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Università degli studi di Padova
Facoltà di Ingegneria
TESI DI LAUREA
Studio delle prestazioni del sistema di raffreddamento
bifase del rivelatore SPD di ALICE
Relatore: Francesca Soramel
Correlatore: Rosario Turrisi
Laureando: Andrea Francescon
A.A. 2010/2011
2
3
Indice Introduzione 5
Capitolo 1 Fondamenti teorici 5
1.1 Cenni di fluidodinamica 5
1.1.1 I fluidi e le loro proprietà 5
1.1.2 Energia totale. Teorema di Bernoulli 12
1.1.3 Moto laminare e moto turbolento 13
1.1.4 Moto laminare 15
1.1.5 Strato limite 17
1.1.6 Moto turbolento 19
1.1.7 Perdite di carico 21
1.2 Cenni di trasmissione del calore 25
1.2.1 Introduzione. I tre meccanismi dello scambio termico 25
1.2.2 Scambio termico per conduzione 26
1.2.3 Scambio termico per convezione forzata entro condotti 28
Capitolo 2 Il Silicon Pixel Detector (SPD) 33
2.1 L’esperimento ALICE 33
2.2 SPD 35
2.3 L’half stave 36
2.4 Il sistema di raffreddamento di SPD 39
2.4.1 Principio di funzionamento 42
2.4.3 Progetto del sistema e scelta dei componenti 43
2.4.4 Descrizione dettagliata dell’impianto 51
Capitolo 3 Risultati dei test 57
3.1 Introduzione 57
3.2 L’impianto a termosifone bifase 57
3.2.1 Descrizione dell’impianto 59
3.2.2 Condizioni per la stabilità dell’impianto 62
3.2.3 Avvio e ramp-down dell’impianto 63
3.3 La sezione di test 65
3.3.1 Considerazioni 68
3.4 Caratterizzazione dei filtri 69
3.5 Variazione di Dp e del flusso al variare della potenza applicata sul settore 75
3.5.1 Considerazioni 79
3.6 Ebollizione localizzata 79
3.6.1 Considerazioni 82
3.7 Test per la valutazione dell’impedenza dei filtri 83
3.7.1 Considerazioni 86
3.8 Test con filtri otturati 87
3.8.1 Considerazioni 92
4
3.9 Test con polveri graduate 93
3.9.1 Polvere 0,4-12 µm 99
3.9.2 Polvere 80-200 µm 105
3.9.3 Polvere 20-50 µm 107
3.9.4 Polvere <75 µm 108
3.9.5 Test di stop&start 109
3.9.6 Considerazioni 110
Appendice 115
A.1 Alcune proprietà del C4F10 115
A.1.1 Variazione della densità al variare della pressione 115
A.1.2 Variazione della viscosità al variare della pressione 116
A.2 Termofluidodinamica delle miscele bifase 117
A.2.1 Introduzione. Principali grandezze caratteristiche 117
del moto bifase
A.2.2 Regimi di deflusso bifase con evaporazione 121
in condotti verticali
A.2.3 Regimi di deflusso bifase con evaporazione 122
in condotti orizzontali
A.2.4 Mappe di deflusso 124
A.2.5 Perdite di carico 129
A.2.6 Il coefficiente di scambio termico in convezione forzata con
ebollizione all’interno di condotti 132
Bibliografia 135
5
Introduzione
Presso il Large Hadron Collider (LHC) del CERN opera l’esperimento ALICE (A Large Ion
Collider Experiment), il cui obbiettivo è lo studio delle caratteristiche della materia nelle
condizioni estreme di temperatura e pressione in cui si ipotizza possa essersi trovata 10 µs
dopo il Big Bang.
L’esperimento ALICE si compone di diversi rivelatori di particelle, realizzati con tecnologie
differenti a seconda della specifica applicazione cui sono dedicati. Il Silicon Pixel Detector
(SPD) costituisce il rivelatore più interno di ALICE ed è focalizzato sulla localizzazione del
vertice primario e la ricostruzione dei vertici secondari e delle tracce delle particelle a basso
impulso: il suo ruolo è di estrema importanza per la conduzione dell’intero esperimento.
SPD è realizzato con la tecnologia dei pixel di silicio ibrido, che consiste in una matrice
bidimensionale di diodi al silicio polarizzati inversamente.
L’elettronica del rivelatore produce per dissipazione una potenza termica non trascurabile se
confrontata con la massa dello stesso (1500 W nell’intero SPD). Tale potenza deve essere
smaltita da un apposito sistema di raffreddamento per evitare il danneggiamento del
rivelatore.
Il sistema di raffreddamento di SPD utilizza un ciclo inverso a compressione di vapore che
sfrutta perfluorobutano (C4F10) come fluido refrigerante.
L’impianto di raffreddamento di ogni settore, testato per lungo tempo presso i laboratori del
CERN prima dell’installazione del rivelatore, presentava un’efficienza di raffreddamento
ε=100% ed un’elevata stabilità nel tempo.
Una volta installato nella sala sperimentale, il sistema ha però mostrato un drastico calo
dell’efficienza (ε=87%), ulteriormente ridotto (ε=71%) in seguito ad alcuni avvenimenti.
Non si è trovata, nell’immediato, una causa evidente per questo comportamento.
Una serie di test dedicati ed uno studio approfondito della storia del sistema fin dalla sua
attivazione nella sala sperimentale, suggeriscono che il comportamento osservato sia in gran
parte attribuibile ad una parziale occlusione dei filtri installati in serie nelle linee dell’impianto.
Tali filtri non sono raggiungibili se non contestualmente a un esteso disassemblaggio dei
servizi dell’esperimento, operazione che richiede un periodo di almeno sei mesi.
Poiché nel 2013-2014 è previsto un lungo stop tecnico per tutti gli esperimenti operanti
presso LHC per un upgrade dell’energia e della luminosità, sarà allora possibile operare le
modifiche richieste per raggiungere i filtri che si presumono occlusi. Essendo però questo un
intervento che richiede un notevole dispendio di tempo e di risorse, un approfondito studio
del problema è necessario prima della pianificazione dell’intervento.
6
Le analisi teoriche e le simulazioni effettuate non sono state in grado di dare una spiegazione
definitiva del fenomeno. Per questo motivo, si è deciso di realizzare un banco-test con lo
scopo di riprodurre sperimentalmente le condizioni che si osservano nell’impianto di
raffreddamento di SPD. La fase di test in laboratorio è propedeutica a qualunque intervento
sull’installazione.
In questo lavoro sono presentati i test realizzati a questo scopo e vengono analizzati i risultati ottenuti. Le conclusioni a cui si è giunti potranno così essere utilizzate per la pianificazione di futuri interventi sull’impianto.
Nel Capitolo 1 vengono ripresi alcuni concetti necessari per la comprensione del lavoro svolto e per una corretta interpretazione dei risultati ottenuti. Questi riguardano soprattutto la fluidodinamica, la meccanica dei fluidi e la trasmissione del calore. La discussione delle basi teoriche del lavoro viene completata con la trattazione della termofluidodinamica delle miscele bifase riportata nell’Appendice 2. Nel Capitolo 2 viene descritto il rivelatore di particelle SPD e il relativo sistema di raffreddamento. Vengono presentati il progetto del sistema, la scelta dei componenti e le condizioni di funzionamento.
Nel Capitolo 3, dopo la presentazione dell’impianto sperimentale utilizzato (Par. 3.2-3.3), sono descritti i test effettuati e sono presentati i risultati ottenuti. Per prima cosa è stata effettuata la caratterizzazione dei filtri utilizzati (Par 3.4), misurandone la caduta di pressione in funzione del flusso. Per diverse combinazioni di filtri è poi stata calcolata l’impedenza fornita al flusso (Par 3.7) e l’effetto della potenza applicata al settore (Par 3.5). Infine sono state riprodotte le condizioni di deflusso attraverso filtri parzialmente occlusi prima otturando parte della superficie con colla epossidica (par. 3.8), poi introducendo nel circuito polveri graduate di diversa granulometria (Par 3.9).
7
Capitolo 1
Fondamenti teorici
Introduzione
In questo capitolo sono presentati alcuni concetti di fluidodinamica, di meccanica dei fluidi e
trasmissione del calore necessari per una completa comprensione dei test descritti nel seguito
e per una corretta interpretazione dei risultati ottenuti. In particolare, dopo un richiamo delle
principali proprietà dei fluidi (con particolare riferimento al C4F10, il fluido refrigerante
utilizzato nell’impianto in esame) vengono descritti i regimi di deflusso laminare e turbolento,
mettendone in risalto le caratteristiche. Viene infine ripreso il concetto di perdita di carico nel
deflusso di un fluido all’interno di un condotto. La trattazione, dove non specificato
diversamente, si basa sui seguenti testi: “Trasmissione del calore” di Bonacina e al.,
“Mechanics of fluids” di Massey, “Meccanica dei fluidi” di Cengel ed “Idraulica “ di Ghetti.
Nella seconda parte vengono ripresi i concetti fondamentali della trasmissione del calore,
esclusivamente in riferimento alla conduzione e alla convezione forzata entro condotti. La
trattazione segue ancora l’impostazione del testo di Bonacina. A completamento della
trattazione sono riportati in appendice alcuni cenni di termofluidodinamica delle miscele
bifase, tratti da “Wolverine engineering data book” di J. R. Thome e dagli appunti di
termofluidodinamica e trasmissione del calore di L. Rossetto.
1.1 Cenni di fluidodinamica
1.1.1 I fluidi e le loro proprietà
Si consideri (1) un volumetto infinitesimo dV in seno alla massa fluida, contenente il punto
P: se dm è la massa di tale volume di fluido e dG ne è il peso, si possono definire le seguenti
caratteristiche del fluido nel punto P:
8
La “densità” del fluido è la massa di fluido per unità di volume. La densità di un corpo varia
in generale con la pressione e con la temperatura. Ad un aumento di pressione corrisponde
sempre un aumento di densità (in quanto diminuisce il volume)(1.3) ma tale effetto è
trascurabile nei liquidi (per la loro scarsa comprimibilità) (Fig. A.1) mentre è rilevante nei gas
(Fig. A.2).
Per quanto riguarda la temperatura, si ha che in generale il volume aumenta con la
temperatura e quindi la densità diminuisce sia in fase liquida (Fig. 1.1) che in fase gassosa
(Fig. 1.2).
1550
1600
1650
1700
1750
1800
1850
-100 -80 -60 -40 -20 0
De
nsi
ty [
kg/m
3]
Temperature [°C]
C4F10 Liquid Density vs Temperature (@ 1 bar)
Figura 1.1 Variazione della densità al variare della temperatura per C4F10 liquido alla pressione di 1 bar.
9
Un’altra importante caratteristica dei fluidi è la “viscosità”, cioè la resistenza al moto del
fluido che si sviluppa all’interno del fluido stesso. Si considerino due superfici piane di area A
in moto relativo tra di loro alla velocità dv, separate dalla distanza dh al cui interno è presente
un fluido in contatto con le pareti che supponiamo muoversi per strati o lamine parallele alle
pareti (escludiamo cioè moti turbolenti). Risulta allora che la forza F necessaria a mantenere
le due superfici in moto relativo alla velocità dv è direttamente proporzionale alla velocità
relativa dv tra le lastre, all’area A delle pareti e inversamente proporzionale alla distanza tra di
esse tramite il fattore di proporzionalità µ, che è appunto la viscosità del fluido:
Perciò, sull’unità di superficie, lo sforzo tangenziale sarà:
Dalla (1.4), detta “legge di Newton”, è possibile ricavare l’unità di misura della viscosità:
[
] [
]
Nel S.I. l’unità di misura della viscosità è il Ns/m2 o Pa·s ma in pratica vengono sempre usati
il poise P o il centipoise cP, definiti come:
La viscosità dei gas è molto minore di quella dei liquidi: nei gas essa cresce al crescere della
temperatura (Fig. 1.4) e, meno marcatamente, col crescere della pressione (Fig. A.4), mentre
0
2
4
6
8
10
12
-50 0 50 100 150 200 250
De
nsi
ty [
kg/m
3]
Temperature [°C]
C4F10 Vapor Density vs Temperature (@1 bar)
Figura 1.2 Variazione della densità al variare della temperatura per C4F10 gassoso alla pressione di 1 bar
10
nei liquidi essa decresce fortemente all’aumentare della temperatura (Fig. 1.3), mentre
dipende poco dalla pressione per pressioni lontane da quella critica (Fig. A.3).
Oltre alla viscosità appena introdotta, detta anche “viscosità dinamica”, esiste un altro tipo di
viscosità ν, detta “viscosità cinematica” in quanto a differenza della prima, non contiene
grandezze dinamiche ma solo cinematiche. Le due grandezze sono legate dalla seguente
relazione:
0
200
400
600
800
1000
1200
1400
-100 -80 -60 -40 -20 0
Vis
cosi
ty [
μP
a·s]
Temperature [°C]
C4F10 Liquid viscosity vs Temperature (@ 1 bar)
0
5
10
15
20
-50 0 50 100 150 200 250
Vis
cosi
ty [
µP
a·s]
Temperature [°C]
C4F10 Vapor viscosity vs Temperature (@ 1 bar)
Figura 2.2 Andamento della viscosità dinamica al variare della temperatura per C4F10 liquido alla pressione di 1 bar.
Figura 1.4 Andamento della viscosità dinamica al variare della temperatura per C4F10
gassoso alla pressione di 1 bar.
11
Ai fini del lavoro qui presentato, un’altra importante caratteristica di un fluido è la sua
“tensione di vapore” cioè la pressione esercitata dal suo vapore in equilibrio di fase con il
liquido ad una data temperatura. Essa quindi corrisponde alla pressione di saturazione del
liquido alla temperatura data, cioè la pressione alla quale il liquido cambia fase.
Un sistema nel quale un liquido ed il suo vapore sono in equilibrio si dice “saturo”: in
condizioni di saturazione la pressione del vapore saturo dipende solo dalla temperatura.
Questa è la proprietà principale del vapore saturo. Nel diagramma pressione volume
specifico (p-v) del fluido, la zona del vapore saturo si trova all’interno della cosiddetta “curva
di Andrews”: all’interno di questa curva, infatti, liquido e vapore si trovano in equilibrio, a
formare quello che viene detto vapore saturo. Si noti come (Fig. 1.6) all’interno della curva di
Andrews isobare e isoterme coincidano. Il tratto a sinistra della curva (tratto rosso)
rappresenta il liquido saturo, mentre quello a destra (tratto blu) il vapore saturo secco.
0
0,005
0,01
0,015
0,02
0,025
0,03
0,035
-100 0 100 200 300
Kin
. V
isco
sity
[cm
2 /s]
Temperature [°C]
C4F10 Kin. Viscosity vs temperature (@ 1 bar)
Series1
Figura 1.5 Andamento della viscosità cinematica al variare della temperatura per C4F10
alla pressione di 1 bar.
12
Figura 1.6 Diagramma pressione-volume specifico (p-v) del C4F10.
Il liquido che si trova a temperatura minore del liquido saturo alla stessa pressione si dice
“liquido sottoraffreddato” (zona a sinistra della curva di liquido saturo), mentre il gas che si
trova a temperatura maggiore del vapore saturo alla stessa pressione si dice “vapore
surriscaldato” (zona a destra della curva di vapore saturo secco).
Se in seno ad una massa fluida in movimento la pressione in qualche punto scende al di sotto
della tensione di vapore, avviene un’improvvisa vaporizzazione del fluido con conseguente
formazione di bolle, anche se non tutto il fluido si trova in condizioni di saturazione. Tale
effetto si chiama cavitazione: le bolle passando poi in punti a pressione maggiore, possono
liquefarsi producendo onde di pressione che si propagano all’interno del fluido.
1.1.2 Energia totale. Teorema di Bernoulli
In un sistema semplicemente comprimibile (in assenza cioè di effetti magnetici, elettrici e di
tensione superficiale), l’energia totale è data dalla somma di tre addendi: energia interna,
energia potenziale ed energia cinetica:
Se il sistema fluido è in deflusso all’interno di un condotto si aggiunge l’energia legata alla
pressione p/ρ=pv. Applicando al sistema il teorema delle forze vive si ottiene (2):
∫
dove:
- L’12 è il lavoro utile prodotto dal sistema;
13
- R12 rappresenta le perdite per attrito.
La (1.10), detta “equazione generalizzata di Bernoulli”, descrive le variazioni di energia nel
deflusso stazionario monodimensionale di un fluido all’interno di un condotto tra le sezioni 1
e 2.
Se si considera il deflusso di un fluido ideale (non viscoso) e incomprimibile, senza che venga
prodotto lavoro utile si ha:
che rappresenta la costanza lungo il condotto del trinomio di Bernoulli.
1.1.3 Moto laminare e moto turbolento
Il deflusso di un fluido incomprimibile all’interno di un condotto è soggetto esclusivamente
alle forze di inerzia e alle forze viscose. Se parti del fluido si trovano a differente quota
geodetica, oltre a queste è necessario considerare le forze dovute alle differenze di pressione
piezometrica. Queste, però, sono da ritenersi nulle in un condotto orizzontale.
Le forze d’inerzia risultano direttamente proporzionali alla densità del fluido e al quadrato
della velocità e al quadrato di una dimensione caratteristica del campo di moto (il diametro d
nel caso di condotto circolare):
Le forze viscose risultano essere direttamente proporzionali alla viscosità e alla velocità e alla
lunghezza caratteristica del moto:
Il deflusso monofase dei fluidi viscosi, può assumere due diversi regimi di moto: il regime
laminare ed il regime turbolento. Nel regime laminare, le particelle di fluido seguono
traiettorie lineari, parallele le une alle altre e parallele all’asse del condotto, che coincidono
con le linee di corrente se il moto è stazionario. Il deflusso del fluido avviene per scorrimento
parallelo di strati infinitesimi di fluido e quindi senza nessun mescolamento, nemmeno su
scala microscopica. Nel regime laminare, il deflusso del fluido è governato dallo forze viscose
(che tendono a soffocare le perturbazioni che si generano in seno alla massa fluida) e risulta
essere costante nel tempo.
Nel moto turbolento le particelle seguono traiettorie casuali ed il deflusso del fluido è
caratterizzato dalla presenza di numerosi vortici di dimensione e velocità differente. Le
14
grandezze termodinamiche e fluidodinamiche del fluido variano nel tempo e nello spazio in
maniera casuale e non prevedibile, anche se si possono definire delle quantità medie sulla
sezione, che rimangono costanti in regime stazionario. Le perturbazioni che si formano nel
fluido vengono ora alimentate dalle forze di inerzia che prevalgono, in questo caso, sulle
forze viscose.
Numerosi studi sperimentali hanno evidenziato come lo stato critico di passaggio dal regime
laminare a quello turbolento, in un moto uniforme, dipenda da:
- caratteristiche del fluido (densità ρ e viscosità µ alla temperatura del fluido);
- velocità media v nella sezione considerata;
- diametro interno del condotto d (o diametro idraulico, se il condotto non è circolare).
Queste grandezze si combinano in un parametro adimensionale detto “numero di Reynolds” Re:
Il numero di Reynolds risulta essere il rapporto tra le forze di inerzia, che tendono ad esaltare
le perturbazioni del moto, e le forze viscose, che invece tendono a smorzarle, entrambe
riferite al medesimo volume di fluido.
Un certo valore critico del numero di Reynolds Rec segna il passaggio tra moto laminare e
moto turbolento:
- per Re<Rec qualunque perturbazione del moto viene smorzata dalle forze viscose ed
il moto si mantiene laminare;
- per Re>Rec il regime laminare risulta molto instabile e qualsiasi perturbazione del
moto, esaltata dalle forze d’inerzia, porta il moto in regime turbolento.
Durante i suoi esperimenti sulle transizioni di regime, Reynolds evidenziò un’altra differenza
molto importante tra i due regimi di moto, oltre a quella già discussa. (3) Studiando la caduta
di pressione specifica per unità di lunghezza del condotto a diverse velocità del fluido, egli
notò come Δp/l fosse linearmente dipendente dalla velocità (e quindi dalla portata) nel
regime laminare (come si vedrà più avanti), mentre una volta raggiunta la velocità critica (e
quindi Rec) si ha un improvviso aumento della perdita di carico specifica e il legame tra Δp/l
e la velocità varia tra 1,7 (tubi molto lisci) e 2 (tubi scabri), come evidenziato dal seguente
grafico:
15
La Fig. 1.7 mostra un’altra importante caratteristica della transizione di regime: come si può
vedere, infatti, sono presenti due velocità critiche (cui corrispondono due Rec) una per la
transizione da regime laminare a regime turbolento, detta velocità critica inferiore e compresa
tra 2000 e 2300, l’altra per la transizione tra regime turbolento e regime laminare, detta
velocità critica superiore e compresa tra 2500 e 4000. La più importante delle due, e alla quale
spesso ci si riferisce come velocità critica, è la velocità critica inferiore che segna la fine della
stabilità del moto laminare. Tra le due velocità critiche si ha quello che viene detto “regime di
transizione”, nel quale il moto turbolento non è ancora pienamente sviluppato.
1.1.4 Moto laminare
Si consideri un fluido in moto laminare all’interno di una tubazione di sezione circolare
uniforme di diametro d. Si consideri un elementino anulare di fluido di raggio r, spessore dr e
lunghezza dx coassiale con la tubazione orizzontale.
Applicando l’equilibrio delle forze nella direzione del moto, considerando che in tale
direzione agiscono solo le forze legate agli attriti viscosi e alle differenze di pressione, e
introducendo l’espressione di Newton per lo sforzo tangenziale (considerando la viscosità µ
costante), si ottiene (4):
(
)
la quale, integrata due volte rispetto a r, fornisce:
(
)
Figura 1.7 Diagramma in scala logaritmica della perdita di carico specifica Δp/l in funzione della velocità del fluido u. Si noti l’aumento di Δp/l nel passaggio da regime laminare a regime turbolento
16
I valori delle costanti di integrazione C1 e C2 si ottengono imponendo le seguenti condizioni
al contorno:
- dv/dr=0 per r=0 (cioè si impone che, per ragioni di simmetria, la velocità sia
massima sull’asse);
- v=0 per r=R (cioè si impone che in prossimità della parete la velocità sia nulla).
Risulta allora (4):
(
)
Dalla precedente risulta quindi che in regime laminare
il profilo della velocità è parabolico, con velocità nulla
in prossimità della parete (Fig. 1.8) e velocità massima
sull’asse.
Una volta ottenuta la velocità v(r), è possibile ottenere il valore della portata di fluido
attraverso la sezione anulare di spessore dr precedentemente definita che risulterà uguale alla
velocità per l’area infinitesima (3):
(
)
(
)
che, integrata sull’intera sezione di raggio R, fornisce (3):
(
)∫
(
)
che è conosciuta anche come formula di Hagen-Poiseuille.
Se si considera una tubazione di lunghezza l ancora di sezione circolare costante, alle cui
estremità sia presente la differenza di pressione piezometrica p1-p2, l’equazione di Hagen-
Poiseuille può essere scritta come:
e mostra come la portata di un fluido in regime laminare all’interno di un condotto
orizzontale di sezione circolare costante sia proporzionale alla caduta di pressione alle
estremità, alla quarta potenza del raggio del condotto ed inversamente proporzionale alla
viscosità del fluido.
Figura 1.8 Profilo di velocità parabolico di un fluido in regime laminare.
17
E’ necessario far notare (3) come l’equazione (1.21), essendo stata ottenuta per un volume
infinitesimo di spessore dx, sia valida sia per fluidi incomprimibili che per fluidi comprimibili,
essendo trascurabile all’interno dello spessore dx la variazione della densità del fluido. Nel
caso di flusso di fluidi comprimibili all’interno di tubi di lunghezza finita l, nei quali l
variazione di densità del fluido può essere significativa, la precedente può non essere più
applicabile. Inoltre la (1.21) è applicabile solo per regime laminare pienamente sviluppato.
1.1.5 Strato limite
Un fluido viscoso in moto in prossimità di una parete solida, tende ad aderire alla parete e
quindi a ridurre la velocità relativa fino ad annullarla in prossimità della parete stessa. Tale
azione di rallentamento della parete si trasmette poi alla massa del fluido per effetto delle
forze viscose. Esiste quindi uno strato di fluido in prossimità della parete che risente
fortemente del rallentamento indotto dall’adesione del fluido alla parete solida: tale zona è
detta “strato limite” della corrente fluida.
Tale concetto fu introdotto inizialmente da Prandtl, che per primo ipotizzò che il deflusso di
un fluido a contatto di una superficie solida potesse essere suddiviso in due parti:
- una parte, a contatto con la parete, nella quale è predominante l’effetto degli sforzi
tangenziali, caratterizzata da elevati gradienti di velocità e quindi da elevati sforzi
tangenziali;
- una parte, più lontana dalla parete, nella quale il campo di velocità non risente
dell’effetto di adesione indotto dalla parete sul fluido ed il profilo di velocità risulta
indisturbato.
L’intero processo di sviluppo dello strato limite può essere evidenziato studiando il deflusso
di un fluido reale su una lastra piana (3) (5).
Figura 1.9 Sviluppo dello strato limite nel deflusso di un fluido su una superficie piana (Vio).
18
Sia u∞ la velocità indisturbata del fluido e sia A il bordo di attacco (ad angolo di incidenza
nullo) della lastra piana. A contatto con la superfice della lastra, il fluido tende ad aderire ad
essa per effetto della viscosità e la velocità relativa tende a diminuire. Per effetto delle forze
viscose sempre maggior quantità di fluido viene interessata dal rallentamento e lo strato
limite aumenta quindi il suo spessore (Fig. 1.9). In questa prima parte di lunghezza xc il
regime di moto all’interno dello strato limite è completamente laminare e l’andamento della
velocità in funzione della distanza dalla parete segue, come si è visto, una legge parabolica.
Per distanze dal bordo d’attacco maggiori di xc, poiché sempre più fluido risulta interessato
dagli effetti viscosi e lo spessore dello strato limite aumenta, il regime laminare all’interno
dello strato limite diventa instabile e dopo una zona di transizione (subito dopo xc), lo strato
laminare presenta un regime turbolento in ogni punto tranne che in un sottile strato aderente
alla parete detto “sottostrato laminare” nel quale il regime si mantiene laminare ed il profilo
di velocità si può considerare lineare. Tra sottostrato laminare e strato turbolento il passaggio
avviene attraverso una zona intermedia detta “buffer layer” all’interno della quale il moto,
pur dominato dagli effetti viscosi, presenta già numerosi vortici. Nello strato limite
turbolento i profili di velocità seguono leggi del tipo:
(
)
con n funzione di Re (n=7) nel campo di velocità di maggior interesse per la pratica).
Per deflussi all’interno di condotti, lo sviluppo dello strato limite presenta caratteri simili.
