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Università degli Studi di Pisa - CORE · 2017. 3. 22. · sulla presenza di zoonosi ed epidemie di...

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Università degli Studi di Pisa Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali Dipartimento di Scienze Veterinarie Corso di Laurea Magistrale in Biosicurezza e qualità degli alimenti - LM 70 Yersinia enterocolitica nella filiera suinicola Candidato: Dott. Vincenzo Rigoli Relatore: Chia.mo Prof. Domenico Cerri Correlatore: Dott. Fabrizio Bertelloni Anno Accademico 2012-2013 brought to you by CORE View metadata, citation and similar papers at core.ac.uk provided by Electronic Thesis and Dissertation Archive - Università di Pisa
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Università degli Studi di Pisa

Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in

Biosicurezza e qualità degli alimenti - LM 70

Yersinia enterocolitica nella filiera suinicola

Candidato:

Dott. Vincenzo Rigoli Relatore:

Chia.mo Prof. Domenico Cerri

Correlatore:

Dott. Fabrizio Bertelloni

Anno Accademico 2012-2013

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INDICE

Premessa

1. Introduzione pag. 2

2. La filiera suinicola pag. 5

2.1 Sistemi di allevamento pag. 10

3. Yersinia enterocolitica: eziologia pag. 18

4. Y. enterocolitica: caratteristiche dell’infezione pag. 27

4.1 Fonti di infezioni pag. 30

5. Fattori associati alla virulenza di Y. enterocolitica pag. 32

6. Il suino: fonte di infezione per l’uomo pag. 42

7. Epidemiologia della yersiniosi umana pag. 49

8. Scopo della tesi pag. 56

9. Materiali e metodi pag. 59

9.1 Terreni utilizzati pag. 61

9.2 Metodi e trattamento dei campioni pag. 69

9.3 Metodiche pag. 72

9.4 Conferme biochimiche pag. 76

9.5 Determinazione dei caratteri fenotipici pag. 77

9.6 Fattori di virulenza pag. 81

9.6.1 Plasmide di virulenza: test CR-MOX pag. 81

9.6.2 Ricerca dei geni di virulenza pag. 83

9.7 PFGE pag. 85

10. Risultati pag. 88

10.1 Isolati batterici pag. 89

10.2 Caratterizzazione fenotipica dei ceppi isolati pag. 92

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10.3 Risultati fenotipici e genotipici degli isolati pag. 93

10.4 Risultati PFGE pag. 94

11. Discussione dei risultati pag. 98

12. Conclusioni pag. 104

13. Bibliografia pag. 107

14. Sitografia pag. 125

Ringraziamenti

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PREMESSA

La realizzazione di un buon sistema di bio-sicurezza costituisce la

prima linea di difesa nei confronti delle principali malattie epidemiche

e rappresenta quindi il momento essenziale della gestione del rischio a

livello aziendale. La sua applicazione inoltre non ha solo un impatto

diretto sull’azienda che l’adotta, ma costituisce anche un beneficio

indiretto per le aziende che sono localizzate nelle immediate vicinanze

e per l’intera filiera di produzione. A tal fine è importante che tali

misure vengano applicate con un approccio collettivo, coinvolgendo

tutti gli elementi coinvolti nell’intera filiera produttiva (Bellini

IZSLER).

Ad oggi infatti, risulta essere chiaro che la qualità non può più essere

legata al singolo prodotto o organizzazione ma che essa deve essere

considerata un fattore di successo dell’intera filiera (Di Iacovo 2005).

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1. INTRODUZIONE

Negli ultimi anni le malattie infettive contratte per via alimentare

risultano in costante aumento. Tra queste molte derivano dal consumo

di derrate alimentari di origine animale, contaminate da germi presenti

negli animali domestici. Per quanto riguarda la carne, la

contaminazione ha luogo soprattutto durante le pratiche di

macellazione ed ha origine dal contenuto gastrointestinale

dell’animale o da parte del contatto con operatori o con l’ambiente

circostante anche lungo tutta la filiera di trasformazione, distribuzione

e consumo. Queste patologie sono comprese nel gruppo delle zoonosi,

i cui agenti responsabili, possono essere virus, batteri, parassiti o

protozoi, alcuni di questi causa di malattie molto gravi, a volte

mortali, come la peste, la rabbia, il carbonchio ematico o la brucellosi.

Fortunatamente nei nostri paesi queste infezioni sono praticamente

scomparse ma, al contrario, hanno preso il sopravvento malattie sotto-

stimate frequentemente incluse tra le malattie emergenti.

Gli agenti zoonotici responsabili di malattie emergenti causano molto

raramente problemi sanitari direttamente negli allevamenti, ma sono

responsabili nell’uomo di malattie molto frequenti, come le

gastroenteriti da Yersinia spp., Salmonella spp., Campylobacter spp., a

volte anche mortali, e la listeriosi (Listeria monocytogenes) o la

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sindrome uremica-emolitica (Escherichia coli O157:H7 entero-

emorragici).

La presenza di Yersinia spp., invece, è ormai accertata in un’ampia

tipologia di alimenti e la sua responsabilità nelle infezioni umane

viene riportata con sempre maggior frequenza a partire dagli anni

settanta. Nei paesi più sviluppati, in casi umani di enterite acuta, si

stima una presenza del 2% di Yersinia enterocolitica, che conferma

una stabile presenza del germe nella casistica delle tossinfezioni

alimentari. Yersinia enterocolitica è un microrganismo

enteropatogeno per l’uomo e gli animali, dotato di attitudine invasiva.

Si trasmette per ingestione di acqua o di alimenti contaminati. I

sintomi sono rappresentati da enterocolite acuta, con diarrea acquosa

ed emorragica, che spesso evolve, nei bambini oltre i cinque anni e

negli adulti, in un quadro clinico di pseudo-appendice (Ercolini et al.).

L’EFSA (European Food Safety Authority) e il CDC (Centers for

Disease Control and Prevention) hanno analizzato le informazioni

sulla presenza di zoonosi ed epidemie di origine alimentare, presentate

dai 27 stati membri della Comunità Europea. Si è riscontrato come

l’attuazione delle norme igienico sanitarie da parte degli stati membri

abbiano contribuito alla riduzione di importanti malattie alimentari,

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seppur come detto le segnalazioni di suddetti casi siano in numero

sempre considerevole.

Negli anni grazie all’adeguamento strutturale delle aziende, ma anche

grazie ad una buona preparazione e formazione degli OSA i casi di

yersiniosi umana sono diminuiti, nonostante ciò più di 7000 casi sono

stati segnalati nel solo 2011 in Europa (EFSA 2013).

Figura 1-Tassi di notifica delle zoonosi nell'uomo confermate in Europa, anno 2011;

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2. LA FILIERA SUINICOLA

La filiera suinicola rappresenta una delle componenti principali del

sistema agroalimentare italiano sia per dimensione economica assoluta

che per impatto occupazionale, coinvolgendo un indotto rilevante in

relazione ai numerosi settori collegati a monte e a valle.

A fronte di un valore “agricolo” della vendita dei suini pari a circa 2,5

miliardi di euro, i prodotti della salumeria realizzano un giro d’affari

superiore a 7 miliardi di euro, mentre le carni suine fresche

ammontano a più di 2 miliardi di euro. In termini occupazionali si

contano circa 12.000 addetti a livello agricolo, più di 32.000 nelle fasi

di trasformazione. A tal proposito è importante sottolineare come la

grande distribuzione detiene oggi oltre il 50% del valore dei prodotti,

comportando in tal modo un evidente squilibrio della ripartizione del

valore aggiunto negli anelli a monte della catena produttiva. Una

situazione aggravata dal fatto che – se si escludono 2 catene - la

maggioranza della distribuzione moderna operante in Italia è di

proprietà di imprese estere, con le evidenti conseguenze in termini di

ridistribuzione sul territorio del preponderante valore aggiunto che

questo anello oggi detiene. Nel corso dell’ultimo ventennio questa

filiera ha raggiunto tali notevoli dimensioni seguendo un percorso di

successo che ha permesso la crescita delle imprese e dell’occupazione.

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In questo percorso di crescita, i prodotti di qualità hanno ricoperto, e

ricoprono ancora oggi, un ruolo determinante.

L’analisi dei dati 2010 mette in evidenza che la produzione suinicola

italiana è rimasta sostanzialmente stabile (+0,2% rispetto al 2009); lo

conferma l’Istat che ci segnala un numero di suini prodotti pari a c.a.

12.948.000. Di questi, 8.760.434 sono stati destinati al circuito dei

prosciutti DOP, con un incremento dello 0,6% rispetto all’anno

precedente (dati IPQ-INEQ). La filiera suinicola evidenzia un sistema

produttivo che ha una base qualitativa eccellente, come dimostra un

patrimonio consolidato di 21 prodotti DOP e 12 prodotti IGP che

contribuiscono a rendere la nostra salumeria unica al mondo. Base del

suddetto successo qualitativo è una eccellente materia prima coniugata

con innovative tecniche di produzione, che hanno costantemente

adeguato il prodotto alle necessità nutrizionali odierne.

Le aziende suinicole riconosciute come fornitori di materia prima per

le DOP nel 2010 sono state pari a circa. 4520 (fonte Mipaaf). La

filiera suinicola, nel corso dell’ultimo decennio è stata soggetta a

ripetute crisi che oggi rischiano di compromettere non solo la capacità

di sviluppare le potenzialità ancora inespresse, ma addirittura la

sostenibilità di un sistema solido e ramificato nel territorio. Le aziende

di allevamento permangono in uno stato di crisi che si protrae ormai

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da alcuni anni, stato accentuato dalla crescita dei costi di produzione:

detta crisi è tale, oramai, da definirsi strutturale mancando i più timidi

segnali di ripresa. I costi di produzione sono in crescita a causa

dell’aumento del costo dei cereali e delle colture proteiche per la

produzione dei mangimi. Il livello dei prezzi è generalmente inferiore

a quello di produzione. La propensione all’acquisto è debole e

stazionari sono i consumi di carne suina e di prodotti trasformati.

Il protrarsi nel tempo di questa situazione ha portato ad un progressivo

indebolimento di tutta la filiera a cominciare dalla fase di produzione:

in particolare la fase dell’allevamento suinicolo è stretta da una

fortissima pressione sui redditi e da una crescente esposizione

finanziaria delle imprese (MIPAAF 2011).

In Italia esistono due diverse tipologie principali di produzione di

suini:

Suino pesante: soggetto da macello di peso vivo compreso tra i

160/170 Kg che fornisce una carcassa di 130/140 Kg. Questo indirizzo

produttivo è determinato dall’industria salumiera specializzata nella

produzione del prosciutto crudo, della coppa ed altri salumi di pregio,

per i quali si richiede una carne matura, con più alto contenuto in

lipidi e tagli di peso elevati tanto da indirizzare questi animali alla

trasformazione.

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Suino leggero: questa tipologia di suino non rappresenta un suino

pesante macellato precocemente, ma un soggetto selezionato in base a

criteri che privilegiano lo sviluppo muscolare dell’animale rispetto

alla formazione di masse adipose e per questo utilizzato per il

consumo fresco.

Il suino poi, in base alla fascia di età, ed a diverse caratteristiche

proprie, assume una denominazione ben specifica:

Lattonzolo: rappresenta il suino da latte tra i 25kg e i 40 kg in un

periodo che va dalla nascita allo svezzamento;

Lattone: suinetto maschio o femmina, dallo svezzamento a 25-35 kg;

Verretto: maschio destinato alla riproduzione: dalla fase di lattone fino

alla pubertà e al primo salto;

Verro: maschio adulto in riproduzione;

Scrofetta: femmina destinata alla riproduzione: dalla fase di lattone

fino alla pubertà e al primo salto;

Scrofa. femmina in riproduzione dopo il primo parto;

Magroncello: maschio o femmina dai 50-60 kg ai 90-100 kg destinato

all'ingrasso per la produzione del suino pesante;

Ai nostri giorni non esiste una razza che possiede tutti i requisiti

richiesti dall’industria di trasformazione. Le razze allevate in Italia

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derivano dal processo di selezione di capi provenienti da ceppi

europei, nei quali si è incrementata la muscolosità con la conseguente

diminuzione di attitudine alla trasformazione, essendo inversamente

proporzionali l’incremento della muscolosità con le caratteristiche

qualitative della carne. Analizziamo le razze maggiormente utilizzate

per la produzione di carne suina:

Large White, rappresenta la razza più utilizzata per la produzione di

salumi, ma la migliore qualità della carne non è associata all’ottima

qualità della carcassa.

Landrace, presenta un’ottima carcassa, ma la carne è meno adatta alla

produzione di salumi di alta qualità.

Hampshire, produce carni acide e presenta il rischio di produzione di

grasso flaccido a causa della notevole insaturazione.

Duroc, presenta un’elevata quantità di grasso intramuscolare

(www.agraria.org).

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2.1 Sistemi di allevamenti

Per quanto riguarda le tipologie di allevamento suino, queste possono

essere così schematizzate:

Allevamento confinato.

Allevamento all’aperto “en plein air”.

Allevamento semibrado.

Allevamento brado.

-Allevamento confinato

Il sistema di allevamento confinato si realizza attualmente negli

allevamenti industriali e può essere a ciclo aperto o a ciclo chiuso.

A ciclo aperto: nei quali si attuano o la sola fase di riproduzione o la

sola fase di ingrasso. In questo caso l’azienda può assumere un

duplice comportamento: allevare i suinetti fino a 30-40 Kg di peso

vivo e poi venderli, oppure acquistarli a questo peso e portarli fino alla

macellazione.

A ciclo chiuso o integrato: nei quali si attuano le fasi di riproduzione e

di ingrasso. L’azienda alleva fino al raggiungimento del peso di

macellazione i suinetti da essa prodotti e vende gli eventuali lattonzoli

in eccesso agli ingrassatori.

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Il costo di produzione del suino da macello è diverso in queste due

tipologie.

-Allevamento all’aperto “en plein air”

È una forma di allevamento all’aperto, in situazioni in cui sono assenti

aree destinate al pascolo ed è notevolmente simile all’allevamento

semibrado, con la differenza che gli animali sono alimentati sempre

con miscele presenti in commercio. Solitamente i terreni dedicati al

pascolo sono scarsamente produttivi, per cui non sono in grado di

fornire una giusta alimentazione agli individui; per questo motivo il

cibo viene somministrato attraverso miscele o preparati commerciali,

la cui distribuzione è simile a quella utilizzata negli allevamenti

intensivi, ma con una minore automazione.

Queste aree all’aperto sono costituite da:

recinzioni tradizionali o elettriche: nel caso l’allevamento sia situato

in zone in cui la presenza di cinghiali fosse molto elevata, è opportuno

utilizzare recinzioni molto robuste ed interrate per almeno 30 cm, al

fine di evitare intromissioni all’interno dell’area di pascolo da parte di

questi animali selvatici. Per le scrofe sono sufficienti delle recinzioni

elettriche a due fili (20-25 e 50 cm da terra), mentre nei recinti da

parto sono consigliabili tre fili (15, 30 e 50 cm da terra);

strutture mobili per il ricovero degli animali;

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attrezzature necessarie per l’alimentazione degli animali.

Le scrofe allevate all’interno di queste aree sono organizzate in vari

gruppi, in base alla fase del ciclo produttivo:

durante la fecondazione e la gestazione sono sistemate con altri

soggetti e lo spazio raccomandato è pari a 500-600 m2 a capo, in

recinti che possono ospitare più scrofe;

durante il parto o l’allattamento sono collocate singolarmente

all’interno di capannine e lo spazio disponibile è stimato intorno a

400-450 m2 a capo collocati in recinti singoli.

Per i suinetti in svezzamento si utilizzano recinti contenenti più

soggetti e sono necessari circa 25 m2 a capo. Comunque, in tutti i casi

precedentemente citati, i recinti devono essere dotati di punti di

abbeverata, come truogoli o succhiotti, e di attrezzature per la

distribuzione degli alimenti, come truogoli o mangiatoie a tramoggia.

