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Università degli Studi Mediterranea di Reggio Cal. Corso di Laurea … · 2014. 1. 11. · astap n...

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Università degli Studi Mediterranea di Reggio Cal.

Facoltà di Ingegneria

Corso di Laurea in Ingegneria Elettronica

Il Problema dello Scattering

Elettromagnetico:

la Diagonalizzazione degli

Operatori Non Autoaggiunti.

‡ † ‡

Tesi di Laurea

Relatori: Candidato:

Ing. Giovanni Angiulli Salvatore TringaliIng. Mario Versaci

Anno Accademico 2003 - 2004

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Tringali Salvatore Tesi di Laurea, A.A. 2003-2004

Quando l'Amore vi chiama, voi seguiteLo. Anche se le Sue vie sono duree scoscese. E quando le Sue ali vi avvolgono, voi adatevi a Lui. Anche sela lama nascosta fra le piume può ferirvi.

E quando vi parla, abbiate fede in Lui, anche se la Sua voce può distrug-gere tutti i vostri sogni. Poiché l'Amore come v'incorona così vi crocigge.E come vi fa orire, così pure vi recide.

Come covoni di grano in sé vi accoglie. Vi batte nché non sarete spogli.Vi staccia per liberarvi dai gusci. Vi macina per farvi neve. Vi lavora comepasta n quando non siate cedevoli. E vi ada alla Sua sacra amma per-ché diveniate il pane sacro della mensa di Dio. Tutto questo compie in voil'Amore, anché possiate conoscere i segreti del vostro cuore e in questaconoscenza farvi frammento del cuore della vita.

Ma se per paura cercherete nell'Amore unicamente la pace e il piacere,allora meglio sarà per voi coprire la vostra nudità e uscire dai suoi cortili, nelmondo senza stagioni, dove riderete, ma non tutto il vostro riso, e piangerete,ma non tutte le vostre lacrime.

L'Amore non dà nulla fuorché se stesso e non attinge che da se stesso.L'Amore non possiede né vorrebbe essere posseduto; poiché l'Amore basta al-l'Amore. Quando amate non dovreste dire: Ho Dio nel cuore, ma piuttosto:Io sono nel cuore di Dio. E non crediate di guidare l'Amore.

L'Amore non desidera altro che compiersi. Ma se amate e se è inevitabileche abbiate desideri, i vostri desideri non siano altri che questi: di dissolvervie imitare i umi che cantano alla notte la propria melodia. Di conoscere lapena di troppa tenerezza. D'essere tratti e sanguinare con gioia.

Di destarvi all'alba con il cuore alato e rendere grazie per un altro giorno;di riposare nell'ora del meriggio e meditare sull'estasi d'amore; grati, di rin-casare alla sera; e addormentarvi con una preghiera in cuore per l'amato eun canto di lode sulle labbra. ∼ Gibran Kahlil, da Il Profeta

Ai miei straordinari genitori, per tutte le emozioni che mi hanno regalato,per i sacrici di tutta una vita e per l'immenso Amore che gli porto.

A mia sorella, che non smette mai di illuminare i nostri giornicoi suoi sorrisi e la luce dei suoi grandi occhi bruni.

A un angelo, venuto dal cielo, per mostrarmitramonti che mai avevo conosciuto.

A tutte le persone care.Grazie!

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Indice

Prolo tesi 4

1 Il problema dello scattering. 91.1 Le equazioni di Maxwell. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101.2 L'equazione delle onde in forma vettoriale. . . . . . . . . . . . 111.3 Rappresentazione mediante potenziali. . . . . . . . . . . . . . 121.4 Campi lontani e condizioni di radiazione. . . . . . . . . . . . . 131.5 La rappresentazione della corrente equivalente. . . . . . . . . 161.6 Discontinuità e sorgenti di supercie. . . . . . . . . . . . . . . 171.7 Il caso cilindrico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

2 Fondamenti di Analisi Lineare. 252.1 Spazi normati e spazi dotati di prodotto. . . . . . . . . . . . . 262.2 Spazi di Banach e di Hilbert. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 292.3 Il principio dell'approssimante ottimale. . . . . . . . . . . . . 332.4 Peculiarità degli spazi L2. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34

3 Gli operatori lineari. 363.1 Nozioni di carattere generale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 373.2 Convergenza delle soluzioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 413.3 I funzionali lineari. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 423.4 La teoria spettrale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 443.5 Autovalori e autovettori. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 443.6 Le proprietà spettrali degli operatori. . . . . . . . . . . . . . . 453.7 Espansioni spettrali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 473.8 La diagonalizzazione dell'EFIE. . . . . . . . . . . . . . . . . . 49

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4 Il processo di discretizzazione. 504.1 Giù dall'innito... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 514.2 I problemi deterministici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 524.3 Il metodo di Galerkin. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 544.4 La discretizzazione dell'EFIE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 554.5 L'esempio del cilindro conduttore. . . . . . . . . . . . . . . . . 594.6 Il calcolo della matrice di impedenza. . . . . . . . . . . . . . . 624.7 Il calcolo del campo lontano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 654.8 Il cilindro non omogeneo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 664.9 Il caso generale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72

5 La teoria pseudospettrale. 765.1 Overview del problema. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 775.2 Spettri e pseudospettri. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 805.3 Introduzione all'uso dell'EigTool. . . . . . . . . . . . . . . . . 835.4 Matrici e operatori di Toeplitz. . . . . . . . . . . . . . . . . . 845.5 Il caso del cilindro conduttore. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 885.6 Lo speed-up computazionale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 915.7 Un codice per computare gli pseudospettri. . . . . . . . . . . 93

Conclusioni 95

Bibliograa 96

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Profilo tesi.

La crescente varietà dei modelli matematici adottati nella descrizione dellafenomenologia naturale, come pure nella progettazione e realizzazione di si-stemi articiali sempre più strutturati e complessi, si manifesta in tutta la suaprepotente attualità nella sda imposta alla scienza del nostro tempo dallanecessità di sviluppare metodologie e linguaggi nuovi e rivoluzionari ondearontare compiutamente l'ampia gamma di problemi di natura differenziale,integrale o integro-dierenziale la cui soluzione, quantomeno nei termini delcalcolo ordinario, solo in pochi rarissimi casi e fortunati risulta esprimibile informa chiusa analitica. E la sda acquista tanto più i sapori e i connotati diun'esigenza di valore tutt'altro che meramente speculativo quando si inquadriquesta considerazione nel contesto generale delle innumerevoli situazioni diinteresse proprie del settore ingegneristico, là dove sia richiesto di descrivere,per ragioni di varia e molteplice natura e in ambiti fra loro così diversicatida non poterne neppure immaginare un elenco completo, il comportamentodi tipici processi evolventi nella dimensione del tempo continuo.

Gli esempi illustri di certo non scarseggiano, e abbracciano un po' tut-ti i campi della scienza: dai problemi di stabilità strutturale ai fondamentie alle applicazioni della maccanica quantistica, dai modelli di rappresen-tazione utilizzati in ambito socio-democraco per descrivere l'evoluzione diuna popolazione allo studio delle leggi di apprendimento proprie delle intel-ligenze articiali, dalla chimica dei materiali alla cinematica del moto, pergiungere nalmente ai fenomeni di carattere elettromagnetico, e quindi agliinteressi dell'elettronica, della campistica, delle telecomunicazioni.

Ebbene, il presente lavoro di tesi tenta appunto di descrivere una metodo-logia risolutiva unitariamente applicabile ad ogni sorta di equazioni integro-dierenziali, partendo da considerazioni ben più generali attinenti lo studiodelle equazioni operatoriali e la loro risoluzione numerica, specicamente nelcaso di problemi a dimensione innita, attraverso il metodo di discretizza-zione dei momenti e la conseguente ricostruzione della soluzione al problemaoriginario come limite di un'opportuna successione di approssimanti calcolatein riferimento alla sua più semplice controparte discreta.

Quest'ultimo aspetto del problema, in particolare, costituisce, seppur nel-la modestia del risultato ottenuto, la chiave di lettura del carattere sperimen-tale della presente trattazione, che, avvalendosi delle funzionalità di base già

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disponibili in ambiente MatLab e di un tool graco sviluppato da un gruppodi ricerca dell'Università di Oxford, si propone di evidenziare come, ancheammettendo idealmente di poter risolvere tutte le complicanze connesse aglierrori di arrotondamento e alle instabilità proprie degli algoritmi, la soluzionenumerica di un problema operatoriale possa risultare, in generale, inadabileo inattendibile, in funzione di precise condizioni al contorno.

E ciò viene vericato, giusto a titolo esemplicativo, ché si tratta di fattodi una constatazione di carattere molto più generale, con riferimento al casospecico dello scattering da parte di un conduttore elettrico ideale di formacilindrica, mostrando per via analitica che l'operatore lineare che ne descriveil modello matematico è non autoaggiunto, quindi non diagonalizzabile, e purtuttavia che la sua controparte nito-dimensionale (una matrice), ottenutaper proiezione su uno spazio di tipo Rn×n tramite il metodo dei momenti,possiede viceversa una forma diagonale di Schur.

Il che solleva tutta una serie di problematiche di notevole interesse praticoattinenti i mezzi onde giusticare, senza tuttavia ricorrere a un'indagine ditipo prettamente teoretico incentrata sull'analisi delle proprietà degli opera-tori coinvolti, la possibilità di transitare ecacemente dal problema innito-dimensionale alla dimensione discreta nonché, soprattutto, di praticare ilprocesso inverso, risalendo la china dell'innito per ricostituire la soluzionedi una equazione operatoriale (per esempio, un'integro-dierenziale) a partiredalla soluzione di un più accessibile sistema nito di equazioni lineari.

Di fatto, come accennato, la tesi si sviluppa attorno all'applicazione diqueste e altre considerazioni a margine al calcolo del campo irradiato nellospazio vuoto da un'assegnata distribuzione di sorgenti elettromagnetiche, inpresenza di un conduttore elettrico ideale di cui sia nota la forma, e piùprecisamente la geometria di supercie. Tuttavia, è il caso di ribadire chel'applicazione descritta, quantunque di per sé profondamente interessante,ché in eetti tanta prolica letteratura è stata dedicata negli anni all'ar-gomento, costituisce più che altro un'occasione, come tante, per testare sulcampo (sembra proprio il caso di dirlo) l'ecacia delle metodologie generalidi risoluzione ampiamente discusse nel corso dell'intera trattazione.

L'introduzione al problema elettromagnetico in sé è appunto adata alcapitolo primo. Qui, una volta esaurite le indispensabili premesse di caratteresico, si passa rapidamente a dedurre, a partire dal sistema delle equazionidi Maxwell, il modello matematico descrittivo del fenomeno dello scattering.

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Dopo aver dimostrato che il problema è riconducibile ad un'equazione opera-toriale di tipo integrale (EFIE) e averne fornito una specializzazione nel casodi conduttori cilindrici, se ne rimanda la soluzione ai capitoli successivi.

Nel capitolo 2 si passa quindi a presentare le nozioni fondamentali relativeall'analisi lineare negli spazi nito e innito-dimensionali, sul campo reale ocomplesso, che costituiscono la necessaria premessa allo sviluppo della teoriadegli operatori lineari, e fra questi degli operatori integro-dierenziali.

In particolare, in seno al capitolo, si discute degli spazi di Banach e diHilbert, e si introducono alcuni dei teoremi e delle proprietà che ne giusti-cano la peculiare dierenziazione da ogni altra struttura similare. Di questi,alcuni (i più elementari) sono corredati di dimostrazione, dacché - come giàebbe a sostenere Galerkin - è soltanto attraverso un proof ben articolatoche si può dichiarare senza presunzioni di aver aerrato l'essenza ultima d'unrisultato profondo e di averne estrinsecato al meglio tutte le potenzialità.

Nel capitolo 3 si passano quindi in rassegna gli aspetti più elementari ele nozioni di base della teoria degli operatori sugli spazi vettoriali, tanto nelcaso nito (operatori matriciali) quanto nel caso complementare degli spazilineari innitamente generati. Si pone soprattutto l'accento sul problema del-la decomposizione in forma canonica di Schur triangolare o diagonale, e sullecondizioni necessarie e/o sucienti a garantirne l'attuabilità. In particolare,si descrivono compiutamente le proprietà di aggiunzione, autoaggiunzione enormalità degli operatori, chiave di volta dell'intero lavoro di tesi. Si dimostrain tal senso come l'operatore integrale che denisce il modello matematico de-scrittivo del fenomeno dello scattering cilindrico è un operatore non normale,quindi non diagonalizzabile.

Dopo una rapida introduzione ai principi della teoria spettrale e unarassegna dei principali risultati teorici ad essa pertinenti (fra questi, i teoremidi Hilbert ed Hilbert-Schmidt), si discute in chiusura del capitolo la soluzioneanalitica al problema dello scattering elettromagnetico nel caso specico diun conduttore cilindrico di sezione circolare, e se ne sottolineano le particolaripeculiarità rispetto al caso generale.

Il capitolo 4 è dedicato interamente al processo di discretizzazione delleequazioni operatoriali mediante il metodo dei momenti, con la conseguenteriduzione del problema innito-dimensionale, formulato nei termini dell'ana-lisi lineare su un opportuno spazio di Hilbert, ad un problema nito-dimen-sionale, espresso nel più semplice linguaggio dell'algebra delle matrici.

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Ripetendo e ampliando un discorso già accennato nelle prime battute diquesta introduzione, si tratta sostanzialmente di riportare il problema opera-toriale ad un sistema lineare quadrato di dimensione opportuna, tipicamentessata sulla base sia delle risorse disponibili, i.e. il software in adozione ela potenza di calcolo, nel caso di una risoluzione numerica al calcolatore,che del grado di precisione desiderato. Si ottiene per questa via, risolto ilsistema algebrico lineare risultante, una soluzione approssimata del proble-ma originale, e nasce conseguentemente la necessità di poterne stabilire larispondenza e l'adabilità, cioè misurarne il discostamento dalla soluzioneanalitica esatta del problema di origine.

In generale, infatti, in dipendenza delle caratteristiche spettrali della ma-trice dei coecienti del sistema risolvente, come nondimeno della metodolo-gia di discretizzazione adottata, la soluzione numerica si discosta più o menosensibilmente dalla soluzione analitica (esatta, ancorché eventualmente nonesprimibile in forma chiusa) del problema operatoriale che l'ha generato.

Inoltre, nella pratica, è auspicabile che piccole variazioni sui parametrie le condizioni al contorno associate al problema operatoriale inducano per-turbazioni di entità confrontabile sulla soluzione del sistema lineare deter-minato dalla discretizzazione. E' questo il problema della stabilità, che ve-dremo, seppur in brevi battute, intimamente legata, una volta ancora, alleproprietà spettrali delle matrici e degli operatori in gioco, e in particolareall'allontanamento indesiderato dalla condizione di normalità.

Il resto del capitolo è dedicato alla discretizzazione dell'equazione inte-grale dedotta nel capitolo 1 per modellare il fenomeno dello scattering, conuna particolare attenzione rivolta al caso delle geometrie cilindriche.

La normalità e le misure di non-normalità, con la conseguente introdu-zione degli indici di Henrici, del range numerico e, non ultima, della teoriapseudospettrale, costituiscono inne l'oggetto della trattazione del capitoloconclusivo, dove si mettono a confronto i vari approcci al problema, sottoli-neando in modo particolare come lo studio degli pseudospettri rappresenti,fra tutti, lo strumento in grado di fornire le informazioni più attendibili egenerali circa la possibilità di risolvere con l'accuratezza desiderata un pro-blema operatoriale in dimensione innita tramite la sua proiezione su unospazio vettoriale hilbertiano nitamente generato.

Qui si presenta il software utilizzato per il computo numerico e la visualiz-zazione degli pseudospettri, e se ne utilizzano le potenzialità per evidenziare

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come il modello discretizzato dell'EFIE, con riferimento particolare al casocilindrico, fornisce una soluzione approssimata che è scarsamente aderentealla soluzione eettiva dell'equazione operatoriale.

In quest'ottica, s'illustra passo passo la procedura da seguire onde estra-polare dai diagrammi risultanti le informazioni utili per stabilire se la succes-sione delle approssimanti discrete denisce un modello fedele nella soluzionedel problema elettromagnetico, oppure se il grado di non normalità dell'op-eratore integrale, funzione (come vedremo) della geometria del conduttore,introduce nella transizione alla dimensione nita un property lack tale dapregiudicare la convergenza della soluzione discreta alla soluzione analiticaesatta, quando la dimensione delle approssimanti sia fatta tendere all'innito.

Si esibisce inne il codice MatLab sviluppato nel corso di questi mesidi studio per il computo numerico degli pseudospettri, in alternativa al toolutilizzato, solo in virtù della più accattivante resa graca degli output, nelplottaggio dei diagrammi di cui è corredato il capitolo conclusivo, eviden-ziando in particolare come l'utilizzo di tutta una serie di proprietà algebrichedelle matrici studiate solo nel corso degli ultimi anni consenta di fatto di ac-crescere l'ecienza del prodotto nale, riducendo i tempi di calcolo di unfattore 4 rispetto ai classici algoritmi basati sulla decomposizione SVD.

La tesi si conclude con una breve discussione delle possibili prospettivedi ricerca conseguenti o complementari ai contenuti della trattazione.

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Capitolo 1

Il problema delloscattering.

Nel corso di questo primo capitolo, al quale è adato essenzialmente il com-pito di presentare le problematiche di carattere applicativo cui si rivolge ilcontenuto del presente lavoro di tesi, si fornisce una descrizione rapida ep-pur completa del fenomeno dello scattering elettromagnetico da parte di unconduttore elettrico ideale di cui sia nota la geometria di supercie.

Partendo dalle relazioni fondamentali di Maxwell e dopo aver introdottole equazioni delle onde in forma scalare e vettoriale, si accenna alla possibilitàdi risolvere il modello dierenziale risultante attraverso l'impiego di oppor-tuni potenziali vettoriali e scalari, secondo un approccio classico descritto daun po' tutti gli autori della letteratura specialistica dedicata all'argomento.

Ciò premesso, si procede quindi a sviluppare la riformulazione del prob-lema maxwelliano attraverso il metodo delle correnti equivalenti, fondamen-tale nella risoluzione dello specico problema dello scattering. Alla prova deifatti, questo viene introdotto in modo piuttosto indiretto, anche allo scopodi garantire un maggior grado di generalità alle considerazioni svolte nellebattute preliminari del capitolo.

Che i primi riferimenti al fenomeno in quanto tale, in eetti, attengonoa un caso piuttosto particolare, il che si potrebbe ritenere, e a giusto titolo,una perdita di generalità nella logica del discorso. Senonché, pur tuttavia,l'esempio specico cui ci si è rivolti, per molti versi, esemplica fedelmentela situazione del caso generale e si scopre particolarmente appropriato aquello che costituisce, in ultima analisi, l'obiettivo reale di questa trattazione:mostrare come la risoluzione numerica dei problemi operatoriali, ben al dilà delle più classiche problematiche connesse agli errori di arrotondamento

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ed alle instabilità interne degli algoritmi di cui sia fatto impiego, risulti inalcune circostanze fortemente inattendibile, e debba essere di conseguenzaavvalorata a monte da un adeguato studio teoretico del problema originale.

Ebbene, perseguendo la logica qui brevemente accennata, il capitolo rip-iega a questo punto sullo studio dello scattering da parte di un corpo con-duttore di forma cilindrica. E qui non ci si risparmia sui dettagli di caratterematematico, ché la matematica gioca senza dubbio un ruolo assolutamentecentrale nei contenuti di questo scritto, per giungere inne alla formulazionedel problema nei termini di un'equazione operatoriale (precisamente, un'e-quazione integrale), la cui risoluzione viene discussa nel corso dei successivicapitoli 3 e 4, vuoi per via analitica, nel caso di un conduttore cilindricocircolare, vuoi per via numerica, in riferimento al caso generale.

Inne, prima di procedere, una piccola nota di carattere tipograco: alsolo ne di enfatizzare alcuni aspetti e accrescere la leggibilità del testo, inseno a questo primo capitolo, senza neppure troppa originalità, si è scelto diindicare le quantità vettoriali e tensoriali in grassetto e gli scalari in carat-tere tondo. Questa convenzione graca verrà abbandonata già a partire dalcapitolo 2, poiché di fatto poco funzionale ai contenuti della restante partedella trattazione.

1.1 Le equazioni di Maxwell.

Nell'assunzione che l'evoluzione temporale dei campi elettromagnetici abbiaun andamento armonico del tipo ejωt, le leggi di Faraday e di Ampere delsistema di Maxwell assumono (nel dominio della frequenza) la forma:

∇×E = −jωµ ·H −Mυ (1.1)∇×H = jωε ·E + Jυ (1.2)

ove E ed H rappresentano, rispettivamente, i campi elettrico e magneticoe Jυ ed Mυ le densità di corrente volumiche elettrica e magnetica. Si è quiammesso inoltre che, per generalità, la permettività dielettrica del mezzoε = εrε0 e la permeabilità magnetica µ = µrµ0 sia funzioni diadiche dellaposizione, di modo tale che i parametri medi corrispondenti possano purerisultare, eventualmente, disomogenei e anisotropi. Incidentalmente, ricor-diamo che la costante dielettrica del vuoto vale ε0 ≈ 8.85419 × 10−12F/m

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e la sua permeabilità µ0 = 4π × 10−7H/m. La forma elettrica e magneticadelle leggi di Gauss sono quindi espresse dalle relazioni:

∇ ·D = qυ (1.3)∇ ·B = mυ (1.4)

ove qυ edmυ sono, rispettivamente, le densità volumetriche di carica elettricae magnetica. Le correnti elettrica e magnetica Jυ ed Mυ sono legate allecorrispondenti quantità di carica dalle equazioni di continuità:

∇ · JD = −jωqD (1.5)∇ ·BD = −jωmD (1.6)

ove il pedice D = C,S,V denota, rispettivamente, densità di correnti o dicarica lineari, di supercie o di volume, e l'operatore di divergenza assumeconseguentemente l'opportuna dimensionalità.

1.2 L'equazione delle onde in forma vettoriale.

Applicando la divergenza ai due membri delle relazioni (1.1) e (1.2) e sfrut-tando l'identià secondo cui: ∇ · (∇ × A) = 0, si trova che, unitamente alleequazioni di continuità, le (1.1) e (1.2) includono automaticamente le leggi diGauss per le cariche elettrica e magnetica, quando sia ω 6= 0, il che consentedi ridurre di un paio d'unità il numero delle equazioni linearmente indipen-denti del sistema maxwelliano nell'ipotesi di campi armonici nel tempo. Ora,eliminando i campi H ed E dalle leggi di Faraday e Ampere si giunge adottenere le equazioni delle onde in forma vettoriale, ossia:

∇× (µ−1r ·∇×E)− k2

0εr ·E = −jωµ0Jυ −∇× (µ−1r ·Mυ) (1.7)

∇× (ε−1r ·∇×H)− k2

0µr ·H = −jωε0Mυ −∇× (ε−1r · Jυ) (1.8)

l'una e l'altra relative, rispettivamente, al campo elettrico e al campo ma-gnetico (k0 è il numero d'onda).

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1.3 Rappresentazione mediante potenziali.

