi caotica e in tendenza autodistruttiva l’UE.

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i. Al tempo stesso, la lunga complicità dei go-verni europei (e di quelli italiani in modo spe-ciale) con gli assetti di gestione e con gli orien-tamenti politico-economici cui è giunta nellacrisi l’Unione Europea

E’ anche necessario, per la comprensione dellecose, ribadire come alla costruzione del potere te-desco sull’UE non abbiano concorso solo la Com-missione Europea e le altre burocrazie, bensì anchee prima di tutto la connivenza della quasi totalitàdei governi degli stati. Se essi avessero resistito nonsarebbe bastato alla Germania l’appoggio francese.E’ soprattutto in questa connivenza la ragione poli-tica dell’emergenza in quasi tutti gli stati UE di for-ze politiche antieuropee fasciste, semifasciste, raz-ziste, qualunquiste, ecc.

Il record europeo di questa connivenza è, nellaparte storica cioè in quella occidentale dell’UE, tut-to italiano: frutto del governo Monti, della succes-siva adozione da parte del PD dell’“agenda Monti”,infine del governo Renzi. Questa connivenza, i cuiindirizzi sociali sono dati, nel contesto di una glo-balizzazione incontrollata dominata da grande fi-nanza e grandi multinazionali, da politiche di conti-nuo incremento dell’arricchimento, crisi o non cri-si, delle classi ricche e dei loro sodali di varia natu-ra, è tuttora in campo, in Italia e altrove nell’UE,basta guardare ai comportamenti ossequiosi pernon dire servili del governo Gentiloni nei confron-ti della Commissione Europea oppure agli orienta-menti brutalmente neoliberisti di politica del lavorodel presidente francese “europeista” Macron. Solo

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l’approssimarsi delle elezioni politiche, che vedonoil consenso al PD in picchiata, potrebbe aprirequalche fessura in questa connivenza. Forse.

Vediamo l’itinerario di questa connivenza. Essoè consistito all’inizio in illusioni circa una scontatacapacità UE di portare risultati positivi d’ogni sor-ta; dinnanzi, poi, al fatto che le cose andavano inopposta direzione, poi, soprattutto, dinnanziall’accelerazione in tale direzione delle cose nelcontesto della crisi incorsa nel 2008, le illusioni sisono rovesciate nella convinzione di poter limitarei danni. Su queste posizioni sono state, in via gene-rale, socialdemocrazie e formazioni affini.

Non sono neppure mancate, gradatamente neglianni novanta, poi a valanga nella crisi, complicitàantisociali di socialdemocrazie e affini con le for-mazioni centriste o, addirittura, il loro passaggioorganico al centro-destra liberal-neoliberista-mone-tarista (vedi il PD renziano).

Gli effetti sono stati un progressivo calo di cre-dibilità, cadute e sconfitte elettorali, il collasso deipartiti socialdemocratici diventati organici al neoli-berismo e al monetarismo (PASOK greco, PartitoLaburista dei Paesi Bassi, Partito Socialista France-se: non a caso semiscomparsi o scomparsi a tuttigli effetti).

In tempi recenti sono tuttavia avvenuti in senoalla socialdemocrazia processi in direzione oppo-sta: in Gran Bretagna il Labour Party è stato con-quistato dalla sua sinistra interna (ricorrendo al les-sico britannico, ciò che vi è accaduto è che la posi-zione socialdemocratica è stata sconfitta dalla posi-

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zione socialista); in Portogallo il Partito Socialista èal governo appoggiato da Bloco de Esquerda ePartito Comunista. In Italia ci sono stati la scissio-ne di sinistra del PD e l’avvio di una ricomposizio-ne larga della sinistra politica. Esistono nell’UE va-lidi consistenti partiti di sinistra socialista estraneial blocco socialdemocratico: Linke tedesca, France-Insoumise di Mélenchon, Podemos-Unidos spa-gnolo, Syriza greca, Sinn Fein irlandese. Esistonosinistre verdi. Il Partito Democratico degli StatiUniti constata la poderosa crescita interna di unacorrente socialista molto appoggiata da donne, gio-vani, sindacati, neri, ispanici, chiese, municipalità.

Socialdemocrazie tedesca e spagnola invecesono divise, potrebbero evolvere a sinistra, rimane-re al palo, entrare in crisi profonda, si vedrà. Moltomalamente tengono le socialdemocrazie nordiche,anch’esse internamente divise.

Cosa significa oggi in Italia (ma ciò più o menovale per molti altri stati UE) il prosieguo della con-nivenza agli assetti contestuali europei. Si è già ac-cennato a come il governo Gentiloni si sia accon-tentato della concessione da parte della Commis-sione Europea di una manciata di miliardi in più daspendere. Con essi dovrebbero essere affrontati glienormi problemi di ogni sorta che travagliano ilnostro paese, relativi a territorio, servizi sociali, ser-vizi pubblici, precarietà, disoccupazione, lavoriusuranti, esodati, povertà, Mezzogiorno, aree scon-volte da terremoti, inondazioni e incendi, condizio-ne industriale, suoi sviluppi tecnologici, loro effettisull’occupazione, ricerca, mafie, corruzione nel

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pubblico, grande evasione fiscale, ecc., inoltre do-vrebbero essere affrontati gli impegni relativi alcontrasto al riscaldamento climatico e ai suoi terri-bili danni d’ogni sorta, alla ricezione di migranti di-sperati, ecc. In conclusione, in Italia non opereràprossimamente quasi nulla, in tutta evidenza, acontrasto adeguato rispetto a questo complesso dinecessità e di impegni. A mistificazione del quasinulla continuerà a esserci una manciata di marginalie caotici sostegni al reddito e, al tempo stesso, untaglio orizzontale delle tasse. Nessuna tassazioneprogressiva e sui grandi patrimoni ecc., onde co-minciare ad affrontare le questioni; anzi il tagliodelle tasse porterà a ulteriori tagli di una spesa so-ciale già quasi al collasso e degli investimenti in ser-vizi, sanità, scuola, ricerca, ecc. In breve, la condi-zione delle classi popolari e di quelle medie conti-nuerà a peggiorare.

Va da sé che in sede parlamentare occorra bat-tersi per strappare miglioramenti anche ridotti, nonè impossibile riuscirci. L’entrata in campo dellaCGIL (il suo sciopero generale del 2 dicembre) èun fatto di grande importanza e che peserà. Ma loschema generale della legge di bilancio è rimastoquello di questi anni, antisociale e antieconomico;fiscal compact e spending review sono tuttora in campo;rimane perciò in campo tutto l’armamentario dellaferoce lotta di classe dei settori fondamentali attua-li del capitalismo contro il mondo del lavoro, ilcomplesso delle classi popolari, gran parte dellestesse classi medie, la stessa piccola industria.

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La legge di bilancio appena varata dal Parlamen-to segna quindi un confine chiaro e netto nel pano-rama, caotico sia di suo che in virtù dello sforzoassiduo di un sistema mediatico protervo e mani-polatore, tra le varie forze politiche. Chi sta col go-verno Gentiloni, anche quando si possa conveniresu qualcosa, sta di là, non di qua, lo si abbia a sini-stra ben chiaro. Di là può talora esserci qualche pa-sticcione liberale in buona fede, ma ciò non signifi-ca un fico secco.

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3. Come tentare di affrontare da sinistra iproblemi della situazione italiana nella loroqualità effettiva

a. Intanto, quale teoria economica risulta ne-cessaria ad affrontarli seriamente e adeguata-mente: cioè quella keynesiana. Approfondi-mento

Andando da Joan Robinson a Hyman Minsky,gli sviluppi avuti dalla teoria keynesiana hanno fat-to sì che essa si avvicinasse esplicitamente al socia-lismo, parimenti, grazie alle socialdemocrazie, en-trasse nello strumentario politico dei tentativi diemancipazione delle classi popolari, vi entrassecioè come parte della loro prospettiva organica.Ciò addirittura condizionò nel dopoguerra per tut-to un periodo partiti democristiani e, addirittura, li-berali; parimenti anche il PCI e il PSI. in questasede comunque è sufficiente richiamare i postulatidei keynesismo in situazioni di crisi. Altri, già sfio-rati, riguarderebbero la lotta contro la strapotenzaacquisita in questi trent’anni dal grande capitale fi-nanziario, data la globalizzazione a trazione di capi-tale finanziario e multinazionali, avviata a suo tem-po da Stati Uniti e Regno Unito ecc.