Nei recinti per il parto è necessario mantenere separate le mangiatoie

della scrofa da quelle dei suinetti, facendo in modo che questi ultimi

non si nutrano dell’alimentazione della madre e viceversa, in quanto

l’assunzione da parte del neonato dell’alimentazione della madre può

provocargli turbe digestive, come la diarrea, poiché non ha ancora

perfezionato il corredo enzimatico intestinale, mentre l’ingestione del

mangime pre-starter da parte della scrofa rappresenta un notevole

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danno economico per l’allevatore, a causa del costo elevato dello

stesso. Questo sistema di allevamento viene effettuato soprattutto nel

Nord Europa e sostanzialmente non può essere definito estensivo,

poiché vengono utilizzati alimenti concentrati e talvolta insilati,

genotipi altamente selezionati ed inoltre molto spesso l’accrescimento

e l’ingrasso sono realizzati in stalla.

Comunque anche questo sistema di allevamento presenta delle

caratteristiche negative, legate al carico eccessivo di animali che grava

sul terreno che può creare gravi danni alla struttura del terreno stesso,

il quale se notevolmente permeabile può causare inquinamenti alla

falda freatica. Oggi per risolvere tutti questi problemi si è introdotto

l’utilizzo delle rotazioni sul medesimo terreno.

-Allevamento semibrado

Come per l’allevamento all’aperto “en plein air”, l’allevamento

semibrado può essere introdotto nelle aree caratterizzate da scarsa

presenza di superfici a pascolo. Gli animali sono allevati per gruppi

distinti (riproduttori, suini all’ingrasso) in recinti di opportune

dimensioni ed alimentati secondo le necessità dei diversi stadi

fisiologici. Le scrofe alla fine della gestazione vengono confinate

all’interno di piccoli recinti costituiti da semplici ricoveri dove al

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momento del parto e durante la lattazione i suinetti godranno delle

migliori condizioni ambientali. I recinti per i parti sono forniti di

mangiatoie il cui accesso è garantito esclusivamente alla madre o al

suinetto. I soggetti durante la fase di ingrasso possono utilizzare il

pascolo macchiatico, soltanto nel periodo più favorevole, coincidente

con la caduta della ghianda e della castagna, per non creare un

eccessivo danno alla flora boschiva a causa di un eccessivo sovra

pascolamento. In questo caso è possibile utilizzare il pascolo di erbai,

soprattutto per le scrofe in gestazione; in passato si utilizzavano gli

erbai di medica sugli ultimi ricacci a fine estate e alla fine del loro

ciclo produttivo triennale o quinquennale.

-Allevamento Brado

Il sistema di allevamento brado rappresenta uno dei tradizionali

sistemi di allevamento del bacino del Mediterraneo che consentono,

attraverso la realizzazione di pratiche agricole estensive in cui

l’interazione genotipo-ambiente influenza la qualità della produzione,

di ottenere prodotti stagionati di alto valore economico. Solitamente

gli animali allevati allo stato semibrado o brado appartengono a razze

rustiche per lo più derivanti dal suino mediterraneo (Sus scrofa

mediterraneus) che si adattano molto bene a questi luoghi; infatti si

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presentano come animali robusti, resistenti alle malattie ed in grado di

procurarsi indipendentemente il cibo direttamente dal pascolo. Grazie

all’autosufficienza alimentare che il sistema brado può garantire agli

animali, deve comprendere grandi superfici boscate con essenze in

grado di produrre abbondante alimento come querce, castagne,

corbezzolo, mirto, olivastro ed altri fruttiferi tipici della macchia

mediterranea, i cui prodotti sono molti appetibili per i suini. In realtà a

causa della stagionalità della produzione del bosco, la quale risente

notevolmente dell’andamento climatico, sono sempre necessarie

integrazioni alimentari nei periodi di scarsa fruttificazione. Dove

possibile la produzione spontanea viene integrata con la semina di

erbai adatti al pascolo dei suini contemporaneamente ad ottime

tecniche di rotazione del terreno:

in autunno il pascolo può essere effettuato su campi di rape ed erbai di

orzo e segale. Oltre all’erba, come già accennato, i suini mangiano

radici e tuberi che ricercano da soli, ma soprattutto ghiande e

castagne; per questo motivo il pascolo autunno-vernino viene

effettuato in maniera abbondante all’interno di boschi di castagni,

querce e lecci;

in primavera il pascolo si realizza sui prati, sui cereali in erba, sugli

erbai di veccia e trifoglio incarnato.

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Ogni metodo di allevamento che garantisce un ottimo benessere degli

animali permette l’ottenimento di produzioni qualitativamente

migliori e rispondenti in pieno alle esigenze del consumatore. Ad

esempio un allevamento di tipo brado garantisce un muscolo di

maggiore consistenza in seguito all’elevato movimento fisico

effettuato dagli animali, ma livelli più bassi, anche se soddisfacenti

possono essere raggiunti in allevamenti confinati nel rispetto delle

opportune precauzioni. In realtà il sistema di allevamento rappresenta

un aspetto fondamentale per differenziare carni di qualità elevata.

Infatti, allevare i suini al pascolo in bosco, comporta un maggior

contenuto di grasso infiltrato ed effetti positivi sulla sapidità e

succulenza della carne. L’allevamento brado e l’alimentazione a base

di prodotti boschivi, quali castagne e ghiande, garantiscono

l’ottenimento di una carne dotata di buona marezzatura e più saporita

rispetto a ciò che possiamo ottenere da suini allevati allo stato

semibrado. Il livello di grasso intramuscolare considerato nel

principale muscolo della lombata degli animali allevati al brado non

ha mostrato caratteristiche di pericolosità che potrebbero minare le sue

caratteristiche dietetiche. Il sistema di allevamento influisce, anche,

sul colore della carne, in quanto l’allevamento brado garantisce una

colorazione più intensa alla carne suina; ciò è determinato sia dall’età

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più avanzata degli animali al pascolo, sia dall’esercizio fisico, che

stimola la produzione di mioglobina.

Nonostante tutti questi aspetti positivi l’allevamento all’aperto,

soprattutto brado e semibrado, sembra peggiorare le caratteristiche

tecnologiche attraverso la produzione di carni più dure e con minore

capacità di ritenzione idrica. In realtà l’allevamento agisce in modo

indiretto sui parametri tecnologici, in quanto il giusto raggiungimento

del grado di maturità della carne è strettamente legato al rapporto tra

età di macellazione e peso corporeo. Per cui le peggiori caratteristiche

tecnologiche riscontrate nei suini al pascolo sembrano derivare non

tanto dall’effetto diretto del pascolo in bosco, quanto dalla loro

maggiore età al momento della macellazione. E’ fondamentale

scegliere la razza che meglio si adatta alle caratteristiche di

allevamento, poiché quando parliamo ad esempio di allevamento

brado è opportuno adottare razze autoctone o ibridi che presentino

ottime caratteristiche di rusticità (Ciompi 2008).

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3. Y. enterocolitica: EZIOLOGIA

Il genere Yersinia appartiene alla famiglia delle Enterobacteriaceae,

la quale comprende un vastissimo gruppo di batteri correlati dal punto

di vista biochimico-metabolico e genetico, ma provvisti di una

sostanziale eterogeneità relativamente all’ecologia, allo spettro

d’ospite e al potenziale patogeno per l’uomo, i vertebrati domestici e

selvatici, gli insetti e le piante (Ruffo et al. 1998).

Come altri membri di questa famiglia, questi, sono batteri gram-

negativi, ossidasi negativi, di forma bastoncellare, anaerobi facoltativi

e glucosio fermentanti.

Alcune di queste specie, in particolare Y. enterocolitica, Y. pestis e Y.

pseudotuberculosis, condividono un certo numero di fattori di

virulenza considerati essenziali e determinanti, per consentire loro di

superare le difese dell’ospite. Queste caratteristiche trovano analogia

anche in altri enterobatteri appartenenti alla famiglia delle

Enterobacteriaceae come Escherichia coli, Salmonella spp. e Shigella

spp.. Questo a testimonianza di come sia evidente l’omologia del

DNA tra questi diversi generi (Robins et al. 2007).

Al genere Yersinia appartengono undici specie: Y. enterocolitica

(Bercovier et al 1980; Frederiksen 1963); Y. pestis; Y.

Pseudotuberculosis (Bercovier et al. 1984); Y. intermedia (Brenner et

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al. 1980); Y. frederiksenii; Y. kristensenii (Schiemann 1989); Y.

mollaretii; Y. bercovieri (Wauters 1988); Y. aldovae (Bercovier et al.

1988); Y. rhodei (Aleksić et al. 1987); Y. ruckeri (Ewing et al. 1978);

tre delle quali sono patogene per l’uomo e gli animali: Y.

enterocolitica, Y. pestis e Y. pseudotuberculosis. Nei paesi

industrializzati, la maggior parte delle infezioni sono sostenute da Y.

enterocolitica.

Figura 2 - Yersinia enterocolitica vista al microscopio elettronico;

Alla specie Y. enterocolitica appartiene un’ampia varietà di

microrganismi distribuiti nell’ecosistema acquatico e terrestre, la

maggior parte dei quali sono considerati batteri ubiquitari. Solo alcuni

stipiti si sono rivelati patogeni per l’uomo, che generalmente contrae

l’infezione mediante l’ingestione di acqua e alimenti contaminati,

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anche se c’è da dire che la trasmissione di Y. enterocolitica può

avvenire anche a seguito di trasfusioni di sangue da donatori infetti.

Y. enterocolitica è un batterio Gram-negativo, dotato di spiccato

pleomorfismo (capacità di modificare la propria morfologia), che si

può presentare sia in forma bastoncellare che cocco-bacillare e tale

varietà morfologica sembra dipendere dalle caratteristiche del terreno

di coltura. Gli stipiti patogeni di Y. enterocolitica sono dotati di

numerosi fattori di virulenza, codificati sia da geni plasmidici, sia da

geni a localizzazione cromosomiale, che permettono al batterio di

eludere la sorveglianza immunitaria e diffondere in diversi tessuti

dell’ospite.

Figura 3 - Yersinia enterocolitica vista al microscopio. Visibili il corpo batterico e i flagelli;

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E’ un batterio enteropatogeno, ma nell’uomo le manifestazioni

cliniche dell’infezione sono estremamente eterogenee, variando

dall’infezione asintomatica sino alla forma setticemica.

Al contrario, negli animali l’infezione da Y. enterocolitica ha in

genere un decorso asintomatico (Barbieri et al. 2007).

L’epidemiologia della yersiniosi umana non è stata ancora del tutto

chiarita, in quanto la maggior parte dei casi si manifesta in maniera

sporadica e questo rende difficoltoso individuare l’origine

dell’infezione. Tuttavia la principale via di trasmissione di Y.

enterocolitica per l’uomo sembra essere legata al consumo di alimenti,

in particolare prodotti a base di carne, in particolare quella suina, e

latte vaccino. Tale via di infezione è stata ampiamente documentata ed

è in costante aumento nel mondo, soprattutto nei paesi in cui viene

consumata carne suina. Il suino rappresenta, infatti, l’animale

“serbatoio” dal quale più frequentemente vengono isolati stipiti

patogeni per l’uomo (Barbieri et al. 2007). Y. enterocolitica emerse

per la prima volta come un agente patogeno umano nel corso del

1930. Yersinia mostra un’omologia tra il 10 e il 30% del DNA con

altri generi nella famiglia delle Enterobacteriaceae (Liuzzi 2005), ed

un omologia del 50% tra Yersinia pseudotuberculosis e Yersinia pestis

(l’agente causale della peste). Le ultime due specie invece, mostrano

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omologia del DNA minore del 90%, rivelando inoltre che queste due

specie, Y. pestis è un clone di Y. pseudotuberculosis, evoluta circa

1.500-20.000 anni fa. Uno dei più grandi focolai di malattie di origine

alimentare causate da Yersinia enterocolitica, è avvenuto tra il giugno

e l’agosto del 1982. Furono identificati almeno 172 casi positivi a

Yersinia enterocolitica, e il 41% dei casi vide implicati bambini di età

inferiore a 5 anni. Il consumo di latte pastorizzato fu

epidemiologicamente individuato come il principale veicolo di

trasmissione di Y. enterocolitica.

Y. enterocolitica è un batterio insolito, in quanto può crescere a

temperature inferiori ai 4°C. La temperatura ottimale di crescita è

compresa tra 28°C e 30°C (Robins et al. 2007), ma essendo un

batterio psicrotrofo è in grado di crescere anche a 4°C, a differenza

della maggior parte dei batteri enterici (Ramamurthy et al. 1997).

Il tempo di moltiplicazione alla temperatura ottimale di crescita (c.ca

28°C-30°C) è di 34 minuti, che aumenta di 1 ora a 22°C, 5 ore a 7°C,

e 40 ore a 1°C (Robins et al. 2007).

Y. enterocolitica a 25°C ha flagelli distribuiti su tutta la superficie, e

tale caratteristica gli conferisce mobilità, mentre a 37°C si presenta

aflagellato e di conseguenza immobile (Bottone 1997).

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Yersinia enterocolitica può crescere intorno ad un range di pH

compreso tra 4 e 10, con valore ottimale attorno a 7,6 (Robins-Browne

et al. 1997) e migliore capacità di sopravvivenza in condizioni alcaline

rispetto ad altri batteri Gram-negativi (Aulisio et al. 1980).

La sua tolleranza in ambienti acidi invece è esaltata dalla produzione

di ureasi, che idrolizza l’urea per liberare ammoniaca ed eleva il pH

citoplasmatico (Robins et al. 2007).

Tollera una concentrazione massima di NaCl del 5% (Robins-Browne

et al. 1997, Stern et al. 1980) e l’inibizione causata dal NaCl è

strettamente legata alla temperatura di crescita: a 2°C una

concentrazione di NaCl del 4,5% inibisce completamente la crescita

del batterio, ma l’azione è solo parziale a 5°C (Nielson et al. 1985).

Y. enterocolitica resiste al congelamento e può sopravvivere in

alimenti surgelati per lunghi periodi di tempo, anche dopo ripetute fasi

di congelamento e scongelamento. Il microrganismo persiste più a

lungo nei cibi cotti, probabilmente a causa di una maggiore

disponibilità di nutrienti in questi alimenti. I tassi di crescita sono più

lenti invece su carni crude e carni di maiale, inoltre può crescere

anche a temperature di refrigerazione in carni confezionate, uova sode,

carne lessata, uova liquide pastorizzate, latte intero pastorizzato,

ricotta e tofu.

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La crescita si verifica anche in frutti di mare refrigerati, come le

ostriche, gamberi crudi, e polpa di granchio, ma ad un tasso inferiore

di quello di maiale o di manzo (Robins et al. 2007).

La specie è estremamente eterogenea e questo ha permesso di

individuare, sulla base di variabilità fenotipica in buona parte legate al

lipopolisaccaride (LPS) e agli antigeni somatici (O), un gran numero

di sottogruppi o biotipi. La capacità di Y. enterocolitica di

metabolizzare diversi substrati organici fornisce un comodo mezzo per

suddividere le specie in sottotipi con significative e diverse

caratteristiche cliniche ed epidemiologiche. Ad oggi Y. enterocolitica

è distinta in 6 biotipi: BT1A, BT1B, BT2, BT3, BT4, BT5 (Wauters et

al. 1987).

Al biotipo 1A appartengono ceppi normalmente ritenuti non patogeni,

sebbene alcuni di essi siano stati isolati anche da pazienti affetti da

gastro-enterite (Brenner et al. 1980). Con molta probabilità si tratta di

patogeni opportunisti (Bottone 1997), il cui studio andrebbe

approfondito. I ceppi di Y. enterocolitica appartenenti al biotipo 1A,

possono essere facilmente ritrovati in ecosistemi terrestri e di acqua

dolce, per questo motivo, sono spesso indicati come ceppi ambientali.

Più di recente, a conferma del fatto che la situazione tassonomica è

ben lontana da dall’essere cristallizzata, è stato proposto l’inserimento

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del nuovo biotipo 1B che si discosta dall’1° per la non utilizzazione

della salicina e la mancanza dell’attività pyrazinamidasica, biotipo in

cui confluiscono ceppi isolati prevalentemente negli usa (Cattabiani

2002).