Il teorema di Helmotz garantisce la possibilità di rappresentare i campielettrico e magnetico in termini di potenziali vettore, secondo le relazioni:

E = −jωA−∇Φ− 1ε∇× F , (1.9)

H = −jωF −∇Ψ +1µ

∇×A, (1.10)

ove, limitatamente almeno ai mezzi isotropi e omogenei, le funzioni:

A = µ

∫D

JD(r′)G(r, r′)dD′ (1.11)

F = ε

∫D

MD(r′)G(r, r′)dD′ (1.12)

Φ =1ε

∫DqD(r′)G(r, r′)dD′ (1.13)

Ψ =1µ

∫DmD(r′)G(r, r′)dD′ (1.14)

descrivono, rispettivamente, i potenziali vettore e i potenziali scalari relativoal campo elettrico e magnetico. Il dominio D di integrazione specicato inseno alle relazioni precedenti può rappresentare un volume V, una supercieS o una curva C. In un mezzo caratterizzato da un numero d'onda k = ω

√εµ,

la diade scalare di Green tridimensionale G(r, r′) è la funzione potenziale:

G(r, r′) =1

4πRe−jkR (1.15)

ove R :=| r − r′ | è la distanza fra una sorgente puntiforme unitaria localiz-zata in r′ e un punto di osservazione generico di posizione r = xx+yy +zz.Se il dominio, le sorgenti e i campi sono invarianti rispetto a z, il problemadiviene bidimensionale e gli integrali dei potenziali si scrivono nella forma:∫

D(·)G(r, r′)dD′ =

∫Dz

∫ +∞

−∞(·)G(r, r′)dz′dD′

z =∫Dz

(·)G(ρ,ρ′)dD′z

ove gli integrali su D = V o S diventano integrali sull'intersezione Dz deldominio con il piano x-y (rispettivamente, nei due casi indicati, una supercie

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e una curva). L'identità di Green:

G(ρ,ρ′) =H

(2)0 (kD)

4j=∫ +∞

−∞

14πR

e−jkRdz′ =∫ +∞

−∞G(r, r′)dz′ (1.16)

consente di rimpiazzare la diade di Green tridimensionale G(r, r′) del mezzo,supposto omogeneo, con la sua controparte 2-dimensionale G(ρ,ρ′). Nella(1.16), D =| ρ − ρ′ | è la distanza nel piano x-y fra una sorgente lineareunitaria localizzata in ρ′ ed un punto di osservazione in ρ = xx + yy, eH

(2)0 (u) è la funzione di Hankel di seconda specie e ordine zero.

1.4 Campi lontani e condizioni di radiazione.

In tre dimensioni, i potenziali vettore del campo lontano assumono la forma:

Ar→∞−→ µ

4πre−jkr

∫D

JD(r′)ejkrdD′ (1.17)

Fr→∞−→ ε

4πre−jkr

∫D

MD(r′)ejkrdD′ (1.18)

dove r = x cosφ sin θ+y sinφ sin θ+z cos θ è il versore radiale nella direzionedell'osservatore (θ, φ) in un sistema di riferimento in coordinate sferiche. Intermini dei potenziali, i campi elettrico e magnetico in regione lontano sonoespressi poi dalle relazioni:

E = jωr × (r ×A) + jωη(r)× F , (1.19)H =

1ηr ×E =

−jωη

(r ×A) + jωr × (r × F ) (1.20)

o equivalentemente:

E = −jω(θθ + φφ) ·A + jωη(φθ − θφ) · F , (1.21)H = −jω(θθ + φφ) · F + jωη(θφ− φθ) ·A (1.22)

ove θ = x cosφ cos θ + y sinφ cos θ − z sin θ, φ = −x sinφ+ y cosφ e inneη =

√µ/ε è l'impedenza caratteristica del mezzo. Si osservi esplicitamente

come i campi soddisno la forma vettoriale delle condizioni di radiazione

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all'innito:

limr→∞

r

(r ×H +

E

η

)= 0, lim

r→∞r(r ×E − ηH) = 0,

necessarie per garantire l'unicità delle soluzioni alle equazioni di Maxwellrelativamente a regioni illimitate dello spazio (il cosiddetto problema ester-no). La funzione di Green che gura nelle rappresentazioni dei campi me-diante potenziali verica, similmente, la versione scalare della condizione diradiazione:

limr→∞

r

(∂U

∂r+ jkG

)= 0,

la quale assicura in cambio che i campi ottenuti dai potenziali mediante leequazioni (1.21) e (1.22) soddisno automaticamente la forma vettoriale dellemedesime condizioni di radiazione.

Se E e H rappresentano i campi scatterati da un oggetto illuminatoda un un'onda incidente piana Einc che viaggia secondo la direzione delversore k, la sezione radar bistatica trasversa nella direzione r è espressadalla relazione:

σ(r, k) = limr→∞

4πr2| E |2

| Einc |2.

Tale sezione viene denita come l'area attraverso cui l'onda incidente pianariessa dallo scatteratore trasferirebbe un'energia per unità di supercie suf-ciente a produrre, mediante irraggiamento omnidirezionale, la stessa densitàdi potenza associata al campo riesso e misurata da un osservatore idealelungo una direzione specica relativa al campo lontano.

In particolare, si denisce la sezione radar monostatica trasversa come lasezione radar trasversale σ(−k, k) relativa alla direzione di back scattering.Un'analoga quantità di interesse è poi la sezione trasversa di scattering totale:

σt(k) =η

| Einc |2<(∫

D| Einc |2 ·J∗

D dD),

ove l'asterisco denota qui l'operazione di coniugio. Tale sezione trasversa èdenita come il rapporto fra la potenza totale del segnale scatterato e ladensità di potenza dell'onda incidente.

Ciò detto, rivolgiamo a questo punto le nostre attenzioni sui campi pla-nari. Ebbene, in due dimensioni, i potenziali vettore del campo lontano

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assumono la forma:

Ar→∞−→ µ√

8πkρe−j(kρ + π

4)

∫D‡

JD(ρ′)ejkρ ·ρdD′z (1.23)

Fr→∞−→ ε√

8πkρe−j(kρ + π

4)

∫D‡

MD(ρ′)ejkρ ·ρdD′z (1.24)

e i campi risultano determinati di conseguenza dalle relazioni:

E = jωρ× (ρ×A) + jωη(ρ)× F , (1.25)H =

1ηρ×E =

−jωη

(ρ×A) + jωρ× (ρ× F ) (1.26)

o equivalentemente:

E = −jω(φφ + zz) ·A + jωη(zφ− φz) · F , (1.27)H = −jω(φφ + zz) · F + jωη(φz − zφ) ·A, (1.28)

ove ρ = φ×z = x cosφ+y sinφ rappresenta il versore radiale di un sistema dicoordinate cilindriche nella direzione dell'angolo di osservazione φ, misuratoquest'ultimo rispetto all'asse x. Le condizioni di radiazione, poi, diventano:

limρ→∞

√ρ

(r ×H +

E

η

)= 0, lim

ρ→∞

√ρ (r ×E − ηH) = 0.

In due dimensioni, la sezione radar bistatica trasversa relativa allo scatteringda parte di un oggetto cilindrico illuminato da un'onda incidente Einc cheviaggi nella direzione del versore k della normale all'asse del cilindro è datada:

σ(ρ, k) = limρ→∞

2πρ| E |2

| Einc |2.

e rappresenta l'apertura equivalente attraverso cui l'onda piana incidentetrasporta una potenza suciente a produrre, mediante irraggiamento omni-direzionale, la stessa densità di potenza del campo scatterato misurata daun osservatore ideale posto lungo una precisa direzione del campo lontano.Come caso particolare, σ(−k, k indica la sezione radar monostatica trasver-sa 2-dimensionale. La sezione trasversa di scattering totale è espressa innedalla relazione:

σt(k) =η

| Einc |2<(∫

Dz

| Einc |2 ·J∗D dDz

),

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ed è denita per le simmetrie cilindriche come il rapporto fra la potenzatotale del segnale scatterato per unità di lunghezza e la densità di potenzadell'onda incidente.

1.5 La rappresentazione della corrente equivalente.

Il principio di equivalenza alle superci è tipicamente applicato per descrivereil campo elettromagnetico a mezzo di un'equazione integrale sui punti di unasupercie S, sica o ideale, di separazione fra due regioni dello spazio. Ingenere, la formulazione del problema necessita la conoscenza delle relazionicostitutive, e quindi della diade di Green, relative ad almeno una fra ledue regioni in questione, o quantomeno della porzione dello spazio ottenutaestendendo opportunamente i parametri materiali di una regione nella suacomplementare, in prossimità della supercie.

Naturalmente, S può essere scelta o in modo del tutto arbitrario o sullabase di opportune proprietà che la caratterizzano - spesso si tratta, per es-empio, della supercie sica di uno scatteratore o di una porzione omogeneadi materia. Per quel che ci riguarda, assumeremo per il seguito che S sia unasupercie chiusa, di estensione limitata e regolare, di modo tale che, puntoper punto, sia univocamente denito il versore della normale uscente n, equindi il piano tangente. La regione interna ad S verrà denotata con V−,mentre la porzione di spazio esterna verrà indicata, dualmente, con V+.

Siano (E+,H+) i campi in V+. In eetti, mostreremo che, nel calcolo delcampo scatterato dalla supercie, quando questa rappresenti il prolo di unconduttore elettrico ideale, è suciente la conoscenza delle sole componentitangenziali dei campi su S e delle sorgenti J+

D in V+ che li hanno generati.Se difatti deniamo le corenti equivalenti di supercie, elettrica e magnetica,ponendo rispettivamente:

J+S = n×H+, M+

S = E+ × n,

il principio di equivalenza ci garantisce allora che, nell'ipotesi in cui valgail principio di sovrapposizione degli eetti, il campo totale irradiato dallecorrenti di supercie equivalenti J+

S ed M+S su S e dalle sorgenti J+

D in V+ èproprio il campo originale (E+,H+). Inoltre, il campo totale prodotto dalle

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Figura 1.1: Correnti equivalenti per (a) la regione esterna e (b) la regione interna.

sorgenti equivalenti e da quelle esterne alla supercie S svanisce in V−, comesinteticamente riassunto in gura (1.1.a).

Una forma duale del principio di equivalenza alle superci si può formu-lare in riferimento alla regione interna ad S. Consideriamo infatti un secondoinsieme di campi (E−,H−), eventualmente del tutto incorrelati ai preceden-ti. In particolare, ammettiamo che siano note le componenti tangenziali diE− ed H− su S e la distribuzione delle sorgenti, interne al volume V−, cheli hanno generati. Le correnti di supercie equivalenti, elettrica e magnetica,denite rispettivamente dalle relazioni:

J−S = −n×H−, M−

S = −E− × n,

congiuntamente alle sorgenti J−D della regione V− producono allora il campooriginale (E−,H−) in ogni punto interno ad S e nullo ovunque al di fuoridi S. Questa seconda formulazione del principio di equivalenza è illustratain gura (1.1b).

1.6 Discontinuità e sorgenti di supercie.

L'applicazione di precise condizioni al contorno in corrispondenza delle in-terfacce materiali ove si utilizzano le correnti equivalenti di supercie per larappresentazione del campo elettromagnetico porta generalmente a un set diequazioni integrali, la cui formulazione richiede particolare attenzione in tutti

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quei casi in cui le componenti di supercie dei campi risultino giust'appuntodiscontinue sulle frontiere.

Nelle rappresentazioni integrali a mezzo dei potenziali, tali discontinu-ità sono eventualmente associate a quei termini che coinvolgono le derivatedi funzioni diadiche di Green il cui comportamento è assimilabile ad unadistribuzione delta 3-dimensionale di Dirac δ(r − r

′), per un punto di os-

servazione r che si avvicina progressivamente ad una sorgente puntiformelocalizzate in r

′ . Le proprietà di campionamento della delta di Dirac sul-la funzione integranda consentono di rimuovere esplicitamente dall'integraleogni contributo legato alla valutazione delle sorgenti in corrispondenza delpunto di osservazione. In tal modo, se E e H sono i campi irradiati dallesorgenti di supercie equivalenti JS ed MS su S, allora i campi sono dotatidel susseguente valor limite, calcolato lasciando tendere un punto genericor ∈ R3 ad un punto regolare (liscio) su S:

limr↓↑S

E = ±n×MS2± n

qS(r)2ε− jωA− 〈∇Φ〉 − 1

ε〈∇× F 〉

limr↓↑S

H = ±n× JS2± n

mS(r)2µ

− jωF − 〈∇Ψ〉+ 1µ〈∇×A〉,

ove `↓' indica che S viene abbordata dal lato della regione in cui è puntatoil versore della normale uscente, mentre `↑' denota, dualmente, che la stessasupercie viene invece approssimata dal lato opposto. Le derivate dei poten-ziali racchiuse fra le parentesi angolari risultano discontinue in corrisponden-za dei punti di S, e le parentesi sono utilizzate pertanto a rappresentare ilvalor medio di una funzione discontinua calcolato ammettendo che il vettoreposizione r si approcci alla supercie S da lati opposti rispetto alla normale.

Si vede che i termini di sorgente che gurano esternamente agli integralidei potenziali sono completamente sucienti a descrivere le discontinuità deicampi (le derivate dei potenziali) in termini di sorgenti di supercie, secondole relazioni:

limr↓S

E − limr↑S

E = n×MS + nqSε

limr↓S

H − limr↑S

H = −n× JS + nmSµ

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Del resto, gli integrali dei potenziali medi possono essere scritti nella forma:

〈∇ ×A〉 = −µ∫S

JS(r′)×∇G(r, r

′)dS ′

〈∇ × F 〉 = −ε∫S

MS(r′)×∇G(r, r

′)dS ′

〈∇Φ〉 = − 1jωε

∫S

∇′ · JS(r′)∇G(r, r

′)dS ′

〈∇Ψ〉 = − 1jωµ

∫S

∇′ ·MS(r′)∇G(r, r

′)dS ′

a condizione di tener conto del fatto che questi ultimi, in quanto ottenuti perintegrazione, non portano con sé più alcuna informazione circa il comporta-mento singolare dei campi in corrispondenza del punto r

′ sulla supercie. Inaltri termini, gli integrali rappresentano il contributo ai potenziali relativo atutti i punti di S ad eccezione del punto isolato r

′ .

1.7 Il caso cilindrico.

Consideriamo una corrente elettrica Jz che ecciti una corrente superciale suun conduttore cilindrico ideale di sezione trasversale uniforme. Assumiamoche la geometria del cilindro e la sorgente siano indipendenti dalla coordinataz del riferimento cartesiano ortonormale Oxyz introdotto.

Supponiamo di voler calcolare i campi in un punto generico P (ρ), ove sipone al solito ρ := xx+ yy + zz. Dalle equazioni di Maxwell ai rotori:

∇×H = zJz + jωε0E (1.29)∇×E = −jωµ0H (1.30)

L'operatore di rotore è composto da una componente trasversa ∇t, paral-lela al piano xy, e da una componente longitudinale diretta secondo la di-rezione z dell'asse cilindrico, di modo che può porsi: ∇ = ∇t + ∂/∂z = ∇t,poiché la simmetria del problema garantisce che sia soddisfatta la condizione∂/∂z = 0. Scomponendo allora i campi nelle rispettive componenti trasversae longitudinale, sulla base delle relazioni: E = Et + zEz e H = Ht + zHz, le

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equazioni (1.29) e (1.30) si possono riscrivere equivalentemente nella forma:

∇t ×Ht + ∇t × zHz = zJz + jωε0E (1.31)∇t ×Et + ∇t × zEz = −jωµ0H (1.32)

Eguagliando le componenti trasverse e le componenti parallele a z ai duemembri delle precedenti relazioni, si ottengono così i susseguenti sistemi:

∇t ×Ht = z(Jz + jωε0Ez) (1.33)∇t × zEz = −jωµ0Ht (1.34)

nel caso TMz, e del tutto similmente:

∇t ×Et = −zjωµ0Hz (1.35)∇t × zHz = jωε0Et (1.36)

nel caso duale di polarizzazione TEz. Il primo sistema descrive il campodeterminato dalla corrente Jz, mentre nel secondo, viceversa, non è presentealcun termine di eccitazione. Di conseguenza: Et = Hz = 0. Prendendo allorail rotore dei due membri della (1.34) e sostituendo di conseguenza la (1.33)nella relazione così dedotta, si trova pertanto che:

−jωµ0z(Jz + jωε0Ez) = ∇t ×∇t × zEz = ∇t(∇t · zEz)−∇2t (zEz)

ove si è fatto uso di una ben nota identità vettoriale per espandere l'espres-sione rotoriale al membro di mezzo. Ora, d'altro canto: ∇t · zEz = 0, epertanto il primo dei due sistemi sopra indicati assume la forma:

∇2tEz + k2Ez = jωµ0Jz (1.37)

Ht = − 1jωµ0

∇t × zEz =1

jωµ0z ×∇Ez (1.38)

dove k2 = ω2µ0ε0. La procedura consiste a questo punto nel risolvere l'e-quazione alle derivate parziali (1.37) per ricavare Ez. Il campo risultantepuò essere quindi sostituito nella (1.38) per dedurre il campo magnetico Ht.Anticipando allora la simmetria della funzione di Green, si trova che:∫

Vg(∇2 + k2)EzdV =

∫VEz(∇2 + k2)gdV +

∫S(g∇Ez − Ez∇g) · ndS

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Il volume V consiste dell'intero spazio esterno al cilindro, mentre la supercieS comprende la supercie Sc del conduttore e la supercie all'innito S∞.Ebbene, si può dimostrare [DD 94] che gli integrali di supercie per z → ±∞sono nulli. Del resto, la funzione di Green soddisfa, per suo conto, è tale che:

−(∇2t + k2)g =

δ(ρ− ρ′

ρδ(φ− φ′) = δ(ρ− ρ′) (1.39)

con condizioni al contorno e/o condizioni al limite ancora da determinare.Viceversa, la continuità dei campi all'interfaccia impone sulla componentelongitudinale del campo elettrico le condizioni: Ez|Sc

= 0 e limρ→∞Ez = 0, dimodo che, imponendo che la funzione g di Green soddis analoghe condizionial limite, cioè che sia limρ→∞ g = 0, si deduce ancora (dalle precedenti) che:∫

Vg(∇2 + k2)EzdV =

∫VEz(∇2 + k2)gdV +

∫Sc

g∇Ez · ndS. (1.40)

E' il caso di sottolineare come non sia stato richiesto intenzionalmente chefosse g|Sc

= 0. Difatti, quantunque una scelta di questo tipo avrebbe elimi-nato completamente l'integrale di supercie, semplicando di conseguenza laformulazione del problema, pur tuttavia non avremmo potuto determinareuna soluzione analitica per la funzione di Green, eccetto che nel caso specialed'una sezione trasversa circolare. Ciò detto, osserviamo adesso che, datasil'invarianza con la coordinata z, ∇ si riduce a ∇t, e perciò - dalla (1.40):∫

Ag(∇2

t + k2)EzdA =∫AEz(∇2

t + k2)gdA+∫

sc

g∇tEz · nds, (1.41)

ove sc è il cammino di integrazione (curvilinea) rappresentato dalla frontieradella sezione trasversale del conduttore ed A l'area planare esterna ad sc.Svilupperemo parzialmente l'integrale di linea poco più avanti, nel corso diquesto stesso paragrafo. Per il momento, sostituendo le equazioni (1.37) e(1.39) nella (1.41), si trova - dopo opportuni riarrangiamenti - che:

Ez(ρ′) = −jωµ0

∫Ag(ρ,ρ′)Jz(ρ)dA+

∫sc

g(ρ,ρ′)∇tEz(ρ) · nds. (1.42)

D'altro canto, sulla base dell'equazione (1.38): z ×∇tEz = jωµ0Ht, sicché:z × (z ×∇tEz) = jωµ0z ×Ht. E utilizzando l'identità del triplo prodottovettore e il fatto che: z ·∇tEz = 0, si trae che: z × (z ×∇tEz) = −∇tEz.

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Moltiplicando allora scalarmente per il versore n della normale al contornosc relativa al piano di sezionamento:

n ·∇tEz = jωµ0n · (Ht × z) = jωµ0z · (n×Ht) = jωµ0Jsz

ove Jsz è la corrente equivalente indotta dai campi alla supercie del cilindro,parallelamente alla direzione z, espressa in ampere/m. Sostituendo questorisultato nella (1.42) e scambiando le coordinate prime con le coordinatenon prime, si trova che:

Ez(ρ′) = −jωµ0

∫Ag(ρ,ρ′)Jz(ρ′)dA′ +

∫sc

g(ρ,ρ′)Jsz(ρ′)ds′. (1.43)

Come già discusso, ancorché in minor dettaglio, in un precedente paragrafo,per il problema qui preso in considerazione, la funzione di Green diviene:

g(ρ,ρ′) =14iH

(2)0 (k | ρ− ρ′ |)

dove H(2)0 (·) denota la funzione di Hankel di seconda specie e ordine zero.

Assumendo a questo punto che la sorgente sia distribuita lungo un cavoliforme di sezione trascurabile collocato in posizione longitudinale alla co-ordinata ρ′ = ρ′ e che la corrente sul cavo abbia intensità pari ad I0 ampere,ovvero che sia Jz := I0δ(ρ− ρ′), si deduce dalla (1.43) che:

Ez(ρ) =jωµ0

4i

(−I0H(2)

0 (k | ρ− ρ0 |) +∫

sc

H(2)0 (k | ρ− ρ′ |)Jsz(ρ′)ds′

)(1.44)

L'equazione indicata restituisce il campo elettrico Ez in ogni punto esternoal cilindro, a patto di saper determinare la corrente Jsz sulla superciedel conduttore. A questo scopo, mostriamo che la corrente è soluzione diun'opportuna equazione integrale. Ammettiamo in tal senso che la variabileρ denisca la posizione di un punto generico sulla supercie del cilindro(ρ ∈ sc). Poiché Ez = 0 sul conduttore, si deduce dall'equazionu ultimaindicata che:

I0H(2)0 (k | ρ− ρ0 |) =

∫sc

H(2)0 (k | ρ− ρ′ |)Jsz(ρ′)ds′, ∀ρ ∈ sc (1.45)

Quest'ultima relazione e la precedente completano la formulazione del prob-lema. Particolare attenzione va poi dedicata nella valutazione dell'integrali

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curvilinei presenti a secondo membro di ambedue. In tal senso, ricordiamoche, in coordinate cartesiano, il dierenziale d'arco si scrive nella forma:

ds′ =√dx′ + dy′.

Di qui, parametrizzando la frontiera della sezione trasversale del conduttorein termini dell'angolo φ′, così come illustrato in gura, questo diviene allora:

ds′ =[dx′

dφ′+dy′

dφ′

]1/2

dφ′. (1.46)

Si assume che l'origine del riferimento sia localizzata internamente alla curvasc. Sostituendo allora questa relazione nella (1.45), si conclude inne chela corrente equivalente indotta sulla supercie del conduttore in direzioneparallela a z è restituita dall'equazione integrale:

I0H(2)0 (k | ρ− ρ0 |) =

∫ 2π

0H

(2)0 (k | ρ− ρ′ |)Jsz(ρ′)

[dx′

dφ′+dy′

dφ′

]1/2

dφ′,

(1.47)ove ρ ∈ sc. Ciò stabilito, è necessario a questo punto risolvere l'equazioneintegrale se si vuol determinare la quantità incognita presente all'integran-da (nella fattispecie, la corrente Jsz). In generale, si adottano dei metodinumerici per ottenere un'approssimazione della soluzione esatta, dacché ilproblema, così come formulato, non è di fatto generalmente risolubile pervia analitica. Pur tuttavia, quando il cilindro abbia sezione trasversa circo-lare, l'equazione integrale (1.47) può essere invertita. Infatti, supponiamo diconsiderare il caso d'un conduttore cilindrico circolare di raggio a > 0:

x′ = ρ′ cosφ′ ∧ y′ = ρ′ sinφ′ =⇒ dx′

dφ′= −ρ′ sinφ′ ∧ dy′

dφ′= ρ′ cosφ′

Di qui e dalla (1.46): ds′ = ρ′dφ′. E allora, sfruttando il teorema di addivitàper le funzioni di Hankel, ovvero la proprietà secondo cui:

H(2)0 (k | ρ− ρ′ |) =

+∞∑n=−∞

ejn(φ−φ′)

H(2)n (kρ′)Jn(kρ), ρ < ρ′

H(2)n (kρ)Jn(kρ′), ρ ≥ ρ′

(1.48)

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e sostituendo il tutto nella (1.47), segue dopo opportuni riarrangiamenti che:+∞∑

n=−∞

[I0e

−jnφ0H(2)n (kρ0)Jn(ka)

]ejnφ0 =

=+∞∑

n=−∞

[H(2)

n (ka)Jn(ka)∫ 2π

0Jsz(a, φ′)e−jnφ′dφ′

]ejnφ0 .

