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Relatrice: Chiar. ma Prof. ssa PAOLINA MULÈ Correlatrice: Chiar. ma Prof. ssa TERESA CONSOLI UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PROGRAMMAZIONE E GESTIONE DELLE POLITICHE SOCIALI (LM-87) TESI DI LAUREA ANNO ACCADEMICO 2011 / 2012 VALENTINA GIANNONE MODELLI DI EDUCAZIONE INFANTILE TRA PASSATO E PRESENTE
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Relatrice: Chiar. ma Prof. ssa PAOLINA MULÈ

Correlatrice: Chiar. ma Prof. ssa TERESA CONSOLI

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PROGRAMMAZIONE E

GESTIONE DELLE POLITICHE SOCIALI (LM-87)

TESI DI LAUREA

ANNO ACCADEMICO 2011 / 2012

VALENTINA GIANNONE

MODELLI DI EDUCAZIONE INFANTILE

TRA PASSATO E PRESENTE

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INDICE

INTRODUZIONE p.2

CAPITOLO I DALLE ORIGINI AD OGGI. L’EDUCAZIONE

ALL’INFANZIA p.9

1.1. Analisi storica sull’educazione

1.2. L’educazione del fanciullo nel pensiero di Rousseau e di Froebel

1.3. La scomparsa del “bambino adulto” dalle sorelle Agazzi a Montessori

1.4. L’attivismo idealistico di Giuseppe Lombardo Radice

CAPITOLO II IL PROBLEMA DELL’EDUCAZIONE INFANTILE

NELLA SCUOLA p.87

2.1. L’educazione infantile nell’attuale scuola dell’infanzia

2.2. L’evoluzione dei Programmi scolastici

2.3. I modelli di formazione della scuola attiva e progressiva

2.4. I processi di apprendimento e di insegnamento

CAPITOLO III PROSPETTIVE PEDAGOGICHE PER UN NUOVO

PROCESSO EDUCATIVO NELLA SCUOLA DEL XXI SECOLO

p.146

3.1. I servizi per l’infanzia: il ruolo dell’assistente sociale

3.2. Il “nido” e la nuova scuola dell’infanzia

3.3. Infanzia, gioco, educazione

3.4. La prospettiva ludiforme per la formazione dell’infanzia

CONCLUSIONI p.180

BIBLIOGRAFIA p.184

SITOGRAFIA p.192

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INTRODUZIONE

Gli studi sui modelli di educazione infantile delineano il fulcro del dibattito

pedagogico contemporaneo, a cui ha preso parte la vasta letteratura pedagogica. Le

analisi condotte negli ultimi decenni dai pedagogisti italiani, proprio in ragione della

complessità dell’oggetto e della natura dell’argomento, hanno preso le mosse dal

problema fondamentale dell’identità della pedagogia, evidenziando il rapporto esistente

tra formazione ed educazione dell’infanzia. Per consentire un discorso che ci aiuti ad

individuare questi modelli tra passato e presente, la tesi è stata strutturata in tre capitoli.

Sicché, nel primo capitolo è stata fatta un’analisi storica sull’educazione,

partendo dal concetto di Bildung, mostrando, dal punto di vista pedagogico, come il

concetto di formazione si è evoluto, a partire dal mondo classico1.

Nella tradizione greca l’educazione era intesa, inizialmente, come formazione

del cittadino della polis, successivamente però, furono proprio i Greci a parlare per la

prima volta di Paideia, con cui la formazione diventò sinonimo di cultura. Un modello

educativo basato sulla scissione dell’istruzione finalizzata per un verso alla cura del

corpo e al suo rafforzamento e, per un altro, alla socializzazione dell’individuo nella

polis, ossia all’interiorizzazione di quei valori universali che costituivano l’ethos della

popolazione2. In seguito furono i Sofisti a spostare lo studio della formazione dalla

ricerca di un origine intellettuale, alla comprensione dell’uomo e delle sue facoltà, mutò

così il fine dell’educazione, intesa come formazione dell’uomo politico.

Nel secolo della rivoluzione scientifica, Comenio intuì la necessità di un nuovo

modello di educazione, affinché l’educando sin dall’inizio potesse avere le basi di tutto

il sapere. Ecco che allora è grazie all’opera di questo autore che l’insegnamento diventò

sinonimo di pansofia, intesa come sapienza universale, da realizzare tramite la

pampedia, ossia un’educazione universale3. Ma solo dalla seconda metà del ‘700 con

l’avvento del nuovo umanesimo, si inizierà a parlare di formazione, come costruzione

1 Cfr. P. Mulè, Formazione, scuola, emergenze educative, Anicia, Roma 2001; E. Becchi, Il bambino

sociale, Feltrinelli, Milano 1998, pp.17-23. 2 Cfr. ivi, pp.25-33.

3 Cfr. ivi, pp.36-39.

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armonica di tutte le forze fisiche e spirituali dell’uomo, comprendenti la sua coscienza

umana, culturale e spirituale. È, infatti, con l’età umanistico-rinascimentale che si avvia

la riflessione sul ruolo e sulla posizione che l’uomo doveva avere nel mondo. Ne

conseguì da parte di numerosi intellettuali l’elaborazione di piani educativi, programmi

e metodi di studio più idonei alla formazione del nuovo modello antropologico che

andava delineandosi.

In definitiva, con l’Umanesimo il fine dell’educazione diventò la formazione di

un uomo completo, da cui trarre un arricchimento interiore. Trasla così la prospettiva

educativa, che dalla formazione del religioso o del cavaliere, passa alla formazione

dell’uomo e della donna, in quanto persone. Ne consegue un cambiamento anche della

metodologia, che non si basò più sulle penalità corporali, piuttosto sulla consapevolezza

dell’importanza del rapporto maestro-scolaro. Il progetto educativo più idoneo per la

nuova società industriale che si era consolidata fu realizzato da Owen, che nella sua

scuola di New Lanark previde un’educazione collettiva della comunità, non solo per

bambini ma anche per adulti4.

Dopo la Rivoluzione francese e la Rivoluzione industriale, nel secolo

successivo, il Romanticismo fu a sua volta una rivoluzione, del ruolo della cultura e

degli intellettuali che doveva essere ridefinito. Ebbe, infatti, come punto di riferimento

il problema della formazione dell’individuo, che diventa parte attiva della comunità.

Ciò portò al superamento sia dell’intellettualismo che dell’utilitarismo illuministici, in

quanto s’ipotizzò la creazione di un rapporto pedagogico, in cui il ruolo centrale

dovesse essere attribuito alle due grandi agenzie: famiglia e scuola.

La cultura pedagogica del Novecento fu caratterizzata, invece, da una pluralità

di sperimentazioni, l’affermarsi di nuovi studi quali: la psicoanalisi, la sociologia e la

psicologia diedero origine a nuovi metodi d’indagine, spazi e modalità educative, prima

del tutto inattesi. Il concetto di educazione fu influenzato dall’ avvicendarsi di una serie

di cambiamenti volti alla tutela, alla difesa e al supporto dei diritti dell’infanzia. Via via,

proprio per effetto della consapevolezza della complessità dei problemi educativi e

dell’affermarsi di nuove discipline, cambiò il modo d’intendere la pedagogia e sempre

4 Cfr. E. Becchi, Il bambino sociale, cit., pp.17-23.

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più si cominciò a parlare di scienze dell’educazione come Dewey aveva precisato nelle

Fonti di una scienza dell’educazione del 19295.

In quest’ottica, s’inserì l’idea della formazione permanente, l’educazione doveva

essere un processo continuo, e fu a partire dalla fine del Settecento, grazie alle opere di

pedagogisti ed educatori quali Rousseau, Pestalozzi, e Fröebel, che si sviluppò una

nuova sensibilità verso l’infanzia. Le nuove teorie avevano per oggetto-soggetto di

studio il bambino e, dall’idea di bambino concepito come piccolo adulto, si passò

gradualmente ad una, invece, che lo valorizzò come persona che sin dalla nascita, ha un

proprio modo di essere, di sentire, di vedere e di pensare. Fröebel, servendosi di un

linguaggio botanico, definì il fanciullo come «un seme maturo caduto dalla pianta6», le

Agazzi, riprendendo un’analogia simile, parleranno di «germe vitale che aspira al suo

completo sviluppo»7.

Si potrebbe continuare esponendo le varie definizioni utilizzate in riferimento al

bambino, ma ciò che in questa tesi si è voluti sottolineare, servendosi dei riferimenti di

questi pedagogisti, è il passaggio da una concezione adultistica dell’infanzia, intesa solo

come un passaggio dovuto per il raggiungimento della maturità ad una, invece, che le

attribuisce un ruolo importante per la crescita.

Con l’opera di Maria Montessori, rappresentante del movimento delle Scuole

Nuove in Italia e ideatrice delle Case dei Bambini, si parlerà del bambino non più come

di «cucciolo d’uomo da allevare e da crescere». Il bambino diventa una persona con

specifici e intangibili diritti alla vita. Sempre di più l’infanzia viene vissuta come un

periodo di creazione8, uno step della vita durante la quale si avvia lo sviluppo. Durante

l’Illuminismo Locke aveva definito il bambino una tabula rasa9, oggi, gli studi psico-

pedagogici parlano, invece, di «infante-competente», di un bambino che sin dalla

nascita ha dei bisogni fisici, cognitivi e volitivi e che perciò deve essere educato

all’autonomia10

.

5 Cfr. E. Becchi, Storia dell’educazione, La Nuova Italia, Firenze 1996, pp.8-15.

6 F. Fröebel, I giardini dell’infanzia, Tevisini, Milano 1888, p.22.

7 R. C. Agazzi, Guida per le educatrici dell’infanzia, La Scuola, Brescia 1961, p.78.

8 Cfr. ibidem.

9 Cfr. ivi, pp.44-48.

10 Cfr. ivi, p.123.

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Nel secondo capitolo si approfondisce, invece, la questione dell’educazione

infantile nella scuola. Attraverso un’analisi storico-teoretica dei programmi scolastici

che si sono susseguiti nel corso degli anni. La ricostruzione dei princìpi teorici

dell’educazione progressiva e dell’attivismo americano degli anni ’40 del Novecento

hanno identificato analogie e diversità degli aspetti teorici poco esplorati, che hanno

evidenziato alcune ambiguità sul concetto di Activity School e Progressive School negli

Stati Uniti e sul deweysmo in Europa ed in Italia11

.

Da questa ricostruzione, sono affiorate nuove prospettive culturali che hanno

attenzionato non solo la teoria della pedagogia e, quindi, i suoi metodi, ma anche, la sua

applicazione in ambienti educativi idonei. Nel dibattito pedagogico, uno sguardo alla

storia della pedagogia, ha portato alla luce la distinzione di due concetti del processo

educativo: educazione ed istruzione. L’educazione come costruzione della personalità,

attraverso il compimento di esperienze che ne favoriscono l’autosviluppo, il processo

educativo, che deve partire dall’identità infantile per arrivare poi progressivamente alla

organizzazione del sé e all’apertura verso gli altri. L’istruzione intesa, invece, come

trasmissione di nuovi concetti e volta all’acquisizione di nuove competenze e capacità,

che possano plasmare l’alunno12

.

Il senso dell’antinomia tra educazione e istruzione viene affidato alla pedagogia,

la quale deve tener conto sia del ruolo dell’educatore che di quello dell’insegnante.

Oggi sappiamo, però, che il ruolo della scuola non può più essere circoscritto alla mera

trasmissione dei contenuti, la questione è, dunque, capire se la scuola ha davvero solo il

compito d’istruire, anche in considerazione di quanto sosteneva Gentile, secondo il

quale la scuola è il luogo privilegiato in cui si manifesta il rapporto docente-discente,

nel momento della lezione. Il dilemma che viene anche presentato in una opera di

Riccardo Massa è, dunque: educare o istruire? La sfida dei pedagogisti diviene

l’individuazione di un modello educativo che sappia affrontare le esigenze formative

che emergono dalla complessità e poliedricità della società. L’analisi effettuata ha

sottolineato come il passaggio della pedagogia alle scienze dell’educazione, avviatosi

11

Cfr. ibidem. 12

Cfr. M. Baldacci, Personalizzazione o Individualizzazione?, Erikson, Gardolo 2006, pp.3-8.

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con il modello empiristico, ha inteso la pedagogia come “sapere plurale” e non già

strutturato13

.

Questa nuova concezione attribuita alla pedagogia, che diventa scienza

dell’educazione, risalta il ruolo che viene attribuito non più solo alla scuola, ma anche

ad un nuovo soggetto: la famiglia. Ciò avvenne proprio, con i Programmi scolastici di

Washburne, finalizzati alla scoperta delle capacità, delle inclinazioni e degli interessi

degli allievi, che siano in grado di analizzare i bisogni dei fanciulli. Anche se nel 1968

venne istituita la scuola materna statale e nel 1969 vengono emanati gli Orientamenti

per la scuola materna, è solo a partire dalla legge 820/71, che si compirà il vero

cambiamento, in quanto si darà luogo alla scuola a tempo pieno14

.

Tuttavia, l’elemento riparatore del fallimento della pedagogia moderna, sono i

Programmi Falcucci del 1985, che volti all’unione dei contenuti dell’insegnamento e

degli obbiettivi formativi, favoriranno il rapporto tra educazione, istruzione e

formazione. Ne conseguirà, una maggiore consapevolezza dei diritti del bambino nella

scuola odierna. Diritti che oggi sono riconosciuti anche dalla Costituzione nel quadro

dei diritti della persona e che vengono, più volte, ribaditi anche negli atti degli

Organismi Internazionali. Nell’attuale scuola dell’infanzia l’attenzione è rivolta, infatti,

sia al bambino che all’ambiente che lo circonda e alle relazioni che questo gli consente

di instaurare. Ma perché l’educazione sia costruttiva è fondamentale la cooperazione tra

famiglia, scuola e altre realtà formative.

Dalla riflessione sui tali modelli, è sorta, dunque, la necessità di umanizzare la

scuola, ed allora ci si deve dirigere verso la personalizzazione degli insegnamenti. La

scuola deve, dunque, evitare l’omologazione culturale. Anzi è chiamata alla

programmazione di percorsi educativi, in cui, l’alunno deve essere il protagonista del

proprio processo di crescita. Anche se già Dewey, Montessori, Decroly, Claparède e

Freinet, e Kilpatrick e Parkhurst, avevano riflettuto sulla progettazione individualizzata,

cercando di creare quella che è stata definita da Montessori, la «scuola su misura»15

, in

Italia è solo nel 2003, con Bertagna, fautore della Riforma Moratti, che venne

13

Cfr. ivi, p.56. 14

Cfr. ibidem. 15

Cfr. F. Cambi, Il congegno del discorso pedagogico, Clueb, Bologna 1986, p.79.

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7

puntualizzata la differenza tra individualizzazione e personalizzazione16

. Egli precisò,

infatti, che parlare di percorsi formativi individualizzati è inesatto, in quanto la

formazione pur essendo rivolta all’individuo, non deve essere riferita a lui in maniera

astratta, piuttosto l’attenzione deve essere rivolta alla persona. Venne ipotizzato,

dunque, non un ridimensionamento, ma piuttosto un rafforzamento della triade:

insegnamento-apprendimento-individualizzazione.. Nell’attuale società stiamo

assistendo ad una moltiplicazione dei compiti e delle responsabilità che

precedentemente erano affidate esclusivamente allo Stato, ma a cui, questo, da solo, non

è più in grado di far fronte. È in questo senso che anche in Italia da qualche anno, ci si

sta avviando verso l’autonomia scolastica, che verrà analizzata alla luce di un’analisi

storica.

Nel terzo capitolo si sviluppa, infine, il problema delle prospettive pedagogiche

per un nuovo processo educativo nella scuola del XXI secolo, in cui viene attenzionato

il ruolo dell’assistente sociale nell’attuale scuola dell’infanzia. A questa figura

professionale vengono affidate funzioni di aiuto e di controllo, le quali puntano non

solo all’attuazione di processi di cambiamento familiari al fine di responsabilizzare i

genitori, ma anche alla riduzione, del disagio, attraverso un sostegno costante che viene

offerto ai genitori17

.

Un aspetto, non secondario, emerso da questa riflessione, è stato volto alla

chiarificazione di due termini fondamentali inerenti il discorso dei modelli di

formazione: asilo nido e scuola dell’infanzia. Si è parlato di asilo nido come di un

organismo educativo destinato ai bambini che rientrano nella fascia d’età dai 3 mesi ai 3

anni. In realtà, il primo asilo d’infanzia pur essendo stato istituito nel 1828 da Ferrante

Aporti, essendo privato, non era accessibile a tutti. È solo con la legge 1044/7118

che si

comincerà ad intendere l’asilo nido come un servizio sociale di interesse pubblico, pur

rimanendo ancora meramente assistenzialistico. Solo recentemente si è parlato del nido

come istituzione di carattere assistenziale ed educativo, che in qualche modo cerca di

rispondere alle richieste della società odierna19

.

16

Cfr. ivi, pp.121-122. 17

Cfr. S. Bonaga, C. Bussolati, a cura di, Attualità e scuola, Malipiero Editore, Milano 1976, pp.10-17. 18

Cfr. F. Giuffrida, Ferrante Aporti e l’educazione infantile in Italia, Vallardi, Roma 1928, p,18. 19

Cfr. ivi, pp.45-48.

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L’obiettivo finale resta comunque la crescita e la formazione del bambino, ma

perché ciò avvenga, dato che tra i due servizi vi sono delle differenze, sono previsti dei

sistemi progettuali idonei che le supportino a diversi livelli: didattico, formativo-

educativo, ma anche istituzionale. In riferimento ai modelli di educazione infantili è

stata rilevata, invece, un’interconnessione tra tre sostantivi fondamentali nel processo di

crescita del bambino: infanzia, gioco ed educazione.

Si è voluto evidenziare, in particolare, come è importante attribuire il giusto

significato al termine “gioco”. Solitamente crediamo che il gioco sia solo un momento

di svago, di divertimento, ma con l’aspetto educativo, conferitogli, tutto cambia. Il

gioco ha una funzione educativa che consente lo sviluppo del bambino: è giocando,

infatti, che il bambino impara a comprendere il mondo, a fare esperienza del rispetto

delle regole, a governare le proprie emozioni. Dal gioco, ne consegue, un’ampia e

coinvolgente esperienza, e non solo in quanto, attiva il soggetto globalmente, ma in

quanto consente al soggetto di imparare, naturalmente tramite la pratica.

In questo ultimo capitolo, un altro rilevante aspetto è stato la considerazione di

due termini utilizzati da Visalberghi: attività ludica e attività ludiforme. Mentre, la

prima, presume che ci sia un coinvolgimento affettivo, cognitivo e psico-fisico, ed è

una costante della vita del bambino, che proprio perché si rinnova, e non è fissa, è utile

alla sua crescita affettiva, cognitiva e relazionale, tuttavia, è fine a se stessa. Nell’attività

ludiforme viene applicata, invece, una didattica che stimola i bambini all’ interesse, alla

partecipazione, alla creatività, concedendogli anche la possibilità di risolvere i problemi

insieme agli altri20

.

Ovviamente la complessità degli argomenti trattati, ci induce a considerare

questi modelli educativi alla luce delle prospettive pedagogiche dominanti e dell’attuale

legislazione scolastica.

20

Cfr. C. Clausse, Avviamento alle scienze dell’educazione, La Nuova Italia, Firenze 1970, pp.23-29.

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CAPITOLO I

DALLE ORIGINI AD OGGI. L’EDUCAZIONE

ALL’INFANZIA

1.1. Analisi storica sull’educazione

La cultura dell’educazione è uno dei temi centrali dell’attuale dibattito

pedagogico, la riflessione sui modelli educativi pone in evidenza come l’educazione è

stata considerata oggetto di analisi ora filosofiche, ora scientifiche, fino all’adozione di

una metodologia pedagogica specifica. Parlare di educazione oggi è un’impresa

particolarmente difficile, in quanto bisogna cercare di coniugare una serie di posizioni,

di diritti e di doveri che appartengono allo sviluppo della persona, attraverso strumenti

complessi e che in alcuni casi, sono potenzialmente contraddittori gli uni con gli altri21

.

Per poter individuare la storia dell’educazione è innanzitutto necessario partire

da un sostantivo che rappresenta ciò di cui intendo parlare: la bildung. Da un punto di

vista etimologico, questo termine deriva dal verbo tedesco «bilden», che viene tradotto

con il verbo italiano “formazione”, e che ritrova la propria radice nel sostantivo «bild»:

immagine22

. Con ciò s’intende la formazione dell’uomo, una formazione completa, che

comprende sia la sua coscienza umana e culturale che spirituale; una formazione che

consiste sia nel “prendere forma”, che nel delineare un modello in cui sono presenti

valori legati alla sua multidimensionalità23

. Il termine “Bildung” assume il suo

21

Cfr. F. Cambi, Fondamenti teorici del processo formativo. Contributi per un’interpretazione, Liguori,

Napoli 1997, pp.19-24. 22

Cfr. M. Gennari, Storia della Bildung, La Scuola, Brescia 1995, pp.45-49. 23

Cfr. P. Mulè, Formazione, democrazia, nuova cittadinanza. Problemi e prospettive pedagogiche.

Periferia , Cosenza 2010, pp. 13-15.

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significato attuale solo a partire dalla seconda metà del ‘700 nel contesto di un nuovo

umanesimo, vale a dire del progetto di una formazione armonica di tutte le forze fisiche

e spirituali dell’uomo24

. Nella tradizione filosofica greca al tempo dei Sofisti, di

Socrate, Platone e Aristotele, l’educazione era diretta alla formazione del cittadino della

polis, e ciò determinava sicuramente una stretta interconnessione tra la definizione di

uomo e quella di cittadino. Nel mondo greco, infatti, l’uomo era portatore di una

cultura che si manifestava nella sua libertà individuale, che poteva sviluppare solo

all’interno della polis. Questo profilo dell’educazione, evidenziato dai greci, costituisce

il fulcro di tutto il percorso, da Platone a Dewey, potremmo quindi affermare che è la

cultura umana che permette all’uomo di gestire ed organizzare ciò che apprende

dall’ambiente sociale e naturale in cui vive, ma questa cultura gli deve essere trasmessa,

e ciò richiede specifiche forme quali: l’istruzione e l’educazione25

.

Dopo aver precisato che l’educazione è volta alla formazione globale della

personalità dell’individuo, mentre l’istruzione è indirizzata alla trasmissione di nozioni

e comportamenti, bisogna comprendere due aspetti fondamentali dell’educazione:

- che cosa l’educazione deve valorizzare, rispettare ed esprimere;

- quale rapporto deve esservi tra l’educazione culturale (come trasmissione di

valori acquisiti dalla società) e l’educazione personale per la realizzazione di

sé26

.

Per avere un’idea ben chiara dei suddetti aspetti bisogna ripercorrere parte della

storia della pedagogia. Innanzitutto è necessario riconoscere che il mondo greco, in

campo pedagogico, ha prodotto una grande rivoluzione rispetto alle precedenti civiltà.

Basti pensare che, al contrario, di quanto era avvenuto in Egitto e Mesopotamia,

all’educazione dell’aristocrazia guerriera fu sovrapposta e sostituita l’educazione del

cittadino. Furono i Greci ad individuare nel rapporto con la cultura l’elemento

indispensabile per l’autoformazione dell’individuo, cominciando a parlare per la prima

24

Cfr. P. Mulè, Formazione, scuola, emergenze educative, Anicia, Roma 2001, pp. 84-86. 25

Cfr. ibidem. 26

Cfr. J. Bowen, Storia dell’educazione occidentale, Mondadori, Milano 1979, pp. 17-32.

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11

volta di Paideia, che rappresentava la stretta relazione fra educazione, filosofia e vita

associata27

.

La Paideia concepiva la formazione dell’uomo in quanto uomo, cioè, era

l’espressione della trasmissione di modelli, consuetudini e valori di una determinata

classe sociale28

. In questo senso, la figura non del semplice insegnante, ma

dell’educatore, si delineò per la prima volta proprio in Grecia29

. Il cambiamento

avvenne quando vi fu la necessità di preparare i giovani ad affrontare la nuova vita di

cittadini all’interno della polis. Un grande contributo venne dato anche dai Sofisti,

secondo i quali il fine dell’educazione doveva essere la formazione dell’uomo politico.

L’indagine filosofica si spostava così, dalla ricerca di un principio intellettuale, alla

conoscenza dell’uomo e delle sue facoltà, secondo la prospettiva per cui “l’uomo è

misura di tutte le cose”30

. I cardini dell’educazione erano fondamentalmente due: la

dialettica, intesa come l’abilità di prevalere sul proprio interlocutore, e la retorica intesa

invece come l’arte del “persuadere”. Ma nella formazione sofistica erano comprese

anche tutte le discipline che faranno parte, secoli dopo, delle Arti del Trivio e del

Quadrivio: grammatica, dialettica, retorica, geometria, musica e astronomia31

.

Grazie ai Sofisti si assistette ad una “democratizzazione” del sapere e della politica,

essi furono anche i primi ad elaborare un’idea di educazione “umanistica” nel senso che

l’educazione era rivolta all’uomo in quanto tale. In tal senso, se in un primo tempo lo

scopo dell’educazione sofistica era di carattere politico, in un secondo momento apparì

fine a se stessa32

. Socrate aveva in comune con i Sofisti l’interesse per l’uomo e la

persuasione che la società e lo Stato non erano opere divine, l’unica autorità che egli

riconosceva era la ragione dell’uomo33

.

Egli parlava di virtù, non intesa come “sapere”, ma come connessione con la

dimensione etica. Dunque, l’effettiva moralità dell’uomo, secondo Socrate, si trovava

27

Cfr. ivi, p.22. 28

Cfr. G. Brianese, Il Protagora di Platone e il problema filosofico dell’educazione nel mondo greco,

Paravia, Torino 1993, pp.15-21. 29

Cfr. ivi, p.56. 30

Cfr. ivi, p.62. 31

Cfr. Biografia degli Italiani illustri nelle scienze: lettere ed arti del secolo XVIII, vol. 2, Paravia,

Torino 1990, pp.4-7. 32

Cfr. ivi, p.78. 33

Cfr. A.E. Taylor, Socrate, La Nuova Italia, Firenze 1952, p.66.

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12

nella sua razionalità, al suo interno e non nella vita sociale. Ma se l’educazione era

educazione alla virtù ed essa era ricerca filosofica, l’educazione doveva essere,

anzitutto, educazione alla filosofia. È da qui che nascerà la teorizzazione pedagogica

come riflessione della filosofia34

. Parimenti, l’insegnamento non consisteva nella

trasmissione del sapere, ma nello stimolo che veniva offerto al discepolo, affinché egli,

autonomamente dal fondo della propria coscienza, ricercasse in sé la verità.

Protagora affermava: «Il mio insegnamento consiste nella facoltà di prendere

decisioni riguardo alle questioni private, come per esempio si possa amministrare nel

modo migliore la propria casa, e a quelle pubbliche, come essere cioè il più idoneo a

parlare e a gestire gli affari della città »35

. Dunque, il maestro non era colui che sapeva e

trasmetteva il sapere, ma colui che aiutava a saper fare, e più esattamente a saper fare

nel contesto della comunità privata (la casa, l’oikos) e pubblica (la polis). Il maestro

doveva liberare il discepolo dall’errore che gli impediva di scorgere la verità che era in

lui; grazie ai suoi insegnamenti, conduceva l’allievo alla scoperta autonoma della

conoscenza36

.

Per educare non occorrevano perciò più i lunghi discorsi dei Sofisti ai quali l’allievo

assisteva passivamente, ricevendo il sapere dal di fuori, ma discorsi brevi, fatti di tante

domande, mirate a far scoprire al discepolo la verità che egli aveva già dentro di sé37

.

Socrate rifiutava di essere un educatore, il suo interesse, infatti, non mirava a

consolidare e a formare le personalità altrui, ma piuttosto a porre in esse l’inquietudine,

il dubbio, il senso del non sapere. Ecco che allora proprio con Socrate prese avvio lo

sviluppo del valore individuale della persona. Successivamente, Platone riprese la

concezione socratica del legame tra etica ed educazione, dando luogo ad un’analisi

critica delle modalità dell’apprendimento e della gerarchia delle discipline. Egli fu il

fondatore dell’Accademia, la prima scuola filosofica, in cui il concetto di nuova

educazione, da lui delineato, teneva conto della dimensione etico-politica della virtù38

.

34

Cfr. ivi, pp. 67-78. 35

Cfr. S. Zeppi, Protagora e la filosofia del suo tempo, La Nuova Italia, Firenze 1961, p.76. 36

Cfr. ibidem. 37

Cfr. F. Cambi, Storia della pedagogia, Laterza, Bari 1995, pp.11-14. 38

Cfr. ivi, pp.14-18.

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Ma questa nuova educazione doveva collegarsi ad uno Stato ideale, che era diviso in

tre classi (produttori, custodi-guerrieri, e custodi perfetti-reggitori) che si rifacevano alle

tre tendenze dell’animo umano39

. Il compito dell’educazione era di consentire agli

appartenenti ad ogni classe la realizzazione della propria virtù. Per raggiungere tale

obiettivo occorreva però un tipo di educazione fortemente statalizzato, in cui al vertice

dello Stato dovevano essere collocati coloro che sapevano raggiungere con la riflessione

il Vero e il Bene40

.

Per formare i filosofi e anche gli appartenenti ad altre classi occorreva, inoltre, un

preciso curriculo di discipline, la cui successione poteva essere delineata in parte

attraverso i vari gradi di conoscenza descritti nel mito della caverna41

. Per Platone il

cammino conoscitivo era un cammino di graduale distacco dalle cose sensibili verso

forme puramente razionali: le idee. Altra caratteristica del curriculo educativo, da lui

proposta, era la presenza del gioco come caratteristica dell’educazione prescolare (dai

tre ai sei anni), durante questa fase il gioco aveva lo scopo di divertire, mentre durante

l’età scolare assolveva ad uno scopo educativo.

Conoscere era, per Platone, ricordare, e quindi il compito dell’educazione consisteva

nel risvegliare quanto l’anima già conosceva. Il metodo formativo, soprattutto per i

filosofi, doveva essere essenzialmente dialogico, basato su un profondo rapporto

affettivo fra maestro e discepolo e sulla convinzione che la lettura produceva solo falsa

sapienza. Anche Aristotele affrontò il problema dell’educazione nella dimensione della

polis, tuttavia il rapporto tra questa ed il cittadino era basato più su di un esame delle

reali condizioni della società, che non sull’ideale platonico42

. La persona era unica nella

sua integralità psicofisica e l’educazione doveva sviluppare qualcosa che in essa era già

presente. Il compito dell’educazione, consisteva dunque, nell’indirizzare l’ individuo

39

Cfr. J. Stenzel, Platone educatore, Feltrinelli, Milano 1979, p. 94. 40

Cfr. ibidem. 41

Cfr. Platone, Repubblica, trad. it. di F. Gabrieli, Rizzoli, Milano 1991, pp.1163-1667. Nel VII libro

Platone narra il famoso mito della caverna , in cui esemplifica la gerarchia degli insegnamenti che

dovranno essere forniti nel curriculo formativo. « Gli uomini senza educazione sono come prigionieri

incatenati in una caverna, costretti a fissare la parete di fondo in cui scorrono le ombre prodotte da oggetti

trasportati fra loro e un fuoco acceso nei pressi dell’imbocco. Essi credono che quelle ombre siano la

realtà: questa non è che immaginazione. Ma uno dei prigionieri potrebbe essere liberato e avviato

all’uscita della caverna, vedendo gli oggetti che danno origine alle ombre. Conquisterebbe così solo la

credenza, che non è ancora conoscenza vera. Una volta fuori dalla caverna, potrebbe guardare le cose del

mondo, prima attraverso i loro riflessi nell’acqua, poi direttamente fino a giungere alla vista del Sole». 42

Cfr. G. Gentile, Il concetto scientifico della pedagogia, Franco Angeli, Milano 2004, p.67.

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sia verso i beni concernenti la volontà, che verso quelli riguardanti la ragione, ma

soprattutto doveva essere un’educazione liberale, incentrata cioè, sulle dimensioni del

bene e del bello che competevano solo agli uomini liberi; allo Stato spettava, invece,

l’organizzazione di un’educazione che permettesse all’individuo di realizzarsi come

buon cittadino43

.

A questo riguardo, Aristotele indicava anche un curriculo di studi dove la famiglia

era direttamente impegnata dalla responsabilità educativa dei propri figli, dalla nascita

ai sette anni, mentre, in seguito, (7-14 anni circa) ero lo Stato ad occuparsene, attraverso

l’insegnamento di lettere, ginnastica, musica e disegno, ed in fine in un terzo momento

successivo (14-21 anni) il giovane approfondiva nel Liceo quanto aveva imparato nella

fase precedente44

. È nel periodo dell’età ellenistica che l’insegnamento privato, pur non

scomparendo del tutto, lasciò il posto ad una formazione di tipo collettivo. Il modello

dominante dell’educazione era quello retorico e l’educazione era intesa come

“formazione generale”45

.

La pedagogia cristiana, come riflessione sull’educazione, nacque attraverso lo

sviluppo di una filosofia cristiana, cioè in un sistema di principi organizzati che

filtravano il messaggio evangelico e biblico con lo strumento delle filosofie greche.

Inizialmente, questa cultura cristiana era diretta solo all’interno della comunità dei

credenti, solo successivamente si diffuse nella società, ed è grazie a questo percorso che

è avvenuto il superamento dell’intellettualismo. Ecco che occorreva essere puri e

credere per poter conoscere. L’educazione era prima di tutto educazione alla charitas,

all’amore per il prossimo come testimonianza dell’amore di Dio; fu Agostino l’uomo a

cui si deve il merito di aver unito la filosofia antica con le tradizioni bibliche dei primi

cristiani46

.

Egli nel De Magistro, la sua opera più importante, immagina un dialogo con il

proprio figlio sulla funzione e la possibilità di insegnamento del maestro umano, in

riferimento al problema della comunicazione linguistica. Secondo Agostino, il maestro

non poteva insegnare se non per mezzo delle parole, per cui, l’insegnamento era

43

Cfr. ibidem. 44

Cfr. ivi, p. 72. 45

Cfr. M.P. Nilsson, La scuola nell’età ellenistica, La Nuova Italia, Firenze 1973, p.128. 46

Cfr. ivi, pp.44-49.

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possibile solo se l’allievo sapeva già quello che gli comunicava il maestro, perché

avrebbe potuto capirlo, se invece non lo sapeva, sarebbero state solo parole prive di

significato. Ma l’educazione era anche “autoeducazione”, nel senso che l’individuo

trovava la verità al proprio interno, in quanto la verità non era creata dall’individuo,

quanto piuttosto era donata dal Maestro interiore, Dio47

. L’ottica del problema

educativo era dunque questa. Agostino affermava infatti, che «L’educazione doveva

essere un processo di tipo dialettico attraverso cui l’uomo penetrava nella propria

coscienza e vi faceva luce, perché è in se stesso che avrebbe trovato la verità»48

.

In un’altra grande opera di Agostino, Le confessioni, viene invece evidenziata la

critica all’educazione tradizionale, la lettura pedagogica di quest’opera può avvenire su

due livelli: in primo luogo, come narrazione di una conversione con Dio, e ciò mostra le

caratteristiche proprie dell’autoeducazione spirituale, ed in secondo luogo, individua dei

punti di riflessione sull’educazione49

. Dobbiamo anche sottolineare che nella parte più

autobiografica dell’opera, Agostino ci ha lasciato un ritratto della sua esperienza

scolastica, un esempio di incapacità pedagogica, dove ricordava come gli educatori

fossero stati incapaci di comprendere le esigenze del bambino (usavano infatti la

correzione violenta e rifiutavano il gioco come princìpio educativo), ma alla base di ciò

vi era anche “inutilità contenutistica”, nel senso che era un’educazione fondata su un

curriculo di elementi a valori, ormai privi di senso50

.

Secondo Agostino, perché un’educazione potesse essere garantita e l’insegnamento

fosse efficace, si doveva trovare il modo di condurre tutti gli uomini ad aprire il loro

animo alla luce. Pertanto, chi restava sempre in un universo fatto di parole e di segni;

non sarebbe mai arrivato alla loro verità. Ecco che allora il metodo dialettico doveva

essere sostituito e la mente dell’uomo doveva essere preparata all’accettazione di un’

esperienza diretta della verità, che non poteva avvenire né attraverso i segni, né poteva

essere indotta dall’esterno con il dialogo; era un’esperienza che doveva essere vissuta

interamente nella propria interiorità51

.

47

Cfr. L.R. Patanè, Il pensiero pedagogico di S. Agostino, Patron, Bologna 1967, pp.177-180. 48

Cfr. A. Agostino, De Magistro, a cura di D. Gentili, Città Nuova, Roma 1976, p.96. 49

Cfr. ibidem. 50

Cfr. A. Agostino, Le confessioni, a cura di C. Carena, Mondadori, Milano 1986, pp.66-69. 51

Cfr. H. I. Marrou, Storia dell’educazione nell’antichità, Studium, Roma 1950, pp. 95-105.

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Nell’età umanistico-rinascimentale la riflessione sul ruolo e sulla posizione che

l’uomo doveva avere nel mondo, stimolò numerosi intellettuali ad elaborare piani

educativi, programmi e metodi di studio più idonei alla formazione del nuovo modello

antropologico che andava delineandosi. L’Umanesimo fu un periodo importante nella

storia dell’educazione, in quanto fu il movimento pedagogico che mirò alla formazione

di un uomo nuovo, completo, le cui virtualità dovevano essere sviluppate

armonicamente52

. L’uomo nuovo era colui per il quale la conoscenza delle opere e degli

autori classici non doveva essere un “puro ornamento”, ma anche e soprattutto un

arricchimento interiore, un miglioramento etico.

La sua cultura doveva essere ricca e varia ma non doveva essere fine a se tessa

(nel senso che il suo fine doveva essere quello di aspirare alla perfezione, che poteva

realizzarsi solo nell’azione sociale). Il sapere valeva, dunque, in quanto era sociale e il

suo fine era proprio la formazione del cittadino53

. L’educazione doveva cultura doveva

essere ricca e varia ma non doveva essere fine a se tessa in cui al vertice stava la

filosofia come «doctrina che ministra i costumi e il vivere degli uomini virtuosi»54

.

Si evince allora che, mentre la pedagogia medievale era fondata sull’educazione

religiosa, sulla rinuncia e sui valori della spiritualità, la pedagogia di questo periodo

esaltava, invece, l’educazione della persona, dei suoi valori, per lo sviluppo della sua

autonomia. Cambia dunque la prospettiva dell’educazione, giacché non mira più alla

formazione del religioso o del cavaliere, ma ciò che acquista importanza è la

formazione dell’uomo e della donna. In questo tipo di educazione si dà rilievo alla

disciplina, non più basata solo sulle punizioni corporali , ma sulla comprensione

maestro-scolaro e sulla considerazione della personalità dell’allievo, per adeguare ad

essa il metodo di lavoro55

.

Tra la molteplicità degli indirizzi educativi e la varietà delle proposte , i tratti

comuni erano sostanzialmente tre:

l’importanza assegnata agli studia humanitatis: in cui lo studio delle lettere

riportava ai valori eterni, mentre gli studi di carattere tecnico si richiamavano a 52

Cfr. ivi, pp.107-109. 53

Cfr. ivi, pp.113-114. 54

Cfr. E. Garin , Educazione umanistica in Italia, Laterza, Bari 1966, p. 107. 55

Cfr. ibidem.

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valori transitori, e in cui il contatto con il mondo classico era più intenso e

approfondito, grazie anche ad una più ampia disponibilità di testi;

la rivalutazione della fisicità: intesa come insieme armonico di bellezza, qualità

morale e vigoria del corpo e dello spirito;

l’importanza attribuita alle qualità o virtù di chi deteneva il potere o era

destinato a possederlo: il coraggio, la valenza, la competenza, l’intelligenza,

erano tutte virtù che si mettevano a confronto con la “fortuna” e cercavano di

volgerla a favore del soggetto56

.

Un ruolo importante nella storia della pedagogia, è stato attribuito anche ai Gesuiti.

Tra i più noti, ricordiamo Ignazio di Loyola, che propose quello che venne definito

come “misticismo attivo”, in quanto richiedeva un impegno concreto nella lotta contro il

Male57

. I Gesuiti collaboreranno attivamente nella lotta contro l’eresia attraverso una

vastissima attività missionaria e un profondo impegno pedagogico e scolastico. Per

Ignazio, lo scopo dell’educazione era di aiutare le anime ad indirizzarsi al loro destino

ultraterreno, i mezzi principali con cui raggiungere questo fine erano la cultura e il

modo di esporla.

La pedagogia gesuitica poteva essere pensata come una “pedagogia di guerra” 58

, in

cui la cultura era lo strumento adatto a favorire l’obbedienza alla Fede. Come educatori

della classe dirigente, i Gesuiti non si preoccupavano di un’istruzione di base

istituirono, infatti, appositi collegi in cui programmavano una precisa formazione volta

ai giovani religiosi e, successivamente, anche ai laici appartenenti, prevalentemente, a

classi sociali agiate, che dovevano essere le “guide” della società, nonché le classi

dirigenti di molti Paesi europei, oltre a pensatori, quali Cartesio e Voltaire.

L’accademia si distingueva dalle altre scuole dell’epoca proprio perché forniva un

curriculum superiore59

.

Il corso umanistico era suddiviso in corsi inferiori e corsi superiori, ed era formato,

da cinque classi: tre di grammatica, una di Humanitas e la quinta di Retorica. Lo scopo

56

Cfr. ivi, pp.125-134. 57

Cfr. L. Volpicelli, Il pensiero pedagogico della Controriforma, Sansoni, Firenze 1960, p.77. 58

Cfr. ivi, p. 156. 59

Cfr. G.P. Brizzi, La Ratio studiorum. Modelli culturali e pratiche educative dei gesuiti in Italia tra

Cinque e Seicento, a cura di Bulzoni, Anicia, Roma 1981, pp. 57-80.

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di questo corso inferiore era la formazione all’eloquenza, e la cultura umanistica,

incentrata sullo studio grammaticale del latino e su una certa padronanza e conoscenza

dei precettori retorici. Affine era l’obiettivo del corso filosofico, esso, della durata di tre

anni, aveva una funzione propedeutica alla teologia, e qui, l’insegnante di filosofia

doveva attenersi al rispetto di rigide e precise regole60

.

Quest’ultimo doveva infatti doveva basare i contenuti sulla concezione aristotelico-

tomistica, doveva avere cura di citare le opinioni contrastanti con cautela e, comunque,

non poteva concedervi troppo spazio. Il corso teologico, di quattro anni, che era

indirizzato, infine, alla formazione dei religiosi, coloro che sarebbero poi diventati i

futuri insegnanti dei collegi. La divisione del tempo e del lavoro in queste scuole

prevedeva una oppressione dei tempi e degli spazi: preselezioni, ripetizioni e compiti,

orari, voti, attività didattiche e di studio, sistematicamente e rigorosamente

programmate e verificate, consentivano un controllo continuo degli apprendimenti.

Risultavano così particolarmente visibili quelle caratteristiche che hanno fatto della

scuola gesuitica, per certi versi, uno dei prototipi della tecnicizzazione

dell’insegnamento presente nella scuola contemporanea61

.

Dal punto di vista direttivo, vi era inoltre un’accurata divisione del lavoro: il

Provinciale provvedeva ai collegi di una data provincia, il Rettore era il responsabile di

un singolo collegio, e il Prefetto aveva il compito di attuare concretamente il controllo e

la programmazione62

. Coerente con la formazione gesuitica della classe dirigente, la

scuola era incentrata al possesso personale delle nozioni e sull’emulazione, pertanto,

anche se la memorizzazione e la ripetizione costituivano aspetti centrali della didattica, i

Gesuiti favorivano anche varie attività di confronto fra gli studenti, in cui la capacità

personale e l’iniziativa diventavano fondamentali.

Il trionfo e più in generale la positività dei risultati, venivano premiati con oggetti

materiali (distintivi, medaglie, ecc.), le sconfitte venivano invece punite con i castighi,

che prevedevano una lesività crescente: dal pensum (compito) come lavoro

supplementare, ai voti negativi, alle “pubbliche reprimende”63

(rimproveri pubblici),

60

Cfr. ivi, pp.37-38. 61

Cfr. ivi, pp.11-16. 62

Cfr. J. Bruner, La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano 2002, pp.11-16. 63

Cfr. ivi, p.91.

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19

all’espulsione, fino ai castighi corporali con le battiture64

. Un discorso a parte meritava

la didattica della lingua, incentrata sullo studio del latino e su un forte legame con la

formazione intellettuale. Nei collegi venivano, infatti, incoraggiate la memorizzazione

dei brani, e addirittura l’imposizione di esercizi di versione e composizione, venivano

inoltre richiesti riassunti o anche rifacimenti di libri e brani al fine di stimolare

l’autonomia espressiva; l’alternanza tra scritti ed orali invece, serviva a garantire la

padronanza delle diverse competenze65

.

Il potere politico e la ricchezza della Compagnia di Gesù, uniti all’altissima qualità

culturale della loro formazione, durato per circa due secoli, iniziò a capovolgersi, verso

la metà del Settecento, quando la maggioranza dei sovrani li vide come ostacoli al

proprio assolutismo monarchico. L’abolizione della Compagnia nel 1773 segnò anche la

chiusura delle scuole, ma la restaurazione successiva all’età napoleonica riporterà in

auge i Gesuiti, così che la loro tradizione scolastica, è potuta giungere fino a noi66

. Il

Seicento fu certamente un secolo denso di contraddizioni, caratterizzato da conflitti

culturali, ideologici e politici. In campo scolastico emersero nuove esigenze e vecchi

problemi, si sottolineava la mancanza di un sistema di scuole professionali, i ginnasi

erano assolutamente inadeguati alla formazione tecnico-scientifica, inoltre continuava a

sussistere il pregiudizio medievale verso le arti “meccaniche” e le conoscenze

“moderne” come le scienze, la geografia e la storia67

.

Solo le accademie nobiliari e principesche erano in grado di formare in maniera

completa ed orientata alle necessità della vita adulta, ma questi erano accessibili solo,

com’era ovvio, per una ristretta élite. Anche le condizioni dell’istruzione primaria erano

gravanti, infatti, le scuole popolari annesse alle chiese insegnavano solo i rudimenti

della lettura e della scrittura. A questa povertà materiale corrispondeva poi, anche la

mancanza di organizzazione e metodo, che venivano totalmente affidati all’arbitrio del

maestro, che però non era preparato dal punto di vista pedagogico, e per di più

utilizzava testi inadatti. Di fronte a queste esigenze, il problema pedagogico doveva

64

Cfr. ibidem. 65

Cfr. ivi, pp.33-35. 66

Cfr. L. Colaiacovo, M. De Santis, a cura di A.Rosati, Sull’educazione. Analisi epistemologica e

istruzione scolastica, Anicia, Roma 2007, pp. 95-101. 67

Cfr. ibidem.

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essere affrontato, ma soprattutto dovevano essere individuate delle riforme concrete del

sistema dell’istruzione68

.

La figura centrale di quello che venne definito come il “secolo pedagogico” è senza

dubbio Comenio, egli avendo ben chiare le finalità religiose e morali a cui l’educazione

doveva tendere, fu in grado di affrontare il problema della riforma degli studi. Grazie a

lui il pensiero pedagogico raggiunse l’integrazione, davvero umanistica, tra mezzi e fini,

egli aveva avvertito l’esigenza di elaborare un piano organico delle istituzioni

scolastiche e della didattica. La ratio studiorum era individuata nella diffusione

universale del sapere, definita pansofia, una trasformazione dell’umanità in grado di

assicurare una società fondata sulla pace, sulla bontà, sul timor di Dio e sulla

fratellanza. Alla base di questa convinzione vi era certamente la certezza dell’inizio di

una nuova epoca69

.

La scuola di Comenio, in realtà era ancora essenzialmente elitaria, incentrata sullo

studio del latino, e frequentata da chi voleva diventare medico o aspirava a ricoprire

incarichi speciali nella Chiesa e nello Stato. Ma nel progetto comeniano l’educazione

doveva essere “cosa di tutti”, secondo l’autore: «insegnare era avvezzare tutti a vivere,

senza che nessuno dimenticasse mai più la dignità e l’eccellenza umana»70

.

Dunque l’educazione non doveva essere un privilegio riservato a poche élites, ma

era un diritto di tutti, regnanti e sudditi, benestanti e indigenti, abitanti delle città e delle

campagne, uomini e donne, persone dotate e meno dotate, in quanto tutti erano

comunque creature di Dio. Ma questo compito doveva essere affidato a persone “scelte

apposta”, notevoli per intelletto pratico e complessità morale71

. Comenio per rendere la

scuola adatta al suo compito, propose un’arte dell’insegnamento definita come “arte

delle arti” 72

, valida per insegnare “tutto” e “a tutti” nel modo più breve e piacevole

possibile, offrendo fondamenti di formazione scientifica, nonché retti sentimenti morali

68

Cfr. J. Milton, Trattato sull’educazione, a cura di Trisciuzzi, La Nuova Italia, Firenze 1975, pp.52-58. 69

Cfr. ivi, p. 62. 70

Cfr. C. Scarcella, Traduzione, (introduzione e cura di Amos Comenio), La via della luce, Editore Del

Cerro, Pisa 1992, p. 67. 71

Cfr. ibidem. 72

Cfr. G. Gentile, Sommario di pedagogia come scienza filosofica, Le lettere, Roma 2000, p.68.

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e religiosi. L’insegnamento doveva tendere alla pansofia73

,come sapienza universale,

che doveva realizzare una formazione intellettuale completa dell’uomo, non doveva,

quindi, essere limitata al rapporto fra la realtà (le cose), i pensieri e i linguaggi (i

discorsi), ma doveva estendersi anche all’universo della comprensione delle azioni74

.

Ciò che contava per Comenio era dunque che gli uomini venissero formati a

pensare con retta ragione, in modo da sfuggire a equivoci ed imprecisioni. Occorreva,

dunque, una pampedia, un’educazione universale, a tal fine erano necessari: l’unità

dell’insegnamento (quella che oggi definiamo con interdisciplinarietà), la connessione

tra le varie materie, in modo che una integrasse l’altra, e la gradualità75

.

Presupposto di ogni finalità educativa era una concezione dell’uomo e del suo

destino, l’opera dell’insegnante doveva dunque tendere, per dirlo con le parole di

Comenio: «a realizzare tutta la sublimità insita nell’essere umano, per consentire

l’eterna beatitudine dell’unione dell’uomo con Dio»76

.

Questo compito fu poi chiarito nel riconoscimento delle tre finalità per le quali,

secondo l’autore, Dio colloca l’uomo sulla terra:

affinché sia creatura razionale, dunque, capace di imparare a conoscere tutte le

cose e le loro ragioni (istruzione);

per il dominio di se stesso e delle altre creature (virtù);

per rappresentare la perfezione del suo creatore, riconoscendo in Dio la fonte di

tutte le cose ed il loro fine (religione)77

.

Queste tre proprietà avrebbero conferito l’eccellenza all’uomo ed erano lo scopo

dell’educazione, mentre tutte le altre finalità (bellezza, longevità, e potenza) erano solo

accessorie o, addirittura, inutili. Le scuole servivano, in quanto la virtù e la religione,

dovevano essere acquisite imparando, operando e pregando, poiché la natura forniva

73

Cfr. R. Resta, Comenio e la scuola della democrazia, a cura di G. e C. Resta, Marzorati, Bari 1946, pp.

67-86. 74

Cfr. ivi, pp.50-51. 75

Cfr. ibidem. 76

Cfr. ivi, p. 87. 77

Cfr. ivi, pp.123-127.

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solo i semi del sapere, dell’onestà e della religiosità, ma non il sapere78

. Secondo

l’autore l’educazione doveva essere collettiva e non individuale, in quanto era molto più

utile istruire i giovani tutti insieme, perché il frutto e il piacere del lavoro erano

maggiori quando gli allievi avrebbero potuto aver esempio ed incitamento gli uni dagli

altri. Queste scuole erano aperte a tutti, anche alle donne, anche loro dovevano ricevere

l’educazione, in quanto anch’esse creature di Dio, dotate di una mente sveglia e capace

di sapienza79

.

La scuola era suddivisa in quattro gradi corrispondenti alle prime quattro fasi

dello sviluppo: infanzia, puerizia, adolescenza e giovinezza. All’infanzia corrispondeva

la scuola materna, alla puerizia l’istituto letterario (cioè la scuola di lingua nazionale),

all’adolescenza la scuola di latino o ginnasio, ed in fine, alla giovinezza l’accademia80

.

Nel secolo della rivoluzione scientifica, Comenio aveva intuito la necessità di

fondare l’educazione su un metodo efficace, in maniera tale che il giovane fin

dall’inizio potesse avere le basi di tutto il sapere, in maniera tale che non incontrasse

mai, qualcosa che non conosceva e su cui non avrebbe potuto dunque esprimere un

giudizio. Il metodo era giustificato dal raggiungimento di tre obiettivi: l’universalità

(tutto a tutti), la spontaneità (seguire il corso della natura) e la semplicità (partire dai

sensi)81

. Nella prospettiva di un sapere unitario, efficace, ed in grado di formare la

persona nella società, il curriculum degli studi doveva essere qualificato da sei

caratteristiche:

«Semplicità: nel senso che l’educazione doveva essere conseguita tenendo conto

dei tempi naturali e dello sviluppo mentale dell’educando; Comenio diceva

«natura non facit saltus», cioè la natura non procede per salti; pertanto

occorreva avanzare con gradualità, passo dopo passo. Gli argomenti proposti

dovevano essere presentati in modo semplice e piacevole per tutti82

. Non era

necessario appesantire l’alunno con un numero smisurato di nozioni da

78

Cfr. ivi, pp. 67-71. 79

Cfr. ivi, p.79. 80

Cfr. E. Becchi, Storia dell’infanzia. Dall’antichità al seicento, Laterza, Bari 1996, pp. 57-59. 81

Cfr. ivi, p.105. 82

Cfr. ivi, pp.45-49.

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studiare, bisognava però saper incoraggiare il loro interesse e la loro

partecipazione;

Utilità: intesa come la proposizione di diversi contenuti, tali da far avvertire agli

allievi l’utilità;

Ciclicità: Nei vari gradi, per quanto differenti tra loro, non erano insegnate cose

diverse, bensì le stesse cose ma in modo diverso, in base all’età e al grado della

precedente preparazione. Seguendo questo principio, durante i vari momenti

della vita scolastica non si insegnano in successione discipline diverse, ma

sempre le stesse, variando il numero dei particolari e il grado di difficoltà;

Consequenzialità: Intesa come passaggio da un contenuto all’altro

dell’apprendimento che doveva essere coerentemente concatenato e sempre

rilevante per colui che imparava;

Continuità educativa: Occorreva procedere dal semplice al complesso, dal

generico allo specifico, dal noto all’ignoto, dal concreto all’astratto, perché si

potessero mantenere, da un livello all’altro della formazione, i principi e i

metodi che la caratterizzavano. Era inoltre fondamentale il rispetto della storia

educativa dell’alunno;

Realismo: Poiché la acquisizione di nuove nozioni deriva dai sensi, occorreva

stimolare tutti i sensi, e ciò sarebbe stato possibile solo mostrando agli alunni

gli oggetti di cui si parlava, per far sì che avessero una conoscenza diretta delle

cose; laddove ciò non era possibile (ad esempio nel caso in cui si parlava di

piante tropicali o animali) si doveva ricorrere alle immagini»83

.

83

Cfr. ivi, pp.107-115.

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La Rivoluzione Francese, dal 1789 al periodo napoleonico, ebbe indubbiamente

una forte incidenza sull’evoluzione dei modelli educativi e delle istituzioni scolastiche

che divennero sempre più idonee e rispondenti alle esigenze del nuovo contesto

sociale84

. Dal punto di vista pedagogico, fu però necessario un intervento assolutamente

riformatore: nei “Cahiers de doléances”85

, i documenti pubblici in cui venivano raccolte

le proteste delle province, e che poi vennero presentate all’Assemblea degli Stati

Generali del 1789, emergeva un quadro deprimente della situazione del paese:

l’analfabetismo raggiungeva il 75% della popolazione, le scuole elementari non solo

avevano maestri impreparati, ma erano anche pochissime, i pochi collegi e università

che esistevano erano ancora fortemente legati all’autorità religiosa e continuavano a

privilegiare una formazione umanistica ormai superata86

. A questo, il Terzo Stato

controbatteva l’urgenza di una riforma che revisionasse sia l’organizzazione delle

scuole (osservando in particolar modo le condizioni materiali), che l’educazione

popolare (in riferimento all’eliminazione degli innumerevoli difetti propri

dell’istruzione superiore, in vista di una formazione più corrispondente alle necessità

sociali)87

. L’ agitazione rivoluzionaria trascinò con sé numerose proposte e contrasti

circa il ruolo dell’educazione nella nuova società. Il progetto più completo e organico di

riforma dell’educazione fu presentato all’Assemblea legislativa nel 1792 da J. A. Caritat

(marchese di Condorcet). Egli era prettamente illuminista, e sostenitore di un’istruzione

che rendesse liberi dai pregiudizi e quindi dalla miseria88

. Secondo Condorcet il fine

principale dell’ educazione nazionale doveva essere quello di offrire a tutti, senza

distinzioni, i mezzi per provvedere ai propri bisogni ed esercitare i propri diritti, così da

partecipare al benessere comunitario per il raggiungimento di una vera uguaglianza

degli individui. Infatti nel riconoscimento del dovere dello Stato di dare a tutti, donne

comprese, la possibilità di ricevere un insegnamento completo, veniva individuato il

superamento delle disparità economiche e di sesso, in quanto storiche e non naturali, per

84

Cfr. ivi, pp. 55-59. 85

www. archiviodigitale.unimc.it (a cura di G. Ruocco). 86

Cfr. ivi, pp.45-49. 87

Cfr. ibidem. 88

Cfr. J.A. Condorcet, Sull’istruzione pubblica, Canova, Treviso 1976, p.45.