Si consideri un fluido che entra in un tubo da una sezione molto più grande (5): nella sezione
di ingresso la velocità è costante su tutta la sezione e pari al valore indisturbato w∞ che il
fluido possiede prima di entrare nel condotto. All’aumentare degli effetti viscosi, la velocità in
prossimità della parete diminuisce, la velocità all’asse aumenta per mantenere costante la
velocità media (la portata in ogni sezione è costante) e la pressione all’asse diminuisce, in
accordo con il teorema di Bernoulli.
Allontanandosi dalla sezione di ingresso, una sempre maggior quantità di fluido risente del
rallentamento indotto dalla parete e trasmesso tramite le forze viscose: lo spessore dello
strato limite aumenta finché, alla distanza Li dall’asse, detta “lunghezza di ingresso”, lo strato
limite raggiunge l’asse del condotto, occupa l’intera sezione e il fluido raggiunge la “regione
di moto pienamente sviluppato”. In tale regione il profilo di velocità w=w(r) si mantiene
identico in tutte le sezioni successive (se il moto avviene in regime stazionario):
- se Re<Rec, il moto completamente sviluppato sarà laminare ed il profilo di velocità
sarà parabolico:
(
)
dove wa è la velocità all’asse.
- Se Re>Rec, il fluido presenterà moto turbolento completamente sviluppato con
profili di velocità che seguono approssimativamente la legge:
19
(
)
La lunghezza di ingresso Li soddisfa alla relazione:
Lo sforzo tangenziale è direttamente proporzionale al gradiente di velocità. Perciò nella zona
di moto completamente sviluppato, dove il profilo di velocità è costante, anche lo sforzo
tangenziale alla parete τo è costante. Nella prima parte del condotto, invece, detta “regione di
sviluppo idrodinamico” lo sforzo tangenziale alla parete non è costante (4): τo è massimo
nella sezione iniziale della tubazione dove lo strato limite è minimo e quindi il gradiente di
velocità è massimo; a partire da tale valore decresce progressivamente fino al valore minimo
che si ha nella regione di moto pienamente sviluppato.
1.1.6 Moto turbolento
Come si è mostrato nel precedente paragrafo, all’imbocco di un condotto, per effetto
dell’adesione del fluido alla parete, si ha la formazione di uno strato limite anulare dapprima
laminare poi, al crescere dello spessore dello stesso per effetto delle forze viscose, tale strato
limite può diventare turbolento ed occupare tutta la sezione del condotto.
Alla distanza Li (che dipenderà da Re, dalla parete del tubo, dal tipo di imbocco) il flusso
presenterà quindi un regime di moto pienamente sviluppato. Se Re>Rec il regime di moto
sarà turbolento pienamente sviluppato su tutta la sezione. Anche in questo caso, come in
quello dello strato limite, si possono distinguere sulla sezione quattro zone, a seconda della
distanza dalla parete, che presentano particolari caratteristiche del moto:
- sottostrato laminare: a contatto con la parete il moto è dominato dagli effetti viscosi. Il
regime si presenta sempre laminare, il gradiente di velocità è molto elevato e così
anche gli sforzi tangenziali. Il profilo di velocità si può praticamente considerare
lineare;
- buffer layer: è questa una zona ancora dominata dagli effetti viscosi, ma nella quale
iniziano a manifestarsi i primi vortici;
- strato di transizione: procedendo verso l’asse del condotto si ha lo strato di transizione
in cui avviene lo sviluppo dei vortici anche se questi non sono ancora dominanti;
- strato turbolento: nel quale le turbolenza è predominante e gli effetti viscosi risultano
trascurabili. Il profilo di velocità è molto piatto e segue una legge logaritmica.
20
A differenza del regime lineare, per il quale è possibile risolvere analiticamente le equazioni
del moto e determinare dei profili di velocità esatti (che abbiamo visto essere parabolici), per
il regime turbolento, in seguito al suo carattere caotico ed imprevedibile, non è possibile
ottenere delle soluzioni esatte delle equazioni del moto, ma queste possono essere ottenute
soltanto mediante metodi approssimati e per interpolazione dei dati sperimentali.
Per i tubi cilindrici lisci (1), l’equazione che meglio approssima i dati sperimentali è la
seguente:
dove per u*, detta “velocità di attrito”, vale:
√
La (1.26) vale in tutta la sezione del condotto tranne che nel substrato laminare, dove invece
il profilo di velocità, che può ritenersi lineare, si può determinare tramite la:
Le curve (1.26) e (1.28) si intersecano per√
: poiché in questo punto si può
considerare che finisca il substrato laminare, (finendo l’andamento lineare della velocità) cioè
y=δ, lo spessore del substrato laminare si può calcolare come:
√
Anche i tubi cilindrici scabri, quando si può assumere che la scabrezza sia tale da rompere
completamente il moto laminare e si possa quindi trascurare l’esistenza del substrato
laminare, presentano un andamento logaritmico della velocità sull’intera sezione del tubo,
dato dalla seguente relazione, ottenute da Nikuradse tramite lo studio di condotti a scabrezza
determinata:
dove es è la scabrezza in sabbia introdotta da Nikuradse.
In Fig. 1.10 si riportano, per un condotto circolare di diametro D, i profili laminare e
turbolento di velocità, per la stessa velocità media sulla sezione V, ma a diverso Re: come si
può notare, rispetto al profilo parabolico della velocità in regime laminare, il profilo
turbolento risulta più appiattito, presenta cioè un valore più uniforme sull’intera sezione
tranne che in prossimità della parete, dove si ha un elevato gradiente di velocità (fino a vX=0
in prossimità della parete) e quindi elevati sforzi tangenziali.
21
1.1.7 Perdite di carico
La perdita di carico Δp tra due punti di un condotto all’interno del quale scorre un fluido, è
pari alla variazione dell’energia posseduta dal fluido nei due punti del condotto e può quindi
essere espressa tramite l’equazione di Bernoulli come:
(
) (
)
Dove i termini tra parentesi sono l’energia totale del fluido nella sezione 1 e nella sezione 2.
Spesso, nella pratica, risulta conveniente esprimere la perdita di carico in termini di variazione
della colonna di fluido come:
(
) (
)
Dividendo tale valore per la distanza l tra le sezioni 1 e 2 del condotto si ottiene la variazione
di quota piezometrica per unità di percorso J, detta anche “cadente piezometrica”:
Solitamente, sia per moti laminare che per moti turbolenti, la perdita di carico viene espressa
tramite la formula di Darcy-Weisbach:
dove il parametro f, detto “fattore di attrito”, è un parametro adimensionale che dipende
(come si vedrà più avanti) dalla scabrezza relativa del tubo e dal numero di Reynolds del
fluido.
Figura 1.10 Confronto tra i profili di velocità laminare e turbolento per il moto di un fluido all’interno di un condotto circolare.
22
Il fattore di attrito, in quanto termine che esprime la resistenza incontrata dal fluido nel suo
deflusso all’interno del condotto, è strettamente correlato allo sforzo tangenziale alla parete
del condotto τo.
Si dimostra (5) come la variazione di pressione lungo l’asse del condotto sia legata allo sforzo
tangenziale alla parete dalla seguente relazione:
In maniera più generale, tramite un bilancio delle forze su un anello di fluido di spessore dr
compreso tra i raggi r ed r+dr e di lunghezza dx in moto permanente alla velocità v
all’interno di un condotto di diametro d=2R, si può dimostrare (5) che a partire dall’asse del
condotto (r=0) dove lo forzo tangenziale è nullo (τ=0), lo sforzo tangenziale cresce
linearmente fino al valore massimo τo che si ha alla parete, cioè vale:
dalla quale si ottiene la (1.35) ponendo r=R per τ=τo.
Scrivendo la (1.34) per un tratto infinitesimo di condotta di lunghezza dx risulta:
dalla quale si ottiene:
La caduta di pressione piezometrica nel tratto infinitesimo dx sarà:
dalla quale si ottiene:
Sostituendo la (1.40) nella (1.37) e tenendo conto della (1.35) si ottiene:
Nel caso di regime laminare pienamente sviluppato, si è visto come il moto sia regolato
dall’equazione di Hagen-Poiseuille (1.20) dalla quale si ottiene:
La (1.34), applicata ad un tratto di lunghezza finita l, fornisce:
23
Inserendo la (1.42) nella (1.43) e considerando una velocità media sulla sezione v=Q/A, si
ottiene:
L’espressione così ottenuta mostra come per un fluido in regime laminare pienamente
sviluppato, il fattore d’attrito sia inversamente proporzionale al numero di Reynolds, e come
sia indipendente dalla scabrezza delle pareti del condotto.
Per un fluido in regime turbolento sviluppato, invece, il fattore d’attrito risulta essere
funzione anche della scabrezza relativa della condotta, come evidenziato dalle esperienze di
Nikuradse su tubi resi artificialmente scabri, con un fattore di scabrezza noto. Egli ottenne la
seguente mappa:
Come si può vedere, per Re<2100 (regime laminare), il fattore d’attrito è indipendente dalla
scabrezza relativa ed è inversamente proporzionale a Re (nel diagramma logaritmico di
Nikuradse tale relazione è rappresentata da una retta). Nel campo di moto turbolento si
possono notare due regioni distinte che presentano diversi comportamenti del fattore
d’attrito:
- per basse scabrezze relative (tubi lisci) e bassi Re, i valori del fattore d’attrito si
dispongono su un’unica curva, ad indicare la trascurabile dipendenza dalla scabrezza
della tubazione. Tale regime viene detto “moto turbolento in tubo liscio”;
Figura 1.11 Mappa di Nikuradse per tubi a scabrezza uniforme (www.mp.haw-hamburg.de)
24
- per valori più elevati di Re i punti relativi ad uno stesso valore di scabrezza relativa, si
dispongono invece su curve che tendono a divenire parallele all’asse delle ordinate,
segno che la dipendenza da Re risulta trascurabile in questa regione (“moto turbolento in
tubo scabro”).
Tra queste due regioni è presente un’altra regione, di transizione, nella quale il fattore di
attrito dipende sia dalla scabrezza che da Re.
Come precedentemente evidenziato, nel caso di regime turbolento, non è possibile ottenere
per via analitica una relazione tra gradiente di pressione e velocità del fluido: tutte le relazioni
di cui si dispone sono ricavate per via empirica o semiempirica.
Per il moto turbolento in tubi lisci si può usare l’equazione di Prandtl-von Kármán:
√
√
che deriva da considerazioni teoriche, ma che risulta difficile da applicare in quanto implicita.
Di più facile applicazione sono invece l’equazione di Blasius:
oppure la seguente:
Per il regime completamente turbolento si può usare una variante dell’equazione di Prandtl-
von Kármán:
√ (
)
oppure la seguente, che a differenza della precedente è esplicita:
( )
A conferma di quanto detto prima, si noti come le relazioni per i tubi lisci non presentano la
dipendenza dalla scabrezza, ma solo da Re, così come le formule per i tubi scabri, non
presentano la dipendenza da Re ma solo dalla scabrezza relativa.
Tuttavia nei tubi commerciali, a differenza dei tubi a scabrezza controllata usati da
Nikuradse, il comportamento della parete passa gradualmente da liscio a scabro attraverso
regioni di transizione nelle quali non tutte le asperità escono dal sottostrato laminare del
25
profilo di velocità turbolento. In questi casi il fattore di attrito dipende sia da Re che dalla
scabrezza della parete e deve essere calcolato con l’equazione di Colebrook-White:
√ (
√ )
Si osservi come per parete liscia (e=0) e parete scabra (Re→∞) si ottengono rispettivamente
la (1.45) e la (1.48).
Una rappresentazione grafica dell’equazione di Colebrook-White (di non facile applicazione
in quanto implicita) è fornita dal cosiddetto “abaco di Moody”.
1.2 Cenni di trasmissione del calore
1.2.1 Introduzione. I tre meccanismi dello scambio termico
Il passaggio di calore tra due zone dello spazio a temperatura diversa può avvenire attraverso
tre distinti meccanismi di scambio termico, ognuno dei quali presenta particolari
caratteristiche. Se lo scambio termico avviene all’interno di corpi solidi, liquidi o gassosi
senza apprezzabile trasporto di materia, si parla di “scambio termico per conduzione”. Quando lo
scambio termico avviene tra un fluido in movimento ed un altro corpo con un trasporto di
Figura 1 Diagramma di Moody. (www.ask.com)
26
materia non trascurabile, si parla di “scambio termico per convezione”. Quando, infine, lo scambio
termico avviene tramite onde elettromagnetiche, si parla di “scambio termico per radiazione”.
In molti casi pratici, tutti e tre questi meccanismi avvengono contemporaneamente,
contribuendo in propria parte al flusso termico totale. In altri casi, alcuni di questi
meccanismi, contribuendo solo in minima parte al flusso termico totale, possono essere
trascurati così da poter semplificare la trattazione. In tutti i casi discussi in questo lavoro, il
fenomeno di irraggiamento si può ritenere trascurabile, mentre rivestono grande importanza i
meccanismi di conduzione in regime stazionario attraverso superfici solide e di convezione
forzata di un fluido all’interno di un condotto. Di seguito verranno descritti principalmente
questi due casi, lasciando gli altri a testi specialistici (5) (1) (4).
1.2.2 Scambio termico per conduzione
L’equazione della conduzione, nel caso semplice di una barretta lunga Δx di area A di
materiale omogeneo ed isotropo ben isolata lungo la superficie esterna, nella quale cioè il
flusso termico q si può considerare monodimensionale e diretto lungo l’asse x coincidente
con l’asse del cilindro, alle cui estremità è mantenuta una differenza di temperatura costante
Δt= t1-t2, risulta essere:
Dalla precedente, detta “equazione di Fourier”, risulta che il flusso termico [W] è
direttamente proporzionale all’area A della sezione e alla differenza di temperatura alle
estremità, ed inversamente proporzionale allo spessore Δx tramite il coefficiente di
proporzionalità λ detto “coefficiente di conduzione termica” [W/mK], caratteristico del
materiale considerato. Il segno meno indica che la direzione del flusso è opposta a quella del
gradiente termico.
L’equazione di Fourier può essere scritta in forma differenziale come:
e, in forma vettoriale, eliminando così l’ipotesi restrittiva di monodimensionalità del flusso
termico:
dove q* [W/m2] è il flusso termico specifico o densità di flusso termico.
Vediamo ora come applicare questi risultati ad alcuni casi di interesse pratico, finalizzati
soprattutto al lavoro presentato di seguito.
Si consideri uno strato piano indefinito di spessore l di un materiale omogeneo ed isotropo.
Sulle superfici di estremità dello strato sia mantenuta una differenza costante di temperatura
t1-t2 e non vi sia generazione di calore internamente allo strato. Il flusso termico che dalla
27
parete a temperatura maggiore fluisce verso quella a temperatura minore attraverso la
superficie A dello strato, risulta essere:
dove, in analogia con la legge di Ohm per la conduzione elettrica, il termine l/λA viene detto
“resistenza termica” dello strato piano. Se λ si può ritenere indipendente dalla temperatura, si ha
che il profilo di temperatura all’interno dello strato risulta essere lineare, cioè:
Se ora supponiamo che lo strato piano sia in realtà composto da due strati diversi (diverso
materiale, diversa conduttività termica λ, diverso spessore l), essendo t1 e t2 ancora le
temperature (supposte costanti) sulle superfici esterne e t’ la temperatura sulla superficie di
separazione tra gli strati, poiché il flusso q che attraversa il primo strato dovrà essere uguale
al flusso che attraversa il secondo, si può scrivere:
Per cui, considerando ora le superfici esterne, si ha:
Come si vede, la resistenza termica totale dello strato è data dalla somma delle resistenze dei
singoli strati:
Se si considera ora il caso, di grande importanza nella pratica, di scambio termico per
conduzione attraverso lo strato cilindrico ad esempio di un tubo di sezione circolare, si ha:
E quindi:
Dove t1 e t2 sono ancora le temperature sulla superficie interna e sulla superficie esterna,
mentre re ed ri sono rispettivamente raggio esterno e raggio interno del condotto.
28
In questo caso il profilo di temperatura attraverso lo strato non è più lineare bensì
logaritmico:
Nel caso di strato composto, similmente a prima, si ha che la resistenza termica totale è data
dalla somma delle resistenze dei singoli strati:
∑
1.2.3 Scambio termico per convezione forzata entro condotti
Come è già stato anticipato, si dice “convezione termica” il meccanismo di scambio termico
che si instaura tra due sistemi a temperatura diversa ed in contatto tra di loro, almeno uno dei
quali sia un fluido. Un esempio di scambio termico per convezione è quello che si ha quando
un fluido lambisce la superficie di un corpo solido. Per descrivere il fenomeno di convezione
termica, si considera lo scambio termico tra un fluido in moto forzato all’interno di una
condotta e la parete della condotta stessa, che si assume a temperatura diversa rispetto alla
temperatura del fluido.
Come è stato fatto notare durante l’analisi dello strato limite, nel deflusso di un fluido a
contatto con una parete solida, il fluido a diretto contatto con la parete presenta velocità
relativa nulla rispetto alla parete stessa: in questa zona, allora, lo scambio termico sarà
puramente conduttivo e si potrà scrivere:
(
)
Dove λ è la conduttività termica del fluido, n è il versore normale alla parete e ( t/ n)p è il
gradiente termico calcolato alla parete che risulta essere collegato alla configurazione del
campo di moto e alle grandezze fisiche del fluido che ad essa contribuiscono.
Ci si aspetta, però, che il fenomeno di scambio termico per convezione sia influenzato non
solo dalle proprietà termiche del fluido, quali la conduttività, il calore specifico e dai gradienti
termici presenti, ma anche dal campo di moto realizzato e da tutte le grandezze che
concorrono a realizzarlo, siano esse fisiche, geometriche o dinamiche.
In pratica, per descrivere i fenomeni conduttivi, si usa la “legge di Newton della conduzione
termica”:
( )
29
dove α è il coefficiente di convezione, tp è la temperatura della parete e tf la temperatura del
fluido (definita ad esempio come temperatura di mescolamento adiabatico, in quanto la
temperatura non è costante su tutta la sezione).
La legge di Newton, di natura puramente empirica, non descrive i fenomeni che
intervengono durante la convezione ma permette di introdurre il coefficiente α di
convezione: questo risulta essere funzione della geometria del sistema, delle proprietà fisiche
del fluido e delle caratteristiche del campo dinamico.
Il valore di α può essere ricavato sperimentalmente oppure con metodi teorici e matematici,
che necessitano, comunque, di una verifica sperimentale.
I metodi che si possono usare per la determinazione di α sono:
- analogia tra i fenomeni di trasporto di energia, di materia e di quantità di moto;
- analisi dimensionale;
- la risoluzione esatta delle equazioni differenziali che descrivono il moto con
convezione;
- la risoluzione approssimata (mediante metodi numerici) delle suddette equazioni del
moto.
Di seguito si descrive il metodo dimensionale per la determinazione del coefficiente di
scambio termico α, così come presentata in (5).
Per poter applicare l’analisi dimensionale è necessario stabilire quali siano i parametri che
intervengono nel fenomeno di convezione e che quindi influiscono su α.
Numerosi studi, sia teorici che sperimentali, hanno condotto a stabilire i seguenti parametri
come influenti sul coefficiente di convezione:
- sezione trasversale del condotto, espressa dal diametro (nel caso di condotto a
sezione circolare) o dal diametro equivalente idraulico deq (nel caso di condotto a
sezione non circolare);
- condizioni fluidodinamiche medie sulla sezione, espresse dalla velocità media v;
le proprietà fisiche del fluido che influenzano il campo di moto, come ρ e µ, e quelle che
influenzano il trasporto di calore, come λ e cp.
In conclusione risulta:
( )
Il teorema di Buckingham assicura che le 7 variabili indipendenti descritte nella precedente
equazione possono essere ridotte a 3 parametri adimensionali, che nel caso in esame sono i
seguenti:
30
-
detto “numero di Nusselt”;
-
detto “numero di Reynolds”;
-
detto “numero di Prandtl”.
In virtù di queste considerazioni, l’equazione (1.64) può essere riscritta come:
che, tramite l’interpolazione dei dati sperimentali, assume la seguente espressione:
Dove C, m ed n si ottengono ancora tramite l’interpolazione dei dati. Vediamo ora alcuni casi
pratici.
Bisogna innanzitutto distinguere tra moti interni, confinati cioè all’interno di pareti solide, e
moti esterni, nei quali il fluido, che occupa uno spazio che si può ritenere illimitato, lambisce
una superficie solida. I due casi, infatti, sono caratterizzati da differenti caratteristiche
fluidodinamiche, differenti definizioni del numero di Reynolds e da differenti valori critici
per lo stesso:
moti interni
dove v è la velocità media sulla sezione e d il diametro interno del tubo (o il diametro
idraulico).
moti esterni
dove v∞ è la velocità indisturbata del fluido e x la distanza dall’inizio della lastra (o bordo
d’attacco).
Esistono molte relazioni che permettono di esprimere la (1.67) e che dipendono dal tipo di
moto (interno od esterno), dal tipo di regime (laminare o turbolento), dal tipo di scambio
termico (riscaldamento del fluido o raffreddamento) e dai parametri geometrici del sistema.
Regime laminare
Nel caso di regime laminare, per la regione di imbocco (abbiamo visto che regione di
imbocco e regione a moto completamente sviluppato presentano caratteristiche
fluidodinamiche molto differenti), è appropriata l’equazione di Sieder e Tate:
31
(
)
(
)
valida per diametri e Δt non troppo elevati, lunghezze del condotto l≤2Li, dove Li lunghezza
del tratto di imbocco, può essere calcolata come:
L’equazione di Sieder-Tate è soggetta, però, alle seguenti limitazioni:
-
con Gz “numero di Graetz” che significa l≤2Li
(ciè l’equazione vale per la sola fase di imbocco, dove il fenomeno di convezione non
è ancora pienamente sviluppato);
-
(cioè si escludono i condotti troppo corti)
- (moto laminare)
-
L’equazione di Sieder-Tate vale sia nel caso di riscaldamento che nel caso di raffreddamento
del fluido.
Per quanto riguarda, invece, la regione a regime termico completamente sviluppato (Gz<20,
l>Li) oppure per l’intero tubo (se Gz<10, l>2Li), una analisi dettagliata permette di ricavare
dei valori per il numero di Nusselt che risultano essere:
Nu=3,656 se tp=cost
Nu=4,364 se qp=cost
Regime turbolento
Nel caso di regime turbolento completamente sviluppato in tubi con pareti lisce (nei quali è
trascurabile l’aumento di scambio termico indotto dalla rugosità) è largamente diffuso l’uso
dell’equazione di Dittus e Boelter:
Con m=0,4 nel caso di riscaldamento del fluido
m=0,3 nel casi di raffreddamento del fluido.
32
33
Capitolo 2
Il Silicon Pixel Detector (SPD)
2.1 L’esperimento ALICE
ALICE (A Large Ion Collider Experiment) è un esperimento realizzato presso il Large
Hadron Collider (LHC) del CERN (Ginevra, Svizzera). LHC è un acceleratore di particelle la
cui linea di fascio è costituita da un anello di 27 km di circonferenza, posto tra i 50 ed i 150 m
al di sotto della superficie terrestre. Lungo questo anello sono disposti 4 esperimenti
principali: ALICE, ATLAS, CMS ed LHCb.
L’esperimento ALICE è focalizzato sullo studio delle proprietà della cromodinamica
quantistica o QCD (Quantum ChromoDynamics), il settore del Modello Standard che
descrive l’interazione forte, una delle quattro interazioni fondamentali.
L’esperimento è dedicato allo studio delle collisioni tra ioni di Pb accelerati da LHC fino a
valori dell’energia per nucleone nel centro di massa pari a √ Secondo la
QCD in tali condizioni, caratterizzate da valori estremamente elevati di densità e
temperatura, si ha la formazione del Quark-Gluon Plasma, un stato della materia nel quale i
quark non sono più confinati all’interno degli adroni, come invece avviene nella materia in
condizioni ordinarie, ma si comportano come particelle libere. Si ipotizza che tale stato fosse
quello dell’universo circa dieci microsecondi dopo il Big Bang.
L’esperimento si compone di 18 diversi rivelatori, realizzati con differenti tecnologie a
seconda del campo di utilizzo specifico. Nella parte più interna del rivelatore si trova il
sistema di tracciamento al silicio (Inner Tracking System o ITS) il cui compito è la
localizzazione del vertice primario, la ricostruzione dei vertici secondari derivanti dai
decadimenti di particelle instabili e il tracciamento e l’identificazione delle particelle a bassa
quantità di moto.
L’ITS è il primo rivelatore che circonda la beam pipe (la zona in cui avvengono le collisioni),
costituita da un cilindro di berillio di 800 µm di spessore e un diametro esterno di 59,6 mm.
L’ITS è costituito da 6 strati di rivelatori (Fig. 2.2 ) basati su tre diverse tecnologie, ognuna
applicata a due strati, dall’esterno verso l’interno: Silicon Strip Detector (SSD), Silicon Drift
Detector (SDD) e Silicon Pixel Detector (SPD).
34
Figura 2.1 L’esperimento ALICE.
Figura 2.2 Sezione dell’Inner Tracking System (ITS) installato attorno alla beam pipe.
35
2.2 SPD
Il Silicon Pixel Detector (SPD) costituisce l’elemento più interno dell’Inner Tracking System
(ITS). E’ un componente fondamentale per la determinazione del vertice primario e per la
misura del parametro d’impatto, definito come la minima distanza dal vertice primario della
traiettoria della particella.
Essendo il rivelatore più vicino alla beam pipe, ci si aspetta che operi con una densità di tracce
che può arrivare fino a 50 tracce/cm2 e con elevati tassi di irraggiamento ( si stimano 2,5 kGy
di dose totale assorbita in 10 anni di operazione).
La risoluzione nel calcolo dell’impulso e del parametro di impatto per particelle a basso
momento è fortemente legata agli effetti di scattering multiplo della particella nel materiale che
costituisce il rivelatore; per questo motivo la quantità di materiale attraversata dalle tracce
(material budget) deve essere minimizzata.
L’intero progetto del rivelatore è dunque ottimizzato per aumentare la risoluzione di
tracciamento mantenendo il material budget a valori accettabili.
Il rivelatore SPD è costituito da 10 settori in fibra di carbonio (CFSS) disposti con simmetria
cilindrica attorno alla linea del fascio. Ogni CFSS supporta 6 piani di rivelatori (o stave) con i
relativi condotti di raffreddamento: 2 si trovano sulla superficie interna (detta layer 1) ad una
distanza media di 39 mm dall’asse del fascio mentre 6 si trovano sulla superficie esterna (layer
2) ad una distanza media di 76 mm dall’asse del fascio. La differente disposizione degli stave
tra layer 1 e layer 2 (Fig. 2.3)è studiata in modo da ottimizzare l’angolo solido di copertura η
del rivelatore così da aumentare l’efficienza di tracciamento.