Per ottenere la relazione precedente, dacché ρ ∈ sc, abbiamo scelto il casoρ < ρ′ in riferimento alla (1.48). Ciò stabilito, osserviamo a questo puntoche i due membri dell'ultima equazione dedotta si presentano in forma disviluppi armonici di Fourier sull'intervallo (0, 2π). Eguagliando pertanto icoecienti e rimaneggiando albebricamente:

∫ 2π

0Jsz(a, φ′)e−jnφ′dφ′ =

I0e−jnφ0H

(2)n (kρ0)

aH(2)n (ka)

Di qui, sostituendo il tutto nella (1.44), si ottiene nalmente la seguenteespansione per il campo elettrico, che ne rappresenta il classico sviluppo inautofunzioni nella direzione φ:

Ez(ρ) = −ωµ0I04

H(2)0 (k | ρ− ρ′ |) +

+ωµ0I0

4

+∞∑n=−∞

ejn(φ−φ0) · Jn(ka)

H(2)n (ka)

H(2)n (kρ)H(2)

n (kρ0)

Nell'esempio del cilindro circolare qui sopra discusso, si è potuta invertirel'equazione integrale analiticamente. Ciò è stato possibile in quanto la su-percie Sc, nel caso appunto del cilindro circolare, è una supercie coordi-nata, nel senso che l'integrazione lungo la sezione trasversale del conduttoreè risultata dipendente soltanto dalla variabile angolare φ, essendo costante-mente: ρ = a. Là dove analoghe condizione non siano soddisfatte, l'equazioneintegrale (1.45) deve essere invertita numericamente. Ed è questo di fattol'approccio generale descritto nel corso del capitolo successivo.

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Capitolo 2

Fondamenti di Analisi Lineare.

In seno al presente capitolo concentreremo le nostre attenzioni sull'introdu-zione del linguaggio e della grammatica di base necessari a inquadrare lostudio delle equazioni integro-dierenziali nell'ambito più generale della teo-ria degli operatori, assumendo per acquisita una certa familiarità coi concettifondamentali dell'algebra lineare (e precisamente, con gli spazi vettoriali sulcampo reale o complesso), della topologia (con particolare riferimento allenozioni di completezza, compattezza, metrica, continuità et similia), del cal-colo (un po' tutto il background analitico dei corsi tipici per l'ingegneria)e della teoria della misura nei suoi rudimenti (nella fattispecie, la misura el'integrale di Lebesgue negli spazi euclidei Rn e Cn).

Un passo per volta, perverremo così alla presentazione degli spazi di Ba-nach e di Hilbert e delle loro più importanti proprietà. Dopo aver stabilito cheesiste una sorta di organizzazione gerarchica fra gli spazi dotati di prodottointerno, i normati, i metrici e gli spazi topologici, accenneremo al fatto chetutti gli spazi vettoriali V di dimensione nita sul campo reale o complessopossono essere dotati di una norma ‖ · ‖V (lemma di Ostrowski), e che ognialtra norma parimenti denibile su V risulta equivalente, in un certo senso,alla precedente; onde dedurne che ogni spazio vettoriale nito-dimensionale,su R o C, è uno spazio di Banach, cioè uno spazio metrico completo.

Sul fondamento della ZFS-choice, l'assiomatizzazione della teoria degliinsiemi di Zermelo, Fraenkel e Skolem, passando per il lemma di Zorn,accennero quindi al proof del teorema della base di Hilbert, un risultatocardinale nella risoluzione delle equazioni operatoriali attraverso il metododell'espansione modale, di grande interesse applicativo.

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La logica del percorso seguito nello sviluppo della trattazione trova ilproprio senso nella volontà di rendere il contenuto del presente lavoro di tesiquanto più possibile autoconsistente, anche in considerazione del caratterefortemente teorico della trattazione, pur nell'interessante essenzialità dei ris-volti applicativi che ne risultano e di cui specicamente si discute nel corsodei due capitoli conclusivi, ove si descrivono le proprietà della soluzione nu-merica al problema dierenziale dello scattering elettromagnetico in rapportoalle caratteristiche dell'equazione integrale che ne denisce il modello.

2.1 Spazi normati e spazi dotati di prodotto.

Iniziamo la nostra rassegna con l'introduzione degli spazi normati, ovverosiaspazi lineari in cui è possibile associare a ciascun vettore una misura.Denizione 2.1. Essendo K ∈ R,C, vien detta norma sul K-spazio vet-toriale V ogni applicazione ‖ · ‖ : V 7→ R : v 7→ ‖v‖ tale che:

n1. ∀v ∈ V : ‖v‖ ≥ 0, ove: ‖v‖ = 0 solo se: v = 0 (denita positività);n2. ∀λ ∈ K ∧ ∀v ∈ V : ‖λv‖ = |λ| · ‖v‖ (omogeneità);n3. ∀v, w ∈ V : ‖v + w‖ ≤ ‖v‖+ ‖w‖ (disuguaglianza triangolare).

Si dice allora che la coppia1 (V, ‖ · ‖) costituisce uno spazio normato.Si osservi esplicitamente come, dalle proprietà di segno e omogeneità delle

norme, si possa dedurre che: ‖v‖ = 0, essendo v ∈ V , sse: v = 0. Ciò detto,veniamo quindi al concetto di prodotto scalare, essenziale per poter deniregli angoli fra i vettori e introdurre di conseguenza la relazione di ortogonalità:Denizione 2.2. Si denisce prodotto interno, o scalare, sull' R-spaziovettoriale V ogni applicazione 〈· , ·〉 : V × V 7→ R : (v, w) 7→ 〈v, w〉 t.c.:

i1. ∀u, v, w ∈ V : 〈u, v + w〉 = 〈u, v〉+ 〈u,w〉;i2. ∀α ∈ R ∧ ∀u, v ∈ V : 〈u, α v〉 = α 〈u, v〉;i3. ∀u, v ∈ V : 〈u, v〉 = 〈v, u〉;i4. ∀u ∈ V : 〈u, u〉 ≥ 0, ove: 〈u, u〉 = 0 solo se: u = 0.

1: o più semplicemente V , là dove non vi sia rischio di ambiguità.

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Sulla falsariga della denizione precedente, la nozione di prodotto scalare èquindi trasportata negli spazi vettoriale sul campo complesso richiedendo, nellinguaggio dell'Algebra, che il prodotto interno sia una mappa sesquilineare2〈· , ·〉 : V × V 7→ C tale da soddisfare la proprietà di segno precisata dalla i4.Si parla in questo caso di prodotto scalare hermitiano su V .

Ora, per il seguito, uno spazio vettoriale, reale o complesso, dotato diprodotto interno verrà detto, senz'altro aggiungere, uno spazio prehilbertiano.Si mostra che in qualsiasi spazio prehilbertiano (V, 〈· , ·〉) vale la diseguaglian-za di Cauchy-Schwart, secondo cui, per ogni coppia di vettori u, v ∈ V :|〈u, v〉| ≤ 〈u, u〉1/2 · 〈v, v〉1/2, ove | · | indica il modulo.

La possibilità di dotare uno spazio vettoriale V (reale o complesso) d'unqualche prodotto scalare conduce, in modo naturale, al concetto essenzialedi ortogonalità, qui precisato dalla susseguente ulteriore denizione:Denizione 2.3. In uno spazio prehilbertiano (V, 〈· , ·〉), reale o complesso,due vettori v1, v2 ∈ V sono ortogonali, e si scrive v1⊥ v2, sse: 〈v1, v2〉 = 0.

Essendo poi W ⊆ V , l'insieme: W⊥ , v ∈ V : 〈v, w〉 = 0,∀w ∈ Wè chiamato il complemento ortogonale di W . Due insiemi W1,W2 ⊆ V sidicono inne ortogonali, e si scrive W1⊥W2, sse: 〈w1, w2〉 = 0, per ognicoppia di vettori (w1, w2) ∈W1 ×W2.

La condizione di ortogonalità rivestirà un ruolo particolarmente rilevantenella risoluzione dei problemi operatoriali, e quindi delle equazioni integro-dierenziali, poiché, passando per il lemma di Zorn, e quindi per la teoriaassiomatica di Zermelo, Fraenkel e Skolem (la cosiddetta ZFS-choice), si de-duce l'essenziale teorema della base di Hilbert, secondo cui ogni spazio (realeo complesso) dotato di prodotto scalare possiede una base di vettori ortonor-mali (ortogonali e unitari in norma), di cardinalità innita, e non necessaria-mente numerabile, là dove lo spazio in esame risulti esso stesso innitamentegenerato. Giusto a titolo di esempio, si pensi, fra le altre, all'applicazione diquesto fondamentale risultato allo studio dei modi di trasmissione del cam-po elettromagnetico in una guida d'onda di sezione nota, come pure allarisoluzione del problema dierenziale di Sturm-Liouville mediante il metododelle autofunzioni, o ancora alla familiare teoria delle serie di Fourier.

Nell'immediatezza del prosieguo, dimostriamo a questo punto che ad og-ni spazio attrezzato di prodotto interno è associabile in modo naturale

2: sostanzialmente, si tratta di sostituire la n2 con la condizione secondo cui: 〈u, v〉 =〈u, v〉, per ogni u, v ∈ V ; di modo che, comunque scelto un vettore v ∈ V : 〈v, v〉 ∈ R.

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una norma, cosicché ogni spazio prehilbertiano risulta parimenti uno spazionormato. E del resto, è pure immediato dedurre che ogni spazio normato èmetrizzabile, e quindi dotabile di una topologia, considerazione quest'ultimache rende gli spazi prehilbertiani degli ambienti ricchissimi e di straordinariointeresse dal punto di vista sia teorico che applicativo.Proposizione 2.1. Essendo (V, 〈· , ·〉) uno spazio prehilbertiano, reale o her-mitiano, sia ‖ · ‖ : V 7→ R : v 7→ 〈v, v〉1/2. E allora, (V, ‖ · ‖) è normato.Dimostrazione. Il proof delle proprietà n1 ed n2 delle norme si riducead una pura verica di routine. In quanto alla n3, l'impiego della disugua-glianza di Cauchy-Schwartz combinata alla ovvia: <(〈v1, v2〉) ≤ |〈v1, v2〉|,implica che, per ogni coppia di vettori v1, v2 ∈ V :

‖v1 + v2‖2 = 〈v1 + v2, v1 + v2〉i1= 〈v1 + v2, v1〉+ 〈v1 + v2, v2〉 =

i2= 〈v1, v1 + v2〉+ 〈v2, v1 + v2〉i1= 〈v1, v1〉+ 〈v1, v2〉+ 〈v2, v1〉+ 〈v2, v2〉 =

i2= ‖v1‖2 + 〈v1, v2〉+ 〈v1, v2〉+ ‖v2‖2 = ‖v1‖2 + 2<(〈v1, v2〉) + ‖v2‖2 ≤

≤ ‖v1‖2 + 2 · |〈v1, v2〉|+ ‖v2‖2 ≤ ‖v1‖2 + 2 〈v1, v1〉1/2〈v2, v2〉1/2 + ‖v2‖2 =

= ‖v1‖2 + 2 ‖v1‖ · ‖v2‖+ ‖v2‖2 = (‖v1‖+ ‖v2‖)2, q.e.d.Proposizione 2.2. Essendo (V, ‖ ·‖) uno spazio normato reale o complesso,sia d : V × V 7→ R : (v1, v2) 7→ ‖v1 − v2‖. E allora, (V, d) è metrico.Dimostrazione. L'unica verica non banale riguarda la disuguaglianzatriangolare delle metriche. Ebbene, comunque ssati i vettori v1, v2, v3 ∈ V :d(v1, v3) = ‖v1 − v3‖ = ‖(v1 − v2) + (v2 − v3)‖ ≤ [Stante la n3 delle norme] ≤

≤ ‖(v1 − v2)‖+ ‖(v2 − v3)‖ = d(v1, v2) + d(v2, v3), q.e.d.Naturalmente, non è immaginabile poter esaurire nello spazio di questa trat-tazione un'argomento ricco e così aascinante come lo studio delle proprietàdi cui sono dotati gli spazi normati e gli spazi hilbertiani, ché la teoria atti-nente a questi ambienti, nonostante si sia sviluppata soltanto a partire daiprimi del '900, ha avuto tuttavia un impulso così forte da potersi aermaresenza tema di smentita che le pubblicazioni collegate a questo settore copronola più ampia fetta percentuale di tutta la letteratura matematica pubblicataa partire dall'età del Rinascimento.

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Ora, sulla base dei risultati appena stabiliti e delle considerazioni a questipremesse, si può tuttavia inferire l'esistenza d'una precisa organizzazione ge-rarchica fra gli spazi prehilbertiani, i normati, gli spazi metrici e gli spazitopologici, sinteticamente riassunta nella tabella di seguito riportata.

Crescente grado di generalità −→

Spazi prehilbertiani → Spazi normati → Spazi metrici → Spazi topologici

←− Crescente grado di specializzazioneAvendo stabilito che ogni spazio prehilbertiano, e meno restrittivamente ognispazio normato, risulta dotabile (in modo naturale) di una struttura metrica,e conseguentemente di una topologia, ha senso domandarsi, a questo punto,se vi sia un modo di caratterizzare le proprietà metriche e topologiche deglispazi attrezzati di norma o di prodotto scalare, e fra queste la connessione,la compattezza, la completezza e la continuità delle mappe, direttamentedallo studio delle proprietà generali delle norme e dei prodotti scalari, cui difatto è dedicato il paragrafo successivo.

2.2 Spazi di Banach e di Hilbert.

Un ruolo fondamentale negli sviluppi dell'Analisi Funzionale, e più speci-camente della Teoria degli Operatori Lineari, che rappresenta poi in fondo iltarget eettivo di questo secondo capitolo, è rivestito dai concetti precisatiin seno alla susseguente (irrinunciabile) denizione:Denizione 2.4. Uno spazio normato (V, ‖·‖) che sia completo nella metricaassociata si dirà, senz'altro aggiungere, uno spazio di Banach.

In modo perfettamente analogo, uno spazio (V, 〈· , ·〉) dotato di prodot-to interno che risulti essere completo nella metrica da questo indotta verràdetto, correntemente, uno spazio di Hilbert.

Incidentalmente, ricordiamo che uno spazio metrico (X, d) è completo sseogni successione xnn∈N di Cauchy a valori in X risulta convergente ad unpunto di X. L'esempio più comune di uno spazio metrico completo è fornitodal caso dell'insieme R dei numeri reali dotato della metrica (cosiddetta)

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pitagorica o del valore assoluto; e più in generale dallo spazio euclideo Rn

con la metrica indotta dalla norma holderiana di ordine p, o semplicementep-norma, denita ponendo che sia, per ogni p ∈ R+:

‖x‖p :=

(n∑

k=1

|xk|p)1/p

, ∀x ∈ Rn, x ≡ (x1, x2, ..., xn)

Relativamente al caso di uno spazio vettoriale di dimensione innita, unesempio altrettanto classico, e particolarmente importante in riferimento aicontenuti di questa tesi e nella logica della risoluzione del problema integro-dierenziale a cui essa è interamente dedicata, è oerto poi dallo spazio L2(Ω)delle funzioni a valori complessi quadrato-sommabili in un qualche spazio dimisura (Ω, µ). Precisamente, L2(Ω) risulta metricamente completo quandosi consideri la metrica indotta dall'applicazione prodotto:

〈· , ·〉 : L2(Ω) 7→ C : 〈f, g〉 7→∫

Ωf(x)g(x)dx.

Incidentalmente, si osservi che l'operazione di coniugio sulla seconda funzionepresente all'integranda della relazione appena qui sopra indicata diviene su-peruo là dove si assumano i reali come codominio degli elementi di L2(Ω).Essenziale poi in rapporto agli sviluppi futuri di questa nostra trattazionerisulterà il caso in cui Ω sia più semplicemente un sottoinsieme aperto di unospazio euclideo di tipo Rn o Cn, per qualche n ∈ N0.

Ciò detto, non è certo superuo sottolineare come la completezza di unospazio metrico (V, d), e quindi conseguentemente di uno spazio normato oanche provvisto di prodotto interno, dipende fortemente dalla natura dellafunzione metrica d, ché difatti lo spazio delle funzioni continue a valori realidenite su un intervallo [a, b] chiuso e limitato di R, pur essendo completoin quanto sottospazio di L2([a, b]), non risulta tale rispetto alla metrica:

d0 : C0([a, b]) 7→ R : f 7→∫ b

a|f(x)|dx

Si dimostra infatti che la successione di funzioni fnn≥1, fn : [0, 1] 7→ R,denita assumendo, per ogni n ∈ N0 ed ogni x ∈ [0, 1]: fn(x) , nx, se0 ≤ x ≤ 1/n; ed fn(x) , 1, se 1/n < x ≤ 1, pur essendo di Cauchy in(C0([0, 1]), d0), è convergente rispetto a d0 alla funzione discontinua: f(x) =0, per x = 0; f(x) = 1, per 0 < x ≤ 1.

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Un'interessante caratterizzazione degli spazi metrici nito-dimensionalisi ottiene introducendo il concetto di equivalenza fra metriche.Denizione 2.5. Due metriche qualunque d1 e d2 su uno stesso spazio vet-toriale V si dicono equivalenti sse esse inducono su V la medesima topologia.Lemma 2.1. (di Ostrowski) Due metriche d1 e d2 sullo stesso spazio vetto-riale V , a scalari in R o in C, sono equivalenti se e soltanto se:

∃nom,M ∈ R+ 3′ ∀v ∈ V : m‖v‖2 ≤ ‖v‖1 ≤M‖v‖2.

Dimostrazione. Fissati x ∈ V ed r ∈ R+, siano dette B1r , y ∈ V :

d1(x, y) ≤ r e B2r , y ∈ V : d2(x, y) ≤ r le palle chiuse di centro x e

raggio r nelle topologie indotte, rispettivamente, dalle metriche d1 e d2.Poiché gli intorni topologici di un arbitrario punto di V si ottengono per

traslazione degli intorni dell'origine, le due topologie sono equivalenti sse:

∀r > 0,∃no r1, r2 ∈ R+ : B2r1⊆ B1

r ⊆ B2r2

(2.1)

La prima inclusione ci suggerisce che, se: d2(0, x) ≤ r1, allora: d1(0, x) ≤ r,o equivalentemente che, se: d2(0, x) ≤ 1, allora: d1(0, x) ≤ r/r1; donde:

∀v ∈ V, v 6= 0 : d1

(0,

v

d2(0, v)

)=

d1(0, v)d2(0, v)

≤ r

r1=⇒ d1(0, v) ≤

r

r1d2(0, v)

ove la diseguaglianza a ultimo membro è chiaramente soddisfatta per ogniv ∈ V . In maniera perfettamente analoga, l'inclusione ai membri di destradella (2.1) si riformula equivalentemente col dire che, per ogni v ∈ V : r/r2 ·d2(0, v) ≤ d1(0, v), onde concluderne che le due topologie indotte su V dallemetriche d1 e d2 sono eettivamente equivalenti, poiché esistono costantireali m,M > 0, con m := r/r2 ed M := r/r1, tali che, comunque sceltov ∈ V : m · d2(0, v) ≤ d1(0, v) ≤M · d2(0, v), q.e.d.

Conseguenza del lemma di Ostrowski è il susseguente teorema, con cui sistabilisce che in ogni spazio vettoriale, sul campo reale o complesso, purchénitamente generato, è sempre possibile introdurre almeno una norma, eche ogni altra eventualmente denibile sullo stesso spazio è equivalente allaprima, nel senso che risultano equivalenti, secondo la denizione (2.5), lecorrispondenti metriche indotte.

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Teorema 2.1. Se V è uno spazio vettoriale qualsiasi, sul campo reale ocomplesso, e V possiede una base nita, ovvero se dimV < +∞, allora:

i) V è uno spazio normodotabile;ii) tutte le norme eventualmente introdotte su V sono fra loro equivalenti;iii) ogni norma denita in V è metricamente completa.

Dimostrazione. Un proof ben articolato può essere ritrovato, fra gli altri,in [MRA 2002], assieme a numerosi esempi esplicativi.

La proprietà di completezza degli spazi metrici è alla base della possibil-ità di rappresentare la soluzione s di una equazione operatoriale, e speci-camente di un'integro-dierenziale, riguardata nel contesto di un opportunospazio vettoriale3, mediante la combinazione lineare, generalmente innita,dei vettori d'una base xii∈I di quello stesso spazio, costruita auspicabil-mente, là dove si disponga di un prodotto interno, di modo tale che i suoielementi siano versori mutuamente ortogonali.

E' proprio questa l'idea di principio del cosiddetto metodo dell'espansionemodale, applicato - per esempio - con successo nella risoluzione di molti pro-blemi di elettromagnetismo, e fra questi nel calcolo del campo trasmessolunga una guida d'onda innita di sezione ellittica o rettangolare [Fr 97].

Ebbene, proprio in questa direzione, si inserisce uno fra i risultati pro-babilmente più importanti di tutta l'Analisi Lineare, ovvero il teorema dellabase di Hilbert, che presenteremo in modo piuttosto informale, qui di seguito,discutendo sommariamente i passi principali della sua dimostrazione.

Supponiamo in tal senso di considerare uno spazio complesso di Hilbert(H, 〈·, ·〉). Diremo che un insieme di vettori eii∈I di H è ortonormale sse:〈ei, ej〉 = δij , ove δij denota qui la delta di Kronecker. Un insieme ortonor-male B , eii∈I si dice costituire una base di Hilbert per H sse la chiusuratopologica del sottospazio E generato da ogni arbitraria combinazione linearedegli elementi di B a scalari in C è uguale ad H.

Sia dunque eii∈I un insieme qualsivoglia di vettori ortonormali di Hed ei1 , ei2 , . . . , ein un suo sottoinsieme nito cardinale. Si dimostra che:

∀e ∈ H :n∑

j=1

|〈e, eij 〉| ≤ ‖e‖2

3: nel caso classico degli operatori derivativi, lo spazio L2 delle funzioni a quadrato sommabilesu un intervallo ed ivi dierenziabili un numero di volte pari all'ordine dell'equazione.

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Si deduce quindi dalla precedente che, per ogni intero n > 0, l'insiemei ∈ I : |〈e, ei〉| > 1/n contiene al più n‖e‖2 elementi, onde trarne che alpiù un'innità numerabile di indici i ∈ I è tale da soddisfare la condizionesecondo cui: |〈e, ei〉| 6= 0, per ogni e ∈ E.

Di qui, utilizzando nalmente il lemma di Zorn4, una delle centinaia diformulazioni equivalenti dell'assioma della scelta nella ZFS-choice, si deducequindi che in ogni spazio di Hilbert deve pur esistere una base di Hilbert. Ladimostrazione, tuttavia, non è costruttivo, e ricalca da vicino l'analogo proofdell'esistenza di una base per ogni arbitrario spazio vettoriale.

Inoltre, se eii∈I è una base di Hilbert in E, se e ∈ E ed eij è l'insieme(al più numerabile) dei vettori di E tali che: 〈e, eij 〉 6= 0, allora:

+∞∑j=1

|〈e, eij 〉|2 = ‖e‖2 (identità generale di Parseval)

Ne consegue, per inciso, che E costituisce uno spazio topologico separabile.Ottime referenze sull'argomento si possono reperire in [MRA 2002].

2.3 Il principio dell'approssimante ottimale.

La disponibilità di una base ortonormale di vettori in uno spazio hilbertianogarantisce la possibilità di costruire una stima degli elementi dello spaziotale comunque da garantire che l'errore di approssimazione si possa rendereinferiore ad un valore di tolleranza pressato ε > 0, là dove l'errore di stimasi denisca come la distanza fra il generico v ∈ H e il suo valore approssimatoottimale di ordine n, qui nominalmente indicato con vn. Si sceglie n ∈ N0

di modo tale che sia: ‖v − vn‖ < ε. Naturalmente, lo studio delle dinamichedell'errore non è indipendente, in generale, dalla scelta della metrica di cuidotare lo spazio di interesse, e tuttavia va considerato in tal senso che, quan-tomeno per gli spazi nito-dimensionali, un certo grado di libertà è garantitodalla tesi della lemma di Ostrowski.

Ebbene, contestualmente agli spazi dotati di prodotto, è di fatto possi-bile operare secondo la logica qui sopra descritta, generalizzando il concettodi approssimazione, classicamente riservato alle quantità numeriche, al caso

4: se S è un insieme non vuoto e parzialmente ordinato in cui ogni catena possiede un maggio-rante, allora S è dotato di un elemento massimale, peraltro unico. Una catena non è altro che unsottoinsieme non vuoto e totalmente ordinato di S.

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delle n-uple scalari, delle matrici o persino delle funzioni, tutte spogliate, percosì dire, della propria natura e riguardate piuttosto, all'occorrenza, comeanonimi vettori in opportuni spazi hilbertiani su R o su C.