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di più il grado d’istruzione raggiungibile da ciascuno doveva essere determinato dalle

capacità individuali, ne venivano previsti cinque:

a) una scuola primaria di quattro anni che era una scuola elementare non tanto

riservata ai bambini, quanto piuttosto una scuola popolare che, fosse in ogni villaggio

(di almeno quattrocento abitanti), il cui scopo era quello di fornire le regole

indispensabili per il vivere sociale e la soddisfazione dei diritti attraverso lo studio della

scrittura, della lettura, della ginnastica e del calcolo89

;

b) le scuole secondarie che invece avevano carattere tecnico-professionale,

erano riservate alla borghesia cittadina ma potevano accedervi anche i contadini che

andavano in città per imparare i mestieri; in essa veniva impartito un insegnamento per

la maggior parte scientifico (con materie quali: matematica, chimica, storia naturale

ecc.) e per l’utilità sociale90

;

c) gli istituti che corrispondevano alla scuola media superiore, erano presenti in

ciascun dipartimento, e fornivano un’istruzione completa per coloro che volevano

ricoprire cariche pubbliche. In considerazione al principio dell’utilità sociale, le

discipline scientifiche prevalevano rispetto a quelle umanistiche91

;

d) i licei, corrispondenti alle nostre università, potevano essere nove in tutto il

territorio nazionale, qui, si riprendevano le discipline insegnate negli istituti ma con un

grado di approfondimento superiore, adatto a tutti gli studiosi di professione che

formavano l’ultimo livello del sistema educativo: la Società nazionale delle scienze e

delle arti92

.

Il sistema scolastico progettato da Condorcet implicava dunque una sostanziale

autonomia della scuola rispetto allo Stato, grazie anche al fatto che la formazione degli

insegnanti era realizzata in apposite scuole. Egli riteneva infatti che «Nessun potere

pubblico dovesse avere l’autorità di impedire la scoperta e lo sviluppo di nuove verità o

89

Cfr. ivi, pp.45-55. 90

Cfr. ivi, pp.123-126. 91

Cfr. ivi, pp.98-103. 92

Cfr. ivi, pp. 56-78.

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l’insegnamento di dottrine contrarie o diverse dalla sua politica»93

. La scuola secondo

questa logica, doveva limitarsi all’istruzione, ad un insegnamento rigidamente motivato

dalla realtà dei fatti, doveva dunque evitare di trasmettere pareri politici o religiosi che

spettavano invece, alle famiglie e alle chiese. Nel quadro del riconoscimento della

duplice funzione (civile e politica) dell’educazione pubblica che doveva essere gestita

dallo Stato, vennero presentati numerosi progetti94

.

A questo proposito nella Convenzione erano presenti due ideali: il primo che

mirava alla riforma dell’istruzione intesa come miglioramento della qualità con

l’istituzione di scuole normali volte alla formazione tecnico-professionale dei maestri, e

l’altro volto all’individuazione di una maggior presenza dello Stato nell’educazione.

La rivoluzione industriale che, intanto si era avviata in Inghilterra, aveva diffuso

in tutto il mondo occidentale, profonde e rapide trasformazioni sia nell’assetto sociale

che più in generale nei modi di vita. Non stupiva dunque che, nel nuovo panorama

sociale, il problema pedagogico si imponesse in modo particolarmente urgente. Infatti

se le campagne erano ancora presenti iniziative d’istruzione popolare promosse dai

proprietari terrieri e dalle parrocchie (addirittura nacquero in questo periodo i primi

librai ambulanti che in casi di necessità facevano anche una sorta di scuola volante), nei

quartieri dove vivevano gli operai, e nei dintorni delle fabbriche, le condizioni erano

estremamente diverse95

.

Le famiglie, che avevano subito il trasferimento dal loro ambiente, infatti, non

potevano più offrire ai loro figli, il rapporto educativo assicurato dalla vita di comunità

in campagna in quanto nelle città, padri e madri, erano costretti a lunghi orari di lavoro

(fino a 14-16 ore al giorno), e dunque non potevano provvedere all’educazione dei loro

figli. Questo determinò non solo un regresso educativo generale a causa

dell’impoverimento dei processi di socializzazione positiva, ma anche un arresto

dell’istruzione elementare, anche determinato dal fatto che nelle borgate e nei quartieri

popolari dei centri industriali non vi erano scuole. Progressivamente però ci si accorse

che per poter lavorare nelle fabbriche era necessario almeno un minimo d’istruzione,

93

www. archiviodigitale.unimc.it (a cura di Ruocco). 94

Cfr. E. Liguori, Educazione e scuola durante l’illuminismo e il Romanticismo, in A.A. V.V., Questioni

di storia della pedagogia, La Scuola, Brescia 1963, p.45. 95

Cfr. ivi, p. 56.

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perché le macchine non potevano essere maneggiate da persone totalmente ignoranti ed

ineducate. Inoltre, anche la necessità di un miglioramento continuo dei macchinari e

delle tecniche produttive richiedeva da parte della manodopera non solo una certa

preparazione che doveva essere quantomeno sufficiente ad usare le macchine e ad

inserirsi nei processi produttivi in uso, ma anche la capacità di adattarsi ad essi senza

perdita di tempo. Questa esigenza purtroppo non fu subito compresa dalla classe

dirigente, ma maturò con il tempo96

.

Il progetto educativo più idoneo per la nuova società industriale fu elaborato da

Owen. Nella sua opera Una nuova visione della società del 1813, nella quale sosteneva

che ciò che avrebbe permesso il riscatto umano dalle miserie terrene, materiali e morali

era l’educazione collettiva, e che, in quanto formazione del carattere, essa era un

prodotto dell’ambiente (contrariamente a quanto invece sostenuto dai contemporanei del

romanticismo che avevano sostenevano da sempre l’autoeducazione). L’uomo era

schiavo di due grandi mali sociali: la miseria e l’ignoranza, e solo liberandosi da questi,

avrebbe potuto conseguire il benessere universale. Ma per poter essere un deterrente per

i mali dell’umanità, l’istruzione avrebbe dovuto essere estesa a tutti, altrimenti non

sarebbe stata efficace97

.

Owen a proposito dei ragazzi poveri che erano costretti a lavorare 12-14 ore al

giorno, sosteneva che questi ragazzi «passavano dall’infanzia alla gioventù, attraverso

l’iniziazione graduale (che comprendeva spesso anche le adolescenti) alle seducenti

consolazioni delle osterie e dell’alcool, cui erano spinti dal duro lavoro quotidiano, dalla

mancanza di abitudini migliori e dal loro intelletto non formato98

».

Chiaramente tutto ciò creava generazioni fragili dal punto di vista sia fisico che

mentale. Perciò Owen rivolse al governo britannico l’invito ad organizzare un piano per

l’educazione che avrebbe prodotto “mutamenti straordinariamente positivi99

”. Dato che

il suo progetto di formazione ed istruzione era rivolto a tutte le età e le condizioni

sociali, avrebbe portato ad una vera uguaglianza. Owen non fu solo un teorico, ma

anche un uomo d’azione, può essere considerato un precursore dell’educazione

96

Cfr. ivi, p. 112-114. 97

Cfr. ibidem. 98

Cfr. R. Owen, Una nuova concezione della società , Laterza, Bari 1813, cit., p. 72. 99

Cfr. ivi, p.74.

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permanente, nel suo stabilimento di New Lanark affrontò questi mali con interventi

concreti legati all’educazione collettiva della comunità, che modificavano rapporti

formativi, non solo per bambini ma anche per adulti100

. Il “Nuovo Istituto Scolastico”

per i ragazzi, comprendeva sia un asilo nido per bambini dai diciotto mesi in su, che un

asilo infantile per quelli dai due ai cinque anni ed anche una scuola primaria per i

ragazzi fino ai dodici anni, aperta però anche ai più grandi, con corsi serali101

.

L’insegnamento riguardava l’apprendimento di discipline quali: la lettura, storia

naturale, geografia, chimica, astronomia, storia antica e moderna ed infine con la

scrittura e l’uso degli altri segni convenzionali. Naturalmente tutte le punizioni corporali

e ogni altro intervento violento, erano eluse, mentre veniva attribuita grande valenza alla

musica e alla danza. Nella scuola di Owen, a causa della mancanza di docenti, si

ricorreva al mutuo insegnamento, (un metodo che in realtà era già stato utilizzato in altri

momenti storici e in altre parti del mondo, ma Lancaster lo perfezionò) che prevedeva

la suddivisione degli alunni in gruppi insegnati dai “monitori”102

, dei ragazzi appena un

po’ più grandi che, avendo mostrando più diligenza, venivano istruiti separatamente dal

maestro, e che poi trasmettevano questo insegnamento ai compagni più piccoli.

La giornata scolastica era organizzata in maniera minuziosa: ai monitori spettava

il compito di assicurarsi che gli allievi svolgessero sempre le attività stabilite secondo

tabelle didattiche (che spesso erano articolate minuto per minuto), a cui ci si doveva

adeguare con rigidità103

. È ovvio che in queste condizioni l’apprendimento era

mnemonico, anche perché per lo più, consisteva nella ripetizione di cantilene e nel dare

risposte schematiche a domande che lo erano altrettanto. Ad ogni modo, il metodo

Lancaster fu apprezzato per lo stratagemma didattico ed economico che individuò: per

risparmiare le spese economiche di carta, cancelleria, lavagne e libri, ogni alunno aveva

sul proprio banco uno scatolone basso pieno di sabbia, in cui tracciava lettere e

numeri104

.

100

Cfr. J. Locke, Pensieri sull’educazione, La Nuova Italia, Firenze 1999, pp.23-28. 101

Cfr. ibidem. 102

Cfr. ibidem. 103

Cfr. ivi, pp.79-84. 104

Cfr. Becchi E., Storia dell’infanzia. Dal settecento a oggi, Laterza, Bari 1996, pp.47-52.

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Lancaster aveva organizzato i suoi scolari in otto gruppi per la lingua e in dodici

per l’aritmetica. Gli allievi potevano seguire separatamente i due corsi, perché si

svolgevano con orari e monitori differenti, ma alla fine bisogna comunque evidenziare

che la rigidità del sistema monitoriale finì per compromettere la positività dei risultati.

Di fronte ai due grandi e sconvolgenti eventi che chiusero il Settecento, la

Rivoluzione francese e la Rivoluzione industriale, nel secolo successivo, il

Romanticismo fu a sua volta una rivoluzione, questa volta però, dei cuori e delle

menti105

. I nuovi cardini della cultura romantica erano infatti: il sentimento, la ricerca

dell’infinito, un nuovo senso della storia, ma anche della poesia, della religione e

dell’individuo. Si trattava, dunque, di attuare una trasformazione radicale della vita

degli uomini, del loro modo di vivere, di sentire e di rapportarsi intersoggettivo106

. Il

ruolo della cultura e degli intellettuali doveva essere necessariamente ridefinito in

relazione al problema della formazione dell’individuo, che ora era parte attiva di un

popolo che era chiamato a partecipare alla costruzione etica della nuova comunità. Tutti,

individui e istituzioni, furono impegnati, ognuno aveva una missione educativa dai

risvolti e dai contenuti del tutto nuovi. Furono così superati l’intellettualismo e

l’utilitarismo illuministici, in quanto ogni uomo poteva essere partecipe della cultura,

come manifestazione di ciò che l’uomo realizzava nella storia107

. Il raggiungimento di

questo ideale educativo doveva passare attraverso l’individuazione di un nuovo rapporto

pedagogico, in cui prioritariamente doveva essere attribuita grandissima importanza al

ruolo della famiglia e della scuola, che doveva essere adeguato ai nuovi contesti

educativi.

Dal punto di vista pedagogico il Romanticismo si focalizzò intorno ad alcune

idee-chiave, tra cui principalmente “l’idea di cultura intesa, non tanto come insieme di

conoscenze, quanto come realizzazione piena delle potenzialità dello spirito umano

attraverso un percorso educativo che ne rispetti la naturalità108

” . Essa era una

“Bildung”, cioè una formazione prevalentemente spirituale, una strutturazione profonda

105

Cfr. J. W. Goethe, A. Rho e E. Castellani, Wilhelm Meister. Gli anni dell'apprendistato, Adelphi,

Milano 2006, pp.28-34. 106

Cfr. ivi, p.134. 107

Cfr. R. Guardini, L’età della vita, Vita e pensiero, Milano 1992, pp.46-49. 108

Cfr. ivi, p.89.

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della personalità, che si era avvalsa delle arti e del sapere umanistico e che ora,

intendeva favorire la crescita interiore dell’allievo al bene e al bello, senza comunque

modificarne l’originaria natura.

Data la stretta relazione stabilita tra Bildung e cultura, il problema

dell’educazione, impegnava molti degli intellettuali del tempo, due dei più importanti

autori della Germania romantica che intervennero nel cambiamento del processo

pedagogico, furono: Goethe e Schiller. Goethe nel romanzo pedagogico di formazione

Wilhelm Meister109

, rappresentazione della sua concezione educativa che fu per oltre un

trentennio uno dei principali modelli della produzione letteraria tedesca, affermava che

l’uomo era in grado di conoscere se stesso perché conosceva il mondo, e proprio nel

Bildungsroman chiarisce le implicazioni pedagogiche di questa concezione. La

composizione di quest’opera occupò un perdio di più di trent’anni, nel corso dei quali si

verificarono eventi decisi per la storia e la cultura europea. Questo passaggio è

importante perché quest’opera ha coinvolto vari modi sociali ed etici, è stato una sorta

di tentativo di rappresentazione astratta di ciò che sul piano politico non poteva essere

realizzato110

.

Il Meister comprendeva tre parti che corrispondevano alle tre fasi dell’ideale

educativo secondo la concezione goethiana: nella prima veniva rappresentato il tipico

ideale romantico111

, nella seconda (dopo aver ripreso e modificato la narrazione lasciata

interrotta, e dopo aver superato la semplice vocazione teatrale come percorso

educativo), invece riconosceva un modello, coerente con lo spirito neoumanistico, di

formazione enciclopedico112

, riconoscendo che la Bildung consisteva in

un’autoeducazione attraverso le esperienze, in cui l’errore ha un’indispensabile valore

educativo, pertanto come Emilio, egli si avviava con i suoi compagni all’esplorazione

della vita sociale, e alle peregrinazioni necessarie per il completamento della sua

formazione. Ma è solo nella terza parte che egli arriverà ad una visione pienamente

109

Cfr. J. W. Goethe, I dolori del giovane Werther, Mondadori, Milano 2010 , p.17. 110

Cfr. ibidem. 111

Cfr. ivi, p.45. La vicenda narra come Wilhelm, giovane borghese con una carriera ormai avviata,

abbandonò la casa paterna per dedicarsi alla vita di attore, con la speranza di poter essere educato e

finalmente essere libero di poter esprimere la propria personalità. Il luogo in cui era possibile educare se

stessi, attraverso la rappresentazione di vari personaggi sulla scena, era il teatro. 112

Cfr. ivi, p.46. Goethe riprende, attraverso il ritratto di una nobile signora, l’ideale di formazione

morale, si rende conto dell’impossibilità del suo ideale teatrale e dell’errore del suo individualismo.

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matura ed equilibrata di educazione, il modello formativo doveva essere fondato sulla

partecipazione attiva alla società, attraverso la specializzazione, occorreva cioè,

imparare una professione che poteva essere utile agli altri. Ma questa specializzazione

però non poteva essere precoce, in quanto doveva pervenire attraverso un processo

culturale generale che consentisse all’individuo di scoprire la propria disposizione nel

mondo e la propria funzione particolare. Secondo Goethe infatti, la nuova società non

aveva più bisogno di “anime belle” ma di uomini operosi e profondamente coinvolti

nella vita comunitaria113

. Schiller, invece, sosteneva che nell’uomo coesistono due

dimensioni: una legata al mondo sensibile, e l’altra più razionale, orientata verso

l’universale e il necessario. La società però tendeva spesso a separare queste due

dimensioni, privilegiando ora l’una ora l’altra e degradando l’umanità. L’educazione

doveva quindi essere “un’armoniosa concordanza dei diversi aspetti della natura” 114

.

Ma questo compito non poteva essere adempiuto né dalla filosofia, né dallo Stato, in

quanto entrambi dipendevano dal sviluppo della società che dovevano creare. L’unica

che poteva assolvere a questa missione educatrice era l’arte, in quanto sintesi di materia

e forma, pensiero e sensibilità, solo questa avrebbe potuto consentire l’armonia,

necessaria per la formazione dell’uomo, nella sua completezza di istinto e ragione.

Schiller sosteneva infatti che la natura umana possedeva due istinti, il primo legato ai

sensi, il secondo alla ragione, e l’arte permetteva lo sviluppo di un terzo istinto, l’istinto

estetico, che li conciliava entrambi115

.

Per usare le parole di Schiller, “l’arte era la Bildung dell’anima bella116

”, nel

senso che solo attraverso questa si poteva sperare di essere liberi, la meta politica a cui

gli uomini dovevano ambire, ma essa si risolveva nella bellezza, in quanto alla libertà si

113

Cfr. ivi, p.48. Per realizzare l’educazione del proprio figlio Felice, Wilhelm lo conduce in

un’immaginaria località dove tutte le attività erano indirizzate alla formazione dei giovani. In questa

contrada i fanciulli si dedicavano in maniera integrale all’attività a cui dovevano diventare esperti, ma

godevano anche di un’educazione generale, senza la quale la specializzazione non sarebbe stata proficua.

Nella provincia pedagogica il rispetto era il più alto ideale educativo, e gli educatori scrutavano

attentamente gli educandi allo scopo di coglierne le inclinazioni: a questo era concessa la più assoluta

libertà nella scelta delle fogge e dei colori degli abiti, ma era anche previsto lo svolgimento a rotazione di

tutte le attività. Nel frattempo i giovani avrebbero imparato le lingue parlandole, e venivano educati

mediante le arti. Ma da questo ideale di educazione estetica veniva escluso il teatro. 114

Cfr. F. Schiller, L’educazione estetica dell'uomo, Bompiani, Milano 1999, p. 23. 115

Cfr. ivi, pp.111-117. 116

Cfr. ivi, p.56.

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perveniva solo tramite la bellezza117

. Nella riflessione di Schiller l’uomo esprimeva se

stesso solo nel gioco perché gli consentiva di riappropriarsi della sua naturalità

originale, il gioco era libera espressività e creatività, ma bellezza e gioco tendevano ad

identificarsi, per cui l’istinto estetico tendeva a rendersi equivalente all’istinto di

giocare.

La cultura pedagogica del Novecento fu caratterizzata, invece, da una pluralità

di presenze e sperimentazioni, talora molto differenziate, per effetto della loro matrice

filosofica, scientifica, sociale e politica. L’emergere e l’affermarsi della psicoanalisi,

della sociologia e della psicologia diede origine a nuovi metodi d’indagine, nuove

conoscenze, ma anche e soprattutto a spazi e modalità educative nuovi, prima del tutto

impensati118

. Il concetto di educazione fu profondamente condizionato da numerosi

problemi quali quelli dell’alfabetizzazione, dei portatori di handicap, delle donne, degli

anziani, strettamente legati alla possibilità di emancipazione economica, sociale,

culturale ed educativa. Via via, proprio per effetto della consapevolezza della

complessità di problemi educativi e dell’affermarsi di nuove discipline, cambiò il modo

d’intendere la pedagogia e sempre più si cominciò a parlare di scienze

dell’educazione119

. Contemporaneamente, si affermavano la didattica e le tecnologie

educative, in corrispondenza di un modo nuovo d’intendere l’insegnamento,

l’apprendimento, l’utilizzazione delle macchine.

In quest’ottica s’inserì l’idea della formazione permanente, la società industriale infatti,

non poteva fare a meno di cittadini “colti”, l’educazione doveva essere un processo

continuo, che doveva durare tutta la vita. In questo contesto, il problema

dell’educazione non riguardava più la ricerca della virtù e della felicità, anzi, iniziò a

svilupparsi sempre più l’idea di Rousseau, secondo cui era necessario conoscere le fasi

dell’evoluzione del bambino per adattare ad esse i metodi.

Restava invece immutato il legame tra la formazione dell’uomo e quella del

cittadino, ripresa dalla società greca. Anzi, nelle società moderne costruite politicamente

sui princìpi democratici, assumeva un significato più ampio, perché si riteneva che la

scuola potesse essere utile per il perseguimento dell’eguaglianza, che era la condizione

117

Cfr. ibidem. 118

Cfr. R. Fornaca, Storia della pedagogia, La Nuova Italia, Firenze 1993 (2a ristampa), p.211.

119 Cfr. ibidem.

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di base della democrazia120

. È sintomatico che il confronto tra le impostazioni

filosofiche e scientifiche, avvenuto nel passaggio tra Ottocento e Novecento, sia coevo

alla nascita dei movimenti delle scuole nuove e delle scuole attive121

. Le prime

trovarono ampia espressione nel 1912, collocate nelle campagne, grazie alla

disponibilità di ampi spazi architettonici e fisici si contraddistinguevano proprio per i

rapporti tra insegnanti e allievi, in queste venivano vissuti dei momenti di vita comune,

erano praticate educazione fisica e sportiva, tra gli insegnamenti campeggiavano

l’apprendimento della lingue moderne, della storia, della geografia, delle scienze, ed

inoltre venivano svolte attività espressive che spaziavano dai viaggi, alla messa appunto

dei giornali, all’acquisizione di capacità critiche, il tutto in un clima di libertà,

tolleranza, dialogo, ma anche di impegno morale e civile. Questi particolari resero le

scuole nuove dei veri e propri laboratori di pedagogia122

.

Per quanto riguarda, invece, le scuole attive, storicamente il loro fondatore è

considerato Dewey. Egli partendo dal presupposto che il centro dell’educazione era

l’alunno, propose una scuola in cui doveva essere curato lo sviluppo delle attitudini

individuali e sociali in un “libero gioco” di rapporti tra alunni e insegnanti. Era una

scuola che accoglieva dapprima i bambini dai sei a nove anni e, in seguito, dai quattro ai

quattordici. Dewey puntava su una concezione comunitaria e democratica

dell’educazione e della scuola, dava infatti spazio agli aspetti sia psicologici che

sociologici, dove risultava essenziale la coniugazione dell’esperienza con

l’intelligenza123

.

Dewey chiarì che la scuola poteva educare ad una capacità di pensiero razionale e

allo stesso tempo creativa, solo partendo da alcune condizioni già presenti nella

situazione educativa:

la curiosità

la suggestione

l’ordine

120

Cfr. ivi, p.212. 121

Cfr. ivi, pp.99-111. 122

Cfr. ibidem. 123

Cfr. L. Borghi, John Dewey e il pensiero pedagogico contemporaneo negli Stati Uniti, La Nuova

Italia, Firenze 1951, pp.2-15.

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Dewey sosteneva che nell’uomo «l’educazione intelligente mirava a suscitare attitudini

alla comprensione e alla critica, nonché al potenziamento delle sue capacità in vista di

un’attività costruttiva e non abitudinaria, in funzione del conseguimento della pienezza

della sua individualità»124

. È significativo inoltre che nel Il mio credo pedagogico abbia

affermato che « la scuola è prima di tutto un’istituzione sociale», e che «l’educazione

deriva dalla partecipazione dell’individuo alla coscienza sociale della specie» .

Quest’opera ha costituito il manifesto della scuola attiva, in essa è stato possibile

cogliere il passaggio dal vecchio al nuovo pragmatismo, un passaggio che non fu solo

filosofico, ma soprattutto pedagogico, proprio per la emotività dimostrata per le

questioni educative e scolastiche125

.

Il problema che Dewey si pose, in campo educativo, riguardava la funzione

dell’educazione nella società a lui contemporanea, egli, da un lato, accettava la

rivoluzione industriale, le nuove tecnologie, e quella che lui stesso definì come “la

giungla americana”, ma dall’altro si chiedeva che cosa avrebbe potuto fare per

indirizzare quelle forze verso un’educazione che mirasse allo sviluppo del processo di

apprendimento. Certo che l’educazione avesse due aspetti: quello della trasmissione ai

nuovi individui delle forme di vita e degli ideali della società in cui nascevano, e quello

di sviluppare in modo pieno ed integro la loro personalità, in maniera tale da poterli

rendere atti al pensiero e indipendenti nelle azioni, cosicché potessero essere capaci di

trasformare e incrementare la realtà sociale che li circondava, Dewey evidenziava il

duplice carattere dell’educazione: sociale ed individuale126

.

Due aspetti legati inscindibilmente, in quanto l’educazione come scienza

guardava a al problema della formazione dalla personalità, come scienza sociale

assicurava, invece, la continuità e lo sviluppo della vita sociale127

. Centrale inoltre nella

sua pedagogia era il rapporto tra individuo e società, il cui fine era di «assicurare lo

sviluppo pieno dei suoi componenti, di promuovere la formazione di personalità integre

ed autonome, felici e libere»128

, la società difatti non era mai una realtà trascendente

124

Cfr. ivi, pp.145. 125

Cfr. J. S. Bruner e L. A. Armando, Il processo educativo. Dopo Dewey (I problemi dell’educazione),

Brossura, Milano 1999, pp.76-79. 126

Cfr. ivi, pp.78-80. 127

Cfr. ivi, pp.14-21. 128

Cfr. ivi, p.88.

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dagli individui che la componevano. La scuola doveva cioè promuovere una società

libera e aperta, il raggrupparsi spontaneo degli alunni intorno alle attività condivise,

dove renderla luogo di discussione e scambio di esperienze.

Ma la società era anche comunità, fondata su valori di solidarietà e

partecipazione. Ciò risulta particolarmente evidente nel mondo alla scuola veniva

attribuito il compito di favorire, specie con la sua componente docente, la democrazia

nella vita comune in tutti i suoi aspetti, guidando le giovani generazioni all’esperienza

attraverso la preparazione di una mente aperta e di una coscienza partecipativa. Alla

finalità individuale e sociale dell’educazione, egli, collegava il suo anti-istituzionalismo

ostile ad ogni monismo e ad ogni irrigidimento gerarchico e autoritario. L’errore che

Dewey rimproverava in alcune pagine famose di Democrazia e Educazione agli

idealisti tedeschi era quello di aver scambiato la società con lo Stato, e di aver

sottomesso l’educazione ai fini degli interessi nazionali129

. Egli mirava ad

un’educazione che integrasse il principio dello sviluppo individuale e della formazione

dell’individuo ad uno spirito di cooperazione130

, questa tra gli alunni si sviluppava nella

misura in cui il sapere avrebbe assunto il suo carattere costruttivo, e l’intelligenza

avrebbe mirato ad impadronirsi del mondo circostante, in maniera tale da poterlo

migliorare.

L’educazione democratica da lui teorizzata, infatti, attraverso la riorganizzazione

e l’accrescimento dell’esperienza che veniva comunicata e condivisa a tutti, poteva

stimolare gli individui alle relazioni e al controllo sociale, dando loro gli strumenti per

padroneggiare, interpretare e modificare la realtà e porli nelle condizioni di adattarsi

attivamente ai mutamenti sociali e tecnologici, senza che rimanessero disorientati o

passivamente inerti. L’educazione doveva porsi come strumento e fondamento della vita

e della comunità della società democratica mediante la diffusione su vasta scala dello

spirito scientifico e dei suoi valori intrinseci.

L’impegno per una scuola progressiva diviene così una questione civile, politica

e culturale, dove non è affatto indifferente che i metodi educativi seguano o ignorino i

criteri dell’intelligenza, dell’indagine, del dubbio, dell’apertura mentale, dell’ipotesi,

129

Cfr. P. Mulè, I principi teorici dell’educazione progressiva e dell’Attivismo, Rubbettino 2008, pp. 24-

29. 130

Cfr. J. Dewey, Democrazia e educazione, Sansoni, Firenze 2004, pp.45-56.

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della tolleranza, della convalida sperimentale. Accanto alla pratica della collaborazione

al posto dell’emulazione (che troppo spesso, secondo l’autore, formava e rafforzava

l’individuo in maniera tale che quando avrebbe lasciato la scuola, avrebbe potuto

sfruttare le sue doti speciali e la sua maggiore capacità a superare i suoi compagni,

senza rispetto per il benessere dell’altro) si collocava il criterio attivo e costruttivo

dell’apprendere dell’insegnante131

.

Nel pensiero educativo deweyano l’autonomia e l’autodeterminazione degli

studenti non potevano più essere promosse in un’atmosfera in cui queste qualità

costitutive di una prassi democratica non venivano riconosciute, apprezzate e promosse

dai docenti. Questo secondo Dewey, era l’elemento distintivo della scuola democratica,

infatti, se una democrazia era possibile soltanto quando le comunicazioni tra le persone

componenti il gruppo sociale veniva aumentata al massimo con il potenziamento delle

loro attitudini individuali, e delle loro capacità di comprensione e di trasformazione, alla

scuola spettava il compito della formazione e del potenziamento delle capacità

intellettuali ed affettive dei giovani. Erano una scuola e un’educazione che non

ostacolavano questo processo di formazione impedendo la libera iniziativa di alunni e

maestri, come invece avveniva in un sistema fondato sull’imposizione agli alunni dal di

fuori e dall’alto delle regole e delle materie pertinenti allo sviluppo132

.

La scuola si configurava così come il laboratorio della democrazia, ma perché

una scuola potesse dirsi democratica occorreva che in essa non soltanto si fosse

promossa la libera iniziativa degli alunni e la liberazione delle loro attività intellettuali,

ma anche la partecipazione degli insegnanti alla determinazione delle direttive della

scuola stessa, in modo che essi fossero stati capaci di stabilire con i loro alunni un

rapporto di libertà di spontaneità133

.

A tal fine oltre a creare nella comunità scolastica un clima di democratica

cooperazione, Dewey proponeva la centralità dell’attività del fanciullo che, guidato

dall’insegnante, apprendeva, attraverso “il fare”, un programma opportunatamente

predisposto tenendo presenti gli interessi, i bisogni e componenti dello sviluppo fisico e

131

Cfr. ivi, pp.33-45. 132

Cfr. ivi, pp.167-172. 133

Cfr. ivi, pp.78-96.

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psicologico dell’alunno134

. Poiché, tra teoria e pratica vi era una transizione continua, il

sapere non era fisso e definito, ma era piuttosto un sistema elastico che si accresceva e

modificava progressivamente grazie all’esperienza, sulla quale, a sua volta, si doveva

intervenire, modificandola135

. Nell’educazione detta “progressiva” dove

l’apprendimento assumeva la forma della partecipazione diretta al compimento di

esperienze, e dove i bambini imparavano facendo, organizzando gite, disegnando,

dipingendo, costruendo e risolvendo i problemi che gli venivano proposti, la

collaborazione era spontanea.

Un altro principio basilare del pensiero pedagogico di Dewey era quello del

lavoro produttivo concepito come «stimolo e guida principale degli alunni ad un’attività

auto-educativa»136

l’attività manuale, infatti, rendeva autonomi da qualsiasi

considerazione di carattere economico, era considerata come necessaria alla promozione

di un normale sviluppo fisiologico e psicologico del fanciullo. Il contatto che il bambino

aveva con il materiale offerto dalla natura e da genitori e maestri, gli permetteva di

acquistare il controllo delle sue energie, di sviluppare i suoi centri motori sensoriali, di

stabilire un rapporto di unione sintetica con l’ambiente e di instaurare legami di

solidarietà col mondo delle cose137

.

Quindi potremmo affermare che alla questione del rapporto tra scuola società,

che poi fu il fondamentale problema pedagogico affrontato dalla scuola attiva, Dewey

diede tre risposte nel corso della sua lunga carriera di pensatore e pedagogista. In una

prima fase il condizionamento della scuola dalla società fu messo in rilievo

predominante ed si domandava in che modo le trasformazioni avvenute nella società si

atteggiassero nelle scuole mediante l’introduzione dei metodi dell’educazione attiva. In

una seconda fase espresse l’esigenza che le forze educative liberate nelle scuole nuove

si alleassero agli elementi progressivi della società, per aiutarli nell’opera di

trasformazione del mondo contemporaneo.

Nell’ultimo e più tormentato periodo del suo pensiero, infine, suggerì la

possibilità di uno sganciamento totale della scuola dalla situazione storica contingente,

134

Cfr. ivi, pp.45-46. 135

Cfr. J. Dewey, Scuola e società, La Nuova Italia, Firenze 1999, pp.74-88. 136

Cfr. ivi, p.46-48. 137

Cfr. ivi, pp.200-225.

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per l’attuazione di un compito di formazione dell’educando «alla pienezza della sua

umanità anche di fronte alle spinte di forze sociali antagoniste rivolte

all’automatizzazione e all’alienazione totale dell’uomo da se stesso»138

. In questo

contesto il lavoro di Dewey assumeva dunque un ruolo importante, in quanto, come

abbiamo visto al centro della sua riflessione c’era il concetto di esperienza in cui

uomo, natura e società erano strettamente legati139

. Nel quadro di questa visione

generale egli faceva dell’adattamento all’ambiente il criterio fondamentale per l’analisi

della realtà umana. In questa prospettiva anche il pensiero venne considerato in termini

pragmatistici: rivolto all’agire, emergeva nel momento in cui l’azione immediata, non

conseguendo il suo effetto per l’insorgenza di un ostacolo o di una situazione

problematica, poneva l’esigenza di una riflessione che, attraverso una spiegazione

concettuale, individuasse un sistema sperimentale al fine di scoprire la soluzione più

idonea e efficace140

.

L’educazione era dunque ricostruzione e riorganizzazione continua

dell’esperienza in cui la società, nel suo sforzo volto al miglioramento delle condizioni

di vita collettiva, cercava di sollecitare nei giovani la ricerca di soluzioni potenzialmente

migliori ai problemi comuni141

. Dunque il processo educativo per Dewey era

rappresentato dalla sintesi tra la partecipazione dell’individuo e quello della società,

esso perciò deve suscitare capacità di comprensione e critica alla condizione esistente in

modo da indurre il singolo a lavorare per il miglioramento di sé e della società.

Naturalmente tutto questo era possibile a condizione che si operasse e si vivesse

all’interno di un ambiente di carattere democratico, senza gerarchie e senza distinzioni

tra dominanti e dominati, tra lavoro manuale e intellettuale.

Un grande contributo alla storia dell’educazione ci è fornito anche da Pestalozzi.

La sua personalità controversa determinò vari intendimenti della nozione di educazione,

anche se tenne sempre ben fermo il presupposto della staticità dell’ordine sociale e della

gerarchia delle classi, per lui il popolo doveva essere aiutato a distaccarsi dalla

138

Cfr. ivi, cit. p.245. 139

Cfr. ivi, p. 213. 139

Cfr. J. Dewey, Scuola e società, La Nuova Italia, Firenze 1994. 140

Cfr. ibidem. 141

Cfr. J. Dewey, Democracy and Education, (trad. E.E. Agnoletti e P. Paduano), La Nuova Italia,

Perugia 1990 (9a ristampa), pp.123-126.

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condizione di sfruttamento e di degenerazione, ma nonostante ciò, non avrebbe mai

potuto divenire possidente142

. L’azione educativa di Pestalozzi era contraddistinta da

alcuni elementi fondamentali: sentimento, amore, fede, mente, cuore, intelligenza e

forza, questi dovevano essere intesi come forme categoriali e non come obiettivi. Punto

di riferimento era l’educazione materna e familiare, un modello educativo molto attento

ai cambiamenti e ai comportamenti dei ragazzi, lui proferiva che «ogni buona

educazione esige che l’occhio materno legga, con sicurezza, giorno per giorno, ora per

ora, ogni mutamento nello stato d’animo del figlio, nel suo occhio, nella sua bocca e

sulla sua fronte»143

.

Un’attenzione che mostra da parte di Pestalozzi un’estrema sensibilità allo

sviluppo fisico e intellettuale. Inoltre individuando nell’ideale di un uomo energico,

attivo, vigoroso, la condizione necessaria per l’educazione, questa doveva essere

naturale, cioè fondata sulla consapevolezza delle leggi della natura dell’animo umano e

sull’offerta di condizioni idonee al suo sviluppo. L’ideale era quello di educare i futuri

lavoratori ad utilizzare bene il denaro, e ad economizzare per prevenire i momenti di

miseria, ed evitare i mali della vita oziosa.

Lo stesso apprendimento dell’aritmetica, particolarmente sviluppato nel

processo educativo pestalozziano, rispetto alla precedente tradizione didattica, era

giustificato dalla necessità di prendere confidenza con il valore del denaro nelle diverse

operazioni rientranti nell’esperienza contadina. L’educazione poteva essere compiuta

solo con il riconoscimento delle sfere di vita interiore ed esteriore in cui l’individuo era

inserito. La sfera interiore era rappresentata da Dio: l’educazione nasceva e doveva

tendere ad essa, in quanto formazione armonica e correzione integrale della personalità

nelle tre dimensioni del cuore, della mente e della mano144

. Ma il vero adempimento era

possibile solo nelle sfere esteriori che riguardavano i rapporti famigliari, di lavoro, dei

ceti, dello Stato e della Nazione.

142

Cfr. A. Banfi, Pestalozzi, La Nuova Italia, Firenze 1961, pp.43-44. 143

J. H. Pestalozzi, Idee, esperienze e mezzi per promuovere un'educazione conforme alla natura umana

(1806), cit. pp. 152-153. 144

Cfr. V. Burza, Formazione e persona. Il problema della democrazia, Anicia, Roma 2003, pp.45-49.

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Scopo ultimo dell’istruzione non era dunque “un’istruzione perfetta” ma la

“preparazione alla vita” 145

e l’orientamento alla riflessione, alla ponderatezza, era

dunque necessario insegnargli a “pensare”, tramite lo sviluppo dell’intelligenza, del

sentimento, delle capacità creative e artistiche146

. Egli insisteva sul fatto che il fanciullo

dovesse diventare un “utile cittadino”147

. Ma il problema educativo, si doveva porre con

un senso di realismo e di concretezza pratica, in rapporto alle condizioni sociali ed

economiche, egli auspicava infatti, ad una sorta di patto sociale in cui la classe

dominante s’impegnasse a riconoscere i diritti essenziali del popolo, che a sua volta

avrebbe dovuto sdebitarsi accettando il proprio stato148

.

La soluzione di ogni problema sociale stava infatti nell’elevazione (per mezzo

dell’educazione) di ogni individuo, ciascuno nell’ambito delle sue particolari

condizioni, a personalità moralmente attiva. Dunque Pestalozzi, diversamente da

Rousseau, evidenziava che l’educazione non poteva essere staccata dall’ambiente di vita

e di lavoro. La società auspicata da Pestalozzi doveva essere orientata allo sviluppo dei

rapporti morali tra gli uomini, fondati in primo luogo sulla fede e sull’amore individuali,

nonché sull’iniziativa educativa dei singoli e delle istituzioni.

Lo svolgimento della visione socio-pedagogica di Pestalozzi si trova

fondamentalmente nel romanzo in quattro libri Leonardo e Gertrude pubblicato tra il

1780 e il 1787 e più volte rielaborato. Il concetto animatore era il medesimo che lo

aveva guidato alla fondazione dell’istituto di Neuhof «offrire alla classe più

abbandonata e degenerata nella miseria e nell’sconforto, il potere di acquistare

coscienza e di sviluppare la propria umanità all’interno stesso della propria vita e del

proprio lavoro, affinché attivamente partecipasse all’organismo sociale»149

. Gli

avvenimenti, semplici scene della vita del contado, si svolgono nel villaggio di Bonnal,

la trama è la seguente: «la cecità e l’incuria del vecchio castellano hanno permesso che

il villaggio sia dominato con la minaccia, le lusinghe e gli intrighi, dal corrotto e avaro

podestà Hummel che opprimeva la popolazione aiutato da un gruppo di ricchi

145

Cfr. ibidem. 146

Cfr. ibidem. 147

Cfr. ivi, p.34. 148

Cfr. J. H. Pestalozzi, Il metodo(1801), UTET, Torino 1970, pp.33-38. 149

J. H. Pestalozzi, Idee, esperienze e mezzi per promuovere un'educazione conforme alla natura umana

(1806), cit. pp, 123-124.

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agricoltori. Tra le vittime c’era anche il muratore Leonardo, sua moglie Gertrude va a

denunciare la situazione ad Arner, il quale conferì a Leonardo il compito di costruire la

nuova chiesa. Con l’aiuto del pastore protestante Ernst, l’impresa venne a terminata,

Hummel, che aveva tramato per sabotarla, viene smascherato e sostituito, e il feudatario

decise di dare il campo comunale ai poveri. La pace e l’armonia tornarono così a

regnare nel villaggio»150

.

Nel terzo libro, Arner ed Ernst convincono il cotoniere Meyer che il

miglioramento del villaggio è possibile solo educando il popolo a migliorare la loro vita

materiale, ad adoperarsi di più nel lavoro manifatturiero. Ricevutone il consenso, Arner

chiama Gluephi, un ex- ufficiale in congedo, a realizzare nel villaggio la riforma

dell’educazione. Quest’ultimo, si propone di coordinare lavoro ed istruzione,

accogliendo il suggerimento di Gertrude di organizzare la scuola a tempo pieno, di

basarla sulla tessitura mentre i bambini avrebbero potuto imparare sia a contare durante

il lavoro al telaio che, mediante sussidi inventati da Gluephi, i rudimenti della lettura e

della scrittura. L’ordine era richiesto dentro e fuori la scuola, mentre quello sociale

veniva instaurato attraverso l’intervento coordinato di Arner ed Ernst che prendevano

iniziative di carità e consigliavano una forma di autogoverno e decentramento

popolare151

. Nel quarto libro l’autore ci vuole dimostrare che il nuovo ordine di Bonnal

può essere esteso a tutto il paese: Arner informa il Principe del suo piano e lo induce ad

estenderlo prima ai paesi vicini e poi a tutto lo Stato152

. Questo è, in breve, il seguito

degli avvenimenti che Pestalozzi ci presenta in una serie di scene a cui dà vivezza una

profonda comprensione dell’anima e della vita del contado. In questi libri Pestalozzi

non nasconde quella che lui stesso definisce la “nera miseria” del contado, una miseria

che induce i bambini a rubare per fame, che desola le capanne, in cui ogni lavoro

ristagna, una miseria anche morale, fatta d’insensibilità, di cieca superstizione, di

servilismo, di paura153

. Ma il quadro stesso di questa miseria vuole sollevare la certezza

150

Cfr. J. H. Pestalozzi, Leonardo e Geltrude. Libro per il popolo, vol.2, La Nuova Italia, Firenze 1999,

cit. pp. 77-78. 151

Cfr. J. H. Pestalozzi, Leonardo e Geltrude . Libro per il popolo, vol.3, La Nuova Italia, Firenze 1999,

pp.12-56. 152

Cfr. J. H. Pestalozzi, Leonardo e Geltrude. Libro per il popolo, vol.4, La Nuova Italia, Firenze 1968,

pp.65-89. 153

Cfr. ivi, pp. 63-64.

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nella bontà della natura umana, che in ogni circostanza può svolgersi e riempire di

benedizione la vita, se si è fecondi nell’amore e nella fede. Nel romanzo, infatti, la

miseria della casa di Hubelrudi, è rischiarata dalla purezza morale e dalla fede della

vecchia madre morente. Ma la figura dominante a questo proposito è Gertrude: a lei è

affidato il senso profondo dell’opera.

Essa non è perciò meno viva e meno sincera, perché non esce mai dal cerchio

stretto della sua vita e del suo affetto. Nei giorni della sventura lei soffriva in silenzio,

perché amava e lavorava, solo ciò le ha poi permesso di trovare la forza per affrontare la

maschera dell’indifferenza e la vergogna del rimorso, è in se stessa troverà il coraggio

di difendere la sua famiglia. L’opera stessa di Arner e del parroco, che pur decisive,

sembrano essere riaccese dall’energia morale di questa povera donna e dalla difesa che

ella fa dei suoi cari. I fondamenti dell’opera certamente sono la nobiltà dell’anima

umana, e l’opera dell’educazione per restituirla ad integrità; l’importanza e il valore

fondamentale della famiglia, la concezione patriarcalista della società politica nei

rapporti tra superiori ed inferiori, nonché la funzione etica della religione154

.

Dunque sembrerebbe che questa prima parte del romanzo fosse destinata al

popolo in quanto intendeva mostrare che gli uomini sono buoni e che per far emergere

le loro qualità positive hanno bisogno di condizioni idonee155

. La seconda parte è invece

destinata alle classi colte e intende dimostrare che il nuovo ordine non può essere frutto

solo di una rifondazione morale, ma necessita dell’intervento illuminato e delle

iniziative degli intellettuali e delle classi superiori. Infatti, qui viene analizzato

l’intreccio dell’ignoranza, della colpa, dell’egoismo e del sospetto, che, costituendo

quasi una seconda natura, soffoca ogni spontaneità di bene, e fa delle relazioni sociali

stesse un principio di corruzione156

.

Ma nel tempo stesso in tale miseria la colpa del singolo viene, per così dire,

assolta. Hummel che sembrava il più malvagio, ora che non ha più i suoi complici, è il

primo che si pente e vuole espiare le proprie colpe. Così non nella della punizione, ma

nella correzione umana e pietosa, nello ristabilimento della giustizia e nell’alleviamento

della miseria, i Pestalozzi individua i mezzi per la redenzione del Paese. Egualmente

154

Cfr. J. H. Pestalozzi, L'ABC dell'intuizione (1801), La Nuova Italia, Firenze 1965, pp.11-13. 155

Cfr. ivi, p.66. 156

Cfr. ibidem.

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dominante è qui il concetto che la nobiltà della natura umana non può essere ristabilita

se non per opera dell’amore, ma un amore vivo e operante, in cui s’illuminano tutti i

compiti e le relazioni della vita e il momento di costrizione (sia nella famiglia, come

nell’ordine civile) acquista valore di elevazione morale157

.

Nel romanzo Gertrude, il parroco ed Arner sono i rappresentanti di questo

spirito, la famiglia è qui veramente disegnata come il centro d’ogni certezza ed

elevazione spirituale: se tutto attorno sembra dominare l’egoismo e la perdita, il essa

vive la fiamma dell’amore, alla cui forza nulla può resistere158

.

Per ciò la famiglia è anche l’istituto educativo per eccellenza, l’unico che a

questo punto sembra poter avere efficacia per Pestalozzi. L’ideale del principe paterno è

invece realizzato in Arner, dove, più che una natura energica e volitiva, è rappresentato

da un nobile spirito ricco di sentimento e di fede nella bontà. Infine il valore della

religione nelle concrete sue forme tradizionali, viventi tra il popolo, è fortemente

accentuato. La purezza e la bontà di Gertrude s’alimentano da una fede semplice e viva,

ed è questa stessa fede che risuona nelle ultime parole della madre. Quindi, Leonardo e

Gertrude era stato concepito in realtà come libro per il popolo, ma, di mano in mano

che l’analisi della vita sociale veniva approfondendosi, il piano del romanzo si

allargava159

.

Nella terza e quarta parte infine, l’elemento narrativo s’impoverisce e si riduce

di colore. La vivace descrizione dei tipi, con tanta simpatia, con umorismo ricco di

fiducia, dà luogo ad un’analisi più schematica e astratta in cui risaltano piuttosto i vizi e

io difetti160

. Di fronte all’esigenza normativa, i piani di ricostruzione e di riforma,

nonché la polemica contro il passato, hanno il sopravvento. Così Pestalozzi abbandona,

la vecchia generazione di Bonnal al suo destino, come diceva l’autore stesso «Se la luce

d’umanità che dalla casa di Gertrude e dal castello di Arner si era diffusa sul paese, non

doveva spegnersi, ma era alle nuove generazioni, che per mezzo dell’educazione,

doveva essere trasmessa»161

.

157

Cfr. ivi, pp.318-319. 158

Cfr. ibidem. 159

Cfr. ibidem. 160

Cfr. ivi, p.75. 161

Cfr. ibidem.

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Dunque, la scuola nasce anzitutto per offrire un’educazione di base ed una valida

formazione professionale ai figli del popolo, ma dovrà essere modellata sull’esempio

della casa e dell’attività educativa familiare. Perciò la terza parte dell’opera viene

definita quella educativa, in cui tra i personaggi che già conoscevamo, compare Gluphi,

il maestro che Pestalozzi stesso avrebbe voluto essere. Ciò che artisticamente forma il

pregio di questo scritto è proprio l’idillio della fanciullezza educata alla letizia, al lavoro

e al bene. Ma se lo sfondo di tale spettacolo ci è dato dalla tenerezza materna di

Gertrude, sul retroscena sta l’energica volontà di Gluphi: egli ha il compito di preparare

alla vita reale, ma di questa non conosce le insidie ed i pericoli, perciò egli, nel lavoro e

nella disciplina vuol dare ai fanciulli la difesa contro il male e l’errore, per cui essi

potessero in ogni circostanza salvare la propria umanità162

.

Ma l’opera dell’educazione poteva svilupparsi solo se integrata in un sistema di

leggi e di costumi, è appunto, il problema della funzione etico-educativa dell’organismo

politico che l’autore ci presenta nella quarta parte dell’opera, in cui le prepotenze della

donna, lo smarrimento di Arner, offeso nella sua fede, oppresso dalla malinconia

dell’isolamento, nonché la grave malattia che lo mette in pericolo di vita e minaccia di

rovinare tutta l’opera compiuta, costituiscono un intreccio ingenuo, il cui compito è solo

di svegliare l’attesa nella soluzione a lieto fine, che rapidamente si svolge con l’arrivo

del ministro, la salute riconquistata del castellano e il trionfo di Gluphi, a cui la

coscienza della corruzione profonda del paese e le difficoltà dell’opera non attenuano la

fede163

.

Poiché la vita della scuola è legata a quella della famiglia e della società,

l’educazione non può non iscriversi nella dimensione sociale e politica per la quale è

indispensabile l’apertura alla partecipazione come requisito essenziale per la società

giusta. Dopo il fallimento di Neuhof, Pestalozzi si dedicò principalmente alla riflessione

sulla natura umana e sui fondamenti dell’educazione. Nelle Indagini troviamo così la

teoria delle tre facoltà che diventeranno in seguito i tre ambiti in cui il metodo si potrà

dispiegare, secondo cui vi sono nell’uomo tre forze: il cuore che rappresenta la facoltà

morale; l’intelletto quella conoscitiva; e l’arte che corrisponde all’attività tecnico

162

Cfr. ivi, pp.123-125. 163

Cfr. ivi, p.105.

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pratica. L’educazione della persona deve allora essere integrale e non può trascurare

nessuna di esse, così come non può escludere l’analisi delle modalità con cui il bambino

fa esperienza del mondo. La ricerca sull’arte pedagogica condusse Pestalozzi a delineare

il suo metodo elementare fondato prevalentemente sull’intuizione, secondo l’autore, il

maestro non doveva insegnare ma piuttosto doveva suscita le “scintille divine” già

presenti nella natura umana164

.

Essa doveva essere protetta (e questo è il compito specifico dell’educatore)

dalle influenze negative che ne ostacolavano il corretto sviluppo verso la socialità e la

moralità. Pestalozzi usa a questo proposito la nota immagine del giardiniere che impiega

tutte la cure perché la pianta possa crescere rigogliosa e forte165

. Ma come il giardiniere

deve comprendere la natura delle piante e i metodi di crescita di ciascuna, similmente il

maestro doveva conoscere le capacità interiori dell’allievo (cosiddetti elementi primi,

dai cui la denominazione di metodo elementare, dato al sistema didattico) e le leggi,

attraverso le quali queste capacità si sviluppavano. Ciò era possibile solo attraverso un’

intuizione, ossia la capacità di vedere oltre gli aspetti sensibili, dentro le cose, ma in

particolare di cogliere il mondo interiore del fanciullo che muoveva dai cinque sensi,

per giungere poi anteriormente a rappresentazioni chiare e definite.

Con Rousseau, anche Pestalozzi insistette sul fatto che “la vita educa”166

, nel

senso che l’esperienza guidata energicamente e affettuosamente dall’educatore era il

solo processo valido per la formazione delle nuove generazioni. Per ciò il metodo

doveva essere semplice, infatti egli sosteneva che, l’educatore-giardiniere doveva solo

lasciarsi portare dallo sviluppo del metodo stesso, e diventarne strumento167

. Il metodo

elementare si poneva di conseguenza, come trasversale rispetto alle tre aree educative

sopra citate, ma questo ordine doveva essere rispettato in quanto l’educazione morale

era il fine ultimo e doveva avere priorità assoluta, perché il bambino prima di tutto ama.

Di qui l’importanza e l’insostituibilità della figura materna, che doveva provvedere ad

aumentare l’educazione del cuore alla fede in Dio e all’amore per gli uomini.

164

Cfr. ivi, p.98. 165

Cfr. ibidem. 166

Cfr. ivi, p.123. 167

Cfr. ivi, pp.111-116.

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L’educatore doveva, quindi, sollecitare il bambino a riconoscere i fattori

fondamentali della sua esplorazione della realtà, secondo quello che verrà chiamato

metodo intuitivo o oggettivo. Gli elementi fondamentali dell’intuizione erano

individuati nel numero, nella forma e nel nome: di conseguenza il procedimento

didattico doveva inquadrare ogni intuizione prima di tutto nelle relazioni numeriche e

formali, per passare successivamente alla lingua e agli apprendimenti geometrico-

matematici168

. In questo modo, l’insegnamento sarebbe stato organizzato a partire dalle

discipline che si collegavano alle tre modalità dell’intuizione: aritmetica e calcolo

derivano dal numero; geometria, disegno e scrittura dalla forma, mentre la lingua,

connessa al nome, sarebbe stata imparata a partire dall’intuizione acustica del canto.

I maestri dovevano, infine, individuare una serie di esercizi fondati sul passaggio

graduale dall’elemento semplice, al tutto (ad esempio per la lingua si sarebbe passati dal

suono alla sillaba, da questa alla parola ed infine alla frase; invece per il disegno dalla

linea alle figure geometriche ecc)169

. L’educazione della mano invece doveva essere

inserita nel curriculum per il suo valore formativo (e non per esigenze pratiche come era

avvenuto a Neuhof), in quanto il fare era una necessità istintiva della natura infantile.

Anche in questo caso si partiva da elementi di base (il battere, il gettare, il trascinare, il

piegare, lo spingere, ecc.) per passare poi alle forme complesse dell’arte adulta. In ogni

caso il lavoro manuale era inteso come una vera e propria “ginnastica intellettuale” 170

,

che comprende il lavoro di pialla e di tornio, il giardinaggio, la tipografia, ecc.

Infine nell’ultima sua opera Canto del cigno, egli criticò rigidamente il

didatticismo presente nella sua precedente opera, in particolare rifiutò ogni

schematizzazione metodica e intuì la necessità di coniugare l’intervento educativo con

le disposizioni naturali del fanciullo e le sue condizioni ambientali, senza però

trascurare l’origine della sua pedagogia: l’armonizzazione tra cuore, mente e mano,

nella prospettiva di un’educazione integrale171

. Ma la novità più importante presente

nello scritto è costituita dall’importanza che ora Pestalozzi riconobbe alla lingua, mutò

infatti, il rapporto con le relazioni formali e numeriche, questa come viva

168

Cfr. ivi, pp.34-38. 169

Cfr. ibidem. 170

Cfr. ivi, pp.145-149. 171

Cfr. J. H. Pestalozzi, Canto del cigno, La Nuova Italia, Firenze 1996, (1825), pp. 45-61.

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estrinsecazione personale, doveva fondarsi sul terreno realistico dell’esperienza e della

vita172

. Per questo la relativa didattica doveva evitare ogni impostazione mnemonico-

grammaticale, per essere centrata sulla ricchezza del lessico e l’uso del discorso173

.

172

Cfr. ivi, pp.78-82. 173

Cfr. ibidem.