Come argomenta Keynes nel suo fondamentaleTrattato, nelle situazioni di crisi occorre, da un lato,creare mezzi di investimento, in breve, moneta, diconseguenza indebitare lo stato, dall’altro, creare“domanda aggregata”, cioè creare una domandacomposta da più consumo sociale (anche sostenen-

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do salari e stipendi con la fissazione legale di de-centi minimi salariali e facilitando per via political’iniziativa sindacale), da grandi investimenti pro-duttivi e in servizi (finalizzati essenzialmente almercato interno), dalla loro programmazione e gui-da statali. In altre parole, creare domanda dal latodel complesso degli attori economici: famiglie, im-prese, spese e investimenti sia privati che e soprat-tutto statali. Si produce per questa via in tempi re-lativamente solerti più valore di quanto non si ag-giunga al debito del sistema; in tempi relativamentesolerti dunque verrebbe più che recuperato il debi-to in precedenza creato. In effetti così andò neglianni trenta in Occidente. Non a caso, poi, Keynessuggerisce di portare l’attività del rentier, dello spe-culatore, all’“eutanasia”: poiché se lasciato libero dioperare esso tende a sgangherare e a disarticolarel’iniziativa economica dello stato, fa precipitare,prima o poi, crack bancari, dunque tende a determi-nare collassi del prestito alle attività produttive,quindi insolvenze di imprese e famiglie, quindi re-cessioni, ecc.

Attenzione: tale posizione non tollera andamen-ti fondamentalmente anarchici del processo econo-mico, dunque non tollera, concretamente, l’asse-gnazione al mercato, quindi al grande capitale indu-striale e finanziario, di muoversi secondo gli obiet-tivi onnidirezionali e ondivaghi delle loro imprese,essendo esse alla ricerca del massimo profitto inbrevissimo tempo (dal lato della finanza) o, co-munque, nel meno lungo tempo possibile (dal latodell’industria). La posizione keynesiana funziona,

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crea cioè valore e crescita e previene processi infla-tivi incontrollati, alle condizioni di una gestionepubblica dominante del processo economico e diuna pianificazione di grandi investimenti rispon-denti a obiettivi economici e sociali determinati.Inoltre funziona alla condizione di una fiscalitàfortemente progressiva, come accennato, per con-tenere al meglio, in solido alla necessaria legifera-zione, la speculazione finanziaria, ma anche per di-sporre di ulteriori risorse monetarie supplementari.

Tra il 1933 e il 1937 il New Deal di Rooseveltpraticò una riforma fiscale che giunse a un prelie-vo del 79% sul reddito delle classi ricche; abbando-nò la parità oro-dollaro, onde appunto poter crearemoneta supplementare; attivò lavori pubblici di va-ria natura, dalla manutenzione di strade e scuolealla conservazione o ricostituzione delle risorse na-turali; elettrificò campagne e città; sovvenzionòagricoltori e allevatori, onde riducessero le ecce-denze produttive e potessero aumentare i loroprezzi; impedì alle banche commerciali di operarenel settore finanziario; sottopose a stretto controllostatale sia il complesso delle banche che le opera-zioni di borsa. E l’economia statunitense si rimisein moto.

Sicché, guardando all’Italia contemporanea,Keynes non c’entra per niente con l’indebitamentodei governi dc andreottiani anni ottanta o conquello dei governi berlusconiani, parimenti nonc’entra niente con gli abbattimenti orizzontali ber-lusconiani e renziani del prelievo fiscale, ecc., chenon realizzano null’altro che maggiore ricchezza

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nelle tasche dei ricchi, parimenti tendono a scate-nare processi speculativi incontrollabili, recanodanni gravi ai bilanci pubblici, quindi alla spesa so-ciale e in servizi, ecc.

In breve, non è vero che l’indebitamento neces-sariamente comporti alta inflazione e conseguentiprecipitazioni critiche, come invece dichiarano glieconomisti neoliberisti-monetaristi e i media liberal-neoliberisti, né è vero che l’indebitamento necessa-riamente porti l’economia a incrementi debitori in-finiti, sicché occorra da parte di governi “lungimi-ranti” (tradotto: neoliberisti-monetaristi), prima opoi inevitabili, operare tagli brutali della “spesa”,prima di tutto di quella in servizi, nonché deglistessi investimenti pubblici. Viene detto a giustifi-cazione dell’operato di tali governi che ciò d’acchi-to danneggerà pesantemente le condizioni di vitapopolari ma che si tratta pure, viene aggiunto, delfatto che è questo il solo modo per tornare solleci-tamente alla ripresa economica e a recuperi di talicondizioni di vita. Queste sono solo bubbole, il cuiobiettivo reale, ovviamente non dichiarabile, è l’usodella crisi da parte capitalistica e delle classi ricchein generale per indebolire le capacità politiche po-polari, di quelle del movimento operaio in primissi-mo luogo, e, di conseguenza, per poter continuarea liberamente saccheggiare tasche popolari e risor-se pubbliche. La vicenda dell’“agenda Monti” hachiarito molto bene come in realtà il neoliberismo-monetarismo ritardi all’estremo la ripresa dell’eco-nomia, inoltre la renda frenata e fragile.

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Come si è già ben visto, tali bubbole sono an-che le posizioni sostenute e praticate dalla Com-missione Europea e da politici (dai mass-media stra-lodati), giornalisti (all’uopo strapagati), accademici(idem) di fede (o, meglio, di volgare convenienza)neoliberista-monetarista ecc. Negli Stati Uniti que-sta è la politica storicamente di parte repubblicana,ma solo sul piano della situazione sociale, poichésono uno stato che ricorre alla grande al debito.

In realtà, giova aggiungere, si può anche sbatter-sene di recuperi totali dell’indebitamento, cioè di-sporre di più debito pubblico di quanto non fosseprima della crisi. Non avverrebbe nessun disastroeconomico. Questa anzi può risultare facilmente laposizione di governi neoliberisti: dal punto di vistadel risparmiatore ricco più debito pubblico è cosaghiotta: un debito elevato comporta infatti facilispostamenti di ricchezza verso l’alto nella gerarchiasociale, poiché consente possibilità ampie di specu-lazione sul suo servizio, cioè acquistandone i titoli.Anche una parte dell’industria nonché la totalitàdel sistema finanziario sarebbero favoriti da questaposizione. Un potere democratico a vocazione so-ciale dovrebbe invece ragionare, fuori dalla crisi, suun livello del debito pubblico relativamente limita-to, dunque che impedisca larghe operazioni specu-lative, quindi danni al reddito di classi popolari emedie, a servizi di importanza basilare, anche a set-tori industriali.

Riassumendo in termini concettuali, Keynes ro-vescia il paradigma liberista in sede di rapporto,nelle crisi, tra entrate di bilancio da una parte e

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spese e investimenti dall’altra: non debbono esserele entrate nelle casse dello stato, egli dichiara, a de-terminare livelli di spesa e di investimento, bensìdebbono essere tali livelli, usando lo stato creatoredi debito e con esso di investimenti, a determinarele entrate. Questa posizione inoltre precisa che gliinvestimenti, quelli indiretti compresi, non sonomera spesa di valore, non sono riduzione del suostock sociale, bensì sistematica creazione di valore,sistematico aumento di tale stock.

Giova sottolineare, stando sempre a Keynes,come alla creazione di valore debba concorrere,addirittura con l’appoggio dello stato, il mondo dellavoro subordinato, e non solo per ragioni etiche,sociali e democratiche ma anche per fondamentaliragioni economiche; dunque come soprattutto nel-le crisi non si debba operare imponendo al lavorosubordinato “sacrifici” ovvero riducendone le pos-sibilità di spesa e le condizioni di vita e lavorative,bensì incrementandole. Sarebbe bene che i sindaca-ti europei acquisissero tutti questa posizione, oggiinvece presente in pochi. Questa raccomandazionevale anche guardando a molta parte della sinistrapolitica.