Tabella 1-Differenze fenotipiche nell'ambito dei biotipi di Yersinia enterocolitica;

Test Biotipi

1A 1B 2 3 4 5 Salicina (24h) + - - - - - Xilosio + + + + - v Trealosio + + + + + - Sorbitolo + + + + + - Lipasi + + - - - - Esculina (24h) +/- - - - - - Indolo + + v - - - VP + + + + + + Nitrati + + + + + - Ornitina + + + + + + Pyrazinamidasi + - - - - -

I restanti biotipi comprendono ceppi patogeni per l’uomo e animali, in

quanto isolati nel corso di manifestazioni gastro-enteriche o loro

complicanze. Al biotipo BT4 appartengono gli stipiti di Y.

enterocolitica ritenuti più virulenti per l’uomo (Barbieri et al. 2007).

Y. enterocolitica può essere inoltre suddivisa sulla base delle

differenze antigeniche. La sierotipizzazione si basa sull’utilizzo di

antisieri allestiti principalmente nei confronti di antigeni somatici (O),

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più raramente verso gli antigeni flagellari (H) o fimbriali (K). Dai

primi sierogruppi descritti da Winblond (Winblad 1967) la lista è stata

molto ampliata, sino agli attuali 76 (Wauters et al. 1991).

Combinando la classificazione su base biochimica e quella su base

sierologica è possibile individuare dei bio-sierotipi.

La maggior parte dei ceppi associati a patologie umane sono compresi

nei seguenti bio-sierotipi:

1B/O:8;

2/O:9;

2/O:5,27;

4/O:3 (Bottone 1997);

la circolazione dei sierotipi patogeni appare ben delineata da un punto

di vista geografico: in Europa prevalgono i sierotipi O:3 e O:9, negli

USA O:8, O:3 e O:5, O:27, in Giappone O.5, O:27 (Cattabiani 2002).

Tabella 2-Bio-sierotipi patogeni isolati con maggiore frequenza;

Biotipo Sierotipo

1B O:8, O:4, O:13, O:13b, O:18, O:20, O:21, O:9

O:5,27 2 O:9, O:5, O:27

3 O:1, O:2, O:3, O:5, O:27

4 O:3

5 O:2, O:3

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4. Y. enterocolitica: CARATTERISTICHE DELL’INFEZIONE

Yersinia enterocolitica è responsabile di tossinfezioni alimentari,

considerate zoonosi, in quanto trasmesse principalmente da animali.

Questo germe è infatti assai diffuso nel tratto intestinale di animali

domestici e da allevamento, come conigli, maiali, pecore, bovini, cani

e gatti, ma anche in alimenti come ostriche, latte crudo ed acqua. Tra

tutti, il suino rappresenta l'animale "serbatoio" dal quale più

frequentemente vengono isolati stipiti patogeni per l'uomo.

L’ingresso nel tratto gastrointestinale avviene per ingestione di acqua

od alimenti contaminati da materiale fecale, crudi o poco cotti, mentre

più raro è il contagio attraverso il contatto diretto con animali o

soggetti infetti.

L'infezione da Y. enterocolitica nell’uomo tipicamente si presenta con

una sintomatologia eterogenea, caratterizzata principalmente da

diarrea, adenite mesenterica ed ileite terminale. Dopo l'ingestione del

microrganismo, la mucosa dell’ileo terminale è il principale sito di

aderenza e di penetrazione, seguita dall’infiammazione delle placche

del Peyer (placche circolari od ovoidali, ciascuna costituita da noduli

linfatici che occupano la lamina propria e la sottomucosa dell'ileo,

nell'intestino tenue). L’ileo-colite è spesso notata con uno stato

infiammatorio nella lamina propria. I batteri possono poi diffondersi ai

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linfonodi mesenterici. Questa diffusione può portare successivamente

a batteriemia o allo sviluppo di ascessi e di stati doloranti nel

quadrante addominale inferiore destro, dolore che spesso viene

confuso da sintomi di appendicite (e-medicine).

Un ostacolo significativo per l'infezione da Y. enterocolitica è la forte

acidità presente nello stomaco, ed i soggetti con diminuzione dei

livelli di acido dello stomaco, possono contrarre l’infezione con una

dose infettante inferiore (Robins et al. 2007). Quindi, sarà maggiore

l’incidenza della malattia nei pazienti che assumeranno antiacidi e

istamina H2 bloccanti (e-medicine). La dose media infettante per gli

esseri umani non è nota, ma è probabile che superi le 104 ufc/ml

(Robins et al. 2007).

La maggior parte delle infezioni sintomatiche da Y. enterocolitica si

verificano nei bambini, soprattutto in quelli con meno di 5 anni di età.

In questi pazienti, la yersiniosi provoca diarrea, spesso accompagnata

da febbre bassa e dolori addominali. La diarrea varia da uno stato

acquoso a uno stato mucoide. La malattia di solito dura da pochi

giorni a 3 settimane, anche se alcuni pazienti sviluppano diarree che

possono persistere per diversi mesi.

Nei bambini di età superiore a 5 anni e negli adolescenti, la yersiniosi

acuta è spesso causa di dolore addominale e spesso viene scambiata

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per appendicite, nota come sindrome pseudoappendiculare. Alcuni

bambini che soffrono di tale sindrome vanno incontro anche a stati

febbrili, spesso con diarrea limitata o assente. La sindrome

pseudoappendiculare evolve più frequentemente in seguito a

infezione con i ceppi più virulenti di Y. enterocolitica, in particolare

ceppi di biotipo 1B.

Sebbene Y. enterocolitica è raramente isolata fuori l'intestino, non

sembra esserci nessun tessuto in cui non può crescere. I fattori che

possono rendere un individuo più suscettibile a batteriemia da

Yersinia enterocolitica oltre alle funzioni immunitarie ridotte sono

malnutrizione, malattia renale cronica, malattie del fegato, alcolismo,

diabete e sovraccarico di ferro, diffusione delle infezioni catetere-

associate, malattie cardiache, e la meningite. La batteriemia da

Yersinia ha un tasso di mortalità tra il 30 e il 60% (Robins et al. 2007).

L’infezione da Y. enterocolitica oltre a causare i sintomi già descritti,

può portare anche ad una varietà di malattie autoimmuni. Il rischio di

queste malattie è determinata in parte da caratteristiche proprie

dell’ospite, in particolare l’età e lo stato immunitario.

Infatti, Yersinia enterocolitica produce sostanze che attaccano la

ghiandola tiroidea, risultando in un'iperproduzione dell'ormone

tiroideo. L'80% dei pazienti affetti dalla malattia di Graves (detta

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anche morbo di Basedow), una disfunzione tiroidea molto seria,

producono degli anticorpi immunitari diretti contro Yersinia

enterocolitica. Il meccanismo, ben conosciuto, è quello del

mimetismo molecolare.

In pratica per una sensibilizzazione con Yersinia enterocolitica a

causa di una precedente infezione (anche molti anni prima), si scatena

una reazione autoimmune non solo nei confronti delle cellule tiroidee

ma anche nei confronti del recettore del TSH. La ghiandola viene

quindi stimolata a produrre in maniera eccessiva per la presenza di

una quantità rilevante di TSH (Ninkaya et al 1984).

4.1 Fonti di infezione

I sottogruppi di Y. enterocolitica che comunemente possono infettare

gli esseri umani si ritrovano anche negli animali domestici, mentre i

sottogruppi che sono meno frequenti negli esseri umani, in genere

risiedono in roditori selvatici. Y. enterocolitica può sopravvivere in

molti ambienti ed è stata isolata dal tratto intestinale di molte specie di

mammiferi, oltre che dagli uccelli, anche in rane, pesci, mosche, pulci,

granchi e ostriche.

Alimenti che sono spesso positivi alla contaminazione da Y.

enterocolitica sono quelli di origine animale come carne di maiale,

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agnello e pollame, e prodotti lattiero-caseari (in particolare latte,

panna e gelato). Y. enterocolitica si trova anche comunemente nei

sistemi terrestri e d'acqua dolce, tra suolo, vegetazione, laghi, fiumi,

pozzi e corsi d'acqua. Può sopravvivere per lunghi periodi nel suolo,

vegetazione, ruscelli, laghi, pozzi, e acqua di sorgente, in particolare a

temperature basse. Molti isolati ambientali di Y. enterocolitica

mancano spesso dei marcatori di virulenza batterica e non

rappresentano quindi un rischio per la salute umana o animale (Robins

et al. 2007).

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5. FATTORI ASSOCIATI ALLA VIRULENZA DI Y. enterocolitica

Una caratteristica di Y. enterocolitica, per quello che riguarda la

patogenicità, è rappresentata dal suo tropismo per il tessuto linfatico.

Gli stipiti patogeni, infatti, sopravvivono e si moltiplicano nelle

strutture linfatiche, dove ha inizio la risposta immunitaria verso gli

antigeni non-self e dove gli agenti estranei vengono normalmente

distrutti.

Proprio per questo Y. enterocolitica è dotata di un’ampia gamma di

fattori di virulenza che le permettano di modulare la risposta

immunitaria a livello cellulare, interferendo con la fagocitosi,

riducendo l’azione ossidativa dei leucociti, distruggendo i fagociti,

inducendone l’apoptosi e, più in generale, alterando la produzione di

citochine pro-infiammatorie (Mills et al. 1997, Ruckdeschel et al.

1996).

Dal punto di vista molecolare tali fattori di virulenza possono essere

espressi da geni di localizzazione plasmidica (Heesmann et al. 1983,

Schmiel et al. 1998) o cromosomiale (Heesmann et al. 1983,

Heesmann et al. 1984).

Il plasmide di virulenza è denominato pYV (plasmid for yersinia

virulence) (Portnoy et al. 1981) e la sua presenza caratterizza gli stipiti

realmente patogeni, vale a dire in grado di infettare l’ospite. Al

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contrario, stipiti privi di plasmide vengono rapidamente eliminati nei

follicoli linfatici intestinali ad opera delle cellule fagocitarie (Hanski

et al. 1991). Accanto ai geni plasmidici, numerosi geni cromosomiali

sono stati individuati come indispensabili per l’evoluzione del

processo infettivo.

Di seguito vengono elencati i principali fattori di virulenza di Y.

enterocolitica.

Proteina YadA: il gene plasmidico yadA codifica la principale proteina

di membrana esterna di Y. enterocolitica, denominata YadA (Yersinia

adhesin A) (Cornelis et al. 1998). Si tratta di una proteina di natura

fibrillare che ricopre la superficie di batterica (Kapperud et al. 1987),

espressa a 37°C ma non a 25°C (Portnoy et al. 1985). La proteina

YadA ha numerose funzioni, promuovendo il legame del batterio a

diversi tipi di cellule: cellule epiteliali della mucosa intestinale

(Kapperud et al. 1987, Mantle et al. 1989 , Paerregaard et al. 1991),

fagociti (Ruckdeschel et al. 1996), infine a numerose proteine della

matrice extracellulare, come fibronectina, collagene e laminina,

attraverso il legame con il recettore β1 integrina, favorendo così la

colonizzazione di diversi tessuti (Clark et al. 1998, Lee et al. 1990).

Inoltre, la proteina YadA svolge un ruolo protettivo nei confronti del

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batterio: si deve ad essa, infatti, la resistenza al siero, per l’inibizione

del sistema del complemento, sia a livello C3b che C9, con

interruzione della reazione a cascata che porterebbe alla lisi batterica

(China et al. 1993; Pilz et al. 1992).

Invasina: rappresenta il fattore invasivo principale di Y. enterocolitica.

Codificata dal gene cromosomiale inv, è rappresentata da una proteina

di membrana di 92 kDa denominata “Invasina” (Miller 1998). Anche

questa proteina di membrana si lega alle β1 integrine, espresse sulla

superficie delle cellule dell’ospite (Isberg 1990), ed in particolare

dalle cellule M che rivestono le placche del Peyer (Clark et al. 1998).

Il legame dell’invasina alle cellule M, assieme alla fisiologica attività

fagocitaria di queste ultime, promuovono la colonizzazione delle

placche del Peyer dalle quali, per via linfo-ematogena, il batterio può

raggiungere i vari distretti dell’organismo. L’espressione del gene inv

è regolata da segnali ambientali, come temperatura e pH: in vitro inv è

massivamente espresso a 26°C e a pH neutro, mentre lo è solo

debolmente a 37°C e a pH neutro. Se il pH del terreno di crescita

viene abbassato ad un valore simile a quello riscontrabile nel piccolo

intestino, cioè 6,0, e la temperatura viene mantenuta a 37°C, vi è un

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aumento dell’espressione del gene inv simile a quella riscontrata a

26°C e a pH neutro (Pepe et al. 1994).

Proteina Ail: un altro gene cromosomiale coinvolto nella fase iniziale

di colonizzazione e penetrazione dell’intestino è ail (attachement

invasion locus), che codifica una proteina di membrana denominata

“Ail”. Questo fattore di virulenza viene prodotto a 37°C (Miller 1990)

e, assieme a invasina e YadA, consente al batterio di raggiungere e

penetrare le cellule M (Grützkau et al. 1993). Sembra che la proteina

Ail sia in grado di legarsi ai leucociti circolanti facilitando così la

diffusione del batterio ai linfonodi regionali, fegato e milza (Iriarte et

al 1999), oltre a coadiuvare i fattori plasmidici nell’aumentare la

resistenza all’attività battericida del siero (Bliska 1992). In particolare,

Ail agisce proteggendo la membrana esterna del batterio interferendo

nella formazione del MAC (Membrane Attack Complex), evitandone

così l’inserzione sulla superficie batterica e la conseguente lisi

(Pierson et al 1993). Il gene ail è presente solo negli stipiti di Y.

enterocolitica associati a processi infettivi (Miller 1989).

Enterotossina: tra i fattori di virulenza si annovera l’enterotossina

termostabile “Yst” (Yersinia stable toxin), codificata dal gene

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cromosomico yst (Delor et al. 1990). Questa proteina facilita

l’invasione del microrganismo nei tessuti danneggiando l’epitelio

intestinale (Ibrahim et al. 1997, Ramamurthy et al. 1997 , Revell 2001

, Still et al. 1979). Sino ad alcuni anni fa si presumeva che Y.

enterocolitica sintetizzasse un solo tipo di enterotossina, ma in seguito

si è osservato che gli stipiti patogeni producono l’enterotossina YstA,

mentre gli stipiti appartenenti al biotipo 1A, considerato non

patogeno, producono le varianti YstB o YstC (Mikulskis et al 1994,

Singh 2004). Yst agisce stimolando la produzione di guanilato-ciclasi

nelle cellule dell’epitelio intestinale, incrementando il livello

intracellulare di c-GMP, con conseguente accumulo di fluidi nel lume

intestinale. Tuttavia il ruolo della tossina Yst nella patogenesi della

diarrea nell’uomo e negli animali è tuttora controverso (Takeda et al

1993).

Yersinia bactina: alcuni stipiti di Y. enterocolitica elaborano un

sideroforo endogeno, la cosiddetta Yersinia bactina (Revell 2001), un

fattore di virulenza essenziale in grado di captare il ferro presente nei

liquidi corporei dell’ospite e, di conseguenza, di favorire la diffusione

sistemica del microrganismo. Si tratta di un composto chelante il

ferro, che, grazie alla stretta affinità con il metallo, riesce a

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solubilizzarlo e captarlo dalle proteine dell’ospite, per poi legarlo e

trasportarlo all’interno del batterio, dove viene rilasciato ed utilizzato

per i diversi processi metabolici (Carniel 2001). Nel genere Yersinia il

meccanismo di sintesi, trasporto e regolazione del sideroforo è

localizzato in un’ampia frazione cromosomiale (Hacker 1997) definita

“high pathogenicity island” o HPI (Carniel et al. 1996). Il complesso

HPI non è stato riscontrato né negli stipiti a bassa patogenicità, né

negli stipiti avirulenti, ma solo in quelli che appartengono al bio-

sierotipo 1B/O:8, gli unici capaci di causare nell’uomo gravi forme

sistemiche di yersiniosi e pertanto definiti stipiti ad “elevata

patogenicità” (Almeida et al 1993).