Per spiegare compiutamente il senso di questa aermazione, ammettiamodi considerare un vettore generico v in uno spazio di Hilbert (H, 〈· , ·〉) ed uninsieme di m versori ortogonali xkmk=1 di H, ove m ∈ N0.

Se vm , α1x1 + α2x2 + . . .+ αmxm è un elemento generico della varietàlineareM⊆ H generata da x1, x2, . . . , xm, si dice che vm è un approssimanteottimale di v inM sse la sequenza dgli scalari αkmk=1 è scelta in modo taleda minimizzare la distanza ‖v− vm‖, essendo ‖ · ‖ la norma indotta in H dalprodotto interno. Nello specico, per la sesquilinearità del prodotto scalarehermitiano e l'ipotesi di ortonormalità dei vettori x1, x2, ..., xm:‖v − vm‖2 , 〈v − vm, v − vm〉 = 〈v, v〉 − 〈vm, v〉 − 〈v, vm〉+ 〈vm, vm〉 =

= ‖v‖2 −m∑

k=1

αk〈v, xk〉 −m∑

k=1

αk〈v, xk〉+m∑

k=1

|αk|2 =

= ‖v‖2 +m∑

k=1

|αk|2 −m∑

k=1

αk〈v, xk〉 −m∑

k=1

αk〈v, xk〉 =

Poiché il contributo alla somma ad ultimo membro della relazione appenaottenuta in cui gurano esplicitamente i coecienti α1, α2, . . . , αn è non neg-ativa, la norma quadrata (e quindi, per monotonia, la norma stessa) del vet-tore v−vm risulta minimizzata sse: αk−〈v, xk〉 = 0, ovvero: αk = 〈v, xk〉, perogni k = 1, 2, . . . ,m. Questa costruzione suggerisce nel contempo l'algoritmoda implementare per costruire praticamente la stima ottimale, una volta chesia disponibile un insieme sucientemente ricco di versori ortonormali, la cuideterminazione, del resto, si può basare sull'algoritmo di Gram-Schmidt, ilprimo passo del proof accennato al teorema della base di Hilbert.

2.4 Peculiarità degli spazi L2.

Il ruolo centrale rivestito dagli spazi L2 può essere in qualche modo descritto,appunto in riferimento a quest'ultimo caso, considerando una successioneφii∈N di funzioni a valori reali tutte denite su uno stesso intervallo nondegenere (a, b) ⊆ R e tali che: 〈φj , φk〉 = δjk, per ogni j, k ∈ N, ove δjk denotail simbolo di Kronecker e 〈· , ·〉 il prodotto interno standard in L2(a, b). Fissato

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arbitrariamente un n ∈ N0, sia dunque Φn il sottospazio di L2(a, b) generatodalle funzioni φ1, φ2, . . . , φn mediante c.l. a scalari in C.

Com'è ovvio, un elemento generico f ∈ L2(a, b) non appartiene neces-sariamente al sottospazio Φn, e tuttavia si può dimostrare che esiste unafunzione pn ∈ Φn che approssima f in (a, b) in modo ottimale, ovvero tale che:d(f, pn) ≤ d(f, φ), per ogni φ ∈ Φn, ove d è la metrica indotta dal prodottoscalare 〈· , ·〉 in L2. La funzione pn ∈ Φn di cui qui adesso si è postulatal'esistenza, può caratterizzarsi in modo completo mediante la seguente:Proposizione 2.3. C.N.S. anché pn sia l'approssimanete ottimale di f èche: 〈f − pn, φ〉 = 0, per ogni arbitrario φ ∈ Φn.Dimostrazione. Assumiamo che pn sia il punto più vicino di f in Φn eche tuttavia la tesi non sia soddisfatta, ovvero che esiste φ ∈ Φn tale che:〈f − pn, φ〉 6= 0. Fissato allora genericamente un ε ∈ C, si calcola che:

‖f − (pn + εφ)‖2 = 〈f − pn − εφ, f − pn − εφ〉 =

= ‖f − pn‖2 − ε〈φ, f − pn〉 − ε〈f − pn, φ〉+ ε2‖φ‖2.

Di qui, assunto in particolare ε := α〈f − pn, φ〉, con α ∈ R+, segue che:

‖f − pn − εφ‖2 = ‖f − pn‖2 − 2α | 〈f − pn, φ〉 |2 +α2 | 〈f − pn, φ〉 |2 ‖φ‖2.

Assumendo che α sia sucientemente piccolo, la quantità ad ultimo membrosi può rendere (strettamente) minore di ‖f − pn‖2, contraddicendo l'ipotesisecondo cui pn è l'approssimante ottimale di f in Φn.

Viceversa, ammettiamo che pn goda della proprietà indicata. Sia quindip un altro punto di Φn. Poiché Φn è un sottospazio: φ , pn − p ∈ Φn. Ergo:‖f − p‖2 = 〈f − pn + pn − p, f − pn + pn − p〉 = 〈f − pn + φ, f − pn + φ〉 =

= ‖f − pn‖2 + ‖φ‖2 + 2<(〈f − pn, φ〉) = ‖f − pn‖2 + ‖φ‖2 ≥ ‖f − pn‖2

e si vede che l'uguaglianza suddiste se e soltanto se: ‖φ‖ = 0, ovvero se esoltanto se: p = pn. Di qui l'asserto, q.e.d.

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Capitolo 3

Gli operatori lineari.

In questo capitolo, applicheremo i concetti dell'Analisi Lineare, ed in parti-colar modo le nozioni relative agli spazi di Banach e Hilbert già presentatenel corso del precedente, per sviluppare (nei suoi principi basilari) la teoriadegli operatori, indispensabile nell'approccio teorico allo studio del proble-ma elettromagnetico cui questa tesi è dedicata. Dopo aver denito gli opera-tori lineari e averne fornito qualche esempio emblematico relativo ad alcuneclassiche applicazioni siche, si passerà ad introdurre una loro sottoclassepiuttosto speciale, i cosiddetti funzionali lineari, il cui ruolo, nel contestodella teoria elettromagnetica, è tanto più rilevante là dove si tratti di doverarontare la risoluzione di un dato problema per via numerica.

La nozione di funzionale lineare, congiuntamente al teorema di rappre-sentazine di Riesz, fornisce un'appropriata occasione per introdurre quindi ilconcetto fondamentale di operatore aggiunto, cui fa seguito, in modo quasinaturale, la denizione degli operatori autoaggiunti, e più in generale deglioperatori normali, oggetto principale della nostra trattazione, come emergerànel capitolo conclusivo. Si arriva così a discutere, ancorché sommariamente,il problema dell'inversione, che è alla base della risoluzione delle equazionioperatoriali e fra queste, in particolare, delle integro-dierenziali.

La restante parte del capitolo è dedicato agli sviluppi dei rudimeti dellateoria spettrale, con l'introduzione dei concetti fondamentali di autovaloree autovettore di un operatore, e la susseguente enunciazione dei teoremidi rappresentazione di Hilbert e Schmidt, essenziali nella risoluzione delleequazioni operatoriali mediante il metodo dell'espansione modale.

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3.1 Nozioni di carattere generale.

Denizione 3.1. Essendo V e W spazi lineari su uno stesso campo scalareK ed L un'arbitraria funzione di V in W , vien detto che L è un operatore,o un'applicazione, o ancora una trasformazione K-lineare di V in W sse:

∀v1, v2 ∈ V ∧ ∀α1, α2 ∈ K : L(α1v1 + α2v2) = α1Lv1 + α2Lv2.

Per il seguito, si ammetterà implicitamente che K rappresenti l'uno ol'altro fra il campo reale e la sua estensione complessa. Inoltre, salvo che nonsia altrimenti specicato, gli spazi V e W si assumeranno dotati di prodottointerno, e più precisamente hilbertiani, ossia completi nella metrica naturalegiusto indotta dal prodotto scalare (si veda il capitolo 2).

Molto spesso, gli operatori coinvolti nelle nostre considerazioni risulter-anno poi deniti su un opportuno sottospazio di uno spazio di Hilbert, tipi-camente chiuso in senso topologico. Per esempio, l'operatore dierenzialeL : L2(a, b) 7→ L2(a, b) denito ponendo: Lx(t) , x′(t), per ogni t ∈ (a, b)non può essere denito sull'intero spazio L2(a, b), dacché gran parte dellefunzioni di questo spazio non sono né dierenziabili né continue.

In generale, le proprietà di un operatore sono fortemente sensibili allecaratteristiche del suo dominio, il che è tanto più vero nel caso degli operatoriintegro-dierenziali, dove le condizioni al contorno sono parte integrante deldominio. In particolare, gli operatori più importanti negli spazi di Hilbertsono densamente deniti, nel senso precisato dalla susseguente:Denizione 3.2. Se H1 ed H2 sono spazi di Hilbert su uno stesso camposcalare K, reale o complesso, X ⊆ H1 ed L rappresenta un qualsiasi operatoredi X a valori in H2, allora si usa dire che L è densamente denito sse X èun sottoinsieme denso di H1, ovvero sse: cl(X) = H1, ove (come di consueto)cl(X) indica la chiusura topologica di X in H1.

Forse è il caso di ricordare che, se X è denso in H1, allora ogni elementodi H1 è approssimabile con precisione arbitraria a mezzo di elementi di X,ed ogni intorno topologico di un punto di H1 contiene almeno un punto del-l'insieme X. L'esempio più classico è oerto dalla classe dei numeri razionali,densi in R, come pure dall'insieme P (a, b) dei polinomi di una variabile a co-ecienti reali su un intervallo non degenere (a, b) ⊆ R, che - coerentementecon il teorema di Weierstrass - è denso nell'insieme C0(a, b) delle funzioni

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reali denite e continue in (a, b). Salvo che non venga altrimenti specicato,là dove sia X 6= H1, useremo intendere che gli operatori di X in H2 qua e làpresi in considerazione siano sempre densamente deniti.Denizione 3.3. Se H1 ed H2 sono spazi di Hilbert su uno stesso camposcalare K, reale o complesso, X ⊆ H1 ed L è un qualsivoglia operatore di Xa valori in H2, si dice immagine dell'operatore l'insieme:

L(X) , y ∈ H2 : ∃x ∈ X t.c. Lx = y.

Quindi si denisce rango di L la dimensione della sua immagine. Si chiamapoi kernel, o nucleo, dell'operatore l'insieme kerL , x ∈ X : Lx = 0. Ladimensione del kernel di L, inne, si dice rappresentare la sua nullità.

Un'importante classe di operatori è quella formata da tutte le funzionilineari fra spazi hilbertiani aventi rango nito, i cosiddetti operatori nito-dimensionali, da non confondere con gli operatori deniti sugli spazi nito-dimensionali. Si può mostrare (teorema di dimensionalità di Kronecker) cheuna funzione lineare L : X ⊆ H1 7→ H2 fra spazi hilbertiani, nell'ipotesiche: dimH1 < +∞, rispetta la condizione: dimH1 = dimL(X) + dim kerL,sicché necessariamente il kernel e l'immagine di L sono anch'essi spazi nito-dimensionali (propriamente, sottospazi di H2), ed L ha rango nito, ergo èun operatore nito-dimensionale, secondo la denizione (3.3).Denizione 3.4. Un operatore lineare L : X ⊆ H1 7→ H2 fra spazi hilber-tiani si dice limitato se, per ogni x ∈ X, esiste una costante k > 0 tale che:‖Lx‖2 ≤ k‖x‖1, ove ‖ · ‖1 e ‖ · ‖2 rappresentano, rispettivamente, le normenaturali indotte su H1 ed H2 dai relativi prodotti interni.

Il concetto appena introdotto dierisce notevolmente dall'analoga no-zione riferita nelle dispense di ogni buon corso di Analisi, secondo cui unafunzione è limitata sse ne risulta limitato l'insieme delle immagini.

In particolare, è chiaro che, se X è un insieme limitato, ovvero se esisteunM > 0 tale che, comunque scelto un x ∈ X: ‖x‖1 ≤M , e se l'operatore Lè limitato nel senso della denizione (3.4), allora nondimeno L è una mappalimitata nell'accezione classica del calcolo.

Se un operatore lineare non è limitato, si dice senz'altro aggiungere cheesso è illimitato. Per mostrare che l'operatore L non è limitato, è sucientedeterminare una successione xnn∈N di punti di X tali che, qualunque sia

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n ∈ N: ‖xn‖1 ≤ M , per una opportuna costante M > 0, e ciò nondimeno siabbia: limn→+∞ ‖Lxn‖2 = +∞. Si veda anche [GLS 96].Denizione 3.5. Si dice norma d'un operatore lineare L : X ⊆ H1 7→ H2, edè indicata notazionalmente con ‖L‖, il più piccolo numero reale non negativotale che, qualunque sia x ∈ X: ‖Lx‖2 ≤ k‖x‖1.

Notiamo esplicitamente che, per coerenza con la simbologia appena in-trodotta, si può sempre scrivere che, per ogni x ∈ H1: ‖x‖2 ≤ ‖L‖ ‖x‖1.

Ciò premesso, giusto per dare una qualche consistenza al discorso chestiamo sviluppando, consideriamo adesso sullo spazio complesso L(0, 1) dellefunzioni quadrato-sommabili secondo Lebesgue in (0, 1) l'equ. integrale:∫ 1

0u(ξ′)k(ξ, ξ′)dξ′ = f(ξ)

Quest'equazione può essere riscritta in notazione operatoriale nella formacompatta: Lu = f , ove L è l'operatore C-lineare su L(0, 1) denito come:

L :=∫ 1

0(·)k(ξ, ξ′)dξ′

Mostreremo che l'operatore L è limitato se si verica che:∫ 1

0

∫ 1

0|k(ξ, ξ′)|2dξdξ′ < +∞

La proprietà del kernel k(ξ, ξ′) qui sopra indicata è detta di Hilbert-Schmidt,e l'operatore L corrispondente si chiama un operatore di Hilbert-Schmidt.Per dimostrare che L è limitato, ssiamo u ∈ L(0, 1) e osserviamo che:

|f(ξ)|2 =∣∣∣∣∫ 1

0u(ξ′)k(ξ, ξ′)dξ′

∣∣∣∣2 ≤ ∫ 1

0|u(ξ′)|2dξ′

∫ 1

0|k(ξ, ξ′)|2dξ′

cosicché, in ultima analisi: |f(ξ)|2 ≤ ‖u‖2∫ 10 |k(ξ, ξ

′)|2dξ′. Da qui:

|Lu|2 =∫ 1

0|f(ξ)|2dξ ≤ ‖u‖2

∫ 1

0

∫ 1

0|k(ξ, ξ′)|2dξdξ′

e nalmente: |Lu| ≤M ·‖u‖, oveM è il limite superiore dell'integrale doppio.Di qui la tesi, là dove sia supposto M < +∞, q.e.d.

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Passiamo adesso a denire la classe degli operatori continui, che rapp-resenta - in vero - una pura specializzazione dell'analoga nozione ordinaria-mente riferita alle funzioni nel contesto più generale degli sp. topologici.Denizione 3.6. Un operatore lineare L : X ⊆ H1 7→ H2 si dice continuo inun punto x0 ∈ X sse, per ogni ε > 0, esiste δ > 0 tale che: ‖Lx−Lx0‖2 < ε,se ‖x − x0‖1 < δ. Si usa dire altrimenti che L è discontinuo in x0. Comeconseguenza, L si denisce continuo in X sse è continuo in ogni punto di X.

Si può dimostrare, come si legge in [Bash 91], che un operatore lineareL : X ⊆ H1 7→ H2 è continuo sse esso è pure limitato. D'altro canto, se H1

è nitamente generato, L è di fatto limitato, onde dedurne, banalmente, cheogni operatore di Hilbert il cui dominio sia uno spazio di dimensione nitaè continuo: ne sono un esempio gli ordinari operatori matriciali.

Un caso di particolare interesse in relazione agli sviluppi di questo edeli successivi capitoli si ottiene considerando un operatore lineare limitatoL : H1 7→ H2 fra due spazi di Hilbert innito-dimensionali dotati, rispetti-vamente, delle basi ortonormali xnn≥1 e ynn≥1. E allora, se x ∈ H1:

x =∞∑

n=1

〈x, xn〉xn =⇒ Lx = L

( ∞∑n=1

〈x, xn〉xn

)=

∞∑n=1

〈x, xn〉Lxn

ove lo scambio fra l'operatore e la serie è garantito dall'aver assunto la lim-itatezza del primo. Ne fa seguito la possibilità di riformulare una genericaequazione operatoriale del tipo: Lx = y, ove x ∈ H1 denota l'incognita edy ∈ H2 il termine noto, adottando una rappresentazione alternativa, e forsepiù familiare, di tipo squisitamente matriciale, della forma:

〈Lx1, y1〉 〈Lx1, y2〉 . . .

〈Lx2, y1〉 〈Lx2, y2〉 . . .... ... . . .

〈x, x1〉〈x, x2〉...

=

〈y, y1〉〈y, y2〉...

sì come si deduce, per confronto, considerando che: y =

∑∞n=1〈y, yn〉yn, e

similmente: Lxk =∑∞

n=1〈Lxk, yn〉yn, per ogni k ∈ N0.Ne risulta un sistema lineare doppiamente innito, e nel numero delle

equazioni e nel numero delle incognite, nelle indeterminate 〈x, x1〉, 〈x, x2〉, . . .che, una volta risolto, individua univocamente la soluzione del problemaoperatoriale di partenza: Lx = y.

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Di fatto, ogni equazione integro-dierenziale in cui sia soddisfatta l'ipote-si di linearità può essere tradotta, nel linguaggio della teoria degli operatorie sotto opportune condizioni, in una relazione generale del tipo: Lx = y, oveL è un operatore lineare limitato fra spazi o sottospazi di Hilbert di tipoL2(a, b), essendo (a, b) un intervallo non degenere della retta reale.

In questa direzione, il discorso che si è sviluppato acquista un grandesignicato in relazione al computo delle soluzioni di un problema di elettro-magnetismo mediante un qualche metodo di discretizzazione.

Di fatto, molti algoritmi impiegati nella soluzione numerica di un pro-blema di questo tipo operano troncando la matrice della rappresentazione adun ordine n ∈ N0 opportunamente scelto in modo da garantire che la normadell'errore di approssimazione conseguente alla discretizzazione dell'operato-riale originale, ossia alla sua riduzione da uno spazio innito-dimensionale inuno spazio nitamente generato (lo spazio di Hilbert delle matrici quadratedi ordine n) sia inferiore a una certa tolleranza ε > 0.

3.2 Convergenza delle soluzioni.

Nel corso di questo paragrafo tenteremo di evidenziare brevemente alcuneproprietà delle tecniche di risoluzione numerica delle equazioni operatoriali,senza tuttavia nutrire la pretesa di poter essere compiutamente esaustivi sulmerito di una problematica tanto discussa quanto attuale.

Abbiamo già stabilito precedentemente che, se H è uno spazio di Hilbertsul campo reale o complesso ed enn∈N una sua base ortonormale, alloraogni vettore x ∈ H può essere espresso, e in modo unico, mediante la serieconvergente in norma∑∞

n=1〈x, en〉en; onde dedurne la possibilità di ottenereun'approssimazione all'n-esimo termine del generico x ∈ H nella forma:

x ' xn ,n∑

k=1

〈x, ek〉ek, per ogni n ∈ N0.

Denendo l'errore di approssimazione in termini del vettore xn , x− xn, èovvio che: limn→∞ ‖xn‖ = limn→∞ ‖x−xn‖ = 0, dacché enn∈N rappresen-ta per ipotesi una base di H. Inoltre, l'errore è ortogonale all'approssimantexn, cioè: 〈xn, xn〉 = 〈x− xn, xn〉 = 0. In particolare, per il principio dell'ap-prossimante ottimale, xn è il vettore che meglio approssima x fra quelli della

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varietà lineareM generata dai versori e1, e2, . . . , en, nel senso che minimizzala distanza in norma di x da ogni altro vettore diM.

Essendo L : X ⊆ H1 7→ H2 un operatore hilbertiano qualsiasi, poniamoadesso di voler risolvere nell'incognita x ∈ H1 l'eq. operatoriale: Lx = y, ovey ∈ H2 rappresenta il termine noto dell'equazione. Se enn≥1 ed fnn≥1

sono due basi per gli spazi H1 e H2, allora si deduce che, per ogni n ∈ N0:

x ' xn ,n∑

k=1

αkek ∧ y ' yn ,n∑

k=1

〈y, fn〉fn

ove α1, α2, . . . , αn sono coecienti scalari da determinare ed yn → y ∈ H2 innorma, per n→∞. L'idea è di determinare le soluzioni del sistema lineare:Lxn = yn, nelle n incognite αk, e stabilire sotto quali condizioni questaconverge alla soluzone dell'operatoriale di origine, ossia quando xn

n→∞−→ x.Poiché xn è espresso da una c.l. nita dei vettori e1, e2, . . . , en, per linear-

ità: L(xn) =∑n

k=1 αnL(ek). E dacché L(ek) ∈ H2, per ogni k = 1, 2, . . . , n:

L(ek) =∞∑

m=1

〈L(ek), fm〉fm ' (L(ek))n ,n∑

m=1

〈L(ek), fm〉fm,

Da qui il sistema risolvente utilizzato in pratica per operare al calcolatorenella ricerca delle soluzioni approssimate dell'operatoriale Lx = y.

3.3 I funzionali lineari.

Un operatore lineare mappa elementi di uno spazio lineare H1 in un altrospazio lineare H2, eventualmente coincidente con H1. Difatto, un funzionalelineare è semplicemente un operatore lineare il cui codominio sia l'insieme Cdei numeri complessi, come formalizzato dalla seguente:Denizione 3.7. Un'applicazione l(·) : H 7→ C, ove H è uno spazio vetto-riale qualsiasi sul campo complesso, si dice un funzionale lineare di H in Csse, per ogni α, β ∈ C ed ogni x, y ∈ X: l(αx+ βy) = αl(x) + βl(y). Si dicequindi duale di H l'insieme H∗ di tutti i funzionali lineari l(·) : H 7→ C.

Naturalmente, si applicano ai funzionali lineari tutte le nozioni generaligià introdotte per gli operatori lineari fra spazi di Banach e hilbertiani. i dicespazio duale di H l'insieme di tutti i funzionali lineari limitati l(·) : H 7→ C.

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L'essenzialità del ruolo dei funzionali lineari in ambito operatoriale è as-sociata alla denizione degli operatori aggiunti. Tuttavia, prima di procederealla loro introduzione, è il caso di osservare come, seH è uno spazio di Hilberthermitiano ed y è un ssato vettore di H, allora la mappa l(·) : H 7→ C :x 7→ 〈x, y〉 è un funzionale lineare limitato di H, il che non accade inveceper l'applicazione k(·) : H 7→ C : x 7→ 〈y, x〉, a causa della sesquilinearità delprodotto interno negli spazi di Hilbert hermitiani.

Vale per i funzionali il susseguente risultato, che costituisce probabil-mente il risultato più importante di tutta la teoria degli operatori. Teorema 3.1. (di rappresentazione di Riesz) Se (H, 〈·, ·〉) è uno spaziohilbertiano sul campo reale (risp., complesso) ed l(·) : H 7→ R (risp., 7→ C)un funzionale lineare continuo, allora esiste univocamente determinato unqualche y ∈ H tale che, per ogni x ∈ H: l(x) = 〈x, y〉.

Sia dunque H uno spazio hilbertiano sul campo complesso ed L un ope-ratore lineare di H in sé. Il teorema di rappresentazione di Riesz garantisceallora che, per ogni x, y ∈ H, esiste univocamente determinato un operatoreL† : Y ⊆ H 7→ H tale che: 〈Lx, y〉 = 〈x,L†y〉. Ebbene, L† si dice l'operatoreaggiunto, o semplicemente l'aggiunto di L.

E' il caso di osservare esplicitamente come il dominio di un operatorelineare e del suo aggiunto, quando ne sia garantita l'esistenza, non siano ingenerale coincidenti. Pur tuttavia, questa condizione si realizza se l'operatorein questione è autoaggiunto, ovvero se: L = L†.

Si dice poi che L è un operatore normale sse il commutatore di Lie relatoad L è identicamente nullo, ovvero sse: LL† − L†L = 0. La condizione dinormalità rivestirà un ruolo essenziale nella caratterizzazione delle proprietàspettrali di un operatore, e in particolare nella possibilità di fornirne unarappresentazione in forma diagonale di Schur.