Sicché che si tratti in Keynes di un’economiapolitica delle classi subalterne, o di intere popola-zioni sfruttate, e di come essa si regga anche sulfatto di loro ruoli politici fondamentali è evidente.Si tratta perciò, in una parola, di socialismo. Guar-dando all’oggi, del socialismo dell’attuale periodostorico. Solo la sua generalizzazione pratico-politi-ca consentirà alle popolazioni di ragionare su come

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fare avanzare ulteriormente la trasformazione so-ciale. E’ necessario a sinistra sapere molto benequeste cose, e collocarle nella loro pratica politica.Non saperlo può solo portare o a sgangherate po-sizioni estremiste e settarie o a cadute minimalistee subalterne, a rincorse pasticciate e dannose di “si-nistre” liberal-neoliberiste, ecc.

b. Attenzione: non basta recuperare qualcosadalle fondamentali posizioni keynesiane perfare risultati keynesiani

Draghi, per fortuna dell’Italia e dell’UE, econo-mista competente non asservito al neoliberismomonetarista, si è mosso nella crisi ben oltre il limi-te, in parte scritto, in parte convenuto, dei suoi po-teri, portando con l’invenzione del cosiddettoquantitative easing la BCE a inondare di liquidità acosto zero (dal marzo 2015 a questo dicembresono 2.650 miliardi di euro), il sistema bancariodella zona euro, inoltre effettuando acquisti di suoititoli sovrani. L’effetto positivo c’è stato: ma limita-to a due soli risultati, il contenimento della reces-sione, la riduzione dello spread tra titoli tedeschi (illivello del cui servizio del debito tendeva a zero ogli si poneva addirittura sotto) e titoli degli altri sta-ti (il cui servizio era più o meno elevato. Per quan-to riguarda l’Italia, lo era di parecchio). A renderesignificativa questa riduzione aveva operato anchela tendenza deflativa interna alla fase di stagnazio-ne della crisi: è bene tenerlo presente, dato chequesta tendenza creerà anche difficoltà che duranotuttora alla ripresa economica, soprattutto nella

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zona euro. Invece la BCE non è stata in grado diattivare la ripresa: non disponendo del potere di fi-nanziare i bilanci pubblici degli stati della zonaeuro. Né la BCE, come in precedenza accennato, èstata in grado, sempre per via delle sue solo parzialipossibilità di intervento, di rovesciare la deflazionein inflazione, ciò che avrebbe automaticamente li-mitato l’incremento nella zona euro dei deficit pub-blici, quindi comportato anche per questa via ridu-zioni del servizio del debito, oltre che consentitoqualcosa di più sul piano della spesa e degli investi-menti pubblici. In conclusione, la ripresa dellazona euro non sarà che l’effetto, in larghissima mi-sura, dei maggiori acquisti e investimenti operati inessa dal resto del mondo, determinati dalla ripresapiù o meno sostenuta intervenuta in una sua largaparte. Nell’attuale ripresa dell’economia mondialel’UE non è rimasta dunque a caso il fanalino dicoda; né la zona euro quello nell’UE; né l’Italiaquello nella zona euro.

Come funziona (a nome del buonsenso) altrove,quale che sia l’indirizzo di politica economica. Ne-gli Stati Uniti, per esempio, la Fed (la banca centra-le) batte moneta, la vende al Tesoro, il Tesoro lagira all’Amministrazione (il governo). Numerosiprogrammi di finanziamento girano direttamentedal Tesoro anche a stati federati, amministrazioniurbane, servizi pubblici di varia natura: realtà spes-so indebitatissime. Lo stesso vale per l’industriaimpegnata nella ricerca o nella produzione militare.Gruppi e settori privati beneficiano di sostegni fi-nanziari dell’Amministrazione o degli stati federati.

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La regola base è, d’altra parte, quella dell’indebita-mento pubblico, prima di tutto statale, ove e quan-do occorra: d’altra parte, ancora, l’indebitamentodegli Stati Uniti non è che un fatto contabile utilealla comprensione per tempo del rischio di effettiinflativi elevati, giacché nel momento in cui la Fedbatte tot di moneta ovvero si “indebita” conquest’atto medesimo crea pari quantità di valore,dato che il dollaro è considerato automaticamentenel mondo moneta non suscettibile di improvviseforti perdite di valore nominale e con la quale sipuò comperare quel che si vuole, investire anche atermini di tempo lunghissimi, ecc. Ciò vale ancheper yen, sterlina, franco svizzero, renmibi, moltevalute minori. Ovviamente potrebbe tranquilla-mente valere anche per l’euro.

Perché non si parla mai nell’UE neanche da par-te monetarista di indebitamento della zona eurocome effetto della creazione avvenuta in questianni di una massa enorme di moneta da parte dellaBCE? Ma perché, semplicemente, non è vero chela UE si sia in tal modo “indebitata”, e affermarlofarebbe ridere: la BCE infatti battendo tot di mo-neta ha creato ipso facto pari valore.

Il “debito” statunitense è, in rapporto al PIL, alivello quasi italiano; la seconda economia del pia-neta, la Cina, opera e cresce dalla chiusura della Ri-voluzione Culturale in avanti attraverso il debito; ildebito della terza economia, il Giappone, è a oltreil 200% del suo PIL; la quarta economia, la Ger-mania, ha un debito, in valore assoluto, pari a quel-lo dell’Italia: e tutto questo accade senza creare as-

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solutamente nulla di dannoso e ancor meno di ca-tastrofico alle relative economie, quindi senza che iloro governi si preoccupino. D’altra parte, in realtà,queste cifre in larga parte non sono spesa impro-duttiva ma investimento.

c. Attenzione: la sovrabbondanza di monetanon è manifestazione solo dell’immensità dellaricchezza privata ma esprime anche la necessi-tà di sviluppi dell’economia che riescano a farefronte alla miseria pubblica e alla crisi dellacondizione complessiva del pianeta; ed è ma-nifestazione, al tempo stesso, della sussunzio-ne di questa contraddizione sotto il capitale.Un esempio per tutti: i bitcoin

Un esempio di natura recentissima può ulterior-mente argomentare il complesso di questi ragiona-menti. I bitcoin, una cosiddetta criptovaluta, sono,in tutta evidenza, creazione immediata di valore:con essi vengono attivate iniziative lavorative pro-duttive di beni e soprattutto di servizi che altrimen-ti non esisterebbero. All’origine ci fu l’invenzionein Giappone di un algoritmo, poi gli seguirà, recen-tissimamente, l’entrata nella borsa di Chicago e lacreazione di futures. Tutto qui: non risultano infattia oggi oggetto di regolazione pubblica. La cosa hafunzionato. Al tempo stesso i bitcoin, dati i futures,data cioè una forma di investimento ad alto rischio,sono improvvisamente incorsi, a opera speculativa,in un crollo del loro valore di mercato; poi si sonorapidamente ripresi il valore precedente. Probabil-mente sono i loro (ignoti) gestori a realizzare questi

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zigzag, operando ad hoc in borsa, guadagnando cosìpaccate di milioni di dollari.

Si tratta, in ogni caso, dell’ennesima manifesta-zione contemporanea di una situazione mondialecaratterizzata da una grande miseria pubblica (in-tendendo con ciò una realtà sociale, cioè non soloeconomica), da un’immensa ricchezza privata, dallaloro relazione simbiotica ovvero strutturale, dal fat-to cioè, in questa relazione, che la ricchezza privataagisce spogliando sistematicamente tutto ciò che è“pubblico”.

La ricchezza privata, data la sua immensità, ègiunta a costituirsi in un nuovo tipo di potere digoverno al tempo stesso planetario e deterritoria-lizzato. Sicché nel corso di questi decenni le suepericolosità sono diventate immense esse pure, sulversante sia delle condizioni globali delle popola-zioni che di quelle del pianeta come luogo di vita.Più che mai il monetarismo si pone oggi come tra-gica buffonata ideologica tesa a impedire che tuttoquanto subisca tale potere planetario gli si ribelli.