Figura 2.3 I 10 settori costituenti SPD montati a formare il rivelatore. Si noti la diversa disposizione degli stave tra layer 1 e layer 2.
36
I supporti in fibra di carbonio presentano uno spessore di 0,2 mm ottenuto dalla
sovrapposizione di due strati di 0,1 mm di materiale composito. Le fibre di carbonio sono
parallele in ciascuno strato mentre risultano ortogonali tra i due strati. La superficie esterna
del CFSS è rivestita da uno strato di 10 µm di parilene (un polimero) per assicurare
l’isolamento elettrico della struttura.
2.3 L’half stave
Ciascuno stave è costituito da due half stave di 143 mm di lunghezza, separati da un gap di 500
µm. Ogni half stave è a sua volta costituito da due ladder, 10 ASIC chip e da un chip pilota
incollati su di un Pixel bus. Il ladder è un ibrido p-on-n di silicio e costituisce l’elemento
sensibile del rivelatore: è diviso in cinque parti, ciascuna contenente 32x256 celle (o pixel) di
dimensione pari a 50x425 micron. Il pixel è l’unità fondamentale di rivelazione ed è costituita
da una giunzione p+n (un diodo) alimentata inversamente. Il chip pilota, detto MCM (“Multi
Chip Module”) è situato ad un’estremità dell’half stave e serve a garantire l’accoppiamento
elettronico tra il sensore ed il sistema di acquisizione dati.
Su ognuna delle cinque unità che costituiscono il ladder è applicato un chip di lettura (detto
Pixel chip) tramite una tecnica detta bump-bonding (Fig. 2.5): ogni singolo pixel del sensore è
collegato ad un pixel del chip . Il chip di lettura, realizzato da IBM con tecnologia CMOS, è
progettato con disegno resistente alle radiazioni.
Figura 2.4 Il CFSS di un settore di SPD
37
Il collegamento tra i chip di lettura e il chip pilota (MCM) è realizzato tramite un flat cable (detto
Pixel bus) costituito da cinque strati di alluminio separati da strati di Kapton (un
poliammide): uno strato è riservato alle connessioni di terra, uno alla tensione di
alimentazione dei moduli mentre i restanti tre sono riservati alla trasmissione dei dati. I ladder
sono poi collegati al Pixel bus a all’ MCM tramite wire-bonding (Fig. 2.5)
La struttura di un half stave è quindi composta da i seguenti strati (Fig. 2.6):
- Pixel bus per il trasporto dei dati e delle tensioni necessarie al funzionamento del
sensore;
- il sensore di silicio (ladder) di 200 µm di spessore;
- il bump-bonding che realizza il collegamento elettronico e meccanico tra il ladder e il chip
di lettura;
- chip di lettura (Pixel chip), dello spessore di 150 µm, che permette la lettura dei dati
forniti dal ladder e la loro conversione analogico/digitale;
- grounding-foil, costituito da uno strato di 25 µm di alluminio e uno strato di 50 µm di
Kapton, il cui scopo è quello di isolare elettricamente il rivelatore dal CFSS e di
fornire una massa elettrica comune all’half stave. Il grounding-foil presenta dei fori in
prossimità dei chip di lettura, detti pads, nei quali viene depositato la grease che realizza
il contatto termico tra chip e sistema di raffreddamento;
- grease termica per l’accoppiamento termico tra chip e sistema di raffreddamento
- tubo evaporativo del sistema di raffreddamento.
Figura 2.5 Pallina di Sn-Pb del diametro di 50 µm utilizzata per il bump-bonding (sinistra) e collegamenti tramite wire-bonding (destra).
38
Nel CFSS, due half stave vengono incollati testa a testa nella direzione z (con un gap di 500
µm) a formare uno stave, con gli MCM alle due estremità. Nel CFSS trovano posto 6 stave,
due nel layer 1 e 4 nel layer 2. Dieci settori vengono quindi assemblati insieme attorno alla
beam pipe a formare il rivelatore. In totale SPD è costituito da 60 stave (120 half stave)che
comprendono 240 ladder e 9,8x106 celle.
Figura 2.7 Il rivelatore SPD installato attorno alla beam pipe.
Figura 2.6 Sezione di un half stave
39
2.4 Il sistema di raffreddamento di SPD
All’interno dei Pixel chip di SPD si ha generazione di calore per dissipazione (effetto Joule).
Se non asportato, tale calore pari a 25 W/stave, causerebbe un aumento di temperatura degli
half-stave di 1 °C/s, distruggendoli in meno di un minuto.
Risulta perciò indispensabile al corretto funzionamento del rivelatore, un efficiente sistema di
raffreddamento in grado di asportare tutto il calore generato.
Il progetto del sistema di raffreddamento di SPD è stato guidato dai seguenti requisiti:
- rimuovere una potenza nominale, dovuta ai 60 stave, di 1500 W, mantenendo la
temperatura dello stave costante e compresa nell’intervallo 25-30°C;
- avere un profilo di temperatura lungo lo stave il più uniforme possibile (indispensabile
per evitare dilatazioni in alcune parti dello stave che comprometterebbero la stabilità
meccanica dello stesso);
- lavorare a pressioni ragionevoli (il più possibile vicine alla pressione atmosferica) al
fine di ridurre il material budget;
- essere il più possibile esente da perdite del fluido refrigerante;
- essere regolabile in tempo reale, permettendo la variazione della temperatura di
evaporazione.
Tutte queste considerazioni hanno condotto alla scelta di un sistema di raffreddamento
evaporativo, nel quale l’assorbimento di calore è dovuto all’evaporazione di un fluido
refrigerante. Un sistema di raffreddamento evaporativo, pur essendo più complesso da
gestire rispetto ad un sistema monofase, fornisce i seguenti vantaggi:
- ottimizza lo scambio termico, in quanto durante l’evaporazione il coefficiente di
scambio termico è molto maggiore che nel deflusso della singola fase (A.2.6);
- annulla il gradiente di temperatura lungo lo stave, in quanto l’evaporazione avviene a
temperatura costante (supponendo di trascurare le variazioni di temperatura legate
alla variazione della pressione di evaporazione per le perdite di carico per attrito
lungo il tubo evaporatore);
- riduce la massa di fluido circolante, in quanto il calore latente di evaporazione risulta
maggiore di quello sensibile e ciò permette di ridurre la quantità di fluido refrigerante
circolante a parità di potenza rimossa;
- riduce la dimensione dei tubi, in quanto una minor portata consente di avere una
sezione minore dei tubi a parità di numero di Reynolds e di velocità di deflusso;
40
- permette di avere canali paralleli a differenti temperature, semplicemente evaporando
a diverse pressioni (tramite l’utilizzo di regolatori di pressione). Ciò può avvenire per
ogni settore nel nostro sistema, mentre i 6 stave del settore condividono la stessa
pressione di evaporazione. Questo sarebbe invece impossibile in un sistema di
raffreddamento con un fluido monofase alimentato da un singolo collettore.
Per quanto riguarda il fluido frigorigeno, la scelta è stata guidata dalle seguenti esigenze (2):
- avere una curva pressione-temperatura in condizioni di saturazione favorevole, cioè
che non presenti pressioni di condensazione troppo elevate e pressioni di
evaporazione troppo basse, relativamente alle temperature richieste dal tipo di
applicazione;
- avere un elevato calore latente di vaporizzazione alla temperatura di evaporazione di
lavoro ed un basso volume specifico del vapore saturo secco, in modo da avere una
bassa portata volumetrica a parità di calore asportato;
- essere inerte nei confronti dei materiali dell’impianto con cui potrebbe venire a
contatto in caso di rottura o malfunzionamento ed essere inerte alle radiazioni.
Numerosi studi di fattibilità sui fluidi refrigeranti esistenti, hanno ristretto la scelta ai
perfluorocarburi (CxFy), in quanto la maggior parte dei fluidi frigorigeni alternativi o sono
basati su idrocarburi (proibiti dai regolamenti antincendio nella caverna di ALICE) o
contengono elementi che, soggetti a radiazioni ionizzanti, possono originare composti
corrosivi (come HF). Un’importante caratteristica dei perfluorocarburi è la loro dielettricità.
Come si è già detto, il progetto del sistema di raffreddamento è fortemente influenzato anche
dal material budget, che deve essere mantenuto al minimo possibile. Perciò si è scelto, per i
condotti evaporativi, uno spessore di 40 µm ed un raggio esterno massimo di 2 mm. Queste
imposizioni hanno le seguenti conseguenze sul progetto del sistema:
- il materiale della tubazione deve essere in grado di sopportare stress termici e
meccanici richiesti anche con uno spessore molto ridotto;
- la pressione di evaporazione del fluido alla temperatura necessaria per il
raffreddamento del settore deve essere compatibile con la resistenza meccanica dei
condotti.
- per asportare completamente il calore con superfici di scambio così ridotte, le
caratteristiche di scambio termico del sistema devono essere ottimizzate.
Il materiale in grado di sopportare gli stress meccanici, termici e chimici nelle condizioni
discusse, è risultato essere il Phynox (Elgiloy), una lega austenitica a base di cobalto (40% Co,
20% Cr, 16% Ni, 7% Mo, Fe BAL), molto resistente alla corrosione. Nonostante le buone
proprietà meccaniche del Phynox, la pressione all’interno dei condotti deve comunque essere
41
mantenuta a valori modesti e la massa di fluido circolante all’interno del sistema deve essere
minimizzata, per ridurre il material budget.
Per ottimizzare la superficie di
scambio termico, il condotto presenta
la geometria riportata a lato (Fig. 2.8).
Sono stati testati diversi fluorocarburi: assumendo una potenza dissipata di 25 W per
ciascuno stave e una temperatura di evaporazione di 15°C, si sono calcolate le pressioni
risultanti all’interno del tubicino per i fluidi testati. Nelle seguenti tabelle si riportano i dati
così ottenuti.
Densità a 15°C [kg/m3]
Portata per stave Portata per settore (6 stave)
Portata totale (60 stave)
Liquido Saturo
Vapore saturo
[g/s] [L/min] [g/s] [g/s] [L/min]
in out in out in out
C5F12 1623,8 7,23 0,22 0,01 1,82 1,32 0,05 10,95 13,19 0,49 109,47
C6F14 1747,2 2,72 0,21 0,01 4,70 1,28 0,04 28,20 12,78 0,44 281,97
C4F10 1536 20,75 0,25 0,01 0,73 1,52 0,06 4,38 15,16 0,59 43,85
I primi due fluidi presentano un maggiore calore latente di vaporizzazione, quindi richiedono
una minor portata (quindi minor material budget) a parità di calore assorbito (vedi tabella).
D’altro canto, la pressione di evaporazione alla temperatura di lavoro (15°C) risulta troppo
bassa e non sufficiente a vincere le perdite di carico della linea di ritorno fino all’impianto.
Si è quindi scelto il C4F10 come fluido operativo dell’impianto. Se ne riporta il diagramma
pressione-entalpia (p-h) (Fig.2.9), con evidenziate le isoterme a 15°C (temperatura di
evaporazione) e di 18°C (temperatura di condensazione).
Fluido Pev ΔHev Note
C5F12 577 mbar 104,618 kJ/kg pev troppo bassa
C6F14 189 mbar 107,958 kJ/kg pev troppo bassa
C4F10 1,92 bar 91,008 kJ/kg
Figura 2.8 Sezione dei condotti evaporativi in Phynox di SPD.
Tabella 2.1
Tabella 2.2
42
Figura 2.9 Diagramma p-h del C4F10 con evidenziate le isoterme a 15°C (linea rossa) e 18°C (linea blu).
I tubicini in phynox, all’interno dei
quali avviene l’evaporazione del
C4F10, sono posizionati sul
supporto in fibra di carbonio
(CFSS) che sostiene il settore e
posti in contatto termico con il
sensore tramite una colla termica
ad elevato coefficiente di
conduzione (Fig. 2.10).
2.4.1 Principio di funzionamento
Il sistema di raffreddamento sfrutta un ciclo inverso a compressione di vapore, che utilizza
perfluorobutano (C4F10) come fluido operativo. In Fig. 2.11 è riportato uno schema
semplificato dell’impianto ed il relativo ciclo nel diagramma pressione entalpia (p-h).
Il C4F10 evapora all’interno del settore (tratto D-E) a 15°C (1,9 bar), cui corrisponde un
calore latente di vaporizzazione pari a 91.038 J/kgK (Refprop). All’uscita del settore (E),
lungo il percorso di ritorno all’impianto (circa 35 m), il fluido subisce una caduta di pressione
per attrito (fino a raggiungere il valore di circa 1,8 bar) aumentando la sua temperatura per
scambio termico con l’ambiente (circa 22°C). All’ingresso del compressore, il fluido si trova
dunque in condizioni di vapore surriscaldato (punto F). Il compressore aumenta la pressione
del vapore fino a 2,1 bar, che è la pressione di condensazione a 18°C. All’interno del
condensatore il gas viene liquefatto scambiando calore con l’acqua refrigerata fornita da un
circuito esterno (G-H).
Figura 2.10 Sezione di un half stave assemblato su un CFSS.
43
Figura 2.11 Schema semplifica dell’impianto del sistema di raffreddamento di SPD (sinistra) e ciclo termodinamico realizzato dall’impianto sul diagramma p-h).
Il liquido saturo all’uscita del condensatore viene quindi sottoraffreddato in uno scambiatore
di calore (H-A) per evitare l’insorgere di fenomeni di cavitazione nella pompa. La pompa
innalza la pressione del liquido (A-B) fino ad un valore tale da permettere a questo di vincere
le perdite di carico del circuito che conduce al rivelatore (circa 50 m) e di raggiungere i
capillari ancora nella condizione di liquido sottoraffreddato, ma in equilibrio termico con
l’ambiente della caverna. La velocità della pompa viene regolata mediante un circuito PID
(Proportional-Integral-Derivative) in anello chiuso che controlla la pressione in mandata della
pompa, così da poter anche controllare la portata massica di fluido refrigerante nei capillari.
La caduta di pressione che avviene all’interno dei capillari (C-D) porta il fluido in condizioni
di saturazione con un certo valore del titolo di vapore. Lungo i condotti evaporatori del
settore, il fluido evapora (D-E) assorbendo calore ed aumentando progressivamente il titolo
del vapore, fino a giungere, all’uscita del settore (punto E) in condizioni prossime a quelle di
vapore saturo secco.
2.4.2 Progetto del sistema e scelta dei componenti
Come si è visto, la potenza generata da ciascun stave è ~ 25 W, cui corrisponde una potenza
totale generata nell’intero SPD pari a 1500 W. Il sistema è stato progettato con un fattore di
44
sicurezza pari a 2, assumendo quindi una dissipazione di 50 W/stave corrispondenti a 3 kW
totali.
Portata di massa e portata volumetrica
Parametro fondamentale per la scelta dei componenti e per il progetto dell’intero sistema è la
portata di massa di fluido refrigerante(e quindi la portata volumetrica, legata alla prima
dalla()). La portata richiesta è determinata dalla potenza termica che il sistema deve asportare
e dal calore latente di vaporizzazione del fluido alla temperatura di evaporazione (in questo
caso 15°C):
⁄ ⁄
Nella seguente tabella sono riassunti i valori di portata massica e volumetrica, sia nel caso di
liquido saturo che di vapore saturo secco, per un singolo stave, per 6 stave (1 settore) e per
60 stave (l’intero SPD):
Densità @ 15°C [kg/m3]
Portata per 1 stave Portata per 6 stave Portata per 60 stave
Liquido saturo
Vapore saturo
ṁ [g/s]
[L/h] ṁ [g/s]
[L/h] ṁ [g/s]
[L/h]
In (liq) Out (vap)
In (liq) Out (vap)
In (liq) Out (vap)
1533,6 20,855 0,6 1,41 104,1 3,6 8,46 624,6 36 84,6 6246
Tabella 2.3
I capillari
I capillari sono il componente che introduce la caduta di pressione che porta il fluido dall’alta
pressione presente nel condensatore (2,1 bar a 18°C) alla bassa pressione di evaporazione
(1,92 bar a 15°C). La scelta del capillari rispetto ad altri elementi di espansione (quali ad
esempio valvole termostatiche) è dovuta non solo all’estrema semplicità ed affidabilità dei
primi, ma soprattutto all’ambiente di lavoro molto particolare in cui l’elemento deve operare,
in questo caso caratterizzato da elevati campi magnetici e intense radiazioni ionizzanti.
La perdita di carico subita dal fluido nei capillari può essere calcolata tramite l’eq. di Darcy-
Weisbach:
45
in cui il fattore di attrito f viene, invece, calcolato tramite l’equazione di Blasius ( valida per
tubi lisci e Re≤104):
Con
- ρ=1533,6 kg/m3 (densità del C4F10 liquido a 15°C)
- D=0,5 mm (diametro del capillare scelto per l’impianto).
La lunghezza l del capillare viene scelta a seconda della caduta di pressione che si vuole
ottenere: bisogna evitare assolutamente che il fluido evapori prima dei capillari, cosa che
porterebbe ad una notevole ostruzione del flusso. Perciò, la pressione pC del fluido prima
dell’ingresso nei capillari, deve essere superiore alla pressione di saturazione del fluido alla
temperatura tC≈22°C raggiunta dal fluido stesso per scambio termico con l’ambiente durante
il percorso di mandata:
pc>psat (@ tC=22°C)=2,43 bar
Quindi la differenza di pressione minima a disposizione per far fluire il C4F10 all’interno del
capillare è:
psat (@ tC=22°C)-pev (@ tev=15°C)=2,43-1,92 bar=510 mbar
Dalla seguente figura, che riporta la caduta di pressione (calcolata con la (2.1)) in un capillare
del diametro di 0,5 mm in funzione del flusso per diversi valori di lunghezza l del capillare, si
può vedere come la lunghezza minima del capillare sia 220 mm, in corrispondenza della quale
si ha una caduta di 510 mbar con una portata pari a quella di progetto.
Figura 2.12 Curve Δp-flusso per diverse
lunghezze in capillari con di=0,5 mm
46
Per ottenere un maggior campo di funzionamento, si è infine scelto un capillare della
lunghezza di 550 mm.
Condotti di mandata e di ritorno
Considerazioni simili a quelle effettuate per il dimensionamento dei capillari, permettono di
calcolare il diametro ottimale delle linee di mandata e di ritorno, essendo la lunghezza delle
linee fissata e pari alla distanza tra impianto e ingresso del rivelatore, per la linea di mandata,
e tra uscita del rivelatore e impianto per la linea di ritorno. Le seguenti figure (2.14-2.15)
riportano quindi le perdite di carico lungo le linee della lunghezza data, per diversi valori del
diametro interno del condotto, assumendo liquido saturo nelle linee di mandata e vapore
saturo secco in quelle di ritorno.
Con lo stesso procedimento viene calcolato
il diametro interno dei 6 tubi (detti “exhaust
tube”) che dall’uscita del settore conducono
al collettore della linea di ritorno, dei quali si
riporta una immagine.
Figura 2.13 Condotti di uscita del settore
(exhaust tube) e relativo collettore.
Figura 2.14 Curve Δp-flusso per diversi valori di diametro interno relative alle linee di mandata (sinistra) e a quelle di ritorno (destra9 del sistema di raffreddamento.
47
Il diametro ottimale deve minimizzare le perdite per attrito (inversamente proporzionali al
diametro interno del condotto) pur mantenendo una velocità sufficiente del fluido, con la
portata necessaria (diametro, portata e velocità sono legate dalla relazione Q=vA=vπD2/4).
Sono stati quindi scelti i seguenti diametri interni dei tubi:
- 4 mm per la linea di mandata
- 10 mm per la linea di ritorno
- 1,5 mm per gli exaust tube
Con questi valori è ora possibile calcolare le perdite di carico per attrito.
Nella linea di mandata si può supporre sia presente solo liquido ad una temperatura prossima
a quella ambiente (22°C). Per ogni linea si ha una portata di massa ṁ=3,6 g/s ed una portata
volumetrica di liquido =ṁ/ρ=8,46 L/h.
La perdita di carico risulta essere:
con:
- ΔHf perdita di carico in termini di variazione di colonna di fluido;
- f fattore di attrito;
- L e D lunghezza e diametro della linea di mandata;
- v velocità media sulla sezione.
La velocità media sulla sezione viene calcolata a partire dalla portata volumetrica come:
Figura 2.15 Curve Δp-flusso per
diversi valori del diametro interno
relative agli exhaust tube del
settore.
48
*
+
Si può allora calcolare il numero di Reynolds del flusso come:
[ ] *
+
Il fattore d’attrito f, calcolato tramite la formula di Blasius, risulta:
La perdita di carico nella linea di mandata di lunghezza l=50 m e diametro interno D=4 mm,
in termini di variazione di colonna di fluido risulta essere:
Perciò la caduta di pressione alle estremità della linea sarà:
[
] *
+
In modo analogo si possono calcolare le perdite di carico nelle altre zone del circuito, di cui
si riportano i risultati:
linea di mandata (liquido) Δp=125 mbar
linea di ritorno (gas) Δp=45 mbar
exhaust tubes (gas) Δp=50 mbar
La caduta di pressione nei patch panel (connessioni che collegano due sezioni di tubo) non è
nota ma può essere stimata, nel caso peggiore, come pari all’intera caduta lungo la linea di
ritorno, cioè 45 mbar.
La caduta di pressione all’interno dei tubi evaporativi del settore è di difficile valutazione in
quanto, essendo presente una miscela bifase, le perdite dipendono dal tipo di regime di
deflusso che si instaura (A.2.5). Anche quest’ultimo è di difficile valutazione data la forma
molto particolare del condotto per la quale non esistono precedenti studi in letteratura. In
prima approssimazione è possibile ottenere il valore della perdita di carico come media tra i
due casi estremi di fluido in condizioni di liquido saturo e fluido in condizioni di vapore
saturo secco alla pressione di evaporazione corrispondente ad una temperatura di
evaporazione di 15°C.
49
Nella seguente tabella si riportano i risultati per due diversi flussi, uno di progetto (0,6 g/s
per stave) e uno nominale (0,3 g/s) per stave.
Flusso per stave [g/s]
Re (100% liq)
Re (100% gas)
Δp (100% liq) [mbar]
Δp (100% gas) [mbar]
Δp medio [mbar]
Variazione di tev lungo lo stave [K]
0,6 1536 36805 6 214 110 1,6
0,3 767 18400 2,7 62 32 0,5
Tabella 2.4
Si noti come all’aumentare della portata di fluido refrigerante, aumenti la variazione di tev
lungo il settore in seguito alla variazione di pev per le perdite per attrito lungo il deflusso.
Poiché la temperatura lungo il sensore deve essere il più uniforme possibile, grande cura deve
essere posta nel controllo della portata del fluido in fase di esercizio.
Compressore
Considerando un diametro di 4 mm per la linea di mandata, 1,5 mm per il tubo di scarico e
10 mm per la linea di ritorno, e una portata di massa di 0,6 g/s per ogni stave, la caduta di
pressione incontrata dal vapore nella linea di ritorno durante il percorso per raggiungere
l’impianto di raffreddamento è:
cioè:
Ciò significa che , se la pressione di evaporazione è di 1,92 bar (tev=15°C), la pressione
all’ingresso del compressore è di 1,8 bar, mentre la pressione di mandata sarà pari alla
pressione di condensazione del fluido a 18°C e cioè 2,1 bar.
Come si è visto, il flusso massico di fluido refrigerante richiesto da ogni stave per asportare
completamente il calore generato, risulta essere di 0,6 g/s e quindi 36 g/s per i 60 stave che
compongono l’intero SPD.
All’ingresso del compressore (punto F), il fluido si trova in condizioni di vapore surriscaldato
alla temperatura di 22°C (pari a quella ambiente) e alla pressione di 1,8 bar, cui corrisponde
una densità del fluido pari a ρ=18,815 kg/m3. La portata volumetrica risulta in queste
condizioni pari a:
*
+
50
Con questi valori è stato possibile scegliere il compressore che, visto il tipo di applicazione, è
un compressore a membrana: il vantaggio di questa soluzione è l’assoluta impermeabilità
ottenuta con l’eliminazione dello scorrimento tra le parti. E’ necessario infatti evitare ogni
contaminazione del fluido refrigerante , anche da parte di aria, che porterebbe ad una
modifica delle proprietà termodinamiche del fluido. Anche l’assenza di olio lubrificante,
caratteristica di tali macchine, è indispensabile a tale scopo.
Pompa
Per poter scegliere la pompa è necessario conoscere la pressione in ingresso, la pressione di
mandata, e la portata che questa dovrà elaborare.
La pompa deve garantire l’intera portata del sistema di raffreddamento, cioè, in condizioni di
progetto, 36 g/s di C4F10, che, a 18°C, corrisponde ad una portata volumetrica pari a
*
+
La pressione minima che la pompa deve generare alla mandata deve permettere al fluido di
raggiungere i capillari ancora in condizioni di liquido sottoraffreddato, tenendo conto di tutte
le perdite che si hanno lungo la linea di mandata che si suddividono in perdite distribuite per
attrito (125 mbar) e perdite legate alla variazione di quota piezometrica (750 mbar) per
raggiungere il rivelatore.
Per la pressione di mandata della pompa risulta dunque:
cioè:
La pressione minima di ingresso nella pompa è invece pari a 1,7 bar, che corrisponde ad una
temperatura di condensazione pari a 12 °C.
51
La pompa, scelta sulla base del precedente diagramma (Fig. 2.16) è il modello 214 AP.
Condensatore e scambiatori di calore
Per il dimensionamento e la scelta del condensatore che provvede alla liquefazione del gas
proveniente dalla linea di ritorno e dello scambiatore di calore che provvede al suo
sottoraffreddamento, è necessario conoscere la potenza termica che questi devono estrarre
dal fluido.
Per il condensatore, ipotizzando una temperatura di condensazione di 18°C (cui corrisponde
pcond=2,1286 bar) e una temperatura all’uscita del compressore (punto G) di 24°C, si ha:
( [
] [
]) [
]
Per lo scambiatore di calore, ipotizzando una temperatura di sottoraffreddamento di 12°C e
trascurando le perdite di carico all’interno dei circuiti, si ha:
( [
] [
]) [
]
Come si è visto, oltre allo scambiatore per il sottoraffreddamento del liquido installato
all’uscita del condensatore, sono poi stati installati 10 scambiatori (uno per ogni linea) che
sottoraffreddano il liquido in prossimità del rivelatore. Supponendo che il liquido venga
raffreddato da 19°C a 9°C con una portata pari a quella nominale (3,6 g/s per linea), si ha:
( [
] [
]) [
]
2.4.3 Descrizione dettagliata dell’impianto
La seguente descrizione dettagliata dell’impianto presenta valori diversi da quelli presentati
nella descrizione semplificata (valori nominali), in quanto questi sono i valori reali di
Figura 2.16 Diagramma portata-prevalenza per pompe a palette.