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1.2. L’educazione del fanciullo nel pensiero di Rousseau e di Froebel

Con Jean-Jacques Rousseau si apre la problematica di un’educazione

“puerocentrica”, basata sulle conoscenze dell’età evolutiva e sul rispetto pedagogico di

essa, egli era divenuto famoso negli ambienti dell’illuminismo francese, ma

successivamente si distaccò dal loro pensiero, infatti, mentre i “lumi” celebravano la

ragione, ed esigevano per i membri della loro società un’educazione comunitaria, egli

celebra invece, il sentimento e l’educazione naturale. Alla base della concezione

pedagogica di Rousseau si ritrova la forte opposizione tra natura e cultura, per cui nello

stato di natura l’uomo vive in una condizione di uguaglianza e libertà, nella società e

con la cultura si trova invece, oppresso da imposizioni e disuguaglianze. Rousseau alla

natura attribuisce differenti significati, ma certo è che quando parla dell’ “homme

naturel” non intende il selvaggio, bensì l’uomo che non si lasci trascinare dalle passioni

e dalle opinioni degli altri, che vede e sente con i propri occhi e con la propria anima,

che non si fa governare da nessuna autorità, fuorché da quella della propria ragione174

.

Ma anche nel pensiero di Rousseau si cela l’individualismo e l’antistoricismo,

tipico di tutti i grandi pensatori del XVIII secolo. L’uomo naturale di Rousseau è,

infatti, un uomo astratto, fuori dal luogo, del tempo, della famiglia. Sulla base di queste

premesse l’autore sollecita il ritorno alla natura come affermazione di quel principio

della spontaneità e dell’originalità dello spirito, che sarà poi, il principio che darà il via

a tutta la filosofia moderna175

. La natura consiste, dunque, nell’ «insieme delle facoltà

umane e razionali dello stato originario dell’uomo, che vengono alterate nella società

contemporanea, da civiltà e cultura»176

. Per ricondurre l’uomo al bene originario non è

necessario né è pensabile di riportarlo alla condizione di selvaggio, sia perché la società

non può essere abolita, sia perché non c’è la sicurezza che tutto il bene si trovi nello

stato di natura e tutto il male nello stato sociale. Rousseau non critica, infatti, la natura

in sé, per lui la natura umana è in sé buona, ma deve ampliarsi, attraverso l’educazione,

174

Cfr. J.J. Rousseau, Emilio, Educatori antichi e moderni, La Nuova Italia, Firenze 1966 (23a ristampa),

p.21. 175

Cfr. ivi, pp.48-54. 176

Cfr. ivi, cit. p.77.

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e l’instaurazione di rapporti con gli uomini e con la società177

. Tuttavia l’educazione

deve essere naturale, perché solo chi obbedisce alla natura si dirige verso il bene.

Pertanto occorre ponderazione, in quanto questo processo di evoluzione

potrebbe degenerare e rendere l’uomo schiavo. Per rendere la società quanto più simile

possibile allo stato di natura, occorre partire dalla riflessione sull’educazione del

fanciullo. Educare secondo natura significa, dunque, rispettare la natura dell’uomo e le

varie fasi dello sviluppo psicologico dell’allievo, tenendo conto delle sue richieste, dei

suoi bisogni, dei suoi interessi e delle sue inclinazioni, serbando comunque, la sua

libertà ed individualità. L’infanzia, pur se era stata studiata a lungo, rimaneva ancora un

argomento sconosciuto, l’errore secondo Rousseau era stato quello di cercare l’uomo

nel fanciullo, senza mai prestare attenzione a ciò che egli era prima di essere uomo.

Secondo l’autore invece, il fanciullo non è un piccolo adulto, ma un essere che già ha in

sé la propria perfezione178

.

L’unica educazione adeguata non può che essere quella naturale, perché forma

l’uomo, cosicché sarà poi in grado di svolgere positivamente il suo contributo alla

crescita della società. Solo così, infatti, l’uomo è in grado di inserirsi in qualunque

posizione sociale, anche in quelle più prestigiose179

. Rousseau era consapevole che in

un’epoca di grandi trasformazioni sociali come quella in cui lui viveva, era necessaria

un’educazione al cambiamento, e secondo l’autore ginevrino essa si poteva realizzare,

promuovendo la formazione di uomo integrale che, proprio per questo, sarebbe stato in

grado di far fronte a tutti i mutamenti che la sorte avrebbe voluto riservargli180

.

Questo ci fa capire come Rousseau ha trattato dei temi che sono tuttora di grande

attualità nella pedagogia contemporanea. Uno dei princìpi che domina la pedagogia di

Rousseau è, dunque, quella che è stata definita come educazione naturale, che dura

venticinque anni e comincia dalla nascita181

.

L’autore critica una serie di errori pratici presenti a suo avviso nell’educazione

tradizionale, quali ad esempio l’uso delle fasce che limitano la libertà dei movimento, le

177

Cfr. ivi, pp. 45-47. 178

Cfr. ivi, pp. 56-62. 179

J.J. Rousseau, Emilio, cit. p.66: «Emilio è nobile: la carriera nell’alto clero, nelle magistrature o

nell’esercito sono gli sbocchi naturali per i giovani della sua classe». 180

Cfr. ivi, pp.66-69. 181

Cfr. ibidem.

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cure e le precauzioni eccessive, le lusinghe e le minacce, il ricorso a balie182

. Rousseau

ipotizza, invece, un’educazione in cui il primo allevamento e l’alimentazione sono di

responsabilità esclusiva della madre, ma ben presto il bambino deve essere affidato alle

cure di un precettore, poiché una prolungata educazione materna tende ad alimentare nel

bambino la debolezza183

. Egli riconosce la difficoltà di trovare un precettore disposto a

dedicare la sua vita all’alunno e a non farlo per brama di denaro, tant’è che secondo lui

l’unico vero precettore non può che essere il padre. Il ruolo della madre passa in

secondo piano: una posizione secondaria, perché se l’educazione naturale deve partire

dal nucleo umano naturale, nella famiglia, il vero educatore è il padre. Ne consegue che

alla madre competono principalmente solo le cure fisiche del neonato. Bisogna però

considerare che il precettore non è un istruttore, bensì un educatore, poiché il compito

educativo fondamentale è quello morale.

L’educazione viene delineata da Rousseau come un “processo globale”184

, in cui

ogni singolo elemento deve essere connesso alla formazione della personalità. In questo

contesto, si deve anche inquadrare il concetto di educazione negativa, avvalorato da

Rousseau, secondo cui la vera maestra del fanciullo è l’esperienza del mondo: compito

dell’educatore è di dare al fanciullo la possibilità di compiere esperienze adeguate alle

sue capacità e facoltà, nel rispetto della vera natura delle cose185

. Infatti, se l’uomo

impara dalle cose, acquisisce la conoscenza della realtà esterna ed allo stesso tempo

delle proprie capacità subendo non la volontà di un altro, ma solo i suoi limiti. «Egli è

tanto libero quanto la natura, sua e del mondo, glielo permette»186

. Questo principio

apre il discorso sulla gradualità del rapporto pedagogico, che viene sottolineato anche

nel lungo romanzo-saggio dedicato all’educazione, l’Emilio, una delle opere

fondamentali della pedagogia filosofica moderna. Un racconto dove diversi personaggi

animano una vicenda più o meno coerente, in cui è coinvolto il narratore, che è, talora

chiaramente Rousseau187

. Una narrazione, dunque, con una forte inclinazione

autobiografica, dove chi narra racconta di sé rivolgendosi ad un destinatario e, talora

182

Cfr. ivi, p.66. 183

Cfr. ivi, pp.54-58. 184

Cfr. ivi, p. 102. 185

Cfr. ibidem. 186

J.J. Rousseau, Emilio, cit., p.84. 187

Cfr. ivi, pp.58-61.

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identificato in modo preciso o con un nome fittizio, qualche volta anonimo e in

generale188

. A questo lettore viene indirizzato il racconto, allo scopo non solo e non

tanto di comunicare un nuovo modello educativo, quanto anche di esercitarlo, grazie

appunto alla narrazione, nella difficile arte del formare189

.

L’idea che d’età in età, lo sviluppo del fanciullo passa per stadi successivi, è

chiarissimamente affermata da Rousseau. Ne fanno fede le divisioni della sua opera,

poiché ogni parte corrisponde ad una determinata età. Questo è, infatti, il compito

dell’educazione, le cui molteplici cure, sono affidate, ad un solo personaggio: il

precettore. Nel Libro I dell’opera Rousseau tratteggia il profilo dell’allievo e della

condizione educativa ideale, con cui descrivere il proprio modello educativo. Rousseau

distingue tra “la prima e la seconda infanzia”: questo primo periodo formativo del

bambino, che va fino all’apprendimento del linguaggio, in cui la ragione ancora non è

pienamente sviluppata, per cui non può neanche essere pienamente utilizzata, deve

essere caratterizzata da un’educazione negativa190

.

Questo termine non è utilizzato in senso peggiorativo rispetto a un’educazione

tradizionale, ma come definizione di un metodo pedagogico che sia volto a progettare

interventi formativi specifici e rispettare lo sviluppo del bambino, evitando interventi

contrari ad esso191

.

Con ciò non si vuole intendere che il formatore in questi primi anni debba

limitarsi a non far nulla e a lasciare che il bambino completi da sé la propria educazione.

Al contrario, Rousseau sostiene che, egli dovrà impegnarsi molto per impedire che

possa essere influenzato negativamente e per predisporre al contrario occasioni

favorevoli per un sano sviluppo. Egli insiste molto sull’importanza nel percorso

educativo dei bambini, delle sensazioni provate, della manipolazione degli oggetti, e del

movimento. Ritiene, invece, che si debba escludere in questa fase ogni forma di

educazione morale, in quanto senza il supporto della ragione il bambino non potrebbe

188

Cfr. J.J. Rousseau, Emilio e Sofia o I solitari, a cura di E. Becchi, La Nuova Italia, Firenze 1992, pp.1-

2. 189

Cfr. ivi, p.19. 190

Cfr. ivi, p.23. 191

Cfr. ivi, pp. 145-149.

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capire ciò che sta dietro a divieti ed imposizioni e li considererebbe solo come mere

imposizioni, allontanandosi così dallo stato naturale di libertà.

Per questo motivo l’educazione religiosa e quella politica vengono rimandate

moltissimo nella vita di “Emilio”, pur costituendo un momento assolutamente

essenziale della formazione dell’uomo e del cittadino, ma Rousseau sostiene che se al

giovane queste realtà fossero proposte prima, non le capirebbe e sarebbe passivo di

fronte ad esse, e questo non lo renderebbe certo libero192

.

Anche il metodo utilizzato dagli insegnanti deve essere coerente con

l’evoluzione naturale del soggetto, senza forzature, tutto deve essere strutturato sulla

base dell’evoluzione psicologica dei fanciulli. È nella seconda infanzia invece, che va

fino ai sei o sette anni, che comincia la vita dell’individuo, il momento in cui acquista

conoscenza di sé. « Egli diventa veramente se stesso, e quindi capace di sentirsi felice o

infelice. Bisogna dunque cominciare a considerarlo come un essere morale»193

. In

Questa fase poiché il bambino dispone del linguaggio parlato, si deve evitare pianti e

grida a cui era abituato, bisogna infatti, preparalo alle esperienze dolorose. Tutto quello

che può apprendere da sé, non gli deve essere insegnato, altrimenti si corre il rischio di

dargli, spesso per tutta la vita, un comportamento artificioso e accademico.

L’educazione deve essere soprattutto negativa, nel senso che se, da un lato,

bisogna badare a che il fanciullo si distacchi da ciò che non si addice più alla sua età,

eliminando le cure di cui non ha più bisogno, dall’altro, è necessario anche fare

attenzione alle attività che gli vengono presentate. Queste infatti, devono essere consone

alla sua età.

Rousseau teorizza, infatti, un ritardo dello sviluppo dei sentimenti e delle

passioni. Questo è lo stadio del pensiero chiamato oggi “sincretico”, collegato ad una

modalità di pensiero egocentrico, che è tipica del bambino in questa età194

. Il terzo libro

dell’opera è invece dedicato alla terza età, che comincia verso i 12 anni, momento in cui

si produce una situazione del tutto nuova. Fino a quel momento, l’esistenza del bambino

era stata dominata dai suoi bisogni vitali, per la cui soddisfazione era stata necessaria la

presenza della madre, mentre, durante la seconda questi bisogni potevano essere

192

Cfr. ivi, p. 75 193

J.J. Rousseau, Emilio, Armando, Roma 1970, cit., p.16. 194

Cfr. ivi, pp.17-22.

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soddisfatti con le sue sole forze, nella terza età, invece, si introduce il concetto della

libertà anche come conquista. Il bambino comincia a rendersi conto del divario che

esiste tra i suoi bisogni e le capacità che ha per soddisfarli. Qui, il precettore, deve

essere prudente in modo da non anticipare mai lo sviluppo del bambino o dei bambini

che gli sono stati affidati, e anzi, deve basare i suoi insegnamenti sulle necessità e gli

interessi dei suoi piccoli allievi. Egli, ricorda Rousseau, deve impiegare correttamente il

pensiero critico, in modo che i bambini percepiscano di essere loro a comandare, anche

se poi in realtà, il vero controllo resta agli insegnanti, che vigilano su di loro. Una

crescita, ne consegue, educativa che deve avvenire nel rispetto del percorso naturale di

crescita dei bambini195

. È questa organizzazione che porta alla sospensione della

didattica tradizionale, i cui programmi sono troppo rigidi e lontani dalle esperienze reali

degli alunni, che quindi non ne trarranno mai un valido beneficio. In questo periodo

definito da Rousseau come “preadolescenza” 196

, in cui il bambino si avvicina

all’adolescenza, scompare la forte distinzione che aveva caratterizzato l’infanzia, tra i

bisogni e il potere di soddisfarli, ciò è sicuramente dovuto all’aumento progressivo delle

forze del fanciullo. Di conseguenza anche l’impostazione della pedagogia deve

cambiare, deve passare, da un’educazione negativa ad una positiva.

Ciò che porta alla crescita in questa età (crescita che non è più solo fisica ma

anzitutto è spirituale) è la curiosità su cui deve fondarsi il metodo pedagogico del bravo

insegnante. Infatti quest’ultimo, deve saper introdurre le basi di un sapere formale, ma

non trasmettendo al giovane una serie di idee prestabilite, quanto piuttosto

conducendolo alla scoperta di idee che gli pervengono dalla sua innata curiosità. Dal

punto di vista dello sviluppo intellettivo, il bambino passa dunque, dalle sensazioni

dell’infanzia al mondo delle idee dell’adolescenza, e questo implica sul piano morale,

un passaggio educativo fondamentale: il bambino passa infatti, da una comportamento

regolato dalla necessità, ad un atteggiamento orientato all’utilità, verso cui l’insegnante

deve accompagnarlo197

.

Questo passaggio può essere breve e facile, tuttavia è necessario che il giovane

non sia coinvolto in relazioni sociali, in quanto rischierebbero di confonderlo. Il

195

Cfr. A. Catalfamo, Immagini dell’infanzia e scelte istituzionali, Pellegrini L., Cosenza 2006, pp.66-67. 196

Cfr. ivi, pp. 97-120. 197

Cfr. ibidem.

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bambino si affaccia, infine, alla quarta età: l’adolescenza, in cui i rapporti di società

sono stati continuamente aggiornati e sono stati sollecitati solo agli interessi che si

pensa siano più consoni per il fanciullo198

. Rousseau è persuaso del fatto che un

elemento di debolezza si possa trovare nel fatto che spesso, si ha un’immagine del

fanciullo, come se fosse estraneo alla società o che comunque possa esserne isolato

senza inconvenienti, per poi ricondurlo, solo dopo che la sua personalità è stata formata,

dall’educatore. Secondo l’autore ginevrino, non c’è niente di più sbagliato, anzi, questa

è l’età in cui si completa la formazione dell’uomo, il momento in cui deve avvenire la

riproduzione, ma anche qui, anzi qui più che mai, bisogna badare a che il corso delle

cose non sia precipitato199

.

Rousseau, afferma inoltre, che le passioni sorgono in maniera spontanea

nell’animo dei giovani, ma mette in guardia i precettori dai pericoli a cui sono soggetti.

Gli consiglia, infatti, di non offrire ai giovani occasioni che li portino all’eccitazione

delle passioni, quanto di mirare piuttosto, a contenerle, cosicché sia più facile per il

giovane rispettare e seguire l’evoluzione naturale di ciò che lui stesso sente.

Questa crescita naturale nasce dal sentimento di amore, che inizialmente si pone

come amore di sé stesso (che deve però essere indirizzato, altrimenti rischia di diventare

amor proprio, e dunque, base della vanità e dell’orgoglio), e causa della curiosità dei

giovani; da cui si sviluppa poi, l’amore per chi gli sta vicino200

. A questo sentimento di

amore è vicino quello della pietà, per svilupparlo Rousseau raccomanda di mettere

l’adolescente a confronto con situazioni di sofferenza e dolore, solo grazie a queste

esperienze riuscirà ad amare maggiormente chi gli sta vicino, e svilupperà anche il

rispetto per i suoi simili. Pertanto è nell’adolescenza che inizia la vera e propria

educazione, che qui non sarà più guidata, dalle sensazioni o dalla curiosità, ma dalle

passioni, che avviano il giovane alla società201

. Altri aspetti caratterizzanti di questa

fase, conseguenti allo sviluppo delle passioni, sono: la comparsa delle idee astratte, il

confronto con le problematiche morali, lo sviluppo dell’immaginazione, e tutto ciò che

198

Cfr. R. Guardini, Le età della vita. Loro significato educativo e morale, Vita e Pensiero, Milano 2011,

p.56. 199

Cfr. ivi, pp.26-27. 200

Cfr. ivi, pp.45-46. 201

Cfr. Rousseau J.J., L’Emilio, Editori Riuniti, Roma 1994, pp.66-68.

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gli permette di acquisire gradualmente i valori, il concetto di giustizia, di pace, e di

Dio202

.

Tappa dopo tappa, sempre secondo l’età, Rousseau ha avuto il grande merito di

mostrare che l’oggetto e i metodi dell’avviamento all’educazione devono essere

modificati. Ma tuttavia vi sono comunque dei princìpi che devono mantenersi. Uno di

quelli sui quali Rousseau più volte ritorna, è che il presente non deve essere sacrificato

al futuro203

. L’incertezza del futuro è data come uno sprono per poter godere

pienamente del presente (carpe diem), e qui il tempo è considerato nel suo passare

immutabile204

. Pertanto, durante tutta la sua esistenza l’uomo deve, essere felice, la

felicità è, infatti, un dono della natura. Ciò rimarca come la pedagogia di Rousseau si

oppone a quella dei passati educatori, per i quali, invece, l’istruzione doveva essere data

con il dolore e lo sforzo.

Per poter agire sul fanciullo, per educarlo, bisogna conoscere la sua natura, in

quanto lo scopo dell’educazione è proprio quello di prepararlo a vivere nella società,

qualunque probabilità abbia questa di corromperlo205

, perché la vita sociale è, secondo

l’autore, una necessità per la natura umana. In questa prospettiva, poiché l’esperienza, è

la “vera maestra” è necessaria una interconnessione tra questa, e le capacità effettive del

bambino. L’autore, enuncia così, un principio di fondamentale importanza per

l’attivismo moderno: la natura del fanciullo206

. Il bambino deve imparare dalle azioni

che compie sulle cose e dalla reazione che ne riceve, ecco che allora l’educazione deve

avvenire attraverso l’instaurazione di un rapporto sia con gli uomini che con la natura.

Anche per questo motivo Rousseau dedica tanta attenzione al lavoro manuale ed alla

vita a contatto con la natura, egli ritiene infatti, che il bene più prezioso dell’uomo non è

la ragione, ma piuttosto i bisogni e le passioni. Il problema riscontrato da Rousseau

202

Cfr. ibidem. 203

Cfr. ivi, p.34. 204

J.J. Rousseau, Emilio, cit. p.28: «Nell’incertezza della vita umana, evitiamo soprattutto la falsa

prudenza di sacrificare il presente all’avvenire, il che spesso equivale a sacrificare il presente all’avvenire.

Rendiamo l’uomo felice a tutte le età, per timore che dopo tante premure muoia prima di esserlo stato.

Ora, se c’è un momento adatto a godere della gioia della vita, è certamente la fine dell’adolescenza,

quando le facoltà del corpo e dell’anima hanno acquisito il maggior vigore e l’uomo, a metà della sua

corsa, vede più lontani da sé i due termini che gliene fanno sentire la brevità.» 205

Cfr. ivi, pp.35-45. 206

Cfr. ivi, pp.67.

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56

nella società, è che spesso, i bisogni tendono a corrompere le passioni, allontanando

così l’uomo dalla sua natura originaria207

.

Un’altra novità introdotta dall’autore ginevrino è l’educazione femminile, ma

nonostante ciò, le sue idee sono ancora troppo ispirate ad una concezione maschilista.

Secondo Rousseau, infatti, per sua natura la donna deve essere sottomessa all’uomo,

perché è troppo debole e passiva, ma siccome è anche furba, utilizza le armi della

seduzione per legarlo a sé. Il suo fine è il matrimonio e la procreazione, quindi

l’educazione femminile doveva essere indirizzata a questi due scopi208

.

Nell’Emilio possono essere colti alcuni aspetti che ci aiutano a comprendere

come venivano educati nel XVIII secolo i fanciulli, almeno quelli dell’aristocrazia e

dell’alta borghesia209

. Notiamo, prima di tutto, l’assenza dell’educazione familiare.

Appena nato il bambino veniva affidato, infatti, alla nutrice, dopo al precettore

o ad un’istitutrice, ed in fine, ai domestici di grado superiore, a cui i genitori porgevano

tutte le loro responsabilità per la formazione dei loro “piccoli marchesi210

”, affinché

possedessero tutte le qualità e i difetti indispensabili per farsi osservare nei salotti. Ma

siccome non tutti avevano la possibilità economica di pagare un precettore, in alcune

famiglie i figli venivano mandati in collegio, e le figlie in un educando. Questo tipo di

educazione certamente faceva si che i fanciulli conoscessero ben poco dei loro genitori,

e viceversa. Una volta uscito dall’internato, il ragazzo avrebbe fatto il suo ingresso in

società e la ragazza, invece, si sarebbe potuta “maritare” 211

. In breve, il fanciullo, come

si evince da quanto detto, era assolutamente assente dalla vita di famiglia, se si può

ancora usare tale espressione.

La scoperta più grande compiuta da Rousseau, è sicuramente quella del

fanciullo, per noi oggi è scontato parlarne, ma la società del tempo, almeno le classi

alte, lo ignoravano. La letteratura classica era povera di fanciulli, la visione del bambino

era semplicemente quella di un “piccolo adulto”. Invece, dopo l’Emilio, grandi opere

letterarie se ne occuperanno, questo perché la letteratura non è che il riflesso della

207

Cfr. ivi, p.15. 208

Cfr. ibidem. 209

Cfr. ibidem. 210

Cfr. ivi, p.56. 211

Cfr. ivi, p.57.

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57

società212

. La famiglia borghese aveva ritrovato il ragazzo, e Rousseau ha contribuito a

far prendere coscienza di ciò, egli, ha veramente la gloria di aver proclamato per primo i

diritti dell’infanzia. Sua è la scoperta di un fanciullo radicalmente differente dall’adulto,

che obbedisce ad altre leggi. Rousseau ha detto formalmente che il suo libro non è un

trattato pratico d’educazione213

, dunque possiamo considerarlo come una sorta di

“pittura” dell’uomo ideale, che Rousseau proietta nel futuro, ma che sarà realizzabile

solo se gli uomini ascolteranno il suo messaggio214

.

L’ Emilio è chiuso a tutti i pregiudizi, questo significa che respingeva tutto il

sistema di valori, su cui si fondava la giustificazione della società aristocratica. Emilio,

gettato nella vita215

, si fida solo della sua ragione, è cioè, l’individuo perfetto. Rousseau

pretese di fare di lui un uomo che fosse in grado di sfuggire ad ogni classe sociale, che

però era esclusivamente un uomo astratto, svuotato di ogni realtà in quanto non aveva

particolarità216

. Questa è l’utopia. Non si sfugge alla realtà. È vero che comunque nei

primi tre libri, Emilio, non è un essere vivente, ma un prodotto di laboratorio, e questo

perché ricordiamoci che ci riferiamo all’epoca in cui i filosofi, tentavano di trasportare i

metodi delle scienze morali, usando l’esperienza immaginaria. I primi tre libri non sono

altro che un’esperienza di tal genere, per cui, Rousseau tenta di educare il proprio

fanciullo diversamente dal metodo tradizionale, per comprendere gli effetti che ciò

avrebbe generato.

Ma tutto si spiega con lo sforzo che Rousseau fa, egli vuole superare totalmente,

il sistema dell’educazione del suo tempo. Egli sente la necessità di formare l’uomo

nuovo, quello della società futura. Mentre in Gran Bretagna, in Francia e in Italia,

almeno inizialmente, il movimento di educazione infantile cercava di conciliare

esigenze sociali, umanitarie e religiose, senza però attingere ad una concezione

pedagogica e filosofica forte217

. In Germania, invece, sotto la spinta del romanticismo e

dell’idealismo, assume caratteristiche decisamente filosofiche, per merito di Friedrich

Wilhelm August Froebel, secondo il quale, lo scopo dell’educazione è aiutare l’uomo a

212

Cfr. ibidem. 213

Cfr. ivi, pp.88-95. 214

Cfr. ibidem. 215

Cfr. ibidem. 216

Cfr. F. Froebel , I giardini dell’infanzia, Tevisini, Milano 1888, p.69. 217

Cfr. ivi, p.43.

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scoprire la propria destinazione particolare218

. Di questo autore è indicativo il titolo

dell’opera principale Educazione dell’uomo219

, in cui l’uomo è concepito come «una

gemma dell’albero della vita che si chiama umanità»220

. L’educazione è, secondo questo

autore, una sollecitazione dell’uomo alla consapevolezza di sé, del suo pensiero, di

come comprende se stesso221

, e appunto per questo l’educazione, l’istruzione e

l’insegnamento, non devono essere fissati, ma piuttosto, sin dall’inizio, devono “lasciar

fare”. Fröebel proferiva: «L’azione del divino è necessariamente buona, quando non

sia turbata, deve essere buona, non può essere altro che buona»222

.

Insomma, la posizione di Fröebel è certamente più filosofica, egli infatti, fonda

la sua riflessione sull’idea che il rapporto con la natura non deve essere influenzato da

logiche socio-economiche, ma piuttosto estetiche o, meglio, mistico-sentimentali. Egli

vuole individuare le leggi che regolano la natura, la disposizione della sua struttura

interna223

.

Secondo Fröebel, come le piante, anche i bambini hanno bisogno di aria pura,

molta luce, ambienti puliti, e non devono essere legati e fasciati, piuttosto seguiti con

attenzione, amorevolezza e libertà, in modo che possono crescere forti, sani, equilibrati

e coscienti dei propri compiti. Fröebel specifica che «L’educazione deve dirigere e

guidare l’uomo alla piena chiarezza di se stesso, all’armonia con la natura e all’unione

con Dio; per questo è suo compito di elevare l’uomo alla conoscenza di Dio e della

natura e alla vita pura e santa che ne deriva»224

. Il concetto basilare della sua filosofia,

come della sua pedagogia, è che se tutto proviene dall’unità e ad essa tende, lo scopo di

tutto ma soprattutto della formazione, deve essere l’aspirazione al raggiungimento di

tale unità225

.

Possiamo evidenziare come dal punto di vista pedagogico, Fröebel si adegua del

tutto alle idee romantiche dell’epoca, infatti, anche lui percepisce lo sviluppo come un

218

Cfr. ivi, p.44. 219

Cfr. F. Fröebel , L’educazione dell’uomo e altri scritti (a cura di G. Flores d’Arcais), Cedam, Padova

1937, p.154. 220

Cfr. ibidem. 221

Cfr. ibidem. 222

F. Fröebel, L’educazione dell’uomo e altri scritti, cit. p.73. 223

Cfr. ibidem. 224

F. Fröebel, I giardini dell’infanzia, cit. p. 7. 225

Cfr. ibidem.

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processo lineare e continuo, in quanto esso è determinato da una sequenziale

realizzazione dell’energia divina che in ogni uomo è innata226

.

Anche Fröebel, come Rousseau, distingue varie fasi della vita. L’infanzia, definita come

la prima educazione, corrisponde per Fröebel alla prima fase educativa del bambino e

inizia subito dopo i primi mesi di vita, quando il bambino inizia a riprodurre in maniera

spontanea l’interno nell’esterno227

. In questa fase viene attribuito un grande valore al

linguaggio, in quanto, consente al bambino di spiegare e rappresentare in azioni, ciò che

sente dentro, grazie al suo impulso creativo. In questa fase dell’educazione, però, il

precettore non è coinvolto, solo successivamente egli dovrà intervenire e guidare,

seppur delicatamente, il bambino verso la diligenza e la chiarezza228

.

La spontaneità del bambino deve, però, essere salvaguardata ad ogni costo, ed è

in questo contesto che Fröebel insiste sul gioco come strumento educativo. Il gioco,

infatti, rappresenta il grado più alto dello sviluppo infantile e umano in questo periodo,

poiché permette la manifestazione del mondo interiore. Fröebel dimostra di cogliere

l’importanza non solo del gioco, dell’attività ludica, ma soprattutto del periodo infantile

rispetto all’intera esistenza229

. Come diceva Fröebel: «Tutta la vita futura dell’uomo,

fino al momento in cui egli la perderà, ha le sue radici in questo periodo, da esso

dipende se la vita stessa sarà serena o torbida, quieta o tumultuosa, serena o

tempestosa, attiva o inattiva, ricca o povera di azioni, se considererà le cose con oscuro

stupore o con chiaroveggenza, se sarà creativo o distruttivo, se apporterà concordia o

discordi, guerra o pace»230

.

L’attività ludica deve essere, ovviamente, inserita in un contesto nel quale hanno

molta importanza l’attività psicomotoria, l’alimentazione, il modo di vestire, il

movimento, le passeggiate, le gite, le fiabe, la conversazione, i racconti, la scelta degli

oggetti, nonché le attività espressive, a cominciare dal disegno, dalla pittura, dalla

plastica, dal canto, dai lavori con carta, cartone, legno congiuntamente

all’apprendimento della lettura, della scrittura, dell’aritmetica e della geometria231

. È

226

Cfr. ivi, p. 232. 227

Cfr. ibidem. 228

Cfr. ivi, p.56, 229

Cfr. ivi, pp.13-18. 230

F. Frabboni, Minerva P., a cura di, Manuale di Pedagogia generale, Laterza, Bari 1999cit. p.181. 231

Cfr. ibidem.

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con il gioco il bambino sperimenta il concetto di unità, tanto caro a Froebel,

permettendogli nel gioco di finzione, di addentrarsi nelle cose, facendole sue, e

viceversa, alle cose, di penetrare in lui. Il gioco è importante non solo perché permette

al bambino di scoprire il disegno, e gli facilita l’evoluzione linguistica, ma anche perché

pone sostanzialmente le basi per la comprensione di concetti logico-matematici232

.

Il disegno è, dunque, importante già in questa prima fase educativa, in quanto

grazie alla grafica fornisce al bambino la possibilità, in un qualche modo, di

rappresentare ciò che ha, e che sente dentro di lui233

. Non bisogna poi dimenticare che

Fröebel include in questa prima fase educativa anche una forte attenzione

all’educazione motoria, al ritmo, al mondo della musica e della danza, e non tralascia

neanche l’importanza dei piccoli compiti domestici, questi, infatti, possono essere

affidati al bambino quali fonte di apprendimenti utili. La seconda fase dell’educazione,

ricordata come “seconda infanzia”, che va dai tre ai sei anni, segue invece un percorso

opposto, se in un primo momento si era cercato di far esternare al bambino la spontanea

esposizione della sua interiorità, ora viene invece guidato alla curiosità e all’interesse; si

passa dunque dall’espressione all’apprendimento, e diventano fondamentali l’istruzione

formale e la scuola234

.

Quest’ultima è il luogo in cui l’uomo può imparare a conoscere gli oggetti fuori

di sé, la loro natura e le leggi che li governano235

. La distinzione che Fröebel presenta

tra prima infanzia, fanciullezza e l’uomo come scolaro, ha una duplice finalità, infatti,

da un alto mira a cogliere le differenze, e dall’altro, la continuità della crescita educativa

e dello sviluppo. Fröebel parla di una crescita che si sviluppa all’interno della famiglia,

dei giardini dell’infanzia, del gioco, della scuola, del linguaggio, delle esperienze,

dell’insegnamento religioso236

. In modo particolare egli sostiene che è nei giardini

d’infanzia, l’impostazione architettonica, i giardini, le aule individuali e di gruppo, il

canto, il disegno, i colori, le scatole per le costruzioni, i racconti di storie, le fiabe, le

favole, le passeggiate, i viaggi che, assumono particolare rilevanza insieme a tutto il

232

Cfr. ibidem. 233

Cfr. ivi, p.165. 234

Cfr. ivi, pp.56-59. 235

Cfr. ivi, p.59. 236

Cfr. ivi, p.34.

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materiale didattico che per gran parte è già stabilito. Sono famosi i «doni» froebeliani:

la palla, la sfera, il cubo, con i loro significati simbolici: stabilità, movimento, e

divisibilità237

, ma altro materiale è costituito da scatole con il cubo suddiviso in cubi e

mattoni, con le figure geometriche, con steccoline, bastoncini per l’apprendimento del

calcolo. Particolarmente interessanti sono le attività quali: tessitura, piegatura, intreccio,

ritaglio, lavori agricoli, allevamento di animali, ginnastica238

. Fröebel ebbe

l’importantissima intuizione dell’impiego di materiale che era già predisposto perché

potesse essere promosso lo sviluppo, in particolare, dell’attività sensoriale, percettiva,

logica, linguistica e creativa239

. La cura personale e di gruppo delle piante, del giardino,

delle aiuole, era finalizzata ad unire i momenti educativi personali, di gruppo e collettivi

con quelli del gioco, del lavoro, dell’attività artistica, per la consolidazione di un

rapporto con la natura. Infatti, l’ambiente, gli oggetti, le piante, le persone e i fenomeni

sono importanti ai fini della conoscenza e delle attività espressive, però, per Fröebel,

occorreva anche andare al di là dei fenomeni, delle apparenze, per poter cogliere le

essenze, le categorie, i paradigmi, i significati più profondi; ancora una volta, essi si

colgono nella sfera religiosa, artistica, scientifica. Solo in questo modo è possibile

acquisire capacità di riflessione, di coordinamento e abilità nelle operazioni, stabilire

collegamenti, lavorare su ipotesi e su simboli240

.

Il limite dell’impostazione froebeliana sta però nell’aver accentuato o almeno

rapportato i significati e i simboli a una matrice di tipo astratto o, per molti aspetti,

filosofico. Ciò ha portato alla separazione tra il materiale didattico e lo spirito del suo

metodo, ridimensionando così di molto, il metodo fino ad accentuarne gli aspetti

meccanicistici241

.

L’impostazione metafisica di Fröebel si percepisce nelle indicazioni per

l’insegnamento religioso e per quello scientifico. Per il primo si richiede ai fanciulli di

giungere all’intuizione di Dio, facendo buon uso degli strumenti dati dalla fede, per

l’apprendimento scientifico, invece, egli parte dal presupposto che la natura è

237

Cfr. ivi, pp.123-126. 238

Cfr. ivi, pp.103-109. 239

Cfr. ibidem. 240

Cfr. ibidem. 241

Cfr. ivi, p.38.

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espressione e rivelazione di Dio242

. Questa è la prima consapevolezza che, anche dal

punto di vista formativo, deve essere raggiunta per poter poi capire le leggi scientifiche

che sono alla base del mondo. È a questo punto che, secondo Fröebel, deve intervenire

il mediatore didattico, di modo che possono facilitare il cammino dei fanciulli

all’apprendimento, in particolare, l’apprendimento scientifico e religioso devono essere

intuitivi, e devono dare al fanciullo la possibilità di capire la realtà in maniera spontanea

e non meramente oggettiva, ecco perché presenta ai bambini dei “doni” 243

, per rendere

tutto più “naturale”244

.

Pe quanto concerne, invece, l’insegnamento della scrittura, della lettura e

dell’arte, Fröebel abbandona temporaneamente le sue preoccupazioni metafisiche.

Definisce, infatti, la lingua come strumento di espressione e manifestazione della

soggettività degli individui. Questa connessione tra linguaggio, personalità ed

espressività porta Fröebel alla riflessione sui dialetti che vengono definiti come

“manifestazione dell’individualità dei popoli”, l’espressione e il linguaggio sono infatti

manifestazioni spontanee del bambino: e dunque spontaneamente il bambino avvertirà

il bisogno della scrittura, che sarà prima ideografica (basata cioè sul disegno), e poi

basata su codici convenzionali, ma questa farà sorgere nel bambino il bisogno di

esprimere ciò che ha scritto, che a sua volta lo condurrà dunque alla lettura.

Un altro concetto che occorre sottolineare è che il giardino d’infanzia, Fröebel lo

ha pensato come una scuola in senso proprio e non come una semplice istituzione

prescolastica, diversa dunque dai modelli che si stavano diffondendo in Europa. Il

giardino d’infanzia è infatti distinto in due ambienti principali: uno esterno e uno

interno245

. In quello esterno vi sono delle piccole aree (“proprietà private)”246

per la

coltivazione delle piante insieme ad uno spazio per il lavoro comune, che riflette la

logica froebeliana di connessione tra individuo e società, responsabilità individuale e

collettiva.

242

Cfr. ivi, pp. 99-121. 243

Cfr. ibidem. 244

Cfr. ivi, p.133. 245

Cfr. ivi, pp.78-79. 246

Cfr. ibidem.

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Il possesso non è quindi inteso in senso teorico, ma è espressione di un bisogno

psicologico del bambino affinché possa individuare sia la sua identità ma deve anche

responsabilizzarsi247

. La scuola interna, invece, è più ordinata, è qui infatti, che si

inseriscono i “doni” di cui si parlava sopra; essi sono convalidati da Fröebel, sia come

forme di vita architettonica, che come forme armoniose, e quindi come sostegno

didattico per un’educazione all’arte e all’estetica248

.

247

Cfr. ivi, pp.123-124. 248

Cfr. ivi, p.125.

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1.3. La scomparsa del “bambino adulto” dalle sorelle Agazzi a

Montessori

Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento si espanserono in Italia, due

esperienze educative fondamentali per la storia della pedagogia infantile: la Scuola

materna delle sorelle Agazzi e la Casa dei bambini di Maria Montessori. Il passaggio

dal modello froebeliano a quello scientifico montessoriano, è contraddistinto

dall’esperienza delle sorelle Rosa e Carolina Agazzi. Con loro veniva inserito uno

spirito nuovo, quello materno, di qui la denominazione di Scuola materna, legato alla

realtà vissuta dai bambini nella vita quotidiana. In Italia data l’unificazione e

un’economia ancora per la maggior parte agricola, l’attivismo fu caratterizzato,

contraddistinguendosi dagli altri paesi europei, all’istruzione primaria, infantile e

all’educazione popolare249

.

Le sorelle Agazzi, tenendo conto della loro formazione cattolica e del ruolo

materno, centrale, nella cultura pedagogica italiana, propongono la trasformazione

dell’asilo infantile, affinché sia ancor di più «a misura di bambino»250

, frequentata da

«bambini, non scolari»251

. In un ambiente adatto, che ne stimolasse la creatività

attraverso il dialogo “vivo e fecondo” con l’adulto, doveva essere dunque ricreata

l’atmosfera familiare. Al centro dell’attenzione di questa scuola proposta dalle sorelle

Agazzi, c’è il bambino e la sua attività, circondati da ambienti e materiali semplici e

quotidiani, utili per una formazione pratica, collettiva e religiosa del fanciullo. Alla

maestra giardiniera teorizzata da Froebel, Rosa e Carolina, sostituiscono l’educatrice, la

nuova figura di riferimento del bambino, alla quale viene richiesto, spirito d’iniziativa e

di organizzazione, nonché concretezza e sensibilità tali da coordinare in maniera

opportuna il lavoro con la quotidianità vissuta dai bambini, ma deve ovviamente

possedere, anche tratti comportamentali “materni” 252

, in maniera tale da preservare la

continuità del rapporto familiare. Secondo loro, l’attività dell’educatrice deve avere una

249

R.C. Agazzi, Guida per le educatrici dell’infanzia , cit. p.18. 250

Ivi, p. 22. 251

Cfr. ibidem. 252

Cfr. ivi, p.56.

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profonda adesione spirituale253

, non soltanto, deve possedere una preparazione

psicologica quale premessa indispensabile dell’attività didattica, ma più di tutto conta la

capacità dell’educatrice di tradurre ciò che conosce e ciò che sa fare in opera educativa.

Tutto questo richiede però sensibilità, amore e dedizione spirituale. Per le Agazzi

la scuola deve avere le caratteristiche fisiche dell’ambiente più consono al bambino, e

considerando che il suo ambiente abituale è la casa, la scuola deve essere simile ad essa,

e le occupazioni devono essere riproposte a misura della dimensione domestica cui il

bambino è abituato. Mentre nella scuola tradizionale l’esperienza di vita del bambino

viene considerata come un ostacolo per l’attività educativa, e per questo cerca di

liberarlo da qualsiasi impronta di essa per assicurare l’efficacia del proprio intervento, le

Agazzi, si soffermano, invece, sulla quotidianità vissuta dai bambini254

.

La scuola era progettata, dunque, come una casa, che per molti versi mantiene

l’impostazione del kindergarten froebeliano; essa è infatti dotata di un’aula e del

giardino dove vi sono animali e piante, ma proprio come una piccola casa ha anche un

ripostiglio per i vari indumenti dei piccoli quali grembiulini, giacchette, giubbottini,

zainetti ed un atrio riservato a quello che viene definito come il “museo delle umili

cose”255

che viene organizzato «svuotando le tasche»256

dei bambini e diviene una

collezione cui attingere per i giochi, qui sono esposte le «cianfrusaglie senza

brevetto»257

, che poi sarebbero state il futuro materiale educativo.

In questa prospettiva, il museo didattico nasce da un’intuizione delle sorelle

Agazzi, connessa alla capacità dell’educatrice, a che riesca ad immedesimarsi nel

bambino, riuscendo a vedere le cose con i suoi occhi piuttosto che, secondo la logica

comune delle regole imposte. Loro pensano che l’impiego didattico di materiali non

253

R.C. Agazzi, Guida per le educatrici dell’infanzia, cit. p.10: «Bisogna dunque porsi il problema: sono

io nata per educare?. So di alcune figliuole che, messe sull’avviso del pericolo di una tarda delusione, si

contentano di rispondere che i bambini le piacciono, volendo con questa affermazione distinguersi da

quelle altre che rifuggono dalla convivenza colle piccole creature e rinunciano perfino al pudore di velare

questo loro stato di minorità spirituale.» p.13 «Il docente che si adopera con passione a sminuzzare il pane

della scienza, non può sempre sapere se gli sta davanti una futura educatrice o semplicemente una

diligente raccoglitrice di teorie.» 254

Cfr. ivi, pp.101-102. 255

Cfr. ivi, p.57. 256

Cfr. ibidem. 257

Cfr. ibidem.

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deve per forza partire da cose progettate dall’adulto, ma anche da quegli oggetti

“casuali”258

.

Distintamente dal metodo froebeliano i materiali didattici non devono essere

prestabiliti e neppure colmati di significati simbolici259

.Ogni piccolo oggetto che il

bambino ha la tendenza a raccogliere per poi giocarvi, quali: spaghi, rocchetti, pezzi di

stoffa, palline, diventa un oggetto ludico. Gli oggetti di corredo e di uso continuo sono,

invece, custoditi con attenzione e sono contrassegnati da immagini di oggetti che

serviranno per indirizzare il bambino, in maniera graduale, all’utilizzo dei simboli. Il

bambino delle sorelle Agazzi è stato definito come il «bambino del fare»260

, egli infatti

deve imparare a fare da sé in tutti gli aspetti della vita, sia riguardanti il gioco che la vita

pratica.

L’educatrice deve ridurre, infatti, le lezioni al minimo per poter lasciare maggior

spazio possibile all’attività individuale libera, l’unico criterio che doveva essere

rispettato era ordine: il tutto sotto la sorveglianza a distanza dell’educatrice, che deve

anche incentivare i bambini alla cooperazione e all’insegnamento, favorendo

l’intuizione, considerata come il metodo il più atto per l’apprendimento, tant’è che gli

ambienti e le situazioni che sono state da questa create, portavano in modo indiretto,

alla spontaneità del bambino. Ma ciò non significa che tutto è lasciato al caso,

l’educatrice deve avere ben presente «nel cuore e nella mente»261

dove vuole arrivare.

L’insegnamento agazziano percepisce, dunque, la differenza fra le capacità prassiche e

cognitive e la formazione emotiva e morale che la scuola materna deve offrire ai

bambini. Anche nella didattica ci si rifà alla vita che il bambino vive in famiglia anche

seguendo il comportamento e le azioni degli adulti. Ecco che allora un altro elemento

caratterizzante della scuola agazziana è che non viene fatto un distinguo tra gioco e

lavoro, tutte le azioni della quotidianità sono sfruttate come elementi educativi di grande

valore, in quanto è qui che i bambini possono imparare, scoprendo da sé, le regole della

vita e i principi del vivere civile e del rispetto reciproco.

258

Cfr. R. C. Agazzi, Note di critica didattica, La Scuola, Brescia, 1967, pp.11-12. 259

Cfr. ivi, pp.128-129. 260

Cfr. ibidem. 261

Cfr. F. Altea, Il metodo di Rosa e Carolina Agazzi. Un valore educativo intatto nel tempo, Armando,

Roma 2011, p.26.

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Tra queste attività pratiche un posto speciale spetta al giardinaggio, infatti, per

Rosa e Carolina, solo con il lavoro in opportune aiuole e con attrezzi adatti, il fanciullo

ha modo di coordinare il suo lavoro a quello della natura, e ciò gli permette di imparare

non solo la diversità e le caratteristiche delle stagioni e dei fenomeni atmosferici, ma

anche di instaurare un rapporto positivo con l’ambiente262

. Il giardinaggio, è come una

sorta di “pre-lavoro”, un’attività che, a differenza del gioco, aveva uno scopo ben

definito: consentire la realizzazione di numerose esperienze di vita pratica. Di notevole

importanza è che il bambino, realizzando qualcosa per gioco, coniughi la produzione e

la ricerca estetica, quindi oltre al fare, conoscere e cooperare, deve essere sviluppata la

dimensione estetica poiché, il compimento del principio dell’ordine nella “scuola-casa”,

sviluppa un senso di armonia e di bellezza, indispensabili in tutti i momenti e le

situazioni della vita quotidiana263

.

Il momento di massima espressione si ha quando il bambino costruisce e produce,

con l’utilizzo di materiali poveri e non strutturati, quali sabbia, sassi, argilla, che,

diversamente dai “doni” froebeliani, facilitano in ambienti adeguati, la sua inventività e

creatività264

. Queste si potevano manifestare anche nel disegno che è una libera

rappresentazione di fatti naturali, sociali o psicologici che possono essere realizzati con

una molteplicità di materiali che comprendono, oltre a pastelli e matite, anche carta, fili,

semi, listelle; e nella recitazione intesa come drammatizzazione di momenti o vicende

della vita infantile che veniva eseguita con naturalezza espressiva, seguendo l’esempio

dell’educatrice, non è importante la qualità della scena proposta, quanto piuttosto la

naturalezza dell’espressione, perché grazie alla recitazione il bambino acquisisce fiducia

in se e migliora il proprio equilibrio sia morale che materiale265

. Strettamente collegata

all’educazione estetica è l’educazione sensoriale, anche in questo caso mentre Fröebel

iniziava con le forme geometriche, le Agazzi preferiscono cominciare dalle cose

quotidiane e dalle loro forme, poiché i bambini sono attratti soprattutto dai colori,

attraverso la presentazione iniziale di oggetti che si distinguono solo dai colori, i

bambini scoprono le loro sfumature e le loro affinità, per passare in un secondo

262

Cfr. ibidem. 263

Cfr. ivi, pp.123-124. 264

Cfr. ivi, p.57. 265

Cfr. ivi, pp.130-131.

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momento ad lavori di ritaglio e costruzione. In questo modo i bambini scoprono che gli

stessi colori possono riferirsi a diversi oggetti266

. Dal confronto tra gli oggetti, infatti, si

poteva rilevare che le forme potevano avere proporzioni, somiglianze e uguaglianze,

ecco che allora l’educazione sensoriale condotta secondo questi criteri, favoriva anche

l’educazione intellettuale, in quanto spronava sia la loro curiosità che l’esplorazione.

L’educazione sensoriale delle sorelle Agazzi, è stata il fondamento di quella che oggi

definiamo come “educazione all’immagine”267

, dal momento che richiedeva una certa

strutturazione dei materiali che andava oltre al classico metodo delle “cianfrusaglie”268

.

Ma l’educazione sensoriale è anche condizione essenziale per intraprendere

l’educazione linguistica, i bambini infatti, prendendo spunto dalle osservazioni e dagli

esercizi sui colori, i materiali e le forme imparavano ad esprimere i loro pensieri,

costruendo delle frasi da cui si evinceva l’individuazione della differenza tra i

sostantivi, e ciò avrebbe permesso loro anche l’acquisizione dell’uso degli aggettivi

nonché il riconoscimento del genere e del numero269

.

Ma l’educazione linguistica comprendeva anche degli esercizi verbali collettivi, si

iniziava dai nomi dei “contrassegni” 270

, per finire poi con delle parole progressivamente

più lunghe e foneticamente più difficili, secondo il criterio della complessità crescente.

L’uso dei contrassegni non nasce solo dalla necessità di dare ai bambini uno strumento

di ordine semplice e meno impersonale, ma è piuttosto un elemento aggiuntivo per una

didattica legata alle cose e all’esperienza quotidiana271

.

Sicuramente, il momento più qualificante, era costituito dal dialogo con

l’educatrice, che essendo modello d’emulazione dei bambini, doveva parlare in maniera

adeguata e ponendo grande attenzione all’enunciazione di nuovi esercizi, che comunque

dovevano essere sempre caratterizzati da una gradazione di difficoltà. Questo è il

metodo che dalle sorelle Agazzi fu definito come imparare “la grammatica senza la

266

Cfr. ivi, p.48. 267

Cfr. ibidem. 268

Cfr. ivi, pp.42-49. 269

Cfr. ivi, p.33. 270

Cfr. ivi, p.90. 271

Cfr. ibidem.

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69

grammatica” 272

in quanto permetteva al bambino l’acquisizione di nuove competenze

solo grazie alla conversazione con la maestra.

Anche il canto faceva parte di questo percorso pedagogico, serviva infatti, a

cadenzare i vari momenti della giornata e ad condurre le attività pratiche, in quanto

richiedeva disciplina di esecuzione, esortava alla compostezza, e richiedeva intonazione.

Non bisogna poi dimenticare che la scuola agazziana era inondata da un’ intensa e

intima religiosità, tant’è che le istituzioni infantili cattoliche che gestivano gli asili

infantili la presero come esempio sia sul piano religioso che su quello metodologico.

Alcuni elementi del metodo agazziano restarono delle semplici intuizioni, altri

presentavano invece una certa contradditorietà rispetto all’impostazione principale, ma

ciò fu determinato dal fatto che questo metodo non fu sviluppato da pedagogisti, ma da

educatrici che semplicemente hanno cercato di fare della loro esperienza un metodo di

educazione. L’elemento più problematico è stato l’opposizione fra la celebrazione della

spontaneità e la centralità del ruolo dell’educatrice, che spesso programma giochi,

attività ed esercizi273

.

D’altronde però, alle sorelle Agazzi deve essere attribuito il merito di aver saputo

organizzare una scuola che ha dato la possibilità al bambino di muoversi con maggiore

libertà, perché in un’atmosfera serena e affettiva. Sebbene ci siano state queste

interessanti esperienze, il percorso della pedagogia novecentesca era comunque

indirizzato alla questione dello sviluppo della mente del bambino e alla conoscenza dei

vari problemi didattici, per la cui soluzione ci si indirizzava alla filosofia e alla

psicologia della mente274

.

Il grande passaggio dalla scuola materna alla scuola dell’infanzia è però avvenuto,

ad opera di Maria Montessori, grazie a lei per la prima volta, si parlò di metodo

scientifico. Le sue ricerche e le sue iniziative furono caratteristiche proprio per il loro

importanza teorica e per la ricchezza degli orizzonti che hanno aperto. La singolarità del

suo metodo deriva da una forte impronta scientifica, che garantì una valida efficacia275

.

272

Cfr. ivi, p.85. 273

Cfr. ivi, p.146-157. 274

Cfr. ibidem. 275

Cfr. M. Casotti, Il metodo Montessori e il metodo Agazzi, La Scuola, Brescia 1950, p.13.

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Maria Montessori giunse, infatti, riferendosi sia al pensiero degli studiosi francesi,

Itard e Séguin, sia ai studi di medicina, ai problemi educativi e scolastici. Ella, essendo

assistente alla clinica psichiatrica dell’Università di Roma, indirizzò i suoi primi

interessi all’educazione e al recupero di quelli che, lei stessa definì, “bambini

disadattati”276

. Nel suo libro Il segreto dell’infanzia, testimonia come spesso il bambino

per gli adulti non era altro che un impiccio, tant’è che risultavano incapaci di

assicurargli le condizioni ambientali, ma soprattutto interpersonali, necessarie al suo

sviluppo277

. Tale condizione, come chiarisce bene la Montessori, non era

necessariamente legata alla povertà, anche il bambino benestante infatti, soffriva spesso

di quella solitudine e disattenzione dei genitori vissuta dai coetanei in condizioni

socioeconomiche disagiate278

.

Maria Montessori era fortemente convinta che prima di impostare qualsiasi

intervento educativo era doveroso, conoscere a fondo la psicologia del bambino,

esplorare i suoi meccanismi mentali ed il loro funzionamento e, solo in seguito, si

poteva avere la pretesa che il bambino rispettasse e facesse proprie le regole che gli

erano state imposte279

.

Un altro punto focale di questa impostazione era lo sgombero da tutti gli errori e le

false credenze sulla natura del bambino e la sua educazione, nonché dall’incapacità

degli adulti di comprendere il mondo infantile e di assicurare ad esso condizioni adatte

di sviluppo280

.

Maria Montessori ritiene, infatti, che devono essere rispettati nella scuola dell’infanzia,

tre principi: 1. un ambiente adatto; 2. l’uso di materiale scientificamente provato e 3.

una nuova professionalità dell’educatore281

.

276

Cfr. ivi, pp.37-44. 277

Cfr. M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, Garzanti, Milano 1951, pp.33-35. 278

M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, cit., p.11: «Cos’è l’infanzia? Un disturbo costante per l’adulto

preoccupato e stanco da occupazioni sempre più assorbenti. Non c’è posto per l’infanzia nelle più ristrette

case della città moderna, dove si accumulano le famiglie. Non c’è posto per essa nelle vie, perché i veicoli

si moltiplicano e i marciapiedi sono affollati da gente che ha fretta. Gli adulti non hanno tempo per

occuparsene perché i loro obblighi urgenti li opprimono. Padre e madre sono entrambi costretti a lavorare

e quando manca la miseria opprime e stronca i bambini come gli adulti. Anche nelle migliori condizioni,

il bambino resta confinato nella sua stanza, affidato ad estranei salariati […]. Deve starsene buono, in

silenzio, perché nulla gli appartiene». 279

Cfr. ivi, pp.111-112. 280

Cfr. ivi, p.36. 281

Cfr. ivi, p.123.

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Solo un metodo basato su tali principi pone le basi per la realizzazione di una

civiltà capace di «preparare due ambienti sociali, due mondi distinti: il mondo

dell’adulto e quello del bambino»282

.

Maria Montessori delle sorelle Agazzi approva il princìpio della «scuola come

ambiente dell’apprendimento»283

, infatti quando nel 1905 venne incaricata di

organizzare asili infantili di nuovo tipo, e quando nel 1907 aprì la prima Casa dei

bambini, si ispirò proprio a questo, dove gli spazi interni ed esterni, materiali, arredo e

suppellettili sono tutti a misura di bambino284

. Le classi sono poche, le aule poco ampie

e ben organizzate per essere utilizzate come ambiente di lavoro destinate ai bambini, ma

v’è anche uno spazio comune in cui ritrovarsi, il giardino, nonché luoghi di lettura,

ricreazione e refezione285

. Tutto è sotto la responsabilità dei bambini, sono loro infatti

che badano all’ordine, alla pulizia e al mantenimento in ottime condizioni dell’aula.