Tornando ai bitcoin, il rischio che essi corronoè quello, perciò, proprio di ogni impresa finanzia-ria: e ciò significa che a definirne l’utilità economi-ca o sociale prosistemica o antisistemica o “neutra-le” varranno altri tipi di dati, cioè i loro risultati.Non è questa inoltre, concettualmente, una novitànel capitalismo. Né un’invenzione della sua fase at-tuale. Per esempio, neanche la rapina dell’argento edell’oro delle Americhe, mezzo millennio fa, daparte europea fu sostenuta da qualcosa di pubblico:però funzionò benissimo, moltiplicò il reddito di

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monarchie, nobiltà e altre classi abbienti, moltiplicòla loro capacità di domanda, consentì un grandesviluppo dell’economia, la obbligò a cominciare apassare dal feudalesimo al capitalismo, lo sviluppoeconomico non potendo più essere coperto dallecorporazioni urbane e da agricolture arretrate,come ci insegna Marx nel Capitale.

d. Individuare in modo più preciso a sinistra legrandi questioni cui l’UE non sa rispondere orisponde incrementando i danni che l’hannobuttata in crisi

E’ più che impellente, ormai, delineare dal latodella sinistra quale UE serva davvero alle popola-zioni europee, al loro benessere, alle loro econo-mie, alla loro democrazia, ai loro rapporti: e ciò èpossibile solo rettificandone in profonditàl’impianto istituzionale, non solo mettendoci dellepezze, non solo moderando quelle politiche chehanno comportato danni economici, politici e so-ciali devastanti. Si tratta, al contrario, di rifare l’UE.Crescono le forze politiche che vorrebbero abban-donarla, il Regno Unito lo sta facendo, altri statipotrebbero andargli dietro, catturali da Stati Uniti oRussia. Ma questo anziché portare a risultati validifarebbe perdere residue ma al tempo stesso impor-tanti utilità UE: la pace tra le sue popolazioni, il su-peramento delle frontiere interne, la sua possibilitàdi confrontarsi alla pari con gli altri grandi sistemidel pianeta, la sua possibilità di concorrere util-mente alla soluzione dei tremendi problemi mon-diali creati dalle distruzioni ambientali e climatiche,

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dalle conseguenti migrazioni di grandi masse di po-vera gente disperata, dai saccheggi capitalistici di ri-sorse finite, dai rischi di ulteriori grandi guerre ol-tre a quelle mediorientali, creati in questi decennidall’emancipazione a opera neoliberista degli spiritianimali feroci, nichilisti, irresponsabili di grande fi-nanza speculativa e 500 grandi multinazionali.

Non solo: abbandonare l’UE, tornare a unarealtà di stati e staterelli, significherebbe pureun’Europa ancor più ripiegata su se stessa, piùegoista e sociopatica, mezza fascista, razzista, attra-versata dalla ripresa di tradizionali antagonismi tra isuoi popoli, sempre più allo sbando su tutto.

Se i disastri planetari del neoliberismo non ver-ranno adeguatamente affrontati e superati, la stessablindatura razzista attuale dell’UE franerà, comeoggi frana sotto i nostri occhi un pezzo grandedell’Africa. Verranno fatti a pezzi la micragneria te-desca, l’arroganza francese, l’isolazionismo inglese,i populismi italiani, il franchismo spagnolo, il bigot-tismo illiberale polacco, la “razza” ungherese.

“Socialismo o barbarie”, dichiarò Rosa Luxem-burg nel contesto della Prima Guerra Mondiale:una quisquilia tale guerra, guardando alle tendenzeodierne.

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e. Darsi dunque, come sinistra, un’idea ambi-ziosa e avanzata molto precisa di ciò che vor-remmo fosse l’Europa; darsi, al tempo stesso,una traiettoria molto duttile e molto concretadi periodo

Lo si è già scritto: occorre darsi a sinistra la pro-spettiva di un’UE costituita in stato confederale,dotata non solo di parlamento eletto dalle sue po-polazioni ma di suoi ruoli pieni, non mutilati, non-ché dotata di carta costituzionale, di governo elettodal parlamento, di complesso di poteri raccordati.E’ utile guardare in questa prospettiva al Canada,stato plurinazionale, anche perché consente la re-cessione delle sue province. Occorre consentiresenza storie e avendo a sola condizione la demo-crazia politica l’entrata nell’UE di altri stati limitro-fi, guardando prima di tutto ai Balcani occidentali.Occorre consentire, al suo interno, tramite proce-dure democratiche e civili, la possibilità di trasfor-mare stati centralisti o federali a forte potere cen-trale (com’è per esempio la Spagna) in confedera-zioni, consentire anche la possibilità di un rifaci-mento di frontiere non gradite a pezzi di popola-zioni, alla sola precondizione di trattative civili.Giova ricordare come Gramsci teorizzò la necessi-tà per il Mezzogiorno e per le isole di un elevatissi-mo grado di loro autonomia rispetto allo stato cen-trale.

Al tempo stesso appare necessario che la sini-stra si doti di una “strategia” di periodo: per il sem-plice fatto che la distanza politica, sociale, istituzio-nale e quindi temporale rispetto alla possibilità di

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un tale stato confederale, o di quant’altro di pari si-gnificato generale, appare lunga. Certo non sonoda escludere precipitazioni, magari per effetto difenomeni critici di varia natura. Oggi però le cosestanno come scritto, inoltre le precipitazioni risul-tano tutte in senso contrario, cioè dissolventi.

Una “tattica” di periodo a sua volta significa,prima di tutto, la messa a fuoco di obiettivi specifi-ci e di modi attraverso i quali tentarne la realizza-zione in termini quanto meno significativi. Il bol-scevismo chiamava questa forma dell’operare poli-tico appunto “tattica”. Probabilmente oggi è pertante ragioni inopportuno il recupero di un tale lin-guaggio militaresco; esso però aveva il pregio dellachiarezza, dunque disponeva della capacità di evita-re banali elenchi di problemi, di oscillare di conti-nuo a seconda di sondaggi d’opinione, manovre dialtri partiti, campagne manipolatorie di stampa, cir-costanze parlamentari, con la conseguenza di unasistematica incertezza di fondo.

Sembrano tre le questioni che andrebbero postecon la massima energia, un’alta concentrazione del-lo sforzo e la capacità di andare allo scontro aper-to, pubblico, chiaro con i poteri UE fondamentali,tra essi, prima di tutto, la Commissione Europea e,se non cambieranno gli andazzi, la Germania.

Il primo scontro andrebbe aperto dal ripudiodel fiscal compact e dal ritorno ai parametri di Maa-stricht in tema di deficit. Quest’ultimo sarebbe oggiun buon obiettivo. Sul come si vedrà più avanti. Altempo stesso occorrerebbe allargare l’indebitamen-to e praticare gli aiuti di stato nei termini necessari

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allo sviluppo economico e sociale e alla lotta a ri-scaldamento climatico, distruzioni ambientali e dirisorse, ecc. Giova fare presente come i parametridel Trattato di Maastricht in tema sia di deficit chedi debito pubblici portarono danni molto graviall’economia dell’Italia, essendo essa a minore pro-duttività non solo, genericamente, di sistema,com’è ora, ma a quei tempi anche, specificamente,in sede industriale e finanziaria. Ora invece l’Italiarimane in tale situazione guardando a banche, pub-bliche amministrazioni, molti servizi, specificherealtà industriali, essendo invece diventata altissimala produttività di parte congrua dell’apparato indu-striale. Ciò è accertato dalle esportazioni: l’Italia, siè già scritto, è seconda nell’UE in sede di export.Vero è che ciò si basa molto sulla deflazione sala-riale: ma la stessa cosa vale per la Germania.

Va da sé che Commissione Europea, Eurogrup-po, forse futuro governo della Germania, molti go-verni nordici si metteranno di traverso e tuoneran-no fuoco e fiamme. Ma si tratta dei classici cani dapagliaio, poiché non in grado di attivare ritorsioni.Esse cioè esistono solo sulla carta. Richiami, tenta-tivi di intervento su leggi di bilancio, procedured’infrazione, tentativi di sanzioni possono essererespinti al mittente: l’Italia versa al bilancio comu-nitario per sette miliardi di euro annui più di quantine riceva. Altri tipi significativi di strumenti coerci-tivi non esistono. Ciò quindi è drammatico solosulla carta. In realtà basterebbe l’annuncio di taliintenzioni italiane per avviare in tempi solerti anzi-ché geologici, com’è da sempre, una discussione

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europea su un altro tipo di Europa, finalmente vi-cina alle popolazioni, democratica, antifascista, an-tirazzista. Ci sarà un po’ di caos? Non quanto cen’è già ora; e andando avanti secondo gli assetti eindirizzi attuali lo sbocco quasi scontato è il collas-so dell’UE.

Nei confronti della Commissione Europea loscontro a cui andare da parte italiana ne riguarda lepratiche, che spesso forzano anche abusivamente einbrogliando le carte riguardo ai contenuti dei Trat-tati e dello stesso fiscal compact. Occorrerà denuncia-re la tendenziosità settaria, maniacale e autoritariacaratterizzante l’imposizione di pratiche di bilancionon solo di danno alle popolazioni ma alle stesseeconomie, prima di tutto della zona euro. Ma so-prattutto occorrerà dichiarare che è per ragioni de-mocratiche di principio che la Commissione debbaessere abolita e sostituita da un governo europeoeletto dal Parlamento Europeo. Pressoché lo stessovale guardando ai poteri dell’Eurogruppo e dei ver-tici delle divisioni generali della Commissione:l’Eurogruppo è da eliminare, le divisioni generalidebbono trasformarsi in commissioni parlamentario in uffici ministeriali.