52
funzionamento dell’impianto misurati nei vari punti di misura (o da questi derivati) in una
generica sessione di presa dati.
Il C4F10 evapora all’interno del settore (punto F) a tev=13°C (pev=1,79 bar). La linea di
ritorno, che dal rivelatore conduce all’impianto di raffreddamento, è costituita da 10 tubi di
acciaio inossidabile 316L di diametro esterno/interno pari a 12/10 mm, per una lunghezza di
circa 35 m lungo la quale il fluido subisce una caduta di pressione per attrito (fino a
raggiungere una pressione di 1,6 bar) e si porta in condizioni di equilibrio termodinamico con
l’ambiente della caverna (22°C). A metà della linea di ritorno, i tubi sono dotati per circa 10
m di un cavo scaldante coassiale autoregolato (punto 10) costituito da una serie di resistenze
che, tramite la dissipazione totale di circa 600 W (60 W per ogni linea), permettono al fluido
di evaporare completamente, prima dell’ingresso nel compressore. La presenza di liquido non
evaporato in seno alla corrente fluida potrebbe infatti danneggiare il compressore a
membrana . Inoltre, garantendo la presenza di solo vapore sulla maggior parte della linea di
ritorno si ha un migliore controllo delle condizioni di evaporazione grazie alla minore e più
prevedibile perdita di carico del vapore rispetto a una fase mista.
C
D
E
F
G
H
Figura 2.17 Schema dettagliato dell’impianto di raffreddamento di SPD
I
L
M/N
O
A
B
53
All’ingresso del compressore, il fluido si trova in condizioni di vapore surriscaldato (punto I).
Il compressore mantiene la pressione costante sulle linee di ritorno, determinando la
temperatura di evaporazione nel rivelatore.
La pressione di ritorno, uguale per tutte le linee, è misurata da un sensore che trasmette il
valore ad un ciclo PID implementato nel PLC (Programmable Logic Controller) che controlla
l’impianto. Questo varia la velocità del compressore agendo su un frequenzimetro, per
mantenere costante la pressione di evaporazione all’interno del settore. In condizioni
stazionarie di funzionamento, la portata di vapore all’ingresso del compressore è costante,
per cui la sua velocità si stabilizza su frequenze comprese tra 30 e 50 Hz.
Il fluido in uscita dal compressore (punto L) entra nel condensatore dove viene riportato allo
stato liquido, scambiando calore con il circuito di acqua refrigerata centrale del CERN (ad
una temperatura dell’acqua in ingresso tin=6,6 °C). Al fine di mantenere la pressione di
condensazione al valore desiderato, in questo caso 2,2 bar, sensori di pressione e di
temperatura monitorano i valori di condensazione e li inviano al PLC che, tramite un ciclo
PID, agisce sulla valvola di regolazione del flusso di acqua refrigerata. All’uscita del
condensatore, il liquido saturo viene sottoraffreddato in uno scambiatore a piastre, ancora
alimentato dall’acqua di raffreddamento del CERN, allo scopo di evitare la cavitazione
all’ingresso della pompa e più in generale, l’evaporazione del liquido lungo la linea di mandata
prima dell’ingresso nei capillari. Un secondo sottoraffreddamento (punto 2), ancora mediante
I
L
Figura 2.18 Ciclo termodinamico realizzato dall’impianto di raffreddamento di SPD.
54
scambiatori a piastre (uno per ogni linea), viene effettuato in prossimità del rivelatore, quindi
poco prima dell’ingresso del fluido nei capillari in modo da abbassare nuovamente la
temperatura del fluido che lungo il percorso ha raggiunto l'equilibrio termico con l'ambiente
(22 C).
.Dopo il primo sottoraffreddamento del fluido, una pompa rotativa a palette (punto 5)
innalza la pressione ad un valore tale da permettere al liquido di vincere le perdite di carico
della linea di mandata che conduce al rivelatore (costituita ancora da 10 tubi di acciaio
inossidabile 316L di diametro esterno/interno pari a 6/4 mm per una lunghezza di 50 m) e di
raggiungere i capillari ancora nella condizione di liquido sottoraffreddato, ma in equilibrio
termico con l’ambiente della caverna. La potenza scambiata nel settore può essere regolata
variando la portata di fluido refrigerante attraverso i capillari. Poiché questa è imposta dalla
differenza di pressione alle estremità dei capillari stessi, la regolazione della potenza viene
effettuata variando la pressione di mandata della pompa, agendo ancora sulla frequenza di
rotazione tramite un frequenzimetro azionato dal PLC tramite la lettura del valore della
pressione di mandata misurata sulla linea. Nell’impianto sono installate due pompe, una delle
quali è ridondante, entrambe del tipo a palette rotanti in modo da ridurre la NPSH (Net
Positive Suction Head) richiesta dalla pompa e ridurre quindi la possibilità di avere
cavitazione. Il passaggio da una pompa all’altra può essere fatto da remoto in pochi minuti.
A valle delle pompe, prima del collettore di mandata da cui dipartono le singole linee che
alimentano i 10 settori, sono presenti tre filtri (punto 4): il primo viene detto “hydrofilter” ed è
specializzato nella rimozione di acqua. Il secondo, un setaccio molecolare, consente di
ottenere livelli di O2 inferiori a 5 ppm (parti per milione). E’ quindi presente un filtro a
matrice porosa di granulometria pari a 1 µm per impedire che particelle estranee possano
raggiungere i capillari ed il settore.
Dopo la zona dei filtri, è presente il collettore dal quale partono le 10 linee che alimentano i
10 settori di SPD. Delle valvole pneumatiche, installate all’inizio di ogni linea sia nel
collettore di mandata che in quello di ritorno, alimentate dal circuito di aria compressa del
CERN permettono di escludere ogni singola linea di alimentazione. A valle di queste è
presente la valvola regolatrice di pressione (che permette di regolare il flusso in ogni settore),
un flussimetro per la determinazione del flusso, un sensore di pressione ed una valvola
Schrader, tramite la quale è possibile fare il vuoto in ogni singola linea. Circa 30 metri dopo il
collettore, sono presenti nelle linee gli scambiatori di calore (punto 2) per il
sottoraffreddamento del liquido dei quali si è già parlato e, a valle di questi, i sensori di
temperatura e pressione che forniscono gli ultimi valori delle proprietà del fluido prima del
suo ingresso nel rivelatore. Tra gli scambiatori di sottoraffreddamento e i capillari del settore,
sono inoltre presenti due filtri in serie da 60 µm, posizionati entrambi all’interno del magnete,
il primo nella posizione detta PP4 (“Patch Panel” 4) e il secondo nella posizione PP3, sempre
per evitare l’ingresso di particelle estranee all’interno dei capillari. Mentre il filtro PP4 è
facilmente raggiungibile, quando è consentito l’accesso nella caverna di ALICE (durante gli
stop tecnici) e per questo viene sostituito con regolarità, il filtro PP3 non può essere
raggiunto se non tramite un lungo intervento (circa un anno) e quindi non può essere
cambiato con regolarità né visionato. Dopo i filtri, in prossimità del rivelatore, ciascuna linea
entra in un collettore dal quale dipartono i sei capillari (Fig. 2.19), ognuno dei quali alimenta
55
uno stave. Dopo i capillari (al di sotto dello stave) è presente il tubicino in phynox all’interno
del quale avviene l’evaporazione del C4F10. All’uscita del settore, dei tubi del diametro di 1,5
mm (exhaust tube) collegano le sei linee con un collettore di uscita, dal quale inizia ognuna
delle 10 linee di ritorno che si riuniscono
prima dell’ingresso nel compressore, nel
collettore di ritorno. In prossimità del
collettore di ritorno sono presenti, per
ogni linea, una valvola pneumatica che
consente l’esclusione delle singole linee,
un sensore di pressione, una valvola
Schrader per il vuoto e due valvole di
sicurezza, che proteggono il settore da
eventuali sovrappressioni.
Figura 2.19 I capillari all’ingresso di un settore si SPD ed il relativo collettore.
56
57
Capitolo 3
Risultati dei test
3.1 Introduzione
In questo capitolo vengono presentati i risultati dei test condotti presso i laboratori del
CERN, per cercare di comprendere meglio i fenomeni che stanno alla base dei problemi che
si osservano nel sistema di raffreddamento del rivelatore SPD installato presso la sala
sperimentale di ALICE.
Come prima cosa verrà descritto l’impianto utilizzato per i test: si tratta di un impianto di
raffreddamento a termosifone bifase, privo di componenti attivi quali pompe e compressori.
Esso utilizza come fluido refrigerante il C4F10 o perfluorobutano. La trattazione si basa sui
dati forniti dal gruppo costruttore dell’impianto (DC, “Detector Cooling” del CERN) e sui
risultati di test precedenti (J. Direito et al. “Mini-thermosyphon tests results”). Vengono poi
descritti il circuito realizzato come sezione test, rappresentativo dell’idraulica del sistema di
SPD, e i vari componenti che lo costituiscono.
Vengono quindi presentati i test effettuati ed i risultati ottenuti.
Per prima cosa sono stati caratterizzati i filtri utilizzatati successivamente, determinando le
rispettive curve caratteristiche in termini di caduta di pressione sul filtro Dp in funzione della
portata.
Sono quindi stati effettuati dei test con filtri parzialmente otturati con colla epossidica, a
diverso grado e con diverse modalità di otturazione, per valutarne l’effetto sul flusso e per
confrontarne il comportamento con quello dei settori reali in caverna.
Sempre con le stesse finalità, sono state utilizzate polveri graduate di diversa misura, inserite
nel circuito e fatte circolare assieme al fluido.
3.2 L’impianto a termosifone bifase
L’impianto motore utilizzato per i test, è un impianto di raffreddamento a termosifone
bifase, che usa come fluido refrigerante C4F10 o perfluorobutano .
58
Il principio che sta alla base di detto impianto è quello di far circolare naturalmente il fluido
refrigerante, senza l’ausilio di macchine operatrici, quali pompe o compressori.
La circolazione naturale bifase è ottenuta facendo condensare il fluido refrigerante a valori di
pressione e temperatura inferiori a quelli di evaporazione e ad una altezza superiore rispetto a
quella a cui avviene l’evaporazione. Questo permette di avere, nella linea di mandata,
all’uscita del condensatore, un incremento di pressione dato dall’altezza piezometrica ΔH,
pari alla differenza tra l’altezza a cui si trova il condensatore rispetto a quella a cui si trova
l’evaporatore. Tale incremento di pressione si può calcolare come:
dove:
Δp= p2- p1 , con p2 pressione a valle della
condotta di mandata, all’ingresso
dell’evaporatore e p1 pressione all’uscita
dell’evaporatore;
ρ è la densità del liquido nelle condizioni di
saturazione;
g è la costante di gravitazione universale;
ΔH è l’altezza a cui è posizionato il
condensatore rispetto a quella a cui è
posizionato l’evaporatore.
Inserendo nell’equazione i valori appropriati, cioè:
ρ=1558 kg/m3 (densità del fluido alla pressione di condensazione di 1,5 bar)
g=9,81 N/kg (costante di gravitazione universale)
ΔH=17,4 m (altezza disponibile nell’impianto).
si ottiene:
ΔH
P1
P2 Detector/Evap
orator
P3
P2
> P3
> P1
Tcond
Tliq
Figura 3.1 Schema dell’impianto a termosifone bifase utilizzato per i test
59
Nella linea di ritorno, dopo l’evaporazione, la forza motrice che spinge il gas all’interno del
condensatore è la differenza tra la pressione di evaporazione e quella di condensazione p3-p1.
Il fluido, infatti, evapora, ad una temperatura superiore a quella di condensazione, cosa che
consente di avere una minima differenza di pressione tra l’evaporatore e il condensatore. Tale
differenza porta il gas in uscita dall’evaporatore lungo la condotta di ritorno fino al
condensatore.
Data una pressione di evaporazione pev=1,8 bar (che corrisponde a Tev=13°C) e una
pressione di condensazione pcond=1,5 bar (che corrisponde a Tcond=8°C), si ottiene:
3.2.1 Descrizione dell’impianto
Il condensatore, posto ad un’altezza ΔH=17,4 m rispetto al livello dell’evaporatore, liquefa il
C4F10 gassoso proveniente dalla linea di ritorno ad una temperatura che si può ritenere pari a
quella ambiente (18-22°C), in seguito allo scambio termico con l’esterno lungo il percorso di
ritorno. I valori di temperatura e pressione di condensazione possono essere impostati
dall’utente variando il valore della temperatura del fluido refrigerante fornito dal chiller. Il
chiller, raffreddato ad acqua, raffredda un bagno di C6F14, che viene poi pompato all’interno
del condensatore, a diverse temperature di lavoro. All’interno del condensatore, lo scambio
termico è assicurato da un tubo a serpentina al cui interno scorre il C6F14 e la cui superficie
utile di scambio termico è 3,4 m2.
Nelle nostre condizioni di lavoro, caratterizzate da una pressione di condensazione pcond=1,5
bar che corrisponde ad una temperatura Tcond=8°C, la potenza termica fornita per la
condensazione del fluido refrigerante, è pari alla differenza tra l’entalpia del vapore e quella
del liquido alle condizioni di condensazione:
[
]
Il liquido condensato, deve trovarsi ad una temperatura minore (di circa 5°C) rispetto al
vapore all’interno del condensatore, per evitare ebollizione del liquido, che potrebbe bloccare
la circolazione naturale del fluido (in altre parole il liquido deve essere sottoraffreddato).
All’uscita del condensatore il liquido scende lungo il condotto di mandata per gravità
aumentando la sua pressione lungo la discesa per la presenza della colonna di liquido
60
sovrastante. Lungo la mandata aumenta anche la temperatura del fluido in seguito al flusso
termico dall’ambiente circostante, attraverso le pareti della conduttura (sebbene questa sia
isolata). L’aumento della temperatura dipende dalla portata di fluido refrigerante e dallo
spessore dello strato isolante. Il liquido attraversa prima una valvola di espansione, in cui
diminuisce la sua pressione e subisce una ulteriore perdita di carico all’interno dei capillari,
all’uscita dei quali si trova nella condizione di vapore saturo alla pressione di evaporazione
desiderata, condizione nella quale l’evaporazione può avvenire a temperatura costante. Si
deve però evitare in ogni modo l’evaporazione del liquido prima del suo ingresso nei capillari,
condizione questa che comporterebbe perdite di carico elevate e ostruzione del flusso. La
valvola di espansione permette di effettuare la regolazione della portata del fluido refrigerante
all’interno dell’impianto ma ,nel nostro caso, resterà fissa, poiché la regolazione della portata
verrà effettuata con una apposita valvola di regolazione graduata ad alta precisione
posizionata nella sezione di test (Par 3.3).
Il fluido entra quindi nel settore dove evapora aumentando progressivamente il suo titolo.
All’uscita dell’evaporatore il vapore, dopo essere stato surriscaldato all’interno di un carico
termico che vaporizza la parte di liquido eventualmente rimasta, raggiunge il condensatore
lungo la condotta di ritorno, spinto dalla differenza di pressione tra la pressione di
evaporazione e quella di condensazione (che si è visto essere di circa 0,3 bar).
Il dummy load è costituito da un bagno di glycole riscaldato da due dissipatori (da 3kW
ciascuno) e da uno scambiatore di calore a piastre che presenta da una parte il C4F10 (lato
evaporativo) e dall’altra il glycole che viene fatto circolare tramite una pompa.
Analizziamo, ora, il ciclo sul diagramma pressione-entalpia (p-h) relativo al C4F10:
Figura 3.2 Rappresentazione sul diagramma p-h del ciclo inverso realizzato dall’impianto a termosifone
A B
C
D E
61
La linea che congiunge i punti A e B, rappresenta la condensazione del fluido (pcond=1,5 bar;
Tcond=8°C) ed il successivo sottoraffreddamento ( di 5°C) all’interno del condensatore.
Tra i punti B e C si realizza l’incremento di pressione dovuto alla colonna di liquido nel
condotto di mandata. Nel nostro caso, essendo l’altezza disponibile pari a 17,4 m, la
differenza di pressione sviluppata tra mandata e ritorno è di 2,6 bar, ma varia con le
condizioni operative (variando la densità del fluido con la temperatura). Si noti, sempre nel
diagramma p-h, il riscaldamento del fluido tra B e C lungo la condotta di mandata, dovuto
allo scambio termico con l’ambiente.
La linea che congiunge i punti C e D rappresenta la caduta di pressione sulla valvola di
espansione.
Tra D ed E il fluido prima evapora all’interno del settore, poi viene surriscaldato all’interno
del dummy load, per assicurare che nella condotta di ritorno vi sia solo gas (del liquido
rimanente potrebbe infatti arrestare il flusso all’interno dell’impianto).
Infine, tra E ed A il fluido passa dall’evaporatore al condensatore, risalendo la condotta di
ritorno spinto dalla differenza di pressione Δp’’.
3.2.2 Condizioni per la stabilità dell’impianto
Affinché un impianto di questo tipo possa essere avviato e possa raggiungere poi un
funzionamento stabile, è necessario che le seguenti condizioni siano soddisfatte:
- la pressione di saturazione del fluido, nel condensatore, deve essere superiore alla
pressione del liquido per evitare evaporazione del liquido all’interno del condensatore
(condizione questa che potrebbe influire sulla stabilità del flusso). In altre parole, il
liquido nel condensatore deve essere sottoraffreddato (nel nostro caso di circa 5°C).
- per evitare l’ebollizione del C4F10 lungo la condotta di mandata che scende dal
condensatore verso l’evaporatore, è necessario che in ogni punto di tale condotta, il
liquido sia sottoraffreddato (T<Tev). Il verificarsi di questa condizione è
particolarmente importante quando la temperatura di condensazione o di
evaporazione è minore di quella ambiente, come in questo caso.
- affinché soltanto vapore sia presente nella condotta di ritorno verso il condensatore,
è necessario che in ogni punto di questa la temperatura del vapore sia maggiore della
temperatura di condensazione. Il dummy load provvede appunto a surriscaldare il
fluido per evitare condensazione nella condotta di ritorno.
Esistono alcuni parametri di funzionamento che è sempre necessario controllare per
garantire un funzionamento stabile dell’impianto, e questi sono:
- Δt nel condensatore fra la temperatura di saturazione e la temperatura del liquido
deve essere sempre di qualche grado affinché non si abbia ebollizione del liquido nel
condensatore;
62
- Δp’ deve sempre essere pari alla prevalenza dovuta all’altezza idrostatica altrimenti il
liquido può iniziare ad evaporare condizionando il flusso fino a fermarlo;
- Δt tra il vapore all’uscita dell’evaporatore e la temperatura di saturazione deve essere
di qualche grado per evitare la condensazione del vapore nella linea di ritorno,
condizione che, anche in questo caso, porterebbe all’arresto del flusso.
Questi 3 parametri sono costantemente monitorati tramite una serie di sensori, di pressione,
di temperatura e di flusso che, collegati ad un PLC ,forniscono i dati ad una interfaccia
grafica. Nella seguente figura è possibile vedere la posizione dei sensori (Par. 3.3) all’interno
dell’impianto.
I parametri che l’utente può controllare sono:
- la temperatura (e quindi la pressione) di condensazione, variando la temperatura di
alimento del fluido del chiller;
- il flusso massivo di refrigerante, agendo sulla valvola di regolazione del flusso;
- la temperatura del bagno di glycole nel carico termico e quindi la temperatura di
surriscaldamento del vapore, variando la potenza dei riscaldatori;
- la potenza asportata dall’evaporatore, variando la potenza applicata al settore tramite
l’alimentatore.
Figura 3.3 Posizionamento dei sensori lungo l’impianto.
Legenda:
TT sensore di pressione
PT sensore di pressione
FT misuratore di flusso
63
3.2.3 Avvio e ramp-down dell’impianto
Prima di avviare il flusso, agendo sulla valvola di espansione, è necessario controllare che i
seguenti requisiti siano soddisfatti:
- tutti i parametri di funzionamento (Par. 3.2.2) devono avere i valori richiesti;
- il carico termico deve essere acceso per assicurare che solo vapore sia presente nella
linea di ritorno;
- all’interno del condensatore deve essere presente il giusto Δt tra Tcond e Tliq (Fig. 3.1)
per evitare evaporazione del liquido.
Soddisfatte che siano queste condizioni, è possibile aprire la valvola di espansione avviando il
flusso di C4F10 all’interno del circuito.
Una volta che l’impianto sia stato fatto partire, alla temperatura ambiente, è possibile portarlo
alla temperatura di evaporazione desiderata (Fig 3.4) abbassando gradualmente la
temperatura del fluido fornito dal chiller e aspettando che il sistema diventi stabile.
Durante questa operazione, un parametro fondamentale è la velocità di variazione della
temperatura del chiller: se questa avviene troppo lentamente, il tempo per portare l’impianto
Start-up
Running Cold
Liquid
2-Phase
Gas
Ramp Down
Figura 3.4 Rappresentazione nel diagramma p-h del ramp-down dell’impianto dalle condizioni ambiente alle condizioni desiderate.
64
alle condizioni desiderate risulta essere troppo lungo. Se, invece, si varia temperatura troppo
velocemente, si può avere un blocco del flusso per l’incipiente evaporazione del liquido nella
condotta di mandata. La ragione di questo comportamento, risiede nel più elevato
coefficiente di scambio termico presentato dal vapore in condensazione rispetto al liquido,
all’interno del condensatore. In seguito ad una diminuzione della temperatura del fluido
fornito dal chiller, la variazione di temperatura del vapore risulta quindi più veloce di quella
del liquido e, se la temperatura del vapore si avvicina alla temperatura del liquido,
quest’ultimo potrebbe iniziare ad evaporare, con le conseguenze negative sul flusso che sono
già state descritte.
Numerosi test condotti dal gruppo DC del CERN (6), hanno dimostrato che, una volta
raggiunte le condizioni per l’avvio dell’impianto, se tutti i parametri di funzionamento
vengono mantenuti alle condizioni nominali, l’impianto presenta un comportamento molto
stabile, e può quindi essere condotto per lunghi periodi senza problemi.
La Fig. 3.5 mostra un esempio di funzionamento di lungo periodo dell’impianto (35 h). Si
può notare come il comportamento dell’impianto risulti molto stabile. Le oscillazioni di
temperatura che si possono notare sono dovute sia alle oscillazioni della temperatura di uscita
dal chiller, sia alle variazioni della temperatura dell’ambiente in cui l’impianto è installato.
Queste ultime possono però essere ridotte o annullate cercando, se possibile, di installare
l’impianto in un ambiente a temperatura controllata.
Altri test sono stati condotti per studiare il comportamento del sistema al variare del flusso.
Nel test di cui si vedono i risultati nella Fig. 3.6 , il flusso, inizialmente a 30 g/s, è stato poi
portato a 20 g/s e infine a 15 g/s.
Figura 3.5 Test di funzionamento per lungo periodo (35 h) dell’impianto a termosifone.
65
Come si può vedere, al diminuire della portata massica, decresce anche la temperatura di
saturazione. Questo perchè, al diminuire della portata di refrigerante, diminuisce la potenza
richiesta al condensatore e questo aumenta la sua efficienza. Si può inoltre notare come esista
una portata minima per avviare l’impianto (15 g/s per l’impianto in esame), dovuto al fatto
che per portate minori, la temperatura di saturazione, diminuendo per l’effetto appena
menzionato, può risultare troppo vicina alla temperatura del liquido, con conseguente
ebollizione del liquido nella condotta di mandata.
3.3 La sezione di test
Per la conduzione dei test con l’impianto a termosifone descritto nel precedente paragrafo, è
stato progettato e costruito un circuito, o sezione, funzionale ai test da condurre. La sezione
di test parte dalla fine della condotta di mandata e procede in parallelo con l’impianto a
termosifone (Fig. 3.7).
Figura 3.6 Effetti della variazione del flusso sui parametri di funzionamento dell’impianto a termosifone.
Figura 3.7 Layout dell’impianto a termosifone: in rosso è evidenziata la sezione di test e le posizioni PP4 e PP3.
PP4 PP3
66
All’inizio della sezione di test è presente una valvola di regolazione del flusso, che permette di
selezionare il valore della portata massica desiderata.
Subito dopo la valvola di regolazione è presente
il misuratore del flusso di massa: è questo un
flussimetro che sfrutta, come principio di
misura, la forza di Coriolis, cioè la forza
apparente a cui sembra essere soggetto un
corpo, se si osserva il suo moto da un sistema di
riferimento in moto circolare rispetto ad un
sistema di riferimento inerziale. All’interno del
flussimetro sono presenti due tubicini piegati ad
U di piccolo diametro, mantenuti in vibrazione
controllata con un angolo nullo di sfasamento
reciproco.
Il flusso del fluido all’interno dei tubicini induce, per effetto della forza di Coriolis, uno
sfasamento nella frequenza di vibrazione dei due circuiti (Fig. 3.8), sfasamento proporzionale
alla portata massica, che, tramite un opportuno fattore di calibrazione, può così essere
misurata.
Bisogna ricordare che tale flussimetro non misura la portata volumetrica V, bensì la portata
di massa ṁ. Queste due quantità sono legate tra di loro tramite la densità del fluido:
Subito a valle del flussimetro è presente la prima postazione per filtro, denominata PP4 in
riferimento alla posizione in caverna in cui si trova il Patch Panel n. 4. In questa posizione
trova posto il primo dei due filtri che possono essere testati, anch’esso individuato dal codice
PP4.
Il filtro utilizzato per i test è un filtro Swagelok (SS-4-VCR-2), uguale ai filtri utilizzati
nell’impianto reale in caverna. Esso è costituito da una superficie filtrante ottenuta per
sinterizzazione, su un corpo di acciaio inossidabile. La postazione che ospita il filtro, sempre
della Swagelok, garantisce un elevato grado di tenuta sia con il circuito in pressione che nelle
condizioni di vuoto (Fig. 3.9) condizione, questa, indispensabile per il tipo di applicazione qui
sviluppata (la contaminazione del fluido refrigerante con aria porterebbe infatti ad una
modifica delle caratteristiche termofisiche del fluido).
Filtro
Figura 3.8 Principio di funzionamento di un flussimetro di massa che sfrutta l’effetto Coriolis.
Figura 3.9 Connessione “leakless” per filtri Swagelok.
67
Subito dopo il filtro PP4, è posizionato il misuratore di pressione, anch’esso denominato
PP4, per i motivi già citati. L’elemento sensibile di tale strumento, è costituito da una
membrana ceramica la cui deformazione, per effetto della pressione esercitata dal fluido,
induce una variazione di capacità nella cella di misura, variazione proporzionale al valore
della pressione stessa. Tale valore viene poi convertito in segnale di corrente e quindi fornito
come valore in uscita.