La notorietà, anche internazionale, di questo progetto fece nascere un vero e

proprio movimento montessoriano e i suoi istituti aumentarono tanto che, nel 1924

viene fondata l’Opera Nazionale Montessori e la Scuola Magistrale Montessori, in cui

venivano formati, mediante appositi corsi, gli insegnanti e si provvedeva alla diffusione

delle idee e del metodo della fondatrice286

. La formazione della Montessori era di

impronta nettamente positivistica, inizialmente infatti, sul piano culturale respirò le idee

del positivismo, ma poi se ne distaccò, in quanto secondo lei l’intervento educativo,

doveva essere trasformato e potenziato attraverso l’utilizzo di criteri e mezzi ottenuti

grazie alla sperimentazione condotta con, e sui, bambini in condizioni di vita reale. I

bambini avevano diritto ad essere studiati, nel senso che bisognava comprendere

veramente quali erano i meccanismi di apprendimento e socializzazione che li

contraddistinguevano, per cui i processi di sviluppo della loro personalità dovevano

essere esplorati fin dalla nascita287

. Seguendo tale linea la Montessori, fu orientata, dal

punto di vista didattico, da due medici francesi, J-M. Itard e E. Séguin, che avevano

studiato la pedagogia speciale. All’epoca si pensava che i diversamente abili fossero

282

Cfr. ibidem. 283

M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, cit., p.78. 284

Cfr. ivi, p.67. 285

Cfr. M. Montessori, L’autoeducazione nelle scuole elementari, Garzanti, Milano 2000, p.23-24. 286

Cfr. M. Montessori, Educazione e pace, Opera Nazionale Montessori, Roma, 2004, p. 47. 287

Cfr. ibidem.

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degli “idioti” e per questo non potevano crescere sul piano mentale, non si potevano

neanche operare dei cambiamenti attraverso la formazione degli strumenti educativi che

potevano essere messi in campo288

. Questi due medici, invece, si erano occupati di

“fanciulli selvaggi”, allevati da animali, e poi trovati da esseri umani in zone isolate.

Itard aveva provocato grande clamore quando aveva provato a rieducare il

“selvaggio”289

, un dodicenne che aveva trovato nelle foreste dell’Aveyron, che istruì e a

cui insegnò a comportarsi civilmente. Secondo Maria Montessori, studiando i casi dei

bambini selvaggi e ritardati ci si poteva rendere conto, dell’enormità di deformazioni ed

errori che erano da sempre stati a sostegno dell’educazione infantile. Purtroppo però il

pregiudizio che l’infanzia dovesse essere studiata, partendo dal punto di vista

dell’adulto ostacolava l’approfondimento scientifico di questo argomento. Maria

Montessori riconosce invece, “l’energia latente di ogni individuo”290

che si sviluppa in

modo autonomo, e secondo l’autrice, gli interventi didattici possono stimolarla ma non

crearla, ecco che allora, la vera educazione è autoeducazione: l’istituzione scolastica, il

metodo, la pedagogia e l’insegnante, non sono altro che mezzi ausiliari per la

realizzazione di un io interiore: devono aiutare il bambino a servirsi delle sue risorse per

potersi esprimere e sviluppare291

. Sulla scia di Itard e Séguin ella ritenne che,

l’educazione deve fornire solo dei contesti di esperienza che permettano al bambino di

“mettere in ordine” gli stimoli che riceve dall’esterno, per poi, auto-dirigersi in una

crescita libera.

Questo obiettivo può essere raggiunto con l’uso di materiale scientificamente

studiato per la crescita sia sensoriale che cognitiva del bambino, in maniera tale da

renderlo capace di apprendere con ordine, ma soprattutto riducendo l’intervento

dell’insegnante292

. Maria Montessori diversamente dalle cianfrusaglie di cui si erano

servite le sorelle Agazzi, ha favorito piuttosto, l’uso di materiali appositamente preparati

per esercitare, grazie allo sviluppo dei sensi, delle competenze specifiche, il tutto

fondato su due principi: gradualità e progressività. Gli oggetti di cui parla l’autrice

288

Cfr. ibidem. 289

Cfr. ivi, p.49. 290

Cfr. ibidem. 291

Cfr. ivi, pp.56-58. 292

Cfr. M. Montessori, La scoperta del bambino, Garzanti, Milano 1971, pp.123-126.

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variano progressivamente in relazione ad una sola caratteristica: colore, altezza, forma,

peso, ruvidezza, incastro293

.

Seguendo questo metodo e presentando gradualmente al bambino ora lettere

alfabetiche di vari materiali, ora oggetti che variano in relazione alle loro caratteristiche

sonore, ora numeri di varia forma e di diverso colore, il bambino, a partire dall’età di

cinque anni, è già in grado di apprendere le tecniche della lettura e della scrittura,

successivamente può essere messo in condizione di conoscere le regole del calcolo294

.

Quella che dalla Montessori venne definita come la «quadriga trionfante» della scuola

dell’infanzia, comprendeva dunque, disegno, lettura, scrittura e calcolo295

.

Grazie all’utilizzo dei materiali strutturati, viene risolto pure il problema della

disciplina: il bambino che disturba doveva essere allontanato, e doveva poter osservare

da quella posizione di isolamento il lavoro dei compagni. In tal modo avrebbe

incominciato ad apprezzare l’ordine e a desiderare di parteciparvi. Il fine generale

dell’educazione, la regola centrale del metodo stavano nella difesa della libertà del

bambino, nello sviluppo delle sue esperienze, evitando che l’adulto imponesse i suoi

interessi e i propri modi di apprendere e di ragionare296

.

Partendo dal presupposto che gli adulti ignorano che “le energie infantili sono

come un torrente in piena” 297

, e che i capricci di cui si lamentano sono provocati da

eccessivi ammonimenti, e dimenticando che tutto l’ambiente di vita è predisposto a

misura di adulto, la Montessori sostiene che tutto questo poi, ricade sull’infanzia, con

una ripercussione indelebile. Diventa, pertanto, necessario intraprendere una svolta

radicale creando un altro mondo, quello del bambino, un ambiente che lo aiuti nel

processo di una “crescita libera e armonica298

”. Questo ambiente idoneo, venne

chiamato dalla stessa autrice Casa dei bambini299

, sostenendo che: « È riservata

esclusivamente ai piccini del casamento che non hanno ancora l’età della scuola, le

madri lavoratrici possono lasciare tranquille i figliuoli, con loro immenso beneficio,

293

Cfr. ivi, p.156. 294

Cfr. ivi, p.45. 295

Cfr. ibidem. 296

Cfr. ivi, p.143. 297

Cfr. ibidem. 298

Cfr. ivi, pp.78-83. 299

Cfr. M. Montessori, La formazione dell’uomo, Garzanti Libri, Milano, 1995, p. 78.

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con risparmio di forza, con grande sollievo di libertà. Tuttavia le madri hanno l’obbligo

di mandare i loro bambini puliti e di coadiuvare all’opera educativa della direttrice,

come dice il regolamento appeso nelle mura dello stabile. Due obblighi: la cura fisica e

morale dei propri figli. Se il bambino dimostrerà con le parole, col contegno, che in

casa viene guastata l’opera educativa della scuola, esso graverà senza remissione sulle

braccia dei genitori ignavi e incapaci del proprio miglioramento. Bisogna cioè sapersi

meritare ilo beneficio d’avere in casa il grande vantaggio di una scuola per i figliuoli

più piccoli. E basta la “buona volontà” perché, in quanto al saper fare, il regolamento

lo dice, le madri dovranno andare almeno una volta la settimana a conferire con la

direttrice, dando notizie del proprio bambino e là potranno raccogliere i consigli che la

direttrice darà a loro vantaggio. Consigli illuminati sulla salute e sull’educazione del

piccino, poiché nella “Casa dei bambini” è preposto, insieme a una maestra, anche un

medico. […] Essa non è un ricovero passivo dei fanciulli: ma una vera scuola di

educazione, i cui metodi sono ispirati ai razionali principi della pedagogia scientifica.

[…] Ma su ciò non è possibile addentrarci: basti dire che già esiste, annessa alla

Scuola, una sala pei bagni caldi e freddi per i bambini; e, dove è possibile, una distesa

di terreno ove i fanciulli potranno coltivare il campicello sperimentale»300

.

In questo discorso presente nel testo La scoperta del bambino, Maria Montessori

presenta i benefici pedagogici e sociali della sua istituzione. In questa citazione, si

coglie lo spirito d’impegno scientifico e sociale che caratterizzava l’iniziativa, ma ancor

di più, il fatto che questa Casa dei bambini, non vuole separare il bambino dalla

famiglia, ma piuttosto, tramite il bambino, vuole educare la famiglia in maniera tale che

possa essere un ambiente altrettanto adatto, coinvolgendola dunque, in maniera diretta

con frequenti incontri con la direttrice e il medico della scuola301

.

Possiamo, dunque, rilevare come Maria Montessori condivise l’idea agazziana di

una scuola come ambiente a misura dei piccoli, in cui avevano la possibilità di lavorare

in condizioni fisiche dignitose, di pulizia e decoro, e con una disciplina data più dal

lavoro stesso che da obblighi esterni.

300

M. Montessori, La scoperta del bambino, cit. p.367. 301

Cfr. ivi, pp.375-777.

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Tuttavia la scuola agazziana si muoveva ancora, al meno in parte, sulla scia

dell’ottica gentiliana e idealistica che considerava, in chiave adultistica, quella infantile

come “scuola di grado preparatorio” 302

, mentre Maria Montessori si muoveva nella

direzione opposta, in quanto pretendeva che la Casa dei bambini avesse piena

autonomia, sia istituzionale che pedagogica, ma soprattutto non doveva essere un

servizio, piuttosto doveva avere una vera funzione sociale.

In essa gli spazi sono stati considerati in riferimento alle esigenze formative dei

bambini: non ha più il vecchio arredamento scolastico ed è situata nel tessuto urbano (in

modo tale da evitare sia l’isolamento sia la convivenza con i grandi agglomerati). Le

classi anche se poche e ospitate in locali non troppo ampi, sono dotate di suppellettili

proporzionati alle dimensioni fisiche dei bambini, lo stesso vale anche per gli spazi

esterni, in cui è indispensabile la presenza del giardino. L’aula è una “sala di lavoro”303

,

arredata con attenzione per poterci vivere in modo piacevole, in questa i materiali sono

tutti a portata di mano dei bambini e facilmente utilizzabili da loro per permettergli di

muoversi e agire in maniera loro più consona, senza il continuo intervento degli adulti.

Ecco che allora le sedie, i tavoli, gli scaffali, gli armadi, sono tutti piccoli,

proprio a misura di bambino. Ma soprattutto, viene tolto il banco perché, secondo

l’autrice, tiene prigioniero l’alunno costringendolo a compire compiti e lavori imposti;

inoltre anche la pulizia dei locali è affidata ai bambini, e ciò li educa all’ordine e al

decoro304

.

Tutto ciò nella prospettiva che la vita nella scuola potesse essere apprezzata dai

fanciulli come continuità della propria “casa” 305

, avvertita come propria in quanto

rispondente ai loro bisogni.

Come sostenuto da Maria Montessori, « si mette la scuola in casa; non solo, ma

si mette in casa come proprietà collettiva»306

, in cui il ruolo dell’insegnante non è più

quello di guida o di organizzatrice delle attività dei piccoli in maniera tale da indirizzarli

a scopi prestabiliti. Essa è direttrice delle attività sia individuali che sociali dei bambini:

302

Cfr. ibidem. 303

Cfr. ivi, p.79. 304

Cfr. ivi, pp. 156-159. 305

Cfr. M. Montessori, La mente del bambino. Mente assorbente, La Feltrinelli, Milano 1995, pp.44-49. 306

Cfr. ivi, cit. p.83.

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quindi più che impartire ordini o comandi, diventa consigliera, aiuta, stimola, i suoi

bambini; ma soprattutto rimuove gli usuali premi e castighi307

. Una grande

responsabilità, in questo nuovo ambiente, costruito a misura di bambino, grava sul

materiale didattico, detto anche di “sviluppo”, in quanto agisce sull’attività sensoriale

stimolando lo sviluppo dell’intelligenza poiché è adatto ai processi dell’evoluzione

infantile308

.

Sulla scia di questa prospettiva Montessori giunge ad una conclusione: l’insieme

degli oggetti e dei materiali selezionati per stimolare la sensibilità infantile formano

l’ambiente. L’esperienza libera, non guidata, sia nel caso di un ambiente naturale, sia

nel caso dell’asilo froebeliano, in cui, seguendo il cosiddetto “metodo oggettivo”,

l’educatrice si limitava a proporre al bambino gli oggetti (senza preoccuparsi di dargli la

giusta sistemazione), consentiva un accumulo di immagini ma senza progressione, né

efficacia didattica, con il rischio di risultare fuorvianti. Anche se da sempre si era

pensato che l’immagine e la logica permettevano al bambino lo sviluppo dei sensi, che

lo avrebbe portato poi, all’individuazione di nuovi contenuti309

.

La moderna visione scientifica della pedagogia si indirizzava verso una nuova

scoperta, l’educazione sensoriale: attraverso le giuste stimolazioni e gli opportuni

esercizi, infatti, il bambino avrebbe potuto raggiungere una corretta educazione;

occorreva pertanto offrire gli stimoli, in modo tale da consentire un ordine

progressivo310

. In questo modo, l’utilizzo dei materiali e gli esercizi sensoriali non

poteva limitare, ma piuttosto avrebbero liberato nel bambino, le sue capacità più

profonde e creative; in maniera tale da consentirgli di esprimersi e regolarsi secondo i

propri ritmi (che così non sono più decisi dalla maestra) e le proprie capacità311

. Lo

sviluppo di nozioni e abilità fondamentali in campo grafico, alfabetico e aritmetico, è

interamente spontaneo, in quanto scaturisce da una corretta educazione sensoriale312

.

La maestra montessoriana insegna, dunque, poco perché quando constata che un

bambino è in grado di dirigere da solo la propria attività, si limita ad osservarlo. Maria

307

Cfr. ivi, pp.55-56. 308

Cfr. M. Montessori, L’autoeducazione nelle scuole elementari, Garzanti, Milano 2000, p.67. 309

Cfr. ivi, pp.57-63. 310

Cfr. ibidem. 311

Cfr. ivi, p.122. 312

Cfr. ibidem.

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Montessori ha, quindi, attribuito alle proprie insegnanti il titolo di “ direttrice” ma non

inteso come chi ha alle proprie dipendenze qualcuno da controllare, piuttosto come chi

funge da “guida” delle attività svolte dal bambino in maniera spontanea313

.

Montessori fortemente convinta che la struttura psichica del bambino è diversa

da quella dell’adulto, parla, specie nelle ultime opere, di una «mente assorbente» in

quanto «la mente del bambino prende le cose dall’ambiente e le incarna in se

stessa»314

. Così il bambino “crea se stesso”, il proprio mondo interiore, crea una propria

“carne mentale” e le proprie reazioni con il mondo in maniera inconscia, senza saperlo

(mentre invece l’adulto non riesce ad imparare se non in maniera conscia, cioè

razionale). La “mente assorbente” così delineata da Montessori, assimila e sistema le

immagini “mettendole al servizio del ragionamento”, poiché è proprio per quest’ultimo

che il bambino assorbe le immagini315

. «Indubbiamente il periodo infantile è un periodo

di creazione; nulla esiste all’inizio, ed ecco che circa un anno dopo la nascita il

bambino conosce ogni cosa. Il bambino non nasce con un po’ d’intelligenza, un po’ di

memoria, un po’ di volontà, pronte a crescere e a svilupparsi nel periodo successivo.

Non si tratta di sviluppo, ma di creazione, la quale parte da zero. Il meraviglioso passo

compiuto dal bambino è quello che lo conduce dal nulla a qualche cosa, ed è difficile

per la nostra mente afferrare questa meraviglia. […] Il bambino crea la propria “carne

mentale” usando le cose che sono nel suo ambiente. Abbiamo chiamato il suo tipo di

mente “mente assorbente”. È difficile per noi concepire la facoltà della mente infantile,

ma senza dubbio la sua è una mente privilegiata»316

.

Da questa citazione, tratta dalla sua opera La mente del bambino, possiamo

sicuramente intuire la forte convinzione della Montessori, secondo cui il bambino è

dotato di una forte sensibilità, così intensa da essere in grado di impadronirsi del mondo

che lo circonda attraverso l’esperienza e la vita stessa. È proprio della mente infantile

“assorbire” le caratteristiche del mondo che lo circonda, farle sue e crescere per mezzo

di esse in modo spontaneo e naturale, senza compiere particolari sforzi cognitivi317

.

313

Cfr. ibidem. 314

M. Montessori, La mente del bambino. Mente assorbente, cit. p. 67. 315

Cfr. ivi, pp.123-124. 316

Cfr. ivi, cit. pp. 22-24. 317

Cfr. ibidem.

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Le osservazioni psicologiche montessoriane appaiono oggi approssimative, ma

di certo la portata innovatrice della pedagogia montessoriana ha comportato sia

considerazioni positive che negative. Di solito ad essa viene rimproverata una certa

rigidità circa l’educazione dei sensi e l’uso dei materiali, la scarsa importanza attribuita

al disegno e alla creatività318

. È stato talvolta sottolineato da alcuni studiosi, un certo

isolamento del bambino montessoriano dal contesto sociale, un’enfasi eccessiva rispetto

alle dimensioni dell’ordine e del silenzio, nonché una certa precocizzazione degli aspetti

istruttivi319

. Ma bisogna riconoscere che comunque, ancora oggi, in moltissimi Pesi del

mondo, e si dimostra un’efficace approccio all’educazione infantile, perché c’è sempre

più la necessità di costruire un mondo nuovo a partire dal rispetto delle bambine e dei

bambini320

.

Le novità metodologiche di Maria Montessori possono essere attribuite ad una

sua visione “aperta del mondo”, ella infatti fin dal 1913 intraprese un viaggio alla volta

dell’America, dove ebbe una molteplicità di rapporti internazionali, anche se lei non

parlava l’inglese (ma lo capiva), con “spirito coraggioso” comunicava, faceva lezione

ed era ascoltata e ricercata. È in America, intorno agli anni ’40 che conobbe, il

movimento dell’educazione progressiva, in quegli anni, si stava sviluppando, infatti, il

dibattito tra scuola attiva, scuola tradizionale, e scuola progressiva; e lei, si fece

portavoce della scuola progressiva. Possiamo parlare di Maria Montessori come di un

“personaggio internazionale”, un’italiana che in tempi piuttosto brevi, ebbe successo in

America, in particolare a San Francisco, a questo proposito ricordiamo l’esperienza

dell’aula con le pareti di vetro, che la gente osservava meravigliata, in cui vi erano dei

bambini che ascoltavano silenziosamente le sue parole. Caratteristico di Maria

Montessori è proprio questa sua “espansione culturale”321

. Ella non rimase fissa nel

tempo in cui viveva, non si soffermava allo studio della storia, ma si proiettava al

futuro, tant’è che sosteneva: «siamo rinchiusi in un orizzonte senza orizzonte, in un

318

Cfr. ivi, p.109. 319

Cfr. ivi, pp. 38-45. 320

Cfr. ibidem. 321

Cfr., ivi, p.67.

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orizzonte chiuso»322

. L’autrice mediante le esperienze più d’avanguardia della cultura in

cui viveva, credeva nello sviluppo della società.

Certamente la Scuola a cui si ispirava, era basata sugli studi positivistici, ma

successivamente, passò all’antropologia pedagogica, con la quale mirava ad un’azione

attiva e dinamica. Passò via via alla rivalutazione di una scienza non, dai contenuti

predefiniti, ma come spirito scientifico, e qui certamente si riferiva a John Dewey,

s’imbatte nei movimenti culturali che via via andavano sviluppandosi: la psicoanalisi,

la psicologia inglese, fino ad arrivare al movimento progressista323

. Sollecitata dal

professore presso il quale era assistente volontaria di psichiatria, cominciò ad occuparsi

dei bambini che erano nel manicomio, questi non erano “pazzi”, semplicemente, erano

ritardati e per questo erano stati abbandonati a se stessi. Così Maria Montessori

cominciò con Montesano, tenendo sempre presente gli studi di Itard e Séguin, creò le

basi della Casa dei Bambini. Quest’autrice vive in un’epoca in cui si sviluppano vari

movimenti, realismo, idealismo, positivismo, che la sottovalutano poiché non è una vera

accademica. Ella pur avendo, infatti, esperienze di insegnamento universitario, avrebbe

potuto preferire tra l’Università, e invece, opta per l’azione educativa. Dunque,

l’esperienza americana chiaramente modificò la sua prospettiva, grazie anche alla

psicologia sperimentale, alla pedagogia che si riferiva all’educazione progressiva con

Dewey, e i suoi allievi. Grazie a tutto questo modificò l’approccio, perché ricordiamoci,

che lei partì come positivista. Quindi queste trasformazioni, in definitiva, sono

avvenute, grazie a questo filtro dell’esperienza americana, da lei vissuta.

322

M. Montessori, Educazione e pace, cit., p.44. 323

Cfr. ivi, pp.55-57.

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1.4.L’attivismo idealistico di Giuseppe Lombardo Radice

La storia della nascita della didattica viva è da attribuire a Giuseppe Lombardo

Radice, egli partì da una visione idealistica, approdò alla prospettiva deweyniana, grazie

ad Angelo Patri, che viveva in America, per poi sviluppare il movimento della “scuola

militante”. Tuttavia, pur essendo, la sua pedagogia fortemente influenzata dal

neoidealismo gentiliano, rimarca il concetto di un autosviluppo spontaneo del discente

fondato sulla centralità dell’alunno, ma che tuttavia insiste anche sulla necessità di

assicurare più concretezza e certezza, attraverso la sperimentazione, nel metodo

pedagogico324

.

Il merito principale che viene attribuito a questo grande pedagogista è il rinnovo

dell’educazione, attuato con la riforma della scuola elementare italiana (che prevedeva

tra l’altro la reintegrazione dell’insegnamento della religione), che ebbe il merito di

apportare delle innovazioni sia sul piano didattico che pedagogico. I “famosi”

Programmi del 1923325

, per la Scuola Primaria, che costituiscono uno dei capisaldi della

riforma Gentile, furono da lui elaborati. Alla base di questa organizzazione c’era una

concezione aristocratica della cultura e dell’educazione: una scuola superiore riservata a

pochi, considerati i migliori, vista come strumento di selezione della futura classe

324

Cfr. G. Lombardo Radice, Orientamenti pedagogici, Paravia, Torino 1931, p.10. 325

Cfr. M. Civra, I programmi della scuola elementare dall’unità d’Italia al 2000, M. Valerio, Torino

2002, cit. pp. 145-147: «Nel 1923 Gentile attuò la riforma scolastica, elaborata con Giuseppe Lombardo

Radice. Dal punto di vista strutturale Gentile organizzò la scuola secondo un criterio gerarchico e

centralistico. Una scuola di tipo aristocratico, pensata e dedicata “ai migliori” e non a tutti, e rigidamente

suddivisa a livello secondario in un ramo classico-umanistico per i dirigenti e in un ramo professionale

per il popolo e la classe lavoratrice. Le scienze naturali e la matematica furono quindi messe in secondo

piano, mentre le discipline tecniche ad esse correlate avevano la loro importanza solo a livello

professionale. L’obbligo scolastico fu innalzato a 14 anni e fu istituita la scuola elementare da sei ai dieci

anni. L’allievo che terminava la scuola elementare aveva la possibilità di scegliere tra quattro possibilità:

il ginnasio, quinquennale, che dava l’accesso al liceo (in seguito denominato liceo classico), al liceo

scientifico o al liceo femminile; l’istituto tecnico, articolato in un corso inferiore, triennale, seguito da

corso superiore, quadriennale; il corso inferiore dava accesso anche al liceo scientifico; l’istituto

magistrale, articolato in un corso inferiore, quadriennale, e in un corso superiore, triennale, destinato alla

preparazione dei maestri di scuola elementare; il corso inferiore dava accesso anche al liceo femminile; e

la scuola complementare di avviamento professionale, triennale, al termine della quale non era possibile

iscriversi ad alcun'altra scuola. Così solo i diplomati del liceo classico avrebbero potuto frequentare tutte

le facoltà universitarie, mentre ai diplomati del liceo scientifico sarebbe stato possibile accedere alle sole

facoltà tecnico-scientifiche. Agli altri diplomati era invece impedita l’iscrizione all’università. Alla base

di questa impostazione c’era una concezione aristocratica della cultura e dell'educazione: una scuola

superiore riservata a pochi, considerati i migliori, vista come strumento di selezione della futura classe

dirigente».

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dirigente, da cui però ben presto Lombardo Radice si distaccò. Egli infatti, partendo dai

prìncipi della pedagogia filosofica e della “scuola attiva”, trasformò l’insegnamento,

contribuendo alla diffusione dell’istruzione popolare e alla lotta contro

l’analfabetismo326

. I suoi principi possono così essere sintetizzati: 1.1 L’universalità

dell’educazione oltre i limiti della famiglia e della scuola; 1.2. La didattica come

esperienza attiva sia del maestro che del discepolo; 1.3. La critica pedagogica, come

equivalente all’atto educativo327

.

Il pedagogista catanese, è fortemente convinto che la cultura pedagogica italiana

fosse troppo indirizzata al positivismo e che la scuola fosse troppo formale e ormai in

declino, teorizzò, una scuola di popolo, del popolo e per il popolo. Infatti, mentre il

positivismo parlava di allevamento e selezione, espressioni che si addicevano più alle

specie animali che ai bambini, costringendo in qualche modo anche la scuola a

muoversi in maniera autonoma staccandosi completamente dalle varie polemiche che si

susseguivano, Lombardo Radice vi oppose invece, una concezione idealistica328

. Il suo

è un discorso impiantato su due tesi in contrasto tra loro: da un lato la convinzione che il

soggetto è assolutamente unico, per cui ciò non permetteva la molteplicità individuale;

dall’altro invece, sosteneva la libertà degli individui, e li metteva in guardia dalle

differenziazioni, ma questo sicuramente in contrasto con la prima in quanto negava

l’unicità del soggetto329

.

La sua concezione filosofica è molto complessa ma il punto è che egli non nega la

dualità maestro-scolaro, piuttosto la coglie e la comprende nella sua distinzione, ma ciò

presuppone un’unità superiore330

. L’educazione allora, è sempre autoeducazione, in

quanto è unità, fusione delle due personalità, del maestro e dello scolaro: fortemente

convinto però, che l’educazione è condizionata da molti fattori esterni, sottolinea la

necessità di immettere l’atto educativo in una ambiente concreto, dove vi sono abitudini

326

Cfr. R. Mazzetti, Giuseppe Lombardo Radice tra l’idealismo pedagogico e Maria Montessori,

Giuseppe Malipiero, Bologna 1958, pp.12-13. 327

Cfr. ivi, pp.56-59. 328

Cfr. ivi, pp.34-38. 329

Cfr. ibidem. 330

G. Lombardo Radice, Lezioni di pedagogia generale. L’ideale educativo e la scuola nazionale,

Sandron, Firenze 1961, cit. p.280: « in realtà nessuna parola altrui, consiglio o incitamento noi seguiamo:

nessuna parola altrui, immagine o concetto noi ammiriamo o accettiamo se non in quanto ci parla con noi

esprime cosa che noi ritroviamo nel nostro spirito».

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già consolidate, cosicché tra i due attori possa avvenire uno scambio, proprio come

aveva affermato Socrate e riaffermato Rousseau: educare da «ex-ducere»331

, nel senso

che l’alunno doveva poter essere messo nella condizione di “trarre fuori” quanto aveva

dentro. Sulla scia dei princìpi dell’attivismo, l’alunno non è mai un passivo recettore, è

semmai parte attiva del processo di apprendimento332

.

Questa compenetrazione di azione tra maestro e scolaro, emerge con chiarezza

nella definizione del concetto di autorità dataci dal Lombardo Radice, il quale considera

che anche l’adulto rispetta delle regole e obbedisce a valori e princìpi che ha fatto propri

con lo studio e i rapporti sociali, non agisce a piacere. Il bambino tendendo

all’emulazione dell’adulto, scopre che il proprio limite è la sua infantilità ed essendo

scontento di sé, cerca di superarla, l’importante è che però il bambino percepisca tutto

ciò333

. Ne deriva allora che le punizioni, l’accumulo di minacce e i divieti, secondo il

suo metodo educativo non sono utili a garantire l’ordine di questo pedagogista, e la

disciplina nella scuola. Anzi, più precisamente, egli ritiene che, potrebbero essere

utilizzati sia gli uni che gli altri, ma piuttosto quel che conta è che devono essere

interiori, in maniera tale che l’alunno li assuma come simboli e li acquisisca334

. Questa è

l’idea di Lombardo Radice: l’alunno diviene «discepolo di tutti, maestro di sé»335

.

Ma affinché possa realizzarsi questa funzione, è necessario che l’istruzione

scolastica non ripeta le oppressioni e le difficoltà che il bambino vive nella

quotidianamente in famiglia, piuttosto deve essere una scuola serena; da quì la

definizione che fu data a Giuseppe Lombardo Radice, di Maestro della Scuola

Serena336

. Per scuola serena egli non intende il contrario di scuola severa, ma

semplicemente una scuola non noiosa, il maestro che sovraccarica con la sua lezione

che ha già preparato a casa basandosi solo sul programma ministeriale, e che parla

sempre nello stesso modo e che soprattutto non vuole essere messo in discussione,

rende la scuola detestabile, opprimente e uggiosa, tutto l’opposto della scuola serena337

.

331

Cfr. ivi, p.45. 332

Cfr. ibidem. 333

Cfr. ivi, p.56. 334

Cfr. ibidem. 335

Cfr. ivi, pp. 123-127. 336

Cfr. P. Mulè, Il docente in Italia tra pedagogia scuola e società, Anicia, Roma 2005, pp.28-30. 337

Ibidem.

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È chiaro che il maestro deve certamente aver preparato la lezione, deve aggiornarsi, ma

quello che intende Lombardo Radice è che il maestro deve andare a scuola per

comprendere delle anime, deve portare la vita nella scuola, unendola poi con quella che

vi portano i fanciulli carichi di esperienze338

.

Il maestro deve essere capace di lasciare fuori dalla classe tutto ciò che lo

riguarda: gioie, dolori, problemi economici, e quant’altro339

. Egli cercava di comprovare

la sua tesi sostenendo che «la migliore preparazione professionale del maestro è una

cultura non professionale»340

. Il maestro allora non deve esser solo uomo, ma anche un

artista, un creatore, un “ravvivatore di anime”, e visto che un ostacolo alla formazione

dell’anima potrebbe anche essere il maestro, è compito dell’educatore instaurare con

ogni singolo suo alunno un rapporto di affiatamento, così da poter rappresentare un

modello da emulare in cui l’alunno può leggere la propria anima.341

La lezione non

deve, dunque, essere eliminata, il maestro deve fare lezione, ma non in maniera rigida e

severa, bensì con il cuore.

Si delinea così nel pensiero del pedagogista catanese una figura di maestro che

non sia un mero ripetitore meccanico della lezione, ma colui che oltre a conoscere la

propria disciplina sia in grado di rendere quanto più possibile gli alunni partecipi, in

maniera tale che la lezione diventi dialogo, e i ragazzi possono discutere. Una Scuola

Serena dunque, in cui vi deve essere l’affiatamento tra i docenti, che è essenziale per

creare un’atmosfera familiare e che può assicurare al bambino spazi in cui muoversi

liberamente, ma soprattutto per garantire unità della didattica.

Da questo punto di vista ci accorgiamo che già molto prima dei Decreti Delegati

del ‘73-‘74342

, Lombardo Radice aveva intuito la necessità della progettazione didattica

338

Ibidem. 339

Cfr. ivi, pp.69-70. 340

Cfr. Lombardo Radice G., Lezioni di Didattica e ricordi di esperienza magistrale, S.A. Edizioni Remo

Sandron, Firenze 1946, cit. p.70. 341

Cfr. ibidem. 342

Si tratta di Decreti legislativi, emanati dal governo, su precisa delega del parlamento, con la quale, il

governo viene delegato ad emanare disposizioni aventi valore di legge. La legge Delega n.477 del 1973

prevede l’istituzione degli organi collegiali della scuola, con l’intento di realizzare una più attiva

partecipazione di tutte le componenti (docenti, studenti, genitori, personale ausiliario) nell’attività

educativa e nella gestione della vita scolastica. I Decreti Delegati emanati successivamente per dare

attuazione pratica e regolamentazione ai principi della legge delega n.477, riguardanti la scuola sono

cinque: il Decreto Delegato n.416-417-418-419-420, tutti emanati nel 1974. Il Decreto n.416, tratta:

Istituzione e riordinamento di organi collegiali della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica.

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collegiale, per poter ottenere un esito positivo dell’apprendimento343

. Non vi sono

documenti che testimoniano dei curriculi scolastici o dell’organizzazione dei tempi e

degli spazi educativi, la cosa che conta, per l’autore, è l’unità dell’apparato

organizzativo. Egli sostiene che l’unità tra gli uomini, favorita dal processo educativo,

spiega alcuni princìpi organizzativi: quello della continuità e quello della unità-

molteplicità degli itinerari formativi. La struttura scolastica, infatti, deve favorire la

continuità attraverso l’unità del servizio formativo, ma continuità indica così,

un’organizzazione unitaria, ma non unica; nel senso che le scuole devono essere diverse

in maniera tale da poter rispondere alla diverse richieste formative della società344

.

Con questo pedagogista è impossibile parlare di metodo, anzi come diceva

Gentile «il metodo è il maestro»345

, ed egli fece sua questa tesi, per cui in sostanza il

metodo non è altro che un modo di vita del maestro. Giuseppe Lombardo Radice,

partendo dalla riflessione che la didattica fosse priva di un proprio spazio autonomo, e

per questo è sempre critica e alla ricerca di soluzioni da attuare nell’educazione,

pertanto sostiene che il metodo è la via da seguire, lo studio dell’ordine con cui gli

argomenti possono essere organizzati, la condizione di adeguamento del maestro a

quelle che sono le reali condizioni culturali dell’alunno346

.

Il compito del maestro è, dunque, quello di cercare di rinnovare in ogni allievo il

rapporto educativo, così lui lavora per tutti indifferentemente, e non per “ i migliori”,

anzi, anticipatore dell’attuale didattica, sostiene che il maestro, deve partire dai più

deboli e dai peggiori. Lombardo Radice ha applicato la sua concezione dell’educazione

principalmente nella scuola elementare, che deve fondarsi sul rispetto dell’infanzia,

tenendo conto delle caratteristiche psicologiche. Il bambino visto dal suo punto di vista

è fantasia, intuizione, sentimento e creatività, ed è compito della scuola tutelare queste

sue caratteristiche. Ecco che particolare cura doveva essere attribuita all’educazione

Il Decreto n.417: Norme sullo stato giuridico del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola

materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato. Il Decreto n.418: Corresponsione di un

compenso per lavoro straordinario al personale ispettivo e direttivo della scuola materna, elementare,

secondaria ed artistica. Il Decreto n.419: Sperimentazione e ricerca educativa, aggiornamento culturale

e professionale ed istruzione dei relativi istituti. Il Decreto n.420: Norme sullo stato giuridico del

personale non insegnante statale delle scuole materne, elementari, secondarie ed artistiche. 343

Cfr. ibidem. 344

Cfr. ivi, pp.45-56. 345

Cfr. ivi, pp.167-168. 346

Cfr. G. Lombardo Radice, Educazione e diseducazione, La Voce, Firenze 1923, pp.45-46.

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linguistica, che non poteva ignorare il dialetto, anzi era necessario muoversi da esso, in

quanto è la prima lingua viva che permette al bambino la scoperta delle tradizioni

popolari. Anche il disegno spontaneo è fondamentale, egli difende fortemente la valenza

degli “scarabocchi”, che possono far intuire al maestro l’interiorità dell’allievo. La

stessa religione deve essere poesia religiosa: canto, preghiera, ammirazione della vita di

Gesù, poesia dei racconti cristiani347

.

La pedagogia del Lombardo Radice contiene una novità importante: la critica

didattica348

. Contrario a quanti parlavano di un metodo valido per tutti, il Lombardo

Radice non negava la validità della metodologia. «L’abuso non è l’uso. I metodi si

debbono coltivare, ma senza l’intenzione di livellare le teste dei fanciulli, senza

dimenticare le differenze individuali»349

. È qui si colloca l’interessante teoria della

critica didattica, nella quale il pedagogista catanese si sofferma su una didattica viva,

nel senso di mettere in discussione in maniera critica l’opera educativa stessa, e un

modello diverso di maestro350

. Solo dopo aver visitato molte scuole elementari, si

informava, sempre con molto scrupolo, degli esperimenti educativi dell’Italia e

dell’estero; esponeva esperienze, fatti, cose; si procurava quaderni di bambini, diari di

maestri, discuteva relazioni, proposte, piani351

. Andava a visitare scuole nell’Agro

romano, in Umbria, in Lombardia, in Svizzera; raccoglieva materiali didattici, e poi

progettava, con gusto e con un senso vivo della vita educativa352

, il nuovo metodo. E

così egli poté inserirsi, spesso in maniera autorevole, nei dibattiti del momento

contribuendo tanto a far decretare, gli esperimenti rurali delle sorelle Agazzi a

Monpiano, positivamente.

Sicché « L’asilo di Monpiano, scrisse Lombardo Radice, unisce l’esercizio

(breve, ma frequente e sistematico) dell’analisi del parlare, all’esercizio del parlare

vivente, cioè all’uso della parole, come adeguazione di espressione a esperienza

vissuta; unisce l’esercizio di nomenclatura a quello della formazione espressiva; unisce

l’esercizio di discernimento dell’errore (grammatica senza grammatica ovvero

347

Cfr. ivi, pp.12-13. 348

Cfr. ibidem. 349

Cfr. ivi, pp.2-3. 350

Cfr. ivi, p.45. 351

Cfr. ivi, pp.34-36. 352

Cfr. ivi, pp.123-131.

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grammatica infantile) alla spontanea accensione dell’attività espressiva nel minuto

conversare di bambini fra di loro e di maestra con i bambini»353

.

Queste parole tratte dalla sua opera più importante Lezioni di didattica e ricordi

di esperienza magistrale sono state il punto di avvio per la preparazione pedagogica

degli insegnanti, ma soprattutto per il rinnovo della coscienza culturale354

. Si occupò

anche della Montessori, di cui condannava l’eccessiva dose di tecnicismo anche

verbale, a suo parere dovuto al fatto che ella proveniva dalla medicina e dal positivismo

scientifico, tuttavia riconosceva che sicuramente il metodo montessoriano era stato

liberatore del bambino, grazie ad alcuni accorgimenti: l’eliminazione del banco e

dell’opprimente intromissione dell’insegnante, mirando piuttosto a rendere il bambino,

capace, sano e forte355

.

Qui sicuramente si riscontrano i pensieri di molti prestigiosi autori quali

Pestalozzi, Aporti, Agazzi, Montessori e Dewey, secondo la percezione che la scuola

preparando alla vita gli allievi, è vita stessa. In questo senso Lombardo Radice analizza

pienamente il problema didattico, della relazione apprendimento-insegnamento,

chiarendo i singoli problemi che potrebbero pervenire. Oggi, del Lombardo Radice, ci

sono rimasti alcuni concetti chiave da lui rivolti al maestro perché sia coscienzioso nel

suo compito, quali: la sfiducia nei metodi prefabbricati; l’interesse aperto per tutte le

esperienze; nonché il senso concreto di ogni forma di istituzione educativa356

. Insomma

il modello di scuola da lui presentato è quello di una scuola che nasce per l’alunno e non

per il maestro.

Ma si deve rilevare anche la limitata applicabilità dei metodi di questo

pedagogista catanese nella scuola della città, leggendo le pagine delle sue opere, ci si

addentra in orizzonti di paesi rurali e agresti. Non si trova la scuola di città, specie

quella delle grandi città dell’alta Italia, dove vi sono le grandi fabbriche industriali,

basate sul commercio357

. Non si capisce come si possano condurre i bambini nei campi,

come ci si possa dedicare all’organizzazione del giardinetto scolastico, del pollaio, in

353

Cfr. ibidem. 354

Cfr. ivi, pp.78-80. 355

Cfr. ibidem. 356

Cfr. ivi pp.73-74. 357

Cfr. ivi, pp.45-56.

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scuole cittadine, laddove ogni giorno tantissimi alunni si ritrovano nel medesimo

edificio. La sua è una scuola tipicamente rurale, adatta al meridione, una scuola-asilo.

Ecco spiegate le sue simpatie per metodi quali quelli delle Agazzi, metodi

fondamentalmente di campagna, e l’antipatia per un metodo, come il montessoriano,

che si adattava in maniera più specifica ai grandi centri metropolitani358

. Il bambino che

vive in una zona rurale e che cammina nella stradina di campagna, in cui non vi sono nè

scritte, nè giornali, nè vetrine di librerie; per cui può anche non saper leggere per molto

tempo. Ma il bambino che vive in città, dove è letteralmente “assalito” da immagini e

scritti di ogni tipo, sicuramente svilupperà molto prima, un interesse per la lettura359

.

In buona sostanza, la scuola teorizzata da questo pedagogista catanese è un

scuola in cui non tanto si spiega e si ripete, ma in cui tutti i soggetti coinvolti devono

partecipare ad una continua esplorazione della natura e dell’anima; come in un

laboratorio, nel quale bisogna partecipare al lavoro comune, che comunque non è lo

stesso per ciascuno, ma adeguato alle capacità di ciascuno360

.

358

Cfr. ivi, pp.45-48. 359

Cfr. ibidem. 360

Cfr. ibidem.

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Capitolo II

IL PROBLEMA DELL’EDUCAZIONE INFANTILE

NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA

2.1. L’educazione infantile nell’attuale scuola dell’infanzia

Nel seminario Scuola e Democrazia oggi che ha analizzato il terzo numero della

rivista «Scuola Democratica. Learning for Democracy», si è riflettuto su una domanda,

presente nella rivista, così posta: “La scuola deve perseguire soltanto finalità di

trasmissione delle conoscenze e d’istruzione, oppure anche finalità di educazione? 361

Ecco che è proprio da questo quesito che prende avvio il tema dell’educazione infantile

nell’attuale scuola dell’infanzia362

.

Per potere rispondere in maniera opportuna a questo quesito che ancora oggi

rimane una questione aperta, ma che tuttavia, nel dibattito pedagogico, ha radici storiche

abbastanza lontane, dobbiamo inevitabilmente ripercorre parte della storia della

pedagogia. Questa ci ha permesso, infatti, di mettere in evidenza, la differenziazione di

due concetti tanto fondamentali, quanto imprescindibili, nel processo educativo:

educazione ed istruzione363

.

Affrontando, nell’ambito pedagogico, il problema dell’educazione vengono

evidenziati i diversi soggetti a cui spetta il compito di educare e d’istruire, che nello

specifico sono: la famiglia e la scuola. La questione dell’educazione è antichissima,

sappiamo, infatti, che il bambino, deve essere educato, in quanto, se è vero che, sin dalla

361

Cfr. Scuola Democratica. Learning for Democracy, nuova edizione n°3, 2011, p.2 362

Cfr. R. Massa, Cambiare la scuola. Educare o istruire?, Laterza, Roma-Bari 1997, pp.28-32. 363

Cfr. ibidem.

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nascita, fruisce di varie informazioni: sociali, psicologiche e culturali, è vero anche che,

nel corso degli anni, affinché maturi, queste informazioni devono essere sviluppate, in

maniera tale da consentirgli di adattarsi all’ambiente in cui vive364

. L’educazione è,

perciò, la costruzione della personalità, che si compie, attraverso la connessione tra i

vari aspetti costitutivi della persona. Sulla base di quanto detto, possiamo tratteggiare

tre considerazioni: 1.1. L’educazione è un’azione che mira allo sviluppo degli aspetti di

cui l’uomo è già costituito. 2.1. È volta all’attualizzazione delle potenzialità innate

dell’individuo, al fine di adeguarsi, ai modelli sia sociali che culturali dell’ambiente

sociale in cui il soggetto vive. 3.1. È un processo che avvia l’uomo al compimento della

sua personalità365

.

Sinteticamente possiamo affermare che «l’educazione, è la formazione della

personalità considerata in maniera complessiva, che cerca di creare un’armonia tra i

vari aspetti costitutivi della persona che cresce in un determinato ambito culturale»366

.

Educare, dunque, significa indirizzare l’uomo ad esperienze che ne favoriscono

l’autosviluppo della personalità, al fine di definirla e differenziarla in rapporto alle

diverse situazioni socio-culturali e all’influenza dell’ambiente esterno. Ecco che

l’educazione è, dunque, quel processo logico di formazione che si avvia, attraverso

varie esperienze sociali, al raggiungimento di un risultato finale. Tutto ciò, però,

presuppone trasformazioni, innovazioni, che modificano il comportamento

dell’educando, egli deve sviluppare, infatti, le sue qualità, le sua attitudini, i suoi modi

di agire367

.

Il processo educativo, quindi, parte dall’identità infantile per arrivare poi

gradualmente alla strutturazione del sé, e all’apertura verso gli altri. Tale processo parte

dal presupposto che tutti gli aspetti della personalità che deve essere formata siano, non

isolati fra loro, ma piuttosto integrativi e connessi ai rapporti sociali. Attenendosi a

quanto sopra detto, secondo la visione tradizionale, la prerogativa della famiglia era

l’educazione, in quanto l’educazione consisteva nel trasmettere valori, mentre invece

364

Cfr. ivi, pp.22-26. 365

Cfr. M.Vegetti, La città educa gli uomini, in E. Becchi, Storia dell’educazione, La Nuova Italia,

Firenze 1987, P.45. 366

Cfr. ivi, p.89. 367

Cfr. ivi, p.29.

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alla scuola spettava l’istruzione. Quest’ultima era intesa come un modello teorico

secondo cui la formazione del bambino avveniva con l’acquisizione e l’elaborazione di

stimoli o informazioni provenienti dall’esterno. L’istruzione era, dunque, la

trasmissione di nuovi concetti, a cui conseguiva l’acquisizione di nuove competenze e

capacità, tali da plasmare l’alunno368

. A seconda del punto di vista preso in

considerazione, potremmo affermare che l’istruzione si dipana nella logica dei modelli

comportamentista, empirista e positivista; l’educazione è orientata, invece, più dal

modello idealista, razionalista e personalista369

. Allora, il senso dell’antinomia tra

educare e istruire cambia totalmente a seconda che ci si riferisce ora al versante

epistemologico ora a quello teorico370

.

Spetta alla pedagogia l’individuazione di un’esperienza professionale

trasversale, rispetto, sia al ruolo dell’educatore che a quello dell’insegnante. Purtroppo,

siamo reduci di una cultura che ha disgiunto i processi didattici da quelli psicosociali e

che, si erige, su una concezione ancora troppo tradizionale, basata su metodologie

educative ed istruttive, troppo differenziate371

. Oggi sappiamo, però, che il ruolo della

scuola non può più essere ridotto alla trasmissione dei contenuti, essa ha, infatti, il

compito di sostenere e aiutare la famiglia, a che i discenti raggiungano anche traguardi

di competenza. La questione è, dunque, capire se la scuola ha davvero solo il compito

d’istruire, anche in considerazione di quanto illustrava la teoria gentiliana, secondo cui

la scuola è il luogo privilegiato per giustificare la teoria filosofica, che si manifestava

concretamente nel rapporto docente-discente, nel momento della lezione. L’atto

comunicativo-educativo diventava, dunque, l’elemento centrale in cui si esplicitava

questo rapporto372

. Un dibattito che poi noi oggi rinveniamo alla luce di un motto

gentiliano: “chi sa, sa anche insegnare”, che rispecchia un po’ anche la critica della

didattica373

. Per cinquant’anni abbiamo avuto un modello di scuola (che ancora oggi per

certi versi, riscontriamo nelle scuole secondarie), in cui vi erano dei docenti legati ad un

368

Cfr. G.Zavalloni, La pedagogia della lumaca. Per una scuola lenta e solidale, EMI, Bologna 2008,

pp.32-36. 369

Cfr. ivi, pp.90-92. 370

Cfr. ivi, pp.133. 371

Cfr. ivi, pp.102-105. 372

G. Gentile, La pedagogia filosofica di Giovanni Gentile, Franco Angeli, Milano 1999, p.56. 373

Cfr. ivi, pp.16-17.

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certo tipo di formazione e che ritenevano che insegnare una disciplina significasse farla

apprendere agli studenti, attraverso la lezione frontale, la trasmissione dei contenuti374

.

Da allora vi sono stati tanti cambiamenti, innanzitutto è cambiato il ruolo del

docente; è cambiato il modo d’intendere la maestra e il professore, ecc. Ma quello che è

molto importante è che nel secondo dopoguerra in Italia abbiamo avuto un modello

pedagogico che ha subito l’influenza del paradigma delle scienze dell’educazione, tanto

da concepire la pedagogia come scienza dell’educazione, e ciò ha trasformato in

qualche misura (almeno nel dibattito scientifico) anche la struttura della scuola375

.

Agli albori la pedagogia si riferiva, infatti, all’azione dell’insegnante e

dell’educatore non aveva, perciò, una dimensione autonoma, era anzi considerata, un

sotto settore della filosofia, come l’etica o come la politica. Sussistevano, dunque, due

oggetti di studio della pedagogia: da un parte, le capacità pratiche per la trasmissione

della cultura, e dall’altra, le considerazioni filosofiche inerenti la morale.

Ma nel panorama pedagogico odierno il termine “formazione” ha sostituito

quello tradizionale di “educazione"”, e ciò ha prodotto, sicuramente, un variazione

concettuale, tant’è che dal concetto di e-ducere, inteso come «acquisizione di forma»

attraverso azioni intenzionali, di direzione di un soggetto nei confronti di un altro, si è

passati ad un’estensione del soggetto, che ora, agisce autonomamente376

. Da questa

trasformazione lessicale è, inevitabilmente, derivata una nuova definizione scientifica

della pedagogia, rilevata dalla sostituzione di ciò che precedentemente era intesa

(l’educazione) come conformazione sociale o processo interiore, che ora, viene

sostituita dalla nozione di processo formativo, in cui acquistano un ruolo considerevole

sia le potenzialità proprie di ogni individuo che la sua intenzionalità377

.

L’esperienza pedagogica che ci è stata testimoniata dalle opere e

dall’insegnamento di Riccardo Massa, rende attiva la relazione tra la prassi formativa e

la richiesta teorica, dimostrando che esistono nuovi metodi per esplorare il campo

374

Cfr. ivi, pp.78-79. 375

Cfr. ibidem. 376

Cfr. F. Cambi, Fondamenti teorici del processo formativo. Contributi per un’interpretazione, Liguori,

Napoli 1997, pp.6-9.

377

Cfr. ivi, p.45.

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educativo e nuove trasformazioni del mondo della formazione378

. Il sistema educativo

del XX secolo viene da lui definito come: «un palazzo che si regge su quattro pilastri,

essi rappresentano insieme i fini e le funzioni che rendono possibile ai giovani un

apprendimento umanamente significativo, precisato in questo modo: imparare a

conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme, imparare ad essere»379

. È

necessario quindi pensare a creare un sistema educativo di istruzione e formazione

rigenerato e ricreato, non semplicemente aggiornato380

.

La scuola è diventata l’oggetto di due aree d’influenza decisamente distinte. Da

un lato le questioni didattiche, dall’altro le problematiche educative e psicologiche. Il

dilemma che viene proposto dall’autore diviene: educare o istruire? Apparrebbe che

oggi educare è esibizione dei valori e istruire trasmettere tecniche. Ma così anche l’idea

di istruzione, oltre a quella di formazione, viene del tutto inficiata. A proposito di ciò, è

possibile individuare una distinzione tra coloro che sono dalla parte dell’istruzione in

quanto credono che l’uomo sia un animale educabile all’infinito; e coloro che ritengono,

invece, che l’uomo sia sottoposto a delle leggi di sviluppo da cui l’apprendimento è

limitato da quella dell’educazione. Se quest’ultima è il nutrire, riguarda processi

naturali381

.

All’interno della scuola sembra che ogni modello di formazione sia scomparso,

per di più la formazione viene intesa come modellamento della propria individualità

secondo un certo stile, che però, ad oggi sembra essere, l’imitazione degli stereotipi più

comuni delle trasmissioni televisive382

. Il paradosso è che le attuali chance educative

proposte sia dall’evoluzione tecnologica, sia da un contesto di pluralità che permette di

uscire dai modelli univoci e totalizzanti, insieme ai bisogni che ne conseguono, ha

generato il regresso dell’istruzione scolastica.

378

Cfr. R. Massa, Educare o istruire? La fine della pedagogia nella cultura contemporanea, Unicopli,

Milano 1988, pp.3-5. 379

Cfr. L. Corradini, Educazione alla convivenza civile. Educare, istruire, formare nella scuola italiana,

Armando, Roma 2003, cit. p.2-3. 380

Cfr. ivi, p.10. 381

Cfr. ivi, pp. 44-48. 382

Cfr. ivi, p.7.

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Il problema è, infatti, che mancano le iniziative capaci di proporre nuovi progetti

e percorsi volti alla formazione personale383

. Una scuola che educa sarebbe una

istituzione che accetta le disuguaglianze tra gli allievi come un dato di natura. Ecco

perché i teorici dell’istruzione sostengono che la scuola, per essere democratica, deve

istruire. Non deve imprimere valori e agire sulle condotte morali, ma solo stimolare

l’acquisizione di nuove conoscenze e capacità. Non è più tollerabile un dibattito che

vuole distinguere i sostenitori dell’educazione e quelli dell’istruzione. Il problema è

male impostato. Occorre chiedersi, piuttosto, quali siano le categorie e gli schemi

concettuali attraverso l’esperienza scolastica può essere compresa, dopodiché si discute

su quel dilemma sopra accennato, che da Massa viene definito «fasullo ma rilevante e

significativo»384

.

È, dunque, alla pedagogia che viene affidato il compito dell’individuazione di

una competenza professionale trasversale rispetto tanto al ruolo di educatore quanto a

quello di insegnante e di formatore. La formazione viene intesa come «attività

intenzionale e organizzata d’insegnamento e apprendimento o come evento

involontario, come processo diffuso e spontaneo, come fenomeno sociale o esperienza

individuale»385

. Ecco che allora non è il concetto di formazione che ci consente di

pensare l’educazione, ma piuttosto è la determinazione di quest’ultima come organismo

della concretezza e della proceduralità in atto in qualsiasi ambito di esperienza e in ogni

fase della vita che ci permettere di avvicinarci all’idea di formazione da un punto di

vista pedagogico. L’educazione, dunque, come «dispositivo pratico-discorsivo di

soggettivazione e assoggettamento»386

.

Il paradosso della scuola resta, comunque, quello di istruire la propria

separatezza dalla vita sociale mirando all’interazione con essa, che ci dia la possibilità

di creare un contesto specializzato in cui riprodurre qualche cosa di naturale e di

importante. La scuola è uno spazio protetto di transazione e di transizione, di falsità e di

ipocrisia, di conciliazione e di avviamento, ma anche di contatto diretto con la realtà.

Nel ripensare la forma-scuola può essere utile richiamare quanto menzionato, a

383

R. Massa, Cambiare la scuola. Educare o istruire?, cit. p8. 384

Cfr. ivi, p.29. 385

Cfr. ivi, p.115 386 R. Massa, Cambiare la scuola. Educare o istruire?, cit. p.115.

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proposito della impossibilità e della necessità, da Luhmann, di utilizzare i codici

simbolici che costituiscono i media comunicativi della vita sociale: il codice dell’amore,

della verità, del denaro, e del potere. In realtà nessuno di questi può essere usato dentro

la scuola.

L’autore sostiene che «a scuola non sono praticabili la sessualità, l’esperienza

diretta delle conoscenze, il soddisfacimento dei bisogni, la forza fisica. A scuola non si

può amare, né far circolare denaro, pronunciare la verità o esercitare il potere »387

.

Per la riflessione pedagogica, oggi, si pone, quindi, la difficoltà di organizzare

un modello strutturale che sia in grado di far fronte alle nuove esigenze formative che

emergono dall’attuale complessità e poliedricità della società. Questo passaggio della

pedagogia alle scienze dell’educazione, prodotto con l’accettazione al modello

empiristico, ha modificato la pedagogia in un “sapere plurale”, articolato in più

discipline, dunque, pluridisciplinare e transdisciplinare ma, soprattutto, non

preorganizzato, che ha determinato sia variazioni metodologiche che

epistemologiche388

.

Il processo di formazione può essere inteso come una sorta di paradigma

integrato, interessato alle variabili che mutano i processi di sviluppo degli individui, sia

nella prospettiva cognitiva che affettiva e relazionale, nascente dalla connessione tra

scienze biologiche, filosofiche ed umane. Nel corso degli anni, la pedagogia si è

sviluppata, fino al punto da individuare come necessaria, l’analisi dell’interazione tra

«contenuti curricolari e processi cognitivi del soggetto», ossia tra le conoscenze

culturali e scientifiche che l’alunno deve acquisire; nonché l’individuazione di una

metodologia individuale e differenziata per ogni alunno. In questa prospettiva sono

state diverse le interpretazioni, a partire dai primi anni del ‘900 ad oggi, proprio

nell’ambito dei modelli pedagogici della scuola che si sono intersecati389

.

Ma quello che qui, voglio evidenziare, è che questa nuova concezione attribuita

alla pedagogia, che diventa scienza dell’educazione, mette in evidenza in nuovo

soggetto: famiglia. Ciò avvenne proprio, con i Programmi scolastici di Washburne.