Lipopolisaccaride: la componente lipopolisaccaridica di membrana

(LPS) sembra avere un ruolo nella difesa del batterio inibendo

l’azione litica del complemento (Vesikari et al. 1981). Più

precisamente, è stato dimostrato che l’antigene O agisca in simbiosi

con YadA inibendo la via alternativa di attivazione del complemento

(Venho et al. 2005).

Ureasi: l’enzima è codificato dal complesso di geni urea a

localizzazione cromosomiale (Koning-Ward et al. 1994) e catalizza

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l’idrolisi dell’urea in una molecola di acido carbonico e due molecole

di ammoniaca, favorendo l’innalzamento del pH. L’attività dell’ureasi

contribuisce alla virulenza di Y. enterocolitica, conferendole acido-

tolleranza e permettendo così la sopravvivenza del batterio

nell’ambiente acido dello stomaco o all’interno dei fagosomi dei

leucociti polimorfonucleati e dei macrofagi (Ward et al. 1995).

Fosfolipasi A: il fattore di virulenza chiamato “YplA” (Yersinia

phospholipase A) è codificato dal gene yplA (Singh 2004). La

fosfolipasi A interviene nella patogenesi dell’infezione promuovendo

la diffusione batterica a livello delle placche del Peyer, distruggendo

la membrana citoplasmatica delle cellule dell’ospite; alcuni ricercatori

ipotizzano che agisca anche stimolando la crescita batterica

procurando nutrimento, sottoforma di acidi grassi essenziali per la

biosintesi e il metabolismo batterico (Schmiel et al. 1998). La

fosfolipasi A viene normalmente espressa a 26°C e secreta a livello

extracellulare dal sistema di secrezione flagellare (Young et al. 2002).

Sistemi di secrezione di tipo Ш: molti batteri Gram-negativi

possiedono i meccanismi di secrezione necessari per liberare, a livello

extracellulare, numerose proteine essenziali per la virulenza (Hueck

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1998). Il trasporto di macromolecole attraverso le membrane

biologiche può avvenire tramite il cosiddetto “sistema di secrezione di

tipo Ш” o TTSS (Type-Three Secretion System), strutturalmente

costituito da una porzione a forma di ago e un apparato di

traslocazione che permette lo spostamento polarizzato di molecole

proteiche. Le proteine secrete dal TTSS hanno diverse funzioni:

azione citotossica, emolitica, proteolitica, fosfatasica e defosfatasica

(Schmiel et al. 1999). Y. enterocolitica possiede tre differenti sistemi

di secrezione di tipo Ш, ognuno dei quali entra in funzione in

condizioni diverse, facendo supporre che ogni TTSS sia necessario per

secernere un distinto gruppo di proteine che intervengono in diverse

fasi dell’infezione (Young et al 2002). Nel genere Yersinia il TTSS

maggiormente studiato è codificato dal gene ysc, localizzato nel

plasmide pYV. È definito “Ysc TTSS” (Yersinia secretion-TTSS) e

secerne numerose proteine chiamate Yops (Yersinia outer proteins),

che agiscono prevalentemente interferendo con la risposta

immunitaria dell’ospite (Iriarte et al 1999). Il secondo sistema di

secrezione viene codificato dal locus ysa a localizzazione

cromosomiale (Haller et al. 2000). “Ysa TTSS” (Yersinia secretion

apparatus - TTSS) è responsabile della traslocazione di proteine

definite Ysps (Yersinia secreted proteins), recentemente ritenute

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corresponsabili nel processo di colonizzazione del tratto

gastrointestinale (Wauters et al. 1988) e proprie solo degli stipiti ad

alta patogenicità, appartenenti al biotipo 1B (Foultier et al. 2002). Il

terzo sistema di secrezione, l’apparato di secrezione flagellare

(Flagellum Transport Machinery), è indispensabile per la sintesi dei

flagelli batterici; agisce trasportando, dal citoplasma alla superficie

cellulare, le subunità proteiche che andranno a costituire l’organo di

movimento (MacNab 1996). Oltre alla biosintesi flagellare, questo

sistema secerne diverse proteine associate alla virulenza di Y.

enterocolitica, definite Fops (flagellar outer proteins) (Young et al.

1999).

Le importanti ricerche degli ultimi anni, hanno contribuito a portare

alla luce nuove caratteristiche genetiche di Yersinia, per comprendere

nuovi meccanismi di adattamento ed invasione una volta che il

batterio ha infettato l’ospite.

I Ricercatori del “Gruppo Molecolare di Biologia di Infezione” presso

il Centro di Helmholtz per la Ricerca di Infezioni (HZI) a Brunswick e

l'Università Tecnica di Brunswick potrebbero ora dimostrare per la

prima volta che i batteri del genere di Yersinia possiedono un

termometro unico della proteina, la proteina RovA, che le assiste nel

trattamento di infezione. RovA è un sensore multifunzionale: misura

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sia la temperatura del suo ospite, sia l'attività metabolica, sia le

sostanze nutrienti dell’ospite da cui poter trarre beneficio. Se questi

sono adatti alla sopravvivenza dei batteri, la proteina di RovA attiva i

geni affinché il processo di infezione cominci.

E’ stato visto infatti, come i batteri appartenenti al genere Yersinia

riescano dopo un processo di adattamento a superare le difese

immunitarie dell’ospite. Una volta prodotta la proteina invasina,

Yersinia spp. riuscirà ad eliminare le cellule di difesa, quali i fagociti,

prodotte dal sistema immunitario, attraverso la produzione di diverse

sostanze dove la proteina RovA riveste un ruolo fondamentale. Se

trovandosi ad una temperatura di 25°C, la proteina RovA assicura la

produzione di invasina come proteina di superficie, mentre trovandosi

a 37°C il RovA altera il suo modulo, fungendo da vero “termometro”

ed autoregolatore, disattivando il gene per la produzione di invasina.

Senza invasina sulla loro superficie infatti, i batteri di Yersinia sono

invisibili al sistema immunitario dell’organismo (HZI 2009).

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6. IL SUINO: FONTE DI INFEZIONE PER L’UOMO

Y. enterocolitica è agente di zoonosi e, come tale, citato dalla Direttiva

2003/99 CE (“misure di sorveglianza delle zoonosi e degli agenti

zoonotici”), recepita in Italia con il decreto legislativo 2006/191.

Anche se la maggior parte dei casi di yersiniosi umana si manifesta in

maniera sporadica, rendendo difficoltoso individuare l’origine

dell’infezione, la via di trasmissione principale per l’uomo sembra

essere quella alimentare.

Il suino rappresenta l’animale “serbatoio” dal quale più

frequentemente vengono isolati stipiti patogeni per l’uomo (Bottone et

al. 1999). Quanto affermato viene confermato dalla maggiore

prevalenza di casi di yersiniosi, sia sporadici che epidemici, nelle aree

dove l’allevamento del suino, ed il consumo di prodotti a base di carne

suina, sono più diffusi: Europa e America del Nord. (Kellogg et al.

1995, Lee et al. 1990)

Il legame tra l’animale serbatoio e l’infezione umana è principalmente

dovuto all’ingestione di carne suina cruda o poco cotta (Fredriksson-

Ahomaa et al. 2003 (A), Fredriksson-Ahomaa et al. 2003 (B)). Nel

suino gli stipiti di Y. enterocolitica capaci di infettare l’uomo vengono

isolati prevalentemente a livello tonsillare (Nesbakken 1992), nel

contenuto intestinale e nei linfonodi ileo-ciecali (Thibodeau et al.

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1999). Nelle specie suine le tonsille sono placche asimmetriche

concentrate nella parte posteriore del palato molle. In virtù di questa

posizione di “sentinella” dell’orofaringe, le tonsille sono

costantemente esposte a stimoli antigenici e possono fungere da porta

di ingresso per agenti infettivi (Leman et al., 1996). Tra le parti

edibili, Y. enterocolitica viene isolata soprattutto dalla lingua e dalle

frattaglie e, solo raramente, dalle carni (Fredriksson-Ahomaa 2001). Il

bio-sierotipo patogeno BT4/O:3 è lo stipite più frequente isolato dalla

popolazione suina a livello mondiale (Aleksić et al. 1990) ed è stato

riscontrato anche in suini allevati e macellati in Italia (Bonardi et al.

2003).

Nel suino l’infezione prende origine dalla contaminazione dei locali di

allevamento, nei quali il batterio può sopravvivere circa tre settimane

(Takeda et al. 1993), e la trasmissione fra i suini si realizza

probabilmente per contaminazione fecale sia degli stessi locali, sia

dell’acqua e dei mangimi. La malattia in forma clinica conclamata,

sebbene, rara si manifesta prevalentemente nei soggetti giovani

(Hurvell 1991) nei quali è caratterizzata da anoressia, diarrea

emorragica, edema delle palpebre, della testa e delle parti declivi del

corpo (Takeda et al. 1993).

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La prevalenza di soggetti portatori di Y. enterocolitica negli

allevamenti suini è estremamente variabile, anche nell’ambito dello

stesso paese. I controlli in allevamento vengono effettuati soprattutto

nei paesi del Nord Europa (Danimarca, Finlandia, Norvegia), dove è

maggiore l’attenzione sanitaria nei confronti del batterio quale agente

di tossinfezioni alimentari (Letellier 1999). Da un’indagine svolta in

Norvegia si è osservato che la prevalenza di capi infetti si può mettere

in relazione al tipo di allevamento. L’86% degli allevamenti a ciclo

aperto, a causa della continua introduzione di nuovi animali,

presentava capi positivi per Y. enterocolitica O:3 contro il 53,1% delle

aziende dove veniva praticato il sistema a ciclo chiuso (Skjerve et al.

1998).

Inoltre la prevalenza dell’infezione sembra variare in base alle

differenti fasi produttive: la maggior parte degli isolamenti viene

effettuata dal suino pesante (Korte et al. 2004), forse come

conseguenza degli spostamenti in diversi box o recinti, contaminati da

materiale fecale, durante le varie fasi dell’accrescimento (Fukushima

et al. 1983). La rilevante presenza di portatori asintomatici, sommata

all’ampia diffusione ambientale del microrganismo, attualmente non

lascia intravedere una facile soluzione per ridurre il numero di suini

portatori all’interno delle singole aziende (Nesbakken 1992). Di

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conseguenza, in sede di macellazione Y. enterocolitica si isola

frequentemente dal suino ed in particolare, in Europa, si riscontra con

elevata frequenza il bio-sierotipo patogeno 4/O:3, a sostegno

dell’importanza epidemiologica che riveste il suino nei casi di

infezione umana (Robins-Browne 1997).

I suini sono particolarmente vulnerabili nelle ore immediatamente

precedenti la macellazione, in quanto, nelle stalle di sosta, lo stress, il

sovraffollamento, la fame e la successiva coprofagia faciliterebbero

l’infezione. E’ stato infatti dimostrato sperimentalmente che Y.

enterocolitica può essere isolata a livello tonsillare già trenta minuti

dopo l’inoculazione per via orale (Thibodeau 1999). Dato che il suino

alberga il batterio soprattutto a livello di tonsille palatine, considerate

la vera nicchia ecologica di Y. enterocolitica, e in misura minore nel

contenuto intestinale, le tonsille rappresentano la principale fonte di

contaminazione per le carcasse (Bonardi et al. 2003). Le fasi critiche

del processo di macellazione per la diffusione di Y. enterocolitica

sono rappresentate dall’eviscerazione, escissione della lingua e delle

tonsille, incisione dei linfonodi mandibolari e disossamento della

testa.

Quando le tonsille palatine non vengono completamente rimosse dalla

cavità faringea, per errata o frettolosa manualità da parte degli

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operatori, Y. enterocolitica può contaminare i tessuti muscolari

limitrofi o le attrezzature utilizzate durante le operazioni di

sezionamento (Borch et al 1996). Nel caso in cui le tonsille vengano

asportate dalla carcassa unitamente alle frattaglie, che comprendono

lingua, esofago, polmoni, cuore, diaframma, fegato e reni, può

verificarsi la contaminazione di queste ultime (Fredriksson et al.

2000).

Come è noto, la corretta incisione circumanale del retto e l’adeguata

rimozione del tratto intestinale possono prevenire la contaminazione

delle carni da parte di microrganismi presenti nel tubo gastrico-

enterico (Nielsen 1997). La diffusione di Y. enterocolitica alla

superficie della carcassa può essere considerevolmente ridotta

mediante la chiusura del retto e dell’ano prima dell’asportazione

dell’intestino, utilizzando un’apposita “plastic bag” (Andersen et al.

1991). Nei paesi in cui questo metodo viene già utilizzato, quali

Danimarca, Norvegia e Svezia, si è osservata una riduzione

dell’incidenza di Yersinia umana. In ogni caso, al fine di ridurre al

minimo i rischi per la salute pubblica, vanno adottate misure

preventive durante l’intero processo di macellazione, basate

principalmente sull’attuazione delle cosiddette GMP (Good Hygenic

Practices) (Sorensen et al. 1999).

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Tra i prodotti di origine suina più a rischio si annoverano la lingua, le

carni macinate ottenute da muscoli della testa, in cui possono essere

presenti frammenti linfonodali della zona cranio-facciale (Andersen et

al. 1991), le salsicce fresche e le frattaglie edibili (fegato e cuore), che

vengono raccolte in bacinelle unitamente alle tonsille (Fredriksson et

al. 2000).

Il piccolo intestino, utilizzato in alcuni paesi degli Stati Uniti

meridionali per la preparazione di un tipico piatto natalizio chiamato

“chitterlings”, si è reso responsabile di diverse epidemie di yersiniosi

presso le comunità che ne fanno uso (Jones 2003). La pericolosità

dell’intestino di suino è dovuta alla localizzazione di Y. enterocolitica

nel tessuto linfoide della mucosa.

Diverse indagini svolte presso punti vendita al dettaglio (Fukushima et

al. 1997) hanno dimostrato che Y. enterocolitica sierogruppo O:3

viene rinvenuta prevalentemente dalla lingua e dalle frattaglie, e solo

raramente dalle carni suine. Il batterio è stato isolato soprattutto dai

prodotti carnei commercializzati in piccole macellerie a conduzione

familiare, piuttosto che da macellerie annesse alle grandi catene di

distribuzione, forse per il sovrannumero di carcasse da stoccare,

unitamente alle frattaglie, in celle frigorifere di modeste dimensioni

(Christensen 1987). Nei punti vendita è quindi importante evitare il

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contatto tra carcasse e frattaglie, che devono essere maneggiate e

conservate separatamente, ed è inoltre fondamentale osservare le

buone pratiche di lavorazione (GMP) per limitare il rischio di

contaminazione crociata tra le attrezzature, le carni e il personale

addetto (Bonardi et al. 2003).

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7. EPIDEMIOLOGIA DELLA YERSINIOSI UMANA

Y. enterocolitica è stata trovata in tutte le parti del mondo, sia

nell’uomo che nel suino. L’infezione non è generalizzata, dato che

non tutti gli allevamenti sono contaminati. Si trova nelle feci degli

animali infetti per oltre 30 settimane e ne è stata dimostrata la capacità

di contaminare gli alimenti e di diffondere in ambito aziendale

attraverso le mosche. Sono stati trovati infetti anche i mangimi , e gli

studi sulla disseminazione negli allevamenti suini hanno indicato che

la trasmissione avviene a partire dalle attrezzature imbrattate, sulle

quali il microrganismo può mantenersi vitale per 3 settimane. Altri

autori affermano che nelle feci la sopravvivenza supera le 12

settimane e che, in substrati idonei, la replicazione può avvenire anche

a 20°C-22°C. La trasmissione da un suino all’altro si verifica tramite

la contaminazione dei ricoveri, dell’acqua e dei mangimi (Leman et al.

1996).