A questo punto, ha inizio la zona denominata PP3, sempre per analogia con il circuito reale
in caverna, costituita da un’altra postazione per filtri ed il secondo misuratore di pressione.
Come si può notare (Fig. 3.7), soltanto il secondo filtro (PP3) è compreso tra due sensori di
pressione, quindi soltanto per questo sarà possibile misurare la caduta di pressione Dp
causata dal filtro stesso.
Terminata la sezione di misura, si trova quella che è la parte principale del circuito: questa è la
parte evaporativa dell’impianto, dove il fluido refrigerante C4F10 evapora asportando calore,
costituita da un settore di SPD e dai componenti ad esso funzionali.
Il settore presente nella sezione di test utilizzata in questo lavoro, è un’esatta replica di uno
dei 10 settori che costituiscono il rivelatore SPD posizionato nel cuore dell’esperimento
ALICE. Tutta la parte idraulica e meccanica (compresa la geometri del supporto in fibra di
carbonio) è la medesima di un settore reale. L’unica differenza, rispetto ad un settore reale, è
che non sono presenti gli stave che costituiscono l’elemento sensibile per il rilevamento delle
tracce delle particelle: questa è la parte tecnologicamente più avanzata (e parimenti più
costosa) dell’intero settore e, non essendo necessaria ai test svolti in questo lavoro, si è deciso
di ometterla per evitare il rischio di un eventuale danneggiamento. Poiché nel settore reale, i
fenomeni dissipativi che avvengono nei circuiti degli stave durante il funzionamento,
producono il calore che il sistema di raffreddamento deve asportare, nel settore utilizzato per
i test, la generazione di tale calore viene simulata tramite una serie di resistenze posizionate in
stave geometricamente simili a quelli reali, in modo da avere una analoga distribuzione del
calore generato. Tali resistenze sono alimentate tramite un alimentatore di potenza, mediante
il quale è possibile variare la potenza applicata al settore, simulando così diverse condizioni
operative del settore.
Subito a monte e a valle del settore, due valvole manuali consentono di escludere il settore
dal circuito. Tale operazione può risultare necessaria sia per effettuare operazioni senza aprire
il resto del circuito (che causerebbe una perdita di fluido refrigerante) sia per ragioni di
sicurezza: quando , infatti, il settore non è sorvegliato, è necessario scollegarlo dal circuito e
“mettere in aria” le sue linee perché un eventuale arresto del flusso nell’impianto, porterebbe
ad un riscaldamento del fluido all’interno dei tubicini evaporativi e ad un progressivo
aumento della pressione fino a valori che potrebbero deformare permanentemente i tubicini
(~3 bar assoluti).
Proprio come nei settori reali, prima dell’ingresso nel settore, un collettore separa il flusso in
6 circuiti per i 6 capillari, che provvedono alla caduta di pressione necessaria a portare il
fluido nelle condizioni di saturazione nelle quali avviene l’evaporazione. Dopo i capillari, il
flusso entra nei tubicini evaporativi che si trovano all’interno del settore e a contatto termico
68
con gli stave. All’interno di questi avviene l’evaporazione ed il progressivo aumento di titolo
del fluido.
Dopo l’uscita dal settore, e il ricongiungimento delle 6 linee in un collettore di uscita, il
circuito si ricollega alla linea dell’impianto a termosifone, dove entra nel dummy load per la
completa evaporazione del fluido prima dell’ingresso nella linea di ritorno.
Una valvola manuale separa la sezione di test dalla linea dell’impianto in modo che, anche
con il circuito di test scollegato, il fluido possa continuare a circolare nell’impianto a
termosifone, in modo che quest’ultimo non debba essere fermato (essendo il riavvio
un’operazione piuttosto delicata e lunga).
3.3.1 Considerazioni
Dopo aver analizzato in dettaglio l’impianto di raffreddamento di SPD installato nella
caverna di ALICE e l’impianto che alimenta il banco test utilizzato per questo lavoro, un
confronto tra i due sistemi è d’obbligo per avere una stima dell’accuratezza dei risultati
ottenuti.
La differenza principale tra i due impianti è proprio la modalità con cui essi fanno circolare il
fluido refrigerante. Mentre nell’impianto reale una pompa rotativa a palette innalza la
pressione del liquido prima del collettore da cui partono le 10 linee che alimentano i 10
settori che costituiscono SPD, ed un compressore, nella linea di ritorno, convoglia il gas in
uscita dai settori all’interno del condensatore, nell’impianto a termosifone, invece, la
circolazione del fluido avviene in maniera naturale, senza l’ausilio di pompe o compressori.
Tale differenza, seppur notevole, risulta incidere relativamente poco sull’accuratezza dei
risultati, in quanto l’impianto a termosifone utilizzato, fornisce valori di pressione e
temperatura a monte e a valle della sezione di test, confrontabili con quelli utilizzati
nell’impianto reale. La sezione di test, perciò, è soggetta a condizioni termodinamiche del
fluido, simili a quelle presenti in caverna e tali valori, possono essere inoltre modificati
nell’impianto di test per simulare il funzionamento del sistema anche in condizioni diverse da
quelle nominali.
Com’è già stato detto in precedenza in questo capitolo, il settore utilizzato per i test è una
replica esatta di un settore di SPD. I collettori di ingresso e di uscita, i capillari, i tubi
evaporativi del settore, insomma, l’intero comportamento idraulico del settore testato è
uguale a quello di un settore reale. Anche la generazione di calore, che in questo caso non è
prodotta da effetti dissipativi nei circuiti elettronici degli stave ma da resistenze posizionate al
posto di questi, riproduce il comportamento termico di un settore reale.
La principale differenza tra le due soluzioni, riguarda il layout del circuito che dall’impianto
raggiunge il rivelatore e il piping dello stesso.
In caverna l’impianto è costituito da 10 circuiti identici, uno per ogni settore. La linea di
mandata è composta da tubi in acciaio inossidabile 316L di diametro esterno 6 mm e
diametro interno 4 mm. La linea raggiunge il detector dopo un percorso di circa 40 m e una
69
differenza di altezza di circa 7 m. All’uscita del settore, la linea di ritorno, sempre costituita da
10 tubi di acciaio inossidabile ma con un diametro maggiore (12 mm all’esterno e 10
all’interno), ritorna al condensatore dopo un percorso di circa 35 m. Nella sezione di test,
invece, sia per la linea di mandata che per quella di ritorno, il tubo utilizzato è in rilsan (un
poliammide) trasparente con diametro esterno pari a 6 mm e diametro interno 4 mm. Anche
il layout risulta essere diverso (Fig. 3.10) e la lunghezza dei tubi ridotta, per ragioni di
opportunità, non rientrando tra gli scopi di questo lavoro la riproduzione del
comportamento delle linee e dell’impianto originale ma dell’idraulica del settore e, come si
vedrà, dei filtri.
Si può dunque ritenere che le differenze testé evidenziate non siano rilevanti e i risultati così
ottenuti possono ritenersi, almeno per gli scopi che ci si è prefissi, accurati ed affidabili.
3.4 Caratterizzazione dei filtri
Nella prima parte dei test sono stati caratterizzati i filtri
misurandone la caduta di pressione al variare della portata e al
variare della potenza applicata sul settore, per avere dei valori di
riferimento con cui confrontare i risultati ottenuti nei test .
I filtri analizzati sono tutti prodotti dalla Swagelok (Fig. 3.11) e
sono gli stessi filtri che si utilizzano nel sistema di raffreddamento
di SPD nella caverna di ALICE. Sono filtri ad alto grado di
purezza, con corpo in acciaio inossidabile e parte filtrante in
matrice porosa ottenuta mediante sinterizzazione, con misura
media della maglia di 60 µm o di 20 µm.
Figura 3.10 Immagine della sezione di test. Sono visbili i sonsori di pressione e le connessioni dei filtri PP3 e PP4 e la replica di un settore di SPD utilizzata per i test.
Figura 3.11 Filtro Swagelok SS-4-VCR-2.
70
Per ogni filtro (o combinazione di filtri) si è valutata la caduta di pressione Dp (calcolata
come differenza tra i valori di pressione PP4 e PP3) al variare della portata e della potenza
applicata sul settore. In questo modo è stato possibile ottenere le curve caratteristiche dei
filtri Dp-Flusso per diversi valori della potenza applicata sul settore.
Per il filtro da 60 µm, si sono ottenuti i valori riportati in Fig 3.12.
Si noti che le curve ottenute presentano l’andamento parabolico caratteristico delle perdite di
carico concentrate, essendo valida per queste l’espressione:
con ξ coefficiente caratteristico del tipo di perdita.
Si osserva, inoltre, come la variazione della potenza applicata sul settore non sia molto
influente, essendo le diverse curve per lo più sovrapposte. Una leggera differenza si osserva
soltanto tra la condizione di settore spento (0 W applicati) e settore acceso (alle diverse
potenze cha variano tra 50 W e 200 W).
Per un flusso pari a 3 g/s, la caduta di pressione sul filtro è pari a 0,375 bar, mentre, nel caso
di settore alimentato a 150 W, la caduta è pari a 0,410 bar, per una differenza di circa 35
mbar.
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
0 1 2 3 4
Dp
[b
ar]
Flow [g/s]
60 µm clean filter
DP vs flow
0 W
50 W
100 W
150 W
200 W
Poly. (0 W)
Figura 3.12 Curva caratteristica Dp-Flow per diverse potenze applicate al settore per filtro da 60 µm.
71
Flow [g/s] Power [W] Dp [bar]
3 0 0,375
3 50 0,401
3 100 0,408
3 150 0,410
3 200 0,413
Lo stesso test, condotto con un filtro da 20 µm, ha fornito i risultati riportati in Fig.3.13.
Anche in questo caso le curve vengono bene interpolate da una curva di secondo grado e,
come prima, si ha una leggera differenza tra la curva relativa al settore spento (0 W) e le
curve relative a settore alimentato (alle diverse potenze). In quest’ultimo caso, al variare della
potenza applicata, le curve risultano ancora tutte sovrapposte indicando che l’influenza della
potenza applicata sul settore è praticamente trascurabile, mentre si registra ancora una lieve
variazione nel comportamento termofluidodinamico nel passaggio tra settore spento e
settore alimentato.
La caduta di pressione sul filtro da 20 µm è sensibilmente superiore a quella relativa al filtro
da 60 µm: per una portata di 3 g/s, la Dp per il filtro da 60 µm è pari a 0,375 bar a settore
spento mentre, per il filtro da 20 µm nelle stesse condizioni, Dp= 0,660 bar, quasi il doppio.
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
0,7
0,8
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5
Dp
[b
ar]
Flow [g/s]
20 µm clean filter
Dp vs Flow
0 W
50 W
100 W
150 W
200 W
250 W
Poly. (0 W)
Figura 3.13 Curva caratteristica Dp-Flow per diverse potenze applicate al settore per filtro da 20 µm.
Tabella 3.1
72
Si è poi passati a determinare la caduta di pressione relativa a 2 filtri da 60 µm posti
praticamente a contatto (separati soltanto da una guarnizione per salvaguardarne l’integrità)
nella posizione PP3, tra i due misuratori di pressione (Fig. 3.14). E’ stato così possibile
valutare l’entità dell’effetto di ostruzione generato dal primo filtro sul secondo, dovuta alla
parziale sovrapposizione delle maglie.
La caduta di pressione, in questo caso, è compresa tra i valori relativi al filtro da 60 µm e
quelli relativi al filtro da 20 µm: ancora per una portata di 3 g/s, la caduta di pressione Dp sui
2 filtri vale 0,514 bar a settore spento, che equivale ad un incremento del 37% rispetto al
singolo filtro.
Filter Flow [g/s] Power [W] Dp [bar]
60 µm clean 3 0 0,375
20 µm clean 3 0 0,660
2x60 µm clean 3 0 0,514
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
0,7
0 1 2 3 4
Dp
[b
ar]
Flow [g/s]
Two 60 µm clean filter close togheter
Dp vs Flow
0 W
50 W
100 W
150 W
200 W
Poly. (0 W)
Figura 3.14 Curva caratteristica Dp-Flow per diverse potenze applicate al settore con due filtri da 60 µm posti vicini.
Tabella 3.2
73
Si è poi voluto caratterizzare la situazione che si ha nei settori reali in caverna, costituita da
due filtri in serie, uno nella posizione PP4 e uno nella posizione PP3, entrambi filtri da 60
µm.
Dal confronto con i risultati ottenuti per il singolo filtro da 60 µm, è possibile avere una
stima dell’influenza che su questo, ha il primo filtro, quello in posizione PP4.
Come si può vedere (Fig. 3.14), per 3 g/s (valore assunto come riferimento per il confronto
dei vari test) la caduta di pressione sul secondo filtro (quello nella posizione PP3) è ancora
Dp=0,375 bar, come nel caso di un solo filtro da 60 µm. Questo significa che la diminuzione
di flusso associata alla caduta di pressione sul primo filtro, non influenza visibilmente la
caduta di pressione sul secondo filtro (che dovrebbe diminuire per la diminuzione del flusso
fornita dal primo filtro).
Considerando il filtro da 20 µm, invece di quello da 60 µm, nella posizione PP4, prima del
secondo filtro da 60 µm, si ottengono i valori di Fig. 3.15.
0
0,05
0,1
0,15
0,2
0,25
0,3
0,35
0,4
0,45
0 1 2 3 4
Dp
[b
ar]
Flow [g/s]
Two 60 µm clean filter in series
Dp (on PP3 filter only) vs Flow
0 W
100 W
150 W
Poly. (0 W)
Figura 3.14 Curva caratteristica Dp-Flow per diverse potenze applicate al settore con due filtri da 60 µm posti in serie, uno nella posizione PP4 e l’altro nella posizione PP3.
74
In questo caso, la caduta Dp sul filtro da 60 µm vale 0,301 bar per una portata di 3 g/s e a
settore spento, segno che la diminuzione di flusso legata alla caduta di pressione sul filtro da
20 µm, causa una diminuzione della caduta di pressione sul secondo filtro (si è visto come
Dp e flusso siano collegate tra loro dall’equazione caratteristica delle perdite di carico
concentrate), rispetto al caso di singolo filtro da 60 µm.
A conclusione dei test di caratterizzazione, per avere una visione completa dei risultati
ottenuti, risulta utile riunire in un solo grafico, le curve Dp-flusso a settore spento per le varie
soluzioni analizzate:
0
0,05
0,1
0,15
0,2
0,25
0,3
0,35
0 1 2 3 4
Dp
[b
ar]
Flow [g/s]
20 µm + 60 µm clean filter
Dp (on 60 µm filter) vs Flow
0 W
50 W
100 W
150 W
200 W
Poly. (0 W)
Figura 3.15 Curva caratteristica Dp-Flow per diverse potenze applicate al settore con un filtro da 20 µm nella posizione PP4 e un filtro da 60 µm nella posizione PP3.
75
3.5 Variazione di Dp e del flusso al variare della potenza
applicata sul settore
In questo test si è voluto determinare l’influenza della potenza applicata sul settore, sulle
condizioni di deflusso del fluido refrigerante analizzando la variazione di portata del fluido e
la variazione di caduta di pressione sul filtro esaminato. Per fare ciò, si è variata la potenza
applicata al settore tramite l’alimentatore, tra 0 W e 225 W a passi di 25 W e ad ogni passo si
sono valutati i valori di Dp e flusso, dopo aver atteso la stabilizzazione del sistema.
Si sono così ottenuti i valori riportati in Tabella.
Power [W] Dp [bar] Flow [g/s]
0 0,493 3,429
25 0,487 3,393
50 0,473 3,349
75 0,461 3,295
100 0,450 3,237
125 0,438 3,182
150 0,421 3,121
175 0,411 3,069
200 0,401 3,021
225 0,395 2,982
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
0,7
0,8
0 1 2 3 4
Dp
[b
ar]
Flow [g/s]
Pressure drop Dp vs Flow @ 0 W
60 um clean filter
20 um clean filter
2x60 um clean filters
60+60 um clean filters
20+60 um clean filters
Figura 3.16 Grafico riassuntivo dei risultati dei test di caratterizzazione per le varie soluzioni analizzate.
Tabella 3.3
76
Come si può vedere (Fig. 3.17), variando la potenza applicata tra 0 W e 225 W, si ha una
notevole riduzione di flusso, pari a 0,5 g/s con un flusso iniziale di 3,5 g/s (valvola tutta
aperta) con un decremento quindi del 15% rispetto al flusso iniziale a settore spento. Con la
diminuzione del flusso risulta una concomitante riduzione della caduta di pressione sul filtro
pari a 100 mbar, da 0,5 bar a 0,4 bar.
In seguito ai risultati ottenuti con il precedente test, si è deciso di approfondire questa
indagine valutando ancora gli effetti generati dalla potenza applicata sul flusso e sulla caduta
sul filtro Dp, ma a portate minori, per stabilire se a flussi paragonabili a quelli che si hanno
nei settori reali in caverna si instaurino altri fenomeni di rilievo.
All’inizio di ogni sessione, la portata iniziale viene impostata variando la posizione della
valvola di regolazione situata nella prima parte della sezione di test. La portata iniziale è stata
variata tra 2,5 g/s e 1 g/s (così da analizzare l’intero campo di portate) con passi di 0,5 g/s.
Una volta impostato il valore iniziale della portata, la potenza applicata sul settore è stata
incrementata da 0 W a 250 W, con passi di 25 W, valutando ad ogni incremento la pressione
PP4, la caduta di pressione Dp sul filtro ed il flusso.
Per tutti i test, il filtro utilizzato è un filtro Swagelok da 60 µm pulito.
0
1
2
3
4
0 100 200 300
Flo
w [
g/s]
Power [W]
Flow vs Power
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
0 100 200 300
Dp
[b
ar]
Power [W]
Dp vs Power
Figura 3.17 Andamento del flusso e della caduta di pressione Dp su un filtro da 60 µm all’aumentare della potenza applicata sul settore.
77
1) Test con portata iniziale pari a 2,5 g/s
Potenza [W]
Pressione ingresso PP4
Dp Flusso Note
0 2,878 0,212 2,501
25 2,890 0,207 2,479
50 2,912 0,201 2,456
75 2,941 0,197 2,428
100 2,970 0,194 2,400
125 2,997 0,190 2,369
150 3,029 0,186 2,340
175 3,050 0,185 2,314
200 3,068 0,182 2,293
225 3,076 0,182 2,286
250 3,080 0,180 2,286
2) Test con portata iniziale pari a 2 g/s
Potenza [W]
Pressione ingresso PP4
Dp Flusso Note
0 2,593 0,150 2,001
25 2,607 0,145 1,989
50 2,622 0,146 1,973
75 2,650 0,143 1,954
100 2,682 0,140 1,935
125 2,705 0,139 1,917
150 2,730 0,139 1,898
175 2,741 0,135 1,890
200 2,747 0,135 1,890
225 2,757 0,132 1,885
250 dryout
3) Test con portata iniziale pari a 1,5 g/s
Potenza [W]
Pressione ingresso PP4
Dp Flusso Note
0 2,333 0,093 1,500
25 2,351 0,095 1,495
50 2,365 0,092 1,487
75 2,384 0,090 1,478
100 2,402 0,089 1,467
125 2,426 0,091 1,449
150 2,431 0,093 1,456
175 2,438 0,092 1,453
200 dryout
Tabella 3.4
Tabella 3.5
78
4) Test con portata iniziale pari a 1 g/s
Potenza [W]
Pressione ingresso PP4
Dp Flusso Note
0 2,250 0,058 1,005
25 2,250 0,053 0,964
50 2,240 0,047 0,967
75 2,256 0,047 0,962
100 2,259 0,045 0,962
125 dryout
Riunendo in un solo grafico i risultati ottenuti nei 4 test effettuati, relativi a 4 diversi valori di
portata iniziale, è stato possibile valutare se, al diminuire della portata, risulta più evidente la
diminuzione di flusso dovuta all’alimentazione del settore.
Dall’analisi dei risultati ottenuti si può vedere come, per il valore di portata iniziale più
elevato (2,5 g/s) la differenza di portata indotta dall’applicazione della potenza sul settore
risulti pari a 0,21 g/s passando da 0 W a 250 W applicati al settore , che corrisponde ad un
decremento di portata pari quasi al 9% della portata iniziale, e quindi non trascurabile,
essendo il filtro utilizzato un filtro pulito da 60 μm. Mentre, la variazione di portata tra 0 W e
150 W (potenza nominale di progetto del settore) è pari a 0,15 g/s (6,5 % della portata
iniziale). Tale decremento, però, si riduce, sia in valore assoluto che percentualmente, al
diminuire della portata iniziale: per un valore di portata iniziale pari a 1,5 g/s, ad esempio, la
diminuzione di portata, passando da 0 W a 150 W di potenza applicata al settore, è di soli
0,044 g/s, corrispondenti al 3% della portata iniziale. Variazioni di portata ancora minori si
registrano per portate iniziali minori, a valori paragonabili a quelli presenti in caverna nelle
linee dei vari settori di SPD (1-1,5 g/s).
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
0 50 100 150 200 250 300
Flu
sso
[g/
s]
Potenza [W]
Variazione di flusso al variare della potenza applicata al settore
2,5
2
1,5
1
Figura 3.18 Curve relative alla variazione del flusso al variare della potenza applicata al settore per diversi valori del flusso iniziale.
Tabella 3.6
Tabella 3.7
79
Lo stesso comportamento si può osservare per la variazione di Dp sul filtro (si ricorda che
Dp e flusso sono legati tra di loro dall’equazione caratteristica delle perdite di carico
concentrate): anche in questo caso, l’effetto di diminuzione della caduta di pressione sul filtro
dovuto all’applicazione di potenza sul settore, si fa via via meno rilevante al diminuire del
valore della portata iniziale del fluido.
3.5.1 Considerazioni
In questo test si è valutato l’effetto della potenza applicata sul settore, sulla portata di fluido e
sulla caduta di pressione sul filtro. Un primo test, effettuato a valvola di regolazione del
flusso completamente aperta (flusso iniziale pari a 3,5 g/s), ha evidenziato come alimentando
il settore fino a 225 W si abbia una riduzione importante di flusso (0,5 g/s) e una
concomitante riduzione della caduta di pressione sul filtro (100 mbar).
Ulteriori test, condotti per portate minori (parziale chiusura della valvola di regolazione del
flusso) hanno però evidenziato come tali effetti si riducano notevolmente al diminuire della
portata e possano quindi ritenersi pressoché trascurabili per i valori a cui lavorano
usualmente i settori di SPD (1-1,5 g/s).
3.6 Ebollizione localizzata
Poiché una eventuale ebollizione del liquido prima del suo ingresso nei capillari
provocherebbe notevoli perdite di carico ed ostruzione del flusso, deve essere posta grande
attenzione affinché ciò non avvenga.
0
0,05
0,1
0,15
0,2
0,25
0 50 100 150 200 250 300
Dp
[b
ar]
Potenza [W]
Variazione di Dp al variare della potenza applicata al settore
2,5
2
1,5
1
Figura 3.19 Curve relative alla variazione della caduta di pressione su un filtro da 60 µm al variare della potenza applicata al settore per diversi valori del flusso iniziale.
80
Si è quindi deciso di intraprendere una serie di test per stabilire i motivi dell’evaporazione del
fluido prima dei capillari osservata durante i precedenti test e valutare le condizioni
termodinamiche del fluido refrigerante in questo caso.
Poiché la formazione di bolle non si osservava mai a completa apertura della valvola di
regolazione del flusso, ma soltanto durante la chiusura della stessa, si è iniziato col valutare la
variazione delle condizioni termodinamiche del fluido con la chiusura della valvola di
regolazione.
Le principali proprietà termodinamiche del fluido di interesse per questo test sono pressione
e temperatura: per la pressione si è deciso di considerare il valore misurato dal sensore di
pressione in PP4, essendo questo in prossimità della zona dei filtri (dove cioè si osservava la
formazione di bolle) ma non essendo ancora influenzato dalla caduta di pressione sul filtro.
Non essendo però presente un misuratore di temperatura in prossimità del punto PP4, è
stato installato un termometro a termocoppia esternamente al tubo (nella parte metallica di
connessione) isolato rispetto all’ambiente esterno.
E’ stato quindi possibile valutare la variazione della pressione PP4 e della temperatura del
fluido al variare della posizione di chiusura della valvola e quindi al diminuire della portata di
fluido refrigerante.
Per avere una descrizione precisa dell’andamento di p e T, in funzione del grado di chiusura
della valvola, il campo delle portate (e quindi il l’intervallo di chiusura della valvola) è stato
suddiviso in 9 punti uniformemente distribuiti dal valore di massima portata (punto 0,
valvola tutta aperta) al valore di minima portata (punto 8).
Per ogni punto, dopo aver atteso la stabilizzazione del sistema, sono stati valutati i valori
della pressione PP4, della caduta di pressione sul filtro, del flusso e della temperatura del
fluido.
Di seguito si possono vedere i valori così ottenuti:
Posizione valvola
Pressione PP4 [bar]
Dp [bar] Flusso [g/s] Temperatura [°C]
Note
0 3,62 0,357 3,477 14,1
1 3,244 0,282 2,998 14,3
2 3,022 0,236 2,681 14,6
3 2,63 0,151 2,06 15,5
4 2,425 0,112 1,688 16,1
5 2,175 0,069 1,203 17,3
6 2,073 0,049 0,962 17,8
7 2,13 0,03 0,668 18,7 Inizio bolle
8 1,989 0,009 0,362 19,2 Bolle
Tabella 3.8
81
Diagrammando l’andamento della pressione PP4 e della temperatura all’aumentare della
chiusura della valvola (e quindi al diminuire della portata di fluido refrigerante) si ottiene:
In Figura 3.20 è mostrato l’andamento della pressione PP4 che decresce in conseguenza della
riduzione di pressione/flusso operata tramite la chiusura della valvola. In Figura 3.21 si noti
l’aumento di circa 5°C della temperatura del fluido in seguito alla riduzione del flusso.
L’effetto di scambio termico con l’ambiente risulta infatti predominante in seguito alla
riduzione del flusso: a parità di flusso termico dall’ambiente, diminuisce infatti la portata di
massa del flusso ed anche la sua velocità, rendendo inutile anche un eventuale isolamento dei
tubi (effetto provato anche nell’installazione in caverna).
0
1
2
3
4
0 2 4 6 8 10
PP
4 p
ress
ure
[b
ar]
Valve position
PP4 [bar]
PP4 [bar]
0
5
10
15
20
25
0 2 4 6 8 10
Tem
pe
ratu
re T
[°C
]
Valve position
T [°C]
T [°C]
Figura 3.20 Andamento della pressione PP4 al variare del grado di chiusura della valvola di regolazione del flusso.