387

Cfr. pp.121-123. 388

Cfr. L. Borghi, Prospettive dell’educazione elementare in Europa, La Nuova Italia, Firenze 1980,

pp.97-99. 389

Cfr. ibidem.

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Egli, formato ai princìpi della scuola attiva, pianificò nuovi Programmi, i primi in Italia

dopo l’esperienza fascista, per la scuola materna ed elementare390

. Differentemente dai

precedenti corsi di studio, questi Programmi, erano finalizzati alla scoperta delle

capacità, delle inclinazioni e degli interessi degli allievi, a che potessero essere

avvalorati i loro bisogni di salute affettiva, fisica e mentale391

.

Questi prevedevano l’insegnamento della lettura, della scrittura e del far di

conto, per tutti gli alunni senza distinzioni, il merito di aver eliminato le

differenziazioni tra scuole di campagna e di città, maschili e femminili, viene attribuito,

infatti, proprio a Washburne. Secondo l’autore, essendo impossibile individuare

progetti educativi che tenessero conto di tutte le esigenze, nel Winnetka, egli elaborò

vari tipi di progetti con differenti finalità formative392

. L’esperienza avviata da

Washburne fu tra i progetti più interessanti della progressive education. Le scuole

progressive erano già nate, nel 1815, grazie all’idea del colonnello Parker. Nei

Programmi troviamo impronte positive dell’intervento deweyano, in quanto, oltre al

collegamento tra scuola e ambiente, l’idea centrale è la partecipazione della famiglia,

venne istituito, infatti, il Consiglio insegnanti-genitori e il Consiglio di direzione, come

simboli del concetto di scuola come comunità democratica393

.

Le scuole progressive erano nate, proprio, grazie alla collaborazione delle

famiglie che, partecipando a questi Consigli, collaboravano con i docenti. Questo nuovo

modello di scuola, però provocò, la chiusura di molte scuole tradizionali militanti, così a

390

Cfr. ivi, pp.56-59. 391

Cfr. ivi, pp.156-157. 392

L. Borghi, Prospettive dell’educazione elementare in Europa, cit. p.125: «Il curricolo fu suddiviso in

due sezioni: i Progetti ad hoc e il Programma di sviluppo. I primi programmavano le attività finalizzate

all’apprendimento di conoscenze essenziali, il secondo, invece, attività di cooperazione per la

promozione di attitudini, che connettevano gli interessi personali alla cooperazione sociale, quali: le

attività di comune interesse, i clubs, i gruppi di hobbies e le attività creative di gruppo. Le attività dei

primi tre tipi, pur essendo svolte in gruppo, avevano l’obiettivo di coltivare le attitudini individuali di

ciascun alunno, mentre le attività creative erano più orientate a sviluppare la coscienza sociale. I gruppi

di interesse comune prevedevano arte, danza creativa, danza folcloristica, esperimenti di chimica, cucina,

elettricità, lavoro manuale, fotografia, teatro dei burattini. Nella proposta di Washburne i Progetti ad hoc

e il Programma di sviluppo si distinguono nel fatto che i primi, sono più dettagliati. Le attività previste

nei secondi sono soggette, invece, alla scelta degli alunni, ma comunque sempre nel rispetto dell’orario

scolastico, a queste possono aderire tutti gli alunni, in quanto son considerate parte integrante del

curricolo. I saperi primari sono matematica e lingua materna (parlata, scritta, lettura). Lo studio di queste

materie avveniva con un metodo individualizzato. Le attività di studi sociali e scienze naturali erano più

libere, si basavano, infatti, su visite ai musei e alle biblioteche, dibattiti in classe, visione di

documentari,[…]». 393

Cfr. ivi, pp.111-113.

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Chicago del sud, per ripristinare la situazione, queste scuole furono chiuse. Le famiglie,

in seguito ad una serie di rivoluzioni, si spostarono, però a nord di Chicago, e qui,

fondarono nuove scuole progressive, da cui partì la loro diffusione, che qualche anno

dopo, iniziò ad avviarsi anche in Italia394

. Questi propositi resteranno, tuttavia, inattuati

fino al 1974, anno in cui verranno emanati i Decreti Delegati, i documenti ufficiali, in

cui viene sancita l’obbligatorietà di una rappresentanza dei genitori, ed è così, che la

famiglia fece il suo ingresso nella scuola. La scuola da sola non può, infatti, ottemperare

all’educazione, deve necessariamente instaurare un solido rapporto con la famiglia395

.

Quando ci si occupa di emergenza educativa o comunque di problematiche

educative, bisogna riflettere su come anche altri approcci (l’antropologia, il diritto, ecc.)

possono diventare fondamentali soprattutto perché, se applicati alla scuola, diventano

discipline che acquisiscono dimensioni pedagogiche396

. Oggi c’è bisogno di questo, e

sono pienamente d’accordo con la Mulè quando sostiene che «al centro dell’attenzione

dovrebbe esserci lo studente, l’allievo, la persona»397

. Perché prima ancora di agire sul

piano educativo si dovrebbe investigare e andare ad individuare come “docente

investigator” sulle lacune, i bisogni, i talenti degli studenti e poi magari realizzare dei

percorsi formativi personalizzati, e allora inevitabilmente per individuare i bisogni, i

talenti, e anche per comprendere i processi di apprendimento, oltre che i processi

d’insegnamento del docente, bisogna riflettere su cosa succede nella mente, come

avviene questo processo di apprendimento.

Purtroppo tutto questo oggi nelle scuole manca, è un concetto che non si è

ancora diffuso nelle scuole. L’apertura intrapresa nel XX secolo è stata determinata da

una concentrazione, oggi, degli studi su una cultura magistrocentrica piuttosto che

puerocentrica, ne consegue che non dovremmo più lavorare come accadeva con Gentile

e Lombardo Radice398

.

L’odierna considerazione per l’infanzia e la scuola si fonda su una maggiore

consapevolezza dei diritti del bambino, che oggi sono riconosciuti anche dalla

394

Cfr. ibidem. 395

Cfr. ivi, p.19. 396

Cfr. ivi, pp.57-65. 397

Cfr. ivi, pp.34-35. 398

Cfr. ivi, p.39.

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Costituzione nel quadro dei diritti della persona e che vengono, più volte, ribaditi anche

negli atti degli Organismi Internazionali, e si legano alle trasformazioni sociali e

culturali sempre più frequenti, in atto nel nostro tempo399

. Ma il rapporto tra educazione

istruzione e formazione si avvia, non solo, nell’ambito delle scuole dell’obbligo, quanto

anche nell’ambito della scuola dell’infanzia, tanto più, che già, come abbiamo visto con

Montessori, da tempo non si parla di scuola materna, piuttosto di scuola dell’infanzia400

.

L’infanzia ha ormai, un ruolo privilegiato, i bambini devo raggiungere anche

nell’ambito della scuola dell’infanzia, obiettivi educativi401

e formativi402

. Se questi

obiettivi, nel corso dei tre anni di scuola dell’infanzia, non vengono raggiunti, non

saranno in grado di affrontare l’esperienza della scuola elementare. La legge 444/68403

399

Cfr. ivi, pp.78-79. 400

Cfr. ibidem. 401

Tra gli obiettivi educativi rientrano: il rispetto delle regole della classe, il rispetto dell’ambiente di sé e

degli altri, l’ascolto, l’intervento opportuno, il rispetto dell’insegnante e dei compagni. 402

Tra gli obiettivi formativi rientrano: comprendere la necessità di rispettare le regole e le norme sociali

fondamentali, conoscere sé stessi e rafforzare la propria identità, interagire in maniera costruttiva con

adulti e coetanei, vivere e sperimentare forme diverse di espressione e comunicazione anche in contesti di

gioco libero e guidato, interagire in maniera costruttiva con bambini di altre culture e nazionalità

rispettandone e valorizzandone le diversità, rafforzare atteggiamenti di sicurezza stima di sé e fiducia

nelle proprie capacità, confrontare, riflettere, ragionare, vivere relazioni significative ed esperienze

condivise con le famiglie e il territorio, prendere consapevolezza del proprio corpo, usare il corpo per

conoscere, comunicare, esprimersi, saper ascoltare comprendere messaggi; utilizzare la lingua come

strumento di comunicazione e come strumento di pensiero, assumere atteggiamenti di rispetto cura e

apprezzamento nei confronti dell’ambiente, iniziare a dare significato e ordine alle conoscenze acquisite:

esplorare, osservare, mettere in relazione, raccontare, rappresentare, progettare, discutere su esperienze

reali e fantastiche, collaborare e cooperare perseguendo un obiettivo comune, affrontare serenamente le

divergenze evitando che sfocino in conflittualità, orientamento nello spazio e nel tempo. 403

Legge 18 marzo 1968, n. 444. Ordinamento della scuola materna statale. (Art.1-2-3-22)

Art. 1 - Caratteri e finalità della scuola materna statale. La scuola materna statale, che accoglie i

bambini nell'età prescolastica da tre a sei anni, è disciplinata dalle norme delle presente legge. Detta

scuola si propone fini di educazione, di sviluppo della personalità infantile, di assistenza e di preparazione

alla frequenza della scuola dell’obbligo, integrando l’opera della famiglia. L’iscrizione è facoltativa; la

frequenza gratuita. Art. 2 - Orientamenti dell’attività educativa. Gli orientamenti dell’attività educativa

nelle scuole materne statali sono emanati, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del

Ministro per la Pubblica Istruzione, sentita la terza sezione del Consiglio Superiore della Pubblica

Istruzione, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge. È garantita ad ogni insegnante piena

libertà didattica nell’ambito degli orientamenti educativi previsti dal precedente comma. Art. 3 -

Programma annuale di sviluppo. Con decreto del Ministro per la Pubblica Istruzione, di concerto con il

Ministro per il Tesoro, è determinato, distintamente per ciascuna provincia, il piano annuale delle nuove

istituzioni di sezioni di scuole materne statali, su motivate proposte formulate dai Provveditori agli Studi,

sentiti i consigli scolastici provinciali e considerate le richieste dei Comuni. Le sezioni di scuole materne

statali sono istituite con decreto del Provveditore agli Studi. Ai fini della precedenza nell'istituzione delle

scuole, sarà tenuto conto delle sedi ove si accertino maggiori condizioni obiettive di bisogno, con

particolare riferimento alle zone depresse o di accelerata urbanizzazione. Per i bambini dai tre ai sei anni

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ha consentito, una maggiore consapevolezza delle funzioni della scuola materna, che

rappresenta il primo grado del sistema scolastico. Successivi provvedimenti legislativi

relativi all’organico degli insegnanti, all’orario delle lezioni, all’integrazione degli

alunni portatori di handicap e all’impostazione educativo-didattica, hanno rimarcato la

sua importanza sociale e pedagogica. A testimonianza di ciò si veda la costante

espansione dei tassi di frequenza ed iscrizione, dell’intensificazione di sperimentazioni

e progetti innovativi svolti dal personale della scuola, alla quale varie istituzioni ed

associazioni professionali, nonché Enti ed organizzazioni sindacali, hanno

continuamente destinato la loro attenzione e il loro sostegno. Una scuola, dunque, di

alta qualità, che cerca di diffondersi senza disuguaglianze, sul territorio nazionale.

Il problema è che purtroppo sono diffuse varie immagini dell’infanzia che, se da

un lato colgono alcuni aspetti della realtà, dall’altro c’è il rischio che semmai venissero

accettati unilateralmente distorcerebbero l’identificazione della vera condizione

infantile. Inoltre la rivelazione della centralità dell’infanzia è spesso contrastata dal

ricorrere di situazioni che ne rendono faticoso il pieno rispetto. L’affermazione della

dignità del bambino è ostacolata dal suo coinvolgimento incontrollato nelle logiche del

consumismo del benessere materiale a tutti i costi, di affermazione ed espansione

dell’Io404

.

Persistono, inoltre, disomogeneità che riguardano il livello sia economico, che

sociale e culturale. Inoltre emergono, in maniera esponenziale, nuove forme di povertà,

dovute soprattutto alla carenza di servizi e di spazi urbani in cui i bambini possano

affetti da disturbi dell’intelligenza o del comportamento o da menomazioni fisiche o sensoriali, lo Stato

istituisce sezioni speciali presso scuole materne statali e, per i casi più gravi, scuole materne speciali. Ad

ogni sezione non possono essere iscritti più di dodici bambini. Per il reperimento dei casi da ammettere

alle sezioni speciali e alle scuole materne speciali, e per l'assistenza sanitaria specifica, il servizio medico

scolastico si avvale di gruppi di esperti. Art. 22 - Trasformazione dei giardini d'infanzia e delle scuole

materne annesse alle scuole magistrali in scuole materne statali. I giardini d’infanzia, istituiti con regio

decreto 6 maggio 1923, n. 1054, sono trasformati in scuole materne statali, a norma della presente legge.

Sono parimenti trasformate in scuole materne statali, a norma della presente legge, le scuole materne

annesse alle scuole magistrali statali. Il personale insegnante di ruolo nei suddetti giardini d’infanzia e

nelle scuole materne annesse alle suddette scuole magistrali è iscritto nel ruolo delle insegnanti della

scuola materna statale, conservando la sede attuale. […] Le insegnanti non di ruolo incaricate nei giardini

d'infanzia di cui al primo comma, con otto anni di servizio continuativo, ovvero in possesso dei requisiti

di cui agli articoli 11 e 16 della legge 28 luglio 1961, n. 831, sono assunte nei ruoli delle insegnanti della

scuola materna statale, previo esame-colloquio, con coefficiente iniziale di carriera. 404

Cfr. ivi, pp.127-131.

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avere la possibilità di giocare ed essere creativi. La simultaneità di scenari così

intensamente differenziati ed ostacolanti obbliga la scuola a svolgere un ruolo di attiva

presenza, in collaborazione ed in armonia con la famiglia405

.

La personalità infantile deve essere al centro dell’attenzione dell’adulto, al

bambino devono essere garantite situazioni in cui può spontaneamente esplorare,

scoprire, instaurare nuove relazioni, , conseguire nuove conoscenze e competenze,

comunicare con persone nuove e quindi adattarsi anche a nuove situazioni, ma

soprattutto, deve potersi gestire autonomamente, in modo tale da assegnare un senso a

ciascun esperienza vissuta; tutto questo in un clima di affettività positiva e gioiosità

ludica406

. Il nuovo progetto di scuola dell’infanzia suggerisce di rendere la scuola un

importante luogo di animazione, apprendimento e socializzazione, in cui anche la

famiglia ha un ruolo importante.

La forma di vera e propria istituzione educativa, la scuola dell’infanzia, l’ha

assunta solamente in epoche relativamente recenti, precedentemente le era attribuita,

infatti, la mera funzione assistenziale. Era intesa come un sostegno per le famiglie (in

maniera diretta per le madri lavoratrici) e la custodia dei bambini in un ambiente che

dovesse essere quanto più possibile adatto alla loro crescita407

.

Al modello solitamente prevalente della scuola materna riconosciuta come luogo

di vita, vanno succedendosi, via via, delle nuove caratteristiche di scuola, ma viene

soprattutto focalizzata l’attenzione alla visione unitaria del bambino, dell’ambiente che

lo circonda e delle relazioni, cui segue la tendenza a realizzare nuovi progetti, nei quali

l’educazione è anche partecipazione delle famiglie e della comunità408

. C’è però da

considerare che l’educazione può essere raggiunta in maniera soddisfacente solo se vi è

una cooperazione costruttiva tra la famiglia, la scuola e le altre realtà formative, che

devono instaurare un rapporto di continuità e d’integrazione409

.

La famiglia in quanto rappresenta il luogo primario nel quale il bambino,

conosce, dispone e distinguere le esperienze quotidiane attribuendogli valore e

405

Cfr. ivi pp. 123-125. 406

Cfr. ivi, pp.134-136. 407

Cfr. ibidem. 408

Cfr. ivi, p.45. 409

Cfr. ivi, pp.105-107.

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significato, ottiene, in maniera graduale, le regole che gli serviranno, poi, per

l’interpretazione della realtà.

Ma anche la scuola, come la famiglia, è il luogo in cui il bambino ha la

possibilità di vivere situazioni ed esperienze in maniera non ancora formalizzata, ma

che per lui comunque rivestono grande importanza410

. Ecco perché la scuola

dell’infanzia ha un ruolo vitale nella processo di sviluppo del bambino, essa è come un

filtro, da un alto riceve ed interpreta la complessità dell’esperienza dei bambini,

tenendone poi conto nella sua progettualità educativa, dall’altro però arricchisce e

valorizza le esperienze extrascolastiche, al fine di sostenere la nascita e lo sviluppo delle

capacità critiche, nonché di autonomia del comportamento e di difesa dai

condizionamenti411

. Devono essere evitate le situazioni di ambiguità e prepotenza, ma è

importante che la scuola grazie alla cooperazione e alla partecipazione attiva, attraverso

colloqui individuali, assemblee, riunioni, consigli di circolo e gruppi di lavoro, crei un

clima di dialogo, di confronto e di aiuto reciproco, coinvolgendo i genitori nella

progettazione educativa412

. La famiglia deve, quindi, responsabilmente collaborare, ecco

che allora si parla di collaborazione, partecipazione.

Oggi non esiste più la distinzione tra educazione ed istruzione, nel corso degli

anni è stato avviato un processo che ha portato all’individuazione di un nuovo concetto:

formazione. Sembrerebbe quasi, che il quadro costituzionale, non abbia, però, inciso

adeguatamente in questo processo e che la convinzione della inscindibilità del binomio

istruzione-educazione, sia scorsa indenne attraverso la Costituzione, per poi riprodursi

nell’ambito della cultura, attraverso i primi trent’anni di esperienza di scuola

costituzionale. All’interno dell’attuale concetto di formazione, nella Bildung rientra sia

il processo d’istruzione che di educazione. Ecco che allora si parla di corresponsabilità.

Il Patto di corresponsabilità si redige nella scuola elementare, media e nella scuola

secondaria, purtroppo non, nella scuola dell’infanzia, non essendo un grado di scuola

obbligatorio, ma ciò è gravissimo, in quanto i processi educativi ed istruttivi non si

avviano nella scuola elementare, bensì nella scuola dell’infanzia. Ecco perché

410

Cfr. C. Montedoro, La personalizzazione dei percorsi di apprendimento e di insegnamento, Franco

Angeli, Milano 2001, pp.34-39. 411

Cfr. ivi , p.133. 412

Cfr. ivi, pp.15-29.

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cerchiamo di rimarcare continuamente l’importanza della collaborazione tra scuola e

famiglia.

Il Patto di Corresponsabilità Educativa, pur se iniziato grazie all’opera del

Ministro Gelmini, in realtà, era già stato avviato dal Ministro Moratti, nel 2003. Esso, è

il primo strumento elaborato dalla scuola dove si ravvisa anche il suo compito

educativo, oltre che istruttivo-formativo. L’art. 30 della nostra Costituzione afferma: « È

dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli»413

, l’art. 34 recita:

«La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è

obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di

raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con

borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite

per concorso»414

, mentre l’art. 15 infine affermando la libertà di pensiero, apre ad un

ordine di problemi molto diversi. Tuttavia non è possibile sovrapporre educazione e

istruzione. Perché se la Costituzione afferma che c’è un diritto-dovere all’istruzione, e

un diritto-dovere all’educazione, vuol dire che c’è una consapevolezza della diversità di

queste due cose. Poi c’è tutta una declinazione attorno a questo, che segue vicende di

particolare importanza. Ad esempio c’è una disposizione del codice civile che dice che i

genitori sono responsabili per i danni provocati dai minori che abbiano commesso fatti

illeciti o comunque lesivi di diritti altrui, a meno che non dimostrino di aver fatto tutto

ciò che era in loro potere per prevenire questi danni. Ma tutto ciò che è in potere dei

genitori per prevenire il danno, è l’educazione non è l’istruzione, o meglio l’istruzione

fa parte di tutto ciò che è necessario per prevenire il danno nell’ambito di un processo

educativo. A regolamentare il ruolo dell’autonomia della scuola è il D.P.R. 21

novembre 2007, n. 235 Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del

Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, concernente lo statuto delle

413

Carta Costituzionale, art. 30: « È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli,

anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano

assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale,

compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la

ricerca della paternità». 414

Carta Costituzionale art.34: «La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto

anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i

gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle

famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso».

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studentesse e degli studenti della scuola secondaria415

, introduce una disposizione, il

nuovo art. 5 bis del D.P.R. 249, intitolato Patto educativo di corresponsabilità e

giornata della scuola416

che stabilisce «Contestualmente all’iscrizione alla singola

istituzione scolastica, è richiesta la sottoscrizione da parte dei genitori e degli studenti

di un Patto educativo di corresponsabilità, finalizzato a definire in maniera dettagliata

e condivisa diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e

famiglie»417

. La funzione specifica del Patto, in questa prospettiva, dovrebbe essere

quella di un negozio volto a definire ambiti di collaborazione nell’esercizio di funzioni

(quella genitoriale e quella pedagogica) caratterizzate da prossimità di ambiti e da

potenziali sovrapposizioni di competenze418

.

L’ampliamento della compito dall’attività di formazione come “collaborazione”

al processo educativo, individua formalmente degli ambiti di competenza esclusiva o

della famiglia o della scuola, e di ambiti di competenza condivisa, delimitando così i

campi di responsabilità. Si deve ritenere tuttavia, che non è un processo semplice, in

quanto esistono serie difficoltà nel tracciare questi limiti e nell’individuazione delle

rispettive competenze e degli ambiti di possibile collaborazione, nell’esercizio

comunque di una funzione che tende sempre più a rivolgersi allo sviluppo della

personalità e dei processi di socializzazione419

. La determinazione dell’oggetto, in ogni

Patto, deve tenere conto delle “risorse” e delle “competenze” utilizzabili presso ciascuna

istituzione scolastica autonoma e non può fare un riferimento generico alla

“collaborazione educativa”, pena l’invalidità dello stesso patto.

Oggetto del patto, sicuramente, non è l’esercizio della funzione formativa o

d’istruzione, quanto piuttosto la funzione educativa, per la parte che l’istituzione

scolastica autonoma ritiene di poter assumere, tenendo sempre conto del fatto che ad

ogni modo, tale funzione non può essere esclusa e non può neppure sostituirsi a quella

educativa che spetta invece ai genitori. I contenuti di questo Patto non possono essere

415

Cfr. G. Vecchio, Autonomia privata, ordinamento scolastico, sussidiarietà e diritti di cittadinanza : il

patto educativo di corresponsabilità, in S. Aleo, G. Barone, Quaderni del Dipartimento di Studi politici,

n.4, Giuffrè Editore, Milano, 2009 cit. p. 6. 416

Cfr. ibidem. 417

Cfr. ibidem. 418

G. Vecchio, Autonomia privata, ordinamento scolastico, sussidiarietà e diritti di cittadinanza : il patto

educativo di corresponsabilità, cit. pp. 34-35. 419

Cfr. ivi, pp.176-182.

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definiti secondo misure astratte, ma devono essere adattati alle circostanze e in maniera

responsabile alla varietà dell’utenza420

. Le finalità perseguite dalla scuola dell’infanzia

si fondano sul fatto che il bambino è un soggetto attivo, che per questo deve essere

impegnato in un processo che gli consenta una continua interazione con i pari, gli adulti,

l’ambiente e la cultura. In questo quadro, la scuola materna deve permettere ai bambini

ed alle bambine di raggiungere traguardi di sviluppo in ordine alla identità, alla

autonomia ed alla competenza. I tre punti fondamentali sono i seguenti:

Maturazione dell’identità: ciò che la scuola dell’infanzia vuole ottenere è il

rafforzamento dell’identità personale del bambino sia dal punto di vista

corporeo, che intellettuale e psicodinamico. Ma ciò implica sia l’avvio ad una

vita relazionale aperta, sia il progressivo perfezionamento delle possibilità

cognitive. Tale prospettiva formati fa sorgere nel bambino atteggiamenti di

fiducia nelle proprie capacità, di curiosità, , di stima di sé; ma anche la richiesta

di abitudini di vita equilibrate e positive, nonché il controllo dei propri stati

affettivi, dei propri sentimenti e delle proprie emozioni421

. Analogamente, la

scuola dell’infanzia ha i tratti tipici di un luogo idoneo ad orientare i bambini a

distinguere ed orientare l’identità personale evidenziando le differenze fra i

sessi, ma al contempo cogliendo la propria identità culturale ed i valori specifici

della propria comunità, non in forma esclusiva ed etnocentrica, ma in vista della

comprensione di comunità e culture diverse dalla propria422

.

Conquista dell’autonomia: intesa come conquista del sé, richiede che il

bambino si sappia orientare e sia in grado di compiere scelte autonome, sia in

contesti relazionali che diversi. Ciò significa che il bambino deve rendersi

disponibile all’interazione positiva con il diverso da sé e con il nuovo, scoprendo

e facendo propri i valori condivisibili, quali: la libertà, la giustizia, il rispetto di

sé ma anche degli altri e dell’ambiente, l’impegno, la solidarietà, e l’agire per il

bene comune. In questa fase è importante dunque che il bambino sviluppi la

420

Cfr. ivi, pp. 39-48. 421

Cfr. ibidem. 422

Cfr. R. C. Agazzi, Guida per le educatrici dell’infanzia, La Scuola, Brescia, 1961, pp. 56-60.

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libertà di pensiero, che gli consentirà poi, di capire il senso delle sue azioni nello

spazio e nel tempo423

.

Sviluppo della competenza: inteso come consolidamento nel bambino delle

varie abilità: motorie, percettive, sensoriali, linguistiche e intellettive. Inoltre

mediante l’utilizzo di vari strumenti linguistici e di capacità rappresentative, il

bambino viene stimolato alla formazione ed spiegazione di messaggi, testi e

situazioni. La scuola dell’infanzia valorizza dunque, l’intelligenza creativa,

l’immaginazione e l’intuizione, sia per lo aumento del senso estetico che del

pensiero scientifico424

.

Pertanto, l’identità culturale del bambino a cui la scuola dell’infanzia deve

tendere come dato indispensabile dei suoi progetti, tiene conto di una molteplicità di

influenze. Le modalità dello sviluppo personale, inoltre, potrebbero presentare delle

dinamiche evolutive che non coincidono con i passaggi formali delle diverse istituzioni

educative. Ciò presuppone che la scuola possegga, dunque, la capacità di tener conto

delle esperienze che il bambino percorre nella sua vita, conciliandole culturalmente e

collocandole in una prospettiva di sviluppo educativo425

. Esperienze preziose, ci sono

fornite dall’accoglienza che viene data già prima della frequenza ai piccoli, è importante

che l’insegnante e la scuola nell’insieme abbiano la capacità di accogliere tutti i bambini

con criteri personalizzati, facendosi carico delle emozioni, loro e della loro famiglia, in

quel momento delicato quale può essere il primo distacco; ma anche dell’ambiente in

cui il bambino viene inserito, in cui deve poter costruire nuove relazioni con i compagni

e con altri adulti426

.

Occorre, pertanto, immaginare un sistema di rapporti interagenti tra la scuola

materna e le altre istituzioni ad essa vicine, cosicché il contesto educativo e di

apprendimento possa essere collegato con le esperienze e le conoscenze del bambino. È

423

Cfr. ibidem. 424

Cfr. ivi, p.61. 425

Cfr. ibidem. 426

Cfr. ibidem.

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quindi doveroso prestare attenzione alla compattezza degli stili educativi e dar luogo, in

base a specifici criteri operativi, a raccordi che permettano alla scuola di servirsi, sulla

base di un preciso progetto pedagogico, delle risorse, culturali, didattiche e umane,

presenti nella famiglia e nel territorio, nonché di quelle messe a disposizione dagli enti

locali, dalle associazioni e dalla comunità427

.

Appare poi utile, da un punto di vista pedagogico, fissare modalità di

organizzazione e di attuazione delle attività didattiche, realizzare scambi di dati e di

esperienze fra i livelli immediatamente prossimi di scuola. L’esito positivo di questa

metodologia può essere raggiunto attraverso: programmazioni educative e didattiche, il

confronto e la verifica istituzionalmente organizzati fra i vari mediatori professionali e

fra questi e i genitori, nonché l’organizzazione dei servizi ed il rapporto organico fra le

scuole e le istituzioni del territorio428

. Una particolare considerazione postula la

continuità con la scuola elementare, diretta alla comunicazione di informazioni utili sui

bambini e sui percorsi didattici compiuti, alla relazione fra i propri sistemi metodologici

e didattici ed all’eventuale programmazione di attività comuni429

. Uno strumento

importante per la realizzazione di tali prospettive è la programmazione coordinata di

obiettivi, itinerari e strumenti di osservazione e verifica, seguita da momenti di

condivisione e di formazione per gli insegnanti dei due gradi di scuola430

. Tutto questo

viene espresso anche nella riforma del TITOLO V della Costituzione.

427

Cfr. ivi, pp.78-83. 428

Cfr. ivi, pp.39-45. 429

Cfr. ivi pp.56-58. 430

Cfr. ibidem.

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2.2. L’evoluzione dei programmi scolastici

Nella Costituzione della Repubblica Italiana viene stabilito che l’istruzione è

pubblica, gratuita e obbligatoria, per almeno 8 anni. Viene sancita la libertà delle scuole

di istituire “senza oneri per lo stato”431

un’espressione simbolica, questa, che avrà una

spiegazione problematica nei decenni successivi. Eppure, rimaneva l’apparato del

sistema scolastico precedente, che prevedeva una durata di cinque anni per la scuola

elementare, a cui, dovevano seguire tre anni che prevedevano la divisione in “scuola

media” (che consentiva il proseguo degli studi) e la “scuola di avviamento

professionale” (che data la mancanza del latino, non avrebbe permesso la prosecuzione

degli studi).

Il 6 agosto 1948 il presidente del Consiglio De Gasperi e il ministro Gonella

fondarono il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, al quale vennero attribuite

competenze in merito, sia alla scuola primaria, che a quella universitaria432

.

Dal 1946 al 1951, il ministro Gonella sostenne con forza uno studio che, finì poi,

per diventare un progetto di riforma destinato però al fallimento; anche a causa dei

contrasti inerenti la scuola di perfezionamento dell’obbligo. In seguito il governo avviò

la “scuola post-elementare”, che nonostante tutto, conservava il sistema duale, in quanto

un solo canale non avrebbe permesso ulteriori sbocchi.

Intorno alla seconda metà degli anni cinquanta del Novecento maturò, invece, la

consapevolezza che il processo di sviluppo economico recentemente avviatosi,

richiedeva una maggiore quantità di forza lavoro qualificata, così le proposte di legge

del 1959 si diressero in questa direzione. Donini e Luporini, anticipatori dell’istituzione

di una scuola media unica e obbligatoria dai sei fino ai quattordici anni, orientarono la

riforma della scuola media, che venne, poi, ratificata con la legge n.1859 del 1962.

Questa, infatti, prevedeva oltre che l’abolizione della scuola di avviamento al lavoro,

anche la creazione di una scuola media “uniformata” che consentisse l’accesso a tutte le

scuole superiori. Nello stesso periodo, aumentavano le classi miste, che comprendevano

sia ragazzi che ragazze, ciò determinò la sostituzione progressiva delle vecchie classi,

431

Cfr. Costituzione, articoli 33-34. 432

M. Civra, I programmi della scuola elementare dall’unità d’Italia al 2000, cit. p.4-5.

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che erano state da sempre composte, esclusivamente, da elementi del medesimo

sesso433

.

Permaneva, comunque, un’ambiguità sulla questione dello studio della lingua

latina, che diventava materia facoltativa, nel terzo ed ultimo anno, ma necessaria per

l’accesso al liceo. Per quanto riguarda, invece, l’iscrizione agli istituti tecnici e

professionali non era richiesto lo studio di nessuna materia. Questa ambiguità verrà

superata solo a distanza di quindici anni, quando l’obbligatorietà dello studio di tale

lingua per l’accesso al liceo fu abolito.

Nel 1968 venne istituita la scuola materna statale e nel 1969 vengono emanati

gli Orientamenti per la scuola materna434

, grazie anche ai movimenti studenteschi,

vennero approvate delle norme che liberalizzavano l’accesso agli studi universitari,

visto che come accennato, fino ad allora, si poteva accedere a tutte le facoltà, solo con

il diploma del liceo classico. In seguito, cambiò anche l’esame di maturità, che ora era

composto da due prove scritte: una di italiano, che era per tutti gli indirizzi, ed una

specifica a seconda del tipo di istituto. La prova orale concerneva, invece, due materie

scelte, di cui una a piacere dello studente e l’altra selezionata dai docenti fra quattro

indicate anticipatamente dal ministero della pubblica istruzione, e comunque, il gruppo

delle materie era diverso a seconda del tipo di istituto scolastico435

.

La Commissione d’esami era composta da docenti esterni all’istituto, eccezione

fatta per uno che doveva provenire dal gruppo degli insegnanti della classe. La struttura

di questo esame doveva essere provvisoria, tuttavia rimarrà stabile per più di vent’anni.

Il problema della scuola dualista viene superato intorno agli anni ‘70, nonostante

ciò, si registravano alti tassi di evasione scolastica, a cui si aggiungeva il cosiddetto

“fenomeno della selezione esplicita”, attraverso le “bocciature”, che si estendeva in

maniera drammatica436

. La gravità del nuovo metodo di “selezione classista” adoperato

dall’antica mentalità elitaria dei docenti, venne evidenziata da Don Lorenzo Milani in

Lettera ad una professoressa437

. Il vero tentativo di riforma della scuola secondaria

433

Cfr. ivi, pp.11-13. 434

Cfr. G. Cerini, Cinque punti forti degli Orientamenti ’91, in G. Zumino, I nuovi Orientamenti oltre il

Duemila, Valore Scuola, Roma 1999, pp.45-46. 435

Cfr. ivi, p.45. 436

Cfr. ivi, p.67. 437

Cfr. Scuola di Barbiana, Lettera ad una professoressa , LEF, Firenze 1967, p.23.

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superiore, si interruppe, agli inizi degli anni Settanta, ma la novità importante è

rappresentata dai “decreti delegati”, che, approvati nel 1974, introdussero nella realtà

scolastica una rappresentanza non solo dei genitori e del personale ATA, ma anche degli

studenti, anche se solo nella scuola superiore438

.

Il cambiamento maggiore, però, investe la scuola elementare, a partire dalla

legge 820/71, momento in cui, nasce la scuola a tempo pieno come risposta ai bisogni

sociali dell’utenza439

. Alla legge 517/77 va, invece, il merito di aver introdotto il

principio dell’integrazione mediante l’assegnazione di insegnanti di sostegno alle classi

che accolgono alunni portatori di handicap. Si apre così, la possibilità di attivare

interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni e si stabiliscono

nuove norme sulla valutazione e vengono aboliti gli esami di riparazione per la scuola

media440

.

Nel 1979 vengono riformati i Programmi della scuola media, che porteranno

alla scomparsa del latino come disciplina autonoma, anche se in seguito non mancano

periodi di peggioramento dei livelli di bocciature selettive. In questi anni, il problema è

soprattutto la cosiddetta “dispersione scolastica”, ovvero, il fallito compimento di livelli

adeguati di apprendimento, sebbene vi fossero poche bocciature. Più volte nel corso

degli anni Ottanta si delinea l’elevamento dell’obbligo scolastico, senza mai però

arrivare ad una riforma Non mancavano tuttavia, diverse novità didattiche, come ad

esempio, i Programmi Brocca, che seppur indirizzati ai Licei vennero attuati, in parte,

anche negli Istituti Tecnici441

.

Manifeste furono, invece, le trasformazioni prodotte dalla scuola elementare con

i Programmi Falcucci del 1985442

. Infatti, mentre i programmi tradizionali prevedevano

un elenco di contenuti da studiare, questi programmi, erano più che altro, un curricolo,

438

Cfr. Decreto Presidente Repubblica 31 maggio 1974, n. 416 (in SO alla GU 13 settembre 1974, n. 239),

articoli 1-2-3-4-5 e 42-43-44. 439

Cfr. Legge 24 settembre 1971, n. 820 (in GU 14 ottobre 1971, n. 261). Norme sull’ordinamento della

scuola elementare e sulla immissione in ruolo degli insegnanti della scuola elementare e della scuola

materna statale, Articolo 1. 440

Legge 4 agosto 1977, n. 517 (in GU 18 agosto 1977, n. 224). Norme sulla valutazione degli alunni e

sull’abolizione degli esami di riparazione nonché altre norme di modifica dell'ordinamento scolastico,

articoli 1-2-3-4-5 e 6. 441

Cfr. ivi, pp.67-68. 442

Cfr. ivi, p.19.

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ossia un elenco di obbiettivi di carattere educativo e formativo443

. Furono, infatti, visti

come l’elemento riparatore del fallimento della pedagogia moderna, in quanto, volti a

unire i contenuti dell’insegnamento e gli obbiettivi formativi.

Poi c’è da considerare anche la legge del 1990, che portò all’introduzione della pluralità

dei docenti per la medesima classe444

.

Questi programmi delle scuole elementari del 1985 e gli indirizzi delle scuole materne

dati dagli Orientamenti del 1991, contraddistinguono un periodo contrassegnato da

riforme, prima fra tutte, l’abolizione degli esami di riparazione, che era già stata

realizzata all’epoca del primo governo Berlusconi, su iniziativa del Ministro Francesco

D’Onofrio nel 1995445

.

Tale riforma, aveva indicato importanti obbiettivi, tra i quali:

l’innalzamento dell’obbligo scolastico;

la riforma dell’esame di maturità;

l’autonomia scolastica;

il riordino dei cicli446

.

Il rapporto tra scuola e famiglia, non tematizzato dalla proposta Berlinguer, deve

costituire un punto di attenzione. Sono le famiglie ad avere a che fare con un processo

generativo proiettato nel tempo. Sono necessarie, oltre alla riforma degli organi

collegiali, pratiche ricorrenti di dialogo, di confronto e di elaborazione dei conflitti. Non

si tratta soltanto di coinvolgere le famiglie in determinate iniziative, piuttosto di

considerare il rapporto con esse come aspetto essenziale della funzione docente447

.

Anche per questo è necessario che ogni docente possa disporre di un proprio

luogo professionale. La proposta del ministro Berlinguer sul riordino dei cicli scolastici

si è imposta nel dibattito sulla scuola per la sua capacità di sollecitare la riflessione e il

confronto a partire da una visione organica e coerente. Lo schema di riordino è noto:

443

Cfr. ivi, pp.69-73. 444

Cfr. ibidem. 445

Cfr. ivi, pp.34-44. 446

Cfr. ibidem. 447

Cfr. ivi, p.134.

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rendere obbligatorio l’ultimo anno della scuola materna come periodo preparatorio al

ciclo primario, portare quest’ultimo da cinque a sei anni, sostituire la scuola media e il

biennio delle superiori con una scuola triennale di orientamento. Ma ciò che rileva è che

la formazione non deve più avere come nucleo fondamentale la trasmissione di

conoscenze statiche e astratte, rese arretrate dallo sviluppo tecnologico, ma associare al

momento cognitivo quello applicativo stimolando l’intelligenza critica e le capacità

d’indagine448

.

La prospettiva fondamentale è quella di superare la contrapposizione tra cultura

e professione. Il sistema scolastico deve prevedere la sua scansione piramidale per

assumere una struttura modulare. Ad una concezione fondata sugli ordini e i gradi

d’istruzione è sostituita una impostazione per obiettivi, che devono essere, comunque,

costantemente verificati; rispetto ai quali comporre l’organizzazione didattica. I

Programmi Ministeriali non devono definire contenuti appiattiti ma piuttosto livelli

differenziati di raggiungimento degli obiettivi449

.

La proposta Berlinguer può essere intesa, dunque, come un atto di provocazione

politica e culturale. La sua tangibilità risulta nell’attestazione della necessità di

comprensione e cambiamento. Per perseguire un simile intento, bisogna, come sostiene

Massa, umanizzare la scuola. La scuola deve educare, cioè aprire al mondo. Non

soddisfare bisogni ma rendere capaci di autonomia e di desiderio. Non infantilizzare, ma

aiutare a crescere450

.

Una scuola in cui non s’insegna, non si valuta e non si mettono in conto i meriti

individuali, in cui non si tiene la disciplina e si pretende che tutti siano uguali451

.

Berlinguer delineò, così, i princìpi ispiratori della sua azione, fra questi, in primis,

la esigenza di oltrepassare la distinzione, propria del sistema di formazione italiano, tra

sapere e professionalità e, quindi, fra formazione culturale e formazione professionale.

Egli puntò molto sul concetto della nuova professionalità452

, intesa come capacità di

controllo e direzione dei processi in cui ciascuno è inserito453

. Inoltre fu un pensiero

448

Cfr. ivi, p.146-147. 449

Cfr. ibidem. 450

Cfr. ivi, pp. 168-169. 451

Cfr. ivi, pp.175-177. 452

Cfr. ibidem. 453

Cfr. ivi, p.78.

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prodotto della cultura sindacale degli anni Settanta. Inoltre, il percorso scolastico non

seguiva più la logica degli ordini e gradi di istruzione, ma quella degli obiettivi posti

alla base dell’apprendimento, che permettevano una reale continuità dei cicli

d’istruzione.

I modelli possibili venivano così ridotti a due: o due cicli di istruzione che

comprendevano, un ciclo di base, fino ai 13 o 14 anni, ed un ciclo secondario fino a 18

anni; o un ciclo unico, graduale dai 6 ai 16 o 17 anni. L’idea era di rivoluzionare il

percorso scolastico che, precedentemente, era suddiviso in tre cicli, che essendo

fortemente separati fra loro risultavano troppo selettivi454

. Così, il 3 giugno 1997 il

governo presentò la Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell’Istruzione, che

stravolse il sistema scolastico italiano, prevedendo due cicli scolastici455

: il ciclo

primario, durava tre anni, era suddiviso in tre bienni, e mirava alla “formazione

dell’uomo e del cittadino nel rispetto e nella valorizzazione delle diversità individuali,

sociali e culturali” 456

.

Esso sostanzialmente, incoraggiando la scoperta dei linguaggi e dei saperi,

indispensabili, per il progresso sia delle capacità critiche che di un atteggiamento

effettivo nei confronti dell’apprendimento, contribuiva alla formazione della personalità

degli alunni. In maniera più specifica, i primi due bienni erano dedicati allo sviluppo

delle conoscenze, delle abilità di base e della dimensione relazionale. Il terzo biennio,

invece, era una sorta di consolidamento e approfondimento delle conoscenze acquisite

precedentemente, a cui si aggiungevano, poi, tecniche per l’acquisizione di capacità di

studio autonome, oltre che di riflessione e di selezione, tenendo sempre conto dell’età

degli alunni. Tutto, avveniva gradualmente attraverso il passaggio dalle grandi aree

tematiche alle discipline457

.

454

Cfr. ivi, p.123. 455

Progetto di legge (Verdi-Ulivo) Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell’Istruzione, articoli

1-2-3-4 e5. 456

Cfr. ivi, pp.23-24. 457

Cfr. ivi, Art. 6 (ciclo primario) l. Il ciclo primario è suddiviso in tre bienni. 2. Il ciclo primario,

attraverso il coerente sviluppo del proprio percorso, che si raccorda, da un lato, alla scuola dell'infanzia e

dall'altro al ciclo secondario, concorre alla formazione dell'uomo e del cittadino nel rispetto e nella

valorizzazione delle diversità individuali, sociali e culturali. Esso favorisce la formazione della

personalità degli alunni promuovendone l’alfabetizzazione per l’acquisizione dei linguaggi e dei saperi

indispensabili, per lo sviluppo delle capacità critiche e di un atteggiamento positivo nei confronti

dell'apprendimento, per il riconoscimento e la condivisione dei valori fondanti la convivenza civile e

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112

Anche il ciclo secondario durava sei anni ed era suddiviso per grandi aree:

artistica, musicale, tecnica, scientifica, umanistica, e tecnologica.

Qui, però, si tendeva al rafforzamento e alla ricostruzione delle capacità e delle

competenze acquisite nel ciclo primario, in maniera tale da arricchire la formazione

civile, culturale ed umana degli studenti; grazie a ciò avrebbero potuto assumersi, in

seguito, delle responsabilità. Ma, allo stesso tempo, in questo modo gli venivano offerte

le conoscenze e le capacità adattate all’istruzione superiore universitaria (e non

semplicemente universitaria, che riguardava, invece, l’inserimento lavorativo).

Nel corso del primo anno venivano studiati prevalentemente gli insegnamenti

fondamentali, durante il secondo ed il terzo anno venivano approfonditi gli

insegnamenti comuni per indirizzarsi poi, all’area degli insegnamenti disciplinari

caratteristici dell’indirizzo prescelto; ed infine nel triennio finale ci si dedicava agli

insegnamenti specifici a ciascun indirizzo458

.

democratica. 3. Obiettivo dei primi due bienni è lo sviluppo delle conoscenze e delle abilità di base e

della dimensione relazionale. 4. Obiettivo del terzo biennio è il consolidamento, l’approfondimento e lo

sviluppo delle conoscenze acquisite e la crescita di autonome capacità di studio, di elaborazione e di

scelta coerenti con l’età degli alunni, mediante il graduale passaggio dalle grandi aree tematiche alle

discipline. 5. Nel corso dell’intero ciclo primario e al termine di ciascun biennio, al fine di promuovere

efficaci azioni di compensazione e potenziamento, sono introdotti momenti di valutazione; la valutazione

finale assume il valore di esame di Stato. 458

Art. 7 (ciclo secondario) 1. Il ciclo secondario, che ha la durata di sei anni, si articola nelle grandi aree

umanistica, scientifica, tecnica, tecnologica, artistica e musicale ed ha la funzione di consolidare e

riorganizzare le capacità e le competenze acquisite nel ciclo primario, di arricchire la formazione

culturale, umana e civile degli studenti, sostenendoli nella progressiva assunzione di responsabilità, e di

offrire loro conoscenze e capacità adeguate all’accesso all’istruzione superiore universitaria e non

universitaria ovvero all'inserimento lavorativo. Ciascuna area è ripartita in indirizzi. 2. Il ciclo secondario

costituisce un unico e coerente percorso. 3. L’anno iniziale, comune per tutte le grandi aree di cui al

comma 1, si caratterizza per la prevalenza degli insegnamenti fondamentali e per la varietà di proposte

selettive e coordinate di approfondimento di temi specifici, attraverso le quali ciascuno possa cominciare

ad elaborare scelte che corrispondano ad una piena valorizzazione personale fondata sulla pari dignità

delle possibili opzioni culturali e di vita. 4. Il secondo e il terzo anno, che si articolano in autonomi

moduli, si caratterizzano per l’approfondimento degli insegnamenti comuni e per la progressiva

estensione dell'area degli insegnamenti disciplinari specifici dell'indirizzo prescelto, al fine di consentire

l’acquisizione di capacità progettuali personali, il rafforzamento della motivazione allo studio ed alla

formazione e la verifica delle scelte e delle vocazioni culturali. Essi costituiscono momento conclusivo,

dell’obbligo scolastico e garantiscono agli studenti conoscenze, abilità, e orientamento adeguato per le

successive scelte scolastiche e di vita. Si conclude con un esame, valido ai fini della prosecuzione degli

studi nell’indirizzo prescelto. 5. Nel triennio finale l’offerta formativa è caratterizzata dalla prosecuzione,

dall’ampliamento e dall’approfondimento, anche per temi specifici, degli insegnamenti, con particolare

riguardo a quelli di indirizzo e all'area progettuale, al fine di assicurare agli studi la necessaria terminalità

culturale e professionale. Nel corso dell’ultimo anno gli istituti secondari, anche di intesa con le

università, con altre agenzie formative, col mondo della ricerca e delle professioni, attivano percorsi di

approfondimento mirati a fornire agli studenti gli elementi conoscitivi necessari per l’elaborazione delle

ulteriori scelte. 6. Al termine del ciclo secondario gli studenti sostengono un esame di Stato, che assume

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113

Nel frattempo Forza Italia ed Alleanza Nazionale avanzarono le loro proposte di riforma

della scuola. Forza Italia suggerì una rimodulazione della scansione, dopo la scuola

d’infanzia, in tre livelli scolastici, così suddivisi: il primo grado, dai 6 ai 10 anni, il

secondo, dai 10 ai 14 ed il terzo, dai 14 ai 18. Per di più, consigliava l’eliminazione del

valore legale del titolo di studio, la parità scolastica, la riforma della professione

dell’insegnante, la formazione professionale a partire dai 12 anni, nonché l’elevazione

dell’obbligo scolastico sino ai 16 anni. Alleanza Nazionale, invece, prevedeva una

suddivisione in: Scuola Materna, Scuola di Base e Scuola Secondaria (che

sostanzialmente era il biennio che preparava gli studenti agli studi del triennio); il Liceo

unico che comprendeva solo cinque indirizzi e l’Istituto Tecnico con molti indirizzi; ma

anche una maggiore autonomia per la scuola, la riforma dell’esame di maturità, la

creazione dell’Ordine Nazionale dei Docenti (così come vi era quello dei medici, degli

avvocati, ecc.), e anche qui, si auspicava, la parità scolastica459

.

Con la Legge 10 dicembre 1997, n. 425 viene, altresì riformato, l’esame di

maturità, che comprendeva tre prove scritte e un colloquio, la prima sulla lingua

italiana, la seconda, una delle materie inerenti l’indirizzo di studio e la terza,

multidisciplinare, che sarebbe stata svolta con dei quiz a risposta multipla. Il colloquio

si impostava, invece, su argomenti multidisciplinari. Cambiava anche il punteggio di

valutazione, che infatti, passava dai sessantesimi ai centesimi e venne introdotto il

credito formativo. I commissari dovevano essere interni alla scuola, ma il Presidente

la denominazione dell’area e dell’indirizzo. Art. 8 (disposizioni relative al ciclo secondario) 1.II ciclo

secondario si realizza negli attuali istituti di istruzione secondaria di secondo grado che assumono la

denominazione di “istituti secondari”. 2. Nel secondo e nel terzo anno è garantita la possibilità di passare

da un modulo all'altro anche di indirizzo diverso mediante l’attivazione di apposite iniziative didattiche

deliberate dal consiglio di classe e finalizzate all’acquisizione di una preparazione adeguata al nuovo

indirizzo. Analoghe iniziative sono attivate in favore degli studenti che, dopo la licenza dell’obbligo,

passino ad aree ed indirizzi non coerenti con le scelti iniziali. 3. La frequenza dei primi tre anni del ciclo

secondario, sulla base di intese tra gli istituti e gli enti locali, può svolgersi, in relazione alla

conformazione del territorio, in sedi decentrate facilmente raggiungibili dagli studenti. 4. Una parte dei

moduli del terzo anno, fermo restando lo svolgimento negli istituti secondari delle materie fondamentali

comuni, può essere realizzata, sulla base di specifica programmazione degli istituti, mediante attività o

iniziative formative da realizzare anche presso altri istituti, enti o agenzie sulla base di una disciplina da

definirsi mediante un accordo quadro tra il Ministero della pubblica istruzione, il Ministro del lavoro, la

Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.

5. Negli ultimi anni, ferme restando le materie fondamentali e le materie di indirizzo, esercitazioni

pratiche, esperienze lavorative formative e stage possono essere realizzati anche con brevi periodi di

inserimento nelle realtà culturali, produttive, professionali e dei servizi. 459

Cfr. ibidem.

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114

della Commissione doveva essere esterno460

. La riforma fu avviata a partire dall’anno

scolastico 1998/1999. In seguito, nel duemila, l’allora Ministro dell’Istruzione, Letizia

Moratti, presentò una progetto di riforma che avrebbe modificato radicalmente il

sistema scolastico. Ma, nel 2006, il nuovo governo bloccò l’esecuzione dei

provvedimenti spettanti il secondo ciclo di studi della Legge 53/2003461

e nell’estate

2006 il ministro Fioroni propose una modifica dell’esame di Stato, che prevedeva il

divieto di ammissione agli studenti che, nel corso del triennio, non avevano saldato i

debiti formativi, inoltre richiedeva il ritorno alle commissioni miste. Con la finanziaria

del 2007, ancora, l’obbligo scolastico fu previsto fino ai 16 anni, mentre,

precedentemente, si era parlato solo di “diritto all’istruzione fino a 16 anni”.

Contemporaneamente molte associazioni raccolsero le firme per la Legge di

Iniziativa popolare, cercando di ottenere sia l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16

anni, che la fondazione del “biennio unitario” della scuola secondario superiore nonché

una diminuzione del numero di indirizzi, secondo la logica del “pochi ma buoni”. Per la

prima volta nella storia della Repubblica, nell’agosto del 2006, venne avanzata in

Parlamento una Legge di iniziativa popolare, che agiva organicamente sulle scuole,

460

Legge 10 dicembre 1997, n. 425, “Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi

di studio di istruzione secondaria superiore”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 289 del 12 dicembre

1997, articoli 1-2-3-4-5. 461

Cfr. Legge 28 marzo 2003 n. 53, la Riforma Moratti, presenta le caratteristiche di vera e propria

innovazione per la scuola del Paese. La nuova articolazione è così suddivisa: a) scuola dell’infanzia (l’ex

scuola materna); b) primo ciclo, che comprende la scuola primaria (l’ex elementare) di 5 anni e la scuola

secondaria di primo grado (l’ex media inferiore) di 3 anni; c) secondo ciclo (l’ex scuola superiore), che

comprende il sistema dei licei e il sistema dell’istruzione e della formazione professionale. Il

diritto/dovere all’istruzione e alla formazione viene innalzato ad almeno 12 anni (Decreto Legislativo

76/2004). Terminato il primo ciclo si poteva scegliere se: proseguire gli studi scegliendo uno degli 8 tipi

di licei; o frequentare corsi di formazione professionale. Dopo il primo anno di questi percorsi, avendo lo

studente compiuto 15 anni (termine obbligo scolastico), avrebbe potuto scegliere di lasciare la scuola e

avviarsi all’apprendistato, con formazione comunque obbligatoria fino ai 18 anni ed esperienza lavorativa

riconosciuta nel caso decidesse di ritornare a scuola. L’accesso all’Università era garantito a chi

frequentava il liceo (che dura 5 anni), ma anche a chi effettuava corsi di formazione professionale di

durata almeno quadriennale, dopo un ulteriore anno integrativo con un esame finale. I licei previsti con il

Decreto Legislativo 226/2005 erano 8: artistico, classico, economico, linguistico, musicale e coreutico,

scientifico, delle scienze umane e tecnologico. Il liceo artistico avrà 3 indirizzi: arti figurative,

architettura, design e ambiente e, infine, audiovisivo, multimedia e scenografia. Il liceo economico ne

avrà 2: economico aziendale ed economico istituzionale. Il liceo tecnologico ne avrà 8: meccanico–

meccatronico, elettrico-elettronico; informatico, grafico e comunicazione; chimico e materiali; tecnologie

tessili, dell’abbigliamento e della moda; produzioni biologiche e biotecnologie alimentari; costruzioni,

ambiente e territorio; logistica e trasporti. Veniva assicurata ed assistita la possibilità di scelta dei giovani

anche nel cambiamento di indirizzo all’interno del sistema dei licei, nonché nel passaggio dal sistema dei

licei a quello della formazione professionale e viceversa, mediante apposite iniziative didattiche.

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115

dalla materna alla media superiore462

. Nell’autunno del medesimo anno e nuovamente

per la prima volta, questa legge di iniziativa popolare è elemento di confronto nella

Commissione competente. L’allora Ministro Fioroni, reintrodusse anche i “rimandi

estivi” al posto dei debiti formativi. Infine, in tempi più recenti, nell’ottobre del 2008 il

Parlamento convertì in legge il decreto proposto dal Ministro Gelmini che mutò il

metodo di valutazione degli studenti nella scuola primaria. Infatti, fu introdotto il voto

con corrispondenza, e nella scuola secondaria di primo grado, il voto assoluto. Venne

reintrodotto, anche, il maestro unico nella scuola elementare che, per un verso, facilitò

l’unità interiore degli alunni, sicché la nostra società era e lo è tutt’oggi, caratterizzata

dalla presenza di molte informazioni e stimoli, che per un altro però, determinano una

specializzazione disciplinare dei docenti463

.