Si scopre in particolare che l'operatore integrale utilizzato per modellarematematicamente il fenomeno dello scattering elettromagnetico, già ampia-mente discusso nel corso del capitolo primo, è normale o non-normale infunzione della geometria dell'oggetto scatteratore.

Si trova in particolare che l'operatore integrale dell'EFIE è non-normalelà dove lo scatteratore goda di simmetria cilindrica, cioè appunto nel caso diapprofondimento discusso, a più riprese e da diverse prospettive, nel corsodi questa trattazione. Si veda fra gli altri [Stak 00].

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3.4 La teoria spettrale.

Nel seguito di questo capitolo, esamineremo le proprietà spettrali degli opera-tori più comunemente utilizzati in ambito applicativo, sottolineando il ruolocentrale svolto in questo senso dallo studio degli autovalori e dagli autovet-tori. Principalmente, concentremo le nostre attenzioni sugli operatori linearinegli spazi di Hilbert innito-dimensionali, poiché l'analoga trattazione in di-mensione nita, ovvero la teoria spettrale delle matrici, deve ritenersi parteintegrante del bagaglio di conoscenze matematiche di base.

Con riferimento al caso innito-dimensionale, si scopre che, per partico-lari classi di operatori (compatti e autoaggiunti), la teoria spettrale divienerelativamente semplice. E quantunque l'anzidetta condizione si verichi nellamassima parte dei problemi incontrati in elettrostatica, pur tuttavia non ègeneralmente soddisfatta nel caso dello scattering elettromagnetico.

Dopo aver introdotto le nozioni fondamentali che fanno da cornice allateoria, accenneremo alle proprietà spettrali di alcuni operatori di interesse,e in particolare dell'operatore integrale che fornisce appunto il modello delloscattering, introducendo così le problematiche arontate e discusse nel corsodel capitolo conclusivo dal punto di vista dell'approccio numerico.

3.5 Autovalori e autovettori.

Sia L : X ⊆ H 7→ H un operatore lineare hilbertiano sul campo complesso.Lo studio delle proprietà spettrali di L si può sintetizzare, sostanzialmente,nel problema di calcolare le coppie (λ, x) ∈ C×X, con x 6= 0, t.c.: L(x) = λx,ove λ si dice un autovalore dell'operatore ed x rappresenta un autovettorerelativo a λ, ovvero un'autofunzione, là dove H sia uno spazio funzionale.

Di fatto, non esiste alcuna regola generale per stabilire se un qualcheoperatore possegga o meno autovalori ed autovettori. Pur tuttavia, là dovesiano esistenti, questi godono di notevolissime proprietà.

I risultati principali, nonché pure i più elementari, vengono appunto pre-sentati nel corso dei successivi paragra. Fra questi, i due teoremi di rap-presentazione di Hilbert e Hilbert-Schmidt, che costituiscono poi il presup-posto teorico alla base della procedura di espansione modale utilizzata inconclusione del capitolo primo per risolvere analiticamente il problema delloscattering nel caso di un conduttore cilindrico di sezione trasversa circolare.

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3.6 Le proprietà spettrali degli operatori.

In questo paragrafo, passiamo in rassegna alcune proprietà spettrali impor-tanti sia dal punto di vista pratico che teorico. In particolare, concentriamoil nostro interesse sulle nozioni di indipendenza lineare, ortogonalità e com-pletezza degli autovettori di un'appropriata classe di operatori in seno a unpreciso spazio di Hilbert. Vale innanzitutto il susseguente: Teorema 3.2. Se x1, x2, . . . , xn sono autovettori ordinatamente corrispon-denti agli autovalori distinti λ1, λ2, . . . , λn dell'operatore lineare hilbertianoL(·) : H 7→ H, allora x1, x2, . . . , xn sono fra loro linearmente indipendenti.Dimostrazione. Supponiamo che x1, x2, . . . , xn sia un insieme di vet-tori linearmente dipendenti. Sia in particolare xm il primo elemento dellasequenza esprimibile come c.l. dei precedenti, ossia linearmente dipendentecon x1, x2, . . . , xm−1. E allora, esistono opportuni scalari α1, α2, . . . , αm−1

tali che: xm =∑m−1

k=1 αkxk, onde dedurne (per linearità) che:

(L− λmI)(xm) = 0 = (L− λmI)

(m−1∑k=1

αkxk

)=

m−1∑k=1

αk(λk − λm)xk,

ove I(·) è l'identità in H. Poiché x1, x2, . . . , xm−1 sono l.i. e una loro c.l. ascalari sul campo C si somma a zero, allora i coecienti di questa stessacombinazione devono essere tutti nulli, perciocché: αk(λk − λm) = 0, perogni k = 1, 2, . . . ,m− 1 (per inciso, è ovvio che debba essere m ≥ 2).

E tuttavia, per ipotesi: λk 6= λm, qualunque sia k = 1, 2, . . . ,m−1. Ergo,necessariamente: α1 = α2 = . . . = αm−1 = 0, e dunque: xm = 0, che èassurdo, poiché xm è un autovettore, e perciò xm 6= 0. Di qui la tesi, q.e.d.

Poiché la condizione espressa dal teorema precedente è valida per ognin ∈ N0, in particolare essa si estende a un'innità numerabile di autovalori.

Si noti inoltre che, nella dimostrazione del teorema precedente, nes-suna ipotesi è stata formulata circa la natura dell'operatore L, a parte as-sumerne la linearità. Se tuttavia l'operatore è pure autoaggiunto, allora sipuò dimostrare che i suoi autovalori sono tutti puramente reali.

Quest'è un risultato particolarmente interessante, che estende agli spazigenerali di Hilbert un'analoga proprietà già nota dall'Algebra Lineare inrelazione alle matrici hermitiane (caso complesso) o simmetriche (caso reale).

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Teorema 3.3. Tutti gli eventuali autovalori di un operatore lineare hilber-tiano autoaggiunto L(·) : X ⊆ H 7→ H sono puramente reali.Dimostrazione. Siano µ ∈ C un autovalore di L e v ∈ H un autovettoread esso corrispondente. E allora, in base alle proprietà del prodotto scalarehermitiano e per conseguenza del teorema di rappresentazine di Riesz:

µ〈v, v〉 = 〈µv, v〉 = 〈Lv, v〉 = 〈v,L†v〉 = 〈v,L†v〉

Ma poiché L è autoaggiunto: 〈v,L†v〉 = 〈v,Lv〉 = 〈v, µv〉 = µ〈v, v〉, e perciò,in ultima analisi: µ〈v, v〉 = µ〈v, v〉. Poiché v è un autovettore: v 6= 0, secondodenizione, e dunque 〈v, v〉 > 0. Da qui: µ = µ, ovvero µ ∈ R, q.e.d.

Il risultato che segue stabilisce l'ortogonalità degli autovettori associatiad autovalori distinti di un operatore autoaggiunto, il che costituisce un fattoimportante in relazione ai teoremi di rappresentazione di Hilbert. Teorema 3.4. Sia L : X ⊆ H 7→ H è un operatore lineare hilbertianoautoaggiunto. Se λ1, λ2 ∈ C sono due suoi autovalori distinti ed u1, u2 ∈ Hsono autovettori a questi ordinatamente corrispondenti, allora: 〈u1, u2〉 = 0,ovvero u1 ed u2 sono vettori mutuamente ortogonali.Dimostrazione. Per ipotesi: Lu1 = λ1u1 e Lu2 = λ2u2, ove λ1 6= λ2. Eallora, in base alle proprietà dei prodotti scalari hermitiani:

λ1〈u1, u2〉 = 〈λ1u1, u2〉 = 〈Lu1, u2〉 = 〈u1,L†u2〉 = 〈u1, λ2u2〉

ove si è sfruttato il teorema di rappresentazione di Riesz combinato all'ipotesidi autoaggiunzione dell'operatore L. Di qui, visto il teorema (3.3):

λ1〈u1, u2〉 = λ2〈u1, u2〉 = λ2〈u1, u2〉 =⇒ (λ1 − λ2)〈u1, u2〉 = 0.

Orbene, per ipotesi: λ1 − λ2 6= 0, e C è un anello di integrità, ove vige lalegge di annullamento del prodotto. Pertanto, dalla precedente: 〈u1, u2〉 = 0,onde dedurne che u1 ed u2 sono autovettori mutuamente ortogonali, q.e.d.

Per concludere questa rassegna, si dimostra inoltre che le autofunzionidi un operatore lineare hilbertiano autoaggiunto sullo spazio L2(a, b) dellefunzioni quadrato-sommabili secondo Lebesgue su un certo intervallo (a, b)di R formano una base ortonormale dello spazio. Il proof, omesso qui perbrevità, è esibito, fra gli altri, nel tomo enciclopedico di [Stak 79].

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3.7 Espansioni spettrali.

Abbiamo accennato nel corso dei paragra precedenti al fatto che la deter-minazione dello spettro di un operatore lineare hilbertiano da uno spazio didimensione innita in se stesso è sistematicamente molto più complessa cheil computo dello spettro d'ogni altro analogo operatore nito-dimensionale.

In quest'ultimo caso, infatti, l'operatore si rappresenta equivalentementeattraverso una matrice, e tutto lo sforzo è concentrato nel determinare laforma più semplice possibile di una siatta rappresentazione: fra queste, laforma diagonale o triangolare di Schur e la diagonale a blocchi di Jordan.

Di fatto, la riduzione in forma triangolare o in forma di Jordan di unoperatore nito-dimensionale è sempre attuabile, là dove invece la sua diago-nalizzazione dipende fortemente dalla natura degli autovalori, e in particolaredal fatto che la matrice in questione sia dotata o meno di una base ortogonaledi autovettori, o equivalentemente che sia una matrice normale.

Sebbene anche nel caso degli operatori su spazi innitamente generati sipossa ragionare in termini di rappresentazioni matriciali, tuttavia è preferi-bile di norma, e notevolmente più procuo dal punto di vista applicativo,ragionare in termini alternativi, studiando delle condizioni necessarie e suf-cienti onde poter esprimere gli elementi di H mediante una combinazionelineare degli autovettori dell'operatore medesimo.

Poiché gli operatori puramente compatti, o puramente autoaggiunti, pos-sono pure non possedere alcun autovalore, è necessario, quantomeno nel casogenerale, concentrare l'attenzione sugli operatori che siano simultaneamentecompatti e autoaggiunti, onde ottenere risultati sucientemente robusti.

C'è da osservare tuttavia che, nel caso dei più tipici problemi ai valorial contorno, la proprietà di autoaggiunzione è spesso suciente, da sola, afornire garanzie del tutto analoghe a quelle assicurate dalle suddette ipotesi,dacché, in molti di questi casi, pur nel ranamento delle condizioni impostesulla natura dell'operatore diretto, l'inverso è compatto e autoaggiunto.

Si prova inoltre, ancorché qui sia omesso il proof per brevità, che un oper-atore linerare hilbertiano qualsiasi L : X ⊆ H 7→ H è diagonalizzabile, inten-dendo con ciò che la matrice della sua rappresentazione, così come denitanel corso dei paragra precedenti, può essere portata in forma diagonale me-diante la scelta di un'opportuna base del dominio e del codominio, sse L è unoperatore normale, il che si verica, ad esempio, là dove L sia autoaggiunto.

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Teorema 3.5. (di Hilbert-Schmidt) Sia L : X ⊆ H 7→ H un operatorelineare autoaggiunto e compatto su uno spazio hilbertiano ∞-dimensionale.

Esiste allora un sistema ortonormale di autovettori unn≥1 di L corri-spondenti agli autovalori non nulli λn tale che:

∀x ∈ H : x = x0 +∞∑

n=1

〈x, un〉un

ove x0 ∈ kerL, ovvero x0 è un vettore di H per cui: Lx0 = 0. Inoltre, seλn è una famiglia innita di autovalori distinti, allora: limn→∞ λn = 0.

Si noti che i coecienti αn , 〈x, un〉 dell'espansione modale suggeritadalla tesi rappresentano una sorta di generalizzazione dei coecienti del piùclassico sviluppo in serie di Fourier per le funzioni τ -periodiche di L2(R).

E ancora, denotato con S il sottospazio di H generato dai vettori dellafamiglia unn≥1, si osservi esplicitamente che, per il teorema delle proiezioni,la rappresentazione descritta è semplicemente una decomposizione del gene-rico x ∈ H in un elemento ∑∞

n=1 αnun ∈ S e un elemento x0 ∈ S⊥.Naturalmente, in generale, l'insieme unn≥1 non costituisce una base per

H, a meno che: kerL = 0. E' altrettanto chiaro che lo stesso insieme formainvece una base di L(H), sicché, per ogni x ∈ H: Lx =

∑∞n=1 λn〈x, un〉un.

Ciò nonostante, considerando l'insieme unn≥1 di tutti gli autovettori diL, inclusi quelli corrispondenti all'autovalore nullo, si scopre che questo rap-presenta una base completa dell'intero spazio H, come di seguito precisato: Teorema 3.6. Sia detto L : H 7→ H un operatore hilbertiano compatto eautoaggiunto, o più generalmente normale. Esiste allora una base ortonor-male di autovettori xnn≥1, con autovalori corrispondenti λnn≥1, t.c.:

∀x ∈ H : x =∞∑

n=1

〈x, un〉un ∧ Lx =∞∑

n=1

λn〈x, xn〉xn.

Per comprendere pienamente la portata del teorema precedente, si puòpensare all'importanza che questo riveste nella soluzione dei problemi oper-atoriali di tipo integrale classicamente incontrati nello studio dell'elettroma-gnetismo. E' giust'appunto il caso del problema integrale abbinato allo studiodello scattering da parte di un conduttore elettrico ideale di forma cilindricae sezione circolare già discusso in dettaglio nel corso del capitolo primo.

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3.8 La diagonalizzazione dell'EFIE.

Completiamo a questo punto un discorso più volte accennato nel corso dellanostra trattazione e che, allo stato attuale, trova nalmente la collocazionepiù naturale per essere arontato in modo consapevole.

Ebbene, diversamente dal caso del conduttore cilindrico perfetto di se-zione circolare, si prova che (in generale) l'operatore integrale che denisce ilmodello matematico dello scattering è un operatore non-normale, e in quantotale non può essere ridotto in forma diagonale di Schur.

Dimostrare quest'aermazione risulta, pur tuttavia, notevolmente labo-rioso, e di fatto necessita dello sviluppo di tutta una teoria specialistica rel-ativa agli operatori integrali che, in questa sede, non può trovare spazio, nonaltro che per questioni di brevità e di sintesi. Ottime referenze in propositosi possono comunque reperire in [MiK 57], cui di fatto si rimanda per ogniulteriore approfondimento sul tema.

Dando in ogni caso per acquisito il risultato appena qui sopra enunciato,mostreremo nel corso del capitolo conclusivo, utilizzando la teoria degli pseu-dospettri e le potenzialità di calcolo del MatLab, che la soluzione numerica alproblema dello scattering, relativamente all'esempio del conduttore cilindri-co, fallisce di evidenziare questa essenziale proprietà dell'operatore integralecoinvolto dal modello matematico del fenomeno.

Che anzi, il sistema lineare rappresentativo del problema operatorialedi origine, ottenuto mediante proiezione dell'EFIE su un opportuno spazionito-dimensionale attraverso il metodo dei momenti (sviluppato nel corsodel capitolo 4), suggerisce in vero la sussistenza della condizione opposta,cioè a dirsi la diagonalizzabilità dell'operatore stesso.

Questo aspetto fornisce lo spunto per concludere che, nella risoluzione nu-merica dei problemi, è indispensabile accompagnare il processo di discretiz-zazione ad un'analisi preliminare di tipo puramente teorico delle proprietàdegli operatori coinvolti, o in alternativa esaminare il livello di non-normalitàdei modelli lineari discretizzati mediante un'analisi mirata dei corrispettivipseudospettri. Qui la chiave di lettura del presente lavoro di tesi.

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Capitolo 4

Il processo di discretizzazione.

Questo capitolo è interamente dedicato al processo di discretizzazione delleequazioni operatoriali mediante il metodo dei momenti, con la conseguenteriduzione del problema innito-dimensionale, formulato nei termini dell'ana-lisi lineare su un opportuno spazio di Hilbert, ad un problema nito-dimen-sionale, espresso nel più semplice linguaggio dell'algebra delle matrici.

Dopo aver presentato, e da più punti di vista, il metodo proiettivo deimomenti e la sua specializzazione nel metodo di Galerkin, si descrive opera-tivamente il processo di discretizzazione in riferimento al caso dello scatter-ing elettromagnetico da parte di un corpo conduttore cilindrico, pur senzarinunciare a qualche breve accenno al caso d'una geometria arbitraria.

Il punto di partenza è l'equazione operatoriale di tipo integrale (EFIE) giàdedotta nel corso del capitolo 1 per descrivere il problema elettromagneticoin sé, e risolta per via analitica, nel caso specico di un cilindro di sezionecircolare, nel corso del capitolo precedente.

Sostanzialmente, il tutto consiste nel riportare il problema operatorialedi origine ad un sistema lineare quadrato di dimensione opportuna, tipica-mente ssata sulla base e delle risorse disponibili (i.e., il software in adozionee la potenza di calcolo, nel caso di una risoluzione numerica al calcolatore) edel grado di precisione desiderato. Si ottiene per questa via una soluzione ap-prossimata del problema originale, e nasce conseguentemente la necessità dipoterne stabilire la rispondenza e l'adabilità, cioè misurarne il discostamen-to dalla soluzione analitica esatta (ancorché eventualmente non esprimibilein forma chiusa) dell'operatoriale che si è inteso discretizzare.

Di qui le problematiche discusse nel corso del capitolo conclusivo.

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4.1 Giù dall'innito...

La massima parte delle soluzioni alle equazioni operatoriali di specie lineare,e particolarmente di equazioni che coinvolgano operatori integro-dierenzialisu spazi di tipo L2, si può interpretare in termini di proiezioni su opportunisottospazi del dominio comune degli operatori coinvolti (in questo contesto,uno spazio di Hilbert). Dal punto di vista di un approccio numerico al proble-ma delle soluzioni, tali sottospazi debbono essere chiaramente a dimensionenita. Non è escluso, tuttavia, che i medesimi abbiano a possedere dimen-sione innita, là dove si sia piuttosto interessati ad uno studio di caratteresquisitamente teorico (ad esempio, un'espansione in autofunzioni).

L'idea di trasformare delle equazioni funzionali lineari in equazioni linearimatriciali, ovvero in sistemi di equazioni lineari, è piuttosto antica. Si pen-si, in tal senso, che l'ingegnere russo Boris Grigorievich Galerkin sviluppò ilmetodo che oggi porta appunto il suo nome nell'ormai lontano 1920. Si trat-tava di una specializzazione del più generale metodo dei momenti presentatoqualche anno più tardi da R. F. Harrington, nel 1967 [HaR 67].

Ebbene, come più volte siè detto nel corso di questo lavoro di tesi, laquasi totalità delle questioni di maggior interesse in ambito ingegneristicoe non solo può essere formulata nei termini di un'equazione operatorialelineare (in particolare, un'equazione funzionale) del tipo: Lx = y, ove x ed y(l'incognita e il termine noto, rispettivamente) sono vettori di un opportunospazio lineare H (nella logica della trattazione, uno spazio hilbertiano) ed Lun operatore lineare su H, caratterizzato da opportune proprietà.

Questo fatto è tanto più evidente nel caso delle questioni di elettromag-netismo, dove le relazioni coinvolte nella descrizione dei campi sono sistem-aticamente di tipo integro-dierenziale. E allora, con riferimento esplicito aquesto preciso ambito di studi, possiamo distinguere i problemi di interessein due grandi categorie: problemi deterministici e problemi agli autovalori.

Nel primo caso, le equazioni funzionali messe in gioco sono tali da con-sentire che le grandezze siche risultanti dalla soluzione del problema, tipica-mente funzioni delle coordinate spazio-temporali e di qualche altro parametroindipendente, possono essere stabilite in modo diretto, ossia (come si dice)sono esprimibili in forma chiusa analitica. Alla seconda categoria apparten-gono, invece, tutti quei problemi di cui, tipicamente, si calcolano innanzituttodegli opportuni parametri (gli autovalori dell'operatore) da cui è dipendente

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l'esistenza o meno di eventuali soluzioni non banali, di fatto susseguente-mente determinate e cui si attribuisce il nome di autosoluzioni, e si invertedi conseguenza l'equazione operatoriale fornendo dell'incognita una rappre-sentazione di tipo seriale. Ebbene, i problemi di entrambe le classi possonoessere maneggiati mediante il metodo dei momenti.

Il capitolo si conclude con alcune riessioni che fanno da premesse aglisviluppi della teoria pseudospettrale, oggetto del capitolo conclusivo.

4.2 I problemi deterministici.

Consideriamo un problema elettromagnetico la cui corrispondente equazioneoperatoriale (funzionale e lineare) si scriva nella forma generale: Lx = y,ove x ed y sono elementi dello spazio L2 delle funzioni quadrato-sommabilisecondo Lebesgue in un opportuno sottoinsieme Ω non vuoto di Cn, rap-presentativo del dominio dell'operatore, e quindi del campo di denizonedel problema. Incidentalmente, ricordiamo che, in L2(Ω), il prodotto internostandard è denito assumendo (come già nel capitolo 2):

〈u, v〉 :=∫

Ωu v dΩ, ∀u, v ∈ L2(Ω)

Come più volte si è potuto ribadire, equazioni generali del tipo: Lx = y sonorisolvibili analiticamente solo in pochissimi casi fortunati. Il più delle volte,tuttavia, la loro soluzione richiede l'impiego di metodi in grado di trasporrel'equazione originale in forma di un sistema nito di equazioni lineari. Fra ipiù quotati le tecniche variazionali, la discretizzazione alle dierenze nite eil metodo dei momenti. A quest'ultimo, in particolare, si dà spazio nel seguitodella trattazione, tralasciando ogni ulteriore riferimento agli altri, anche inconsiderazione del fatto che le tecniche variazionale e i metodi proiettivi sono,in ultima analisi, due versioni equivalenti di uno stesso approccio.

Cerchiamo dunque d'inquadrare compiutamente l'idea alla base del meto-do dei momenti. Innanzitutto, esprimiamo la funzione incognita a mezzo diuna combinazione lineare delle funzioni di una base xii∈I del dominio del-l'operatore L. Qui come nel seguito, I rappresenta un opportuno insieme diindici, eventualmente innito e più che numerabile. L'esistenza di una basecosiatta per lo spazio delle funzioni a quadrato sommabile secondo Lebesgueè garantita, precisamente, dal teorema della base di Hilbert, già presenta-

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to nel corso dei capitoli precedenti. E allora, esistono opportuni coecientiscalari αii∈I tali che: x =

∑i∈I αixi.

Come implicitamente è stato già detto, l'insieme di base xii∈I puòessere nito o innito. Nel secondo caso, poiché nei problemi pratici la som-matoria deve essere troncata, la soluzione ottenuta sarà soltanto un'approssi-mazione della soluzione reale. E' questo il caso degli sviluppi in serie divettori ortogonali, come ad esempio la classica espansione ortotrigonometricadi Fourier. Ora, sfruttando la proprietà di linearità dell'operatore L:

Lx = y ∧ x =∑i∈I

αixi =⇒∑i∈I

αiLxi = y (4.1)

Fissato allora un insieme wjj∈J di funzioni di peso o di test nel rangedell'operatore L e preso il prodotto scalare dei due membri della (4.1) dopoaver assunto y = wt, per ogni j ∈ J , l'equazione operatoriale di partenza siriduce in un sistema di equazioni lineari (in generale, doppiamente innito,e nelle incognite e nel numero delle relazioni), che in notazione matriciale sipuò scrivere nella forma: [L]~α = ~y, ove Li,j = 〈wi,Lxj〉 ed yj = 〈wt, y〉, perogni i ∈ I ed ogni j ∈ J , e si è posto ~α := [α1, α2, . . . , αj , . . .]T .

Se [L] è una matrice regolare, ovvero se esiste la sua inversa, il sistemalineare: [L]~α = ~y ammette, nell'ipotesi che il numero delle equazioni eguagliil numero delle incognite, la soluzione unica: ~α0 = [L]−1~y, donde dedurre lasoluzione dell'operatoriale di partenza nella forma: x =

∑i∈I α

0i xi.