Figura 3.21 Andamento della temperatura del fluido al variare del grado di chiusura della valvola di regolazione del flusso.
82
Come si può vedere dal diagramma p-h (Fig. 3.21), le condizioni termodinamiche del fluido
nel punto 7 di chiusura della valvola misurate nel punto PP4 della sezione di test, sono molto
vicine alla curva di saturazione e quindi al punto di evaporazione. L’ulteriore caduta di
pressione dovuta al filtro (seppur molto piccola in corrispondenza del ridotto flusso),
avvicina ancor più il punto di funzionamento alle condizioni di saturazione, e questo spiega la
formazione delle bolle che si originano in seno alla corrente fluida in prossimità dei filtri e dei
sensori di pressione.
3.6.1 Considerazioni
In questo test sono state riprodotte le condizioni termodinamiche del fluido che portano alla
formazione di bolle nella zona dei filtri.
Si sono analizzati i valori della pressione e della temperatura del fluido nel punto PP4 della
sezione di test, per diversi livelli del flusso.
Si è quindi potuto verificare in che misura la diminuzione di pressione (Fig. 3.19) e l’aumento
di temperatura (Fig. 3.20) portino le condizioni del fluido sempre più vicine alla curva di
saturazione (Fig. 3.21) e quindi all’ebollizione dello stesso.
Da questo test si possono così evincere considerazioni importanti sulla conduzione
dell’impianto. Sebbene, infatti, le condizioni iniziali del fluido siano impostate in modo da
evitare anche una parziale ebollizione dello stesso, la complessità del percorso idraulico, la
Figura 3.21 Curve relative alla variazione del flusso al variare della potenza applicata al settore per diversi valori del flusso iniziale.
18 °C
83
presenza di filtri parzialmente occlusi e lo scambio termico con l’ambiente possono portare
in condizioni prossime a quelle di saturazione.
3.7 Test per la valutazione dell’impedenza dei filtri
Per cercare di stabilire l'influenza di ciascun tipo di filtro utilizzato sulle condizioni di
deflusso del fluido refrigerante, è stata effettuata una serie di test atti a valutare la
diminuzione di flusso (in g/s) dovuta a ciascun filtro per diversi valori del flusso stesso.
Grazie all'utilizzo di una valvola di regolazione ad alta precisione, è stato possibile impostare
con esattezza i punti di misura, assicurando un’elevata ripetibilità dei test.
A differenza dei precedenti test, in questo caso non si è impostato il flusso, tramite la valvola
di regolazione (essendo proprio il flusso oggetto dell’indagine), ma si sono impostate
determinate posizioni della valvola (ripetute poi con precisione nelle varie sessioni del test) e
si è quindi valutato il flusso risultante nelle varie posizioni per diverse soluzioni di filtri, in
modo da avere un indice dell’impedenza fornita da ciascun filtro.
Per ciascuna configurazione, si è partiti con la valvola completamente aperta, e perciò in
condizioni nominali di deflusso. Quindi si è proceduto a chiudere la valvola in posizioni
prestabilite, fissando così i sei punti di misura, uguali per tutte le sessioni di test, indicati poi
con una numerazione da 0 (valvola completamente aperta) a 5 (massimo grado di chiusura
della valvola), a coprire l'intero campo di flusso da circa 3,5 g/s (massima portata ottenibile
con questo impianto) a circa 0,4 g/s. Per ogni punto di misura si sono registrati il flusso
corrispondente e la caduta di pressione Dp sul filtro in esame. Da questi, è stato quindi
possibile costruire, per ogni filtro, un grafico rappresentante il valore della portata in
funzione del grado di chiusura della valvola.
1) Test senza filtro
Posizione
valvola
Dp [bar] Flusso [g/s] Note
0 0 3,742
1 0 3,16
2 0 2,052
3 0 1,210
4 0 0,776 Inizio formazione di bolle
5 0 0,449 Incremento formazione di bolle
Tabella 3.9
84
2) Test con filtro da 60 μm pulito
Posizione
valvola
Dp [bar] Flusso [g/s] Note
0 0,308 3,424
1 0,239 2,953
2 0,129 1,984
3 0,057 1,169
4 0,041 0,767 Inizio formazione di bolle
5 0,042 0,442 Incremento formazione di bolle
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
4
0 1 2 3 4 5 6
Flo
w [
g/s]
Valve position
Flow vs Valve position without filters
without filters
Figura 3.22 Variazione del flusso all’aumentare del grado di chiusura della valvola senza la presenza di filtri.
0
1
2
3
4
0 2 4 6
Flo
w [
g/s]
Valve position
60 um clean filter Flow vs Valve position
60 um clean filter
Tabella 3.10
Figura 3.23 Variazione del flusso all’aumentare del grado di chiusura della valvola con filtro da 60 µm pulito.
85
3) Test con filtro da 20 μm pulito
Posizione
valvola
Dp [bar] Flusso
[g/sec]
Note
0 0,542 3,170
1 0,437 2,776
2 0,233 1,917
3 0,101 1,155 Formazione di bolle
4 0,043 0,763 Incremento formazione di bolle
5 0,060 0,432 Valori fluttuanti per effetto delle bolle
4) Test con due filtri da 60 μm ravvicinati
Posizione
valvola
Dp [bar] Flusso [g/sec] Note
0 0,582 3,14
1 0,474 2,756
2 0,267 1,879
3 0,125 1,104 Sviluppata formazione di bolle
4 0,107 0,721 Incremento formazione di bolle
5 0,095 0,391 Valori fluttuanti per effetto delle bolle
0
1
2
3
4
0 2 4 6
Flo
w [
g/s]
Valve position
20 um clean filter Flow vs Valve position
20 um clean filter
Figura 3.24 Variazione del flusso all’aumentare del grado di chiusura della valvola con un filtro da 20 µm.
Tabella 3.11
Tabella 3.12
86
3.7.1 Considerazioni
Riunendo in un solo grafico le curve relative al flusso di fluido refrigerante in funzione del
grado di chiusura della valvola di regolazione per i diversi filtri esaminati, è stato possibile
stabilire l’influenza della presenza dei vari filtri sulle condizioni di deflusso del fluido (Fig.
3.26).
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
0 2 4 6
Flo
w [
g/s]
Valve position
Two 60 um clean filters Flow vs Valve position
2x60 um clean filters
Figura 3.25 Variazione del flusso all’aumentare del grado di chiusura della valvola con due filtri da 60 µm vicini.
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
4
0 1 2 3 4 5 6
flo
w [
g/s]
valve position
Flow vs valve position
0 filters
60 um
2x60 um
20 um
Figura 3.26 Grafico riassuntivo dei test sulla variazione del flusso all’aumentare del grado di chiusura della valvola per le diverse soluzioni testate.
87
Come si può vedere, l’inserimento del filtro da 60 μm comporta una diminuzione di portata
non trascurabile a valvola tutta aperta, e pari a 0,32 g/s (pari quasi al 9% della portata senza
filtro); condizioni ancora peggiori si registrano, ovviamente, con il filtro da 20 μm e i due
filtri da 60 μm ravvicinati, dove la diminuzione di flusso in condizioni di valvola
completamente aperta è pari a circa 0,6 g/s (pari al 16% della portata senza filtro).
Queste differenze, però, si riducono notevolmente al diminuire dell’apertura della valvola, e
quindi per portate minori. Al terzo punto di misura, infatti, per valori di portata prossimi 1,1-
1,2 g/s, e quindi confrontabili con i valori di flusso presenti in caverna nella maggior parte
dei settori, la differenza fra la portata senza filtro e con filtro da 60 μm si riduce a soli 0,04
g/s (pari a circa il 3%).
Il filtro da 20 μm e i due filtri da 60 μm ravvicinati sono caratterizzati da condizioni flusso
molto simili (rappresentate dalla sovrapposizione delle relative curve nei grafici): questo
significa che queste due configurazioni presentano una simile impedenza al flusso del fluido.
In conclusione, con i risultati ottenuti in questo test, si può affermare che l’impedenza dei
filtri puliti si può ritenere trascurabile per i valori di portata a cui lavorano i settori di SPD in
caverna. Si è perciò ipotizzato che la riduzione del flusso registrata nelle linee del sistema
reale, sia dovuta ad un accumulo di polveri nei filtri, con conseguente aumento
dell’impedenza degli stessi. I prossimi test, con filtri otturati con colla epossidica e con
polveri graduate all’interno del circuito, affrontano questa possibilità.
3.8 Test con filtri otturati
Per cercare di riprodurre in laboratorio le condizioni che possono provocare le variazioni di
flusso osservate nel sistema reale, sono stati progettati alcuni test che prevedono l’utilizzo di
filtri la cui superficie è stata parzialmente otturata con colla epossidica.
Nella prima parte del test si sono utilizzati 3 filtri con diverso grado di otturazione (50%,
75% e 90% della superficie totale) ma tutti e tre otturati nello stesso modo (copertura
uniforme di una sezione sempre più estesa della superficie del filtro) e tutti e tre otturati con
colla epossidica. Lo scopo del test è quello di valutare la relazione tra superficie libera del
filtro ed il flusso risultante. In questo modo, una volta ottenuta tale relazione e confrontati i
risultati con i valori che si registrano nell’impianto reale, sarà possibile stabilire se una parziale
occlusione del filtro PP3 può essere la causa della riduzione di flusso nei settori e stimare il
grado di occlusione del filtro stesso.
Nella seconda parte dei test, sono stati invece utilizzati dei filtri con la superficie otturata in
maniera diversa, ma tutti con lo stesso grado di copertura, per valutare l’effetto dei differenti
campi di moto che si instaurano nei diversi casi.
88
Ogni filtro, dopo essere stato otturato, è stato posto nella postazione PP3, tra i due sensori di
pressione (in modo da poterne determinare la caduta di pressione Dp sul filtro), e si è
valutato il flusso, la caduta di pressione Dp e la pressione a monte detta PP4, per diversi
gradi di chiusura della valvola di regolazione del flusso e per diversi valori della potenza
applicata sul settore.
Consideriamo dapprima, i test realizzati con i filtri a diverso grado di otturazione. Se si
analizza la variazione della pressione a monte del filtro otturato (pressione PP4) per i diversi
filtri considerati al variare del flusso (impostato tramite la valvola di regolazione), si può
vedere come l’effetto di innalzamento della pressione dovuto all’ostruzione fornita
dall’occlusione della superficie, sia modesto fino al 75%, mentre presenta un incremento
notevole passando al filtro con il 90% della superficie occlusa. Per un flusso di 1,5 g/s, ad
esempio, l’incremento di pressione tra filtro pulito e filtro 50% occluso è di circa 200 mbar,
che diventano 500 nel caso si otturazione fino al 75%. Con il filtro otturato al 90%, invece,
l’incremento di pressione arriva a più di 1,5 bar (Figura 3.27).
Se consideriamo ora la variazione con il flusso della caduta di pressione Dp sul filtro, ancora
per i tre filtri a diverso grado di otturazione, si ottiene il seguente grafico:
Figura 3.27 Andamento della pressione a monte del filtro PP4 in funzione della portata massica di fluido per diversi gradi di otturazione della superficie rispetto al caso di filtro pulito.
1,5
2
2,5
3
3,5
4
4,5
0 1 2 3
Pre
ssu
re P
P4
[b
ar]
Flow [g/s]
Pressure PP4 vs Flow @ 100 W
Clean Filter 60µm
50% Epoxy Filter
75% Epoxy Filter
90% Epoxy Filter
89
In questo caso, le differenze tra le varie soluzioni testate diventano leggermente più marcate.
Per un flusso di 1,5 g/s, infatti, passando dal filtro pulito al filtro otturato al 50% della
superficie totale, la caduta di pressione cresce di 160 mbar passando da 0,140 bar a 0,3 bar.
Tale valore aumenta se si considera il filtro otturato al 75%: rispetto al filtro pulito,
l’incremento di Dp è di 500 mbar che però diventa 1,4 bar con riferimento al filtro otturato
al 90%.
In conclusione, quindi, si può affermare che l’effetto di otturazione della superficie del filtro,
seppur evidente, si mantiene contenuto per valori fino al 75% della superficie otturata,
mentre presenta un notevole incremento con il 90% della superficie occlusa.
Una volta valutata l’influenza sul flusso del grado di otturazione del filtro, si è proceduto a
valutare l’influenza della modalità di otturazione del filtro stesso, intendendo con questo
l’influenza di diverse tipologie di copertura della superficie del filtro.
Si sono testati 3 diversi filtri, ognuno otturato in maniera diversa.
Il primo filtro, chiamato “spot”, presenta la superficie otturata con 6 punti (o spot) del
diametro di circa 1 mm (Fig. 3.29), per una superficie otturata di circa il 50% dell’intera
superficie del filtro.
Il secondo filtro, detto “diffuse”, presenta una superficie otturata in maniera più uniforme e
diffusa, per un totale di superficie otturata pari ancora al 50% della superficie totale del filtro.
Il terzo filtro, infine, chiamato “center”, presenta una superficie uniformemente otturata nella
zona centrale, presentando invece un anello completamente libero alla periferia della
Figura 3.28 Andamento della caduta di pressione Dp sul filtro in funzione della portata massica di fluido per diversi gradi di otturazione della superficie rispetto al caso di filtro pulito.
0
0,2
0,4
0,6
0,8
1
1,2
1,4
1,6
1,8
0 1 2 3
Dp
[b
ar]
Flow [g/s]
Dp vs Flow @ 100 W
Clean Filter 60 um
50% Epoxy Filter
75% Epoxy Filter
90% Epoxy Filter
90
superficie filtrante (Fig. 3.29). In questo modo, si è cercato di
ostruire il flusso proprio nella zona, quella centrale, in cui il flusso
presenta la velocità maggiore (e quindi la maggior portata) sia che il
regime sia laminare che turbolento.
Anche in questo caso ogni filtro, dopo essere stato opportunamente
otturato, è stato posto nella postazione PP3 e si è valutato il flusso,
la caduta di pressione sul filtro Dp e la pressione in ingresso PP4,
per diversi gradi di chiusura della valvola di regolazione del flusso e
per diversi valori della potenza applicata sul settore.
Per prima cosa si è valutata l’influenza dei tre tipi di otturazione sul
flusso. Per fare ciò, si è impostata la valvola di regolazione del
flusso in 8 posizioni prestabilite (per altrettanti punti di misura) a
coprire tutto il campo del flusso da 0 (valvola completamente
aperta) a 7 (flusso minimo). Per ogni punto di misura è stato quindi
calcolato il flusso corrispondente, per evidenziare eventuali
differenze tra i diversi filtri testati.
Figura 3.29 Due esempi di filtri otturati con colla epossidica utilizzati nei test. In alto il filtro “spot”, in basso il filtro “center”.
Figura 3.30 Variazione del flusso all’aumentare del grado di chiusura della valvola con filtro otturati.
91
Come si può vedere (Fig. 3.30), l’influenza sul flusso del tipo di otturazione del filtro è
pressoché nulla, com’è evidenziato dal fatto che le tre curve, relative ai tre diversi filtri,
coincidono. Si può notare, inoltre, come l’otturazione stessa sia pressoché ininfluente sulle
condizioni di deflusso (come si era già notato nel test precedente), come dimostra il fatto che
le curve relative ai filtri occlusi, poco si discostano dalla curva di riferimento relativa al filtro
da 60 µm pulito (non è stato possibile riportare la curva del filtro pulito completa perché
ottenuta per differenti gradi di chiusura della valvola. Si sono riportati solamente i tre punti 0,
1 e 3 per i quali il grado di chiusura coincideva. Questi tre punti sono comunque sufficienti a
mostrare come le tre modalità di otturazione diano influenze trascurabili rispetto al filtro
pulito).
Un’ulteriore conferma della scarsa influenza sul flusso dell’occlusione di parte della superficie
del filtro si ha dal seguente grafico, ottenuto sempre durante questi test.
Il grafico riporta in ascissa il flusso misurato dal flussimetro, ed in ordinata la pressione a
monte del filtro (cioè la pressione in ingresso) misurata dal sensore di pressione PP4. Come
si vede, le curve relative ai diversi filtri sono praticamente sovrapposte, ad ulteriore conferma
della poca influenza del modo di otturazione dei filtri. La leggera deviazione della curva
relativa al filtro pulito per flussi prossimi a 1 g/s, è probabilmente dovuta ad un aumento
locale di pressione dovuto al manifestarsi dell’ebollizione (che inizia proprio in questo punto)
che, a causa del moto caotico delle bolle, crea un leggero aumento di impedenza nel flusso.
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
4
0 1 2 3 4
Pre
ssu
re P
P4
[b
ar]
Flow [g/s]
Pressure PP4 vs Flow @ 0 W
60 um clean filter
spot
diffuse
center
Figura 3.31 Andamento della pressione PP4 in funzione del flusso con filtri otturati con colla epossidica.
92
Si consideri, ora, il grafico che riporta in ascissa ancora il flusso, ma in ordinata la caduta di
pressione sul filtro Dp, calcolata come differenza tra i valori misurati dai sensori di pressione
PP4 e PP3 (Fig. 3.32).
Come si vede dal grafico, la curva relativa al filtro pulito, è quella che presenta minor caduta
di pressione al variare del flusso, com’è ovvio. Meno ovvio è invece il fatto che la caduta di
pressione per i filtri otturati sia solo leggermente superiore a quella del filtro pulito, anche
con una non trascurabile percentuale di otturazione del filtro (50%).
Per un flusso di 3 g/s, la differenza tra Dp relativa a filtro pulito e quella relativa al filtro spot
è di circa 100 mbar, mentre è minore per gli altri filtri (diffuse e center). Tali differenze, poi,
si riducono al diminuire del flusso, per cui, a valori di flusso con i quali si lavora in caverna
(1-1,5 g/s), l’influenza del tipo di occlusione (e dell’occlusione stessa) sul flusso, si può
ritenere trascurabile.
3.8.1 Considerazioni
In questi test, tramite l’utilizzo di filtri la cui superficie era stata parzialmente otturata con
colla epossidica, in modo da limitare la superficie di deflusso, si sono valutati gli effetti di una
parziale ostruzione dei filtri sul deflusso del fluido.
Nella prima parte sono stati testati 3 filtri a diverso grado di otturazione (50%, 75% e 90%)
ma tutti otturati nello stesso modo con colla epossidica. I test hanno evidenziato come
l’effetto dell’otturazione si mantenga ridotto fino al 75% di superficie otturata, presentando
invece una forte influenza solo per elevati gradi di otturazione (90%).
Figura 3.32 Andamento della caduta di pressione sul filtro in funzione del flusso con filtri otturati con colla epossidica.
93
In un secondo momento si è valutata l’influenza di diverse modalità di otturazione del filtro,
che producono diverse configurazioni delle linee di flusso realizzate dal fluido. I risultati
ottenuti in questo caso, tendono ad escludere un’influenza importante della modalità di
otturazione del filtro, anche se una più estesa serie di test sarebbe necessaria per
comprendere più a fondo il fenomeno.
3.9 Test con polveri graduate
Come è già stato menzionato in precedenza, ognuna delle 10 linee del sistema di
raffreddamento che alimentano i 10 settori di SPD, presenta, prima dell’ingresso nel settore,
due filtri Swagelok da 60 µm in serie. Il primo di questi (detto PP4) è raggiungibile anche ad
esperimento chiuso quando, in assenza di fasci di adroni, viene concesso l’ingresso nella
caverna di ALICE per la manutenzione. Il secondo filtro (detto PP3), invece, non può essere
raggiunto se non tramite l’apertura completa dell’esperimento ALICE, intervento che
richiede diversi mesi di operazione con manodopera specializzata e che quindi non può
essere eseguito se non durante uno stop molto lungo (almeno un anno) di tutti gli
esperimenti in funzione presso LHC.
Poiché più volte è stata ipotizzata l’ostruzione del filtro PP3, come una delle cause dei
problemi di flusso che affliggono alcune delle linee del sistema di raffreddamento di SPD, nel
settembre 2009 si decise di effettuare una analisi SEM (Scanning Electron Microscopy) e
EDS (Energy dispersive X-ray analysis) sui filtri PP4 utilizzati nelle linee 5 e 7 dell’impianto
(linee che già presentavano una inspiegata riduzione del flusso), per stabilire un’eventuale
presenza di materiale estraneo sulla superficie del filtro e per cercare di scoprirne l’origine.
Gli stessi test sono stati effettuati su un filtro nuovo (non usato) e sui due filtri usati nelle
linee 5 e 7.
94
0 2 4 6 8Energy (keV)
0
10
20
30
40
cps
C
Fe
Si Mo
Cr
Cr
Fe
FeNi
Figura 3.33 Analisi SEM e EDS di un filtro nuovo.
95
Sulla superficie del filtro nuovo sono visibili spot contenenti O e Al (Fig. 3.33). Oltre a ciò,
però, la superficie sembra pulita e priva di particelle estranee.
L’analisi dei filtri usati ha confermato la presenza, oltre degli spot contenenti Al e O già
osservati nel filtro nuovo, di numerose altre particelle estranee (Fig. 3.34) depositate sulla
matrice porosa del filtro, che le indagini EDS hanno mostrato essere composte di
innumerevoli elementi tra i quali O, Al, K, C, Sn, Cu, P, Ca, Cu, Na, Cl e Zn (vedi spettri
EDS).
Tali particelle sono presenti in maggior quantità sulla superficie del filtro rivolta verso il
flusso (Fig. 3.35), cosa che porterebbe a pensare che le particelle abbiano raggiunto la
superficie del filtro trasportate dalla corrente fluida. Se si accetta tale ipotesi si deve allora
immaginare che le particelle siano in grado di attraversare la matrice porosa e depositarsi sulla
faccia a valle del filtro (poiché numerose particelle sono state trovate anche sulla faccia del
filtro non rivolta verso il flusso) o proseguire il loro camino con la corrente, per depositarsi
ed esempio sul filtro successivo. Non si hanno però spiegazioni in merito all’origine di tali
particelle: la notevole presenza di carbonio C ha suggerito una possibile provenienza dalle
palette della pompa dell’impianto (appunto in carbonio) ma tale ipotesi non è ancora stata
verificata.
Figura 3.34 Analisi SEM di un filtro nuovo (sinistra) e di un filtro usato nella linea 7 dell’impianto di raffreddamento di SPD.
Figura 3.35 Analisi SEM del filtro usato nella linea 7: Superficie rivilta verso il flusso (sinistra) e superficie opposta (destra).
96
2 4 6 8Energy (keV)
0
5
10
15
20
25
cps
C
O
Fe
Na
Mg
Al
Si
0 2 4 6 8Energy (keV)
0
5
10
15
20
25
cps
CO
FeNa Si
P
S Ca
Fe
Cu
0 2 4 6 8Energy (keV)
0
10
20
30
cps
C
O
FeNaMg
Al
Si
Cl
0 2 4 6 8Energy (keV)
0
5
10
15
cps
C
O
Cu
Al
Si
PS
Ca Fe
Cu
Cu
Figura 3.36 Analisi SEM e EDS del filtro usato nella linea 7 dell’impianto di raffreddamento di SPD.
97
In seguito alla conferma della presenza di materiale estraneo fornita dalle analisi, si è voluto
testare l’efficacia di un processo di lavaggio dei filtri tramite flusso a bassa pressione (1,4 bar)
in controcorrente per una giornata intera. Sono state quindi ripetute le stesse analisi per
valutare le condizioni della superficie dei filtri.
Come si può vedere dalle immagini, la superficie risulta visibilmente più pulita: permangono
gli spot contenenti O e Al (che sembrano essere parte integrante della superficie del filtro),
anche se sono ancora presenti alcune particelle contenenti, oltre agli elementi già visti in
precedenza, tracce di Ag e di sale (NaCl). Nulla si può dire sulla parte interna del filtro. Dai
test effettuati in caverna risulta che tramite la pulizia si ha un miglioramento delle prestazioni
del sistema, ma non un recupero completo del flusso, probabilmente a causa di particelle
bloccate all’interno della matrice del filtro.
Figura 3.37 Analisi SEM del filtro 7 prima (sinistra) e dopo (destra) il lavaggio per controflussaggio.
98
0 2 4 6 8Energy (keV)
0
50
100
cps
C
CrFe
Na
Si Mo
Cl
Cl K
Ca
Cr
Cr
Fe
FeNiNi
0 2 4 6 8Energy (keV)
0
20
40
60
cps
C
CrFeNiNiNa
AlSi Mo
Cl
KCa Cr
Cr
Fe
FeNiNi
Figura 3.38 Analisi SEM e EDS del filtro 7 dopo il lavaggio in controcorrente.
99
Sulla base degli esiti di queste analisi, si è deciso di condurre alcuni test con delle polveri
graduate, allo scopo di valutare l’effetto da queste prodotto sul filtro e quindi sul flusso del
fluido.
Poiché gli esami microscopici hanno evidenziato la presenza di carbonio fra le particelle
estranee presenti nella matrice del filtro, e poiché l’origine di questo può essere associata al
deterioramento delle palette della pompa (appunto in carbonio), si è deciso di effettuare i test
con polveri di carbonio.
Sono state testate 4 tipologie differenti di:
- 0,4-12 µm polvere di carbonio vetroso
- 20-50 µm polvere di carbonio vetroso
- 80-200 µm polvere di carbonio vetroso
- fino a 75 µm polvere di carbonio (non vetroso)
La polvere è stata introdotta a monte del primo filtro (PP4), ed il vuoto è stato fatto a valle
del secondo filtro per forzare tutta la polvere inserita a fluire verso i filtri, in modo che non
venisse persa polvere nella direzione opposta del circuito.
3.9.1 Polvere 0,4-12 µm
Si è iniziato il test con le polveri a granulometria minore: queste sono composte da particelle
sferiche di carbonio vetroso con diametri compresi tra 0,4 e 12 µm. Il campione di polvere
pesato era di 0,25 g ma, in seguitò alla difficoltà derivanti dalla manipolazione di polveri così
fini, si può considerare che solo il 50% dell’originaria quantità di polvere sia entrato
effettivamente nel circuito.
Dopo aver introdotto la polvere nel circuito tramite una “T” Swagelok si è passati, seguendo
la procedura stabilita, ad effettuare il vuoto nell’impianto.
All’apertura della sezione di test, è stato possibile vedere il flusso di una grande quantità di
polvere attraverso il primo filtro (PP4) e attraverso il secondo (PP3), quindi nei capillari e
all’interno del settore. Era questo un comportamento che ci si aspettava da questo tipo di
polvere, essendo di granulometria molto inferiore della matrice media del filtro (60 µm). Sin
dall’avvio, il flusso risulta comunque sensibilmente ridotto passando da 3,12 g/s (flusso con
due filtri puliti da 60 µm in serie) a 2,8 g/s.