462

Cfr. Legge 27 dicembre 2002, n. 289 - Legge Finanziaria 2003 (in SO n. 240 alla GU 31 dicembre

2002, n. 305), Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato Legge

Finanziaria 2003. Articolo 91 (Asili nido nei luoghi di lavoro) 1. Al fine di assicurare un'adeguata

assistenza familiare alle lavoratrici e ai lavoratori dipendenti con prole, è istituito dall’anno 2003 il Fondo

di rotazione per il finanziamento dei datori di lavoro che realizzano, nei luoghi di lavoro, servizi di asilo

nido e micro-nidi, di cui all’articolo 70 della legge 28 dicembre 2001, n. 448. 2. Ai fini dell’ammissione

al finanziamento, i datori di lavoro presentano apposita domanda al Ministero del lavoro e delle politiche

sociali contenente le seguenti indicazioni: a) stima dei tempi di realizzazione delle opere ammesse al

finanziamento;

b) entità del finanziamento richiesto, in valore assoluto e in percentuale del costo di progettazione

dell’opera; c) stima del costo di esecuzione dell’opera. 3. Il prospetto contenente le informazioni di cui al

comma 2 e le relative modalità di trasmissione sono definiti con decreto del Ministro del lavoro e delle

politiche sociali da emanare entro il 31 marzo 2003. In caso di ingiustificati ritardi o gravi irregolarità

nell’impiego del contributo, il finanziamento è revocato con decreto del Ministro del lavoro e delle

politiche sociali. 4. I criteri per la concessione dei finanziamenti sono determinati con decreto del

Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e

con il Ministro per le pari opportunità, entro il 31 marzo 2003, tenendo conto in ogni caso dei seguenti

principi: a) il tasso di interesse da applicare alle somme rimborsate è determinato in misura non inferiore

allo 0,50 per cento annuo; b) i finanziamenti devono essere rimborsati al cinquanta per cento mediante un

piano di ammortamento di durata non superiore a sette anni, articolato in rate semestrali posticipate

corrisposte a decorrere dal terzo anno successivo a quello di effettiva erogazione delle risorse; c) equa

distribuzione territoriale dei finanziamenti. 5. Per l’anno 2003, nell’ambito delle risorse stanziate sul

Fondo nazionale per le politiche sociali a sostegno delle politiche in favore delle famiglie di cui

all’articolo 46, comma 2, e nel limite massimo di 10 milioni di euro, sono preordinate le risorse da

destinare per la costituzione del Fondo di rotazione di cui al comma 1. Per gli anni successivi, con decreto

del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze,

è determinata la quota da attribuire al predetto Fondo di rotazione nell'ambito del menzionato Fondo

nazionale per le politiche sociali. 6. Il comma 6 dell’articolo 70 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, si

interpreta nel senso che la deduzione relativa alle spese di partecipazione alla gestione dei nidi e dei

micro-nidi nei luoghi di lavoro, prevista per i genitori e i datori di lavoro, si applica con riferimento ai

nidi e ai micro-nidi gestiti sia dai comuni sia dai datori di lavoro. Dalle disposizioni di cui al periodo

precedente non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. 463

Cfr. ibidem.

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Una simile ristrutturazione comporta, infatti, la valorizzazione del personale

della scuola. Risultano centrali nuove funzioni di tutoraggio, di aiuto e sostegno, di

organizzazione e programmazione, che valorizzano le professionalità esistenti. La

formazione iniziale deve venire attraverso nuovi corsi di laurea e scuole di

specializzazione. Il reclutamento fondato su classi di concorso può essere sostituito da

forme di accertamento su ampie aree disciplinari e su capacità didattiche464

.

464

Cfr. ivi, pp. 160-163.

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117

2.3. I modelli di formazione della scuola attiva e progressiva

Nel percorso educativo odierno la formazione ha conquistato, in maniera

costantemente crescente, un ruolo cruciale e determinante. Adesso più che mai, infatti,

si percepisce il bisogno di un rinnovamento delle idee che stanno alla base sia

dell’azione pedagogica odierna, che della scuola e dell’educazione. Quando si discute

dei modelli di formazione sappiamo che sono in grado si manifestarci la relazione tra

teorie culturali e sistemi scolastici. Il periodo che va dagli anni Venti, dalla riforma

scolastica gentiliana del 1923, fino alla recente scuola dell’autonomia degli anni

Novanta, è stato caratterizzato da un susseguirsi di tali modelli. La loro compresenza ha

condizionato, inoltre, in maniera diretta, non solo il sistema formativo e curriculare ma

anche quello logistico della scuola italiana465

.

La riflessione sui tali modelli dominanti nel Novecento ha messo in risalto come

la categoria della formazione sia stata pensata come oggetto da doversi esaminare

attraverso una metodica interpretativa di tipo ora filosofico, ora scientifico, fino a

metodologie di contestualizzazione466

. Ma, discutendo dei modelli di formazione

bisogna muovere da considerazioni che prendano le distanze sia da visioni

universalizzanti che da indagini scientifiche troppo centrate al didatticismo467

.

L’attivismo pedagogico primo promotore dei modelli di formazione, è una corrente

di pensiero nata alla fine del XIX secolo, che tra i suoi esponenti più noti, annovera

personalità come Dewey e Montessori468

. Questi, sostenitori di una pedagogia attiva,

che percepisce il bambino non come ricevente passivo delle azioni degli adulti, piuttosto

come protagonista attivo dello sviluppo educativo469

; ritengono che i contesti educativi

e scolastici possono essere variati a misura del fanciullo. Ciò gli consentirebbe di vivere

la propria crescita attivamente, ma affinché ciò possa realizzarsi, sono necessari degli

accorgimenti, quali:

465

Cfr. P. Mulè, I principi teorici dell’educazione progressiva e dell’Attivismo, Rubettino, Cosenza 2008,

pp. 10-14. 466

Cfr. ibidem. 467

Cfr. ibidem. 468

Cfr. ivi, pp.32-33. 469

Cfr. ibidem.

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la predisposizione di un ambiente consono al bambino, in cui può agire in

maniera diretta;

l’idea che l’azione del fanciullo non intralcia l’adulto ma che anzi essa è,

all’opposto, una sorta di attività di ricerca e di comprensione, deve essere l’idea

di base da cui muoversi;

tutte le attività compiute dal bambino devono essere vagliate scrupolosamente

ed in maniera attenta;

il gioco deve essere permesso in quanto rivelazione della realtà, il bambino

infatti, al pari di un piccolo scienziato, deve essere lasciato libero sia di

teorizzare ipotesi che di constatarle470

;

Questo sguardo orientato alla realtà è spiegato come una sorta di opportunità

evolutiva che viene riconosciuta all’infante. «La mano è l’organo dell’intelligenza»471

sosterrà Maria Montessori. Grazie a questa corrente di pensiero, ma grazie soprattutto ai

suoi esponenti, cambia il modo di relazionarsi con i fanciulli. Che non sono più i

bambini azzittiti e immobilizzati dall’insegnante del “vecchio stampo”. È In questo

periodo, infatti, che si acquista la consapevolezza che permettere al bambino di agire

liberamente, gli consente di crescere, migliorare e maturare472

. Il fanciullo deve,

dunque, essere lasciato libero di spostarsi, muoversi nell’ambiente, deve poter

assaggiare, toccare e modificare le cose, per come desidera. Anche la ricerca

psicologica, fondamento dell’attivismo pedagogico, aveva individuato la visione

corrente. Essa, considerava infatti che, essendo l’infanzia il periodo che modella e

plasma l’uomo, ed essendo perciò un periodo delicato, viverlo in modo traumatico,

potrebbe rendere la vita dell’adulto un po’ più problematica, a causa del verificarsi di

gravi impedimenti. Da qui, l’attenzione a che l’infanzia deve essere vissuta in maniera

470

Cfr. J. Dewey, Esperienza e natura (II edizione), Ugo Mursia Editore, Milano 1995, p.12. 471

J. Dewey, Esperienza e natura, cit. p.78. 472

Cfr. ivi, pp.167-168.

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119

naturale, senza sottomissioni che provengono dall’adulto, ma solo secondo le regole e le

misure del protagonista del processo di crescita: il bambino473

.

Muove proprio da questo pensiero attivo dell’educazione la nuova concezione di

scuola: costruita sugli interessi degli alunni e non sui programmi da studiare o

sull’ascolto inattivo di ciò che gli insegnanti vogliono comunicare, piuttosto, occorre

scoprire un metodo che possa attrarli. Più esattamente, si può parlare di una scuola

differente, non più costruita sulla psicologia del maestro, bensì del fanciullo474

.

Possiamo individuare alcuni capisaldi della scuola attiva, che possono essere così

sintetizzati:

compito dell’insegnante non è più la trasmissione delle conoscenze, piuttosto

quello di orientare il bambino verso un processo che lo porterà

all’identificazione di se stesso,

deve essere rispettata la dimensione infantile del bambino, egli infatti, non deve

essere costretto a diventare, a tutti i costi ed il prima possibile un adulto;

la scuola deve essere soggetto della vita, proprio perché serve per la vita;

l’apprendimento deve essere indirizzato dall’esperienza pratica;

uno degli obiettivi più importanti è la diffusione di nuovi concetti;

l’insegnamento non può e non deve essere uguale per tutti: l’educatore, deve

personalizzarlo, tenendo conto degli interessi e dei bisogni dei discenti475

.

La concezione della pedagogia non direttiva, di cui il maggior rappresentante è stato

Alexander Neill, ritiene, invece, che l’educatore non debba orientare la crescita del

bambino. Tale concezione pedagogica ritiene che sono le forze interiori a sostenere lo

sviluppo del bambino, e ciò lo condurrà allo sviluppo, che non può che essere visto

473

Cfr. J. Dewey, Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull'educazione, La Nuova Italia, Firenze

1994, p.78. 474

Cfr. ivi, pp.99-115. 475

Cfr. ivi, pp.122-125.

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positivamente476

. Anzi, la pedagogia non direttiva sostiene che, se l’adulto con la

propria autorità, influenza la crescita del bambino, costringendolo a rispettare divieti e

punizioni, ciò inevitabilmente, produrrà in lui paure e sensi di colpa, che

conseguentemente incideranno sul suo sviluppo. Da qui, la necessità di consentire al

bambino di scegliere liberamente il proprio processo educativo, che lo condurrà

all’autoregolazione477

. Possiamo individuare tre caratteristiche principali, qualificanti

della scuola non direttiva:

tra insegnanti e bambini vi è una relazione egualitaria;

tutte le regole della vita collettiva vengono decise negli incontri comuni, ciò

permette, dunque, ai bambini di autogestirsi;

le attività che vengono svolte non sono obbligatorie, piuttosto facoltative478

.

Anche se da quando, pedagogisti come Montessori e Neill collaudavano i loro

modelli di scuola, è passato molto tempo, ancora oggi, i dubbi e le sfide, da loro

sollevati, che hanno indirizzato le loro esperienze pedagogiche, sono molto attuali. Da

allora, diversi sono stati i contributi che hanno concorso al mutamento della prospettiva

educativa, e varie sono state anche le esperienze educative e scolastiche per la

promozione di vari cambiamenti479

. La scuola, secondo i pensieri espressi dall’attivismo

pedagogico, è dunque, attiva480

. Il bambino non appena verrà ostacolato da una

difficoltà, tenterà in tutti i modi di contrastare gli effetti derivanti dai suoi

comportamenti, e lo farà mettendo in atto le sue tattiche, formulando ipotesi che

verificano o falsano le sue teorie. Dunque, per didattica attiva, intendiamo l’insieme

476

Cfr. ivi, pp.77-79. 477

Cfr. ibidem. 478

Cfr. ivi, p.56. 479

Cfr. ivi, p.145. 480

Cfr. J. S. Bruner e L. A. Armando, Il processo educativo. Dopo Dewey (I problemi dell’educazione),

Brossura, Milano, 1999, pp.78-85.

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delle metodologie di insegnamento che permettono al destinatario di essere un soggetto

attivo, e non passivo, del proprio processo di apprendimento.

In particolare, ci si riferisce, ad un’ampia selezione di metodologie didattiche

che provano ad oltrepassare le tradizionali regole che si basano sull’ascolto, come

avviene nelle lezioni frontali, o qualora si affianca il discente nell’addestramento481

.

Indubbiamente la lezione, nelle sue varie accezioni, è la tecnica più consueta delle

scuole, ma ciò, non indica che è il metodo più opportuno ed efficace per tutte le

discipline. Anzi, è vero esattamente il contrario, cioè, è indispensabile che ciascuna

disciplina avvii criteri differenti. Ciò consente l’identificazione di processi di

apprendimento diversi: quello per accoglimento, per invenzione, per azione, per

scoperta. Questi non solo garantiscono maggiore libertà, ma salvaguardano anche

l’offerta formativa, che così tracciata, può essere personalizzata. Infatti, secondo questa

metodologia, l’alunno che non studia con un metodo, può sempre adoperarne un altro.

Inoltre presupponendo che prima o poi, alla lunga, ogni metodo stanca (soprattutto in

considerazione del fatto che parliamo di infanti), bisogna riflettere su qualcosa che

faciliti e consolidi l’interesse degli allievi. Alcuni tra i più annoverati sistemi supportati

della didattica attiva sono:

Il laboratorio che ancor prima di essere “ambiente”482

, è uno “spazio

mentale attrezzato”483

, una specie di forma mentis, una maniera per influire

sulla realtà, che dà al bambino la possibilità di comprenderla e poi cambiarla.

Questo va inteso, come ogni spazio fisico, predisposto ed attrezzato per la

realizzazione dell’attività formativa. Questo laboratorio, necessario anche

nella scuola secondaria, avrà però, un ambiente a parte, costruito e corredato

appositamente per gli studi specialistici. Nel laboratorio, come negli altri

metodi “coinvolgenti” il fanciullo non subisce passivamente, è attivo484

. Con

481

Cfr. ibidem. 482

Cfr. F. Tessaro, Metodologia e didattica dell’insegnamento secondario, Armando, Roma 2002, pp.

155-157. 483

Cfr. ibidem. 484

F. Tessaro, Metodologia e didattica dell’insegnamento secondario, cit. pp. 158-159: Tra le diverse

tipologie presenti nelle scuole, sono noti i laboratori linguistici, i laboratori informatici e quelli

multimediali. Ovviamente ogni disciplina può essere insegnata secondo metodologie laboratoriali e

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il lavoro in laboratorio, infatti, può verificare il suo apprendimento, in

quanto crea e lavora secondo la propria voltontà. A questo punto, però,

bisogna fare una precisazione: l’essere attivo del soggetto può essere

duplicemente inteso, sia come attività riproduttiva (nel caso in cui l’allievo

copia ciò che gli viene richiesto o ripete ciò che ha studiato), sia come

attività. L’alunno che idea, pensa a nuove strategie, o crea qualcosa di

nuovo, è attivo. Nel laboratorio le due attività procedono insieme, ma lo

scopo educativo, è quello di realizzare il grande passaggio che da bambini li

trasformerà in adulti485

;

La ricerca sperimentale, parte, invece, dal presupposto che l’apprendimento

può essere intrapreso solo con la ricerca. Dunque, il bambino deve capire

qual è il problema, e successivamente sulla base dell’analisi svolta, deve

essere in grado di selezionare le ipotesi486

.

Metodo euristico-partecipativo, prevede una partecipazione attiva

dell’alunno, nella risoluzione di problemi487

.

Il mastery-learning è una struttura che prevede una programmazione

dell’intervento didattico molto attenta alle differenze e ai tempi di

apprendimento degli allievi. Qui, il compito dell’insegnante è

l’individuazione delle abilità sia concettuali che pratiche a cui i suoi allievi,

devono giungere al termine dell’intervento didattico488

.

l’ambiente in cui si svolge l’azione formativa è fondamentale: provare una scena teatrale in classe o su un

palcoscenico è completamente diverso dal punto di vista dei processi formativi implicati; una reazione

chimica può essere descritta in aula dal docente, può essere simulata con un software in laboratorio di

informatica, può essere “realizzata” in un laboratorio di chimica: sono tre ambienti didattici che attivano e

producono tre diversi tipi di apprendimento. In questo modo ogni disciplina potrebbe essere dotata di un

proprio laboratorio: nelle istituzioni scolastiche di altri Paesi in cui si spostano gli studenti da un’aula

all’altra (e non gli insegnanti, come avviene da noi), la didattica più facilmente “si lascia organizzare”

secondo metodologie laboratoriali. 485

Cfr. ivi, pp. 234. 486

Cfr. ivi, pp.158-159. 487

Cfr. ivi, pp.160-161. 488

Cfr. ivi, pp. 162-163.

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Da queste tecniche una cosa è chiara: nella scuola attiva è indispensabile la

partecipazione sentita e consapevole dello studente489

. Ma, poiché questo avvenga,

devono comunque essere utilizzate le giuste tecniche, quali:

i lavori e gli esercizi di gruppo, grazie ai quali più allievi possono

combinare le loro sperimentazioni e le loro idee, per arrivare alla

realizzazione dell’obbiettivo finale;

il gioco psico-pedagogico, che essendo privo di finalità utilitaristiche, svela

la curiosità e la grinta del bambino;

il lavoro programmato che coinvolge, in maniera attiva, più alunni;

Nella logica della scuola attiva, il gioco ha un’importanza centrale. I promotori

di questa scuola sostengono che, grazie all’esercizio ludico, il bambino avverte di essere

psicologicamente libero, e ciò gli consente non solo di comunicare in maniera naturale,

ma anche, di tirar fuori tutto ciò che ha internamente490

. Allo stesso tempo, inoltre, dà

all’educatore, l’opportunità di commisurare l’insegnamento al suo modo di fare. Il gioco

è, dunque, tra le attività adottate dalla scuola attiva, uno dei metodi più efficaci che

contribuisce all’educazione. Bisogna considerare, inoltre, che sotto il profilo

pedagogico, è indispensabile sia per lo sviluppo della creatività che per l’avvio ai valori.

Infatti, è, nel gioco che il bambino fa’, esprime e crea qualcosa di assolutamente

personale, qualcosa di nuovo, che gli permette di far comprendere all’educatore il suo

animo e la sua personalità491

.

Ma la scuola oggi deve anche essere progressiva. Lo scopo delle attività che vi

si svolgono deve essere il progressivo sviluppo dei bambini. Nella scuola, infatti, luogo

di vita del bambino, deve essere avviato alla vita sociale (anche se in maniera graduale).

L’insegnante deve fare tesoro dell’esperienza che il bambino ha già appreso, in famiglia

489

Cfr. M. Delbert Lobb., Aspetti pratici del team teaching, trad. di S.Serpentini. Giunti & Lisciani

(Educazione nuova), Brossura 1984, pp.10-16. 490

Cfr. ivi, pp.22-25. 491

Cfr. S. Capranico, Role Playing. Manuale a uso di formatori e insegnanti, Raffaello Cortina ed.,

Milano 1997, pp. 1-2

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e nell’ambiente sociale in cui vive, e congiungerlo alle esperienze di apprendimento492

.

L’apprendimento nella scuola dell’infanzia, dunque, è come « un processo di

progressiva, attiva e creativa rielaborazione della realtà nell’incontro con i linguaggi

della cultura»493

.

Possiamo evidenziare come le differenze tra scuola attiva e scuola progressiva siano

svariate, ma quel che è certo è, che, la scuola attiva è un movimento molto più vasto. I

cambiamenti da essa introdotti sono molti. Anzitutto, Dewey, esaminava il pensiero e

gli attribuiva con una funzione attiva piuttosto che contemplativa, in quanto capace di

mutare e riorganizzare la realtà. La scuola attiva, pertanto, non doveva essere un luogo

di “trasferimento del sapere”, bensì, un luogo di laboriosità dove vivere esperienze che

coinvolgono attivamente i discenti494

.

La nozione “scuola nuova” è stata adottata per distinguere i recenti orientamenti

pedagogici dalle scuole nuove, ma già Dewey, aveva preferito usare per la sua scuola il

termine scuola progressiva. Quest’ultima si differenzia da quella attiva, in quanto, oltre

appunto, al coinvolgimento attivo dei bambini nelle attività, individua anche, un

progresso sociale. L’educazione è come un processo aperto, caratterizzato da continuità

e dinamicità, in cui non vi è alcun punto d’arrivo già predefinito. Infatti, partendo

dall’assunto che, l’esperienza scolastica vissuta dai bambini, è come una ricerca, deve

essere innovata, e ciò avviene grazie allo sperimentalismo didattico, che individua

nell’educatore, la figura di collegamento tra gli principi e le finalità a cui mirare495

. In

questa scuola, è importante la partecipazione di una guida, per gli alunni, all’educatore,

infatti, è affidato il controllo della verifica didattica496

.

L’unico rischio che si corre in questo tipo di scuola è il didatticismo. Sicché può

avvenire, infatti, che alcune tecniche siano replicate, sarà dunque doveroso, così come

voleva anche Dewey, che anche l’educatore sia sempre controllato. Egli deve, si, dare

spazio e tener conto degli input degli allievi, ma deve anche ricordare di essere il leader.

492

Cfr. P. Sorzio, Dewey e l’educazione progressiva, Carocci, Roma 1999, pp. 43- 49. 493

P. Sorzio, Dewey e l’educazione progressiva, cit. p.78. 494

Cfr. ibidem. 495

Cfr. ivi, pp.123-133. 496

Cfr. ibidem.

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2.4. I processi di apprendimento e di insegnamento

Il passaggio dalla pedagogia dell’attualismo a quella dell’attivismo ha

determinato lo spostamento dell’attenzione dai processi d’insegnamento a quelli di

apprendimento, fissando così una nuova visione della cultura, non più magistrocentrica

quanto puerocentrica. Sotto questo profilo già J.J. Rousseau aveva preannunciato con

L’Emilio una particolare attenzione al fanciullo e ai suoi bisogni.

Nel corso degli anni si sono avvicendate diverse sperimentazioni, tutte

finalizzate alla descrizione dei processi di apprendimento dell’uomo, e per questo,

bisogna precisare che l’evoluzione della nozione di apprendimento elaborata dalla

psicologia educativa, non è stata semplice, anzi,è stata la conseguenza di diverse

tappe497

. Si è passati, infatti, dalla concezione secondo cui l’apprendimento è il risultato

del rafforzamento dello stimolo, effetto degli esperimenti di Skinner, procedendo poi,

con la concezione dell’apprendimento come acquisizione di conoscenza, nata negli anni

Sessanta, Settanta, fino, all’individuazione dell’apprendimento come attuazione della

conoscenza, durante la rivoluzione costruttivista, nata dalle idee di Piaget ed, in seguito,

orientata verso moderni orientamenti, da ricercatori quali Vygotskij e Bruner.

Tuttavia, dobbiamo fare una constatazione, in quanto, l’apprendimento

scolastico sembra sempre più divergere dal naturale corso dei processi di comprensione

degli studenti; processi che immancabilmente sono influenzati, sia dall’ambiente

culturale, che sociale, in cui essi vivono. Mai come adesso, quindi, è necessario fare

ordine e saldare delle concezioni che, in qualche modo, “vincolano” le modalità di

apprendimento. Occorre prestare attenzione sia alla realtà della scuola e della società

che ai consigli, troppo spesso inascoltati, degli studiosi dell’apprendimento.

Ripercorrendo brevemente le varie teorie dell’apprendimento, possiamo

individuare quali sono i modelli oggi più utilizzati. Intorno agli anni ’20 e fino agli anni

’60 del Novecento, l’idea centrale era che la persona agisse in seguito agli stimoli

derivanti dall’ambiente, grazie all’influenza reciproca tra il soggetto e l’ambiente,

497

Cfr. L. Cisotto, Psicopedagogia e didattica. Processi di insegnamento e di apprendimento, Carocci,

Roma 2005, p. 37.

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l’apprendimento avveniva, dunque, per associazioni498

. Le basi di questa teoria si

scoprono negli studi di Pavlovl che, nel primo decennio del Novecento, studiò gli

atteggiamenti degli animali e li individuò come probabili modelli di comportamento

umano. Secondo questa prospettiva, il ruolo della persona era, sostanzialmente, passivo,

in quanto, il soggetto apprendeva, guidato da meccanismi che non poteva, però,

controllare volontariamente499

. Altri studi invece, rilevarono come anche la ripetizione

delle medesime azioni ha, un ruolo preciso, nel consolidamento dei comportamenti

appresi. Qui, l’apprendimento, era invece concepito, la conseguenza di associazioni

stimolo-risposta, una sorta di processo di apprendimento che provocava una modifica

dei comportamenti.

Esso è influenzato dall’insegnamento, in quanto, era individuato come attività

pianificata sia di contenuti che di stimoli che dovevano essere trasmessi, e traguardi da

conseguire. Allo stesso tempo, il Ministero della Pubblica Istruzione, esigeva che la

pratica della programmazione didattica, fosse realizzata sull’insieme degli obiettivi

formativi dei maestri, così, le circolari, divennero lo strumento di lavoro della scuola500

.

La concretizzazione dei cicli dell’apprendimento, predisposti secondo una

crescita lineare, richiedevano una certa preparazione degli insegnanti o comunque, la

conoscenza dei modelli e degli strumenti che prima non erano noti agli stessi insegnanti,

di modo che avrebbero risposto adeguatamente al nuovo tipo di lavoro che veniva

richiesto501

.

Tuttavia, nonostante questo dibattito pedagogico fosse già presente in America

dagli anni Cinquanta del ‘900, in Italia, tale passaggio è stato concretizzato solo negli

anni Ottanta, quando si sviluppò l’interesse per il modello del cognitivismo

pedagogico502

. Dopo l’affermazione del paradigma delle scienze dell’educazione, il

cognitivismo entrò, infatti, nel contesto scolastico italiano.

La credenza diffusa da questa corrente di pensiero identificava l’apprendimento

non come un modello pedagogico, ma piuttosto come un modello di psicologia

498

Cfr. ivi, pp.38-43. 499

Cfr. ibidem. 500

Cfr. ivi, pp.123-124. 501

Cfr. ibidem. 502 Cfr. ivi, p.41.

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dell’apprendimento, fortemente collegato alla didattica. Ecco che allora, il compito della

psicologia educativa diventò quello di colmare il distacco tra la ricerca psicologica e i

processi d’istruzione503

. Muovendo da questa prospettiva, la scuola diventò il luogo

essenziale, in cui viene offerta al bambino la possibilità di vivere concretamente la

realtà quotidiana504

. Sicché il processo di riflessione delle informazioni era

fondamentale a che i metodi necessari per la loro elaborazione potessero essere descritti

e proprio per questo l’insegnamento dei criteri, era essenziale. Per la soluzione dei

problemi, invece, erano obbligatorie le procedure operative. Il soggetto diventava

capace sottoponendosi, con lo scopo di migliorarsi, ad una profonda riflessione505

.

La coscienza delle proprie competenze e del particolare modo di acquisirle, era

collocata, invece, su un piano separato: quello metacognitivo. L’insegnante, infatti,

poteva agevolare tale percorso tramite varie tecniche, tra le quali: la conversazione, che

doveva però avere una finalità educativa, l’esplicitazione e la condivisione dei metodi di

apprendimento506

. A tal proposito, il docente operava all’interno di un contesto

scolastico, in cui era richiesta la sinergia tra docenti e discipline, che risultava

essenziale. Alla logica del programma disciplinare, che era impostata

sull’individualismo produttivo del docente, si sostituisce la logica della

programmazione507

. L’insegnamento, pur se nozionistico, ammetteva comunque azioni

cognitive dirette all’organizzazione dei dati raccolti, in unità sfruttabili e indicative.

L’insegnante doveva constatare, non tanto cosa lo studente avesse capito, bensì “se”

aveva capito, cioè se ciò che aveva appreso, era stato da lui elaborato e memorizzato508

.

Anche Piaget, è entrato nel merito delle questioni dei processi di apprendimento,

è, infatti, proprio grazie a questo epistemologo che gli studi psicologici si spostano

verso quelli cognitivi. Egli ha inteso, infatti, l’apprendimento come connubio tra i

processi di assimilazione e di accomodamento. Il primo inteso come « acquisizione dei

503 Cfr. ivi, p.42. 504 Cfr. ibidem. 505 Cfr. ivi, pp.129. 506 Cfr. ivi, pp.89-91. 507 Cfr. ivi, p.43. 508

Cfr. ibidem.

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dati e dei segnali provenienti dal mondo esterno alle strutture innate del soggetto»509

, il

secondo come «modifica ed adattamento di quelle stesse strutture e con l’arricchimento

degli schemi preesistenti»510

. Da ciò si evince chiaramente come il suo l’interesse

primario era l’individuazione della modalità attraverso cui si potesse raggiungere la

conoscenza. Egli, era convinto che, la differenza tra l’uomo e gli altri esseri viventi,

risultava dalla capacità di riflessione simbolica ed astratta, propria degli essere umani,

che ad esempio agli animali manca. Secondo l’autore i bambini quando nascono

possiedono già delle strutture cognitive, stimate come “riflessi”, che man mano si

mutano, grazie al processo di conoscenza-adattamento all’ambiente. Sulla base di

questo pensiero, Piaget sostiene che, i discenti non devono essere considerati come dei

“vasi vuoti” 511

da colmare di esperienze, semmai come edificatori attivi di

conoscenze512

. Piaget ritiene, infatti, che lo sviluppo della conoscenza, è un continuo

processo creativo di ininterrotta realizzazione che si amplia grazie all’interazione con

l’ambiente. Lo sviluppo cognitivo è, dunque, agevolato dalle attività svolte o dalle

situazioni che ne richiedono l’adeguamento all’ambiente513

.

Per quanto riguarda, invece, le tecniche e gli strumenti utilizzati ai fini

dell’apprendimento, nonché le attività che vengono proposte ai discenti, queste, devono

necessariamente avviarsi allo sviluppo di iniziative mentali, ad un livello che sia però

adeguato al loro livello di sviluppo cognitivo. Quindi bisogna evitare lo svolgimento di

incarichi che vanno al di là delle loro capacità cognitive514

.

Diversamente da Piaget, per Bruner il contesto culturale ha importanza, in

quanto agisce sulla crescita del bambino sin dai primi mesi di vita, aiutandolo nella

costruzione di modelli di realtà che plasmano le sue percezioni. Questo pedagogista in

contrapposizione alle teorie precedenti, evidenzia il percorso del processo di

apprendimento, sottolineando l’importanza della partecipazione attiva dell’individuo

che apprende, a che vengano elaborati i dati dell’esperienza515

.

509

P. Mulè, Formazione, scuola, emergenze educative, cit., p. 45. 510

Cfr. cit. ibidem. 511

J. Piaget, Psicologia e sviluppo mentale del bambino, Mondadori, Milano 1967, cit., p.96 512

Cfr. ivi, pp.134. 513

Cfr. ibidem. 514

Cfr. ivi, pp.124-127. 515

Cfr. ibidem.

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Recentemente abbiamo assistito alla nascita di nuovo campo di studi

interdisciplinari, nato dalla confluenza tra le varie correnti di pensiero, che comprende

la psicologia, la pedagogia e le neuroscienze516

. Secondo questi studi, lo sviluppo

cognitivo di ogni individuo è condizionato dal contesto culturale e dalle interazioni

sociali che vive quotidianamente. Inoltre, i processi di apprendimento e di realizzazione

della conoscenza sono collocati in specifici luoghi e contesti come la scuola, la famiglia,

i luoghi di lavoro, ecc. Ma c’è anche da rilevare, il passaggio della pedagogia alle

scienze dell’educazione, che, secondo molto autori, è avvenuto grazie all’approvazione

del modello empiristico. Questo ha portato delle importanti trasformazioni, tra cui la

pedagogia che, ora, è vista come un sapere pluridisciplinare e transdisciplinare, e ciò

certamente ha prodotto delle modifiche, dal punto di vista epistemologico, ma

soprattutto, metodologico517

. L’opportunità di parlare della pedagogia come scienza e di

un approccio “olistico”, ha portato a nuove riformulazioni, per un verso nella visione di

una scienza pratica, per un altro, in una teoria della formazione518

.

Nella pedagogia possiamo, infatti, ritrovare sia l’aspetto della cultura

pedagogica, intesa come un sapere generale, supportato da rilevazioni empiriche, che

però, ispirandosi a determinati principi e valori è indipendente dai modi con cui si

opera, e dai contesti. Sia, l’aspetto della competenza pedagogica, cioè del sapere

soggettivo che annovera la capacità di decisione e di scelta. Per ciò che concerne

l’apprendimento, invece, evidenziamo come lo studio pedagogico, ha ricavato dagli

studi di psicologia le esperienze più importanti519

. Si è arrivati così alla consapevolezza

dell’indispensabilità dello studio che tiene conto dell’influenza reciproca che c’è tra,

contenuti curricolari, e processi cognitivi del soggetto520

.

Dunque, le nozioni scientifiche e culturali di cui l’allievo deve impadronirsi, e i

modi con cui il soggetto crea le proprie acquisizioni, deve tener conto anche della

complessità degli stili cognitivi. Secondo Gauthier, ad oggi è possibile osservare tre

tipologie di princìpi di pianificazione curricolare, finalizzate all’apprendimento:

516

Cfr. ibidem. 517

Cfr., ivi, pp.34-38. 518

Cfr. M. Pellerey, Educare. Manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale, LAS, Roma

1999, p.16. 519

Cfr. ibidem. 520

Cfr. ivi, p.79.

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1. quella tradizionale, che mette al centro i contenuti delineati come saperi;

2. quella che mette al centro lo studente, secondo la logica della prospettiva

costruttivista, in cui è primario il processo metodologico di

conseguimento di nuovi contenuti;

3. quella che da prioritaria importanza agli obiettivi di acquisizione delle

competenze e che, solitamente, è connessa ad istanze esterne al mondo

scolastico521

.

Comunque, queste forme di valutazione, secondo l’autore, sono motivate dalle attuali

aspettative dei processi di insegnamento e di apprendimento. Alcune teorie

dell’apprendimento, quali, quella della conoscenza autentica e del costruttivismo

sociale, hanno più volte comprovato, che gli allievi recepiscono e capiscono più

facilmente, quando hanno a che fare con situazioni reali, piuttosto che, in situazioni

disposte ed organizzate522

.

Ma i principi della libertà, dell’emancipazione e i metodi di scelta e di

riconoscimento sono elementi costitutivi del problema della formazione dell’uomo,

legata inoltre, a situazioni storiche e sociali523

.

Un altro elemento da considerare, in termini di apprendimento ed insegnamento,

è che, tutti i bambini, anche coloro che hanno difficoltà di adattamento e

apprendimento, hanno il diritto ad essere accolti dalla scuola. Ogni bambino deve vivere

la propria esperienza educativa, in maniera tale che possa essere riconosciuto e si senta,

membro attivo della propria comunità scolastica524

. Anzi, l’eventuale presenza di

bambini in difficoltà nelle classi, è una ragione in più per fra nascere nuovi rapporti e

interazioni, questi infatti, sono un’occasione di maturazione per tutti. Grazie alla

diversità, i bambini imparano a riflettere e a vivere le differenze come una dimensione

esistenziale e non come una requisito discriminante.

521

Cfr. M.Gauthier, I nuovi processi di apprendimento, (trad. it. a cura di G. Landolini), Sansoni, Firenze

2010, pp.123. 522

Cfr. ibidem. 523

P. Mulè, Formazione, democrazia, nuova cittadinanza, Periferia , Cosenza 2010, cit. p.36. 524

Cfr. ivi, pp.101.

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Quando parliamo del passaggio dai processi d’insegnamento a quelli di

apprendimento significa attenzionare, ulteriormente, il problema della didattica, che

come abbiamo visto, nasce proprio con il cognitivismo; il quale dà per scontato che i

docenti sappiano poi gestire, sotto questo profilo, la classe. Ma perché ciò sia possibile

bisogna formare i docenti, e sappiamo che il docente che si configura, alla luce di

questo modello, è un docente tecnico-trasmettitore dei contenuti. Deve, cioè, essere in

grado di programmare, di progettare, un percorso formativo525

.

Da qui, prende avvio la riflessione pedagogica e didattica su una delle questioni

cruciali degli attuali processi di cambiamento della scuola: la personalizzazione dei

percorsi formativi. La scuola italiana attraversa una stagione di cambiamento dei propri

connotati formativi. Il rapido susseguirsi della Riforma Berlinguer-De Mauro526

del

525

Cfr. ibidem. 526

Legge 10 febbraio 2000, n. 30 (in GU 23 febbraio 2000, n. 44, Legge Quadro in materia di Riordino

dei Cicli dell'Istruzione. Art. 1 Sistema educativo di istruzione e di formazione. 1. Il sistema educativo di

istruzione e di formazione è finalizzato alla crescita e alla valorizzazione della persona umana, nel

rispetto dei ritmi dell'età evolutiva, delle differenze e dell'identità di ciascuno, nel quadro della

cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con le disposizioni in materia di autonomia delle

istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei

diritti dell'uomo. La Repubblica assicura a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di

sviluppare le conoscenze, le capacità e le competenze, generali e di settore, coerenti con le attitudini e le

scelte personali, adeguate all'inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro anche con riguardo alle

specifiche realtà territoriali. 2. Il sistema educativo di istruzione si articola nella scuola dell'infanzia, nel

ciclo primario, che assume la denominazione di scuola di base, e nel ciclo secondario, che assume la

denominazione di scuola secondaria. Il sistema educativo di formazione si realizza secondo le modalità

previste dalla legge 24 giugno 1997 n. 196 e dalla legge 17 maggio 1999 n.144. 3. L'obbligo scolastico

inizia al sesto anno e termina al quindicesimo anno di età.

4. L’obbligo di frequenza di attività formative fino al compimento del diciottesimo anno di età si realizza

secondo le disposizioni di cui all'articolo 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144.

5. Nel sistema educativo di istruzione e di formazione si realizza l'integrazione delle persone in situazione

di handicap a norma della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni.

6. Le province autonome di Trento e di Bolzano e la regione Valle d'Aosta nel rispetto delle norme

statutarie, disciplinano l'attuazione dell'elevamento dell'obbligo scolastico anche mediante percorsi

integrati di istruzione e formazione, ferma restando la responsabilità delle istituzioni scolastiche. Art. 2

Scuola dell’infanzia 1. La scuola dell'infanzia, di durata triennale, concorre alla educazione e allo

sviluppo affettivo, cognitivo e sociale dei bambini e delle bambine di età compresa tra i tre e i sei anni,

promuovendone le potenzialità di autonomia, creatività, apprendimento e operando per assicurare una

effettiva eguaglianza delle opportunità educative nel rispetto dell'orientamento educativo dei genitori,

concorre alla formazione integrale dei bambini e delle bambine. 2. La Repubblica assicura la

generalizzazione dell'offerta formativa di cui al comma 1 e garantisce a tutti i bambini e le bambine, in

età compresa tra i tre e i sei anni, la possibilità di frequentare la scuola dell'infanzia.

3. La scuola dell'infanzia nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica realizza i necessari

collegamenti da un lato con il complesso dei servizi all'infanzia, dall'altro con la scuola di base. Art. 3

Scuola di base 1. La scuola di base ha la durata di sette anni ed è caratterizzata da un percorso educativo

unitario e articolato in rapporto alle esigenze di sviluppo degli alunni; si raccorda da un lato alla scuola

dell'infanzia e dall'altro alla scuola secondaria. 2. La scuola di base, attraverso un progressivo sviluppo

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2000, e la Riforma Moratti527

del 2002, hanno prodotto non solo una rideterminazione

formale degli ordinamenti e dei curricoli, ma anche un approfondimento del significato

del curricolo mediante il graduale passaggio dagli ambiti disciplinari alle singole discipline, persegue le

seguenti finalità: a) acquisizione e sviluppo delle conoscenze e delle abilità di base; b) apprendimento di

nuovi mezzi espressivi; c) potenziamento delle capacità relazionali e di orientamento nello spazio e nel

tempo; d) educazione ai princìpi fondamentali della convivenza civile;

e) consolidamento dei saperi di base, anche in relazione alla evoluzione sociale, culturale e scientifica

della realtà contemporanea; f) sviluppo delle competenze e delle capacità di scelta individuali atte a

consentire scelte fondate sulla pari dignità delle opzioni culturali successive.

3. Le articolazioni interne dalla scuola di base sono definite a norma del regolamento emanato con

decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999 n.275. 4. La scuola di base si conclude con un

esame di Stato dal quale deve emergere anche una indicazione orientativa non vincolante per la

successiva scelta dell'area e dell’indirizzo. […] 527

DISEGNO DI LEGGE n° 1306-B. Delega al Governo per la definizione delle norme generali

sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale. Testo approvato in via definitiva dal Senato della Repubblica nel Marzo 2003. […]Art. 2. (Sistema

educativo di istruzione e di formazione). I decreti di cui all’articolo 1 definiscono il sistema educativo di

istruzione e di formazione, con l’osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a)è promosso

l’apprendimento in tutto l’arco della vita e sono assicurate a tutti pari opportunità di raggiungere elevati

livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e

specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel

mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea; b)sono promossi il

conseguimento di una formazione spirituale e morale, anche ispirata ai princìpi della Costituzione, e lo

sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla

civiltà europea; c) è assicurato a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o,

comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età; l’attuazione di tale

diritto si realizza nel sistema di istruzione e in quello di istruzione e formazione professionale, secondo

livelli essenziali di prestazione definiti su base nazionale a norma dell’articolo 117, secondo comma,

lettera m), della Costituzione e mediante regolamenti emanati ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della

legge 23 agosto 1988, n. 400, e garantendo, attraverso adeguati interventi, l’integrazione delle persone in

situazione di handicap a norma della legge 5 febbraio 1992, n. 104. La fruizione dell’offerta di istruzione

e formazione costituisce un dovere legislativamente sanzionato; nei termini anzidetti di diritto

all’istruzione e formazione e di correlativo dovere viene ridefinito ed ampliato l’obbligo scolastico di cui

all’articolo 34 della Costituzione, nonché l’obbligo formativo introdotto dall’articolo 68 della legge 17

maggio 1999, n. 144, e successive modificazioni. […] d) il sistema educativo di istruzione e di

formazione si articola nella scuola dell’infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la

scuola secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo che comprende il sistema dei licei ed il sistema

dell’istruzione e della formazione professionale; e) la scuola dell’infanzia, di durata triennale, concorre

all’educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale delle

bambine e dei bambini promuovendone le potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento,

e ad assicurare un’effettiva eguaglianza delle opportunità educative; nel rispetto della primaria

responsabilità educativa dei genitori, essa contribuisce alla formazione integrale delle bambine e dei

bambini e, nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica, realizza la continuità educativa con il

complesso dei servizi all’infanzia e con la scuola primaria. È assicurata la generalizzazione dell’offerta

formativa e la possibilità di frequenza della scuola dell’infanzia; alla scuola dell’infanzia possono essere

iscritti secondo criteri di gradualità e in forma di sperimentazione le bambine e i bambini che compiono i

3 anni di età entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento, anche in rapporto all’introduzione di

nuove professionalità e modalità organizzative; il primo ciclo di istruzione è costituito dalla scuola

primaria, della durata di cinque anni, e dalla scuola secondaria di primo grado della durata di tre anni.

Ferma restando la specificità di ciascuna di esse, la scuola primaria è articolata in un primo anno, teso al

raggiungimento delle strumentalità di base, e in due periodi didattici biennali; la scuola secondaria di

primo grado si articola in un biennio e in un terzo anno che completa prioritariamente il percorso

disciplinare ed assicura l’orientamento ed il raccordo con il secondo ciclo; nel primo ciclo è assicurato

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delle proprie funzioni formative. La richiesta alla scuola di occuparsi dell’istruzione non

è di certo una novità, d’altronde è sempre stato il suo compito specifico. Ma dobbiamo

certamente riconoscere che è inedita la sfida che le viene proposta nell’odierna società.

Oggi la scuola deve soddisfare contemporaneamente tre istanze formative: la qualità

dell’istruzione, l’uguaglianza delle opportunità e la valorizzazione delle differenze

personali528

. L’attuale società conoscitiva esige che la scuola non sia solo un’agenzia di

socializzazione, piuttosto deve avviarsi verso un’alfabetizzazione culturale, in maniera

tale da poter consentire ai bambini, futuri uomini e donne di domani, di essere gli

artefici della loro esistenza529

.

Ma una scuola democratica deve garantire, anche, l’apprendimento delle

competenze fondamentali, tali da assicurare pari dignità, non solo etico-sociale ma

anche politica. Pertanto alla scuola viene chiesta la realizzazione di un’uguaglianza non

puramente formale, identificativa della liberalizzazione dell’accesso per tutti, piuttosto

sostanziale530

. Oggi vi è, anche, una terza istanza che deve essere soddisfatta: la

promozione dei differenti tipi di potenzialità individuali, per la realizzazione e la

valorizzazione di diversi tipi di talento. La scuola deve cioè promuovere dei differenti

tipi di potenzialità individuali, evitando l’omologazione culturale. Essa è, dunque,

chiamata alla programmazione di percorsi educativi, in cui, l’alunno deve essere il

protagonista del proprio processo di crescita, sia sul piano sociale, relazionale, che

cognitivo. L’insegnante deve essere capace di rispondere alle esigenze dei percorsi di

apprendimento e di crescita degli allievi, garantendogli il rispetto delle differenze

individuali in rapporto alle capacità, agli interessi, alle inclinazioni e alle esperienze di

vita531

.

Pertanto, la scuola adopera due modelli per affrontare la “sfida” dell’istruzione.

Il primo definito come modello delle competenze di base si basa sulla connessione tra

altresì il raccordo con la scuola dell’infanzia[…]; l) i piani di studio personalizzati, nel rispetto

dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, contengono un nucleo fondamentale, omogeneo su base

nazionale, che rispecchia la cultura, le tradizioni e l’identità nazionale, e prevedono una quota, riservata

alle regioni, relativa agli aspetti di interesse specifico delle stesse, anche collegata con le realtà locali. […] 528

Cfr. M. Baldacci, Personalizzazione o Individualizzazione?, cit., p.10 529

Cfr. ibidem. 530

Ivi, p. 11:« Questo significa non tanto che tutti devono raggiungere i medesimi livelli di conoscenza e

abilità, quanto che certi livelli di conoscenza e di abilità, pienamente adeguati, dovrebbero essere

raggiunti da tutti». 531

Cfr. ivi, pp.56-58.

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qualità dell’istruzione e l’uguaglianza formativa. L’idea di fondo è che l’istruzione

scolastica debba essere volta all’apprendimento di contenuti e delle abilità disciplinari,

inerenti i vari campi del sapere. Poiché i saperi scolastici provengono da conoscenze

codificate e consolidate, assimilare i contenuti, vuol dire apprenderne i concetti

fondamentali e i procedimenti essenziali comprendendone la logica e imparando ad

usarli532

. Ma deve anche dare modo ai bambini di cominciare ad acquisire la

consapevolezza delle proprie preferenze e delle proprie potenzialità533

.

L’altra idea che caratterizza questo primo modello è il diritto all’istruzione,

cosicché venga assicurato a tutti, o comunque a gran parte dei bambini in età scolastica,

l’acquisizione di queste competenze. Ecco che è in questi termini che si parla di

uguaglianza delle opportunità formative. Con questa espressione non si vuole intendere

che nella scuola a ciascuno devono essere concesse pari occasioni di apprendimento o

uguaglianza di trattamento formativo, perché ciò, tenderebbe a riprodurre

disuguaglianze tra gli alunni. Uguaglianza formativa, deve essere intesa, come «parità

degli esiti rispetto alle competenze fondamentali del curricolo»534

, che può essere

raggiunta attraverso un’adeguata didattica. Questo modello è rappresentato

dall’individualizzazione.

Il secondo modello è, invece, fondato sul legame tra la qualità dell’istruzione e

la promozione dei talenti personali, ed è definito come modello dei talenti personali535

.

Qui, le abilità perseguite non sono riferite alla struttura dei saperi, bensì all’architettura

della mente, si crede cioè, che ogni soggetto ha le proprie specifiche propensioni

intellettuali e, pertanto, ogni alunno è in grado di sviluppare le proprie attitudini. Il

talento è concepito, dunque, come una sorta di potenziale innato. Baldacci a questo

proposito, ha definito la funzione della scuola: «organizzare le condizioni che rendono

532

Ivi,. pp.12-13:« Con il temine competenza intendiamo la capacità d’uso delle conoscenze

disciplinari.[…] Queste competenze di base sono relative, in primo luogo agli strumenti culturali

fondamentali, a partire dalla lettura. All’interno di ogni sapere si può però identificare un nucleo

essenziale di conoscenze e di abilità[…] In altri termini, l’idea è che la scuola si debba occupare

soprattutto di ciò che deve essere saputo da tutti e la sua principale preoccupazione deve consistere nel

fatto che ognuno sappia effettivamente ciò che tutti devono sapere. In modo sommario e per mero

esempio, si possono indicare preoccupazioni del tipo: che ognuno sappia leggere e comprendere

adeguatamente ciò che legge; che ognuno sappia scrivere e articolare chiaramente il proprio pensiero

[…]». 533

Cfr. ivi, pp.89. 534

Ivi, p.17. 535

Cfr. ivi, pp,22-26.

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atto ciò che esiste già in potenza»536

. Sicché si ritiene che le tendenze naturali del

soggetto non devono essere ostacolate, poiché gli alunni dotati di talento lo

manifesteranno quando riterranno più opportuno. Il momento cruciale è individuato

nell’orientamento degli alunni verso gli indirizzi di studio coerenti con le loro

inclinazioni, ecco che si parla, dunque, di personalizzazione, concetto che fa parte,

sicuramente, dei sistemi pedagogici e didattici predisposti per rendere più idonei i

processi educativi537

.

Alla base di tale principio sta l’intento di creare percorsi diversificati, tali da

poter coadiuvare la limitazione degli insuccessi in maniera tale da favorire, invece, le

eccellenze. La visione della personalizzazione, in realtà, non è una novità, è piuttosto

una reinterpretazione alla luce delle recenti esigenze. Fu una sorta di presupposto ciclico

della cultura pedagogica del Novecento, che ebbe inizio con il fronte laico.538

Attenzionare i problemi della formazione sul piano così strettamente personale, è ovvio

che non fu una novità, già c’erano stati altri studiosi, o medici, o anche altri personalità

provenienti da altri studi, che comunque avevano riflettuto su questi temi. Montessori,

Decroly, Claparède e Freinet (con la fondazione della nouvelle ecole) e soprattutto

Kilpatrick e Parkhurst, hanno riflettuto, tutti, sulla progettazione individualizzata539

.

In particolare, una rilevanza storica viene attribuita ai tre piani di

sperimentazione americani:1.1. Il Metodo dei progetti, di cui il promotore fu Kilpatrick,

sostenitore della necessità d’integrazione tra la scuola e i due bisogni: socialità e

individualizzazione, ciò poteva essere raggiunto mediante la realizzazione di un piano di

lavoro per ciascun allievo540

. Questo gli avrebbe permesso di lavorare a progetti diversi

dalle tradizionali suddivisioni in materie d’insegnamento, che venivano da sempre

proposti in maniera egualitaria all’intera classe. 1.2. Il Piano Dalton fortemente voluto

dalla Parkhurst, prevedeva la stipulazione di un contratto con gli insegnanti delle varie

materie d’insegnamento, che implicava venti unità lavorative l’anno, sulla base di

controlli sia individuali che collettivi. Questo piano avrebbe prodotto la

536

Cfr. ivi, p.59. 537

Cfr. ivi, pp.66-68. 538

Cfr. ibidem. 539

Cfr. ivi, pp.69-73. 540

Cfr. ibidem.

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responsabilizzazione dell’alunno che sarebbe stato, così, l’unico responsabile del

proprio sapere. L’eventuale rischio di uno smisurato individualismo poteva essere

eventualmente corretto con la programmazione di attività di gruppo. 1.3. Il Piano di

Winnetka, realizzato grazie all’opera di Washburne prevedeva infine, la scelta nel

curriculo, di materie più che altro inerenti le scienze sociali, che dovevano essere

esposte in unità di lavoro tra loro collegate. Famosi erano i quaderni di lavoro e di

autocontrollo da lui proposti, questi, dovevano essere redatti dagli alunni stessi, e solo

dopo sarebbero stati sottoposti al controllo dell’insegnante. Ugualmente, come per

Parkhurst, furono immaginate attività di socializzazione per attenuare l’individualismo,

ma con una differenza: non erano integrative del curriculo, piuttosto già prevesti nel

programma541

.

Queste tre esperienze produssero una grande ricchezza innovativa, tanto da

diventare il punto d’avvio della teoria pragmatista. Tale modello educativo, soprattutto

nelle opere di Washburne, era noto con il nome di Educazione progressiva. Da qui,

anche se in realtà per l’attuazione bisognerà aspettare il secondo dopoguerra, fu resa

nota anche in Italia.

Questi iniziatori, mettendo in atto, seppur in forme sperimentali, interpretazioni

operative che avanzano motivi d’interesse ancora oggi come, ad esempio, la

strutturazione aperta delle classi, l’auto-istruzione, l’articolazione delle classi in gruppi

di livello; hanno cercato di creare quella che è stata definita da Montessori, con un

termine che ancora oggi è attuale, la «scuola su misura»542

ossia, una scuola organizzata

in relazione alle caratteristiche degli allievi.

In Italia è solo nel 2003, con Bertagna alla Presidenza del Gruppo Ristretto di

Lavoro, sostenitore della Riforma Moratti, che venne puntualizzata la differenza tra

individualizzazione e personalizzazione543

. Egli precisò, infatti, che parlare di percorsi

formativi individualizzati è inesatto, in quanto la formazione è vero che è rivolta

all’individuo, ma non ci si deve riferire a lui in maniera astratta, piuttosto dobbiamo

pensare che parliamo di persona. Ne consegue che è più esatta la discussione sui

percorsi formativi personalizzati. L’espressione personalizzazione in realtà, era già

541

Cfr. ibidem. 542

Cfr. ivi, p.78. 543

Cfr. ivi, pp.123-124.

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stata utilizzata nell’ambito delle scienze dell’educazione contemporanee piuttosto

recentemente, se ne parlava già negli anni ’70. Da allora la pedagogia post attivistica e

gli studi di psicologia cognitiva, ci hanno fatto osservare come non bisogna considerare

l’apprendimento e l’insegnamento solo riponendo grande fiducia nei cosiddetti

“bisogni” e “interessi” degli alunni544

. Infatti, sappiamo che, i momenti ed i ritmi di

apprendimento non sono cadenzati, anzi sono strettamente interconnessi all’ambiente,

alla gestione delle dinamiche emotive ed affettive, ma anche alle attività didattiche.

Dunque venne ipotizzato non un ridimensionamento, ma piuttosto un rafforzamento

della triade: insegnamento-apprendimento-individualizzazione545

.

L’obiettivo è, dunque, realizzare una scuola «di tutti e di ciascuno546

» per la

formazione di alunni che, un giorno, grazie ad una metodologia d’insegnamento e

apprendimento adeguata, sarebbero entrati a far parte di una società democratica547

.

Ebbero un successo maggiore, invece, e non solo nella scuola italiana ma in tutto

il mondo occidentale, le teorie della programmazione curricolare e le cosiddette

strategie del rinforzo, finalizzate all’apprendimento548

. Queste teorie curricolari

diventarono usuali dalla fine degli anni Settanta, agli inizi degli anni Ottanta. I loro

caratteri fondamentali possono essere individuati nei seguenti punti:

- esplicitazione dei meccanismi di auto-controllo a che le procedure

adottate conducano ad un esito positivo;

- ottimizzazione degli obiettivi d’apprendimento;

- individuazione di unità didattiche poste in sequenza, in maniera

tale che gli obiettivi acquistino un senso, in considerazione degli

scopi finali del processo d’istruzione;

- concretizzazione di procedure valutative graduali549

.

544

Cfr. ibidem. 545

Cfr. V. Garcia Hoz, Educazione personalizzata, Le Monnier, Firenze 1981, pp.12-17. 546

Cfr. ivi, p.34. 547

Cfr. ibidem. 548

Cfr. ivi, pp.12-16. 549

Cfr. ivi, pp.89-95.

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Lo sviluppo di queste teorie, ha però soffermato l’attenzione, alla dimensione

cognitiva del soggetto, visto, come colui che apprende e che compie un’attività

verificabile. Anche se, in realtà, le tendenze più radicali hanno attribuito maggiore

importanza all’apprendimento che, a sua volta, produce apprendimento, e che, in quanto

tale, non sempre è valutabile.

Una delle novità in materia di apprendimento ed insegnamento, riconducibili

all’approccio curricolare, riguarda il trasferimento del punto centrale della didattica550

.

Si è passati, infatti, dai processi di insegnamento a quelli di apprendimento, grazie

all’acquisizione di modelli didattici, che pongono un’attenzione maggiore ai tempi e alle

modalità di conoscenza dell’alunno, che hanno portato, poi, al principio di

personalizzazione551

.

Secondo queste teorie quanto più la scuola si riorganizza, basandosi sulla rigida

esecuzione di ciò che è stato previsto nei documenti di programmazione, i quali

organizzano soprattutto, la tempistica e le pratiche cognitive, tanto più alta può essere la

qualità delle prestazioni che può offrire. L’utilizzo di questo modello formativo

estremamente rigido, si pensava avesse ridotto la marginalizzazione scolastica e gli

insuccessi scolastici552

. Ma in realtà, questa modalità d’intervento, correlata a quelle che

vennero definite come strategie del rinforzo, hanno prodotto un sviluppo della scuola,

delle opportunità di apprendimento, di nuove tecniche di esercitazione, ma non hanno

diminuito i suddetti fenomeni553

. Tali “strategie del rinforzo”, partendo dal presupposto

che per poter assicurare l’equità bisogna garantire a tutti le stesse prestazioni, hanno

scommesso, più che altro sulla quantità degli interventi piuttosto che sulla

diversificazione dei bisogni554

.