Il metodo dei momenti può essere interpretato come una proceduta diminimizzazione dell'errore, formulata in modo opportuno agli spazi vetto-riali, attraverso l'introduzione dei prodotti scalari, il concetto di approssi-mazione ordinariamente riferito alle entità numeriche reali. Sia R(L) il rangedell'operatore L. E allora, il secondo membro della relazione matriciale:[L]~α = ~y rappresenta la proiezione ortogonale del sottospazio di R(L) gene-rato dall'applicazione di L sul vettore x ∈ H che è soluzione esatta dell'equa-zione: Lx = y. In altre parole, y viene proiettato sullo spazio ortogonalmentesul sottospazioW del range di L spannato dai vettori della famiglia wjj∈J .Analogamente, il membro di sinistra della stessa relazione sopra indicata è laproiezione ortogonale su W del sottospazio generato dai vettori dell'insiemeLxjj∈H. Il metodo dei momenti si basa sull'idea di eguagliare queste dueproiezioni. In quanto ortogonale alla proiezione, l'errore (o residuo pesato)è un innitesimo del 2 ordine rispetto all'approssimante e perciò il metodo

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fornisce implicitamente una procedura di minimizzazione dell'errore.Esistono inniti insiemi di base così come esistono innite funzioni di

peso. Il compito più importante di un ingegnere per un qualsiasi problemadi interesse pratico consiste nel selezionare opportunamente l'uno e l'altro.E quantunque la scelta sia vincolata alle caratteristiche del problema speci-camente preso in considerazione, è pur vero ch'è possibile fornire delle regoleche possono essere applicate in generale onde ottimizzare la probabilità disuccesso ottenendo risultati sucientemente accurati con il minimo impiegodi tempo e di risorse di calcolo, come di seguito accennato.

Innanzitutto, è essenziale che i vettori della base xii∈I e dell'insiemedei pesi wj∈J siano, gli uni e gli altri, linearmente indipendenti. In secondoluogo, la base xii∈I dev'essere tale che, troncando a un ordine ragionevolela sommatoria x =

∑i∈I αixi ch'esprime la soluzione del problema opera-

toriale Lx = y in termini degli xi, l'approssimante descriva comunque inmodo adeguatamente fedele le proprietà della soluzione reale. Inne, i pesiwi debbono essere ssati così da garantire che il valore dei prodotti interni〈wi, y〉 sia legato a proprietà relativamente indipendenti del termine noto.Inne, esistono alcuni fattori addizionali che possono inuenzare la scelta siadella base che dell'insieme dei pesi, e fra questi:• il livello o grado di accuratezza desiderato;• le dimensione della approssimante matriciale;• la costruzione di un matrice ben condizionata;• la possibilità di valutare con relativa semplicità i prodotti interni.

Le diverse scelte operabili sulle funzioni di peso conducono a diverse special-izzazioni del metodo dei momenti.

4.3 Il metodo di Galerkin.

Ad ogni buon ne, ricordiamo innanzitutto che l'operatore aggiunto di L, opiù semplicemente l'aggiunto di L, è quell'unico operatore lineare L† su L2,la cui esistenza è garantita dal teorema di rappresentazione di Riesz, tale che,per ogni x ∈ L2: 〈Lx, y〉 = 〈x,L†y〉, essendo y := Lx. E' bene sottolineareche, in generale, il dominio di L† non coincide necessariamente con l'insiemedi denizione di L.

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Nell'ipotesi in cui il dominio di L sia coincidente con il dominio dell'-operatore aggiunto L†, l'insieme dei pesi può essere scelto in modo tale dacoincidere con l'insieme xii∈I dei vettori di base, portando così il metodogenerale dei momenti a specializzarsi nel cosiddetto metodo di Galerkin. Lasuddetta ipotesi è automaticamente soddisfatta quando gli operatori coin-volti siano, in particolare, autoaggiunti. E in eetti, poter disporre di op-eratori autoaggiunti è tanto più desiderabile in relazione a questo metodo,dacché la matrice [L] corrispondente ne risulta simmetrica nei suoi ingres-si, la qual condizione può comportare notevoli vantaggi nella risoluzione delsistema di equazioni lineari ad essa associato, ovvero nel computo della suainversa. Basti considerare, in tal senso, che ad ogni matrice simmetrica èapplicabile la decomposizione in forma diagonale di Schur.

Il prezzo da pagare è che, nel metodo di Galerkin, il computo degli ele-menti della matrice [L] può di fatto risultare molto più dispendioso che in al-tri casi. E le complicazioni risultanti potrebbero essere tali da comprometteretutti i vantaggi legati al fatto di disporre d'una matrice simmetrica.

Il metodo di Galerkin è stato largamente impiegato in letteratura nellarisoluzione di numerosi problemi elettromagnetici, e molti fra questi sonoriferiti a titolo di esempio in [HaR 67], cui si rinvia per approfondimenti.

4.4 La discretizzazione dell'EFIE.

Nel corso di questo paragrafo, poniamo l'attenzione sulle tecniche di risolu-zione numerica dei problemi di scattering dal punto di vista generale delleprocedure di soluzione numerica delle equazioni operatoriali lineari. Fanno daindispensabili premesse tutte le considerazioni svolte nei capitoli precedentie nei paragra preliminari del capitolo corrente.

Quest'approccio di carattere essenzialmente matematico non soltanto for-nisce una comprensione più profonda delle metodologie in sé, ma consente inpiù di focalizzare con grande semplicità la sostanziale equivalenza fra l'ap-proccio variazionale, il metodo degli elementi nito e la tecnica dei momenti,che - soltanto per ragioni di carattere storico - vengono classicamente trattatiin letteratura come se fossero dei topic quasi indipendenti.

Come già ampiamente discusso nel corso del capitolo 1, un problema discattering elettromagnetico consiste tipicamente, ed è tradotto di fatto nellapratica, nel problema di determinare un campo o una sorgente equivalente

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incognita u in conseguenza delle interazioni di un'assegnata distribuzione disorgenti note, o eccitazioni, nominalmente indicate nel seguito con f , con lasupercie di un conduttore elettrico ideale di cui sia nota la geometria.

Questo problema, che si dimostra lineare là dove sia garantita l'applica-bilità del principio di sovrapposizione degli eetti, o anche il suo approssi-mante linearizzato, là dove invece l'ipotesi anzidetta non sia vericata, puòessere riformulato nei termini e nel linguaggio astratto della teoria degli op-eratori secondo l'equazione: Lu = f , ove L è appunto un operatore lineare,che agisce - come auspicabilmente si può ammettere - su un qualche spaziodi Hilbert H (uno spazio funzionale) di dimensione innita.

Nel caso tipico dei problemi di scattering, L è usualmente un operatoredierenziale, integrale o integro-dierenziale che denisce il legame fra ilcampo stabilito entro un certo dominio D dello spazio reale R3 o i valori chequesto assume sulla frontiera ∂D e le sorgenti interne a D.

La maggior parte dei metodi utilizzati per costruire una soluzione nu-merica di un problema operatoriale della forma: Lu = f possono riguardarsicome metodi di proiezione (o dei momenti, come anche si usa dire).

Come discusso già in precedenza, il primo passo di una procedura di dis-cretizzazione basata sull'approccio proiettivo prevede l'introduzione di unprodotto scalare su un opportuno spazio vettoriale, reale o complesso, e l'e-sempio tipico, peraltro già discusso in seno al capitolo 2, è rappresentatodal prodotto interno hermitiano sugli spazi di Lebesgue L2, che sono ap-punto l'ambiente naturale in cui inquadrare la teoria delle equazioni integro-dierenziali, e in cui sviluppare specicamente il problema dello scattering.

In particolare, ricordiamo una volta di più che, se u, v sono funzioniquadrato-sommabili secondo Lebesgue su un certo dominio D ⊆ R3, si pone:

〈u, v〉 :=∫Du vdD, (4.2)

ove D può essere un segmento o una curva C (caso unidimensionale), una su-percie S (caso bidimensionale) oppure un volume V (caso tridimensionale).Se poi le funzioni u e v sono vettoriali, piuttosto che scalari, ad integrandagura il prodotto puntato, anziché il prodotto semplice, e si scrive:

〈u;v〉 :=∫D

u · vdD,

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ove si è scelto qui di utilizzare il grassetto soltanto per ragioni di maggiorchiarezza. Ebbene, mutuando il linguaggio proprio dell'analisi lineare, pos-siamo dire che il prodotto scalare denito dalla (4.2) rappresenta, a menodi un'operazione di coniugio, la proiezione della funzione u sulla funzionev, e viceversa. Proiettando allora l'equazione operatoriale generale: Lu = f

sullo spazio generato da un opportuno insieme di funzioni di peso o di testwii∈I , l'equazione stessa è ricondotta alla cosiddetta formulazione debole:

〈wi,Lu〉 = 〈wi, f〉, i ∈ I (4.3)

Ben diversamente dalla cosiddetta formulazione forte del problema: Lu = f ,per la quale l'uguaglianza sussiste in ogni punto del dominio D, la (4.3)richiede più semplicemente che l'uguaglianza sia vericata nel senso dellemedie pesate rispetto a dierenti possibili scelte delle funzioni di test.

In altre parole, anziché imporre direttamente che la soluzione del proble-ma operatoriale soddis l'equazione: Lu = f , se ne forza l'uguaglianza deimomenti generalizzati vs alle funzioni di peso. Da qui il nome del metodo.

Se lo spazio delle funzioni di test è sucientemente grande (in generale,innito) e tale da soddisfare opportune condizioni topologiche, i teoremi diHilbert ed Hilbert-Schmidt, già presentati nel corso dei capitoli precedenti,garantiscono che la soluzione dedotta a partire dalla formulazione deboledel problema risolve parimenti quasi ovunque in D l'operatoriale Lu = f ,cioè a dirsi ovunque nel dominio eccetto al più che in un suo sottoinsiememisurabile e di misura nulla secondo Lebesgue.

In una soluzione numerica, chiaramente, non può che scegliersi un numeronito w1, w2, . . . , wn di funzioni di test, con n ∈ N0. Pur tuttavia, la sceltanon è condotta in modo del tutto arbitrario, ma auspicabilmente dovrebbeessere tale da garantire che, al limite per n→∞, l'operatoriale di partenzarisulti soddisfatta quasi ovunque. Un insieme di funzioni di peso che rispecchiquesta proprietà si dice completo, ed è tale da assicurare che, là dove l'ordinen dell'approssimante sia sucientemente grande, l'errore che n'è risultantepossa essere reso arbitrariamente piccolo.

D'altro canto, in una soluzione numerica, non solo l'uguaglianza, ma pureil termine incognito u dev'essere approssimato. Scegliamo pertanto di as-sumere, in tal senso: u ≈ u :=

∑ni=1 xiui, ove x1, x2, . . . , xn è un insieme di

coecienti incogniti da determinare e u1, u2, . . . , un un insieme di funzioni

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di base note tali da fornire un'adeguata approssimazione di u.La rappresentazione che ne risulta permette, là dove necessario, di ridurre

il problema innito-dimensionale relativo alla determinazione di u in tutti ipunti del dominio D al più semplice problema di invertire un sistema lineare,onde determinare i coecienti incogniti x1, x2, . . . , xn, un task decisamentepiù appropriato ad un approccio di tipo numerico.

Per ottenere una soluzione unica al problema basta che u1, u2, . . . , un

siano vettori linearmente indipendenti; tuttavia, per garantire una soluzionenumericamente stabile, è necessario assicurarsi che le funzioni di base abbianoun elevato grado di indipendenza, misurato in termini delle proiezioni delleune sulle altre. Di fatto, le basi ortonormali uii∈I , per le quali:

〈ui, uj〉 =∫Duiuj dD = δij =

1, se i = j,

0, se i 6= j,(4.4)

ove δij denota qui la delta di Kronecker, rappresentano di fatto la sceltaideale. Tuttavia, nonostante che nel corso del capitolo 2 si sia accennato acome risulti sempre possibile, in un spazio di Hilbert, costruire una base divettori ortonormali, sulla falsariga del metodo dell'approssimante ottimale,seguendo il cosiddetto algoritmo di Graam-Schmidt, è pur vero che la proce-dura può rivelarsi particolarmente complicata da denire là dove il dominioD abbia una forma del tutto arbitraria.

In alternativa, si può pensare allora di approssimare innanzitutto il do-minio D, decomponendolo in un insieme nito di sottodomini o elemen-ti canonici De, con e = 1, 2, . . . , E, che consistono di segmenti nel casomonodimensionale, triangoli nel bidimensionale e tetraedri sul 3D.

Nel loro complesso, gli elementi forniscono un'approssimazione D di D,nel senso che può porsi D ≈ D := ∪E

e=1De. E' conveniente perciò denire uninsieme di base uii∈I di polinomi di interpolazione su D con la proprietàche: ui(rj) = δij , ove r1, r2, . . . , rn sono N punti di interpolazione su D.Queste basi godono chiaramente della proprietà secondo cui:

n∑k=1

ui(rk)uj(rk) = δij .

L'analogia fra quest'ultima relazione e la (4.4) è piuttosto evidente, e si scopreche le basi di polinomi interpolatori risultano in genere altamente indipen-

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denti e che i calcoli in cui questi sono coinvolti presentano un elevatissimogrado di stabilità, come diusamente discusso in [Tr 97]. Non è pertanto uncaso se i polinomi interpolatori sono alla base della massima parte dei metodinumerici di risoluzione delle operatoriali della forma Lu = f .

4.5 L'esempio del cilindro conduttore.

Riprendiamo a questo punto il problema dello scattering bidimensionale pre-sentato già nel corso del capitolo primo, e risolto per via puramente analiticanel capitolo 3 con riferimento esplicito al caso di un cilindro innito di sezionecircolare, per fornirne adesso una soluzione numerica, nel caso di sezioni diforma arbitrarie, mediante il metodo proiettivo dei momenti (MoM) illustratonelle battute preliminari del capitolo corrente.

Consideriamo in tal senso un cilindro conduttore innito con asse pa-rallelo all'asse z di un riferimento cartesiano ortonormale Oxyz. La sezionetrasversale del cilindro sia rappresentata dalla curva C, che qui e altrovesupporremo regolare. Se un campo elettrico Einc

z dotato soltanto di unacomponente parallela a z incide il cilindro normalmente al suo asse, allorala corrente superciale indotta e i campi scatterati possiedono essi stessicomponenti nulle secondo il piano xy. Diciamo Jz ed Esc

z le componentilungo z delle correnti e del campo elettrico riesso, rispettivamente. Poichéil campo magnetico risultante è diretto trasversale all'asse del cilindro, lapolarizzazione del campo elettromagnetico prende il nome di polarizzazionemagnetica trasversa (TM). Nel caso in cui il sostegno del cilindro sia unacurva piana C aperta e regolare, il conduttore viene generalmente modellatoammettendone innitesimo lo spessore.

In tal caso, quantunque esistano correnti di supercie linearmente in-dipendenti sulle due facce opposte del cilindro, esse divengono coincidenti nelmodello appena introdotto, ed è lecito perciò considerare, punto per punto,che Jz eguagli la somma delle correnti di supercie valutate sui due lati op-posti del prolo S del corpo. Per conseguenza della simmetria traslazionaledel problema nella direzione dell'asse cilindrico, i campi e le correnti indottesono indipendenti dalla coordinata z spaziale. Ciò implica che non esiste alcu-na densità di carica associata alla corrente e che il campo elettrico scatteratopuò essere rappresentato in termini del solo potenziale vettore. Combinando

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così le equazioni (1.9), (1.11) e (1.16) del capitolo 1, si deduce che:

Escz = −jωAz = −jωµ

∫CJz(ρ

′)G(ρ,ρ

′)dC′ = −ωµ

4

∫CJz(ρ

′)H(2)

0 (kD)dC′ ,

ove D := | ρ − ρ′ |. Un'equazione integrale che consenta la determinazione

della corrente indotta alla supercie si ottiene a questo punto imponendoche il campo elettrico totale tangente, Esc

z + Eincz , si annulli sul prolo di

supercie del cilindro, onde dedurne che:

Escz = −Einc

z =⇒ ωµ

4

∫CJz(ρ

′)H(2)

0 (kD)dC′ = Eincz , ∀ρ ∈ C (4.5)

Per una soluzione numerica della precedente, nota come equazione integraledel campo elettrico (EFIE), approssiamo innanzitutto la curva C mediante nsegmenti di retta C1, C2, . . . , Cn, così come illustrato in gura (4.1). I seg-

Figura 4.1: Correnti equivalenti per (a) la regione esterna e (b) la regione interna.

menti di retta sono anche chiamati elementi o sottodomini, e fornisconoun'approssimazione lineare a tratti C := ∪n

i=1Ci della curva C. Come mostrachiaramente la gura, le strutture curve determinano inevitabilmente erroridi modellatura della geometria, la cui entità può essere ridotta unicamenteaccorciando le lunghezze dei segmenti, o incrementandone il numero.

Si noti che l'equazione integrale del campo elettrico continua ad esserevalida anche quando vi sia una giunzione fra le superci di due o più corpiconduttori, com'è nel caso della giunzione fra l'emicilindro e la lamina pianaconduttrice rapresentati in gura. Inoltre, l'impiego della EFIE, nella formu-lazione espressa dalla (4.5), non è limitata al problema dello scattering dasingolo corpo conduttore, ma piuttosto è ugualmente riferita al caso di scat-

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teratori multipli o disgiunti, purché la geometria complessiva del problemapreservi la simmetria cilindrica e l'eccitazione sia z-invariante.

Ebbene, onde approssimare la distribuzione della corrente, assumiamoche ogni sottodominio Ci sia sucientemente piccolo da poter ritenere ladensità di corrente costante lungo ciascun elemento, e assumere più speci-camente Jz ≈ Ii. L'approssimazione costante a tratti della distribuzione dellacorrente elettrica su S è disegnata in gura (4.2). La corrente sulla poligonaleC viene così calcolata secondo la relazione: Jz(ρ) ≈

∑ni=1 IiΠi(ρ), ove Πi(ρ)

è la funzione impulsiva unitaria, denita assumendo:

Πi(ρ) =

1 se ρ ∈ Ci0 se ρ 6∈ Ci

(4.6)

così come illustrato in gura (4.2). Sostituiamo a questo punto la rappre-

Figura 4.2: a) Approssimazione costante a tratti di Jz su C e b) funzione impulsiva unitaria.

sentazione della corrente così ottenuta nel membro di sinistra dell'equazioneintegrale del campo elettrico, notando che, siccome la corrente è approssi-mata, non è possibile che la EFIE risulti soddisfatta in corrispondenza adogni punto della curva C. Per ottenere un sistema di N equazioni lineari nelleN incognite I1, I2, . . . , IN , scegliamo di conseguenza di forzare l'uguaglian-za nel punto medio dell'elemento m-esimo del frazionamento poligonale diC. In altri termini, poniamo ρ = ρm a entrambi i membri della (4.5), oveρm = (ρi1 + ρi2)/2 è il punto medio sottodominio m-esimo, onde dedurne:

∀m = 1, 2, . . . , N :N∑

i=1

∫Ci

H(2)0 (kDm)dC′ = Einc

z (ρm), (4.7)

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essendo Dm :=| ρm − ρ |. Si noti che la proprietà dell'impulso rettangolaredenito dalla (4.6) limita il dominio di integrazione della (4.7), e il sistemadi equazioni lineari risultante può essere convenientemente posto nella for-ma matriciale: [Zmn][In] = [Vm], ove [In] è un vettore colonna contenente icoecienti incogniti della corrente J e [Zmn] è detta la matrice di impedenzadel problema, i cui elementi sono dati dalla relazione:

Zmn =ωµ

4

∫Cn

H(2)0 (kDm)dC′ , ∀m,n = 1, 2, . . . , N. (4.8)

Il vettore colonna delle eccitazioni [Vmn] al membro di destra del sistemaprende il nome di vettore tensione, e i suoi elementi non sono altro che ivalori del campo elettrico incidente campionati sui punti medi di ciascunelemento; è posto cioè: Vm = Einc

z (ρm), per ogni m = 1, 2, . . . , N .La soluzione del sistema [Zmn][In] = [Vm] fornisce il vettore colonna delle

correnti [In], e di conseguenza, attraverso la relazione: Jz(ρ) ≈∑N

i=1 IiΠi(ρ),una rappresentazione globale della distribuzione delle correnti lungo C, i.e.(per simmetria) lungo l'intera supercie del cilindro.

4.6 Il calcolo della matrice di impedenza.

Uno sforzo ulteriore nella risoluzione numerica del problema dello scatter-ing cilindrico è richiesto nel valutare accuratamente gli elementi Zmn dellamatrice di impedenza del sistema lineare [Zmn][In] = [Vm] che discretizzal'EFIE. Prima di tutto, per calcolare numericamente gli integrali coinvoltinella (4.8), è necessario parametrizzare ciascuno dei segmenti di retta Cn incui è decomposta la curva C.

Siano dunque ρn1 e ρn2 i vettori posizione associati alla prima coppia dinodi del sottodominio n-esimo. E allora, come illustrato in gura (4.3), se `è la lunghezza d'arco misurata a partire dal nodo 1, il vettore posizione ρ

lungo Cn può essere parametrizzato secondo la relazione:

ρ = ρn1 +ρn2 − ρn1

`n` (4.9)

ove `n :=| ρn2 − ρn1 | è la lunghezza del segmento di estremi ρn1 e ρn2. Peresprimere questo risultato in una forma convenientemente generale, introdu-ciamo le coordinate normalizzate ξ1 := 1− `/`n e ξ2 := `/`n, che consentono

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Figura 4.3: a) Parametrizzazione del segmento di retta Cn. b) Coordinate normalizzate su unsegmento di retta e funzioni di interpolazione lineari a tratti.

di riscrivere la (4.9) nella forma: ρ = ρn1ξ1 + ρn2ξ2, lungo Cn. I termi-ni nelle coordinate normalizzate ξ1 e ξ2 che gurano in seno alla relazioneprecedente sono semplicemente delle funzioni di interpolazione lineare sul-l'intervallo (0, 1). A questo punto, un integrale curvilineo qualsiasi lungo Cnpuò essere parametrizzato e quindi approssimato considerando che:∫Cn

f(ρ)dC = `n

∫ 1

0f(ρn1ξ1 + ρn2ξ2)dξi ≈ `n

K∑k=1

wkf(ρn1ξ(k)1 + ρn2ξ

(k)2 ),

dove l'ultimo membro è dedotto applicando al calcolo dell'integrale unaqualche formula di quadratura numerica sull'intervallo (0, 1) con pesi wk

e punti di campionamento ξ(k)1 = 1 − ξ

(k)2 , per ogni k = 1, 2, . . . ,K. Se

f(ρ) è liscia su Cn, particolarmente indicato per questo scopo è il metodo diGauss-Legendre. I nodi di quadratura e i pesi corrispondenti per una Gauss-Legendre a K = 1, 2, 4 punti sono listati nella tabella di gura (4.4a). Sem 6= n, gli integrali che deniscono tramite la (4.8) le entrate della matricedi impedenza operano su integrande regolari e possono essere calcolati inmodo diretto utilizzando le formule di Gauss-Legendre con riferimento aipesi appunto tabellati in gura (4.4), onde ottenere in tal caso:

Zmn =ωµ`n

4

K∑k=1

wkH(2)0 (kD(k)

m ), se m 6= n

ove (visto il precedente): D(k)m ,| ρm − ρn1ξ

(k)1 − ρn2ξ

(k)2 |.

Se m = n, l'integranda in seno alla (4.8) è singolare nel punto di os-servazione ρm. Difatti, per piccoli valori dell'argomento D: H(2)

0 (kD) ≈

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Figura 4.4: a) Punti di sampling e coecienti di peso per una quadratura di Gauss-Legendrea K punti. b) Punti di campionamento e coecienti di peso per le quadrature a K punti dellaforma

∫ 10 f(ξ1)dξ1 ≈

∑Kk=1 wkf(ξ

(k)1 ), dove f(ξ1) presenta una singolarità logaritmica in ξ1 = 0.