Esiste già nelle competenze e nella prassi delParlamento Europeo qualcosa che può valere daprecedente utile, andando allo scontro con la Com-missione Europea. Il Parlamento Europeo non di-spone del potere di sfiducia nei confronti dei dueesecutivi europei, Consiglio Europeo oltre cheCommissione: tuttavia dispone di un potere di cen-sura, che già, inoltre, è stato adoperato, e che ha

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portato a dimissioni. La Commissione Santer, anzi,si dimise (marzo 1999) alla vigilia di un voto parla-mentare di censura motivato dal fatto che ben trecommissari avevano abusato di fondi a loro dispo-sizione. La partecipazione del ministro italianoRocco Buttiglione alla costituenda CommissioneBarroso (ottobre 2004) fu criticata a larghissimamaggioranza, avendo Buttiglione dichiarato,nell’udienza in quella commissione parlamentareche ne doveva valutare l’allineamento all’acquis co-munitario, di considerare l’omosessualità, comecattolico, un peccato. Niente formalmente impedi-sce che questa prassi possa essere praticata da statiUE. Non a caso, giova aggiungere, già i loro gover-ni possono intervenire, proponendo testi di legge,sugli itinerari legiferativi UE: perché non sul com-portamento della Commissione, l’esecutivo ope-rante in permanenza, incontrollabile e ormai inter-venente su tutto?

Ancora, lo scontro andrebbe aperto sui ruolidella BCE: con l’obiettivo che se ne allarghino ipoteri, che la pongano cioè come banca centraledotata dei medesimi poteri di ogni altra decentebanca centrale del pianeta, ovvero ponga nel suostatuto, in analogia alla Fed statunitense, che suoiobiettivi sono stabilità dei prezzi, pieno impiego emoderati tassi di interesse, non già, come adesso,solo stabilità.

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f. Poscritto: il tentativo, al tempo stesso mini-mo, improbabile e pericoloso, di “riforma”dell’UE recentemente avviato da Juncker,l’inadeguatezza della presa di posizione dallato del governo italiano

Intelligenza politica e duttilità tattica della sini-stra italiana dovrebbero affrontare quanto primaalcuni fatti recenti, per più ragioni di importanzacruciale. A oggi a effettuare dichiarazioni adeguatealle grandi questioni in ballo c’è stato solamenteMassimo D’Alema. E’ evidente un’inadeguatezzadi fondo della sinistra, ed è evidente come essa siadannosa in più sensi.

Cosa ha proposto Juncker. Questi, vecchio de-mocristiano intelligente, competente e opportuni-sta, consapevole di come la crisi in cui l’UE è pre-cipitata tenda a dissolverla, ha costruito, a sèguitodi delega del Consiglio dei Capi di Stato e di Go-verno alla Commissione Europea, da egli presiedu-ta, una proposta che, nella sua intenzione, vorreb-be superare le tensioni in tema di intervento sui bi-lanci pubblici tra, grosso modo, sud e nord dell’UE.Tale proposta, per quel che se ne coglie, consegne-rebbe e al tempo stesso correggerebbe qualcosa ri-guardo alle posizioni e alle richieste delle varie partiin causa. Al nord, cioè (perciò, prima di tutto, allaGermania), Juncker intenderebbe consegnarel’entrata del fiscal compact nell’acquis europeo (fino aoggi esso è stato, come accennato, un accordo in-tergovernativo: che per di più scade il 31 dicembredel 2017, dopo di che o verrà trasformato in Trat-tato o scadrà e torneranno i parametri di Maastri-

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cht in tema di deficit e debito pubblici). Al sud inve-ce Juncker intenderebbe consegnare quel che difatto esso ha già recentemente acquisito, ma, percosì dire, ufficiosamente oltre che con vistosi limi-ti, poiché sottoposto alla discrezionalità della Com-missione e alle sue pretese di prosecuzione di tagliforzosi del debito pubblico degli stati più indebita-ti, tra cui è l’Italia: cioè consegnare stabilmente“flessibilità” sul terreno della spesa pubblica. Infi-ne a tutti quanti Juncker intenderebbe proporre lacostituzione di una sorta di superministro econo-mico dell’UE (o di un superministro più un vicesu-perministro) dotato (o dotati) di poteri sostanzial-mente totali (non risponderebbero né al Consiglioné alla Commissione né al Parlamento Europeo)nella determinazione degli orientamenti e delle de-cisioni di politica economica e finanziaria di mag-giore rilievo comunitario. Infine Juncker ha propo-sto la trasformazione del Fondo Europeo di Stabi-lità Finanziaria (il cosiddetto Fondo Salva Stati), fi-nalizzato a intervenire in presenza di collassi eco-nomici statali e al tempo stesso dotato di pochi sol-di, in un Fondo Monetario Europeo: in una sortacioè di duplicazione di un FMI entrato da tempo indifficoltà finanziarie oltre che sottoposto di fatto acomando statunitense.

Disastro: si tratta, palesemente, del massimopossibile di riproduzione degli assetti istituzionaliUE in corso più dell’invenzione peggiorativa di unulteriore superburocrate plenipotenziario, come senon ce ne fossero già troppi a far danno. Più flessi-bilità significherebbe per l’Italia, la Grecia, ma in

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ultima analisi per quasi tutta la zona euro, conti-nuare ad andare a Bruxelles con il cappello inmano a chiedervi elemosine dando in cambio taglialla spesa, per di più confrontandosi non solo allaCommissione Europea ma anche al superministroeconomico ecc. I quali, con ogni probabilità, si in-tralcerebbero tra loro, come già accade tra Com-missione Europea ed Eurogruppo, spostando allecalende greche ogni decisione, buona o cattiva chesia. Ma quanto di più preoccupante sta nella pro-posta di Juncker è la promozione del fiscal compactin trattato, che rafforzerebbe enormemente faziosi-tà e discrezionalità delle figure più neoliberiste-monetariste dentro alla Commissione e alle altreburocrazie UE; imporrebbe tassativamente al su-perministro economico il neoliberismo-monetari-smo come dottrina e come pratica sue obbligate;con tanti saluti quindi all’utilità del FME. Una talesituazione potrebbe inoltre consentire interventicensori di tali figure nei confronti di politiche mo-netarie espansive da parte della BCE.

Già in contrasto con il tentativo, sgangherato einconcludente, di Renzi di fare un po’ di polemicapopulista nei confronti di un’UE matrigna, onderecuperare un po’ di consenso elettorale, il governoGentiloni ha dovuto ultimamente rettificare, ovve-ro scostarsi un po’ dalla Commissione Europea.L’idea infatti di questo governo di continuare atrattare con la Commissione Europea un po’ diflessibilità in cambio di tagli alla spesa palesementeha palesato un’insignificanza economica assoluta.Naturalmente le riserve espresse dal governo Gen-

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tiloni sono cautissime, ciò che significa che conqualche mancia in più potrebbero venire meno.

La proposta di Juncker, se accettata dal Consi-glio dei Capi di Stato e di Governo, una volta com-piutamente elaborata richiederebbe una discussio-ne tutt’altro che breve in sede sia UE che degli statimembri. Intanto, perciò, verrebbe avviata nel 2019.Poi andrebbe discussa in un Parlamento Europeodi fresca nomina, quindi composto da una grandemaggioranza spaesata. Parimenti ogni governo eogni parlamento degli stati UE avrebbe qualcosada rilevare. D’altro canto sono questi i tempidell’UE. Nel frattempo, giova aggiungere, potrebbeaccadere di tutto e di più. In ogni caso, ciò cheGentiloni obietta è questo: che servono politichemonetarie UE più orientate alla crescita e allo svi-luppo del pubblico e finanziate con un budget co-mune quindi nelle mani della Commissione Euro-pea; che alcuni investimenti andrebbero sottratti alconteggio dei deficit e dei passivi pubblici; che ser-vono politiche fiscali UE omogenee, onde potertassare seriamente i grandi gruppi transnazionaliindustriali e finanziari; che il superministro econo-mico dovrà occuparsi di investimenti e di crescita,non di ficcanasare e spadroneggiare egli pure neibilanci pubblici degli stati UE; che servono mecca-nismi di intervento finanziario da parte UE dinanzia shock gravi, come, per esempio, tracolli dell’occu-pazione; che serve una politica UE rispettata datutti i suoi stati in tema di migranti.