Valutando le teorie, che in questi ultimi anni, hanno rappresentato dei validi

punti di riflessione, finalizzati alla personalizzazione degli interventi scolastici, ci

rendiamo subito conto, che queste hanno trasmesso un’idea di scuola diversa, più

familiarizzata, di quanto non fosse la scuola degli anni ‘60-’70 del Novecento. Nelle

550

Cfr. V. Garcia Hoz , Dal fine agli obiettivi dell’educazione personalizzata, Palumbo, Palermo 1997,

pp.45-49. 551

Cfr. ibidem. 552

Cfr. ivi, pp.56-63. 553

Cfr. ibidem. 554

Cfr. ivi, p.77.

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odierne scuole, il docente, deve possedere, non solo cultura e sapere scientifico, ma

soprattutto, capacità di organizzazione e progettazione555

. Non va, inoltre, trascurato,

successivamente, il fatto che la scuola ha dovuto rispondere ai cambiamenti sociali

determinatesi nel corso degli anni, (pensiamo ad esempio al fatto che al giorno d’oggi è

normale che entrambi i genitori lavorano) che inevitabilmente hanno sollecitato

l’attuazione di nuovi interventi educativi, determinando così, la necessità di nuove

metodologie di insegnamento556

.

Il tema della “personalizzazione” è strettamente connesso anche ai profondi

mutamenti che nell’ultimo decennio hanno interessato i sistemi formativi, non solo

italiani557

. Dalla Gran Bretagna ai Paesi Bassi, dalla Spagna alla Germania, è tutto un

avvicendarsi di scissioni e considerazioni, rivolte al accrescimento dell’efficacia del

sistemi d’istruzione. Efficacia, intesa, sia come incremento delle esperienze e della

qualità delle relazioni interpersonali, che come incremento del senso di appartenenza

alla propria società558

. Oggi, stiamo assistendo ad un rapporto tra Stato, società e

cittadino, che si sta consolidando, più che mai, in tutte le società. Ciò ha prodotto una

moltiplicazione dei compiti e delle responsabilità che precedentemente erano affidate

allo Stato. Questa, è il percorso, che anche l’Italia da qualche anno, segue, con

l’autonomia delle scuole.

La recente riforma scolastica, prevede infatti che, le scuole sono libere di auto-

organizzarsi secondo le forme di apprendimento e d’istruzione, che ritengono più

opportune, così lo Stato, non può più intervenire con i suoi “programmi” e, a ciò ne

consegue che, non può più attuare la sua “logica pedagogica”559

, riservandosi soltanto il

compito di monitorare il sistema. La scuola, tuttavia, attraverso periodiche rilevazioni

inerenti la qualità delle prestazioni scolastiche garantite, monitora l’andamento dei

percorsi di apprendimento ed insegnamento già avviati560

.

È però fondamentale, che le strategie di apprendimento ed istruzione siano varie e

differenti, cosicché i percorsi formativi siano molteplici e soprattutto individualizzabili,

555

Cfr. ivi, pp.99-105. 556

Cfr. M. Altet, Le pedagogie dell’apprendimento, Armando, Roma 2000, pp. 67-78. 557

Cfr. ibidem. 558

Cfr. ivi, pp.34-44. 559

Cfr. ivi, pp. 123-127. 560

Cfr. ivi, p.44.

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sia dal punto di vista istituzionale che della didattica. Solo questo permette di garantire

una risposta adeguata alle nuove richieste, finalizzate al potenziamento delle

opportunità di formazione che la società civile espone. In realtà si vuole evitare, anche,

che tutte le responsabilità educative siano affidate solo alla scuola561

.

Ciò nonostante, alcuni studiosi sostengono che, uno degli elementi fondamentali,

per garantire l’equità formativa è che bisogna individuare dei percorsi formativi

extrascolastici uguali a quelli scolastici. Nel senso che i giovani, devono poter avere

l’opportunità di scegliere tra una pluralità di percorsi, che si conseguono non solo

all’interno del sistema scolastico, ma anche in sedi extrascolastiche. Questa è la

strategia personalizzante che è in grado di adeguarsi alle aspettative e alle capacità di

ognuno562

.

Naturalmente questa idea deve essere sostenuta da iniziative sociali, necessarie,

per evitare che le esperienze extrascolastiche, siano soltanto per i soggetti che dal punto

di vista economico e cognitivo sono più svantaggiati563

. Si tratta, allora, di favorire

sistemi che consentano, quando è indispensabile, a coloro che preferiscono un canale

non scolastico, di accedervi, piuttosto che, accettare la logica della scuola uguale per

tutti564

.

Questa ipotesi, però, implica l’identificazione di forme attuali di organizzazione

didattica, non solo, ma anche di diffusione dei processi del “sapere” e del “saper fare”,

così da programmare piani di studio connessi alle capacità, ai ritmi e ai tempi di

sviluppo degli allievi.

La riforma, ha specificato il passaggio dagli «obiettivi generali del processo

educativo»565

agli «obiettivi specifici di apprendimento»566

denominati O.S.A., che sono

561

Cfr. A. Catalfamo, La ricerca didattica. Aspetti e problemi, Pellegrini, Cosenza 2000, pp.44-48. 562

Cfr. A. Pajno, L’autonomia delle scuole, La Scuola, Brescia 1997, pp. 45-49. 563

Cfr. ibidem. 564

Cfr. ibidem. 565

DPR 275/99 Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275

(in SO 152/L della GU 10 agosto 1999, n. 186). Regolamento recante norme in materia di autonomia

delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59: Art. 8(Definizione dei

curricoli) 1. Il Ministro della pubblica istruzione, previo parere delle competenti commissioni

parlamentari sulle linee e sugli indirizzi generali, definisce a norma dell’articolo 205 del decreto

legislativo 16 aprile 1994, n. 297, sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, per i diversi tipi

e indirizzi di studio: a) gli obiettivi generali del processo formativo; b) gli obiettivi specifici di

apprendimento relativi alle competenze degli alunni; c) le discipline e le attività costituenti la quota

nazionale dei curricoli e il relativo monte ore annuale; d) l’orario obbligatorio annuale complessivo dei

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141

stati individuati dalle Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati567

agli

“obiettivi formativi” proporzionati ai singoli alunni che usufruiscono del servizio

educativo. Questo è il sistema attraverso cui si completa il processo personalizzante.

Gli obiettivi formativi sono sostanzialmente gli obiettivi generali del processo

formativo e gli obiettivi specifici di apprendimento che sono collocati nella scuola, o in

una sezione, o in un gruppo di alunni, tenendo in considerazione le singole capacità

personali di ogni allievo, ed in seguito, mediante l’azione conciliatrice dei docenti, sono

in grado di maturare competenze personali. La finalità che l’intervento scolastico

intende perseguire, anziché essere la differenziazione, diviene così l’uniformità. Il

cosiddetto P.O.N., Piano dell’Offerta Formativa, è il documento in cui viene redatto il

progetto educativo di una scuola, che contiene le attività e ciò l’istituzione può offrire

alle famiglie e agli alunni568

. Questo, infatti, in quanto risultato di un progetto attribuito

ad una particolare situazione, si colloca come il primo passo verso la personalizzazione.

Per raggiungere, però, gli obiettivi generali del Piano e per dare risposta ai

bisogni educativi e di apprendimento, diventa necessaria la programmazione sia

curricoli comprensivo della quota nazionale obbligatoria e della quota obbligatoria riservata alle

istituzioni scolastiche; e) i limiti di flessibilità temporale per realizzare compensazioni tra discipline e

attività della quota nazionale del curricolo; f) gli standard relativi alla qualità del servizio; g) gli indirizzi

generali circa la valutazione degli alunni, il riconoscimento dei crediti e dei debiti formativi; h) i criteri

generali per l’organizzazione dei percorsi formativi finalizzati all’educazione permanente degli adulti,

anche a distanza, da attuare nel sistema integrato di istruzione, formazione, lavoro, sentita la Conferenza

unificata Stato-Regioni-città ed autonomie locali. 2. Le istituzioni scolastiche determinano, nel Piano

dell’offerta formativa il curricolo obbligatorio per i propri alunni in modo da integrare, a norma del

comma 1, la quota definita a livello nazionale con la quota loro riservata che comprende le discipline e le

attività da esse liberamente scelte. Nella determinazione del curricolo le istituzioni scolastiche precisano

le scelte di flessibilità previste dal comma 1, lettera e). 3. Nell’integrazione tra la quota nazionale del

curricolo e quella riservata alle scuole è garantito il carattere unitario del sistema di istruzione ed è

valorizzato il pluralismo culturale e territoriale, nel rispetto delle diverse finalità della scuola dell’obbligo

e della scuola secondaria superiore. 4. La determinazione del curricolo tiene conto delle diverse esigenze

formative degli alunni concretamente rilevate, della necessità di garantire efficaci azioni di continuità e di

orientamento, delle esigenze e delle attese espresse dalle famiglie, dagli enti locali, dai contesti sociali,

culturali ed economici del territorio. Agli studenti e alle famiglie possono essere offerte possibilità di

opzione. 5. Il curricolo della singola istituzione scolastica, definito anche attraverso una integrazione tra

sistemi formativi sulla base di accordi con le Regioni e gli Enti locali negli ambiti previsti dagli articoli

138 e 139 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, può essere personalizzato in relazione ad azioni,

progetti o accordi internazionali. 6. L’adozione di nuove scelte curricolari o la variazione di scelte già

effettuate deve tenere conto delle attese degli studenti e delle famiglie in rapporto alla conclusione del

corso di studi prescelto. 566

Cfr. ibidem. 567

Le Indicazioni esplicitano i livelli essenziali di prestazione a cui tutte le Scuole Primarie del Sistema

Nazionale di Istruzione e sono tenute per garantire il diritto personale, sociale e civile

all’istruzione e alla formazione di qualità. Per ulteriori approfondimenti consultare l’allegato B. 568

Cfr. L. Milani, Competenza pedagogica e progettualità educativa, La Scuola, Brescia 2000, pp.23-25.

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dell’attività oraria che didattica, di modo che siano coerenti con il piano d’intervento

educativo, nel rispetto del numero di ore e giorni di lezione, nonché del contratto di

lavoro dei docenti569

. La flessibilità è, perciò, la prima apertura alla personalizzazione

dei Piani di studio. Il principio della personalizzazione presuppone, come abbiamo

visto, una “differenziazione didattica” intesa come modi di insegnamento-

apprendimento, che si svolgano secondo forme diverse quali: attività di gruppo,

laboratori, forme di autoistruzione nonché attività di apprendimento con l’utilizzo delle

più moderne tecnologie570

.

Ma, nella classi, spesso, sono presenti anche bambini le cui problematicità

possono derivare da condizionamenti socio-culturali. In questi casi, la loro integrazione

deve essere facilitata con ogni mezzo, cosicché possa essere data una risposta anche ai

loro bisogni relazionali e cognitivi, sicuramente differenti. Tutti gli insegnanti della

scuola, e non soltanto gli insegnanti di sostegno, devono contribuire all’attuazione di

questi progetti educativi, tenendo anche conto del ruolo che viene assegnato al

personale non insegnante.

Il testo programmatico nazionale571

individua gli obiettivi della scuola materna,

richiamando le norme e le dimensioni dello sviluppo infantile, evidenziando le

569

Cfr. ivi, pp.33-35. 570

Cfr. O. Scandella, Tutorship e apprendimento. Nuove competenze dei docenti nella scuola che cambia,

La Nuova Italia, Firenze 1995, pp.12-15. 571

Schema di piano programmatico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di

concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze di cui all’art. 64 del decreto legge 25 giugno

2008, n. 112 convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133: Art. 4.

Strumenti innovativi di investimento 1. Per lo sviluppo di programmi di investimento destinati alla

realizzazione di iniziative produttive con elevato contenuto di innovazione, anche consentendo il

coinvolgimento degli apporti dei soggetti pubblici e privati operanti nel territorio di riferimento, e alla

valorizzazione delle risorse finanziarie destinate allo scopo, anche derivanti da cofinanziamenti europei

ed internazionali, possono essere costituiti appositi fondi di investimento con la partecipazione di

investitori pubblici e privati, articolati in un sistema integrato tra fondi di livello nazionale e rete di fondi

locali. Con decreto Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle

finanze, sono disciplinate le modalità di costituzione e funzionamento dei fondi, di apporto agli stessi e le

ulteriori disposizioni di attuazione. 1-bis. Per le finalità di cui al comma 1, con decreto di natura non

regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze la gestione separata della Cassa depositi e

prestiti S.p.A. può essere autorizzata, senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica, ad istituire un

apposito fondo, attraverso cui partecipare, sulla base di un adeguato sistema di verifica della sostenibilità

economico-finanziaria delle iniziative, nonché' di garanzie prestate dagli stessi soggetti beneficiari diversi

dalla pubblica amministrazione, tale da escludere la garanzia dello Stato sulle iniziative medesime, anche

in via sussidiaria, e di intese da stipularsi con le amministrazioni locali, regionali e centrali per

l’implementazione dei programmi settoriali di rispettiva competenza, a fondi per lo sviluppo, compresi

quelli di cui all’articolo 44 del regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, dell’11 luglio 2006, sui

fondi strutturali, e quelli in cui può intervenire il Fondo europeo per gli investimenti. 2. Dalle disposizioni

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conoscenze adeguate all’età e al contesto culturale, propone inoltre, i criteri

metodologici e didattici dell’attività educativa. Devono essere indicati i diversi ambiti

del fare e dell’agire del bambino, ossia tutti i settori ai quali l’allievo attribuisce un

significato, accresce il suo apprendimento, conquista tecniche linguistiche per il

perseguimento di traguardi formativi. Egli vive, dunque, un’esperienza che si inserisce

entro confini definiti, ma di cui lui deve essere il protagonista572

.

La disposizione dell’attività si costruisce su una incessante duttilità ed

inventività didattica, che tiene conto della mutevolezza dei ritmi, dei tempi e degli stili

di apprendimento di ciascun allievo, oltre che delle sue motivazioni e dei suoi interessi.

In particolare per i bambini in condizioni di handicap, a cui non deve mai essere

preclusa nessuna conoscenza, anzi, è necessario decretare particolari finalità, percorsi

metodologici ed indicatori di verifica, che ne valorizzino le loro capacità.573

Sulla base

di quanto fin qui detto, constatiamo che l’apprendimento e l’insegnamento odierno,

devono avere come obiettivi sia la promozione dell’autonomia e della capacità di

identificare e manifestare sentimenti, emozioni e passioni, sia la regolazione

dell’aggressività, ma anche il consolidamento dell’interesse, della disponibilità alla

cooperazione, della fiducia, dello spirito di familiarità ed il supporto nella conquista

della propria identità.

È utile, a questo proposito, ricordare il bisogno di non persuadere, né consolidare

stereotipi574

. Al fine di concedere al bambino i primi rudimenti per l’apprendimento

della strutturazione della società, gli deve essere data la possibilità di esplorare

l’ambiente. La conoscenza dell’ambiente culturale e delle sue tradizioni, infatti, gli

permette di accrescere il rapporto con il passato, che avviene attraverso la

ristrutturazione di avvenimenti a lui riferibili575

. Un’importante esperienza educativa in

del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, sono

escluse garanzie a carico delle Amministrazioni Pubbliche sulle operazioni attivabili ai sensi del comma

1. 572

Cfr. ivi, pp.123-124. 573

Cfr. E. Felisatti, Progettualità, ricerca e sperimentazione nella scuola autonoma, Pensa Multimedia,

Lecce 2001, p.60. 574

Cfr. ibidem. 575

Cfr. ivi, pp.56-57.

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tale senso è rappresentata dalla partecipazione a eventi significativi della vita sociale e

della comunità. valutazioni576

.

L’itinerario educativo deve essere compiuto come una sorta di tirocinio non

forzato, che porta alla scoperta dell’altro e all’adeguamento alla sua presenza, dei suoi

modi di essere, delle sue necessità, per arrivare infine al conseguimento di una vera

capacità di cooperazione basata su condivise577

. In questo modo, il bambino potrà

potenziare le sue prime scelte e, allo stesso tempo, rinforzare la propria autostima, che

lo condurrà ad una progressiva autonomia.

In realtà c’è un altro aspetto fondamentale che deve essere attenzionato. Oggi la

scuola non deve personalizzare i suddetti percorsi formativi solo alla luce di obiettivi

formativi ed educativi da fare raggiungere agli studenti. Necessita anche la

progettazione di traguardi di competenza da raggiungere. Al termine della scuola

dell’infanzia e della scuola primaria gli insegnanti procedono, infatti, all’individuazione dei

traguardi per lo sviluppo delle competenze, attinenti i vari insegnamenti578

.

Essi indicando i percorsi culturali e didattici da verso cui muoversi, sono un riferimento

indispensabile per gli insegnanti, in quanto li sostengono nell’indirizzare l’azione

educativa alla finalità più importante: lo sviluppo globale del bambino. È stato più volte

riscontrato che nella scuola del primo ciclo tali traguardi rappresentano i parametri per

la valutazione delle competenze che devono essere raggiunte. Inoltre dalla loro

scansione temporale, emerge la loro disposizione, a garanzia dell’totalità del sistema

statale e della qualità del servizio, che viene garantito per ciascun discente579

.

Tuttavia, è vero che le scuole sono libere di organizzarsi e di stabilire l’itinerario

che ritengono più consono a che possano concedere ai bambini un eccellente

raggiungimento dei risultati, ma ne consegue che, ne diventano uniche responsabili.

Ogni campo di esperienza concede al bambino specifici vantaggi di apprendimento, ma

contribuisce contemporaneamente all’individuazione dei compiti di sviluppo che

576

Cfr. ibidem.

577 Cfr. ibidem.

578 Cfr. ivi, p.66.

579 Cfr. ivi, p.67.

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vengono considerati unitariamente per tutti i bambini, e che riguardano lo sviluppo della

loro identità, indipendenza e delle loro abilità580

.

In ultima analisi, al termine della scuola dell’infanzia, è razionale aspettarsi che

tali traguardi di competenza siano stati raggiunti. Ecco che allora ogni discente deve

aver maturato e raggiunto esperienze che ne organizzano il suo sviluppo individuale581

.

580

Cfr. ivi, pp.48-50. 581

Cfr. ivi, pp.58-60.

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Capitolo III

PROSPETTIVE PEDAGOGICHE PER UN NUOVO

PROCESSO EDUCATIVO NELLA SCUOLA DEL XXI

SECOLO

3.1. I servizi per l’infanzia: il ruolo dell’assistente sociale

La riforma del titolo V della Costituzione ha indirizzato lo Stato italiano verso

una modifica dell’assetto istituzionale. L’articolo 117 della Costituzione, decreta

l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni riguardanti i diritti civili e sociali,

che devono essere assicurati su tutto il territorio nazionale (art. 117, comma 2, lett.

m)582

.

In questo senso, si parla dei livelli essenziali delle prestazioni come strumento

di realizzazione della Politica Nazionale per i Servizi alla Prima Infanzia da lungo

tempo attesi, ma per niente concretizzati. Le politiche per l’infanzia ricoprono, nelle

582

Carta Costituzionale, Art.117: «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato [70 e segg.] e dalle

Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli

obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: a) politica estera e

rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione

giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea; b) immigrazione; c) rapporti tra la

Repubblica e le confessioni religiose; d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed

esplosivi; e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario;

sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse

finanziarie (1); f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento

europeo; g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; h)

ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; i) cittadinanza, stato civile

e anagrafi; l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa; m)

determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere

garantiti su tutto il territorio nazionale; n) norme generali sull’istruzione; o) previdenza sociale; p)

legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città

metropolitane; q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; r) pesi, misure e

determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati

dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno; s) tutela dell’ambiente,

dell’ecosistema e dei beni culturali. […]».

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147

società contemporanee un ruolo fondamentale ed assai delicato, ma ravvisare i motivi

che hanno suscitato l’interesse dell’Unione Europea, bisogna pensare che, le politiche

per l’infanzia ed i servizi socio-educativi ad esse collegati, rappresentano il punto

d’incrocio di più questioni. Possiamo avviare il discorso partendo da una breve

considerazione sull’attuale cambiamento dei sistemi di welfare europei.

In tutta Europa i sistemi di welfare non sono stati in grado di rispondere agli

emergenti bisogni, sempre più articolati ed individualizzati583

. La fragilità sociale nei

Paesi Europei è stata affrontata differentemente a seconda del carattere del sistema di

welfare, di cui vengono individuate due tipologie: familistico o defamilizzante. I sistemi

familistici che oltre l’Italia, caratterizzano anche Germania e Gran Bretagna, non

attribuiscono particolare attenzione alle politiche sociali a favore della famiglia, in

quanto la responsabilità del benessere dei suoi membri viene incaricata al nucleo

familiare. I regimi defamilizzanti tendono, invece, ad impregnarsi nei confronti delle

famiglie attraverso l’identificazione di misure, sia economiche (come ad esempio le

agevolazioni fiscali o gli assegni familiari), che assistenziali, destinate soprattutto ad

anziani e minori, che in qualche misura sono visti come soggetti bisognosi e deboli584

.

Queste trasformazioni sono conseguenti all’incapacità delle famiglie di operare

come agenzie di beni e servizi. Inoltre, l’odierno mutamento delle strutture familiari e la

rivoluzione demografica sono state depositarie delle nuove sfide dei regimi di welfare,

in quanto la diminuzione della natalità, a cui è conseguito l’aumento della vita media, ha

determinato l’invecchiamento esponenziale della popolazione. Non solo, ma è anche

gradualmente diminuito il numero dei membri della famiglia, si parla ,infatti, di

famiglia minima585

.

Sempre più coppie, difatti, o non hanno figli o al massimo preferiscono averne

uno. Ciò, ha determinato una quasi totale assenza di misure di sostegno alle

responsabilità genitoriali. In questo quadro di crescente differenziazione della famiglia,

oggi sono, infatti, sempre più ridotte le funzioni di sostegno sociale che

precedentemente erano ottemperate dalle famiglie stesse. Nel modello societario, così

583

Cfr. M. Paci, Il welfare dei cittadini. Un contributo al dibattito, Il Mulino, Bologna 2005, pp.123-126. 584

Cfr. N. Sharmahd, Ricerca educativa e servizi per l’infanzia , Edizioni Junior, Parma 2011,pp.54-59. 585

Cfr. E. Catarsi, Coordinamento pedagogico e servizi per l’infanzia, Edizioni Junior, Parma 2010, pp.

12-18.

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delineato, l’attenzione degli studiosi è, sempre più, rivolta all’analisi di dinamiche dei

servizi per la cura delle persone, in quanto, sono convinti che il welfare debba avviarsi

verso l’erogazione di servizi piuttosto che, di «trasferimenti di denaro ed assicurazioni

sociali»586

. Così, le politiche per l’infanzia ed il ruolo educativo dei servizi diviene

decisivo sia rispetto alla tendenza demografica, all’accrescimento del tasso di

occupazione delle donne, all’aumento delle disuguaglianze e della povertà, che,

all’opportunità offerta agli individui di autorealizzarsi. In Italia le iniziative a favore dei

minori, sono pochissime, tanto che non possono neanche essere riconosciute come

policy587

.

Le politiche per l’infanzia, infatti, dal punto di vista concettuale, non

corrispondono né alle misure assistenziali per l’infanzia, né alle politiche per la

famiglia. Il governo italiano ha previsto quasi esclusivamente azioni economiche quali

trasferimenti monetari e sgravi fiscali che per di più, sono mal ripartiti588

. Il problema è

che non è stato individuato un parametro definito di sostegno economico diretto alle

famiglie con i figli piccoli, cosa che invece, comincia ad avvenire in Gran Bretagna. La

Gran Bretagna, infatti, nel1997 ha predisposto una strategia nazionale per i servizi

all’infanzia (NCS)589

, grazie a cui garantisce a tutti i bambini di quattro anni

un’istruzione prescolare part-time.

In Italia, invece, i governi che si sono susseguiti dalla Riforma del Titolo V ad

oggi, non sono stati in grado d’introdurre completamente i livelli essenziali. Dal 1977,

che è stato l’ultimo anno delle risorse statali, occorrerà attendere la finanziaria del 2002

a che lo Stato s’impegni nell’ambito dei servizi all’infanzia590

. Solo grazie a questa

586

M. Mattesini, I servizi dell’infanzia. Costi, forme di gestione, innovazione, percorsi di crescita,

Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna 2008, pp.200-208. 587

Cfr. ibidem. 588

Cfr. ivi, pp.222-223. 589

La National Child Care Strategy ,varata in Gran Bretagna nel 1997, prevede la triplicazione del

numero di asili nido. Fra le misure più importanti introdotte vi è il diritto a un posto gratuito, ma a tempo

parziale, per tutti i bimbi dai 2 ai 4 anni 590

Legge 28 dicembre 2001, n. 448. Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale

dello Stato (legge finanziaria 2002), GU n.301 del 29-12-2001. Art.70: Art.70. Disposizioni in materia di

asili nido 1.È istituito un Fondo per gli asili nido nell'ambito dello stato di previsione del Ministero del

lavoro e delle politiche sociali. 2.Gli asili nido, quali strutture dirette a garantire la formazione e la

socializzazione delle bambine e dei bambini di età compresa tra i tre mesi ed i tre anni ed a sostenere le

famiglie ed i genitori, rientrano tra le competenze fondamentali dello Stato, delle regioni e degli enti

locali. 3.Entro il 30 settembre di ogni anno il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto

con il Ministro dell'economia e delle finanze, provvede con proprio decreto a ripartire tra le regioni

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legge del 2007591

viene progettato un piano di intervento per lo sviluppo dei servizi

socio-educativi, per la creazione di servizi per bambini da 0 a 3 anni. Dunque, volendo

identificare ciò che, al momento, compone il sistema integrato dei servizi educativi per

la prima infanzia, sono:

nido d’infanzia (a tempo pieno o parziale) e micro-nido: sono dei servizi

pubblici e come tale aperti a tutte le bambine e i bambini d’età compresa tra i tre

mesi e i tre anni. Il nido e il micro-nido sono aperti solo la mattina, per almeno

sei ore al giorno, e per cinque giorni la settimana, è previsto inoltre, un servizio

di mensa cosicché i bambini vi pranzino592

;

centro per bambini e genitori: è finalizzato all’accoglienza di bambini dai 0 ai 3

anni unitamente ai loro genitori. Qui, vengono offerte varie opportunità di svago

in luoghi preposti a ciò593

;

spazio gioco per bambini (età compresa da 18 a 36 mesi): è un servizio che

accoglie i bambini durante tutto l’arco della giornata, sia, quindi, di mattina che

di pomeriggio. I bambini possono soggiornarvi solo per cinque ore, non è,

infatti, previsto il servizio né di mensa, né di riposo vespertino594

;

le risorse del Fondo, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto

1997, n. 281. 4.Le regioni, nei limiti delle proprie risorse ordinarie di bilancio e di quelle aggiuntive

di cui al comma 3, provvedono a ripartire le risorse finanziarie tra i comuni, singoli o associati, che ne

fanno richiesta per la costruzione e la gestione degli asili nido nonché' di micro-nidi nei luoghi di lavoro.

5.Le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici nazionali, allo scopo di favorire la conciliazione tra

esigenze professionali e familiari dei genitori lavoratori, possono, nei limiti degli ordinari stanziamenti di

bilancio, istituire nell'ambito dei propri uffici i micro-nidi di cui al comma 4, quali strutture destinate

alla cura e all’accoglienza dei figli dei dipendenti, aventi una particolare flessibilità organizzativa

adeguata alle esigenze dei lavoratori stessi, i cui standard minimi organizzativi sono definiti in sede di

Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1991, n. 281. 6.Le spese di

partecipazione alla gestione dei micro-nidi […]. 591

Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale

dello Stato (legge finanziaria 2007), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2006 -

Supplemento ordinario n. 244. Art. 1, 2, 3, 4, 10-bis. 592

Cfr. ivi, pp.45-49. 593

Cfr. ibidem. 594

Cfr. ibidem.

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servizi e interventi educativi in contesto domiciliare: sono dei servizi educativi

forniti da personale qualificato, adibiti all’interno di abitazioni in grado di

accogliere gruppi di bambini che però non devono ancora aver compiuto i 3

anni595

.

I suddetti servizi sono finalizzati alla tutela dei diritti dei bambini, alla riduzione dei

livelli di povertà che colpiscono soprattutto i bambini e, a rispondere alle richieste del

territorio. Ma, una volta raggiunte queste finalità, è opportuno porsi una domanda:

questi servizi possono realmente risolvere i problemi di conciliazione tra famiglia e

lavoro? Ma soprattutto bisogna chiedersi se è giusto che un bambino piccolo trascorra

più ore al nido che in famiglia, solo perché i genitori lavorano entrambi.

Le odierne leggi garantiscono una serie di diritti ai genitori quali: lavori part-

time, congedi di maternità, contratti atipici nel caso di donne in gravidanza, congedi

parentali, ma occorre che vengano garantiti anche e soprattutto i diritti dei bambini. I

servizi per l’infanzia in Italia sono fondamentalmente di due livelli: i nidi con le varie

prestazioni per i bambini di età compresa tra 0 e 3anni, e anche la scuola per l’infanzia

per i bambini dai 3 ai 5anni596

.

La scuola per l’infanzia, benché non faccia parte del sistema scolastico

obbligatorio, è frequentatissima. Lo sviluppo, anche a seguito della legge n.285 del

1997597

, di vari servizi per la prima infanzia potrebbe concorrere ad un quadro più

595

Cfr. ivi, pp.50-51. 596

Cfr. ivi, p.99. 597

Legge 28 agosto 1997, n. 285, Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia

e l’adolescenza. Art. 3. (Finalità dei progetti) 1. Sono ammessi al finanziamento del Fondo di cui

all'articolo 1 i progetti che perseguono le seguenti finalità: a) realizzazione di servizi di preparazione e di

sostegno alla relazione genito re-figli, di contrasto della povertà e della violenza, nonché di misure

alternative al ricovero dei minori in istituti educativo-assistenziali, tenuto conto altresì della condizione

dei minori stranieri; b) innovazione e sperimentazione di servizi socio-educativi per la prima infanzia; c)

realizzazione di servizi ricreativi ed educativi per il tempo libero, anche nei periodi di sospensione delle

attività didattiche; […]. Art. 4. (Servizi di sostegno alla relazione genitore-figli, di contrasto della povertà

e della violenza, nonché misure alternative al ricovero dei minori in istituti educativo-assistenziali) 1. Le

finalità dei progetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a) , possono essere perseguite, in particolare,

attraverso: a) l’erogazione di un minimo vitale a favore di minori in stato di bisogno inseriti in famiglie o

affidati ad uno solo dei genitori, anche se separati; b) l’attività di informazione e di sostegno alle scelte di

maternità e paternità, facilitando l'accesso ai servizi di assistenza alla famiglia ed alla maternità di cui alla

legge 29 luglio 1975, n. 405, e successive modificazioni; c) le azioni di sostegno al minore ed ai

componenti della famiglia al fine di realizzare un'efficace azione di prevenzione delle situazioni di crisi e

di rischio psico-sociale anche mediante il potenziamento di servizi di rete per interventi domiciliari,

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favorevole di contesti sia educativi che di socializzazione. Per consentire che i servizi

per l’infanzia abbiano una loro continuità è necessario il coordinamento dei vari

operatori sociali che vi operano. Una di queste figure professionali impegnata in

quest’area, è proprio, l’Assistente Sociale598

.

L’ambito in cui opera dell’Assistente Sociale, in riferimento ai servizi per

l’infanzia, è l’Area Minori del Servizio Sociale. Le funzioni dell’assistente sociale, sono

due: la funzioni di aiuto, assistenza e sostegno nella genitorialità alle famiglie ed ai

minori, e funzioni varie relative non solo alla tutela e alla protezione, ma anche alla

vigilanza dei minori che vivono in nuclei familiari in cui i genitori non riescono a far

fronte al loro ruolo.

diurni, educativi territoriali, di sostegno alla frequenza scolastica e per quelli di pronto intervento; d) gli

affidamenti familiari sia diurni che residenziali; e) l’accoglienza temporanea di minori, anche

sieropositivi, e portatori di handicap fisico, psichico e sensoriale, in piccole comunità educativo-

riabilitative;[…]. 2. La realizzazione delle finalità di cui al presente articolo avviene mediante progetti

personalizzati integrati con le azioni previste nei piani socio-sanitari regionali. Art. 5. (Innovazione e

sperimentazione di servizi socio-educativi per la prima infanzia) 1. Le finalità dei progetti di cui

all'articolo 3, comma 1, lettera b), possono essere perseguite, in particolare, attraverso: a) servizi con

caratteristiche educative, ludiche, culturali e di aggregazione sociale per bambini da zero a tre anni, che

prevedano la presenza di genitori, familiari o adulti che quotidianamente si occupano della loro cura,

organizzati secondo criteri di flessibilità; b) servizi con caratteristiche educative e ludiche per l'assistenza

a bambini da diciotto mesi a tre anni per un tempo giornaliero non superiore alle cinque ore, privi di

servizi di mensa e di riposo pomeridiano. 2. I servizi di cui al comma 1 non sono sostitutivi degli asili

nido previsti dalla legge 6 dicembre 1971, n. 1044, e possono essere anche autorganizzati dalle famiglie,

dalle associazioni e dai gruppi. Art.6.(Servizi ricreativi ed educativi per il tempo libero) 1.Le finalità dei

progetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera c), possono essere perseguite, in particolare, attraverso il

sostegno e lo sviluppo di servizi volti a promuovere e a valorizzare la partecipazione dei minori a livello

propositivo, decisionale e gestionale in esperienze aggregative, nonché occasioni di riflessione su temi

rilevanti per la convivenza civile e lo sviluppo delle capacità di socializzazione e di inserimento nella

scuola, nella vita aggregativa e familiare. 2. I servizi di cui al comma 1 sono realizzati attraverso

operatori educativi […]. Art.7. (Azioni positive per la promozione dei diritti dell'infanzia e

dell'adolescenza) 1. Le finalità dei progetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), possono essere

perseguite, in particolare, attraverso: a) interventi che facilitano l'uso del tempo e degli spazi urbani e

naturali, rimuovono ostacoli nella mobilità, ampliano la fruizione di beni e servizi ambientali, culturali,

sociali e sportivi; b) misure orientate alla promozione della conoscenza dei diritti dell'infanzia e

dell'adolescenza presso tutta la cittadinanza ed in particolare nei confronti degli addetti a servizi di

pubblica utilità; c) misure volte a promuovere la partecipazione dei bambini e degli adolescenti alla vita

della comunità locale, anche amministrativa. Art. 8. (Servizio di informazione, promozione, consulenza,

monitoraggio e supporto tecnico) 1. Il Dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio

dei ministri attiva un servizio di informazione, di promozione, di consulenza, di monitoraggio e di

supporto tecnico per la realizzazione delle finalità della presente legge. A tali fini il Dipartimento si

avvale del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l’infanzia. 2. Il servizio svolge le seguenti

funzioni: a) provvede alla creazione di una banca dati dei progetti realizzati a favore dell'infanzia e

dell'adolescenza; b)favorisce la diffusione delle conoscenze e la qualità degli interventi; […]. 598

Cfr. A. Marra, Metodologia delle scienze sociali, Il Mulino, Bologna 2007, pp.55-59.

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152

È perciò ovvio, che in questi casi si deve immediatamente provvedere al fine di

ridurre eventuali fattori di rischio evolutivo del minore, pur in mancanza della richiesta

diretta della famiglia599

. Queste competenze affidate all’Assistente Sociale e che in

gran parte coincidono con le funzioni del servizio sociale, sono dette «di aiuto e di

controllo»600

, e non si dipanano separatamente, ma anzi, devono riferirsi allo stesso

indirizzo.

Entrambe mirano, infatti, sia all’attuazione di processi di cambiamento familiari,

al fine di responsabilizzare i genitori, e ridurre, per quanto possibile, le ragioni del

disagio, sia di sostegno al padre e alla madre al fine di responsabilizzarli allo

svolgimento dei loro ruoli genitoriali, così che, possa essere assicurato al minore, il

diritto di crescere tranquillamente nella propria famiglia601

. Muovendo da queste due

funzioni, vengono poi identificate varie aree di intervento più specifiche, nelle quali

viene affidato un ruolo all’Assistente Sociale:

- Azioni assistenziali e di sostegno alla genitorialità per famiglie e minori: sono

tutti gli interventi assistenziali, educativi, di aiuto e di sostegno, che vengono

domandati direttamente dalle famiglie. Il loro obiettivo è di assicurare al minore

la continuità della crescita nella famiglia d’origine. Esempi di questi interventi

sono: sostegno economico alle famiglie con minori, consulenza psicosociale di

supporto alla genitorialità, consulenza per l’avviamento all’uso delle risorse,

interventi di collocazione di minori in centri attivati sul territorio, assistenza per

l’accesso ai servizi, azioni sia socio-educative che individuali e di gruppo602

;

- Interventi di vigilanza e protezione dei minori: se un minore vive in una

condizione di rischio evolutivo o di sofferenza, e ciò viene segnalato al Servizio

Sociale, è dovere degli operatori psicosociali verificare la segnalazione e in caso

di esito positivo, devono redigere un progetto d’intervento a tutela del minore603

;

599

Legge 184/83, Disposizioni in materia di adozione e di affidabilità, art.9 e art.23. 600

Cfr. A. Bartolomei, A.L. Passera, L’assistente sociale, Cierre, Roma, 2011 601

Cfr. ivi, pp.66-67. 602

Cfr. ibidem. 603

Cfr. ibidem.

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153

- Inserimento in comunità educative residenziali: qualora il Tribunale dei Minori

emana un provvedimento di collocamento extra-familiare, che è solitamente in

comunità, viene eseguito dal Servizio Sociale. Questo avviene nei casi non

essendo possibile l’affido familiare, e il minore vive una situazione familiare da

cui potrebbe scaturire un pregiudizio per la crescita del minore. L’inserimento

in questa comunità residenziale è curato dall’Assistente Sociale604

;

- Affido familiare di minori: qui il ruolo dell’Assistente sociale è duplice in

quanto per un verso accompagna sia la famiglia affidataria, che il minore nella

sua famiglia d’origine, durante tutto il percorso dell’affido. Questo, prevede

diversi interventi: di identificazione e conseguentemente reperimento delle

famiglie affidatarie, che devono essere formate all’accoglienza di un minore,

(istruttoria per l’affido); realizzazione del progetto, caratterizzato dall’ingresso

del bambino ad nella famiglia affidataria, a questo punto l’assistente sociale

deve affiancare e sostenere sia la famiglia d'origine e la famiglia affidataria; che

il bambino in affido605

;

- Interventi connessi all’adozione: l’Assistente Sociale svolge ha un proprio ruolo

anche in riferimento agli interventi previsti per legge606

per tutte le coppie che

vogliono adottare un bambino e che presentano la domanda di adozione presso il

Tribunale dei Minorenni. Il processo che culmina con l’adozione, è piuttosto

604

Cfr. ivi, pp.60-67. 605

Cfr. ibidem. 606

Legge149/2001, Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori. TITOLO II,

AFFIDAMENTO DEL MINORE Art.2. 1. All’articolo 2 della legge n. 184 sono premesse le seguenti

parole: «Titolo I-bis. Dell’affidamento del minore». 2. L’articolo 2 della legge 184 è sostituito dal

seguente: «Art. 2.- 1.Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli

interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell'articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente

con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione,

l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno». 2. Ove non sia possibile l'affidamento nei

termini di cui al comma 1, è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in

mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più

vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore a

sei anni l’inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare. 3. In caso di necessità e

urgenza l’affidamento può essere disposto anche senza porre in essere gli interventi di cui all’articolo 1,

commi 2 e 3. 4. Il ricovero in istituto deve essere superato entro il 31 dicembre 2006 mediante

affidamento ad una famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante inserimento in comunità di tipo

familiare caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia. 5.

Le regioni, nell’ambito delle proprie competenze e sulla base di criteri stabiliti dalla Conferenza

permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano,

definiscono gli standard minimi dei servizi e dell'assistenza che devono essere forniti dalle comunità di

tipo familiare e dagli istituti e verificano periodicamente il rispetto dei medesimi.

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lungo e prevede diversi momenti, compito del servizio sciale è d’informare

entrambe le famiglie sulla normativa e sui primi aspetti di questa esperienza, le

coppie grazie a dei corsi svolti dall’assistente sociale e dalla psicologa, che

solitamente si svolgono presso i consultori familiari, sono finalizzati alla

preparazione delle coppie, l’Assistente Sociale si occupa anche dell’indagine

socio-psicologica che termina con una valutazione psicosociale sull’idoneità o

non idoneità della coppia candidata all’adozione; ma l’assistente sociale ha

anche il compito di vigilare e sostenere, attraverso incontri prestabiliti, durante

tutto il primo anno di ingresso del bambino nella nuova famiglia, sia il minore

che le famiglie (affidante e affidataria)607

;

- Interventi relativi ai minori denunciati ai sensi del DPR 448/88608

Si tratta di minori che hanno commesso reati di vario genere e che per questo

sono stati segnalati dalla magistratura minorile.

Il Servizio Sociale interviene qualora Procura minorile gli richiede l’indagine

psicosociale finalizzata all’individualizzazione di percorsi educativi diversi da

quelli penali. Sono le indagini fatte dall’assistente sociale e dalla psicologa, che

hanno monitorato l’ambiente socio-familiare in cui risiede il minore, la sua

personalità e il suo rapporto con l’ambito sociale in cui vive. L’obiettivo è la

costruzione di un progetto di aiuto in cui minore e famiglia sono coinvolti

attivamente. Questa valutazione psicosociale consente al giudice di ottenere

informazioni di cui in sede dibattimentale terrà conto609

.

- Interventi connessi alla separazione: Nei confronti della problematica inerente

la separazione coniugale l’Assistente Sociale opera su richiesta del Tribunale

ordinario o del tribunale per i minorenni, soprattutto in riferimento ai casi di

separazione conflittuale di genitori, che non riescono a trovare un accordo

sull’affidamento. Gli operatori, con cui collabora l’Assistente sociale, sono

preposti allo svolgimento dell’indagine psicosociale sui genitori, sul loro

607

Cfr. ibidem. 608

Decreto del Presidente della Repubblica 22.09.1988, n° 448, Approvazione delle disposizioni sul

processo penale a carico di imputati minorenni. Art.6. Servizi minorili. 1. In ogni stato e grado del

procedimento l’autorità giudiziaria si avvale dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia. Si

avvale altresì dei servizi di assistenza istituiti dagli enti locali. 609

Cfr. ivi, pp.68-70.

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155

rapporto. A conclusione dell’indagine gli operatori inoltrano la relazione al

giudice.610

.

Gli assistenti sociali dell’area socio-pedagogica del Distretto Sociale, grazie ai

periodici incontri con il minore e la famiglia, che mirano alla raccolta di dati,

individuano l’ambito di vita del minore, ossia, la sua situazione familiare, la rete sociale

di cui dispone o può disporre, la sua salute psico-fisica, e in seguito, anche i problemi da

affrontare. In un secondo momento, dopo aver esaminato la situazione, compete

all’assistente sociale la proposizione di nuove soluzioni611

.

L’intervento di questa figura professionale può essere richiesto dal minore

stesso, o dalla famiglia, ma anche dai cittadini e da altri servizi pubblici o privati, o

ancora dal Tribunale. Nel caso di particolari situazioni problematiche, il distretto su

commissione o in partecipazione con altre istituzioni, può anche servirsi di

provvedimenti speciali. Ella, collabora, infatti, direttamente sia con l’Autorità

Giudiziaria che con il Tribunale per i Minorenni e la Procura presso il Tribunale per i

Minorenni per i quali fa studi socio-ambientali612

.

610

Cfr. ibidem. 611

Cfr. ivi, pp.129-133. 612

Cfr. ivi, p.130.

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156

3.2. Il “nido” e la nuova scuola dell’infanzia

Nel secolo scorso lo Stato italiano era quasi del tutto indifferente alla condizione

del minore, che veniva visto dalla società, come un “piccolo adulto”. Per cui lo Stato

non si interessava della creazione di istituti per bambini, in quanto, erano gli enti

religiosi e privati che, a partire dall’800, si occuparono dell’infanzia613

. I primi asili

nascono conseguentemente alla situazione culturale ed economica avviatasi in Italia nel

corso degli anni Sessanta. È il periodo in cui le donne cominciarono ad inserirsi nel

mondo del lavoro, e ciò determinò altresì, un’espansione della richiesta di servizi sociali

rivolti ai minori. Non solo, le donne, cominciarono ad identificare la qualità sociale

della loro condizione di madri e per questo reclamavano l’avviamento di servizi che

tutelassero i loro figli, soprattutto nel caso di madri lavoratrici. Solo in epoche recenti

possiamo affermare che, la scuola dell’infanzia, superata la primitiva impronta

idealistica, oggi sta acquisendo sempre più una nuova identità pedagogica, alla base

anche, di una rinnovata immagine sociale. A ciò ha indubbiamente contribuito

l’emanazione degli Orientamenti del 1991614

, che tuttavia, nonostante le proposte

innovative, non verranno attuati, si dovrà aspettare una legge di riforma degli

Ordinamenti che vada oltre la legge del ’68, istitutiva della scuola materna615

.

Negli anni Novanta del XX secolo, studi innovativi dimostravano che l’ambiente

familiare e sociale aveva un ruolo determinate per la crescita del fanciullo. Così, il

bambino per poter crescere e svilupparsi in maniera sana ed equilibrata, secondo gli

studi svolti, doveva vivere in condizioni familiari e luoghi idonei; il bambino aveva,

dunque, bisogno di strutture adatte. La nascita in Italia dell’asilo nido è alquanto

613Cfr. L. Corradini, Educazione alla convivenza civile. Educare, istruire, formare nella scuola italiana,

Armando, Roma 2003, p.11. 614

Decreto Ministeriale 3 giugno 1991, Orientamenti dell'attività educativa nelle scuole materne statali. 615

L.18 marzo 1968, n. 444, Ordinamento della scuola materna statale, (GU n.103 del 22-4-1968 ). Art.

1.Caratteri e finalità della scuola materna statale. La scuola materna statale, che accoglie i bambini

nell’età prescolastica da tre a sei anni, è disciplinata dalle norme della presente legge. Detta scuola si

propone fini di educazione, di sviluppo della personalità infantile, di assistenza e di preparazione

alla frequenza della scuola dell’obbligo, integrando l’opera della famiglia. L’iscrizione è facoltativa;

la frequenza gratuita.

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157

contemporanea, il riferimento è alla legge 1044/1971616

, che però si occupava solo dei

nidi comunali, e per di più ne assegnava l’intera gestione alle Regioni. I servizi previsti

per i bambini che rientravano nella fascia d’età compresa tra 0-3 anni, fornivano un

ambiente e degli spazi gioco inclini ad un corretto sviluppo.

Erano stati sviluppati dei servizi educativi, progettati e programmati

deliberatamente come luoghi atti a che potesse essere assicurato un intervento

confacente ai casi di carenze personali, le cui cause potevano scaturire o dall’ambiente

socio-educativo, o da quello familiare. Grazie all’avvio di questi servizi le mamme

potevano continuare il loro lavoro, nonostante la loro esperienza materna. In tempi

ancora più recenti, sono state poi, promulgate due importantissime leggi promotrici

delle trasformazioni avviatesi, e che hanno dato l’avvio alla nascita di moderne

richieste: la legge quadro 328/2000617

per la realizzazione del sistema integrato di

interventi e servizi sociali, e la legge 8 marzo 2000 n. 53 riguardante Disposizioni per il

sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione, e

616

L. 6 dicembre 1971, n. 1044 (GU n.316 del 15-12-1971), Piano quinquennale per l’istituzione di asili-

nido comunali con il concorso dello Stato. Art. 1. L’assistenza negli asili-nido ai bambini di età fino a

tre anni, nel quadro di una politica per la famiglia, costituisce un servizio sociale di interesse pubblico.

Gli asili-nido hanno lo scopo di provvedere alla temporanea custodia dei bambini, per assicurare

una adeguata assistenza alla famiglia e anche per facilitare lo accesso della donna al lavoro nel quadro di

un completo sistema di sicurezza sociale. Al fine di realizzare, nel quinquennio 1972-76, la costruzione e

la gestione di almeno 3.800 asili-nido, lo Stato assegna alle regioni fondi speciali per la concessione di

contributi in denaro ai comuni. I contributi sono di due tipi. […]. Art. 2. Ai fini di cui alla presente

legge è istituito uno speciale fondo per gli asili nido, iscritto in apposito capitolo dello stato di previsione

della spesa del Ministero della sanità. Il fondo viene ripartito dal Ministro per la sanità tra le regioni entro

il mese di febbraio di ogni anno, sulla base dei criteri previsti dall'art. 8 della legge 16 maggio 1970, n.

281, relativa ai provvedimenti finanziari per l'attuazione delle regioni a statuto ordinario. Le somme non

impegnate in un esercizio possono esserlo negli anni successivi. Art. 3. Il Ministero della sanità verifica lo

stato di attuazione dei piani annuali degli asili nido. Art. 4. Per la costruzione e la gestione di asili nido i

comuni o consorzi di comuni possono richiedere l’erogazione dei contributi di cui alla presente legge

inoltrando domanda alla regione entro il 30 aprile di ogni anno, secondo le norme stabilite dalla regione

stessa. Art. 5. Le regioni sulla base delle richieste avanzate dai comuni e dai consorzi di comuni

elaborano il piano annuale degli asili-nido fissando le priorità di intervento e le norme e i tempi di

attuazione. Il piano regionale è trasmesso al Ministero della sanità entro il 31 ottobre di ogni anno. Art. 6.

La regione, con proprie norme legislative, fissa i criteri generali per la costruzione, la gestione e il

controllo degli asili nido, tenendo presente che essi devono: 1) essere realizzati in modo da rispondere, sia

per localizzazione sia per modalità di funzionamento, alle esigenze delle famiglie; 2) essere gestiti con la

partecipazione delle famiglie e delle rappresentanze delle formazioni sociali organizzate nel territorio; 3)

essere dotati di personale qualificato sufficiente ed idoneo a garantire l’assistenza sanitaria e psico-

pedagogica del bambino; 4) possedere requisiti tecnici, edilizi ed organizzativi tali da garantire

l’armonico sviluppo del bambino. Art. 7. La vigilanza igienica e sanitaria è affidata alle unità sanitarie

locali ed in via transitoria, fino all'istituzione di queste ultime, all’ufficiale sanitario del comune dove ha

sede l’asilo nido. 617

Legge 8 novembre 2000, n. 328, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi

e servizi sociali (G.U. n. 265 del 13 novembre 2000 - Supplemento ordinario n. 186).

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158

per il coordinamento dei tempi delle città618

. Quello che qui diventa importante

sottolineare è, come i mutamenti che nel corso degli anni hanno caratterizzato la società,

hanno determinato il passaggio dall’asilo nido alla scuola dell’infanzia, identificandoli

come due momenti formativi differenti.

A questo punto bisognerà chiarire cosa s’intende per asilo nido e cosa per scuola

dell’infanzia. Parliamo dell’ asilo nido nei termini di una organismo educativo che

anticipa l’ingresso alla scuola materna (oggi preferiamo indicarlo come scuola

dell’infanzia), destinato ai bambini che rientrano nella fascia d’età dai 3 mesi ai 3 anni.

Volendo fare una breve digressione, ci rendiamo subito conto che, s’iniziò a

parlare di asili nido (e scuole per l’infanzia) nel XVIII secolo. La prima sperimentazione

è stata attribuita a colui che può essere definito il “padre delle riforme sociali”, Robert

Owen; il quale istituì la scuola per l’infanzia, in Scozia, a New Lanark619

. In Germania

Froebel aveva fondato, invece, la scuola di giochi ed attività nota come

Kindergarten620

.

In Italia, il primo asilo d’infanzia viene istituito a Cremona nel 1828 da Ferrante

Aporti ma prevedeva una retta mensile, era cioè a pagamento, mentre nel 1830 fu creata

la prima Scuola d’infanzia, gratuita, sovvenzionata dal governo. Vent’anni dopo, a

Milano, fu costituito il primo ricovero per lattanti, grazie alla caparbietà di ad alcune

famiglie abbienti della zona che lo finanziarono621

. Ma è solo nei primi anni del ‘900

che si scorge una discreta iniziativa pubblica, infatti, solo nel 1925, su iniziativa del

governo fascista venne fondata l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia622

, che puntava

618

Legge 8 marzo 2000, n. 53, Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto

alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città, (Gazzetta Ufficiale n. 60 del 13

marzo 2000). Art.2 1. (Finalità).1. La presente legge promuove un equilibrio tra tempi di lavoro, di cura,

di formazione e di relazione, mediante: a) l’istituzione dei congedi dei genitori e l’estensione del sostegno

ai genitori di soggetti portatori di handicap; b) l’istituzione del congedo per la formazione continua e

l’estensione dei congedi per la formazione; c) il coordinamento dei tempi di funzionamento delle città e

la promozione dell'uso del tempo per fini di solidarietà sociale. 619

Cfr. ivi, pp.91-94. 620

Cfr. ivi, p.39. 621

Cfr. ivi, pp.55-59. 622

L’ONMI, Opera Nazionale Maternità e Infanzia, è stato un ente assistenziale italiano fondato nel

1925, un ente parastatale specificatamente finalizzato all'assistenza sociale della maternità e dell'infanzia.

Nel novembre del 1925, poco prima della sua fondazione, un disegno di legge stabilisce che l'Onmi debba

regolare questioni attinenti all’infanzia, quali: «la protezione e l’assistenza della maternità, la protezione

dell’allattamento materno, la repressione degli abusi della patria potestà, la protezione sociale del

fanciullo nella vita, la protezione degli abusi e dei delitti contro l’infanzia, l’educazione dei fanciulli

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alla tutela della famiglia e all’incremento del tasso di natalità. Tuttavia, il periodo in

questione era retto dal regime fascista, che di fatti, conformemente ai suoi ideali,

tendeva ad escludere le donne dal mondo del lavoro, perché esse dovevano dedicarsi

unicamente alla maternità, così da incrementare la popolazione. Nonostante ciò, l’Opera

promuoveva comunque, la divulgazione di apprendimenti scientifici riguardo alla

pedagogia, ma la grande novità era l’istituzione all’interno delle fabbriche degli asili

nido, per le madri lavoratrici, in maniera tale da supportarle nella loro condizione di

disagio e bisogno.

Ma è solo con la legge 1044/71623

che si comincerà ad intendere l’asilo nido,

secondo la terminologia di oggi, essa lo individua, infatti, come un servizio sociale di

interesse pubblico, pur rimanendo ancora meramente assistenzialistico. Solo

recentemente si parla del nido come istituzione di carattere assistenziale ed educativo,

che in qualche modo cerca di rispondere alle richieste della società odierna. Sappiamo

bene che le madri lavoratrici, pur avendo il diritto al concedo per maternità, durante il

primo anno di vita del bambino, in realtà, spesso, non riescono a gestirsi, ed ecco che

allora diventa utile il nido che lo aiuta venendogli incontro. Il nido accoglie, infatti,

bambini che hanno un’età compresa tra i tre mesi ai tre anni624

.

Gli obiettivi dell’asilo nido sono principalmente tre: 1.1. educativo, in quanto gli

operatori redigono un Progetto Educativo inerente le attività che verranno svolte, tutte,

mirate al soddisfacimento dei bisogni dei bambini. Il tutto, tenendo conto dei loro

tempi di crescita. Possiamo sostenere che è, dunque, un aiuto educativo che viene

offerto ai genitori, durante la crescita dei loro piccoli; 1.2. sociale, in quanto offre ai

bambini la possibilità di inserirsi in nuovi contesti e di relazionarsi con altri bambini

all’interno di grandi spazi idonei alla socializzazione e al gioco; 1.3. culturale, in quanto

fondamentalmente forma i bambini alla condivisione delle diversità, e ne favorisce la

cultura dei loro diritti625

.

anormali […]». Per quanto riguarda la donna, l’attenzione avrebbe dovuto concentrarsi su: «le funzioni

della maternità: la gravidanza, il parto, l’allattamento, e l’infanzia la quale non si limita al tempo

dell’allattamento e al secondo anno di vita, come si crede, ma si estende agli anni successivi all’età

prescolastica e scolastica sino alla pubertà […]». 623

Cfr. ibidem. 624

Cfr. ivi, pp.55-58. 625

L. Milani, Competenza pedagogica e progettualità educativa, cit., p.77.

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160

Gli asili generalmente sono edificati in strutture, ove possibile, mono piano, con

dimensioni tali da accogliere non più di sessanta bambini, e sono realizzati su ampie

zone autonome in cui vi sia un’ampia area verde. Ogni spazio nella struttura ha una

specifica funzione prevista nel progetto educativo. Il vano d’ingresso ha una duplice

funzione: di accoglienza (anche per i genitori) e di filtro, a che il distacco sia il più

“soft” possibile. All’interno del nido i bambini sono raggruppati in sezioni, per

consentirgli una maggiore socializzazione; gli spazi generali di servizio, sono invece,

per gli operatori ed i genitori; ed infine le aree esterne, costituiscono i luoghi di ritrovo e

svago tra tutti i bambini delle varie sezioni626

.