Nel grafico seguente si riporta il valore del flusso per diverse posizioni della valvola di
regolazione, come misura dell’impedenza fornita dai filtri e dalla polvere. Come riferimento si
100
riportano le curve relative a filtro pulito e filtro otturato a spot con colla epossidica (~ 50%
della superficie otturata).
Si noti come la riduzione di flusso dovuta alla polvere sia decisamente maggiore rispetto ai
casi di riferimento.
Il filtro PP3 mostra una caduta di pressione Dp=600 mbar: tale valore assieme alla riduzione
della pressione PP4 indicano come la principale otturazione sia nel filtro PP4 (dove viene
inserita la polvere) e, in proporzione minore, sul filtro PP3 come dimostra l’aumentata Dp
sul filtro. Come si vedrà più avanti, le analisi SEM e EDS proprio sul filtro PP3 utilizzato in
questo test, confermeranno la presenza di polvere sulla superficie del filtro.
In Fig. 3.39 vengono raccolti i risultati ottenuti in questo test, in termini di caduta di
pressione sul filtro Dp in funzione del flusso per diversi valori della potenza applicata al
settore. Come riferimento si sono riportano ancora le curve relative a filtro pulito e filtro
otturato a spot con colla epossidica (~ 50% della superficie otturata).
Come si può vedere, la polvere causa un notevole incremento della caduta di pressione sul
filtro, anche rispetto al caso di superficie otturata per il 50 % con colla epossidica.
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
4
0 2 4 6 8
Flo
w [
g/s]
Valve position
Flow vs Valve position
0 W
100 W
125 W
spot filter (0 W)
60 um clean filter
Figura 3.39 Andamento del flusso al variare del grado di chiusura della valvola con polvere 0,4-12 µm.
101
E’ stato poi effettuato un breve test di potenza (applicando al settore 133 W, 175W e 220 W)
con i risultati evidenziati nel seguente grafico:
Come si può vedere si ha una leggera diminuzione di flusso all’aumentare della potenza
applicata, come succedeva nel caso di filtri puliti, senza l’evidenza di ulteriori effetti. Sembra
perciò che, relativamente all’effetto della potenza applicata al settore, il sistema otturato si
comporti come il sistema pulito.
Per aumentare il grado di intasamento è stata poi inserita una seconda boccetta di polvere,
dello stesso peso della prima. In questo caso l’inserimento è stato più preciso e si può
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
0,7
0 1 2 3 4
Dp
[b
ar]
Flow [g/s]
Dp vs Flow
0 W
100 W
125 W
150 W
60 um clean filter (0W)
spot filter (0 W)
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
0 50 100 150 200 250
Flo
w [
g/s]
Power [W]
Flow vs Power
Flow [g/s]
Figura 3.40 Curve Dp-flusso con polvere 0,4-12 µm.
Figura 3.41 Andamento del flusso al variare della potenza applicata al settore con polvere 0,4 12 µm.
102
considerare che solo il 30% della polvere originaria sia andato perduto. In questa fase i
parametri di funzionamento del sistema sono cambiato come riportato in Tabella 3.13.
Caratteristiche PP4 Dp Flow Note
Inserimento II boccetta polvere (0 W)
3,178 0,585 2,337
100 W 3,225 0,554 2,260
Inserimento I boccetta polvere
3,450 0,598 2,840
Filtri puliti 3,424 0,424 3,120
Come si può vedere, il secondo inserimento causa un’ulteriore riduzione del flusso mentre il
Dp sul secondo filtro resta costante (mentre ci si aspetterebbe che diminuisse al diminuire del
flusso). Questo significa che ulteriore polvere, passata attraverso il primo filtro, si è
depositata sul secondo. Inoltre, la diminuzione della pressione a monte PP4 implica una
aumento della caduta di pressione sul primo filtro (purtroppo non misurabile) per l’effetto di
ostruzione della nuova polvere introdotta. Anche in questo caso è stato fatto un breve test di
potenza che ha confermato i risultati precedenti (Fig.3.42).
0
0,5
1
1,5
2
2,5
0 50 100 150 200
Flo
w[g
/s]
Power [W]
Flow vs Power
Flow [g/s]
Figura 3.42 Andamento del flusso al variare della potenza applicata al settore dopo il secondo inserimento di polvere 0,4-12 µm.
Tabella 3.13
103
Sui filtri utilizzati in questo test sono state effettuate delle analisi SEM e EDS. Si è così
stimato in circa il 25% della superficie l’area otturata dalle polveri nel filtro PP4 e si è
confermata la presenza di numerose particelle anche sulla superficie del filtro PP3 (Fig. 3.43)
dimostrando come delle particelle di diametro compreso tra 0,4 e 12 µm, possano
attraversare la matrice porosa di un filtro da 60 µm e depositarsi sulla matrice del filtro
successivo.
Figura 3.43 Analisi SEM del filtro utilizzato nei test con polveri 0,4-12 µm.
104
Dopo aver installato nuovi filtri è stata introdotta, sempre con la medesima procedura, una
quantità doppia (0,5 g) di polvere ancora della granulometria minore (0,4-12 µm).
Questi i risultati:
PP4 [bar] Dp [bar] Flow [g/s]
2,478 0,355 1,15
Come era previsto, si ha una drastica diminuzione del flusso: si passa dai 3,12 g/s che si
hanno con filtri puliti a 1,15 g/s. La riduzione della pressione PP4 implica che molta polvere
è rimasta bloccata a monte del primo filtro e il ridotto Dp sul secondo filtro suggerisce che
non molta polvere aggiuntiva si è depositata sul filtro PP3.
Si è provato ad alimentare il settore in queste condizioni a diverse potenze per valutarne gli
effetti sull’efficienza di raffreddamento. Com’è stato possibile valutare anche tramite una
termocamera, se si mantiene la potenza al di sotto dei limiti consentiti dal flusso disponibile
di fluido refrigerante, per evitare il dryout, il sistema riesce a raffreddare senza problemi lo
stave. Con il flusso disponibile, si calcola che la potenza massima che il sistema riesce a
smaltire senza incorrere in dryout è:
dove i valori di entalpia del vapore e del liquido sono stati calcolati a 16°C, che è la
temperatura di evaporazione all’interno del settore.
Per potenze superiori, invece, si incorre necessariamente nel dryout alla fine del settore, con
conseguente aumento della temperatura dello stave (comportamento che si ha anche senza le
polveri e in condizioni ottimali di funzionamento).
Figura 3.44 Analisi termografica delle estremità del settore alimentato con 100 W dopo il test con le polveri 0,4-12 µm.
Tabella 3.14
105
3.9.2 Polvere 80-200 µm
Dopo i test con le polveri a granulometria minore, si è passati a studiare quelle a
granulometria maggiore, che presentano diametri delle sfere compresi tra 80 e 200 µm. Ogni
campione è ancora del peso di 0,25 g ma in questo caso, a differenza di prima, il campione
non viene introdotto tutto allo stesso tempo ma in momenti diversi, per evitare che tutta la
polvere si compatti sulla superficie del primo filtro: ciò consente di avere una situazione più
simile alla realtà (si pensa infatti che nelle linee in caverna la polvere eventualmente presente
si sia depositata sul filtro in un periodo di tempo relativamente lungo, dell’ordine di alcuni
mesi).
Si riportano di seguito i valori ottenuti durante i test (si può considerare che ogni
introduzione di polvere riguardi circa 0,05 g di polvere).
Descrizione Power [W] PP4 [bar] Dp [bar] Flow [g/s] Note
Primo inserimento
0 W 3,360 0,498 2,819
100 W 3,390 0,470 2,715
Secondo inserimento
0 W 3,305 0,460 2,8
100 W 3,350 0,430 2,684
Stop&start 0 W 3,280 0,460 2,815
Night stop 0 W 3,310 0,490 2,778
Terzo inserimento
0 W 2,217 0,080 0,775
100 W dryout
All’avvio del flusso non sono visibili molte particelle attraversare i due filtri, essendo la
granulometria delle polveri (80-200 µm) maggiore della maglia media del filtro (60 µm).
Figura 3.45 Analisi termografica del settore con potenze superiori a 100 W dopo il test con le polveri 0,4-12 µm. Principio di dryout.
Tabella 3.15
106
Già dopo il primo inserimento di polvere, si raggiungono condizioni di deflusso simili a
quelle ottenute con un’intera boccetta da 0,25 g di polvere 0,4-12 µm: il flusso scende a 2,8
g/s e scende la pressione PP4 per la caduta di pressione dopo il primo filtro. Non è invece
facile spiegare il relativamente alto valore di Dp sul filtro che può essere dovuto o a particelle
di polvere rimaste nel circuito dal test precedente, a particelle di diametro minore di quello
dichiarato dal fornitore o a difetti di fabbricazione dei filtri. Il sistema riesce a raffreddare
senza problemi le stave con 100 W applicati al settore.
Con l’introduzione di una seconda quantità di polvere, le condizioni di deflusso restano
pressoché invariate ed anche in questo caso il sistema riesce a raffreddare le stave con 100 W
applicati al settore. Anche con l’improvviso stop del flusso e la seguente ripartenza, il sistema
non presenta rilevanti variazioni nelle condizioni di deflusso.
Dopo il fermo notturno del circuito (si ricorda che l’impianto a termosifone continua a
circolare il fluido refrigerante tramite un by-pass anche quando la sezione di test è chiusa, ad
esempio durante la notte, per ragioni di sicurezza), l’impianto conferma i dati registrati il
giorno precedente.
Con la terza introduzione di polvere, i valori cambiano drasticamente: il flusso presenta una
drammatica riduzione fino a 0,775 g/s, il più basso valore mai ottenuto con questo impianto
con la valvola di regolazione completamente aperta. Se si confrontano i risultati ottenuti nei
test con i filtri otturati con colla epossidica, si può vedere come nemmeno con il filtro
otturato al 90% il flusso fosse così basso. La forte riduzione della pressione PP4 indica che
l’ostruzione è per la maggior parte situata nel filtro PP4 (com’era da aspettarsi visto le
dimensioni medie della polvere) come dimostra anche la caduta di pressione ridotta sul filtro
PP3 (si ricorda che tale valore è diminuito anche in seguito alla diminuzione del flusso,
essendo le due grandezze correlate).
Si può stimare che la quantità di polvere inserita in totale nei tre momenti sia pari a 0,15-0,2
g: questa quantità produce un notevole impatto sul flusso del fluido, come dimostrano anche
i test di potenza effettuati. In tale situazione, infatti, il sistema non è in grado di raffreddare le
stave con 100 W applicati al settore: come si può vedere dall’immagine ottenuta tramite la
termocamera lo sviluppo del dryout alla fine del settore produce un rapido amento di
temperatura. Con tale valore del flusso, il sistema è invece in grado di raffreddare le stave con
soltanto 75 W applicati al settore.
Figura 3.46 Analisi termografica del settore alimentato con 100 W dopo il test con le polveri 80-200 µm. Si noti il dryout alla fine del settore.
107
3.9.3 Polveri 20-50 µm
A questo punto si è passati a studiare gli effetti delle polveri di media granulometria (20-50
µm). Come nel caso precedente, si è deciso di introdurre la polvere in piccole quantità ed in
momenti diversi, per evitare che tutta la polvere si blocchi sulla superficie del primo filtro.
Prima di iniziare il test, sono state valutate le condizioni iniziali del sistema, con filtri puliti e
senza l’introduzione di polvere, per vedere se si fosse tornati alle condizioni nominali o se il
sistema avesse risentito delle precedenti inserzioni di polvere.
A valvola tutta aperta e con due nuovi filtri da 60 µm, il sistema presenta un flusso di 3,1 g/s:
se si confronta tale valore, con quelli ottenuti nelle stesse condizioni (due filtri puliti da 60
µm in serie) durante la fase di caratterizzazione dei filtri, si può notare come si possa ritenere
trascurabile l’effetto delle polveri precedentemente immesse e si possa quindi considerare che
il sistema sia ritornato alle condizioni iniziali.
Anche in questo caso sono state effettuate tre inserzioni di polvere per un totale di polvere
inserita pari a circa 0,15 g. Ad ogni inserzione si sono valutati i valori della pressione PP4,
della caduta di pressione sul filtro e del flusso con settore spento e con 100 W applicati. Si
sono ottenuti i seguenti valori:
Descrizione Potenza [W] Pressione PP4 [bar]
Dp [bar] Flow [g/s] Note
Prova condizioni
0 W 3,380 0,280 3,100
I inserimento polvere
0 W 3,015 0,217 2,650
100 W 3,075 0,204 2,551
II inserimento polvere
0 W 2,650 0,146 2,135
100 W 2,715 0,138 2,065
III inserimento polvere
0 W 2,168 0,032 0,915
100 W 2,190 0,030 0,895
Stop&Start 0 W 2,138 0,040 0,795
Figura 3.47 Analisi termografica del settore con potenza ridotta a 75 W. Scomparsa del dryout.
Tabella 3.16
108
Come si può vedere dalla precedente tabella (che riassume i risultati ottenuti durante i test), il
flusso diminuisce sostanzialmente ad ogni inserimento di polvere: 0,45 g/s dopo il primo
inserimento, ulteriori 0,52 g/s dopo il secondo e 1,22 g/s dopo il terzo. Dopo i tre
inserimenti il valore del flusso arriva a 0,915 g/s, valore limite perché il sistema riesca a
raffreddare le stave con 100 W applicati.
Si è quindi effettuato uno stop del sistema (tramite la chiusura della valvola di ammissione
nella sezione di test) e un immediato riavvio. Ciò ha prodotto un’ulteriore diminuzione del
flusso (di circa 0,1 g/s) portando il flusso a valori (0,8 g/s) con i quali non si è più in grado di
raffreddare il settore con 100 W applicati. Tale effetto di variazione del flusso in seguito a
semplici fermate e riavvii del sistema, si è già osservato nell’impianto reale di SPD ma non è
ancora stato spiegato in modo esaustivo. Nella figura seguente vengono riassunti in forma
grafica i valori di flusso ottenuti durante la varie fasi di inserzione della polvere o di stop e
riavvio dell’impianto.
3.9.4 Polveri <75 µm
Si sono infine valutati gli effetti prodotti sul flusso dall’ultimo tipo di polveri, le polveri di
diametro inferiore a 75 µm di carbone non vetroso. Come nel test precedente la polvere è
stata inserita in diversi momenti (in questo caso 4) per un totale di polvere inserita pari a circa
0,15-0,2 g.
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
4
0 1 2 3 4 5
Flo
w [
g/s]
20-50 µm metal powder Flow trend
0 W powder flow
0 W nominal flow(without filter)
0 W 60+60 um cleanfilters
Inserimenti di polvere
Stop&Start
Figura 3.48 Variazione del flusso in seguito ai vari inserimenti di polvere 20 50 µm
109
Anche in questo caso, si è voluto valutare le condizioni del sistema con filtri puliti prima
dell’inserimento di nuova polvere per vedere se questo ritorna alle condizioni iniziali. A
valvola tutta aperta il sistema presenta ora un flusso pari a 2,9 g/s quindi leggermente
inferiore ai casi precedenti. Questo può essere dovuto all’effetto delle polveri
precedentemente inserite e depositate lungo la sezione di test e deve essere tenuto in
considerazione nell’analisi dei risultati dei seguenti test.
In Tabella 3.17 si riportano i valori ottenuti durante il test.
Descrizione Potenza [W] Pressione PP4 [bar]
Dp [bar] Flusso [g/s] Note
Condizioni iniziali
0 W 3,159 0,254 2,895 Leggera diminuzione flusso
I inserimento polvere
0 W 2,777 0,173 2,235
100 W 2,822 0,169 2,192
II inserimento polvere
0 W 2,742 0,172 2,183
100 W 2,802 0,166 2,132
III inserimento polvere
0 W 2,565 0,147 1,898
100 W 2,624 0,138 1,839
IV inserimento polvere
0 W 2,422 0,102 1,487
100 W 2,464 0,101 1,457
Nonostante il ridotto diametro delle particelle, sembra che la maggior parte della polvere
rimanga a monte del primo filtro com’è testimoniato dalla forte riduzione della pressione
PP4 e dalla piccola caduta di pressione sul filtro PP3.
Dopo l’ultimo inserimento di polvere, il flusso risulta pari a 1,45 g/s. Purtroppo non è
possibile fare dei confronti precisi tra i valori ottenuti con le varie tipologie di polvere, poiché
non è stato possibile pesare la quantità di polvere inserita nei diversi momenti, e si può dare
solo una stima della quantità di polvere persa per problemi tecnici. Ulteriori studi sono quindi
richiesti per stabilire una correlazione precisa tra quantità di polvere, diametro medio delle
particelle e impedenza prodotta sul flusso. In questo, come nei precedenti test, si ha però la
conferma dell’elevato potere ostruente delle polveri.
3.9.5 Test di stop&start
Un ultimo test è stato effettuato ancora con le polveri di minor diametro e utilizzando una
quantità molto ridotta di polvere ~ 0,05 g. Dopo l’introduzione della polvere, il sistema è
stato ripetutamente fermato e quindi riavviato (stop&start), anche aprendo la sezione di test e
Tabella 3.17
110
quindi effettuando nuovamente il vuoto sulla linea, per valutare come queste operazioni
agiscano sul flusso, cercando di riprodurre gli effetti di variazione del flusso spesso
sperimentati nell’impianto reale in seguito a semplici arresti dell’impianto e successivi riavvii.
Ipotizzando che tali effetti potessero essere dovuti a polvere depositata sui filtri o in circolo
nelle linee, con lo scopo di cercare di riprodurre tale effetto al banco test, si è inserita una
piccola quantità di polvere nella sezione di test (sempre a monte del filtro PP4) e sono poi
stati effettuate varie operazioni (quali fermate e riavvii dell’impianto, con o senza effettuare il
vuoto nella linea, movimenti meccanici della linea, chiusure improvvise della valvola di
regolazione) registrando i valori del flusso ad ogni operazione effettuata.
In Figura 3.49 si riportano in forma grafica i risultati dei test.
Come si può vedere dalla precedente figura, in seguito alle varie operazioni effettuate il flusso
varia in maniera considerevole: oltre al crollo del flusso in seguito al secondo inserimento di
polvere (ancora una quantità molto ridotta, ~ 0,05 g), si può notare come il sistema subisca
importanti oscillazioni del flusso in seguito al riavvio dopo la chiusura della sezione di test.
3.9.6 Considerazioni
I test effettuati mediante polveri graduate hanno confermato l’elevato potere ostruente delle
polveri: con modeste quantità di polvere (0,15-0,2 g) si sono raggiunti valori di flusso pari a
0,8-0,9 g/s, valori nettamente inferiori anche al caso di filtro otturato fino al 90% della
superficie con colla epossidica.
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
4
0 5 10
Flo
w [
g/s]
0,4-12 µm metal powder Flow with a small amount of powder
0 W powder flow
0 W nominal flow(without filter)
0 W 60+60 um cleanfilters
inserimento altra polvere
Stop&Start con movimenti linea
Stop&Start
Cambiato filtro PP3
Figura 3.49 Variazione del flusso in seguito alle varie azioni effettuate sul circuito
111
Si è poi riusciti a riprodurre al banco test gli effetti di variazione del flusso in seguito a stop
dell’impianto e successivo riavvio, come si è osservato nel sistema di raffreddamento di SPD.
112
113
Conclusioni Il presente lavoro raccoglie i risultati dei test effettuati presso i laboratori del CERN per lo
studio dell’efficienza del sistema di raffreddamento bifase del rivelatore SPD
dell’esperimento ALICE.
Il sistema di raffreddamento, che in numerosi test effettuati prima dell’installazione
presentava un’efficienza costante e pari a ε=100%, una volta installato nella sala
dell’esperimento ha mostrato una drastica riduzione dell’efficienza ed un continuo degrado
delle prestazioni nel tempo.
Vari studi e considerazioni sul sistema suggeriscono che tale comportamento sia in gran parte
attribuibile ad una parziale occlusione dei filtri presenti nella posizione PP3 dell’impianto.
Tali filtri non sono accessibili (e non possono quindi essere rimossi o visionati) se non
tramite un lungo intervento che che potrà essere effettuato solo nel periodo 2013/2014,
durante il lungo stop tecnico programmato per tutti gli esperimenti in funzione presso LHC.
Nei test presentati in questo lavoro si è cercato di riprodurre sperimentalmente, mediante un
banco-test, le condizioni di ostruzione dei filtri tali da determinare il calo di efficienza subito
dal rivelatore. Per fare ciò, si è dapprima eseguita la caratterizzazione dei filtri (Par 3.4)
misurandone la caduta di pressione in funzione del flusso per diversi valori della potenza
applicata al settore: questa fase ha permesso di ottenere dei valori di riferimento con cui
confrontare i risultati ottenuti con i test successivi. Si è quindi valutata l’influenza della
potenza applicata sul settore in termini di variazione del flusso e della caduta di pressione sul
filtro (Par. 3.5) e l’impedenza fornita dai filtri (3.7). Poichè un’eventuale ebollizione del fluido
refrigerante prima del suo ingresso nel rivelatore potrebbe causare un aumento notevole
dell’impedenza del sistema e una seria ostruzione del flusso, sono stati condotti alcuni test
(Par. 3.6) riproducenti le condizioni che possono determinare una ebollizione anche
localizzata del liquido prima del suo ingresso nel settore. Si è allora visto come, sebbene le
condizioni iniziali del fluido siano tali da evitare ebollizione dello stesso prima dell’ingresso
nel settore, la complessità del percorso idraulico, la presenza di filtri parzialmente occlusi e lo
scambio termico con l’ambiente possono portare in condizioni prossime a quelle di
saturazione.
Infine, si è passati allo studio delle condizioni di deflusso del fluido refrigerante in presenza
di ostruzione dei filtri. Per simulare tale effetto, in un primo caso si è operato un parziale
ricoprimento della superficie del filtro con colla epossidica (Par 3.8). In un secondo caso
sono state utilizzate polveri di dimensioni calibrate per simulare l’effetto di accumulo di
detriti all’interno del circuito di test (Par 3.9).
114
L’analisi dei risultati ottenuti ha condotto alle seguenti considerazioni:
- gli effetti di ostruzione del flusso forniti dalle polveri graduate risultano essere più
importanti di quelli forniti dall’otturazione del filtro con colla epossidica;
- è stato osservato (anche con analisi al microscopio elettronico) il deposito di polvere
di piccolo diametro (0,4-12 µm) passata attraverso la matrice di un filtro da 60 µm,
sulla superfice del filtro successivo, sempre di granulometria pari a 60 µm.
- sono stati riprodotti al banco test gli effetti di variazione del flusso in seguito a
semplici arresti e riavvii dell’impianto di raffreddamento, effetti sperimentati più volte
nel sistema reale installato nella sala dell’esperimento.
Il nostro banco test è stato realizzato con lo scopo di riprodurre alcune caratteristiche salienti
del circuito di raffreddamento del rivelatore SPD, anziché una replica del sistema installato
nella sala sperimentale. Questa strategia ha permesso di realizzare alcuni test in tempi
relativamente brevi grazie a un progetto molto semplificato. Il vantaggio è stato quello di
ottenere un sistema facilmente adattabile alle esigenze che scaturivano di volta in volta
dall’esperienza.
I risultati sono estremamente soddisfacenti per due ragioni. La prima è che è stato possibile
riprodurre alcuni aspetti importanti del comportamento di un sistema molto difficile da
simulare. La seconda è che i risultati stessi forniscono indicazioni su come migliorare le
caratteristiche del banco di test in modo da poter studiare più approfonditamente il sistema
reale. Questa attività è già in corso presso il CERN.
In tal modo si potranno eseguire le prove di fattibilità necessarie a supportare la
progettazione dei futuri interventi mirati a ristabilire la massima efficienza di raffreddamento
del rivelatore SPD.
115
Appendice
A.1 Alcune proprietà del C4F10
A.1.1 Variazione della densità al variare della pressione
1500
1550
1600
1650
1700
0 5 10 15 20 25 30 35
De
nsu
ty [
kg/m
3]
Pressure [bar]
C4F10 Liquid density (@ -5°C)
0
50
100
150
200
250
300
350
400
0 5 10 15 20 25 30 35
De
nsi
ty [
kg/m
3]
Pressure [bar]
C4F10Vapor density (@ 160 °C)
Figura A.1.1 Variazione della densità al variare della pressione per C4F10 liquido a -5°C.
Figura A.1.2 Variazione della densità al variare della pressione per C4F10 gassoso a -5°C.
116
A.1.2 Variazione della viscosità al variare della pressione
200
220
240
260
280
300
320
340
360
0 5 10 15 20 25 30 35
Vis
cosi
ty [
µP
a·s]
Pressure [bar]
C4F10 Liquid viscosity vs pressure (@ -5 °C)
0
5
10
15
20
25
0 5 10 15 20 25 30 35
Vis
cosi
ty [
µP
a·s]
Pressure [bar]
C4F10 vapor viscosity vs pressure (@ 160 °C)
Figura A.1.3 Variazione della viscosità dinamica al variare della pressione per C4F10 liquido a -5°C.
Figura A.1.4 Variazione della viscosità dinamica al variare della pressione per C4F10 gassoso a -5°C.
117
A.2 Termofluidodinamica delle miscele bifase
A.2.1 Introduzione. Principali grandezze caratteristiche del moto bifase
Si consideri il deflusso di una miscela bifase liquido-gas
all’interno di un condotto di sezione A (Fig. A.2.1). Sia AL
la frazione della sezione occupata dal liquido e sia AG la
frazione della sezione occupata dal gas in un determinato
punto del condotto.
Si definisce “velocità media u” di una delle due fasi il rapporto tra la portata volumetrica della
fase considerata e l’area della sezione trasversale occupata dalla fase:
Si definisce poi “portata specifica G” di ciascuna fase il rapporto tra la portata di massa della
fase e l’area della sezione trasversale occupata dalla fase stessa:
Si definisce invece “velocità superficiale J” di ciascuna fase il rapporto tra la portata volumetrica
della fase considerata e l’area A della sezione totale del condotto:
La velocità superficiale J della fase corrisponde alla velocità che la fase avrebbe se fluisse da
sola all’interno del condotto.
Nel processo di ebollizione in convezione forzata di un fluido all’interno di un condotto, il
progressivo cambiamento di fase è accompagnato da un graduale aumento del “titolo del
vapore” x, definito come il rapporto tra la portata di massa del gas ṁG e la portata di massa
totale del fluido in una sezione generica del condotto:
Il volume specifico del vapore, risulta però assai maggiore di quello del liquido perciò, anche
per bassi titoli (x‹0,1), il vapore occuperà gran parte della sezione di deflusso. Risulta perciò
Figura A.2.1 Sezione di un deflusso bifase gas-liquido all’interno di in condotto circolare.