In breve, questo come elenco andrebbe bene,per quanto generico e insufficiente: se non fosse

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che una disciplina di bilancio pubblico orientata dalfiscal compact al pareggio concretamente significhe-rebbe l’impossibilità di affrontare i grandi e molte-plici problemi di cui soffrono i vari paesi UE, tracui quelli, particolarmente pesanti e numerosi, ita-liani. E, si badi, mentre le richieste di Gentiloni in-capperanno in ogni tipo di ostacolo e, comunque,se passassero ciò avverrebbe in tempi tutt’altro chebrevi, il fiscal compact per non defungere dovrà esse-re approvato dai parlamenti e dai governi dei varistati UE e dal Consiglio dei Capi di Stato e di Go-verno entro quest’anno; e dovrà avvenire all’unani-mità (o quasi, nel senso che eventuali governi dis-senzienti dovrebbero evitare di opporre il veto),ciò che significa sia una centralità sostanziale dellaquestione nel dibattito politico europeo che, conogni probabilità, movimenti di protesta di varia na-tura, sindacali o alimentati da forze di destra.

Una soluzione alternativa di sostanziale pari si-gnificato potrebbe invece essere, con il vantaggioinoltre di risultare più veloce, l’esclusione di partequanto meno ampia degli investimenti pubblici dalconteggio di deficit e debito pubblici. A questo pun-to si può anche tenere in vita il fiscal compact, perchénon significherebbe più niente. Ma a oggi nessunarealtà significativa UE ha suggerito questa posizio-ne.

Dunque abbastanza alla svelta il prossimo Parla-mento italiano dovrà decidere che fare del fiscalcompact ecc. e poi di quella che risulterà essere laproposta di rifacimento dell’intera costruzione eu-ropea.

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Giova aggiungere come a questo momento iltentativo di Juncker appaia di una grande fragilità,altro che tentativo importante di mediazione. Ri-sponde più a un vuoto di iniziativa che a un’effetti-va possibilità. Qualcosa tuttavia avverrà.

Ancora, non si sa quale sarà prossimamente laposizione della Germania. Vi verrà composto ungoverno democristiano-socialdemocratico? Terrà,in tal caso, la posizione attuale, quasi tutta apprez-zabile, del presidente socialdemocratico MartinSchulz? Merkel è corsa a Parigi a incontrare Ma-cron, nel tentativo di ridare linfa a un asse franco-tedesco di comando indubbiamente indebolito dairisultati elettorali tedeschi. Macron dapprima favo-revole al superministro economico pare che ci ab-bia ripensato, ecc. E’ quindi possibile che quantosta qui scritto qui sopra svanisca prossimamentecome neve al sole, salti fuori qualche altra ipotesi dirifacimento dell’UE, ecc.

Parimenti è interessante notare come nel dibat-tito inter-istituzionale europeo non manchinospunti interessanti. Il governo finlandese proponeche non sia più il PIL lo strumento valutativo fon-damentale della situazione economica di un statoUE, poiché tale strumento misura solo la quantitàdi ciò che è realizzato dal processo economico,non tiene conto né di crescita e sviluppo reali nédelle diseguaglianze nella società, non raccogliebuona parte degli effetti economici indirettidell’economia digitale, degli effetti benèfici dei ri-sultati della lotta al riscaldamento climatico, delleenergie pulite e rinnovabili, dei risultati dei miglio-

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ramenti della qualità di aria, acque, suoli, paesaggio,boschi e foreste, giacimenti storico-culturali, lavorocasalingo, attività familiari di cura, neppure sosteni-bilità del sistema finanziario.

E’ anche per via di tutto questo che è molto altala probabilità di un futuro italiano post-elettoraleche richieda alla sinistra l’unità tra una solida “stra-tegia” socialista e una “tattica” molto articolata diinterventi su un gran numero di questioni, data lapossibilità di realizzare risultati, che non potranno,quasi sempre e probabilmente a lungo, che essereparziali, ma che al tempo stesso saranno utili al mi-glioramento delle condizioni di vita popolari e allaloro ripoliticizzazione classista. Cruciale risulterà lacapacità a sinistra di discutere con il popolo, ascol-tarlo, tenere conto di sue richieste e sue critiche.Tra gli obiettivi coessenziali va collocata ai primiposti la riattivazione classista del mondo del lavoroe di ogni altra area popolare, dando così anche unamano a rafforzare le mobilitazioni sindacali, giàfortunatamente in ripresa. Attenzione a evitare pa-teracchi illusori o minimalisti sul versante di gover-ni antisociali o di formazioni liberali più o menoconfusionarie. Meno retorica comiziale apologeticadel modello Corbyn, più capacità di farsi carico inItalia della lezione intelligente che ce ne viene.

Giova non andare oltre in questi ragionamenti.Non sappiamo chi governerà, che Parlamento cisarà. In quali forme il rapporto tra fermezza criticae duttilità pratica potrà manifestarsi lo si vedrà solotra qualche mese. Nel frattempo, però, tentiamoquesto rapporto di cominciare da ora a costruirlo.

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Appendice

Quale forma partito.Contributo a una franca discussione

Introduzione

La costruzione di una soggettività politica di si-nistra sta riscuotendo, con la formazione diLibere/i e Uguali, una potente accelerazione sul ter-reno sia del consenso sociale che delle adesioni didonne, giovani, proletariato, intellettuali, docenti,professionisti, giornalisti, quadri militanti politici esindacali, figure di grande rilievo e prestigio. Lamassima concentrazione dell’iniziativa deve essereora applicata all’imminente campagna elettorale.

La complessità del processo aggregativo ne hacomportato un certo ritardo. All’incremento inessa della nostra credibilità necessitano un pro-gramma e una sua sintesi facilmente usabile sulpiano propagandistico e del consenso.

Al tempo stesso è importante che la forma con-federativa che ci siamo a dati con Libere/i e Uguali,in quanto precondizione anche della costituzionepost-elettorale di un partito, introduca nel proprioprocesso robusti elementi di organizzazione e didemocrazia, sia formali che attivamente partecipatedal lato della base militante.

Non vuole essere questa una critica alle formedi direzione che Articolo 1-MDP sino a oggi si è

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dato. Come tutti i processi orientati alla creazionedi organizzazioni politiche, anche il nostro è stato“complesso”; concretamente, avviato dall’iniziativa“lungimirante” di un primo nucleo di gruppo diri-gente capace di rispondere con audacia alla richie-sta politica, partecipata e organizzata di aree signi-ficative di quadri e di militanza per così dire in atte-sa. La rivendicazione di una partenza tutta “dalbasso”, benché sia da raccoglierne integralmentel’intenzione democratica, è ingenua: nessun partitoè mai nato, storicamente, per questa via.

Tuttavia la forma che come Articolo 1-MDP cisiamo dati, proprio per effetto del suo successo hacominciato a battere in testa, a richiedere una pro-gressiva autotrasformazione, appunto un forte av-vio di più organizzazione e di più democrazia par-tecipata. Più le cose sono andate avanti, più ai pri-mi incipienti elementi di democratizzazione seguitialla costituzione di strutture locali ha corrispostouna difficoltà di dialogo tra le posizioni elaborateda tali strutture e i livelli centrali.

Questa difficoltà ha molto colpito e danneggia-to Milano e la Lombardia, concretamente obbligateper oltre tre mesi a fermarsi dal tentativo di porre illiberale Giuliano Pisapia a capo di Articolo 1-MDP epoi disorientate dal tentativo, auspicato dal latocentrale, di un’alleanza alle elezioni regionali traArticolo 1-MDP e un PD guidato all’ultraliberistaGiorgio Gori. Mai c’è stato un confronto in mate-ria partecipato dalla militanza lombarda con espo-nenti del gruppo dirigente centrale.

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L’unità tra più organizzazione e più democraziapartecipata è lo strumento che le realtà militantilombarde hanno comunque tentato testardamentein questi mesi di realizzare. I risultati attuali sono laforte accelerazione della costruzione di un buonpartito e dalle sue pratiche interne democratiche.Ciò servirà moltissimo, in un territorio molto diffi-cile, a un’efficace campagna elettorale.