Numerosi casi di yersiniosi umana furono riportati in Irlanda a partire

dal 1980. Tuttavia, la HPSC (Health Protection Surveillance Centre)

attualmente registra solo da tre a sette casi notificati di yersiniosi

all'anno. La causa più comune di questa infezione è Yersinia

enterocolitica, la cui fonte principale per l’infezione è il consumo di

prodotti alimentari a base di maiale. Per stabilire se il piccolo numero

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di notifiche di malattie umane è stato sottostimato a causa della

mancanza di giuste segnalazioni, è stato condotto uno studio

prospettico su campioni fecali di pazienti ospedalizzati con diarrea, su

tamponi faringei e su campioni di appendice. Ceppi di Yersinia

enterocolitica non sono stati isolati dai 1.189 campioni di feci, né dai

297 tamponi faringei, o dai 23 tamponi di appendice. Questo

suggerisce che gli attuali bassi tassi di notifica in Irlanda non sono

dovuti alla mancanza di specifiche procedure di segnalazione di

Yersinia enterocolitica. Un sondaggio sierologico per gli anticorpi

contro Yersinia YOP (Yersinia Proteine esterne) proteine in donatori

di sangue irlandesi, ha trovato anticorpi nel 25%, con un trend relativo

all'età di maggiore sieropositività, compatibile con l'ipotesi che i

diversi casi yersiniosi umana potrebbero essere stati più diffusi in

Irlanda nel recente passato (Ringwood et al. Cork, Ireland.).

Come abbiamo già spiegato precedentemente, Y. enterocolitica è un

batterio zoonotico responsabile di serie complicazioni dopo un

eventuale contagio, causando malattie gastrointestinali acute e serie

enteriti.

In Germania negli anni tra il 2001 ed il 2008, Sono stati segnalati un

totale di 47.627 casi di yersiniosi umana. L' incidenza annuale media

era 7.2/100.000 abitanti . Quasi tutte le infezioni da Y. enterocolitica

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sono state segnalate come casi singoli, vale a dire, senza collegamenti

apparenti ad altri casi. L' incidenza è risultata più alta nei bambini

sotto i cinque anni ( 58/100.000 abitanti ) , in particolare in bambini al

di sotto di un anno di età (108/100.000 abitanti ). Quasi il 97 % delle

infezioni sono state contratte dopo l’acquisto e il consumo di prodotti

alimentari, in particolare carni suine, presenti sul mercato interno.

L’alta incidenza dell’infezione si è verificata nella parte orientale della

Germania e Sassonia. Le differenze di incidenza tra gli stati federali

sono stati guidati principalmente dalle differenze di incidenza nei

bambini sotto i cinque anni. L'ospedalizzazione è stata riportata per il

17 % dei casi , la percentuale più alta tra gli adolescenti . Quasi il 90

% dei ceppi di Y. enterocolitica sono stati diagnosticati come sierotipo

O:3., sierotipo più frequentemente isolato da suini (Rosner et al.

2008).

In Germania, l'incidenza di yersiniosi umana è elevata rispetto ad altri

paesi dell'Unione Europea. I bambini di età inferiore ai 5 anni sono

più frequentemente colpiti. Uno studio caso-controllo basato sulla

popolazione è stato condotto in cinque Stati federali della Germania,

da aprile 2009 a giugno 2010. I casi che presentano sintomi

gastrointestinali sono stati notificati al dipartimento sanitario locale

come infezioni da Yersinia enterocolitica. Lo studio è stato effettuato

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analizzando i dati su 571 pazienti di casi e 1798 controlli. Il consumo

di carne di maiale cruda tritata, un piatto spesso consumato anche dai

bambini in Germania, è stato il principale fattore di rischio per la

malattia. Questa associazione modificata per classe di età,

inaspettatamente, era più forte per i bambini di età inferiore ai 2 anni.

Altri fattori di rischio associati a queste infezioni sono stati riscontrati

nelle preparazione di carne di maiale tritata fatta in casa, tramite il

contatto con uccelli (Stark K. et al. 2010)

In Lituania invece la yersiniosi umana è una delle tre principali

zoonosi di origine alimentare, e l'incidenza è di 12,86 casi per 100.000

abitanti, tra la più alta tra gli Stati membri dell'UE nel 2010. Carcasse

di suini contaminati e la carne di maiale poco cotta sono considerate

essere il veicolo di trasmissione primario Y. enterocolitica ai

consumatori. Con l'obiettivo di valutare i maiali come una possibile

fonte di yersiniosi umana in Lituania, Novoslavskij et al. Hanno

analizzato la diversità genetica di Y. Enterocolitica isolata da suini, e

casi umani di yersiniosi.

In totale, 83 ceppi di Y. enterocolitica sono stati caratterizzati usando

elettroforesi su gel in campo pulsato. Nel complesso, il 68% di Y.

enterocolitica biotipo 4/O: 3 sono stati trovati in campioni clinici

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umani, risultando identici all’ 81% di pulsotipi presenti nella catena di

produzione di suini (Novoslavskij et al. Lituania).

Un focolaio di Yersinia enterocolitica è stato associato anche ad altri

prodotti alimentari, quali il latte e il gelato. Nove persone sono state

contagiate a Beaver County e sette in Allegheny County

(Pennsylvania). Il 26 agosto del 2001, è stato rivelato che Yersinia

enterocolitica è stata ritrovata in contenitori chiusi di gelato.

Successivamente è stata isolata anche da yogurt fatto in casa a base di

latte, della stessa latteria. Tramite consegna a domicilio e vendite al

dettaglio, sono stati circa 10.000 i contenitori di latte a settimana

distribuiti a 650 famiglie e 40 punti vendita. Il meccanismo di

contaminazione di latte e crema di latte resta sconosciuto. Il caseificio

ha ripreso la produzione di latte e la distribuzione dopo un controllo su

un lotto di prodotti che non hanno dimostrato la presenza di Yersinia

enterocolitica. Nessun ulteriore caso di yersiniosi è stato riportato

dopo tale data (www.foodsafetynews.com).

Un recente studio, ha dimostrato come la maggior parte della carne di

maiale in America sia contaminata dal batterio Yersinia enterocolitica,

con ovvi rischi per il consumatore.

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Gli scienziati hanno preso in esame 198 campioni di carne: 148

braciole, 50 altri pezzi, acquistati in supermercati sparsi in tutti gli

USA.

In base agli esami di laboratorio, la maggior parte (69% dei campioni)

era positivo a Yersinia enterocolitica, mentre pochi (11%)

presentavano tracce di Enterococcus, possibile causa d'infezioni al

tratto urinario. Vi è il problema della diagnosi, secondo i Centers for

Disease Control and Prevention, a fronte di 100.000 casi all'anno vi

sono almeno 120 malati che sfuggono “all'occhio” della sanità.

Sta di fatto che costituisce in ogni caso un richiamo sia ai produttori

che ai rivenditori della grande e piccola distribuzione ad utilizzare la

massima accortezza per l'igiene nella vendita dei loro prodotti per

evitare danni alla salute dei consumatori (Consumer Reports magazine

2011).

In Norvegia, nel marzo del 2011, l’Istituto norvegese di Pubblica

Salute (NIPH) ha registrato un numero insolitamente alto di Y.

enterocolitica sierotipo O:9 isolati da diverse aree geografiche del

paese. Sono stati identificati 21 casi con questo ceppo epidemico di Y.

enterocolitica. Dei 21 casi, 15 erano femmine e 6 maschi con una

fascia di età compresa tra i 10 e i 63 anni. Attraverso un profondo

studio effettuato dalle autorità sanitarie norvegesi, la fonte di infezione

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è stata ricondotta al consumo di carne di suino poco cotta, ed altri

prodotti di IV gamma come mix di insalate a base di rucola,

confezionate e pronte al consumo. Oltre al sierotipo O:9, anche altri

ceppi di Yersinia spp. sono stati identificati in un particolare tipo di

insalata confezionata, a base di radicchio rosso, importata dall’Italia

(MacDonald et al. 2011).

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8. SCOPO DELLA TESI

Y. enterocolitica è al terzo posto fra gli agenti responsabili di

tossinfezioni alimentari nei paesi membri dell’Unione Europea.

Come già spiegato nei precedenti capitoli, a questa specie appartiene

un’ampia varietà di microrganismi Gram-negativi distribuiti

nell’ecosistema acquatico e terrestre, la maggior parte dei quali sono

considerati batteri ubiquitari. Solo alcuni stipiti si sono rivelati

patogeni per l’uomo, che generalmente contrae l’infezione a seguito di

ingestione di acqua e alimenti contaminati.

Essendo un batterio ubiquitario, quindi facilmente riscontrabile negli

ambienti terrestri, ha trovato buone condizioni di sviluppo e

adattamento nel suino, allevato e diffuso ormai da milioni di anni in

Europa. Il numero di capi suini allevati dal 1960 ad oggi è quasi

raddoppiato, anche se dal 2004 la produzione di carne suina

nell’Europa si è mantenuta pressoché stabile; infatti, si è avuto un

incremento complessivo pari allo 0,4% rispetto al 2003.

L’aumento della popolazione in Italia, ma anche nel resto dell’Europa,

ha portato come normale conseguenza ad una maggiore richiesta di

carni suine disponibili sul mercato, che negli anni è stata prontamente

soddisfatta causando d’altra parte l’aumento del rischio di

contaminazioni lungo le tappe della filiera suinicola e quindi un

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maggiore rischio di contrarre tossinfezioni alimentari, sostenute da

diversi microrganismi fra i quali Y. enterocolitica che ha trovato

proprio nel suino il “serbatoio” principale. La pericolosità di

tossinfezioni è giustificato anche dal fatto che Yersinia spp. è un

batterio zoonotico molto particolare in grado di crescere sia a

temperature comprese tra i 25°C ed i 37°C, ma anche a temperature di

refrigerazione, tra i 2°C ed i 4°C. Quindi se non verranno adottate

tutte le corrette prassi di igiene e gestione già a livello della

produzione primaria, sarà molto alto il rischio di avere contaminazioni

nei vari settori della filiera suinicola.

Per soddisfare il consumatore diventa necessario conoscere i suoi

bisogni, sapere produrre secondo le vigenti disposizioni europee per la

Food Safety e Food security, e mettere quindi a disposizione del

consumatore il prodotto richiesto ed infine comunicare e garantire al

consumatore stesso le caratteristiche del prodotto offerto in termini di

qualità sia nutrizionale, tecnologica ma soprattutto qualità

microbiologica.

Lo scopo di questo lavoro è stato quello di analizzare vari campioni

provenienti dalle tappe principali della filiera suinicola raccolti nel

comprensorio toscano, per verificare un’eventuale contaminazione da

bio-sierotipi patogeni appartenenti alla specie Y. enterocolitica.

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Questo studio, atto a garantire la sanità pubblica, si è reso necessario

per constatare non solo la qualità microbiologica in riferimento a Y.

enterocolitica del prodotto finito destinato al mercato interno toscano,

ma garantire altresì la qualità tecnologica e microbiologica durante lo

sviluppo del processo produttivo. Tutto ciò si rivela un’azione

necessaria oggi, in quanto la nostra vita individuale e collettiva

continua ad essere condizionata, talvolta anche in maniera rilevante,

da pericoli alimentari.

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9. MATERIALI E METODI

Per questo studio, sono stati analizzati i campioni prelevati da due

allevamenti di suini (A e B) del comprensorio pisano. L’allevamento A è

un allevamento intensivo a ciclo chiuso che alleva suini di razza Large

white; le carni sono vendute e trasformate da terzi. L’allevamento B è un

allevato brado a ciclo chiuso che alleva suini di razza Cinta senese;

l’azienda trasforma direttamente le carni dei propri animali.

I campioni analizzati sono stati prelevati da medici veterinari e fatti

pervenire entro 24h in laboratorio per le analisi microbiologiche. Le tabelle

3 e 4 riportano rispettivamente i campioni dell’allevamento A e B.

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Tabella 3-Campioni relativi all’allevamento A;

Tipo campione Categoria suino Data ricevimento N° campioni

Tamponi fecali Lattonzoli 30/04/12 20 Tamponi fecali Suino grasso 15/05/12 20 Tamponi fecali Magroni 04/06/12 20 Tamponi fecali Scrofe 09/07/12 20 Tamponi fecali Scrofe 05/12/12 20 Tamponi fecali Lattonzoli 18/12/12 12 Tamponi fecali Lattonzoli 18/02/13 11 Tamponi fecali Scrofe 18/02/13 12 Tonsille Suino da macello 05/10/12 12 Tonsille Suino da macello 09/11/12 06 Impasto salsiccia / 16/04/13 25 TOT 178

Tabella 4-Campioni relativi all’allevamento B;

Tipo campione Categoria suino Data ricevimento N° campioni

Tamponi fecali scrofe 07/05/12 19 Tamponi fecali Magroni 17/10/12 56 Tamponi fecali lattonzoli 18/12/12 06 Impasto salsiccia / 18/12/12 01 Impasto salsiccia / 29/01/13 01 Impasto salsiccia / 25/02/13 02 Impasto salsiccia / 11/03/13 02 Impasto salsiccia / 16/04/13 02 Tot 89

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9.1 Terreni utilizzati

Terreno arricchimento a freddo

Il terreno di arricchimento a freddo per Y. enterocolitica, è un brodo di

arricchimento per la ricerca di ceppi di Yersinia spp. in campioni di

varia natura. L’utilizzo di questo brodo prevede un arricchimento a

temperature basse di refrigerazione, dai 2°C ai 4°C, essendo Yersinia

un batterio psicrofilo.

Composizione chimica soluzione A e B;

Formula tipica terreno

arricchimento a freddo; ;

Soluzione A Soluzione B

Na2HPO4 11.95g KH2PO4 9.12g

Fisiologica 1l Fisiologica 1l

T.A.F.Y (g/l)

Sali biliari 1.5

Sorbitolo 10

Yest extract 1.5

Peptone 10

Soluzione A 880 ml

Soluzione B 120 ml

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Terreno Yersinia PSB broth e ITC broth

PSB Broth e Yersinia ITC Broth sono raccomandate da ISO/DIS

10273 per la ricerca dei ceppi ritenuti patogeni di Yersinia

enterocolitica negli alimenti ed acque per uso umano ed animale con

il “Test Presenza-Assenza”. I due terreni sono indicati dal rapporto

ISTISAN 96/35 per la ricerca di Y. enterocolitica presumibilmente

patogena negli alimenti.

ITC Broth é stato proposto da Wanters ed al. per l’isolamento di Y.

enterocolitica biotipo 4/sierotipo 0:3 dai prodotti a base di carne.

Zutter e al. raccomandano di omettere la soluzione di potassio clorato

per ottenere una migliore crescita di Yersinia enterocolitica sierotipo

0:9.

Formula tipica PSB broth; Formula tipica ITC broth;

Yersinia PSB Broth (g/l)

Peptone 5.0

Sorbitolo 10.00

Sodio cloruro 5.00

Sodio fosfato bibasico 8.23

Sodio fosfato

monobasico

1.20

Sali biliari n°3 1.50

Yersinia ITC Broth (g/l)

Triptone 10.000

Estratto di lievito 1.00

Magnesio cloruro

anidro

28.10

Sodio cloruro 5.00

Verde malachite 0.01

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Composizione per fiala dell’antimicrobico tircacillina ingrasan e supplemento di potassio clorato;

Tircacillin Irgasan

Antimicrobic Supplement

(mg/fiala)

Tircacillina 0.25

Irgasan 0.25

Potassium Chlorate

Supplement

(ml/fiala)

Potassio clorato soluzione

5%

5

Verde malachite 0.01

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CIN Agar base

Formula tipica CIN agar;

Il terreno Cefsulodin-Irgasan-Novobiocin (C.I.N.) Agar è preparato

addizionando a Yersinia Agar Base il supplemento selettivo con

cefsulodina, irgasan e novobiocina. E’ un terreno altamente selettivo

per l’isolamento di Yersinia enterocolitica da campioni clinici e da

alimenti. Il terreno è preparato secondo la formulazione messa a punto

da Schiemann (1979) e raccomandata dalla norma ISO 10273.