1 − j 2π ln(kD), e l'integranda risulta perciò logaritmicamente singolare per

D = 0. Il metodo di quadratura di Gauss-Legendre è del tutto inadatto,in questo caso; per risolvere il problema, notiamo innanzitutto che il puntodi osservazione divide il sottodominio di integrazione (un segmento di ret-ta) in due parti uguali. L'una e l'altra metà contribuiscono in misura deltutto equivalente al valore dell'integrale sull'intero elemento, perciocché icosiddetti autotermini Zmm della matrice di impedenza possono esprimersinondimeno nella forma:

Zmm =ωµ`m

4

∫ 1

0H

(2)0

(k`mξ1

2

)dξ1.

Quest'integrale può essere risolto con il metodo di quadratura di Gauss-Legendre generalizzato, così come descritto in [MRW 96], ove si mostra comevalutare esattamente integrali della forma ∫ 1

0 f(ξ)dξ, quando f(ξ) sia unacombinazione lineare di potenze di ξ e prodotto di potenze di ξ per il ln(ξ).In particolare:

Zmn =ωµ`n

4

K∑k=1

wkH(2)0

(k`mξ1

2

),

ove adesso i pesi wk e i punti di campionamento ξ(k)1 sono riferiti alla tabella

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di gura (4.4b).

4.7 Il calcolo del campo lontano.

Come già diusamente discusso nel corso dei paragra precedenti, il campoelettrico scatterato, nel caso d'un problema a simmetria cilindrica, è espressodalla relazione:

Escz = −jωAz = −ωµ

4

∫CJz(ρ

′)H(2)

0 (k | ρ− ρ′ |)dC′ (4.10)

Assumendo che ρ sia il vettore posizione di un punto del campo lontano,in regione di Fraunhofer, ovvero assunto: | ρ | = ρ | ρ

′ |, possiamoutilizzare l'espressione asintotica della funzione di Hankel, cioè relativa avalori dell'argomento di grande magnitudo, ottenuta considerando che:

H(2)0 (k | ρ− ρ

′ |) ρ→∞−→√

2πkρ

e−j(kρ−π4)ejkρ ·ρ′ ,

dove ρ′

:= x cosφ + y sinφ è il versore nella direzione di osservazione for-mante un angolo pari a φ rispetto alla direzione positiva dell'asse x. Sos-tituendo allora queste relazioni nella (4.10), si ottiene che:

Escz = − ωµ√

8πkρe−j(kρ+ 3π

4)

∫CJz(ρ

′)ejkρ ·ρ′dC′ (4.11)

In alternativa, si osservi come la relazione precedente possa essere ottenutadirettamente a partire dalle equazioni (1.23) e (1.25). Ciò detto, utilizzandol'approssimazione espressa dalla () per la corrente Jz lungo il contorno C, la(4.11) può essere riscritta nella forma:

Escz =

ωµ√8πkρ

N∑n=1

In`n

∫ 1

0ejkρ ·ρ′dξ1 =

ωµ√8πkρ

N∑n=1

In`nejkρ ·ρ′ sincψn

ove ρ′= ρn1ξ1 + ρn2ξ2, sinc denota il seno cardinale e si è posto:

φn :=kρ · (ρn2 − ρn1)

2π.

Osserviamo esplicitamente che l'integrale della penultima relazione può es-sere anche valutato numericamente utlizzando il metodo di Gauss-Legendre,

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con riferimento alla tabella (4.4a).

4.8 Il cilindro non omogeneo.

Nel corso di questo paragrafo, mostriamo come ridurre l'equazione vettori-ale delle onde in una più semplice equazione scalare, che quindi andremo arisolvere nel caso specico di un problema interno attraverso il metodo deimomenti (MoM), tradotto attraverso la formulazione variazionale equivalentedel metodo delle dierenze nite, più immediato e facile da applicare.

L'equazione vettoriale del campo elettrico si riduce in forma scalare quan-do E sia dotato di un'unica componente. Nella fattispecie, noi assumeremoche tutte le grandezze di campo e i parametri materiali siano indipendenti daz e che l'unica componente non nulla del campo elettrico sia diretta appuntolungo questo stesso asse - condizione di polarizzazione TM. Il problema as-sume in questo modo carattere bidimensionale, con la conseguente possibilitàdi restringere ogni ulteriore considerazione al dominio S rappresentativo del-la sezione trasversale cilindrica sul piano z = 0. Ammettiamo quindi che lafrontiera C di S sia una curva chiusa piana di lunghezza nita del piano xy.In queste assunzioni, ci è consentito assumere E = Ez(ρ)z e J = Jz(ρ)z,ove ρ = x x + y y è il vettore posizione bidimensionale. Per semplicità, con-sideriamo inoltre mezzi isotropi, di modo tale che: µ−1

r (ρ) = µ−1r (ρ)I ed

εr(ρ) = εr(ρ)I, ove I è la diade identità. Per questa via, l'equazione (1.7)delle onde vettoriale assume la forma scalare bidimensionale:

∇t · (µ−1r ∇Ez) + k2

0εrEz = jωµ0Jz, ∀ρ ∈ S (4.12)

ove ∇t = x ∂/∂x + y ∂/∂y è l'operatore nabla bidimensionale. La (4.12)rappresenta un'equazione alle derivate parziali di tipo ellittico, per la qualesi richiede la precisazione di opportune condizioni al contorno circa il valoreassunto dai campi lungo C, onde garantire l'univocità della soluzione.

L'equazione (4.12) è detta la formulazione forte dell'equazione scalaredelle onde; essa deve valere in ogni punto del dominio. In una soluzione ditipo numerico, tuttavia, è inevitabile che il campo Ez venga calcolato perapprossimazione della (4.12), il che renderà di conseguenza impossibile garan-tire che l'uguaglianza ivi postulata risulti soddisfatta in ogni ogni punto deldominio della soluzione. Di fatto, imporremo piuttosto che l'uguaglianza sia

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consistente in relazione ai valori medi pesati del campo. A questo risultato siperviene richiedendo l'uguaglianza del prodotto scalare di ambedue i membridella (4.12) con un opportuno insieme di funzioni di peso (o di test).

Il prodotto scalare qui utilizzato è l'ordinario prodotto interno sullospazio hilbertiano L2 delle funzioni a quadrato sommabile secondo Leges-gue nel proprio dominio. In realtà, v'è da dire, come ampiamente discussoin [WL 96], che il prodotto standard degli spazi L2 viene talvolta sostitu-ito, e così nel caso dello scattering elettromagnetico, dal cosiddetto prodottosimmetrico, che dierisce dal prodotto scalare ordinario per il fatto che lefunzioni ad integranda vengono moltiplicate direttamente, senza il coniugiod'una delle due. Tuttavia, come sempre accade in questi casi, la scelta diadottare un prodotto interno diverso dallo standard, quantunque porti consé dei notevolissimi vantaggi, legati alla possibilità di sfruttare pienamentela simmetria combinandola con la reciprocità dei campi, introduce ciò nondi-meno non poche complicazioni, poiché non garantisce la completezza dellospazio ambiente: il prodotto simmetrico, nel campo complesso, non è infattiun prodotto scalare, bensì (come si dice) uno pseudo-prodotto scalare. Pertutte le ragioni brevemente qui accennate, il prodotto simmetrico non verràpiù oltre preso in considerazione nel corso di questa trattazione.

Ciò premesso, ammettiamo a questo punto di disporre di un insiemeopportuno di funzioni di peso Λmm∈I , ove I è una qualche famiglia diindici (tipicamente innita, e spesso pure non numerabile), e moltiplichi-amo ambo i membri della (4.12) per la generica funzione di test Λm, inte-grando susseguentemente su S. Di qui, mediante un'integrazione per partisul primo termine risultante e per applicazione dell'identità operatoriale:∇ · (ψa) = ψ∇ · a + a · ∇ψ, del teorema della divergenza e della leggedi Faraday-Neumann-Lenz specializzata al caso della polarizzazione TM:1µr

∇Ez × z = −jωµ0H, si deduce dalla (4.12) la cosiddetta formulazionedebole dell'equazione scalare delle onde, ovvero:

−〈∇Λm;µ−1r ∇Ez〉+ k2

0〈Λm, εrEz〉+ jωµ0

∫CΛmH · ˆdC = jωµ0〈Λm, Jz〉

(4.13)ove ˆ = z×u è il versore localmente tangente alla curva C, ed u il versore del-la normale locale uscente da C nel piano z = 0, così come in gura. Possiamocommentare che, dal punto di vista del metodo dei momenti, anziché im-porre direttamente l'uguaglianza suggerita dalla (4.12), abbiamo piuttosto

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Figura 4.5: La supercie S, con la sua frontiera C, suddivisa nei triangoli Se

forzato - attraverso la formulazione debole dell'equazione scalare delle onde -l'uguaglianza fra i suoi momenti generalizzati vs le funzioni di peso Λmm∈I .

Ora, se la frontiera C di S è un conduttore, ovvero se rappresenta ilcontorno di una cavità bidimensionale (i.e., una guida d'onda in cut-o ),allora il campo elettrico tangenziale è nullo sul bordo: Ez = 0 su C. Alloscopo di tener conto di questa che prende il nome di condizione al contornodi Dirichlet, è necessario che noi si scelga per Ez una rappresentazione diHilbert che garantisca la nullità del campo sulla frontiera, o più semplice-mente un insieme di funzioni di base che tutte si annullino lungo C. Comevedremo, le funzioni di peso Λm serviranno anche da funzioni di base nel-la rappresentazione modale di Ez, e pertanto il discorso appena svilupatos'intende riferito, in ultima analisi, agli elementi della famiglia Λmm∈I .

Di conseguenza, risulterà pari a zero pure l'integrale di linea a primomembro della relazione (4.13). Poiché dev'essere forzata esplicitamente, lacondizione al contorno di Dirichlet è detta una condizione al contorno di tipoessenziale. Per contrasto, là dove sia invece il campo elettrico tangenziale adannullarsi sulla frontiera, ovvero se:

ˆ ·H =1jωµ

∂nEz = 0, su C

allora è suciente sostituire questa condizione nell'equazione (4.13) ondetenerne conto, il che elimina una volta ancora l'integrale di linea lungo lacurva C. Questa condizione al contorno, detta di Neumann, non pone alcunarestrizione addizionale circa la selezioni delle funzioni di base, ed è pertantodenita una condizione al contorno naturale. Nel seguito, assumiamo che C

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Figura 4.6: Listato parziale delle coordinate nodali globali (tabella di sinistra) e dei dati relativialle interconnessioni fra i vertici del modello geometrico di gura (4.5) (tabella di destra).

sia la frontiera di una sezione di conduttore, con Ez = 0, allo scopo precipuod'illustrare l'applicazione delle condizioni al contorno di tipo essenziale.

Come illustrato in gura (4.5), possiamo approssimare il dominio S del-la soluzione mediante una sua suddivisione in un insieme di N elementitriangolari Se, ove e = 1, 2, . . . , N . L'approssimazione risultante del do-minio originale è rappresentata dalla poliedrica S := ∪N

i=1Si e costituisceil modello geometrico del problema. La struttura dati per la descrizione delmodello consiste di due tabelle. Come illustrato in gura (4.6), una tabel-la contiene i dati relativi relativi alle coordinate dei vertici, o nodali, delmodello: ρv = xvx + yvy, ove v = 1, 2, . . . , V e V è il numero complessivodei nodi. L'altra è relativa invece ai dati di connessione, e con riferimen-to al modello geometrico della supercie del conduttore mostrato in gura(4.5) fornisce un listato parziale dei nodi che deniscono i vertici dei singolielementi triangolari.

Gli altri ingressi della tabella sono relativi all'approssimazione del campoEz, cui d'altro canto è dedicata la restante parte del paragrafo. Innanzituttonotiamo che, nella conversione dell'equazione scalare delle onde dalla for-mulazione forte alla sua controparte debole, non è più necessario assumereche Ez sia due volte dierenziale, ma è suciente piuttosto supporne la dif-ferenziabilità al solo primo ordine di derivazione. I vantaggi da ciò risultanti

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sono tuttavia compensati dalla necessità d'imporre la dierenziabilità dellefunzioni di test. Poiché a questo punto tanto le funzioni di base quanto lefunzioni di peso hanno ad essere dierenziabili, ciò suggerisce di utilizzarelo stesso set di funzioni Λmm∈I per ambedue gli scopi. Questa scelta, cheporta al cosiddetto metodo di Galerkin, è di fatto quella adottata nel corsodi questa trattazione, sebbene tutt'altro che necessaria.

Osserviamo inoltre che Ez è continuo in ogni punto di S, dacché, nel casodel problema bidimensionale, è tangente ad ogni boundary del conduttore.Tanto la continuità quanto la dierenziabilità del modello qui utilizzato nelladescrizione del campo possono essere simultaneamente soddisfatte sceglien-do una rappresentazione di Ez lineare a tratti su S, come in gura (4.7).Qui è mostrata una vista prospettica della geometria di gura (4.5), con

Figura 4.7: Rappresentazione lineare a tratti di Ez ed etichetattura DoF su S, l'approssimantepoliedrica di S la cui costruzione è stata già illustrata in gura (4.5).

l'approssimazione lineare a tratti del campo Ez plottata lungo la verticale.Così come illustrato, la rappresentazione lineare a tratti è tale da garan-

tire agevolmente che sia pure soddisfatta la condizione al contorno Ez = 0lungo C. La rappresentazione è completamente specicata una volta che sianonoti i soli valori assunti dal campo Ez sui nodi interni (è a dirsi, non apparte-nenti al boundary) di S, valori che rappresentano i cosiddetti gradi di libertào DoF (dall'inglese degree of freedom) di Ez; i valori assunti dal campoin ogni altro punto sono semplicemente determinati a partire dai precedentiper interpolazione lineare. Ad ogni nodo interno è assegnato un indice DoFn = 1, 2, . . . , q, ove q è il numero totale delle incognite o dei gradi di libertà.La necessaria corrispondenza fra incidi DoF, indici locali e indici globali èillustrata nella tabella di destra in gura (4.6). E' da notare come, nellatabella, i nodi della frontiera siano facilmente identicabili per il fatto dipossedere un indice DoF eguale a zero.

L'approssimazione lineare a tratti del campo Ez può essere interpretatacome una combinazione lineare di un insieme di interpolanti piramidali Λm,

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del tipo mostrato in gura (4.8). A ciascun nodo interno con indice DoFpari ad n viene associata una funzione di base Λn, ove Λn è lineare convalore unitario in corrispondenza del nodo n-esimo e valore nullo sui restantivertici dei triangoli che circondano e condividono come proprio il nodo n.La funzione di base è nulla poi ovunque eccetto che su questi triangoli, iquali formano nell'insieme il cosiddetto supporto della funzione di base. Si

Figura 4.8: La funzione di interpolazione di base Λn e il suo supporto.

dovrebbe tenere ben presente che la funzione di base Λn è associata a un nodointerno con indice DoF pari ad n, ch'è generalmente distinto dal nodo n-esimodel modello geometrico di S, poiché l'indicizzazione nodale di quest'ultimoporta in conto pure i vertici collocati lungo la curva di frontiera. In terminidelle funzioni piramidali di base così introdotte, il campo elettrico Ez puòessere espresso nella forma:

Ez(ρ) ≈q∑

n=1

VnΛn(ρ) = [Λn(ρ)]t[Vn] (4.14)

dove l'apice t denota l'operazione di trasposizione matriciale ed il coecienteVn rappresenta un singolo grado di libertà, ossia il valore approssimativo diEz in corispondenza del nodo avente indice DoF pari ad n. Si noti in parti-colare come nessun grado di libertà sia associato ai vertici della linea di con-torno C, ove Ez è nullo. Se fossero stati utilizzato nella rappresentazione delcampo delle funzioni di base relative pure a questi nodi esterni, i corrispettivicoecienti avrebbero dovuto essere tutti nulli.

Accade d'altra parte che un certo numero funzioni di base (e comunquemai più di tre) possiedano supporti sovrapposti su un singolo elemento;chiaramente, si tratta di quelle funzioni di base i cui nodi DoF sono verticidell'elemento in questione. Pertanto, sul triangolo generico della decompo-sizione poliedrica di S, viene introdotto uno schema di indicizzazione localeper etichettare le restrizioni a quello stesso triangolo delle funzioni di basedi cui questo stesso poligono è supporto.

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In pratica, con riferimento al triangolo Se e per ogni e = 1, 2, . . . , N ,usiamo scrivere Λn(ρ) = Λe

i (ρ), con rho ∈ Se, se l'i-esimo indice nodalelocalizzato (per i = 1, 2 o 3) dell'elemento e-esimo è corrispondente al nododotato di indice DoF eguale ad n. Come si vedrà, questa rappresentazione elo schema di indicizzazione locale sono convenienti pure in rapporto ad altrequantità denite sul singolo elemento.

In sintesi, possiamo dunque riassumere il tutto col dire che un nodo dellapoliedrica utilizzata come modello geometrico della supercie S di condut-tore può essere (al più) indirizzato, in ultima analisi, in tre modi dierenti.Con riferimento alla tabella di destra in gura (4.6), un nodo interno diun elemento e, ove e = 1, 2, . . . , N , è dotato infatti di un primo indice vin quanto vertice dell'approssimante S, di un indice DoF generale n, conn = 1, 2, . . . , q, e inne di un indice locale i = 1, 2 o 3.

Ciò detto, sostituendo a questo punto la rappresentazione di Ez espressadalla (4.14) nell'equazione (4.13), si perviene nalmente al sistema (lineare)matriciale: [Ymn][Vn] = [Im], ove [Vn] è il vettore colonna delle tensioni incog-nite, viz i gradi di libertà del campo nella rappresentazione del campo Ez

attraverso le funzioni di base dell'insieme Λn, ed Ymn = 1jω [Γmn]+jω[Cmn]

rappresenta la matrice di ammettenza del sistema, essendo:

Γmn = µ−10 〈∇Λm;µ−1

r Λn〉 ∧ Cmn = ε0〈Λm, εrΛn〉,

rispettivamente, le matrici di induttanza reciproca e di capacitanza. La sor-gente è rappresentata dalla colonna delle eccitazioni: [Im] = −[〈Λm, Jz〉].Per inciso, specichiamo (anche per il seguito) che Vn, Ymn, Γmn, Cmn ed Imsono espresse, dimensionalmente, in [V/m], [S ·m], [H−1 ·m], [F ·m] e [A].

4.9 Il caso generale.

Nel paragrafo precedente, abbiamo considerato lo scattering da parte di uncilindro conduttore innito illuminato da campi incidenti polarizzati, rispet-tivamente, di tipo TM e TE. Qui, cercheremo adesso di estendere queglistessi risultati, trattando il caso generale (un problema tridimensionale) at-traverso l'equazione integrale del campo elettrico (EFIE). Si assume che loscatteratore sia un conduttore elettrico ideale di forma arbitraria, dotato diun prolo di supercie S e illuminato da un campo incidente Einc. Se S è

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una supercie aperta, allora possiede anche un cortorno C, descritto da unacurva regolare di R3.

Nel caso di superci aperte, si assume che la densità superciale J del-la corrente indotta su S sia espressa, punto per punto, dalla somma delledensità di corrente indotte dai campi su ambedue le facce di S, interna edesterna, il che ha senso là dove si ammetta appunto che la supercie presain esame sia regolare. Inoltre, sulla base di considerazioni del tutto analoghea quelle sviluppate già precedentemente in relazione all'esempio del cilindroconduttore, la componente normale della corrente totale deve annullarsi suipunti di S. In termini dei potenziali, il campo scatterato si scrive allora nellaforma:

Esc = −jωA−∇Φ, (4.15)ove il potenziale vettore magnetico e il potenziale scalare del campo elettricosono calcolati, rispettivamente, a mezzo delle equazioni integrali:

A = µ

∫S

J(r′)G(r, r

′)dS ′ (4.16)

Φ = − 1jωε

∫S

∇′ · J(r′)G(r, r

′)dS ′ (4.17)

e la funzione diadica di Green tridimensionale assume l'espressione:

G(r, r′) =

e−jkR

4πR=e−jk |r−r

′ |

4π |r − r′ |(4.18)

L'equazione integro-dierenziale del campo elettrico per le correnti indotte èottenuta imponendo che il campo elettrico totale tangente Esc+Einc svaniscasulla supercie del conduttore:

[jωA + ∇Φ]tan = Einctan, ∀r ∈ S

La corrispondente forma debole di questa stessa equazione si ottiene operan-done un testing mediante una funzione di peso Λm(r) denita su S e ad essatangente. Utilizzando infatti l'identità ∇ · (ΛmΦ) = Φ∇ ·Λm +∇Φ ·Λm e ilteorema della divergenza, il termine coinvolgente il potenziale scalare vieneintegrato per parti, onde ondere la formulazione debole:

jω〈Λm;A〉 − 〈∇ ·Λm,Φ〉 = 〈Λm;Einctan〉, ∀r ∈ S.

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I termini al contorno introdotti dall'integrazione per parti in seno alla re-lazione precedente svaniscono dacché, come si è detto, le componenti dellefunzioni di peso normali a C si assumono nulle in ogni punto di questa medes-ima curva. Una siatta assunzione è consistente con la nostra intenzione diutilizzare le funzioni di testing come funzioni di base per interpolare le com-ponenti normali della corrente di supercie totale sugli spigoli di un poliedroa facce triangolari circoscritto ad S. Ebbene, tali componenti si annullano,come già osservato, sul contorno della supercie. A questo punto, combinandoinsieme le relazioni (4.16) e (4.17), si scrive l'equazione integro-dierenzialedel campo elettrico nella forma:

jωµ〈Λm;G,J〉+ 1jωε〈∇ ·Λm, G,∇

′ · J〉 = 〈Λm;Einc〉 (4.19)

L'idea è di approssimare la supercie S del conduttore mediante un reticolodi r triangoli planari, ove l'i-esimo triangolo è denotato con Si. Ne risul-ta una supercie S := ∪r

i=1Si generalmente continua e tale da costituireun'approssimazione lineare a tratti della supercie S ≈ S.

Poiché nella (4.19) interviene la divergenza della corrente, le funzioni dibase Λn impiegate per rappresentare il vettore J vengono scelte in modo taleche siano dotate di componenti continue in direzione normale lungo le fron-tiere dei singoli elementi triangolari di cui si compone l'approssimante S, chélungo gli spigoli del reticolato apparirebbero delle cariche lineari altrimentiprive di alcun signicato sico. Imponiamo di fatto che i gradi di libertàdella corrente siano dunque associati alla componente normale del vettoreJ , valutata in corrispondenza del punto medio di ciascuno spigolo reticolareche non abbracci la frontiera C di S, nell'ipotesi in cui quest'ultima sia unasupercie aperta. In tal modo, la corrente di supercie si può rappresentaresecondo la relazione:

J ≈N∑

n=1

InΛn, (4.20)

ove In denota la componente della corrente normale allo spigolo n-esimo reti-colare. Il supporto di ciascuna base è la coppia di triangoli che condividono illato dell'approssimante cui appartiene il punto di interpolazione. Ora, dac-ché la componente della corrente normale agli spigoli intrecciati alla lineadi frontiera C di S si annulla, semplicemente possiamo risparmiarci dall'as-socciare delle funzioni di base a questi stessi lati della poliedrica S. D'altra

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parte, là dove si intersechino eventualmente le superci di due o più corpiconduttori fusi insieme, quantomeno tre triangoli debbono pur condividereun lato comune lungo il prolo dell'intersezione. Onde prevenire la possibil-ità che si rilevi la presenza di una carica lineare non nulla in corrispondenzadi un siatto bordo, queste stesse densità di corrente di supercie debbonosoddisfare il 1 principio di Kirchho; di conseguenza, se m è il numero disuperci che si intersecano lungo uno stesso lato del reticolo, allora sui suoipunti possono essere imposti al più m− 1 gradi di libertà.

Si osservi che la situazione qui esemplicata estende semplicemente alcaso tridimensionale le problematiche già discusse in relazione all'esempio delcilindro conduttore, e lo schema di copertura di base descritto in quell'occa-sione si adatta direttamente alla geometria del problema di carattere generalequi adesso preso in esame.

A questo punto, sostituendo l'equazione (4.20) nella relazione (4.19), siottiene perciò il sistema matriciale: [Zmn][In] = [Vm], ove:

[Zmn] = jω[Lmn] +1jω

[Smn]

è la matrice di impedenza del sistema, combinazione lineare delle matricid'induttanza e di elastanza, denite rispettivamente ponendo:

[Lmn] , µ[〈Λm;G(r, r′);Λm〉]; [Smn] ,

1ε[〈∇mΛm, G(r, r

′),∇nΛn〉]

e [Vm] , [〈Λm;Einc〉] è il vettore colonna delle eccitazioni.