Indispensabilità di un largo radicamento so-ciale del partito

E’ d’ordine primario e urgente il radicamentosociale di Articolo 1-MDP, Libere/i e Uguali, il parti-to che dall’esperienza federativa in corso sorgeràsui territori e nei luoghi di lavoro e di studio. Ciòdeve intendersi non solo come semplice aperturadi sedi, in ogni caso indispensabile, ma anche comeapertura massima possibile di luoghi nei quali ci siala sede e in una qualche unità a essa ci siano spazidi socializzazione e di vita suscettibili di raccogliereanziani, giovani, donne, lavoratori, popolo interes-sati alla partecipazione politica e al tempo stessodesiderosi di luoghi di relazioni amicali e solidali,insomma di luoghi di vita. La continua dissoluzio-ne, a opera neoliberista, dei mondi di vita popolaririsulta spesso più dolorosa, a livello popolare, dellamiseria, della mancanza di lavoro, della mancanzadi diritti. Dobbiamo essere massimamente preoc-cupati di come la crisi infinita della sinistra politicaitaliana abbia largamente dissolto le proprie rela-zioni con le altre forme associative popolari così

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come le relazioni dentro a queste ultime, con effet-to globale di impoverimento delle capacità di cia-scuna sul terreno pratico e su quello delle capacitàdi orientamento politico e culturale.

Una possibilità offerta dalla ricostituzione incorso di una sinistra politica “decente” (Tom Bene-tollo) potrebbe anche consistere, grazie allo svilup-po di relazioni collaborative, nell’affitto di sedi diArticolo 1-MDP, Libere/i e Uguali, il futuro partitodentro a sedi di cooperative, circoli ARCI, sediANPI, anche centri sociali giovanili.

Senza, in ogni caso, la realizzazione di una retevasta di sedi aperte e ricettive di popolo sarebbepura velleità ritenersi realtà politica capace di diffu-so e articolato complesso di rapporti sociali, pro-motore sul territorio di democrazia partecipata, ca-pace di ripoliticizzazione delle classi popolari e diloro mobilitazione attiva.

Appare decisiva, in questa prospettiva, certo inun quadro di relazioni paritarie e di reciproca indi-pendenza, la ricostituzione di un forte rapportocon le organizzazioni sindacali dei lavoratori, il mo-vimento cooperativo, le altre forme di organizza-zione e di partecipazione del mondo del lavoro edelle classi subalterne, a partire da quelle storica-mente di classe, benché non solo. Tra le ragioni piùsostanziali delle difficoltà della risposta sindacalealle canagliate antisociali dei governi neoliberisti cista in Italia, indubbiamente, l’estrema debolezzasoggettiva e oggettiva della sinistra politica in que-sti decenni.

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Analogo ragionamento, certo nelle apposite for-me, riguarda gruppi professionali e piccola e picco-lissima imprenditoria. E’ dato storico della sinistraitaliana la capacità di rivolgersi anche alle classi me-die e di portarle all’alleanza con quelle sfruttate,tendendo così alla creazione di un largo “bloccostorico” (Antonio Gramsci) della trasformazionesociale. Analogo ragionamento vale guardandoall’universo cattolico, dentro al quale non da oraoperano aspettative e movimenti molto avanzati,oltre che sul piano sociale anche su quello dellaconcezione e le pratiche della democrazia.

Quali le forme oggi necessarie della comuni-cazione

Attenzione a che non ci si bei della presenza,per quanto possa risultare efficace, di nostri espo-nenti sui mass-media, televisivi o cartacei. Non va di-menticato che i mass-media sono quasi sempre ostilialla sinistra politica, che sono essi a porre i temi, eche ciò spesso fanno in forma mistificante oltreche banalizzante e assordante. L’adagiarsi, in viaquanto meno di fatto, su una tale situazione signifi-cherebbe di fatto tendere a un partitello di mezzatacca e qualità e come tale costretto o a essere al-leato subalterno di posizioni essenzialmente liberalie subalterne al neoliberismo o a chiudersi inun’opposizione rigida poco o per nulla efficace, so-migliando così ai vari partitelli di sinistra nel conte-sto europeo. La capacità di essere davvero “sinistradi governo” anziché molto facilmente oscillare tra

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velleitarismo e minimalismo sta anche nella com-prensione di questo come degli altri nostri limiti e,quindi, nell’azione tenace per superarli.

Dunque alla costruzione di una soggettività po-litica di sinistra necessita un’adeguata dotazione distrumenti di comunicazione.

Intanto si tratta degli strumenti di più immedia-ta e diffusa utilizzazione sociale creati dalla rivolu-zione informatica. Già adesso vengono ampiamen-te usati da realtà militanti, nella produzione di gior-nali o settimanali ecc. Talora sono di tendenza, ta-lora editi da gruppi dirigenti nazionale e locali.Dato di grande importanza, questi strumenti por-tano la comunicazione a “tempi reali”; inoltre, for-nendo informazioni d’ogni genere, consentono lacognizione di fatti e l’appropriazione di nozioni,analisi, orientamenti, ecc. altrimenti irreperibili, oreperibili da pochi, dati i costi significativi di altristrumenti. Ciò già tende alla facilitazione di un su-periore grado di democrazia partecipata. Senza ladisponibilità di flussi informativi larghi e sistemati-ci la partecipazione militante alla discussione inter-na di base può limitarsi a un consenso o a una po-lemica elementari rispetto a orientamenti calatidall’alto.

Soprattutto le generazioni giovani dispongonodi una grande capacità d’uso di quegli strumenti:occorre da parte della sinistra porli in condizionedi insegnare a quelle popolari di mezza età e a quel-le anziane come usarli.

Ancor meno va ignorata o sottovalutata l’effica-cia propagandistica, organizzativa di massa, capace

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di rapide mobilitazioni di tali strumenti. Un forteincremento del loro uso potrebbe venire dalla co-struzione di un registro unitario degli indirizzi, ge-stito dal livello centrale e da quelli intermedidell’organizzazione politica, continuamente arric-chibile. Sinistra Italiana e Possibile già di una certacentralizzazione degli strumenti dispongono; ana-loga cosa Articolo 1-MDP ha cominciato a fare. Ov-viamente è anche quanto competerà di fare a Libe-re/i e Uguali e al futuro partito unitario.

Altrettanto importante è la creazione di stru-menti cartacei, particolarmente validi sul terrenodella crescita culturale e politica della militanza, suquello della propaganda riguardante temi comples-si, su quelli della creazione di intellettuali di partitoe dell’influenza in ambiti intellettuali e professiona-li. Giungere a disporre di un quotidiano modellol’Unità d’un tempo, di un settimanale, di un mensileo bimestrale cartacei sarebbe di grande utilità per lacrescita qualitativa del futuro partito. In questaprospettiva, per sua natura di non breve lena, ma altempo stesso urgente, potrebbe risultare utile di-sporre di una società editrice.

Infine sarebbe di grande utilità, dal punto di vi-sta della formazione della militanza, la creazione diuna scuola nazionale e di scuole locali addette essepure, tramite rapidi corsi, alla formazione, inoltrealla realizzazione di conferenze, seminari, convegnipubblici di tipo tematico. Questo compito sarebbeda affrontare immediatamente dopo la fase eletto-rale. Inoltre non dovrebbe essere una formazioneoperata al solo livello teorico o teorico-politico: ma

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orientata anche all’acquisizione di capacità pratiche,di organizzazione politica, di organizzazione dimassa, di inchiesta sociale.

Quale democrazia di partito, quali i suoi ele-menti urgenti

Il passaggio a un superiore grado di democraziapartecipata interna risulta per molte ragioni impor-tanti e più che urgente in Articolo 1-MDP. Serve inquesta prospettiva, intanto, un gruppo dirigentenazionale strutturato; e serve la generalizzazione diciò che analogamente già avviene ai vari livelli terri-toriali.