I batteri Gram-positivi e parte di quelli Gram-negativi sono inibiti

dagli agenti selettivi presenti nel terreno di base: sodio desossicolato,

cristallo violetto, Irgasan; gli antibiotici inibiscono la crescita degli

enterobatteri. Il mannitolo è presente quale carboidrato fermentabile: i

CIN Agar Base (g/l)

Peptone 20.000

Estratto di lievito 2.000

Mannitolo 20.000

Sodio piruvato 2.000

Sodio cloruro 1.000

Magnesio solfato 0.010

Sodio desossicolato 0.500

Irgasan 0.004

Rosso neutro 0.030

Violetto cristallo 0.001

Agar 12.000

Figura 4 - Piastra CIN AGAR;

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batteri in grado di fermentarlo inducono un’acidificazione del terreno

con precipitazione del sodio desossicolato e assorbimento del rosso

neutro; Y. enterocolitica coltiva quindi con il caratteristico aspetto

delle colonie ad “occhio di bue”. Il terreno è altamente selettivo,

Schiemann (1982) e Devenish (1981) riportano che solo alcuni ceppi

di Citrobacter freundii, Serratia liquefaciens ed Enterobacter

agglomerans coltivano su CIN Agar: le colonie di questi

microrganismi hanno un aspetto simile a quello di Y. enterocolitica.

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SSDC agar base

Formula tipica SSDC Agar;

SSDC Agar è un terreno selettivo

impiegato per il rilevamento presunto

del patogeno Yersinia enterocolitica.

La presenza di tessuti animali ed

estratto di lievito forniscono le

sostanze nutrienti essenziali per la

crescita. Il lattosio invece rappresenta

il carboidrato fermentabile.

Microrganismi che fermentano questo

zucchero appaiono di colore rosso. Il

verde brillante, sali biliari e il tiosolfato consentono di inibire

selettivamente microrganismi gram-positivi e coliformi. Alcune specie

batteriche riducono tiosolfato di sodio al solfito e gas H2S. Le colonie

di Yersinia enterocolitica appaiono come colonie incolori.

Y. enterocolitica patogene, in particolare quelle del siero-gruppo 0:3

sono noti a tollerare alta concentrazione di Sali biliari e deossicolato.

Dato l'elevato contenuto di sali biliari insieme con l'alta

concentrazione di citrato di sodio e il verde brillante le altre specie

batteriche risultano inibite.

SSDC agar base g/l Peptic digest of

animal tissue

10.000

Yeast extract 5.000

Lattosio 10.000

Mistura di Sali biliari 8.500

Sodio desossicolato 10.000

Cloruro di calcio 1.000

Citrato di sodio 10.000

Tiosolfato di sodio 5.420

Ammonio di ferro 1.000

Verde brillante 0.0003

Rosso naturale 0.025

Agar 15.000

pH 25°C 7.4±0.2

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TSI Agar

Il Triple-Sugar-Iron Agar (TSI Agar) è usato per la

differenziazione di bacilli enterici gram-negativi sulla base

della fermentazione di carboidrati e la produzione di

idrogeno solforato.

La fermentazione degli zuccheri induce un’acidificazione che

fa virare al giallo il rosso fenolo (indicatore di pH). La

ricerca dei batteri che fermentano il solo glucosio è

facilitata dalla ridotta concentrazione di questo zucchero, pari

a un decimo di quella del lattosio o del saccarosio: la

piccola quantità di acido prodotta sul terreno a becco di

clarino durante la fermentazione viene velocemente ossidata. Questo

induce un rapido ritorno alla colorazione rossa oppure a una re-

alcalinizzazione più pronunciata. Al contrario, la reazione acida

(colore giallo) permane in profondità, sul fondo della provetta.

I batteri che fermentano il lattosio o il saccarosio causano il viraggio

al giallo del becco di clarino della provetta. I batteri che non

fermentano alcuno di questi zuccheri non modificano il colore del

terreno.

La produzione di H2S è indicata dalla comparsa di solfuro di ferro

nero sul fondo della provetta, dovuta alla riduzione del tiosolfato in

Figura 5 -

TSI agar;

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presenza di citrato ferrico. La produzione di gas (H2, CO2), derivante

dalla fermentazione degli zuccheri, è indicata dalla comparsa di bolle

o dalla frammentazione dell’agar.

Urea broth

Urea Broth, è utilizzato per differenziare i

microrganismi ureasi positivi. Il terreno è preparato in

accordo con la formula di Stuart. I microrganismi che

possiedono l’attività ureasica, idrolizzano l’urea con

produzione di ioni ammonio che rendono alcalino il

pH del mezzo. La reazione chimica è la seguente:

Il terreno, che si presenta di colore rosso debole, diventa ciclamino

quando il pH raggiunge o supera il valore di 8.1.

Figura 6-Urea

broth;

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9.2 Metodi e trattamento dei campioni

Tamponi fecali

I campioni di feci relativi alle diverse

categorie di suino, sono stati prelevati da

medici veterinari attraverso dei tamponi

sterili con terreno di trasporto Amies. Inoltre,

sono arrivati in laboratorio campioni integrali

di feci, che, sono stati trattati prelevando direttamente parte della

materia fecale con tampone sterile, operazione eseguita sotto cappa a

flusso laminare orizzontale. I tamponi sono stati poi inseriti in tubi con

gli appropriati brodi di arricchimento.

Tonsille

Durante le fasi di macellazione sono stati prelevati campioni di

tonsille, successivamente posti in sacchetti sterili per il

campionamento e posti a temperatura di +4°C. Una volta pervenute in

laboratorio le tonsille sono state sezionate e private di eventuali

residui di tessuto dell’area oro-faringea (ciascun campione sezionato

Figura 7-Serie di tamponi fecali;

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con un bisturi monouso diverso), per poi essere state divise in 3

aliquote distinte del peso di 10 gr ciascuna. Le aliquote sono state

diluite in rapporto 1:10 con gli appositi brodi di arricchimento in

specifici sacchetti monouso e successivamente trattate con stomaker

per circa 30 secondi, in maniera tale da aumentare la superficie di

esposizione del campione nei confronti del batterio.

Figure 8 a; b; c; Trattamento dei campioni di tonsille;

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Impasto di salsiccia

I campioni di impasto di salsiccia, prelevati presso gli stabilimenti di

trasformazione sono stati posti in sacchetti sterili per il

campionamento e collocati a temperatura di +4°C. Una volta pervenuti

in laboratorio, i campioni sono stati prima privati del loro budello

esterno per poi essere divisi in 3 aliquote diverse del peso di 10 gr

ciascuna. Le aliquote sono state diluite in rapporto 1:10 con gli

appositi brodi di arricchimento in specifici sacchetti monouso e

successivamente trattate con stomaker per circa 30 secondi, in maniera

tale da aumentare la superficie di esposizione del campione nei

confronti del batterio.

Figure 9 a; b; c;-Trattamento dei campioni di salsiccia;

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9.3 Metodiche

Per l’isolamento del batterio sono stati adottati 4 metodi riportati in

tabella 5, che differiscono per i terreni impiegati, per tempi e

temperature di incubazione.

Tabella 5-metodiche adottate;

Tipo Prova Metodo A Metodo B Metodo C Metodo D

Arricchimento Terreno di

arricchimento a

freddo

PSB PSB+ITC PSB+KOH

Terreno

selettivo

Cin Agar Cin Agar Cin &

SSDC

Agar

Cin Agar

Identificazione

biochimica

TSI Agar TSI Agar TSI Agar TSI Agar

Urea Broth Urea

Broth

Urea

Broth

Urea Broth

9.3.1 Arricchimento dei campioni

Metodo A

I tamponi fecali sono stati immersi direttamente nei tubi sterili

contenenti 10 ml di brodo in questione. Le tonsille provenienti dai

macelli e i campioni di salsiccia sono stati trattati nel medesimo modo,

con le uniche eccezioni di aver impiegato sacchetti sterili passati allo

stomaker, per favorire una migliore dispersione del campione nel

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brodo di arricchimento ed aumentare quindi la superficie di

esposizione ad eventuali ceppi di Y. enterocolitica. Inoltre le tonsille e

i campioni di salsiccia come detto sono stati pesati in 3 aliquote

differenti e pesate per ottenere un’opportuna diluizione 1:10. I tubi

con i tamponi fecali, i sacchetti con le tonsille e gli impasti di

salsiccia, contenenti il terreno di arricchimento a freddo sono stati

incubati a +4°C per 21 giorni.

Metodo B e D

I tamponi fecali sono stati immersi direttamente nei tubi contenenti 10

ml di PSB broth. Le tonsille provenienti dai macelli e i campioni di

salsiccia sono stati trattati nel medesimo modo, con le uniche

eccezioni di aver impiegato sacchetti sterili passati allo stomaker, per

favorire una migliore dispersione del campione nel brodo di

arricchimento ed aumentare quindi la superficie di esposizione ad

eventuali ceppi di Y. enterocolitica. Inoltre le tonsille e i campioni di

salsiccia come detto sono stati pesati in 3 aliquote differenti e pesate

per ottenere un’opportuna diluizione 1:10. Yersinia PSB Broth viene

incubato a 22-25°C per 5 giorni; Dopo l’incubazione, altri 0.5 ml di

PSB broth sono stati prelevati e sospesi in 4,5 ml di KOH per favorire

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maggiormente la crescita di Y. enterocolitica ed evitare lo sviluppo di

altre specie batteriche.

Metodo C

L’arricchimento in ITC broth prevede una diluizione 1:100 del

campione in esame. Dai vari campioni preparati in PSB broth secondo

il metodo B, è stato prelevato 1 ml e diluito in 9 ml di ITC. Yersinia

ITC Broth viene incubato a 25°C per 48 ore.

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9.3.2 Semina su terreni di coltura selettivi

Metodo A, B, C, D - Passaggio su CIN agar

In seguito all’arricchimento dei campioni nei rispettivi brodi, è stata

prelevata una goccia di brodo tramite ansa opportunatamente flambata

e seminata sul terreno tramite semplice strisciamento, avendo

l’accortezza di “strisciare” in maniera tale da separare bene le colonie.

Dopo incubazione a 30°C per 24 ore Yersinia enterocolitica coltiva

con colonie rosso-porpora, circondate da un bordo trasparente. Il

diametro delle colonie varia da ceppo a ceppo ma rimane costante per

ceppi del medesimo sierotipo.

Metodo C - Passaggio su SSDC agar

Successivamente all’arricchimento in ITC Yersinia broth, è stata

prelevata una goccia di brodo tramite ansa opportunatamente flambata

e seminata sul terreno tramite semplice strisciamento, avendo sempre

l’accortezza di “strisciare” in maniera tale da separare bene le colonie.

Dopo incubazione a 25°C per 24 ore le colonie di Yersinia

enterocolitica appaiono come colonie incolori.

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9.4 Conferme biochimiche

TSI AGAR

E’ stata prelevata una singola colonia del microrganismo in esame, ed

utilizzando un’ansa ad ago è stato inoculato per infissione un tubo di

TSI, in profondità fino a circa 3-5 mm dal fondo. Ritirando l’ago è

stato strisciata la superfice del piano inclinato. I tubi di TSI sono stati

successivamente incubati a 30°C per 24 ore.

UREA BROTH

Per verificare la presenza dell’enzima ureasi, si è reso necessario

inoculare in 2 ml di terreno abbondante materiale microbico prelevato

dalla superficie del becco di clarino dei tubi di TSI. Sono stati poi

incubati i tubi per 24 ore a 30°C. I microrganismi che possiedono

l’attività ureasica hanno idrolizzato l’urea con produzione di ioni

ammonio e con conseguente viraggio dell’indicatore verso il rosso-

ciclamino (pH alcalino).

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Gli isolati di Y. enterocolitica sono stati coltivati in brodo di

arricchimento BHI per 24 ore a 30°C, le brodo colture ottenute sono

state addizionate di glicerolo, soluzione con potere crio-protettrice, e

conservate a temperature di -80°C.

9.5 Determinazione dei caratteri fenotipici

La determinazione dei caratteri fenotipici ha rappresentato una tappa

fondamentale del lavoro in quanto ha permesso di individuare specie e

eventuale biotipo degli isolati batterici. La capacità di questo batterio

di fermentare determinati zuccheri o riuscire a degradare specifici

substrati organici come lipidi e protidi, rappresentano quindi un punto

chiave nella determinazione dei biotipi patogeni che riescono a

causare tossinfezioni alimentari.

Per la determinazione dei caratteri fenotipici è stata opportunatamente

allestita una piastra a 96 pozzetti con fondo a pori nella quale sono

stati inseriti, in fila dall’alto verso il basso nei vari pozzetti, terreno

contenente un indicatore di pH, il rosso Fenolo, e alcuni zuccheri

fermentabili da parte di Y. enterocolitica ovvero succrosio, ramnosio,

xilosio, trealosio, e alcuni terreni per la determinazione di

caratteristiche biochimiche: produzione di acetoina (test Voges-

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Proskauer), produzione di indolo e presenza dell’enzima

decarbossilasi (test ornitina). Nei pozzetti in basso è stato scritto il

numero identificativo relativo al ceppo di Y. enterocolitica. La

colonna 11 è stata allestita con il ceppo ATCC e la colonna 12 è stata

usata per il controllo negativo dei vari terreni. Le piastre sono state

incubate a 30°C per 24h. La tabella 6 riporta la tavola di

interpretazione dei test fenotipici.

Figure 10 a; b; c; d;-Allestimento piastre per la determinazione dei caratteri fenotipici;

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Tabella 6-Tabella interpretativa, positività e negatività alla fermentazione di

diversi zuccheri da parte del genere Yersinia spp.;

Glucosio

(Glu)

Lattosio

(Lac)

H2S Ure Specie

+ - - + Yersinia

enterocolitica/enterocolitica-like

Suc Rham VP Specie

+ - + Yersinia enterocolitica

+ + + Yersinia frederiksenii; Yersinia

intermedia;

- - - Yersinia kristensenii; Yersinia aleksiciae;

Yersinia bercovieri

- + + Yersinia aldovae

Tre Xyl Ind Lip Esc Biotipo

- - - - - BT5

+ - - - - BT4

+ + - - - BT3

+ + + - - BT2

+ + + + - BT1B

+ + + + +/- BT1A

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Lipasi test

Per completare i set di test fenotipici

necessari per distinguere i vari biotipi, è stato

eseguito il test della lipasi. Il terreno lipasi

test (contenente TWEEN 80), si presenta

trasparente, e permette di verificare la

presenza dell’enzima lipasi. Una volta

inoculato sul terreno il batterio, se positivo accanto alla semina si

noterà un alone di precipitato di Sali di calcio. Il terreno è stato

incubato a 30°C per 24 ore.

Successivamente sulla base delle differenze antigeniche, sugli isolati è

stata effettuata la sierotipizzazione attraverso l’utilizzo di antisieri O:3

e O:9 a nostra disposizione.

Figura 11-Terreno lipasi Test;

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9.6 Fattori di virulenza

9.6.1 Plasmide di virulenza: Test CR-MOX

Formula tipica terreno CR-MOX

Il plasmide di virulenza è stato descritto come uno dei fattori

responsabili della la virulenza di Y. enterocolitica. I ceppi che

possiedono la proteina YadA, sono caratterizzati da una forte

dipendenza dal calcio ed è per questo motivo che è stato messo a

punto il CR-MOX in grado di mettere in evidenza il gene plasmidico.

Il terreno CR-MOX è caratterizzato da un tipico color pesca che

contiene un colorante detto “rosso congo” ed OX Mg. Y.

enterocolitica, se presente il plasmide di virulenza, cresce

stentatamente ed assorbe il colorante.

CR-MOX g/l

Agar soia 40g

H2O distillata 825 ml

Na2C2O4 0.25M 80ml

MgCl2 0.25M 80ml

D-galattosio 10ml

Rosso Congo 5ml Figura 12-Piastra Petri contenente

terreno CR-MOX;

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La presenza del Rosso Congo, fa si che venga rilevata la positività al

gene plasmidico, attraverso l’assorbimento di questo colorante.