Le sezioni sono l’animo del nido e solitamente comprendono: nell’area

principale lo spazio per il gioco e le attività, e in un’altra, lo spazio per lo svolgimento

di attività tranquille e il riposo. Nella misura in cui ciò sia possibile, è opportuno che

ogni sezione sia adiacente alle aree esterne, a cui accedere per mezzo di grandi

vetrate627

.

La scuola dell’infanzia che, abitualmente, viene riconosciuta come scuola

materna, è indirizza, invece, ai bambini di 3-6 anni, in cui chiaramente il progetto

educativo sarà adattato alle loro esigenze. Questa può essere statale, ma anche

organizzata da diversi soggetti quali: associazioni locali, organizzazioni religiose o

privati. La scuola dell’infanzia pubblica, pur conservando la discrezionalità

dell’iscrizione, è sita all’interno degli istituti comprensivi628

.

Partendo dalla storia della scuola dell’infanzia possiamo scoprire che ruolo le

viene attribuito oggi. La scuola dell’infanzia si rifà agli enti assistenzialistici che un

tempo erano promossi dagli Ordini religiosi, dai Comuni o dai privati. Nel Regio

Decreto n.1054 del 6 maggio 1923629

all’art. 57, viene fatto un accenno ai giardini

626

Cfr. ivi, p.22. 627

Cfr. ibidem. 628

Cfr. ivi, pp.82-85. 629

Regio Decreto 6 maggio 1923, n. 1054 (in G.U. 2 giugno 1923, n. 129), Ordinamento della istruzione

media e dei convitti nazionali. TITOLO I Dell'istruzione media. Capo I - Delle scuole in genere e dello

stato dei presidi e dei professori. Art. 1.-Gli istituti medi di istruzione sono di primo e di secondo grado.

Sono di primo grado: la scuola complementare, il ginnasio, il corso inferiore dell’istituto tecnico, il corso

inferiore dell'istituto magistrale; sono di secondo grado: il liceo, il corso superiore dell’istituto tecnico, il

corso superiore dell'istituto magistrale, il liceo scientifico, il liceo femminile. Art. 2.-Nessuna nuova

scuola media, eccettuata la scuola complementare, può essere istituita se non per legge, salvo il caso di

trasformazioni o di regificazioni e salvo, per quanto riguardagli istituti magistrali, il disposto di cui all'art.

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161

d’infanzia e alle case dei bambini, concepite contigue agli istituti magistrali. Tuttavia

però la gestione non era mai del tutto affidata allo Stato. Solo in seguito con la legge

444/68630

la scuola materna avrà un’organizzazione statale, ed, inoltre, con la diffusione

degli Orientamenti per scuola materna, avvenuta esattamente un anno dopo, verrà

uniformata a livello nazionale631

. Ma sarà solo nel 1991, con la pubblicazione dei Nuovi

Orientamenti, che avverrà il passaggio dalla Scuola dell'infanzia alla scuola materna.

Tale scuola è della durata di tre anni, non è un percorso obbligatorio, ma

rilevante. Questa momento di scuola è contraddistinto, infatti, da momenti di gioco e

condivisione con gli altri alunni, i bambini vivono, infatti, esperienze tangibili e

apprendono le varie sfaccettature della vita, che li prepareranno all’inserimento nella

scuola primaria632

. Ordinariamente, la scuola dell’infanzia è suddivisa in tre sezioni

corrispondenti a definite fasce d’età: i piccoli frequentano il primo anno, i mezzani il

secondo, ed infine, i grandi il terzo. Tuttavia può essere proposto un modello diverso,

ad esempio di sezioni miste, che accolgono, cioè, bambini di 3, 4 e 5 anni633

.

58 del presente decreto, per i licei scientifici il disposto dell’art. 64, e per i licei femminili il disposto

dell’art. 69. […]. Capo V- Dell’Istruzione magistrale. Art.53.- L’istruzione magistrale ha per fine di

preparare gli insegnanti delle scuole elementari. È impartita negli istituti magistrali. L’istituto

magistrale è di sette anni: i primi quattro costituiscono il corso inferiore, gli altri tre quello superiore. Art.

54.-Nel corso inferiore si insegnano: lingua italiana, lingua latina, dal secondo anno storia e geografia;

matematica; una lingua straniera; disegno; elementi di musica e canto corale; studio di uno strumento

musicale. Art. 55.-Nel corso superiore si insegnano: lingua e lettere italiane; lingua e lettere latine e

storia; filosofia e pedagogia; matematica e fisica; scienze naturali, geografia ed igiene; disegno; elementi

di musica e canto corale; studio di uno strumento musicale. Art. 56.-Ogni istituto magistrale ha per i primi

quattro anni due corsi completi di classi; per gli altri tre un solo corso. In non più di quaranta istituti può

istituirsi un terzo corso completo nei primi quattro anni, un secondo corso completo negli altri tre. Nelle

sedi in cui esista un liceo femminile è consentita la formazione di un quarto corso completo nelle prime

quattro classi dell'istituto magistrale e di un terzo corso completo per gli altri tre anni. È vietata

l’istituzione di classi aggiunte oltre i corsi completi. Art. 57.-Ad ogni istituto magistrale è ammesso un

giardino di infanzia o una casa dei bambini. 630

L.18 marzo 1968, n. 444(GU n.103 del 22-4-1968), Ordinamento della scuola materna statale. Art.

1.(Caratteri e finalità della scuola materna statale) La scuola materna statale, che accoglie i bambini

nell’età prescolastica da tre a sei anni, è disciplinata dalle norme della presente legge. Detta scuola si

propone fini di educazione, di sviluppo della personalità infantile, di assistenza e di preparazione

alla frequenza della scuola dell'obbligo, integrando l’opera della famiglia. L’iscrizione è facoltativa;

la frequenza gratuita. Art. 2. (Orientamenti dell’attività educativa) Gli orientamenti dell’attività educativa

nelle scuole materne statali sono emanati, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del

Ministro per la pubblica istruzione, sentita la terza sezione del Consiglio superiore della pubblica

istruzione, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge. È garantita ad ogni insegnante piena

libertà didattica nell’ambito degli orientamenti educativi previsti dal precedente comma. […]. 631

Cfr. R. Conversano, Efficacia dell’uso delle tecnologie nel processo di insegnamento apprendimento,

Didamatica, Rimini 2005, pp.48-53. 632

Cfr. ivi, pp.129-133. 633

Cfr. ibidem.

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162

Le attività proposte in questa scuola sono finalizzate al raggiungimento di una

serie di obiettivi a cui pervenire nel corso dei tre anni. Saranno le Indicazioni Nazionali

per la scuola dell’infanzia634

che nel 2007, definiranno tali obiettivi, tra cui vi sono:

l’acquisizione della consapevolezza del sé e dell’altro, il senso morale, la quotidianità

del vivere insieme, la scoperta della propria identità e del proprio corpo, i linguaggi, la

creatività, l’espressione attraverso la gestualità, l’arte, la musica, la comprensione del

mondo in riferimento allo spazio, al tempo e alla natura, nonché la comunicazione

attraverso l’uso della lingua, dei discorsi e delle parole635

. Da sempre le due tipologie di

scuola sono state intese, come percorsi educativi separati. Molte variabili ne connotano

la diversità: una non è obbligatoria, l’altra si, una destinata a bambini di fasce d’età

inferiori, l’altra superiori, una utilizza una didattica, l’altra un’altra.

Tutto questo però è cambiato, oggi infatti, si parla di continuità educativa nido-

scuola dell’infanzia. L’obiettivo finale resta comunque la crescita e la formazione del

bambino, ma perché ciò avvenga, dato che tra i due servizi vi sono delle differenze,

sono previsti dei sistemi progettuali idonei che le supportino a diversi livelli: formativo-

educativo, didattico, produttivo ma anche istituzionale. I responsabili dei due servizi,

educatori del nido ed insegnanti della scuola dell’infanzia, devono agire con intesa e

collaborazione, tra loro deve esservi, infatti, sia confronto che condivisione636

.

Un altro aspetto fondamentale riguarda la partecipazione al processo educativo

delle famiglie, che devono essere coinvolte il più possibile, sia alle attività, che alle

nuove esperienze proposte ai bambini.

Al fine di comprendere meglio il significato di continuità educativa si rendono

necessarie alcune precisazioni. Quando si discute di educazione, il termine continuità

viene utilizzato assiduamente. Ma per riflettere sulla continuità educativa e quindi la

634

Dipartimento per l’Istruzione Direzione Generale per gli Ordinamenti del Sistema Nazionale di

Istruzione e per l’Autonomia Scolastica, Circolare Ministeriale 22 aprile 2008, n. 45. Nel corrente anno

scolastico 2007-2008 è stata avviata la prima attuazione delle Indicazioni per il curricolo per la scuola

dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione, allegate al DM 31-7-2007. Tali Indicazioni sono state

oggetto di una prima graduale attuazione nei primi mesi del corrente anno scolastico, secondo le

istruzioni fornite dalla Direttiva n. 68 del 3-8-2007, mentre con la nota ministeriale del 31-1-2008 è stata

avviata una fase di confronto che dovrebbe condurre le scuole, nella seconda metà del corrente anno

scolastico, a sintonizzare i Piani dell’offerta formativa del prossimo anno scolastico con dette Indicazioni.

[…] 635

Cfr. ivi, pp.78-82. 636

Cfr. M.Polito, Attivare le risorse del gruppo classe, Erickson, Trento 2000, pp. 58-61.

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163

diversità dei servizi zero-sei anni necessita una piccola regressione, che parte da una

domanda sulla quale bisognerebbe riflettere: “Per quale motivo è fondamentale per la

crescita del bambino che i servizi siano in continuità tra loro?”637

e ancora, “Perché è

necessario che l’infante non s’imbatta nella difformità tra il nido e la scuola

dell’infanzia?”638

Una possibile risposta sembra possibile nell’individuazione

dell’ambito pedagogico. L’ambiente in cui il bambino deve crescere è importantissimo,

ed ecco allora perché deve esserci “continuità” tra i differenti luoghi in cui il bambino

trascorre la maggior parte del suo tempo. Se la diversità tra i contesti non è eccessiva,

ma anzi, possono essere relazionati tra loro, il bambino percepisce questo passaggio

dall’una all’altra come positivo639

.

È infatti, attraverso tecniche graduali di familiarizzazione all’inizio di quello che

viene definito come un percorso di vicendevole conoscenza che va dalle visite dei bimbi

dell’ultimo anno del nido alla scuola dell’infanzia referenti, ad incontri mirati

all’individuazione degli interessi dei bambini del nido, cioè, cosa realmente li

incuriosisce, ad esempio, quali sono i giochi, come si gioca, chi e quante sono le

maestre, come e dove si va a fare pipì, e la condivisione di momenti di routine, come il

pranzo e le varie attività che vengono svolte all’interno, ma anche e soprattutto lo

scambio di indicazioni fra educatori ed insegnanti. Ebbene, tutte le suddette azioni

cercano di creare proprio la continuità di cui tanto si parla, il cui fine è rendere al

bambino, l’ingresso nella futura scuola, quanto più familiare possibile640

.

In realtà in Italia si era già cominciato a parlare di continuità educativa agli inizi

degli anni Ottanta. In quegli anni si ricordano, infatti, delle esperienze che scaturirono

dalla determinazione di alcune delle insegnanti del nido e della scuola dell’infanzia,

coscienti e interessate alle problematiche dei bambini, che volevano offrire loro la

possibilità di un percorso comune, volto a facilitare tale passaggio sia ai bambini che

alle rispettive famiglie. La continuità educativa è parte dei progetti pedagogici di

637

Cfr. ivi, p.47. 638

Cfr. ibidem. 639

Cfr. ivi, p.170. 640

Cfr. ivi, pp.67-72.

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ambedue i servizi, ed è anzi, la parte più importante del programma; nonostante ciò,

ciascuna istituzione mantiene la propria identità pedagogica641

.

Oggi possiamo constatare il raggiungimento della continuità educativa, anche se

ancora tanto deve essere fatto, ma questi timidi risultati sono stati raggiunti, grazie

all’impegno di alcune insegnanti che si sono impegnate nell’attuazione di progetti in

itinere. Tali progetti, anche se diversi di struttura in struttura, sono accomunati dal fatto

che oltre alle esperienze pratiche, prevedono degli incontri di condivisione e riflessione

comune sulle pratiche e sugli orientamenti pedagogici, che diventano l’elemento di

confronto.

Risulta importante la valorizzazione dei primi tre anni di vita del bambino, in

quanto fondamentali per la costruzione della sua personalità: il “fare” del bambino, la

disposizione degli spazi e l’instaurazione di una relazione idonea con le famiglie642

.Gli

strumenti pedagogici utilizzati sono comuni a tutti i nidi e a tutte le scuole dell’infanzia

impegnate nello stesso progetto, con particolare attenzione alle attività da condividere,

che vengono intercalate nella programmazione a seconda delle caratteristiche

pedagogiche dei due istituti. Ma tale continuità non deve essere intesa come mera

trasmissione di informazioni, essa rappresenta un reale progetto educativo finalizzato

alla crescita del bambino643

.

I bambini che terminano il nido sono implicati, insieme alle loro famiglie, nel

progetto di continuità educativa che è stato creato dagli educatori e dagli insegnanti dei

due corsi educativi644

. Il progetto del passaggio evolutivo, attraverso il vissuto di

esperienze comuni e l’organizzazione di momenti di ritrovo e scoperta, hanno una

finalità ben precisa: incoraggiare un clima di accoglienza e interesse verso il nuovo

ambiente in cui andranno645

una volta terminato il primo ciclo educativo. Solo il

coordinamento stabile fra le due strutture consente la condivisione delle esperienze

641

Cfr. ibidem. 642

Cfr. ivi, pp.124-126. 643

Cfr. ivi, p.56. 644

Cfr. N.Postman, La scomparsa dell’infanzia. Ecologia dell’età educativa , Armando, Roma 1991,

pp.45-49. 645

Cfr. ivi, pp.77-81.

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compiute, ed offre a tutti i bambini che seguono questo percorso educativo (e alle loro

famiglie), le medesime opportunità educative646

.

Il progetto pedagogico sia della scuola dell’infanzia che del nido tendono a

garantire tale continuità educativa al fine di concedere ai bambini e alle loro famiglie

una continuazione del percorso educativo già fatto. Questo secondo educatori ed

insegnanti è ciò che permetterà un modifica progressiva in cui la base delle nuove

esperienze devono essere le scoperte fatte647

. È importante però sottolineare che, quando

si parla continuità educativa, questa deve caratterizzare anche il percorso curricolare, in

cui l’orientamento pedagogico è comune648

.

Il problema è che però, tra gli educatori dei nidi e gli insegnanti della scuola

dell’infanzia, viene avvertita una certa discontinuità, in quanto hanno una prospettiva

diversa di guardare il bambino, diverse metodologie d’apprendimento e differenti

rapporti educativi. È, quindi, un problema di cultura, di difformità, attinenti le idee del

bambino che definiscono i due ambiti.

Sono fondamentalmente queste le diversità che emergono tra il nido e la scuola

dell’infanzia: da una parte ci si rivolge al bambino affettivo e dall’altra al bambino

socio-cognitivo; nel primo istituto viene sostenuta l’interazione individuale ed esclusiva

con l’adulto, nella seconda si punta all’autonomia socio-affettiva dall’adulto e alla

socializzazione. Da una parte vi è l’idea che la conoscenza è una scoperta che deriva

dall’esplorazione del mondo da parte del bambino in cui l’adulto non deve intervenire

per non danneggiarne la naturalezza, dall’altra quella di un’acquisizione di nuove

esperienze che, pur essendo individuali e spontanee, necessitano dell’intervento

dell’adulto per poter essere attuate649

.

Gli educatori del nido solitamente identificano tale discontinuità culturale,

quando discutono infatti, della scuola dell’infanzia ne parlano come di una scuola

troppo poco attenta alla profondità del bambino e troppo orientata, invece,

all’istruzione, al rispetto delle regole, e a direzionare tutte le esperienze che potrebbero

646

Cfr. ibidem. 647

Cfr. ivi, pp.91-99. 648

Cfr. ivi, p.150. 649

Cfr. ibidem.

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essere naturali, prefissandole. Certamente si deve anche tener conto che,

numericamente, la scuola dell’infanzia è molto più frequentata del nido650

.

Le insegnanti della scuola dell’infanzia, invece, pur avvertendo tale

discontinuità, individuano il nido come « il luogo degli angoli morbidi e intimi, dei

piccoli numeri, dei pianti da consolare maternamente, delle pappe da dare e delle

cacche da pulire »651

. Il bambino piccolo è, dunque, secondo loro incapace di essere

autonomo, di controllare le proprie emozioni. La genericità di queste intuizioni viene

attribuita alla poca consapevolezza che queste insegnanti hanno del nido, di quale sia la

sua organizzazione, la cultura pedagogica, ma soprattutto quali sono le attività o le

pratiche che vengono svolte al suo interno652

.

Tante volte, infatti, la contiguità che le insegnanti della scuola dell’infanzia

hanno con il nido si circoscrive alle visite che sono state fatte, ma solo perché previste

dai progetti sulla continuità educativa. Ecco che allora tale discontinuità è

principalmente culturale. E’ una discontinuità tra concetti che però, interessa l’uomo,

per cui, gli educatori e gli insegnanti, si dovrebbero impegnare ad ampliare i loro

progetti. Il nido, per esempio, potrebbe ideare dei progetti finalizzati alla scoperta delle

relazioni con il mondo esterno. Dal canto suo la scuola dell’infanzia, potrebbe, invece,

anticipare un progetto che miri a proiettare i bambini all’esterno, nel sociale653

.

Bisogna capire che la differenza tra bambino affettivo e bambino cognitivo e

sociale non esiste, il bambino è sempre e solo uno: è intimorito ma allo stesso tempo

interessato dalla scoperta di un mondo nuovo, ha bisogno di essere regolato da norme,

ma anche di essere lasciato libero di fare le proprie esperienze, anche se talvolta ha

bisogno di essere guidato, a che siano davvero percorsi appaganti654

. Ecco che allora,

scoperta la motivazione della discontinuità, può essere predisposto un piano

d’intervento: la continuità educativa deve essere realizzata avviando momenti di

comparazione e trasmissione tra le discontinuità culturali655

.

650

Cfr. ivi, pp.12-15. 651

Cfr. ivi, pp.37-38. 652

Cfr. ibidem. 653

Cfr. ivi, p. 131. 654

Cfr. ibidem. 655

Cfr. ivi, pp.77-80.

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Ne consegue l’attribuzione di una particolare importanza che viene attribuita al

confronto tra insegnanti ed educatori su temi fondamentali quali: il progetto educativo

con i suoi sistemi di accertamento; la relazione educativa, la coscienza che orienta i

relativi metodi d’interpretazione del progetto, i valori, e le scelte che circoscrivono

l’identità educativa656

.

Insomma, non è sicuramente un percorso facile, anzi, è anche possibile che

venga richiesta la presenza di figure esterne, affinché la conflittualità non prevarichi. Se

gli educatori e gli insegnanti giungono, pur se in parte, ad approvare un’unica idea di

bambino, di rapporto educativo e quindi di obiettivi a cui mirare, e anche di modalità

con cui perseguirli; allora la continuità inizia a realizzarsi657

. Al bambino verrà così data

la possibilità di esprimersi, di crescere, di approfondire o restituire significato al mondo

con cui entra in relazione658

.

Avviandoci verso una conclusione individuiamo in maniera puntuale come

potrebbe essere espletato un progetto di continuità educativa659

: le educatrici del nido e

le insegnanti della scuola dell’infanzia possono proporre durante l’anno scolastico degli

incontri tra i coloro a cui è stata affidata la responsabilità dei servizi, i genitori e il

personale educativo, ma soprattutto attività che coinvolgono i bambini dell’ultimo anno

dell’asilo nido ed alcuni bambini che già sono iscritti e frequentano la scuola

dell’infanzia660

.

L’obiettivo di questa collaborazione è rendere questo passaggio familiare meno

traumatico possibile. Tale progetto è la rappresentazione di una maggiore possibilità di

dialogo e di scambio tra le due istituzioni educative, nella certi che la condivisione di

significati e di finalità incoraggi ed ampli la qualità del servizio che viene offerto alle

famiglie661

. Il progetto può essere cadenzato in tre livelli, uno istituzionale, uno

educativo e l’altro operativo662

. Il primo si realizza mediante incontri tra i responsabili

dei due servizi finalizzati alla rettifica, e all’ufficializzazione della collaborazione. Il

656

Cfr. ivi, p.65. 657

Cfr. ivi, p.69. 658

Cfr. ivi, pp.111-113. 659

Cfr. ivi, p.15. 660

Cfr. I. Bolognesi, A. Di Rienzo, S. Lorenzini , A. Pileri, a cura di Di cultura in culture. Esperienze e

percorsi interculturali nei nidi d’infanzia, Franco Angeli, 3a ristampa, Milano 2012, pp.135-137.

661 Cfr. ivi, p.144.

662 Cfr. ivi, p.138.

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secondo, quello educativo, si esplica con gli incontri tra educatori ed insegnanti, sia

prima che dopo la fase operativa, in maniera tale da organizzare i tempi, i luoghi, le

attività, gli obiettivi, ma soprattutto il numero dei bambini663

.

Successivamente, sarà programmato un incontro conclusivo, in cui le educatrici

dell’asilo nido potranno individuare la composizione dei gruppi per le sezioni della

scuola dell’infanzia. Nel caso sussistano delle problematiche saranno le educatrici, in

sintonia con le famiglie, a contattare le insegnanti delle classi interessate. Per quel che

riguarda, invece, l’ultimo livello, quello operativo, è il momento più significativo dal

punto i vista esperienziale. È, infatti, a questo livello che i bambini del nido e quelli

della scuola dell’infanzia si incontrano, tenendo però ben presente quanto

precedentemente prefissato in merito al calendario e alle attività concordate664

.

Le attività possono essere realizzate per esempio due volte al nido e più volte

nella scuola dell’infanzia, ma è fondamentale che ciascun bambino porti con se uno

zainetto contenente disegni, istantanee, testi di canzoni, oggettini creati con le proprie

manine, e tutto ciò che potrebbe ricordargli l’esperienza vissuta665

. Questo zainetto deve

essere riempito non in un unico incontro, bensì durante gli incontri che sono stati

programmati, che possono essere sei, sette, otto. In questo modo quando il bambino,

terminate le vacanza estive, andrà nella nuova scuola, le insegnanti potranno usufruire

del contenuto dello zainetto per creare momenti di attività in classe666

.

Solitamente le attività programmate consistono in: mimi, recita di filastrocche,

canzoni, ma anche lettura e narrazione di fiabe, giochi di movimento vari. Come

attività di manipolazione vengono privilegiati i lavoretti prodotti dai bambini con

l’utilizzo di vari materiali quali: sale, plastilina, farina e sabbia. Per le attività espressive

si fa riferimento alla creazione di forme, solitamente su dei pannelli o delle stoffe

bianche, in cui i bambini fanno le loro impronte, o utilizzano i pennelli per colorare667

.

Vengono organizzate anche della attività spontanee, in appositi angoli strutturati,

ad esempio nella casetta del giardino, o dove vi sono gli scivoli, i tappeti, tutte zone in

663

Cfr. ibidem. 664

Cfr. S.Capranico, Role Playing. Manuale a uso di formatori e insegnanti, Raffaello Cortina ed.,

Milano 1997, P.78. 665

Cfr. ivi, p.139. 666

Cfr. ivi, pp.33-38. 667

Cfr. ibidem.

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cui il bambino è lasciato libero di giocare e socializzare, sempre sotto il controllo

dell’educatrice. Normalmente i primi due incontri si effettuano al nido (nel secondo i

bambini avranno anche la possibilità di pranzare) e i restanti incontri nella scuola

dell’infanzia, qui, il pranzo è previsto, invece, nell’ultimo incontro668

.

Ogni incontro è organizzato in fasi che si intervallano, prima di tutto vi è

l’accoglienza e quindi i saluti a cui segue un canto e un gioco d’inizio. Dopo di che

vengono svolte le due attività programmate per quell’incontro, in seguito sarà fatto il

canto e poi viene dato spazio al gioco conclusivo, al termine del quale i bambini

verranno congedati669

. Naturalmente le persone coinvolte in tale progetto sono: i

bambini e gli adulti. I bambini sono divisi in due gruppi, uno di 10-12 bambini, e l’altro

di 8-10, di cui vi sono i bambini grandi del nido, e qualche bambino del primo anno

della scuola dell’infanzia. È importante che i due gruppi, pur essendo in ambienti

differenti, siano contemporaneamente attivi. Ogni gruppo deve essere seguito da almeno

due educatori del nido ed un insegnante670

. Gli adulti, come già accennato sono: sia i

responsabili dei due servizi, che i quattro educatori e le due insegnanti, nonché le

famiglie dei bambini coinvolti, ciascuno dei quali ha un preciso ruolo. Di ogni incontro,

il gruppo di lavoro, sarà responsabile della redazione del programma che verrà

attuato671

.

668

Cfr. ibidem. 669

Cfr. ivi, p 29. 670

Cfr. ivi, pp.198-200. 671

Cfr. ivi, p.222.

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3.3. Infanzia, gioco, educazione

In riferimento ai modelli di educazione infantili rileviamo un’interconnessione

tra tre sostantivi fondamentali nel processo di crescita del bambino: infanzia, gioco ed

educazione. Sin dall’antichità l’infanzia veniva identificata come l’età in cui il neonato,

in quanto tale non proferisce parola, ma abbiamo visto, come già Rousseau nel II libro

de L’Emilio nella suddetta età vi comprende anche la puerizia672

. Ecco che allora la

prima e la seconda infanzia, così come le ha interpretate l’autore ginevrino, coincidono,

pressappoco con l’età prescolastica673

. L’istituzione sociale in cui l’infanzia nasce, si

forma, esiste, e si sviluppa è dapprima la famiglia, alla quale per prima viene affidato il

compito di educare.

Pestalozzi, s’interessò molto di educazione familiare, egli riteneva che il

compito di educare i figli dovesse essere assegnato alla madre, la quale doveva anche

avviarli all’apprendimento. Molti studiosi hanno fortemente criticato gli studi

pestalozziani, proprio perché avendo conferito tale ruolo alla madre, ella, avrebbe

utilizzato la casa come una scuola, e da madre sarebbe diventata maestra. Ma la madre

non era libera nell’insegnamento del figlio, piuttosto doveva seguire un determinato

metodo, che per l’autore, era quello dell’A.B.C. Pestalozzi convinto della sua pedagogia

non individuava la funzione educativa e produttiva che ha per la personalità del

bambino, il libero gioco, di cui l’infanzia si alimenta674

.

Solo con la pedagogia froebeliana si parlerà di educazione prescolastica,

indirizzata ad un’istituzione educativa propria dell’infanzia675

. Anche se sarà Comenio a

parlare di Schola materni gremii non è con lui che nascono la pedagogia e gli istituti per

l’infanzia. Questi sorgono, invece, grazie alle pressioni di istanze sociali e assistenziali,

collegate sia alle condizioni di vita degli operai che alla rivoluzione industriale676

. Sono

istituti che nascono proprio per dare assistenza alle famiglie povere, assistenza che,

viene esplicata prendendosi cura dei loro figli. I pedagogisti degli Istituti per l’infanzia,

indicano in Oberlin, l’istitutore di tali ambienti, egli istituì, infatti, nel 1770 una Salle

672

Cfr. J.J. Rousseau, L’Emilio, ivi, p.55. 673

Cfr. ivi, pp.110-113. 674

Cfr. N. Papparella, Pedagogia dell’infanzia, Armando, Roma 2005, pp.24-29. 675

Cfr. ivi, p.77. 676

Cfr. ibidem.

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d’asile, in cui le insegnanti erano delle agresti, che, erano state istruite da questo

parroco, dal quale impararono la Storia sacra che a loro volta insegnavano ai bambini ed

in seguito li avrebbero indirizzati allo svolgimento di piccoli lavori manuali677

.

Anche l’opera di Owen è intimamente associata alla rivoluzione industriale, ma

anche la sua visione degli istituti per l’infanzia era assistenziale e non finalizzata

all’apprendimento. Tale assistenza era, infatti, fortemente indirizzata all’infanzia, o

meglio, ai figli degli operai, in quanto, i genitori che lavoravano pesantemente ogni

giorno nelle fabbriche non potevano assolvere al loro compito educativo. Anche se con

Owen non si può parlare di una vera e propria pedagogia, è a lui che viene attribuito il

merito di averla avviata al bisogno sociale, individuando quella che venne definita come

pedagogia dell’infanzia. Egli avvertì la connessione tra l’educazione e le trasformazioni

sociali, anche se sicuramente, l’allontanamento dal carattere unicamente filantropico

delle primissime proposte educative infantili che limitavano i loro compiti

all’accoglienza e alla protezione dei bambini bisognosi e abbandonati, è stato

lentissimo. Tuttavia, man mano l’asilo cominciò ad essere organizzato in maniera più

razionale, si era compreso, che i bambini non potevano stare fermi e tranquilli senza

avere la possibilità di svagarsi678

.

Possiamo dedurne, dunque, che la pedagogia dell’infanzia deve erigersi su due

principi fondamentali: a) il senso della vita vissuto dall’infante e b) la relazione

psicologica dell’infanzia, tra valori, bisogni sostanziali e poteri679

. A questo punto,

bisogna ammettere che la struttura dell’Io viene definita attraverso il gioco, ma ciò era

già stato affermato da Fröebel, egli scriveva, infatti: «nell’infanzia il più alto grado di

sviluppo del genere umano è rappresentato dal gioco, che è libera manifestazione del

mondo interiore e rappresenta il quadro e il modello della vita umana futura»680

.

Fröebel aveva già individuato un gioco diverso da quello dell’adulto, in grado di

organizzare, addirittura, la struttura dell’Io681

.

677

Cfr. D.W. Winnicott, Gioco e realtà, Armando, Roma 1974, pp.69-73. 678

Cfr. ivi, pp.55-56. 679

Cfr. ivi, pp.99-104. 680

F. Froebel, I giardini dell’infanzia, cit., p.86. 681

Cfr. ibidem.

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172

Generalmente, crediamo che il gioco sia solo un momento di svago, di

divertimento adatto soprattutto alla fase adolescenziale della vita. Svariati contributi

pedagogici, invece, attribuiscono al gioco uno spazio e un momento privilegiato nel

percorso educativo. Il gioco è stato da sempre visto come un’attività poco stimata, sia

dal punto di vista del significato che del valore ad esso attribuito. Un tempo l’analogia

era gioco-divertimento, il gioco era il tempo della ricreazione, il momento di svago che

veniva accordato prima di indirizzarsi a cose più serie o un break dopo ore di lezione o

di studio. Quindi, il gioco era composto dall’attività in se stessa e non da ciò che

avrebbe potuto produrre682

. Pensando al gioco gli veniva conferita la funzione di

compenso, di vincita o premio, di consolidamento di comportamenti positivi, ma ciò,

ne negava sicuramente sia l’effettivo valore che il vero significato.

Così l’aspetto educativo, in definitiva, veniva completamente abbandonato683

.

Grazie all’opera di Bettelheim il gioco ha acquisito una certa importanza sia in

riferimento ai percorsi educativi che di socializzazione, anche se tuttavia ciò è stato

riconosciuto solo nella teoria, ma non è mai stato praticato, tanto ancora deve essere

fatto684

.

In realtà, al gioco inteso in tutte le sue forme: individuali, teatrali, figurative,

produttive, tecnologiche, viene attribuito un valore educativo decisivo nel percorso di

sviluppo che va dall’infanzia all’età adulta. Spesso affermiamo che il gioco ha sia

qualità educative e terapeutiche, che didattiche, pedagogiche ed equilibratrici. Negli

ultimi anni queste qualità sono state avvalorati da vari studi sulla cultura pedagogica. Il

gioco è stato oggetto di studio di sociologi, filosofi, antropologi, psicologi, ma

particolarmente di pedagogisti, che hanno individuato la complessità delle sue

caratteristiche e dei suoi molteplici aspetti, e solo grazie a queste nuove prospettive,

oggi, siamo in grado di no intendere più l’attività ludica, come accadeva fino a qualche

decennio fa, affine ai momenti di riposo e svago, piuttosto come una risorsa empirica ,

carica di poliedricità nelle sue varie manifestazioni685

.

682

Cfr. ivi, p.57. 683

Cfr. ibidem. 684

Cfr. B. Bettheleim, Gioco e educazione, in A. Bondioli, Il buffone e il re, Scandicci, La Nuova Italia,

Firenze 1989, pp.31-33. 685

Cfr. ibidem.

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Il gioco consente, infatti, al bambino lo sviluppo delle tre facoltà fondamentali e

attive: quella del fare, dell’ascoltare e del pensare, che nell’insieme generano il suo

sviluppo. Il gioco, dunque, così come il primo nutrimento del bambino tende ad

accrescere, preservare e rafforzare la vita del corpo. È giocando che il bambino impara a

comprendere il mondo, a fare esperienza del rispetto delle regole, a governare le

proprie emozioni, ad attribuire un valore alle regole. Impara a stare con altri bambini,

socializza, si scopre autonomo, sperimenta, anche sbagliando, cose nuove a lui prima

sconosciute. Il gioco può essere considerato come lo scenario, all’interno del quale il

fanciullo ha la possibilità di consolidare la propria l’identità686

.

Ne deduciamo, quindi, che l’esperienza ludica è molto di più di un “comune

passatempo”, è spontanea, ben insediata ed è il mezzo che permette al bambino di

rapportarsi con l’ambiente, alla scoperta di se stesso. Non a caso il gioco prediletto dai

bambini è la palla, il bambino la vede come qualcosa di completo, in essa, percepire

l’unità di se stesso, ed è proprio in questo giocattolo che egli si riscopre. Ma la palla,

oltre ad essere, come abbiamo detto, «un tutto completo in sé, è una immagine

dell’unità dell’universo»687

, può raffigurare anche altre cose, come ad esempio una mela

o altri oggetti che hanno una conformazione sferica, che permette un ampliamento

mentale del piccolo688

.

Il gioco rappresentata, proprio per la naturalezza da cui è contraddistinto, un

campo d’indagine privilegiato. Dato che ogni bambino quando gioca è libero di

esprimersi, si possono individuare non soltanto molteplici e differenti stili, ma anche le

caratteristiche relative ad ogni soggetto. In sostanza, il gioco è un “alleato” per l’adulto,

sia che si tratti del genitore sia che si tratti dell’insegnante, in quanto esso accresce la

conoscenza del fanciullo, e ciò permette di indirizzare la condotta educativo-didattica

dell’adulto in maniera più efficace689

.

Ciò che si vuole rimarcare e che merita un approfondimento è, come unicamente

tramite l’attività ludica è pensabile che l’infanzia possa soddisfare i bisogni

fondamentali del bambino. L’attività ludica ha la possibilità di dare risposta e

686

Cfr. M. Callari-Galli, Voglia di giocare, Franco Angeli, Milano 1982, pp.26-32. 687

F. Fröebel, I giardini dell’infanzia, cit., p. 89. 688

Cfr. ibidem. 689

Cfr. ivi, pp.76-77.

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soddisfazione ai reali bisogni dell’infanzia con specifica attenzione a quelli che oggi

appaiono in maggior misura scoraggiati. Offrire al fanciullo la condizione di soddisfare

i bisogni che tendono a rimanere insoddisfatti, equivale ad una riqualificazione della

dimensione ludica che si oppone ai modelli educativi etici, sociali e culturali proposti,

che purtroppo oggi, sono sempre più tradizionalisti690

. Frabboni sostiene, infatti, che il

gioco è come una sorta di rimedio ai nuovi bisogni dell’infanzia e di conseguenza

anche agli aspetti alienanti della società consumistica, in cui viviamo691

.

La forma di estrinsecazione della propria interiorità favorita dal bambino, è il

gioco, grazie al quale egli si confronta con se stesso, esamina l’ambiente che lo

circonda, può esprimere la propria creatività, elabora i segnali e le informazioni che gli

giungono da esso. Ecco perché non bisogna intendere il gioco come qualcosa di banale

e spontaneo, nel senso che in realtà il bambino compie consapevolmente quei giochi

perché capisce che gli permetteranno dapprima d’inserirsi nella realtà, e in un secondo

momento, di modificarla692

.

Da ciò desumiamo che il gioco è una parte fondamentale della vita dei bambini,

infatti, a quei bambini ai quali non viene permesso di esprimersi attraverso attività

ludiche organizzate o anche libere, nell’età adulta avranno una maggiore possibilità di

essere oppressi da tale insoddisfazione e ciò sarà causa della volubilità del loro Io693

.

L’insegnamento nasce dal bambino stesso, il più grave è che la scuola predilige

la conformità del metodo, cioè il fatto che vengono proposti degli schemi astratti e

stereotipati dei sistemi di apprendimento694

. Il metodo deve essere, dunque, casuale,

non organizzato, non pianificato, e lo strumento utilizzato deve sempre essere il gioco.

Bisogna sempre tener presente che stiamo parlando di bambini piccolissimi, per

cui nessuna didattica deve allontanare il bambino dal gioco, perché è il gioco lo farà

diventare “soggetto”695

.

690

Cfr. ibidem. 691

Cfr. Varani A., Formazione e nuove tecnologie: qualificare le multimedialità, OPPI Informazioni,

Firenze 2000, pp.55-59. 692

Cfr. ivi, p.88. 693

Cfr. A. Bobbio, Pedagogia dell’infanzia e cultura dell’educazione, Carocci, Roma 2011, pp.44-48. 694

Cfr. ivi, p.15. 695

Cfr. ivi, p.34.

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175

Anche la famiglia e i genitori devono avere una particolare attenzione ai giochi

dei loro fanciulli, in quanto rappresentazione della loro vita interiore. Difatti, talvolta è

proprio grazie al gioco, che spesso i genitori, possono scoprire aspetti del proprio figlio,

che magari gli erano del tutto celati. I giochi dei bambini devono essere osservati

seriamente e gli si deve . Al gioco possono essere attribuite due dimensioni: una

solitaria, che dispone di spazi chiusi, è un po’ monotona, in quanto solitamente il

bambino gioca con un giocattolo che riproduce qualche aspetto della realtà; l’altra,

collettiva, caratterizzata dai giochi all’aperto, impostati secondo norme ben definite e

talvolta spontanee696

.

Pensando ai bambini che giocano ci rendiamo conto di quanto sia fondamentale,

nel corso del primo anno di vita, giocare gli permette di conoscere lo spazio e le

persone che lo circondano. Successivamente cambierà gioco e imiterà qualcosa o

qualcuno, come se si allenasse a diventare adulto. È come se il mondo intero fosse

racchiuso in una stanza, in cui tutto può succedere con la loro fantasia, e allora ecco che

una scatola può tramutarsi in automobile, il mantello fa diventare il piccolo un super

eroe, e così via. Quindi non occorrono giocattoli costosi, sono utili anche piccoli oggetti

semplici che danno origine alla creatività del bambino697

.

Il gioco tra adulto e bambino deve essere, dunque, vissuto come esperienza di

relazione, un’occasione formativa “speciale” che si consegue grazie alla reciprocità e

alla condivisione. Ne consegue una declinazione dell’asimmetria propria delle agenzie

formative, tra l’educatore e il fanciullo.

696

Cfr. ivi, pp.90-95. 697

Cfr. ibidem.

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3.4. La prospettiva ludiforme di Visalberghi per la formazione

dell’infanzia

Negli odierni contesti di insegnamento-apprendimento, sempre più complessi,

soprattutto a causa della presenza di diverse etnie, diventa necessaria l’individuazione di

una didattica differenziata ma allo stesso tempo integrata698

. La prospettiva ludiforme

per la formazione dell’infanzia, diventa un osservatorio di una pedagogia “sui generis”

che si compie mediante la connessione del gioco con l’apprendimento. Dal gioco, ne

consegue, un’ampia e coinvolgente esperienza, e non solo in quanto, attiva il soggetto

globalmente, ma in quanto consente al soggetto di imparare, naturalmente tramite la

pratica, in questo modo, egli arricchisce le proprie esperienze ed abilità699

. C’è poi un

altro elemento, rilevante per la nostra prospettiva: nel gioco il bambino s’impegna e si

diverte contemporaneamente, unendoli in una relazione armonica700

.

Una volta rilevata, seppur brevemente, la natura del gioco come estrinsecazione

globale del bambino, possiamo percepire che le potenzialità che l’esperienza ludica

prevede per l’apprendimento. Per interpretare le su citate potenzialità a che divengano

risorse per l’insegnamento-apprendimento, e per evitare di ritenere che il gioco a scuola

è solo un momento di svago, è indispensabile cominciare con la distinzione tra: gioco

libero, che è quello appunto non controllato, libero, che viene eseguito negli ambienti

extra-scolastici; e gioco didattico che viene consigliato, invece, dall’insegnante

nell’ambito dell’apprendimento701

.

Ci possiamo riferire a due termini che sono stati immessi nell’ambito di questa

distinzione, dal pedagogista Aldo Visalberghi, e sono: attività ludica che corrisponde al

primo tipo di gioco, e l’attività ludiforme che è correlata al secondo tipo. Secondo la

pedagogia visalberghiana, l’attività ludica è caratterizzata da 4 specificità: a) è

vincolante, in quanto sostanzialmente presume che ci sia oltre ad un coinvolgimento

affettivo e psico-fisico, anche cognitivo; b) è continuativa: nel senso che conduce

costantemente la vita del bambino e anche quando questo diventerà un adulto,

698

Cfr. G. Staccioli, Il gioco e il giocare, Carocci, Roma1998, pp.18-23. 699

Cfr. ivi, p.27. 700

Cfr. ivi, pp.68-69. 701

Cfr. ivi, pp.105-107.

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proseguirà il suo ruolo; c) è progressiva: cioè si rinnova, non è fissa, è anzi un elemento

utile alla crescita affettiva, cognitiva e relazionale, nonché per aumentare le conoscenze

e le competenze; d) non è funzionale: nel senso che non prevede altre funzioni, ma è

fine a se stessa702

. Nell’attività ludiforme pur essendo presenti, invece, le prime tre

suddette caratteristiche, la finalità del gioco non coincide con lo scopo dell’attività. Nel

gioco didattico viene consapevolmente creata, infatti, un fine che si trova al di là del

gioco stesso. Ecco che allora queste attività, sono «costruite appositamente per dare

una forma divertente e gradevole a determinati apprendimenti»703

.

Le attività obbligatorie e di abitudinarie, privano troppo l’ appagamento, il

bambino deve approfondire la conoscenza del mondo, non perché gli è stato imposto o

per trarne vantaggi, ma solo per sentirsi soddisfatto. Della stessa opinione è,

sostanzialmente, Mario Polito, secondo il quale «il gioco possiede delle enormi

potenzialità educative che facilitano sia l’apprendimento sia la socializzazione»704

.

Occorre, dunque, che ogni bambino sia coinvolto nelle attività, possa esprimersi

attraverso la creatività e il suo vissuto personale, sviluppando così la sua capacità

ludica.

Il gioco, infatti, fa nascere un senso di coinvolgimento, interesse, sostiene le

capacità sociali, ripristina emozioni, sentimenti, idee, amplia la manifestazione di sé,

esorta all’apprendimento705

. Se la scuola al fine di formare i bambini, orientata le

proprie metodologie, trascurando le altre dimensioni formative (individuale, intima,

affettiva, ecc.), esclusivamente sul piano cognitivo, non potrà mai essere attivata la

dimensione ludica dell’apprendimento. La prospettiva ludiforme intesa come il gioco

organizzato e coordinato dal docente deve avere certamente degli obiettivi didattici ed

educativi, ma non esclusivamente ricreativi. Il compito del mediatore, in tale visione,

viene assegnato al docente, che supporta l’alunno nella diffusione dei concetti. Ma, il

bambino è libero, e attraverso il gioco, può far propri nuovi concetti, ma allo stesso

702

Cfr. A. Visalberghi, Pedagogia e scienze dell'educazione, Mondadori, Milano 1990, pp.82-89 703

A tal proposito l’autore sostiene che: «solo le attività auto-motivate, perché impegnative, continuative

e anche in qualche misura progressive, cioè le attività ludiche o almeno ludiformi, sono capaci di

strutturare in modo insieme innovativo e flessibile i comportamenti umani» (Ivi, p.95). 704

Cfr. M. Polito, Attivare le risorse del gruppo classe, Erickson, Trento 2000, p.71. 705

Cfr. ivi, pp.66-69.

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tempo è coinvolto sia cognitivamente e socialmente, che dal punto di vista creativo e

affettivo706

.

La prospettiva ludiforme attua, dunque, un contesto innovativo contrassegnato

da una didattica che stimola nei bambini interesse, apprezzamento, partecipazione,

creatività, ambizione, desiderio di scoprire cose nuove, ma al contempo gli dà anche la

possibilità di risolvere i problemi insieme agli altri. La prospettiva ludiforme attua,

dunque, un contesto innovativo contrassegnato da una didattica che stimola nei bambini

interesse, apprezzamento, partecipazione, creatività, ambizione, desiderio di scoprire

cose nuove, ma al contempo gli dà anche la possibilità di risolvere i problemi insieme

agli altri. Ecco che si parla anche d’interazione sociale, il bambino riesce attraverso il

gioco a socializzare e conoscere con altri bambini, suoi pari707

.

Ma è importante capire che nella prospettiva ludiforme, i giochi, le attività

ludiformi siano esse di coppia o da sviluppare in piccoli gruppi, c’è una condizione che

deve essere rispettata, al fine di raggiungere l’obiettivo comune, ed è l’interdipendenza.

È cioè necessario che ogni bambino si relazioni con gli altri, deve essere formata come

una specie di “collana” per cui ogni piccolo dipende dall’altro, questo ne attiverà il

senso di responsabilità. Volendo individuare l’obiettivi principale della prospettiva

ludiforme per la formazione dell’infanzia, possiamo affermare che è quello

d’incoraggiare i bambini ad un apprendimento indicativo, ciò che imparano giocando,

deve rimanere nella loro memoria a lungo termine708

.

Allora l’insegnante, secondo tale prospettiva, non deve solo conoscere le

discipline che i devono essere insegnate ai bambini, ma deve essere in grado di

organizzare gli ambienti d’apprendimento, rendendoli ricchi di stimoli. Egli deve avere ,

infatti, alcune capacità, quali:

deve innanzitutto incoraggiare l’attività didattica, valorizzando la cooperazione,

sfide e la giusta competitività, tale da non originare tensione nei bambini;

deve saper creare un ambiente d’insegnamento-apprendimento quanto più sereno

e quiete possibile, in cui però vengano utilizzati quotidianamente i giochi

didattici, un ambiente in cui il vero protagonista del processo è il bambino; 706

Cfr. ibidem. 707

Cfr. ivi, pp.79-83. 708

Cfr. ibidem.

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deve saper sviluppare la dimensione metacognitiva del processo

d’insegnamento-apprendimento, insistendo in maniera sia esplicita che implicita,

alla promozione della partecipazione attiva di ciascun bambino709

.

Per giungere agli obiettivi, è importante che ogni attività sia presentata in forma

ludica, in maniera tale da diminuire le eventuali riluttanze, perché ricordiamoci sempre

che stiamo parlando di bambini. Ciò permetterà al bambino di studiare e apprendere

serenamente e nello stesso tempo di essere coinvolto nel processo cognitivo, così da

spingerlo al desiderio di superarsi, avviandosi verso una nuova sfida710

. L’attività

ludiforme, pur essendo faticosa, ha il privilegio di essere contemporaneamente

complessa e soddisfacente, appagante711

. Se l’insegnante riesce, dunque, a far capire ai

bambini che il gioco didattico non è un momento di svago, ma è un modo di acquisire

piacevolmente nuovi concetti ed esperienze, capacità sia personali che sociali; allora

tale prospettiva può essere presentata e gradita anche dai bambini più perplessi712

.

709

Cfr. ivi, pp.123-131. 710

Cfr. ibidem. 711

Cfr. ivi, pp.32-38. 712

Cfr. ivi, pp.59-64.

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180

CONCLUSIONI

Nel lavoro qui presentato, si è cercato, di chiarire e definire il ruolo dei modelli

di educazione, l’analisi condotta a partire dal periodo gentiliano fino ai nostri giorni,

tenendo conto degli orientamenti più significativi e delle norme più importanti, quali la

riforma del ’23, le problematiche centrali dell’autonomia scolastica fino alla riforma

Moratti, ci ha permesso di comprendere l’effettivo passaggio che ha prodotto le

trasformazioni che hanno definito l’odierno sistema scolastico italiano713

. Oggi

parliamo dei modelli di educazione perché è un argomento troppo spesso trascurato.

L’infanzia è una fase scolare del fanciullo a cui viene attribuita scarsa importanza, anzi,

è addirittura pensata come secondaria, in quanto non obbligatoria.

Gli studi che si sono susseguiti nei secoli ci consentono di asserire che l’infanzia

è un’età particolarmente preziosa714

. Essa, rappresenta la primavera della vita, a questo

proposito ricordiamo la celebre citazione di Guardini che affermava: «l’adulto si nutre

di ciò che da bambino ha vissuto ed è diventato»715

. È proprio in questo periodo così

fecondo che nella mente del bambino, che Montessori definiva «mente assorbente»716

,

si realizzano tutte le condizioni cognitive ed affettive che produrranno nelle fasi

successive della vita, la sua crescita. Questi studi hanno dimostrato, dunque, che sin

dalla tenera età si può avviare un percorso di sviluppo di attività socio-relazionali,

affettive e cognitive.

Di fatti, tra gli obiettivi principali che in questa fase si vogliono far raggiungere

ai bambini si annoverano proprio l’autonomia personale, la capacità di orientarsi nel

tempo e nello spazio, nonché tutte le varie abilità funzionali allo sviluppo dell’

educandus, ma che devono essere organizzate dagli esperti che si avvalgono di appositi

metodi scientifici, affinchè l’esito sia positivo.

L’assunto di fondo di questa tesi è, invece, che l’età infantile, ha bisogno di

essere attenzionata e curata sia da parte degli esperti, dei genitori, degli adulti, che di

tutte le agenzie formali ed informali. Proferendo di esperti, non ci riferiamo certo solo

713

Cfr. P. Mulè, Il docente in Italia tra pedagogia scuola e società, Anicia, Roma 2005, p.213. 714

Cfr. R. Guardini, Persona e personalità, Morcelliana, Brossura 2006, p.27. 715

R. Guardini, Persona e personalità, cit., p.44. 716

Cfr. ivi, pp. 37-40.

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agli insegnanti di scuola elementare e agli educatori, ma per certi versi, anche ai

genitori. Ecco che allora proprio perché è una fase abbastanza delicata della vita di

crescita di ciascuno di noi, proprio perché c’è questa formazione che è fondamentale

relazionata alla crescita bioantropologica dell’essere umano, si ritiene che l’educazione

infantile, debba essere maggiormente approfondita. La questione di fondo è capire nel

tempo e poi sul piano storico che valenza ha avuto l’infanzia.

Da questa disamine emerge che soltanto nell’età contemporanea grazie anche al

pedagogista che ha rivoluzionato il ruolo dell’infanzia, J.J. Rousseau, la visione del

fanciullo è cambiata. Egli ha dimostrato, infatti, che il bambino non può e non deve

essere considerato come un piccolo adulto, quanto piuttosto un bambino, con i suoi

bisogni e le sue potenzialità. L’infanzia oggi, grazie alle rilevanti scoperte psico-

pedagociche e cognitive, ma anche agli interessanti obiettivi raggiunti sul piano

giuridico, dovrebbe essere considerata una sorta di “patrimonio prezioso” da custodire e

tutelare. Ma purtroppo non è così.

Nell’odierna società si tende ad idealizzare la figura del bambino, l’immagine

che ci viene presentata è spesso quella di fanciulli sereni e gioiosi. In realtà anche nella

nostra società occidentale e capitalistica, moderna e all’avanguardia, l’infanzia, è una

fase della vita che non viene riconosciuta. Il bambino, viene ancora visto come un

piccolo adulto; basta pensare ai giochi che gli vengono proposti, giochi che in realtà

sono pensati per gli adulti. Già Postman, agli inizi degli anni Ottanta del Novecento,

aveva posto l’attenzione alla scomparsa dell’infanzia nella nostra società che, essendo

troppo progredita, tecnologica ed evoluta, è stata realizzata a misura di adulto e non di

bambino; il quale è così costretto a crescere in fretta717

.

Postman nelle sue opere ci presenta un’immagine di bambini “super-

preoccupati” che sono costantemente immessi nella «spirale della funzionalità che

domina la società»718

. Da ciò ne consegue che, se il bambino vuole crescere in tale

società, deve apprendere prima possibile e più cose possibili, è costretto a fare più

esperienze che può perché, perché “prima cresce e meglio sarà per lui”. Il risultato di

tutto questo però è ovvio: la vita di questi bambini è stressante. Se ci fermiamo a

717

Cfr. Postman N., La scomparsa dell’infanzia. Ecologia dell’età educativa, Armando, Roma 1991,

pp.55-58. 718

Cfr. ivi, p.60.

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riflettere su come viene scandita, nella nostra società, la giornata tipo dei bambini che

stanno vivendo la loro fase infantile, ci rendiamo conto del rischio che la nostra società

sta correndo719

.

E’ preoccupante immaginare come sin dall’inizio della giornata quando vengono

accompagnati all’asilo i bambini non hanno la possibilità di conversare con chi li

accompagna, in quanto sono isolati nel sedile posteriore della macchina, avvolti dalle

cinture di sicurezza, con in mano la loro PSP. Le mamme prese, spesso, dalla caoticità

del traffico, e preoccupate di arrivare in orario a lavoro, non possono “perdere” neanche

un minuto all’ascolto dei loro bambini, altrimenti rischiano di saltare tutti i programmi

della giornata che hanno pensato per i loro figli. Proprio per questo il nido diventa il

luogo in cui “scaricare” i piccoli, in attesa che la loro giornata lavorativa termini. Il

bambino dell’odierna società non ha neanche il tempo di giocare un po’, anche perché il

gioco viene valutato come qualcosa di superfluo, inutile, roba da bambini.

Così alla fine di una di queste stressanti giornate l’intero nucleo familiare sceglie

di guardare la tv per rilassarsi un po’, piuttosto che iniziare un dialogo, ma non ci si

accorge che così facendo non c’è più condivisione. Possiamo affermare, dunque, che

l’infanzia, ancora oggi è lontana dall’essere veramente intesa. Nella parte centrale di

questa tesi, è stata rimarcata la necessità di orientare il bambino all’educazione perché

possa autenticamente realizzarsi come persona. Un’educazione che deve essere condotta

con cura, in maniera tale da muovere il bambino all’armonia delle forme e

all’autonomia dell’essere perché, come scrive la Montessori, il bambino «diventa uomo

e si fa uomo per mezzo delle sue mani, per mezzo della sua esperienza: prima

attraverso il giuoco e poi attraverso il lavoro»720

. Un’educazione che sappia pertanto

espandere la sua creatività e sviluppare i suoi talenti. Un’educazione “attiva” che gli

consenta di vivere le esperienze anche perché, come ci insegna la fondatrice delle Case

dei bambini, «le mani sono lo strumento dell’intelligenza umana»721

. Un’educazione

che attenzioni le leggi di sviluppo della sua crescita.

Perché ciò sia possibile, è indispensabile la presenza di un adulto che lo avii passo dopo

passo ad un percorso di crescita sano ed equilibrato. In questa tesi sviluppando

719

Cfr. ivi, p.62. 720

M. Montessori, L’autoeducazione nelle scuole elementari, cit., p.79. 721

M. Montessori, L’autoeducazione nelle scuole elementari, cit., p.111.

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dapprima il percorso storico relativamente a questa questione si è voluto, poi,

approfondire ulteriormente sul perché oggi si deve dare importanza a questa fase di

crescita. Proprio per questo nell’ultima parte di questo lavoro si è cercato di riflettere sul

ruolo culturale ed istituzionale dell’insegnante, nel tentativo di inserire una nuova figura

di docente, progettista della formazione, che deve conquistare attraverso la formazione

iniziale e in servizio le varie capacità necessarie alla conoscenza e alla dominanza della

complessità “del pensare e progettare l’educazione oggi”722

.

L’insegnante nella nostra epoca diventa, dunque, un investigator, in quanto deve capire

quali sono i bisogni, le potenzialità e i talenti di questi piccoli bambini, ma allo stesso

tempo, deve tener conto delle plurime necessità educative, dell’imprevedibilità degli

eventi, della poliedricità della formazione. Solo così sarà capace di pensare ad

interventi formativi più adeguati723

.

Con questo lavoro si è cercato, dunque, di definire alla luce del concetto di

pedagogia, un nuovo profilo formativo del docente nell’ambito della scuola

dell’autonomia. Quello che è stato da sempre un incognita dell’educazione e che oggi è

il dubbio principale della riflessione delle scienze umane e cioè la realizzazione del

“capitale umano” come incomparabile fattore di crescita del bambino, deve essere

inevitabilmente favorito da questa nuova immagine del docente progettista della

formazione.

722

Cfr. ivi, p.214. 723

Cfr. ibidem.

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