Un gruppo dirigente nazionale strutturato signi-fica, intanto, che ne siano parte tutti i quadri diri-genti effettivi, non ci siano cioè più quelli “a margi-ne”, spesso i più capaci, triadi, figure individualimonocratiche, ecc. Ma non ci siano solo essi. Van-no cioè collocate in tale gruppo dirigente anche fi-gure non istituzionali. Intanto, appartenenti alle di-verse generazioni nel loro complesso: storicamenteogni formazione politica non episodica della sini-stra si è caratterizzata per “patti” democratici tragenerazioni. In secondo luogo, figure di lavoratoridipendenti, precari, disoccupati. Parimenti occorreche le strutture esecutive d’ogni livello si caratteriz-zino per maggioranze numeriche costituite da figu-re non istituzionali. Queste ultime, soprattutto perquanto riguarda il livello centrale, debbono esseremesse nelle condizioni di una partecipazione effet-tiva e, grazie a ciò, di una parità sostanziale nella

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gestione collegiale. Soprattutto, inoltre, è da critica-re e da superare a tutta velocità la quasi totale as-senza di compagne nei ruoli centrali. Sarebbe unsegnale di civiltà, accanto al superamento di questodato, la duplicazione dei ruoli di segretario o dicoordinatore consegnandoli unitariamente a unacompagna e a un compagno. Molte organizzazionidella sinistra mondiale fanno così da tempo. Non acaso: è in atto a livello planetario un’insorgenzastraordinaria, ovviamente in forme molto differen-ziate, delle donne, contro discriminazioni, asservi-menti, brutalità, insomma per l’eguaglianza dellepossibilità di vita. Infine è da criticare e da superarela diffusa mancanza di affidamenti di ruoli politicialle figure più valide della generazione più giovane.

Quindi occorre, in vista delle prossime elezionipolitiche, che la disposizione delle candidature ven-ga effettuata in modalità tali da effettivamente ten-dere a gruppi parlamentari paritari sul pianodell’appartenenza di genere, inoltre includano figu-re della generazione più giovane.

Occorre che siano prossimamente ridotte al mi-nimo le candidature in più collegi. Occorre chegiungano a rapido esaurimento le figure dei funzio-nari al servizio delle singole figure istituzionali, sal-vo situazioni particolari (come la presidenza di unacommissione, la presidenza del gruppo politico,ecc.), e che, invece, i funzionari sia antichi che nuo-vi vengano posti al servizio del complesso deimembri dei gruppi. Occorre, cosa questa dellamassima importanza dal punto di vista dell’effetti-vità della democrazia interna, che i funzionari non

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dispongano di ruoli politici che non siano elettivi,ponendo così termine a ogni rischio di intrusionearbitraria in situazioni locali.

Ancora, occorre realizzare la separazione traruoli di presidente delle rappresentanze istituziona-li e ruoli di segreteria/o dell’organizzazione politi-ca, prima di tutto guardando al livello nazionale,ma anche ovunque si disponga di gruppi istituzio-nali territoriali di una certa numerosità e di orga-nizzazioni di una certa consistenza.

E’ più che opportuno e per molte ragioni, infi-ne, che la partecipazione istituzionale non superi,eccezioni motivate a parte decise dalle istanze poli-tiche, i due mandati consecutivi.

Già le nostre figure istituzionali concorronocon i loro versamenti in più direzioni al finanzia-mento di Articolo 1-MDP. Va da sé che l’esaurimen-to del finanziamento pubblico ai partiti partecipidel Parlamento e la crescita organizzativa e delle at-tività sui territori non può che incrementare la ri-chiesta ai parlamentari di contributi finanziari.Onde evitare situazioni incerte o caotiche è beneche i livelli di tali contributi siano discussi e delibe-rati dall’organizzazione politica nel suo insieme eche si sappia anche, in queste sedi, tenere contodelle differenti situazioni individuali. Vanno tutela-ti, inoltre, quelle compagne e quei compagni giàparlamentari che non siano stati rieletti e che dallanon rielezione abbiano subito danni materiali signi-ficativi.

Vanno regolati e democratizzati i rapporti tra illivello nazionale e quelli locali, stabilendo prima di

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tutto che le materie di competenza locale debbanoessere gestite e decise dalle istanze locali. Certa-mente il livello centrale può interloquire, racco-mandare, criticare i livelli locali (certamente valeanche l’opposto): ma mai il livello centrale può di-sporre della decisione in sede di questioni locali.Inoltre ogni confronto tra tali livelli deve avvenireattraverso una discussione pubblica. Ciò vale inmodo speciale nella circostanza di elezioni locali.Sono stati chiusi dalla storia i tempi in cui operò ilgrande PCI, certo caratterizzato dalle più ampie di-scussioni ma poi dal fatto che il gruppo dirigenteordinava e l’intendenza obbediva, convinta o nonconvinta. Anche l’intendenza oggi deve contare, ismatter.

Si badi: il complesso di queste condizioni è de-cisivo nella definizione della qualità dell’organizza-zione politica sul piano della democrazia, dell’egua-glianza, della solidarietà tra militanti. Una loro as-senza anche parziale semplicemente significhereb-be l’introiezione nell’organizzazione di rapportiasimmetrici ovvero di ceto dominante e di unaconseguente grande difficoltà in sede di ricambinei ruoli politici e istituzionali apicali.

L’esperienza dell’intero periodo a oggi di esi-stenza di Articolo 1-MDP e il fatto stesso dell’aggre-gazione in corso e tendente a un partito che coin-volge Articolo 1-MDP, Sinistra Italiana, Possibile, altrerealtà sollecitano un’aperta e legittima possibilità dicreazione di piattaforme di tendenza dotate distrumenti di comunicazione e di possibilità di riu-nione. D’altra parte esse già esistono in Articolo 1-

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MDP dalla nascita. Ovunque, storicamente, tutti ipartiti della sinistra si sono caratterizzati per diver-sità interne anche significative di posizioni, ivicompresi quei partiti che ciò ufficialmente negava-no e magari reprimevano. Il modo migliore perevitare l’incancrenimento di posizioni specifiche elotte interne organizzative sta proprio nella traspa-renza e nella libertà di espressione delle posizioniin campo.

D’altra parte nulla indica oggi, concretamente,una tendenza a fratture frazionistiche determinateda corpose differenze nell’orientamento politico.Qualcosa di simile era nelle possibilità iniziali diArticolo 1-MDP, oggi le differenze appaiono di por-tata secondaria se non marginale. L’anno che staconcludendosi è stato foriero di insegnamenti, pri-ma di tutto ha sbarazzato il campo da tatticismi.

Certamente i prossimi mesi sono quellidell’impegno elettorale e per non molto di più.Tuttavia dopo le elezioni occorrerà andare solleci-tamente a un congresso fondativo di un partito ba-sato sulla massima democrazia partecipata.

L’urgenza primaria di un’identità socialista delcostruendo partito

Il complesso dei ragionamenti sin qui sviluppati“tiene” alla condizione generalissima di un’identitàchiara di Articolo 1-MDP e del costruendo partito.La totalità delle organizzazioni politiche europee disinistra impegnate nella critica antiliberista, nel ri-lancio della democrazia, nella difesa delle classi po-

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polari e medie, nella ricostituzione dei sistemi, piùo meno deteriorati, di welfare ecc. dichiara comepropria prospettiva di società il socialismo. Non sitratta solo di organizzazioni tradizionali formate inaltri momenti storici e più o meno richiamantisi almarxismo: ci sono neoformazioni con altra culturae partiti ambientalisti; ci sono culture e correntifemministe e cristiane. I più o meno recenti tentati-vi socialisti in America latina fanno capo a sincreti-smi teorici basati sul marxismo, sull’ambientalismo,sulla filosofia della liberazione (contigua essa almarxismo ma non completamente sovrapponibile,creata da intellettuali cattolici, solidamente appog-giata su chiese di base e loro sacerdoti e su movi-menti di braccianti, contadini poveri, operai). Persi-no negli Stati Uniti è venuto costituendosi un vastoprocesso politico, mosso da sindacati, donne, co-munità nere e ispaniche, intere amministrazionistatali e locali, mezzo Partito Democratico, la cuiproposta alla società è il socialismo. E’ il ritorno inOccidente alla grande ormai della lotta di classe aimporlo, bellezza. Non si capisce come Articolo 1-MDP e il costruendo partito possano evitare di di-chiarare, formalmente e molto rapidamente, il so-cialismo come propria prospettiva.

Il rischio della prosecuzione in Articolo 1-MDPdi una discussione saltuaria, erratica, mai portataalla sintesi necessaria sulla questione, effetto a voltedi supponenza provinciale, a volte di incertezzepotenzialmente pericolose sulla natura stessa socia-le del futuro partito, può solo recargli danni di va-ria natura e anche gravi. Parimenti può solo porta-

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re a cadute di credibilità del costruendo partito nel-le famiglie socialiste europee, le cui componentinon subalterne al neoliberismo o settarie guardanomolto interessate al ritorno in Italia di una forte si-nistra.

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