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9.6.2 Ricerca geni di virulenza

Il DNA dei singoli isolati batterici è stato estratto per bollitura: due/tre

colonie da una coltura batterica ottenuta su Luria Bertani agar (LB

agar) incubato a 30°C per 24 ore sono state stemperate in 100 μl di

acqua distillata sterile, poste a 100°C per 10 minuti e in seguito

raffreddate a 4°C e centrifugate a 10.000 rpm per 1 minuto. Il DNA è

stato preparato nel modo appena descritto prima di allestire ogni

reazione di PCR.

Figura 13-DNA dei singoli isolati estratto per bollitura;

I geni ail e virF sono stati ricercati secondo quanto riportato da

Thisted Lambertz (Thisted Lambertz et al., 2005); le condizioni di

PCR sono le seguenti: denaturazione iniziale a 94°C per 3 min, 30

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cicli di denaturazione a 94°C per 30 s, annealing a 60°C per 1 min e

extension a 72°C per 1 min, con estenzione finale a 72°C per 5 min.

La presenza dei geni ystA, ystB e inv è stata verificata utilizzando il

protocollo riporatato da Thoerner (Thoerner et al., 2003); le

condizioni di PCR utilizzate sono le seguenti: denaturazione iniziale a

95°C per 10 min; 25 cicli di denaturazione a 95°C per 15 s, annealing

a 61°C per 30 s e estenzione a 72°C per 30 s; con un ciclo di

estensione finale a 72°C per 10 min.

Ogni PCR è stata eseguita singolarmente in 50 l soluzione di

reazione contenenti: 200 M di dNTP, 0.5 M di ciascun primers,

1.25 U di Taq polimerasi (Qiagen), 5 l di 10x Qiagen PCR buffer

and 2 l di DNA. Nella Tabella 6 sono riportati i primers e la

lunghezza in pb dei relativi prodotti di PCR.

Il risultato delle PCR è stato visualizzato tramite corsa eletroforetica

su gel di agarosio al 1,5% a 100V per 45 min; il gel è stato colorato

con bromuro d’etidio e osservato su un trans illuminatore a raggi UV,

Gelpilot 100 bp Plus Ladder (Qiagen) è stato utilizzato come marker.

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Tabella 7-La tabella sotto riportata mostra per ogni gene la funzione e la sequenza dei

primers adottati;

Gene Primer

Sequenza pb Funzione

Riferimento

bibliografico

ail

ailF GTT TAT CAA TTG CGT CTG

TTA ATG TGT ACG 454 Invasione

Thisted

Lambertz et

al., 2005

ailR CTA TCG AGT TTG GAG TAT

TCA TAT GAA GCG

virF

virFF AAG GTT GTT GAG CAT TCA

CAA GAT GG 700

Regolatore

virulenza,

plasmidico virFR TTT GAG TGA AAT AAG ACT

GAC TCG AGAACC

ystA

ystAF ATCGACACCAATAACCGCTGAG

79

Yersinia

heat-stable

toxin

Thoerner et

al., 2003

ystAR CCAATCACTACTGACTTCGGCT

ystB

ystBF GTACATTAGGCCAAGAGACG

146

Yersinia

heat-stable

toxin ystBR GCAACATACCTCACAACACC

inv invF CGGTACGGCTCAAGTTAATCTG

183 Invasione invR CCGTTCTCCAATGTACGTATCC

9.7 Pulsed Field Gel Electrophoresis

Per analizzare le relazioni genetiche fra gli isolati batterici è stata

usata la Pulsed Field Gel Electrophoresis (PFGE) utilizzando un

protocollo adattato dal protocollo standard per Y. pestis (PulsNet,

2006).

Colture ottenute su LB agar incubato a 30°C per 24 ore sono state

risospese in 2.5 ml della soluzione TN (soluzione di Tris-HCl 10

mmol e NaCl 1 M a pH 7.6) e lavate due volte con 1 ml di TN. Dalle

sospensioni batteriche cosi ottenute sono state allestite diluizioni in

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TN per avere una sospensione finale di 180 μl totali ad una DO600 di

1,5, tale sospensione è stata miscelata con 180 μl di gel d’agarosio

all’1% mantenuto alla temperatura di 55°C e versati in due plug

(BioRad). Le due plugs di ogni campione sono state digerite con 2 ml

di soluzione di lisi (1.34 ml EDTA 0.75 M, 0.2 ml N-Lauroyl-

Sarcosine al 10%, 0.104 ml di Proteinasi K, 0.356 ml di dH2O) a 50°C

per 48 ore; la soluzione di lisi è stata rimossa con un lavaggio con

H2O distillata e cinque lavaggi con tampone TE (Tris-EDTA). Dopo i

lavaggi i 2 blocchetti di gel e sono stati tagliati in 4 parti, Degli otto

blocchètti cosi ottenuti uno è stato utilizzato per la digestione

enzimatica del DNA i restanti 7 sono stati a 4°C. La soluzione di

restrizione conteneva: 87 μl di H2O, 10 μl diTampone 4, 1 μl di BSA e

2 μl di XbaI 20U; i campioni sono stati digeriti a 37°C per 5 ore e 30

minuti. Un ceppo di Salmonella ser. Braenderup H9812 digerito con

l’enzima XbaI è stato utilizzato come marker per l’elettroforesi. La

corsa elettroforetica è stata realizzata in gel d’agarosio all’1% in TBE

0.5X (Tris-Borato-EDTA), in una macchina Chef-DR III (BioRad)

con i seguenti parametri di corsa: Tempo iniziale = 1,79 secondo,

Tempo finale = 18,66 secondi, Tempo di corsa 20 ore, Voltaggio 6

V/cm e con un angolo di 120°. Dopo la corsa il gel è stato colorato

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con bromuro d’etidio visualizzato e fotografato a un tran illuminatore

a raggi UV.

Figura 14- Corsa su gel del prodotto di PCR;

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10. RISULTATI

Il presente studio ha permesso di verificare mediante l’isolamento e

l’identificazione i principali bio-sierotipi di Y. enterocolitica circolanti

in due allevamenti suini, denominati A e B, situati nella provincia di

Pisa. Il primo comprende un allevamento di tipo intensivo a ciclo

chiuso che alleva suini di razza Large White. Il secondo invece è un

allevamento brado a ciclo chiuso che alleva suini di razza Cinta

senese. Si è proceduto inizialmente ad un’analisi di un pool di

campioni di feci e tonsille prelevati dalle varie categorie suinicole

allevate, ed impasti di salsiccia provenienti dai rispettivi centri di

trasformazione delle carni, per un totale di 267 campioni analizzati,

178 per l’allevamento A e 89 per l’allevamento B.

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10.1 Isolati batterici

Allevamento A

Dai 178 campioni provenienti dall’allevamento A sono stati ottenuti i

seguenti risultati: dai 134 campioni di feci sono stati identificati in

totale 12 (6.7% dei campioni totali) isolati batterici riconducibili a

Yersinia spp. Sono stati identificati 8 isolati batterici riconducibili a

Yersinia spp. da 20 capi di suini magroni (40% dei campioni fecali di

suini magroni), 3 da 52 capi di scrofe (5.7% dei campioni fecali di

scrofe). Invece dai 18 campioni di tonsille è stato identificato 1 solo

isolato batterico riconducibile a Yersinia spp. (5.5% dei campioni di

tonsille). Nessun isolato batterico riconducibile a Yersinia spp. è stato

identificato nei 25 campioni di impasto di salsiccia e dagli altri

campioni di suino (lattonzoli e grassi).

Per l’identificazione del microrganismo si è rivelato utile l’utilizzo del

terreno di arricchimento a freddo. Soltanto dal campione M181, uno

dei campioni fecali proveniente da una scrofa dell’allevamento A,

sono stati identificati 2 isolati sospetti di cui 1 da PSB broth, 1 da PSB

broth dopo passaggio in KOH ed uno tramite terreno di arricchimento

a freddo.

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Dal campione M122, un campione di feci di una scrofa, sono stati

identificati due isolati batterici, Y15 e Y16, risultati essere Y. aldovae.

Allevamento B

Gli 89 campioni provenienti dall’allevamento B invece hanno

permesso di ottenere i seguenti risultati: dagli 81 campioni di feci è

stato identificato in totale 1 isolato batterico riconducibile a Yersinia

spp.; questo isolato batterico di Yersinia spp è stato identificato da un

capo di suino magrone (1.7% dei campioni fecali di suini magroni).

Come per i campioni dell’allevamento A, questi risultati sono stati

ottenuti tramite l’utilizzo del terreno di arricchimento a freddo.

Soltanto dal campione M167, campione fecale proveniente da un

suino magrone dell’allevamento B, è stato isolato un ceppo sospetto

da ITC broth, successivamente non confermato. Nessun isolato

batterico riconducibile a Yersinia spp. invece, è stato identificato negli

8 campioni di impasto di salsiccia.

Nella pagina successiva la tabella 8 mostra i risultati degli isolamenti

relativi all’allevamento A e B con le relative percentuali di positività

per categoria di campione.

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Tabella 8-Risultati degli isolamenti relativi all’allevamento A e B.

Allevamento A Allevamento B

Tipo

campione

Tot

campioni

Positivi % Tipo

campione

Tot

campione

Positivi %

Lattonzolo 42 0 0 Lattonzolo 6 0 0

Grasso 20 0 0 Grasso / / /

Magrone 20 8 40 Magrone 56 1 1.7

Scrofa 52 3 5.7 Scrofa 19 0 0

Tonsille 18 1 5.5 Tonsille / / /

Impasto

salsiccia

25 0 0 Impasto

salsiccia

8 0 0

Totale 178 12 6.7 Totale 89 1 1.12

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10.2 Caratterizzazione fenotipica dei ceppi isolati

La caratterizzazione biochimica degli isolati di Yersinia enterocolitica

ha permesso di individuare i biotipi presenti dei vari campioni

analizzati. Gli isolati di Y. enterocolitica schedati come Y1, Y4, Y6,

Y8, Y9, Y10, Y11, Y12, Y13, Y14, Y18 risultano appartenere al biotipo

BT4. Le caratteristiche fenotipiche degli isolati Y19, Y20, Y21, Y23,

Y25 evidenziano come questi appartengano al biotipo BT1. Y24 infine

appartiene al biotipo BT3. Una volta individuati i diversi biotipi per

ogni isolato ed effettuata l’agglutinazione con gli antisieri

monovalenti specifici per alcuni antigeni somatici, è stato possibile in

alcuni casi associare al biotipo un corrispondente sierotipo. Da questo

esame si può evincere come gli isolati di riferimento Y1, Y4, Y6, Y8,

Y9, Y10, Y11, Y12, Y14, Y18, risultati essere biotipo BT4, siano

riconducibili al sierotipo O:3. Per gli altri biotipi riscontrati non è stato

possibile individuare un sierotipo specifico con gli antisieri a nostra

disposizione.

Nella tabella 9, vengono riportati il bio-sierotipo di ogni isolato, in

relazione a ciascun campione.

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Tabella 9-Bio-sierotipo per ogni isolato e campione di provenienza;

Isolato Campione Tipo campione Bio-sierotipo

Y1 M93 Magrone all. A BT4/O:3

Y4 M96 Magrone all. A BT4/O:3

Y6 M99 Magrone all. A BT4/O:3

Y8 M100 Magrone all. A BT4/O:3

Y9 M103 Magrone all. A BT4/O:3

Y10 M103 Magrone all. A BT4/O:3

Y11 M111 Magrone all. A BT4/O:3

Y12 M108 Magrone all. A BT4/O:3

Y14 M110 Magrone all. A BT4/O:3

Y18 M136 Tonsille all. A BT4/O:3

Y19 M165 Magrone all. B BT1

Y20 M181 Scrofe all. A BT1

Y21 M181 Scrofe all. A BT1

Y23 M186 Scrofe all. A BT1

Y24 M191 Scrofe all. A BT3

Y25 M181 Scrofe all. A BT1

10.3 Risultati fenotipici e genotipici degli isolati;

Dalle analisi molecolari sono stati ottenuti i seguenti risultati:

gli isolati Y1, Y4, Y6, Y8, Y9, Y10, Y11, Y12, Y14, Y18 appartenenti al

bio-sierotipo BT4/O:3, sono risultati positivi al CR-MOX ed ai geni

ail, inv, VirF, e negativi ai geni ystA, ystB; gli isolati Y19, Y20, Y21,

Y23, Y25 biotipo BT1 ed l’isolato Y24 biotipo BT3 invece, sono

risultati essere negativi sia al CR-MOX sia ai geni ail, inv, VirF, ystA

e ystB. Nella tabella 9 si riportano i risultati relativi ai fattori di

patogenicità.

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10.4 Risultati PFGE

La Figura 15 mostra i risultati dell’elettroforesi in campo pulsato,

previa digestione con enzima XbaI, relativi agli isolati appartenenti al

biosierotipo BT4/O:3. La prima, la settima e la tredicesima colonna

sono rappresentate dal Marker (Salmonella ser. Braenderup H9812), le

altre colonne da sinistra a destra dagli isolati Y1, Y4, Y6, Y8, Y9, Y10,

Y11, Y12, Y14, Y18. Analizzando il gel secondo quanto suggerito da

Tenover e collaboratori (Tenover et al., 1995), si evince che i 10

isolati presentano lo stesso profilo genetico e possono quindi essere

considerati appartenenti al medesimo ceppo. Gli isolati Y1, Y4, Y6, Y8,

Y9, Y10, Y11, Y12 e Y14 provengono da feci di magroni

dell’allevamento A mentre l’isolato Y18 è stato isolato da tonsille di

un suino regolarmente macellato proveniente dall’allevamento A.

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Figura 15-Risultati della PFGE relativi agli isolati appartenenti al bio-sierotipo BT4/O:3;

La Figura 16 invece mostra i risultati dell’elettroforesi in campo

pulsato, previa digestione con enzima XbaI, relativi agli isolati

appartenenti al biotipo BT1. La prima e la quinta colonna sono

rappresentate dal Marker (Salmonella ser. Braenderup H9812), le altre

colonne sono rappresentate rispettivamente, da sinistra a destra, dagli

isolati Y19, Y20, Y23, Y25. Per quanto riguarda gli isolati Y23 e Y25

non c’è stata digestione enzimatica, questo è probabilmente dovuto al

fatto che alcuni ceppi batterici non riescono a essere lisati e digeriti

con il protocollo standard; per tali ceppi è necessario usare particolari

reagenti come suggerito da Liesegang e Tschäpe (Liesegang e

Tschäpe, 2002) tuttavia essendo tali reagenti tossici si è scelto di non

ripetere la prova.

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Gli isolati Y19, isolato da feci di un magrone dell’allevamento B, e

Y20, isolato da feci di scrofa dell’allevamento A, hanno mostrato due

profili differenti e quindi possono essere considerati appartenenti a

due ceppi batterici distinti.

Figura 16-Risultati della PFGE relativi agli isolati appartenenti al biotipo BT1;

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Tabella 10-Positività e negatività di ogni isolato ai geni di virulenza ricercati, ed al CR-MOX;

Riferimento Campione Bio-

sierogruppo

Fenotipica Genotipica

CR-MOX ail inv virF ystA ystB

Y1 M93 BT4/O:3 + + + + - -

Y4 M96 BT4/O:3 + + + + - -

Y6 M99 BT4/O:3 + + + + - -

Y8 M100 BT4/O:3 + + + + - -

Y9 M103 BT4/O:3 + + + + - -

Y10 M103 BT4/O:3 + + + + - -

Y11 M111 BT4/O:3 + + + + - -

Y12 M108 BT4/O:3 + + + + - -

Y14 M110 BT4/O:3 + + + + - -

Y18 M136 BT4/O:3 + + + + - -

Y19 M165 BT1 - - - - - -

Y20 M181 BT1 - - - - - -

Y21 M181 BT1 - - - - - -

Y23 M186 BT1 - - - - - -

Y24 M191 BT3 - - - - - -

Y25 M181 BT1 - - - - - -

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11. DISCUSSIONE DEI RISULTATI

Dai risultati ottenuti nel corso di questa indagine è possibile mettere in

evidenza diversi aspetti riguardanti sia le metodiche di ricerca, sia la

diffusione di Y. enterocolitica lungo la filiera suinicola di due realtà

aziendali del territorio toscano, anche in relazione alle diverse

tipologie di allevamento e infine alla patogenicità degli isolati

riscontrati.