118
utile definire il parametro “grado di vuoto” α, rapporto tra l’area occupata dalla fase vapore in
una certa sezione rispetto all’area totale della sezione:
Esistono numerose relazioni per il calcolo del grado di vuoto, alcune più semplici ma meno
accurate, altre molto più vicine al fenomeno fisico, ma che richiedono un maggiore sforzo
computazionale. Di seguito vengono presentati alcuni di questi metodi.
Si assuma un modello di deflusso omogeneo della miscela bifase entro il condotto, che
descrive le due fasi come uniformemente miscelate a formare una miscela omogenea di
densità e volume specifico definiti da:
*
+
con una unica velocità media (uL=uG).
Il grado di vuoto si può allora calcolare semplicemente come:
[
]
{
}
A verifica di quanto detto poco sopra riguardo la relazione tra α ed x, si noti come per elevati
valori del rapporto ρL/ρG il grado di vuoto cresca molto più rapidamente del titolo, mentre
per ρL/ρG=1 si ha α=x.
Se invece si adotta il modello di deflusso a fasi separate, nel quale le due fasi vengono
supposte come completamente separate con il liquido che scorre alla velocità uL mentre il gas
con velocità uG, il grado di vuoto può essere calcolato tramite l’equazione di Lockhart-
Martinelli:
dove ΦLtt è detto “moltiplicatore bifase di attrito”, mentre Xtt è il “parametro di Martinelli”, che
verrà introdotto più avanti.
Molti autori consigliano di utilizzare, per il calcolo del grado di vuoto, la versione di Steiner
(1993) dell’equazione di Rohuani-Axelsson (1970):
119
*( ) (
)
+
Mentre per deflussi verticali con gradi di vuoto α>0,1 (quindi già a partire da ridotti titoli del
vapore, per quanto detto in precedenza) risulta ancora utilizzabile la stessa equazione di
Rouhani-Axelsson (1970):
[[ (
)
] (
)
]
Si definisce “scorrimento tra le fasi” S il rapporto tra la velocità media della fase vapore uG e la
velocità media della fase liquida uL:
Anche per lo scorrimento S esistono in letteratura varie correlazioni, che vengono
brevemente presentate qui di seguito in ordine crescente di accuratezza.
Se si considera il modello di deflusso omogeneo della miscela bifase (uG=uL) risulta
ovviamente:
Secondo Zivi si ha:
√
La relazione di Chisholm (1973) dà invece:
√ (
)
Secondo Chawla (1967) si può scrivere:
[
(
)
(
)
]
120
dove:
-
è il numero di Froude della fase omogenea (e ρH=ρL(1-αOM)+ρGαOM) la
relativa densità)
-
ed è valida per 0<x<1.
La correlazione più accurata, sebbene richieda uno sforzo di calcolo leggermente maggiore, è
probabilmente l’equazione del CISE:
√
dove:
-
- (
)
(
)
- (
) (
)
(
)
(σ tensione superficiale)
Dalla precedente equazione è possibile ricavare la relazione fondamentale che lega titolo del
vapore x, grado di vuoto della miscela α e scorrimento S:
121
A.2.2 Regimi di deflusso bifase con evaporazione in condotti verticali
A seconda del grado di vuoto presente in una certa sezione e della portata del fluido, si
stabiliscono all’interno del condotto particolari regimi di deflusso, a cui sono associati
determinati meccanismi di scambio termico. La capacità di predire il particolare regime di
deflusso che si realizza in una certa sezione del condotto, è di fondamentale importanza per
una corretta valutazione del coefficiente di scambio termico e delle perdite di carico subite
dal fluido durante il deflusso.
Si consideri il deflusso di un fluido all’interno di un condotto verticale a sezione circolare di
diametro costante, uniformemente riscaldato sulla superficie e si supponga che all’ingresso
del condotto il fluido sia in condizioni di liquido saturo o sottoraffreddato.
Nella prima parte del condotto il calore porta il liquido (se sottoraffreddato) alle condizioni
di saturazione. A questo punto, in alcuni centri di nucleazione, inizia il processo
dell’ebollizione nucleata con produzione netta di vapore. Le bolle che si formano sono
trascinate in seno alla corrente ed il regime che si instaura è detto “bubbly flow”. Le bolle
possono variare in dimensione e forma ma sono tipicamente sferiche e con diametri
sensibilmente minori rispetto al diametro della condotta.
All’aumentare del grado di vuoto, le bolle tendono a crescere ed avvicinandosi, tendono a
riunirsi fino a formare tappi di vapore che si alternano a sacche di liquido. Queste sacche
presentano una forma simile ad un proiettile, con un naso emisferico e una coda più
smussata, e presentano dimensioni paragonabili al diametro del condotto. Tale regime viene
detto “slug flow”.
Al crescere della velocità del fluido (e quindi della portata) la struttura del flusso diventa
instabile a causa del continuo disfacimento e ricomponimento delle sacche di liquido che
assumono una forma più allungata e movimenti caotici. Tale regime è detto “churn flow”. Alla
crescita ulteriore della velocità, il liquido tende a disporsi all’esterno delle lingue di gas, ed il
flusso assume un regime detto “semi-annular flow” avvicinandosi progressivamente alla
conformazione caratteristica del regime descritto di seguito.
Un ulteriore aumento del grado di vuoto sulla sezione confina il vapore al centro del
condotto, mentre il liquido forma un film aderente alla parete: tale regime è detto “annular
flow”. Il vapore presenta una velocità molto maggiore del liquido, perciò l’interfaccia è
disturbata da onde ad alta frequenza: parte del liquido all’interfaccia viene strappato dal film
sotto forma di goccioline e trascinato in seno alla corrente di gas, quindi vaporizzato. Tale
regime, particolarmente stabile, è il regime desiderato nel caso di deflusso bifase all’interno di
condotti, sia per la sua stabilità sia perché l’intero perimetro del tubo è bagnato dal fluido,
cosicché lo scambio termico è ottimizzato e non si hanno punti di dryout (zone di tubo a
contatto con il gas). Nonostante il grado di vuoto sia molto elevato, il titolo è ancora
inferiore al 20-25%.
All’aumentare della velocità del fluido le goccioline di liquido strappate dal gas sull’interfaccia
aumentano di numero e possono aggregarsi a formare ciuffi di liquido in seno alla massa di
gas nella zona centrale del condotto. Tale regime è detto “wispy annular flow”.
122
All’aumentare della portata e all’aumentare quindi degli sforzi tangenziali esercitati dalla fase
gas sull’interfaccia liquido-vapore, il film diventa instabile e una quantità sempre maggiore di
liquido viene trascinata all’interno della corrente gassosa sotto forma di goccioline nel regime
che è detto “mist flow”: un film stabile di vapore presso la parete ed una corrente di gas che
trascina gocce di liquido all’interno. In seno alla corrente gassosa continua l’evaporazione
delle goccioline di liquido finché non si ha vapore saturo secco e quindi vapore surriscaldato.
A.2.3 Regimi di deflusso bifase con evaporazione in condotti orizzontali
Nel caso di flusso in condotti orizzontali, i regimi di deflusso che si verificano sono simili a
quelli, appena descritti, che si instaurano nel caso di moto verticale, tranne che per la
tendenza di stratificazione del flusso per effetto della forza di gravità che tende a confinare il
liquido nella parte inferiore del condotto e il gas nella parte superiore.
Nel caso di deflusso orizzontale si verificano allora i seguenti regimi di deflusso:
“Bubbly flow”: come nel caso verticale, tale regime è caratterizzato dalla presenza di bolle di
gas in seno alla corrente liquida; le bolle tendono in questo caso a concentrarsi nella parte
superiore del condotto per effetto del galleggiamento. Solo per elevate portate, in cui
risultano prevalenti gli sforzi tangenziali esercitati della corrente, le bolle risultano
uniformemente distribuite, come nel caso di deflusso verticale.
“Stratified flow”: per basse velocità relative delle fasi liquida e gassosa, le fasi risultano
completamente stratificate, con il liquido che scorre nella parte inferiore del condotto alla
velocità uL ed il gas che occupa la parte superiore e fluisce alla velocità uG maggiore di quella
del liquido. Si possono avere due sottoregimi, stratificato liscio “stratified smooth” o stratificato
Figura A.2.2 Regimi di deflusso nel moto verticale di un fluido bifase.
123
ondoso “stratified wavy” a seconda che la portata sia più o meno elevata, e si instaurino quindi
onde di instabilità sulla superficie di separazione delle fasi.
“Intermittent flow”: nel regime intermittente di deflusso orizzontale, la massa di liquido è
separata da sacche di gas, formatesi in seguito alla coalescenza delle bollicine di vapore. A
seconda della velocità del fluido, si possono avere due sottoregimi:
- “plug flow”: il deflusso di sacche di liquido è separato da lunghe bolle di vapore che
aderiscono alla parte superiore del condotto (per questo viene spesso chiamato anche
“elongated bubble flow”); il diametro delle bolle di gas è minore del diametro del
condotto, perciò la sezione inferiore del tubo è costantemente bagnata dal letto
liquido, mentre nella parte superiore il deflusso di liquido è alternato alle bolle di
vapore. Tale regime si verifica per basse portate del fluido;
- “slug flow”: per portate maggiori, il diametro delle bolle diventa paragonabile al
diametro del condotto, perciò il deflusso risulta caratterizzato da grandi bolle di
vapore che separano sacche di liquido, al cui interno è trasportata anche la fase gas
sotto forma di goccioline.
Entrambi i regimi sono caratterizzati da una forte intermittenza del deflusso, in quanto, al
passare delle sacche di vapore la portata massica è ridotta, mentre aumenta molto al fluire
delle sacche di liquido.
“Annular flow”: come nel caso di deflusso verticale, il liquido forma un film lungo tutto il
perimetro del tubo ma, per effetto della gravità, tale film presenta spessore minore nella parte
superiore ed un letto più consistente di liquido in quella inferiore. All’aumentare della
velocità del fluido, l’interfaccia liquido-vapore diventa molto frastagliata e presenta onde ad
alta frequenza soprattutto nel letto liquido inferiore (si parla spesso di “wavy-annular flow”) che
strappano goccioline di liquido e le includono all’interno del flusso di gas. La parte superiore
del condotto, causa il ridotto spessore del film liquido, è la prima che evapora
completamente fino a che si ha una parte del condotto lambita dalla sola fase gas (dry out).
“Mist flow”: per elevate portate, gli sforzi tangenziali della fase gas sono così elevati da
strappare tutto il liquido dal film esterno ed inglobarlo nella vena gassosa sotto forma di
goccioline. Tutto il perimetro del condotto è allora lambito dal fluido in fase gas e
l’evaporazione ulteriore del liquido porta il fluido nelle condizioni di vapore saturo secco.
124
In conclusione, si può affermare che il deflusso bifase in condotti orizzontali presenta regimi
simili al caso di deflusso verticale ma subisce un effetto di stratificazione del liquido per
effetto della forza di gravità. Tale effetto si riduce per elevate portate, dove gli sforzi
tangenziali tra le fasi diventano predominanti: in questo caso i regimi si avvicinano molto al
caso verticale.
A.2.4 Mappe di deflusso
Per cercare di predire il regime di moto assunto da una miscela bifase in una certa sezione di
un condotto, sono state realizzate negli anni una serie di mappe di deflusso che permettono
di stabilire il regime di moto di un fluido bifase a partire da certe caratteristiche
termodinamiche del fluido stesso.
Per il flusso verticale ascendente, una delle mappe più usate è quella di Hewitt e Roberts
(1969), principalmente per flussi aria-acqua e acqua-vapore. Il sistema di coordinate della
mappa presenta in ascissa il flusso della q.d.m. della fase liquida e in ordinata il flusso della
q.d.m. della fase gas:
Figura A.2.3 Regimi di deflusso nel moto verticale di un fluido bifase.
125
In seguito Teitel e Dukler (1977) in base ai risultati di una serie di studi teorici sui meccanismi
che determinano la transizione tra i vari regimi, realizzarono una mappa più precisa e
maggiormente in accordo con i dati sperimentali.
Per quanto i riguarda il deflusso orizzontale, una delle prime mappe fu presentata da Baker
(1954) e sviluppata poi da Bell (1970) ma, anche in questo caso, studi teorici condotti da
Teitel e Dukler portarono alla realizzazione di una nuova mappa, il cui utilizzo è oggi
fortemente consigliato per deflussi adiabatici bifase in condotti orizzontali.
Tale mappa considera i seguenti gruppi adimensionali:
*
+
in funzione del parametro di Martinelli Xtt:
𝜌𝐿𝑉𝐿
�� 𝑥
𝜌𝐿
𝜌𝐺𝑉𝐺
�� 𝑥
𝜌𝐿
Figura A.2.4 Mappa di Hewitt-Roberts (1969) per il deflusso verticale di fluidi bifase all’interno di un condotto.
126
[(
)
(
)
]
dove (dp/dz)L e (dp/dz)G sono le cadute di pressione per attrito della fase liquida e della fase
gas rispettivamente, che scorrono da sole nel condotto.
Ogni cambiamento di regime è caratterizzato da una certa curva di transizione all’interno
della mappa e la valutazione si effettua con il relativo parametro adimensionale tra quelli
introdotti:
- CURVA 1: è la curva relativa alla transizione tra regime stratificato e regime
intermittente o regime anulare (a seconda del valore di X). Viene valutata tramite il
parametro F.
- CURVA 2: descrive la transizione tra regime anulare ed intermittente e si valuta
ancora tramite il parametro F. Tale curva si riferisce al valore costante X=1,6.
- CURVA 3: è descritta dal parametro K e rappresenta la transizione tra moto
stratificato lineare e moto stratificato ondoso.
- CURVA 4: rappresenta il passaggio tra deflusso a bolle e deflusso intermittente e si
valuta tramite il parametro T (sempre in funzione di X).
Figura A.2.5 Mappa di Teitel-Dukler per il deflusso orizzontale di fluidi bifase all’interno di un condotto.
127
Per utilizzare la mappa di Teitel-Dukler è necessario, per prima cosa, calcolare i valori del
parametro di Martinelli Xtt e del numero di Froude Fr. Entrando con questi valori all’interno
della mappa, se il punto risultante si trova all’interno della regione anulare, allora si può
concludere che il regime di moto è anulare. Se invece il punto si trova nella regione in basso a
sinistra del grafico, allora è necessario calcolare il numero K per la distinzione tra moto
stratificato e moto perturbato. Se, infine, il punto Fr-X si trova nella parte destra del grafico è
necessario calcolare T per la distinzione tra flusso a bolle e flusso intermittente.
Tutte le mappe finora descritte, sono relative a deflussi adiabatici, anche se spesso sono
utilizzate per deflussi diabatici come quelli relativi a evaporazione e condensazione del fluido.
Importanti studi per la determinazione dei regimi di moto nel caso di deflusso con
evaporazione sono stati condotti da Kattan, Thome e Favrat (1998) per tubi di piccolo
diametro, come quelli che caratterizzano gli evaporatori. Tali studi hanno portato alla
realizzazione di una mappa di deflusso per moti con evaporazione, che presenta in ascissa il
titolo del fluido e in ordinata la portata di massa. Vengono introdotti i 6 seguenti parametri
geometrici adimensionali:
dove:
- PL e PG sono rispettivamente il perimetro bagnato ed il perimetro asciutto del tubo;
- AL e AG sono le sezioni di deflusso della fase liquida e della fase gas;
- h è l’altezza del liquido stratificato alla base del condotto;
- Pi è l’estensione dell’interfaccia tra le fasi nella sezione;
- di è il diametro interno del tubo, usato per adimensionalizzare i parametri.
Figura A.2.6 Rappresentazione dei parametri utilizzati nel metodo Kattan-Thome-Favrat (1998).
128
Essendo h una incognita, è necessario un processo iterativo per determinare hLd. Una volta
noti i 6 parametri adimensionali, il regime di deflusso può essere calcolato dalle caratteristiche
termodinamiche del fluido.
La mappa presenta le seguenti curve di transizione:
- curva di transizione tra regime stratificato (S) e stratificato ondoso (SW);
- curva di transizione tra regime stratificato ondoso (SW) e intermittente anulare (I/A);
- curva di transizione tra regime intermittente e regime anulare;
- curva di transizione tra regime anulare e regime mist.
Opportune equazioni (per la conoscenza delle quali si rimanda al lavoro di Kattan, Thome e
Favrat) permettono di determinare le portate che segnano la transizione di fase per ogni
valore del titolo della miscela e che consentono così di determinare il regime di deflusso del
fluido.
Figura A.2.7 Mappa dei regimi di deflusso per il moto di fluidi bifase con evaporazione (Kattan-Thome-Favrat).
129
A.2.5 Perdite di carico
Come si è visto per il grado di vuoto α e per lo scorrimento S, anche per il calcolo delle
perdite di carico per un deflusso bifase sono state sviluppate negli anni numerose
correlazioni, che dipendono molto dal modello che si assume per descrivere il deflusso della
miscela. Di seguito si presentano le più significative.
Modello omogeneo
Come si è già avuto modo di dire, il modello omogeneo del deflusso di una miscela bifase
assume che le due fasi siano miscelate in maniera del tutto omogenea e viaggino alla stessa
velocità (uG=uL, cioè S=1).
La densità della miscela si calcola come:
con αOM dato dalla (A.2.7).
La perdita di carico totale Δpt si compone di tre fattori: perdita di carico statica Δps (legata
alla variazione di altezza e quindi di energia potenziale), la perdita di carico per variazione
della quantità di moto Δpm (legata alla variazione di energia cinetica del flusso) e la caduta di
carico per attrito Δpf:
La perdita di carico statica, per una miscela bifase omogenea si può calcolare come:
dove H è la variazione di altezza e θ è l’angolo rispetto al piano orizzontale.
La perdita di carico per variazione di quantità di moto della miscela si può calcolare, per unità
di lunghezza z del tubo, come:
(
)
(
)
Mentre la perdita di carico per attrito si può calcolare come:
dove il fattore di attrito della miscela omogenea si calcola tramite le equazioni valide per il
deflusso monofase:
130
con e
Ovviamente, per determinare la caduta di pressione sull’intero tubo, le precedenti equazioni
devono essere integrate passo a passo su sezioni del condotto per le quali si possono ritenere
costanti con buona approssimazione le condizioni di deflusso.
Modello di deflusso a fasi separate
Nel modello di deflusso a fasi separate, si suppone che ciascuna fase fluisca completamente
separata dall’altra, ognuna con la propria velocità media.
Ancora, la perdita di carico si può considerare somma di tre addendi ().
In questo caso, per la caduta di pressione statica si ha:
dove la densità bifase si calcola come:
nella quale il grado di vuoto α si può calcolare, ad esempio, con l’equazione di Steiner (),
mentre la perdita di carico per variazione della quantità di moto risulta:
,*
+
*
+
-
Se, come nel nostro caso, il deflusso avviene in un tubo orizzontale (per il quale Δps=0),
qualora sia possibile misurare la caduta di pressione totale sul tubo, sottraendo al valore così
misurato la caduta di pressione per variazione della quantità di moto, calcolabile con la
precedente equazione, è possibile ricavare la perdita di carico per attrito.
In alternativa, esistono diverse correlazioni che permettono di calcolare Δpf.
Uno dei primi metodi introdotti per calcolare le perdite di carico per attrito in una miscela
bifase a fasi separate è il metodo di Lockhart-Martinelli (1949).
L’idea è quella di correggere il valore della perdita di carico per attrito calcolata per la singola
fase tramite degli opportuni moltiplicatori bifase. Perciò risulta:
131
con ΔpL e ΔpG perdite di carico per attrito calcolate rispettivamente per la sola fase liquida e
per la sola fase gas.
I moltiplicatori bifase, si possono invece calcolare come:
dove il parametro di Martinelli Xtt per entrambe le fasi in regime turbolento è si calcola come:
(
)
(
)
(
)
mentre il parametro C dipende dai regimi assunti rispettivamente dalla fase liquida e da quella
gassosa secondo la seguente tabella:
Liquido Gas C
Turbolento Turbolento 20
Laminare Turbolento 12
Turbolento Laminare 10
Laminare Laminare 5
Più tardi (1979) Friedel introdusse un nuovo metodo sempre basato sui moltiplicatori bifase
(Δpf=ΔpLΦLO2), e maggiormente in accordo con i risultati sperimentali che si andavano via
via raccogliendo.
con
-
-
- (
)
(
)
(
)
Tabella A.1
132
A.2.6 Il coefficiente di scambio termico in ebollizione all’interno di tubi
Con il procedere dell’evaporazione del fluido lungo il tubo, varia il titolo del vapore della
miscela, variano i regimi di deflusso della miscela e con essi variano le caratteristiche
termodinamiche e fluidodinamiche del flusso. Come conseguenza di tutti questi effetti, si ha
anche una variazione del coefficiente di scambio termico, come si può vedere nella seguente
immagine.
In generale, si nota un aumento
del coefficiente convettivo con
l’aumentare del titolo finché non si
raggiungono le condizioni di dry-
out parziale o totale, cioè quando
una parte, o tutta la circonferenza
del tubo in una determinata
sezione è a contatto con il vapore
in seguito all’evaporazione del film
liquido.
In queste condizioni si ha una
brusca caduta del coefficiente di
convezione dovuta alle ridotte
proprietà di scambio termico della fase gas rispetto alla fase liquida. Questo porta ad un
repentino incremento della temperatura di parete (se il flusso termico alla parete è mantenuto
costante, come avviene nel nostro caso all’interno dell’evaporatore del detector) fino a valori
che possono risultare critici per la parete stessa o per gli elementi ad essa collegati.
Nel caso si SPD, un aumento eccessivo della temperatura di parete può portare al
deterioramento della grease termica che collega il tubo evaporatore ai chip ed al conseguente
danneggiamento di questi ultimi per surriscaldamento (in quanto il calore generato dai chip
non viene più asportato efficientemente). Per evitare che accada ciò, SPD è dotato di un
sistema di controllo che rileva la temperatura dei singoli stave: quando questa raggiunge il
livello di allarme, il sistema provvede a spegnere lo stave per salvaguardarne l’integrità. Ma,
poiché lo spegnimento degli stave causa una riduzione della quantità di dati ottenuta durante
gli esperimenti, questo deve essere il più possibile limitato cercando di evitare il dryout nella
zona del settore.
Come nel caso di deflusso monofase, il coefficiente convettivo può essere introdotto a
partire dalla relazione di Newton che nel caso di deflusso bifase diventa:
( )
Figura A.2.8 Coefficiente di scambio termico e regimi di deflusso nel moto orizzontale con evaporazione (Kreith, 2000)
133
Dove q è il flusso termico specifico alla parete (ipotizzato costante), Tp è la temperatura
locale della parete, Tsat è la temperatura di saturazione alla pressione locale del fluido ed αtp è
il coefficiente convettivo di scambio termico bifase.
Nel processo di scambio termico di un fluido bollente in convezione forzata all’interno di un
tubo alle cui pareti è presente un flusso termico uniforme e costante, si ritiene che il processo
complessivo sia dovuto al contributo di due fenomeni:
- ebollizione nucleata;
- ebollizione convettiva.
Dalle precedenti considerazioni si può ritenere che il coefficiente di scambio termico
convettivo bifase sia la somma di due componenti: il coefficiente di scambio termico legato
alla sola ebollizione nucleata αnb e quello legato invece alla sola ebollizione convettiva αcb:
Questa equazione, dovuta a Chen (1963), è forse una delle prime correlazioni per il
coefficiente di scambio termico convettivo bifase.
Durante i suoi studi per dare una forma operativa alla precedente equazione, Chen notò i
seguenti fenomeni:
- il maggior gradiente di temperatura alla parete che si ha nel liquido in convezione
forzata rispetto all’ebollizione statica, in parte riduce la nucleazione, riducendo αnb; se
ne tiene conto introducendo il fattore di soppressione S;
- il vapore formatosi dall’ebollizione del liquido, aumenta la velocità del fluido e quindi
il coefficiente di scambio termico rispetto al caso monofase: è quindi necessario
introdurre un parametro F che tenga conto dell’aumento del coefficiente di
convezione rispetto al caso monofase, dovuto all’evaporazione.
Egli giunse quindi alla seguente espressione:
dove αnb viene calcolato tramite la correlazione di Forster-Zuber (1955) per l’ebollizione
nucleata:
[
]
con Δtsat=Tp-Tsat e Δpsat=pp-psat (dove il pedice p si riferisce ai valori alla parete del
tubo).
134
Il coefficiente S di riduzione si calcola come:
dove (con F dato dalla (A.2.38)).
Il coefficiente di scambio termico convettivo per la sola fase liquida si calcola ad esempio con
l’equazione di Dittus-Boelter (1.70) usando come portata del liquido .
Infine, il “moltiplicatore bifase di Chen” F, che tiene conto dell’aumento di αL dovuto
all’ebollizione, risulta essere:
(
)
Con il procedere degli studi sull’ebollizione altre correlazioni si sono aggiunte, spesso
estrapolate dall’enorme banca dati che si andava formando. La maggior parte di queste
relazioni presenta la medesima forma che è la seguente:
dove l’esponente n varia da autore ad autore e vale:
n=1 Chen (1963) (semplice somma dei due fattori)
n=2 Kutateladze (1961) (in cui viene enfatizzato il fenomeno prevalente)
n=3 Steiner-Taborek (1992)
n=∞ Shah (1982) (dove viene considerato solo il maggiore dei due fattori).
I metodi testé descritti si riferiscono ad ebollizione in deflussi verticale. Per deflussi
orizzontali, i metodi utilizzati spesso sono degli adattamenti dei metodi precedenti, in molti
casi realizzati dagli stessi autori.
135
Bibliografia
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2. Bonacina, C. Termodinamica applicata. Padova : Cleup editore, 1992.
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5. Bonacina, C. Trasmissione del calore. Padova : Cleup editore, 1989.
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9. Santos, M. A. Pimenta Dos. The ALICE Silicon Pixel Detector cooling system. Geneva : CERN,
2003.
10. ALICE Collaboration. ALICE Technical paper1. 2008.
136
137
Ringraziamenti
Le prime persone che devo ringraziare per la realizzazione di questa tesi sono sicuramente
Francesca, la mia relatrice, che con grande disponibilità mi ha guidato nella stesura del lavoro
e Rosario, il mio correlatore, che ha dedicato con pazienza molto del suo tempo ad aiutarmi
in ogni minima difficoltà e dal quale ho imparato veramente molto. Devo poi ringraziare
Claudio per la sua amicizia e per l’importante supporto che mi ha fornito durante tutto il mio
periodo a Ginevra. Un ringraziamento particolare alla mia famiglia, a Giorgio, Esterina,
Claudia, Giorgia, Roberto, Elisa, Adriano, Marco e Jole, per il loro aiuto durante tutti questi
anni di studio e alla mia ragazza Edit, vicina a me in ogni momento.
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