Un primo aspetto da prendere in considerazione riguarda le metodiche

impiegate per le analisi di laboratorio. In questo lavoro sono state

adottate 4 metodiche differenti, con le quali sono stati impiegati

terreni di arricchimento diversi. Dai dati ottenuti emerge che l’utilizzo

della metodica di arricchimento a freddo ha permesso di ottenere i

migliori risultati per quanto riguarda l’isolamento di Y. enterocolitica

a partire dalle diverse matrici esaminate. Di fatto tutti gli isolati

collezionati nel corso di questo studio sono stati ottenuti mediante

questa metodica, che è quindi risultata la più utile ai fine di

individuare i campioni positivi.

C’è da specificare che non sono stati ottenuti risultati identici per

entrambi i due allevamenti, questo è probabilmente dovuto alle

differenze tecnologiche e alle razze allevate.

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Questi fattori sono da prendere in considerazione, in quanto

permettono di effettuare valutazioni non del tutto identiche sulle due

filiere suinicole.

I due allevamenti hanno in comune la caratteristica di allevare suini in

un allevamento a ciclo chiuso, nei quali quindi vengono effettuate le

operazioni di ingrasso e riproduzione dei capi allevati.

L’allevamento A, è un allevamento intensivo, a ciclo chiuso che

alleva suini di razza Large white dove le carni sono vendute e

trasformate da terzi.

L’allevamento B è un allevamento brado, a ciclo chiuso, che alleva

suini di razza Cinta senese. L’azienda trasforma direttamente le carni

dei propri animali.

I suini allevati nell’allevamento A, trovandosi in condizioni di

allevamento intensivo, sono maggiormente sottoposti a condizioni di

stress causando un potenziale abbassamento delle difese immunitarie e

favorendo un’eventuale minaccia di infezione da parte di Y.

enterocolitica o di altri germi. I capi di cinta senese allevati

nell’allevamento B che invece presentano un’ottima rusticità genetica

essendo allevati allo stato brado potrebbero essere maggiormente

sottoposti a contaminazioni da parte di agenti infettivi dal momento

che hanno più possibilità di venire a contatto con animali selvatici.

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Dai risultati ottenuti si evince come gli isolati di Y. enterocolitica si

rivelino presenti all’interno del ciclo produttivo dell’allevamento A,

causando un potenziale rischio di contaminazione sia dei capi presenti

in allevamento, sia dei capi sottoposti a macellazione. Infatti, risulta

che gli isolati Y1, Y4, Y6, Y8, Y9, Y10, Y11, Y12, Y14 si trovino nelle

feci, quindi nell’intestino retto dei suini magroni destinati alla

produzione di suino pesante, adatto successivamente alla

trasformazione del muscolo in carne. Y18 altresì, è stato identificato

come l’unico isolato del microrganismo a trovarsi nelle tonsille

durante le fasi di macellazione dei capi allevati nell’allevamento A.

Per quanto riguarda gli isolati Y20, Y21, Y23, Y25, Y24, questi sono

stati ritrovati invece nelle feci delle scrofe.

Considerando che non è stata riscontrata contaminazione da parte di

questo batterio nei campioni di impasto di salsiccia è evidente come

durante le fasi di macellazione e trasporto delle mezzene negli

stabilimenti di trasformazione vengono adottate le misure di igiene e

sicurezza necessarie affinché vengano ridotti al minimo i rischi di una

contaminazione da parte di Y. enterocolitica.

Prendendo invece in considerazione l’allevamento B, si evince che

non vi è una notevole circolazione di Y. enterocolitica nonostante

l’allevamento sia predisposto per la produzione di suini in

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allevamento brado. E’ stato ritrovato infatti soltanto l’isolato Y19 nelle

feci di un suino magrone.

Analizzando i risultati dei due allevamenti si evince quindi come sia

maggiore il rischio di una possibile contaminazione batterica da Y.

enterocolitica nel ciclo produttivo dell’allevamento A.

C’è da dire che questi risultati devono essere presi in considerazione

tenendo conto che nei due allevamenti, sono stati analizzati quantità

diverse di campioni. Nell’allevamento A sono stati analizzati

campioni di feci di suini lattonzoli, grassi, magroni, feci di scrofa,

tonsille e impasto di salsiccia in percentuali diverse dall’allevamento

B dove sono stati analizzati invece campioni fecali di suini lattonzoli e

magroni, feci di scrofe ed impasto di salsiccia.

Dai risultati si evince come gli isolati ritrovati nei campioni non siano

distribuiti in maniera equivalente nei due allevamenti. Dagli esami

condotti sulle caratteristiche fenotipiche si è potuto procedere ad una

prima determinazione di eventuali biotipi patogeni e non patogeni

presenti nelle due filiere.

Si è constatato come nel ciclo produttivo dell’allevamento A prevalga

il bio-sierotipo BT4/O:3, considerato tra i più patogeni per l’uomo.

10 dei 15 isolati riscontrati in questo allevamento appartengono infatti

a tale biotipo. Questi isolati sono stati rilevati sia a partire da campioni

di feci di magroni che da campioni di tonsille.

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Nello stesso allevamento inoltre sono stati identificati altri bio-

sierotipi, in particolare 4 isolati su 15, provenienti da campioni di feci

delle scrofe, appartengono al BT1 e un isolato riscontrato in feci di

scrofa è riconducibile a BT3. Questi dati evidenziano che a livello di

allevamento circolino contemporaneamente bio-sierotipi diversi che

sembrano essere legati a categorie di animali diversi. Y1, Y4, Y6, Y8,

Y9, Y10, Y11, Y12, Y14, Y18 appartengono a feci di suini magroni,

Y20, Y21, Y23, Y25 provengono da feci di scrofe, mentre Y24

riscontrato appartenere al BT3 proviene anch’esso da un campione di

feci di scrofa.

Nell’allevamento B è stato ritrovato soltanto l’isolato Y19

appartenente al biotipo BT1 nelle feci di un suino magrone.

I risultati ottenuti alla PFGE hanno messo in evidenza che tutti gli

isolati appartenenti al BT4/O:3 appartengono allo stesso ceppo. A

livello di allevamento circola quindi solo un ceppo batterico

appartenente a questo bio-sierotipo che potremmo considerare “tipico”

di questo allevamento; inoltre possiamo sostenere che molto

probabilmente l’isolato Y18 riscontrato a livello di tonsille proviene

dall’ambiente di allevamento e non da una contaminazione durante le

fasi di macellazione.

Le analisi fenotipiche confermate da quelle genotipiche, sulla

patogenicità degli isolati hanno messo in evidenza che tutti gli isolati

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riscontrati appartenenti al BT4/O:3 sono potenzialmente patogeni

essendo tutti positivi al test del CR-MOX, nonché possedendo alcuni

importanti geni di virulenza, ail, inv, VirF, responsabili della

colonizzazione intestinale.

La presenza del batterio proprio nel tratto intestinale dei suini

magroni, rappresenta di fatto un rilevante rischio di contaminazione

delle carcasse, anche dopo le fasi di macellazione. Se non verrebbero

adottate le giuste misure igienico sanitarie, il batterio potrebbe migrare

durante le fasi di macellazione nei tessuti circostanti e ritrovarsi

potenzialmente negli impasti di salsiccia destinati alla produzione

alimentare.

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12. CONCLUSIONI

Le infezioni di origine alimentare rappresentano un importante

problema di sanità pubblica, buona parte dei patogeni responsabili di

tale tipo di infezioni ha infatti origine zootecnica. Negli ultimi decenni

com’è noto sono intervenute profonde modificazioni sia nelle filiere

produttive e nella distribuzione dei prodotti di origine animale, sia

quindi nell’epidemiologia delle malattie infettive di origine

alimentare.

A causa anche della crescente diffusione dell’allevamento suinicolo di

tipo intensivo ed ai sistemi di produzione ad esso correlato, in Europa

si è registrato un aumento della yersiniosi umana.

Questo lavoro ha permesso di valutare la presenza dei bio-sierotipi

patogeni e non di Y. enterocolitica in due filiere suinicole toscane,

facendo opportune differenze relative al tipo di allevamento.

Il ciclo produttivo dell’allevamento B non mostra un alto rischio di

contaminazione da parte di Y. enterocolitica nonostante si tratti un

allevamento di tipo brado.

La presenza del bio-sierotipo BT4/O:3 nei suini magroni e dei biotipi

BT3 e BT1 nelle scrofe allevate dall’allevamento A, sta ad indicare

che nel ciclo produttivo di tale allevamento si ha una discreta

circolazione di Y. enterocolitica.

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Seppur nelle successive fasi di produzione delle carni non siano stati

identificati isolati di Y. enterocolitica, a testimonianza delle corrette

pratiche igieniche adottate a questo livello della filiera, sarebbe

necessaria l’adozione di un buon sistema di bio-sicurezza anche nelle

fasi di allevamento delle varie categorie suinicole.

Benché la formazione degli OSA si sia rivelata adeguata durante le

fasi della filiera produttiva, per garantire un alto livello di qualità

igienico sanitaria del prodotto è doveroso ribadire che sarebbe utile

mantenere tale tipo di formazione per garantire nel tempo elevati tali

standard di qualità.

Lo studio da noi condotto conferma il ruolo del suino quale serbatoio

di ceppi patogeni di Yersinia enterocolitica ed il possibile rischio di

tossinfezione alimentare legato al consumo di carni suinicole

contaminate.

I risultati ottenuti non vogliono essere conclusivi, ma rappresentano

un punto di partenza per un continuo controllo dei vari stadi della

filiera produttiva, al fine di individuare e prevenire i potenziali rischi.

Infine è importante sottolineare che mentre il ruolo del suino

nell’epidemiologia della yersiniosi umana è ben documentato, molto

dovrebbe essere fatto per accertare il ruolo di altre specie animali, e

dei loro prodotti derivati nell’epidemiologia di tale batterio.

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outbreaks-of-2011;

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RINGRAZIAMENTI

Desidero, innanzitutto, ringraziare il Prof. Domenico Cerri per

l’opportunità concessami di lavorare a un argomento di grande attualità

e prospettiva, e l’intero staff del “Dipartimento di patologia animale,

profilassi e igiene degli alimenti”. Inoltre desidero esprimere la mia più

profonda gratitudine al Dott. Fabrizio Bertelloni, per avermi seguito,

supportato in tutto il periodo di lavoro ed avermi trasmesso ancor di

più la passione nei confronti della microbiologia e del lavoro in

laboratorio.

In questo giorno il pensiero non può che andare a te caro nonno, tu

che hai lasciato in tutti noi un vuoto enorme dopo la tua scomparsa. Mi

hai sempre detto con gioia ed entusiasmo che avresti voluto essere

presente in questo giorno così importante… so che sarai vivo più che

mai accanto a me, non solo oggi ma nel prosieguo dei giorni che

verranno. Non voglio essere triste per la tua assenza, ma voglio gioire

per il bellissimo ricordo che hai lasciato in me e nel mio cuore. Ti

ricorderò per sempre per la persona speciale che eri, sempre ad

incitarmi ad andare avanti, sempre una parola dolce o un sorriso nei

miei confronti. Ti ricorderò sempre per il buon cuore e l’affetto

smisurato con cui hai trattato ininterrottamente la tua compagna di una

vita, i tuoi figli, i tuoi nipoti ed i tuoi cari. Spero nella mia vita di valere

e fare almeno la metà di ciò che sei stato ed hai fatto tu. Ti voglio bene

nonno… con affetto Vincenzo.

Ad una grande donna, ad un uomo davvero speciale… la mia mamma

ed il mio papà che con i loro sacrifici mi hanno sempre permesso di

studiare, raggiungere i miei obbiettivi e di realizzare i miei sogni. Senza

di voi, senza il vostro supporto, senza il vostro affetto questo giorno non

sarebbe stato mai possibile. Grazie per ciò che fate ogni giorno per me

e Veronica, tra mille sacrifici, rinunce ed avversità grazie per non averci

fatto mancare mai nulla. Spero di essere sempre motivo di orgoglio per

voi.

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A mia sorella Veronica, grazie per volerci un bene dell’anima,

sostenendoci sempre e comunque nonostante i nostri piccoli

battibecchi! Da bambini sempre compagni di mille giochi, crescendo

non solo una sorella, ma una preziosa amica a cui rivolgermi nei

momenti di bisogno, nei momenti di sostegno e di confronto. So con

certezza che saremo sempre uniti da un legame speciale per tutta la vita.

Ovunque saremo sarai sempre la mia bellissima e dolcissima sorellina.

Alla mia splendida fidanzata, Mari…. Hai vissuto in prima persona

insieme a me questo duro percorso vivendone gioie, amarezze e

sacrifici quotidiani. A te che sei la mia ragazza, compagna, fidanzata,

amica, spalla su cui piangere, guida, grazie per tutto quanto, per aver

sostenuto sempre le mie fatiche, per tutta la gioia che mi dai, per le

risate, i sorrisi, le emozioni, la comprensione, l’aiuto, la fiducia, la voglia

di vivere che mi trasmetti, per la tua incommensurabile dolcezza,

perché credi in me, per il tuo amore, per come sei, perché ci sei,

SEMPRE. Per la nostra storia. Perché mi fai ridere, mi fai riflettere, mi

hai fatto crescere, mi fai vedere tutto da una prospettiva diversa. Per

aver riempito il vuoto che avevo. Perché sei unica e speciale...

A mia nonna Concetta, i miei nonni Vincenzo e Serafina, le mie

fantastiche zie, per volermi costantemente un bene infinito.

Grazie a Pietro e Giuseppe, mitici e insostituibili coinquilini, per la

compagnia, l’amicizia, l’appoggio, le risate indimenticabili, le sfide a Pro

Evolution alla playstation (ma non per il vostro sorriso beffardo dopo le

partite ), per gli innumerevoli pranzi e cene, per le pizze del sabato

sera, i nostri viaggi enogastronomici in giro per la Toscana, per le

discussioni che ci hanno permesso di conoscerci meglio e la pace fatta

con un semplice abbraccio! Non dimenticherò mai le partite della

Juventus viste insieme, le esultanze esagerate, le incazzature; Grazie di

cuore a te Pietro, per la meravigliosa persona che sei, per avermi

trattato sempre come un fratello. Ricorderò sempre con un sorriso il

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giorno che ti ho conosciuto per la prima volta quando ho aperto quella

porta, quando sei venuto a vedere per la prima volta la casa. Spero con

tutto me stesso che d’ora in avanti la nostra amicizia possa solo

rafforzarsi.

Grazie a tutti gli amici di questi anni. A Rosi per la nostra amicizia

costruita in questi anni. A Martina, ai ragazzi della mariscoglio…Marco,

Valentina, Ilaria, Frank, Piero, Ciccio, il “Dottore”, Andrea, Carlo,

Krizia, Sara e tutti gli altri… Con voi ho trascorso momenti bellissimi,

tutti voi avete lasciato un ricordo indelebile nel mio cuore. Spero

vivamente che il tempo non ci faccia dimenticare l’uno dell’altro

nonostante le strade diverse che ci si presenteranno davanti.

Grazie a te cara Pisa… Ti ho portata sempre nel mio cuore, fin dal

giorno in cui ho deciso di trasferirmi qui per vivere una nuova

esperienza, un nuovo percorso di vita. Sono stati anni splendidi in cui è

accaduto di tutto: ho gioito, riso, pianto sofferto; mi hai permesso di

crescere, maturare e di conoscere nuove fantastiche persone, oggi amici

preziosissimi.

Infine, un semplice grazie a me stesso… per non aver mai mollato!

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