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Capitolo 5

La teoria pseudospettrale.

La descrizione del comportamento spettrale, o in altre parole lo studio degliautovalori di un operatore lineare, tanto nel caso nito quanto pure in quello∞-dimensionale, costituisce di fatto un capitolo importante nella risoluzionenumerica dei problemi operatoriali di cui ci siamo interessati nel corso diquesta trattazione, e in particolare in riferimento allo studio dello scatteringelettromagnetico, che tuttavia, come altrove si è già detto, ha rappresentatopiuttosto un banco di prova che non il target di questo lavoro.

E non soltanto dacché la risoluzione numerica di un'equazione integro-dierenziale, ricondotta alla più semplice inversione di un sistema lineare,passa (classicamente) attraverso la decomposizione diagonale o triangolaredi Schur della matrice dei coecienti, ma soprattutto perché è proprio lanatura degli autovalori dell'operatore discretizzato, in rapporto alle proprietàspettrali del problema di origine, a denire una discriminante essenziale nellavalutazione della bontà della soluzione numerica.

In tal senso, nel corso di questo capitolo conclusivo, osserveremo che,discretizzando l'EFIE attraverso il metodo dei momenti, l'operatore matri-ciale che ne risulta è diagonalizzabile, là dove invece l'operatore integrale diorigine, non essendo normale, non soddisfa questa condizione, come già si èpotuto discutere in conclusione del capitolo 3.

In questo caso, pertanto, la transizione dal modello innito-dimensionalealla dimensione nita attraverso il metodo dei momenti genera un propertylack che rende la soluzione discreta scarsamente adeguata a descrivere il siste-ma preso in esame, ben al di là delle immancabili approssimazioni dipendentidagli errori di arrotondamento o dalle instabilità degli algortimi.

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Ebbene, poiché la soluzione dei modelli integro-dierenziali adottati inriferimento ai sistemi lineari o localmente linearizzabili si fonda, essenzial-mente, sullo studio degli autovalori degli operatori coinvolti e sulla possibilitàdi diagonalizzarli, ossia di disporre d'una base ortonormale di autovettori peril loro dominio (uno spazio dotato di prodotto e più tipicamente hilbertiano),appare evidente come, attraverso il processo di discretizzazione e la conse-guente riduzione di un problema formulato in origine in dimensione innitaalla più semplice inversione d'un sistema lineare di n equazioni in n incogni-te, sia per molti versi fondamentale poter stabilire delle condizioni necessariee sucienti che consentano di decidere a priori se ed in quale misura lasoluzione dell'approssimante è in grado di fornire informazioni attendibili esoddisfacenti sul conto della soluzione reale.

Il livello di inattendibilità può essere in qualche modo misurato valutan-do il grado di non-normalità della matrice del modello proiettivo, il che sirealizza attraverso l'analisi del suo pseudospettro. Di fatto, in conclusionedel capitolo, dopo avere introdotto in tal senso la teoria e aver portato al-cuni esempi classici tratti dalla letteratura dedicata all'argomento, si pas-sa a presentare il codice MatLab sviluppato per il computo numerico deglipseudospettri, sottolineandone l'ecienza in termini dei tempi di calcolo el'improvement conseguente all'impiego della fattorizzazione di Lanczos.

5.1 Overview del problema.

Negli ultimi decenni, si è andata sviluppando una crescente consapevolez-za della necessità di utilizzare grande cautela nell'approccio numerico allarisoluzione delle equazioni operatoriali, là dove gli operatori coinvolti sianoessenzialmente non normali. La sussistenza di una condizione di questogenere induce nei sistemi di cui gli anzidetti operatori deniscono il mod-ello nei sistemi comportamenti bizzarri e largamente dierenziati, al puntoche non è immaginabile di poterne fornire una descrizione unitaria.

Per esempio, la condizione di non normalità può implicare l'insorgenzadi un comportamento transitorio che dierisce integralmente dal compor-tamento asintotico suggerito dallo studio degli autovalori. Simili transientipossono manifestarsi nel caso di procedimenti iterativi a bassa velocità diconvergenza, nello studio dei sistemi in prossimità di punti instabili, e nellatransizione verso il regime turbolento nello scorrimento di un uido.

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Numerosi strumenti sono stati suggeriti nel corso degli ultimissimi anni1per descrivere la non normalità di una matrice o di un operatore ed analiz-zarne quindi gli eetti. Fra questi, è giusto ricordare alcuni classici tool dellateoria degli operatori, quali ad esempio il range numerico, la misura direttadegli angoli fra autospazi e il numero di condizionamento degli autovalori.

In questo capitolo, in ogni caso, concentreremo le nostre attenzioni suisoli pseudospettri, un ulteriore strumento di analisi della non-normalità che sirivela di particolare ecacia in tutta una varietà di situazioni di interesse siateorico che applicativo per le quali, di fatto, le tecniche standard fallisconodi fornire informazioni adeguatamente utili, come discusso in [FSl 96].

C'è subito da osservare che gli sviluppi della teoria pseudospettrale, uncampo di ricerca in eetti relativamente giovane, anche a giudicare dall'e-siguo numero di pubblicazioni disponibili in materia, si debbono attribuirein buona parte al dirompente sviluppo parallelo dell'industria degli hardwaree dei software informatici che ha caratterizzato gli ultimi decenni, motivan-do l'interesse degli studiosi verso certi aspetti della teoria che, altrimenti,sarebbero rimasti inesplorati per chissà quanto tempo ancora.

Ora, esiste un metodo piuttosto ovvio per tracciare gli pseudospettri:computare la decomposizione ai valori singolari di una data matrice (il rifer-imento non è necessariamente al caso nito-dimensionale) su tutti i punti diun qualche reticolo del piano complesso e inviare susseguentemente i risul-tati acquisiti ad un plotter. Si può comunque far di meglio, tipicamente diun fattore n/4, per un problema di dimensione n ∈ N0, anche senza bisognodi utilizzare macchine multiprocessore o la tecnica delle matrici sparse.

Uno degli scopi principali del presente lavoro di tesi è appunto spiegarele idee che rendono possibile un tale risultato, consentendo di conseguenzauno speed-up delle prestazioni degli algoritmi pseudospettrali utilizzati perevidenziare comportamenti anomali dei sistemi lineari in rapporto ad unipotetico problema operatoriale in dimensione innita che li abbia generati,come appunto nel caso dello scattering cilindrico.

Il punto essenziale nello studio degli operatori innito-dimensionali at-traverso le matrici di discretizazzione sta nel capire che, talvolta, le proprietàdedotte dalle approssimanti nito-dimensionali non rivelano eettivamentetutto il necessario sul conto del problema cui di fatto sono associate. In par-

1Di fatto, lo studio sistematico della non-normalità degli operatori è stato avviato negli anni'90 da Thefethen, sullo spunto di una precedente pubblicazione di Henrici - vedi [Hnr 62].

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ticolare, nel corso di questo capitolo, cercheremo di rispondere in sintesi atre domande fondamentali: i) quando e perché si dovrebbero computare glipseudospettri; ii) in che modo si possa eettuarne il calcolo, fornendo magariuna visualizzazione graca dei risultati ottenuti; iii) quali informazioni siain grado di fornire l'analisi pseudospettrale di una matrice.

Nel corso della nostra discussione, le idee sviluppate con riferimento quasiesclusivo alle matrici verranno formulate in modo comunque consistente conil fatto che, nella massima parte delle applicazioni di interesse ingegneristico,e più generalmente scientico, le matrici in gioco sono l'aprossimazione dioperatori lineari su spazi a dimensione innita.

Osserviamo inoltre n d'ora che, siccome la denizione degli pseudospet-tri è dipendente dalla particolare norma matriciale in adozione, risulta es-senziale che questa venga scelta di modo tale da convergere all'appropriatanorma continua via via che l'approssimazione viene ranata, e la dimensionedelle approssimanti tende a crescere all'innito.

Questo aspetto verrà tenuto in conto deninendo il prodotto interno e lacorrispondente norma naturale associati ad una generica matrice A quadratad'ordine n ∈ N0 a elementi reali o complessi rispetto ad una matrice di pesonon singolareW compatibile per prodotto, che potrebbe essere, per esempio,una matrice diagonale i cui elementi non nulli sono coecienti di quadraturadi Gauss. La trasformazione di similarità A 7→ WAW−1 determina allorauna matrice B per la quale il problema equivalente del computo dello pseu-dospettro è associato all'usuale prodotto interno euclideo, e di conseguenzaalla norma ad esso corrispondente, i.e. la 2-norma.

Fissando dunque l'attenzione sul caso nito-dimensionale, denotiamo conMn(C) lo spazio vettoriale delle matrici quadrate di ordine n ∈ N0 a elementicomplessi. DettaW una qualsiasi matrice di peso non singolare di Mn(C), in-troduciamo quindi il prodotto interno hermitiano 〈· , ·〉 : Cn×Cn 7→ C deni-to assumendo: 〈u, v〉 := (Wu)H(Wv) = uH(WHW )v, per ogni u, v ∈ Cn.Nelle applicazioni, W potrebbe essere √h volte l'identità, se A è ottenutaper discretizzazione d'un operatore innito dimensionale su una griglia uni-dimensionale a passo uniforme h ∈ R+, oppure una matrice diagonale noncostante ottenuta mediante quadratura su una griglia irregolare.

Come già discusso in generale nel corso del capitolo 3, l'aggiunta di Arappresenta quell'unico operatore lineare A† : Cn 7→ Cn, la cui esistenzaè garantita dal teorema di rappresentazione di Riesz, tale che: 〈Au, v〉 =

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〈u,A†v〉, per ogni u, v ∈ Cn. Nel caso matriciale, un semplice calcolo dimostrache: A† = (WHW )−1AH(WHW ). Se W = I, tutto si semplica, e ne risultache: 〈u, v〉 = 〈u, v〉2, il prodotto scalare euclideo; ‖u‖ = ‖u‖2, la normaeuclidea o 2-norma; e nondimeno: A† = AH . In alternativa, per una genericamatrice di peso W , è comunque possibile semplicare tutte le complicazionidi sorta introducendo la matrice di comodo: B = WAW−1.

E allora, per ogni u ∈ Cn: W (Au) = B(Wu), e per la denizione dellenorme matriciali subordinate alle norme vettoriali: ‖A‖ = ‖B‖2. Inoltre:

WA†W−1 = W (WHW )−1AH(WHW )W−1 = W−HAHWH = BH = B†

per cui WA†W−1 = B†, e così la stessa trasformazione che porta A in B

riduce parimenti A† in B†. Ciò premesso, ricordiamo che A è detta normalesse: AA† = A†A, ossia se A possiede un insieme completo di autovettoriortogonali rispetto al prodotto interno 〈· , ·〉.

Sulla base delle considerazioni svolte qui sopra, la normalità di A si tra-duce equivalentemente nell'imporre: BBH = BHB, ovvero che B possiedaun insieme completo di autovettori ortogonali relativamente al più comuneprodotto interno euclideo 〈· , ·〉2. Per esempio, A è normale rispetto al prodot-to scalare generico 〈· , ·〉 s'è autoaggiunta oppure emiaggiunta, e B è normalerispetto al prodotto scalare euclideo se hermitiana o antihermitiana.

Talvolta, nel prosieguo, useremo dire d'una matrice ch'è altamente non-normale o lontana dalla condizione di normalità per indicare una con-dizione in cui gli autovettori della matrice presa in esame risultano in qualchesenso lontani dall'essere mutuamente ortogonali.

5.2 Spettri e pseudospettri.

Sia A una matrice quadrata a elementi reali o complessi di dimensione n ∈N0, oppure un operatore lineare chiuso su un C-spazio hilbertiano (H, 〈· , ·〉).Sia quindi ‖ · ‖ la norma naturale indotta in H dal suo prodotto interno.

Si dice allora risolvente di A l'operatore lineare (zI−A)−1, che s'intendedenito per tutti e soli i valori del parametro z ∈ C tali che l'inverso di zI−Aesista (nel caso matriciale) o sia limitato (nel caso innito-dimensionale).

Coerentemente con la trattazione generale svolta nel corso dei capitoli

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precedenti, lo spettro di A è dunque l'insieme Λ(A) di tutti e soli i punti delpiano complesso per i quali il risolvente di A non è denito o è illimitato.

E' facile vericare che, nel caso matriciale: ‖(zI−A)‖−1 = ‖(zI−B)−1‖2,ove si è assunto, al solito: B = WAW−1. Ne consegue la possibilità di svilup-pare ogni considerazione futura circa gli spettri e gli pseudospettri degli ope-ratori lineari in dimensione nita con riferimento all'usuale norma euclidea.Inoltre, e incondizionatamente: Λ(A) = Λ(B). Per il seguito, converremo diporre (per comodità): ‖(zI −A)‖−1 =∞, là dove z ∈ Λ(A).

E allora, se z0 ∈ Λ(A), per denizione: ‖(z0I − A)−1‖ = ∞. Ma cosa sipuò dire quando invece il risolvente di A in un punto z ∈ C, ancorché nito,sia tale da assumere pur tuttavia un valore di magnitudo molto elevata?

Ebbene, proprio questo interrogativo costituisce lo spunto che conducein modo naturale ad una prima denizione ingenua degli pseudospettri.Denizione 5.1. - Siano n ∈ N0 ed A ∈Mn(C). Per ogni ε reale positivo,diremo ε-pseudospettro di A l'insieme:

Λε(A) := z ∈ C : ‖(A− λI)−1‖ ≥ ε−1

Discorsivamente, si potrebbe dire che, per ogni ε ∈ R+, l'ε-pseudospettro diun operatore A lineare e compatto su uno spazio di Banach è il sottoinsiemedel piano complesso limitato dalle curve di livello 1/ε della norma risolvente.Si osservi poi esplicitamente che, nel caso matriciale:

Λε(A) = z ∈ C : ‖(zI −B)−1‖2 ≥ 1/ε.

Ebbene, se z /∈ Λ(A), la funzione C\Λ(A) 7→ R+0 : z 7→ ‖(zI−A)−1‖, dacché

rappresenta non altro che l'estremo superiore della funzione subarmonica:

Cn × Cn 7→ R+0 : (u, v) 7→ |〈u, (zI −A)−1v〉|,

calcolato su tutti i vettori di norma unitaria di Cn, è essa stessa subarmonicanel proprio dominio [BoDo 85] e come tale soddisfa il principio del massimodi Dirichlet, onde poterne dedurre che ciascuna componente limitata di ogniε-pseudospettro racchiude al proprio interno parte dello spettro di A.

In modo equivalente, l'ε-pseudospettro di A può essere denito in terminidei valori singolari associati agli operatori hilbertiani ottenuti, in un certo

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senso, perturbando A di una quantità pari ad ε, così come precisato dalsusseguente teorema, riferita per semplicità al caso matriciale: Teorema 5.1. - Essendo n ∈ N0 ed A ∈ Mn(C), sia ‖ · ‖ una normamatriciale in Cn naturalmente indotta da una norma vettoriale.

E allora, per ogni ε reale positivo: z ∈ Λε(A) se e soltanto se esiste unamatrice E ∈Mn(C), con ‖E‖ ≤ ε, tale che: z ∈ Λ(A+ E).Dimostrazione. E' omessa per brevità. Per i dettagli, si veda [Dors 97].Ora, se z ∈ Λε(A), si dice che z è uno ε-pseudoautovalore di A. A ciascunpseudoautovalore è possibile associare uno pseudoautovettore, in generale nonunico, così da giungere alla condizione stabilita dalla ulteriore:Proposizione 5.1. - Siano n ∈ N0 ed A ∈ Cn×n. Per ogni ε reale positivo,risulta che: Λε(A) = z ∈ C : ∃v ∈ Cn, ‖v‖ = 1 t.c. ‖(A− λI) · v‖ ≤ ε.Dimostrazione. I dettagli del proof sono discussi in [DKS 93].Se la matrice o l'operatore A sono normali, ovvero se possiedono una baseortogonale di autovettori, allora il relativo ε-pseudospettro, in norma eu-clidea, consiste di bocce chiuse di raggio ε centrate sugli autovalori. Nel casodi matrici o operatori non normali, al contrario, gli ε-pseudospettri possonoessere molto più allargati, e di conseguenza notevolmente più interessanti.

Più in generale, in qualunque norma, nascono dei problemi là dove labase B := eii∈I di autovettori sia mal condizionata. Se un qualsiasi vettorev dello spazio di interesse risulta espresso in termini degli elementi di unasiatta base, secondo una combinazione lineare del tipo v =

∑i∈I aiei, allora

i coecienti ai ∈ C della sua espansione modale possono essere molto grandiin rapporto alla norma del medesimo vettore .

Le dinamiche del sistema possono pertanto risultare sensibilmente alter-ate là dove esigenze computazionali impongano la necessità di operare deitroncamenti e approssimare operativamente gli sviluppi modali a un certonumero di termini, con la conseguente inauspicabile cancellazione dei coe-cienti dominanti. In altri termini, là dove non sia soddisfatta la condizione dinormalità della matrice o dell'operatore sotto studio, l'evoluzione del sistemamodellizzato dall'una o dall'altro è in qualche modo dipendente dall'even-tuale cancellazione dei coecienti di maggior peso, piuttosto che (come sivorrebbe) dalla natura dei singoli autovalori.

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5.3 Introduzione all'uso dell'EigTool.

Consideriamo a titolo di esempio il caso dello pseudospettro d'una matriceA quadrata di ordine cinque in norma euclidea, così come illustrato a titoloesemplicativo in gura (5.1). I plottaggi di tutti gli pseudospettri presentatiin questo capitolo sono stati tracciati utilizzando un appropriato strumentodel MatLab, l'EigTool, scaricabile gratuitamenta da internet.

Inoltre, la lettura dei diversi diagrammi pseudospettrali rispetta pedis-sequamente alcune semplici convenzioni, che qui di seguito cerchiamo breve-mente di riassumuere. Innanzitutto, gli autovalori delle matrici di interessevengono rappresentati mediante dei punti scuri del piano complesso, e dellelinee colorate vengono utilizzate per segnare il contorno degli pseudospet-tri corrispondenti a diversi valori del parametro ε ∈ R+. La barra cromat-

Figura 5.1: Lo spettro (i punti neri) e le frontiere (le linee colorate) degli ε-pseudospettri relativiad una stessa matrice quadrata di ordine 5 per ε = 10−1, 10−2, 10−3.

ica sulla destra indica, per ciascuna gradazione di colore, il logaritmo inbase dieci di varie livelli di ampiezza della norma risolvente: in gura (5.1),per esempio, sono state tracciate le frontiere degli ε-pseudospettri di A perε = 10−1, 10−2, 10−3, ordinati progressivamente dall'alto verso il basso.

Si noti che, per alcuni valori del parametro ε, lo pseudospettro di A èun sottoinsieme connesso del piano di Gauss, mentre per altri, via via piùpiccoli, si riduce all'unione di un certo numero d'insiemi disgiunti.

E' il caso di osservare, inne, come il contorno pseudospettrale di unautovalore risulta, talora, così piccolo da non essere chiaramente visibile in

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rapporto alla risoluzione utilizzata per il plottaggio: sempre in gura (5.1),questo è il caso del contorno pseudospettrale relativo ad ε = 10−3 attornoall'autovalore di A dotato della più grande parte immaginaria.

Ciò detto, concludiamo questa introduzione all'uso dell'EigTool con loesempio di una tipica informazione che la tecnica pseudospettrale è in gradodi fornire. Ora, la convergenza dei processi iterativi sulle matrici, come adesempio la discretizzazione di un'equazione integrale o un metodo numericostazionario utilizzato nella soluzione di un sistema di equazioni algebrichelineari, può essere descritta in termini della norma delle successive potenzedelle matrici coinvolte nell'iterazione.

Se tutti gli autovalori della matrice presa in esame sono più piccoli di unoin particolare fra loro, allora ‖An‖ deve eventualmente convergere a zero allimite per n 7→ +∞. Un'eventuale condizione di non-normalità, pur tuttavia,può determinare l'insorgenza di un transitorio, in teoria arbitrariamente lun-go, in cui il modulo della matrice An può crescere vertiginosamente, primache abbia inizio l'eettiva fase di decadimento. La presenza di un comporta-mento anomalo in transitorio del tipo appena descritto si può giust'appuntoevidenziare mediante la lettura degli pseudospettri, vedi [HT 93].

Qui di seguito intendiamo illustrare gli pseudospettri corrispondenti aparticolari famiglie di matrici. Questi esempi si limitano appena a descriveregli operatori di maggior interesse cui viene applicata la teoria pseudospet-trale. Altre classi di notevole rilievo sono costituite dagli operatori dieren-ziali non autoaggiunti, da alcune applicazioni nella meccanica dei uidi evarie tecniche di discretizzazione spettrale.

5.4 Matrici e operatori di Toeplitz.

Lo studio delle matrici di Toeplitz rappresenta il paradigma di una delleapplicazioni più aascinanti della teoria pseudospettrale. Una matrice diToeplitz possiede entrate costanti lungo le diagonali, là dove il corrispon-dente operatore di Toeplitz innito-dimensionale è una matrice unidimen-sionalmente innita, cioè innita nel solo numero delle righe o delle colonne.Le costanti sulle diagonali rappresentano i coecienti di Laurent del simbolo,una funzione a valori complessi il cui dominio è il cerchio unitario C.

Lo spettro dell'operatore di Toeplitz è completamente determinato dalsimbolo a(·), e si scopre che, se a(·) è una funzione continua, allora lo spettro

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è semplicemente l'immagine del cerchio unitario tramite a(·), unitamente atutti e soli i punti che la curva racchiude al proprio interno avvolgendosi suse stessa un numero non nullo di volte.

Si trova inoltre che gli autovalori delle matrici di Toeplitz nel caso nito-dimensionale si distribuiscono sul piano di Gauss con una certa varietà diforme, in funzione della dimensione del problema.

Un caso ancora più emblematico è rappresentato dalle matrici di Toeplitzbandate, che s'incontrano in molte situazioni di largo interesse applicati-vo, e fra queste nella discretizzazione alle dierenze nite delle equazionidierenziali mediante il ricorso ai metodi spettrali.

Il nostro primo esempio si riferisce al più semplice fra gli operatori nonsimmetrici di Toeplitz, rappresentativi dell'operatore laurentiano di shifta(t) , t, per ogni t ∈ C (???). La versione innito-dimensionale costitu-isce un classico esempio della teoria degli operatori, e le matrici di shift siincontrano sistematicamente nei problemi di Algebra Lineare, in relazione alcalcolo della forma canonica di Jordan.

Un altro celebre esempio è dato dalla cosiddetta matrice Grcar. Come nelcaso precedente, si tratta di un esempio già trattato in [Tre92] ed è divenutoun test molto popolare in tutti i testi della letteratura specialistica dedicati alcalcolo degli pseudospettri. La matrice è determinata dal simbolo di Laurent:a(t) , −t+ 1 + t−1 + t−2 + t−3.

Lo pseudospettro dell'esempio successivo disegna i petali di un ore, e l'-operatore nito-dimensionale che lo rappresenta, pertanto, prende il nome dimatrice daisy, dall'inglese `margherita', ed è associata al simbolo di Laurent:a(t) , −t+ t−5.

Il nostro esempio conclusivo si riferisce ad una matrice di Toeplitz conun buco nello spettro del corrispondente operatore innito-dimensionale. Sinoti che gli pseudospettri non crescono rapidamente nella regione interna,dove il numero di avvolgimento (???) di a(T ) è zero.

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Figura 5.2: Modello 3D dello pseudospettro dell'EFIE discretizzata nel caso di polarizzazioneTE (gura in alto) e TM (gura in basso) per lo scattering da parte di un conduttore elettricoideale di forma cilindrica. Il plottaggio è stato realizzato mediante l'EigTool del MaTLab.

Figura 5.3: Modello 3D dello pseudospettro dell'EFIE discretizzata nel caso di polarizzazioneTE (gura in alto) e TM (gura in basso) per lo scattering da parte di un conduttore elettricoideale di forma cilindrica. Il plottaggio è stato realizzato mediante l'EigTool del MaTLab.

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Figura 5.4: Lo spettro (i punti neri) e le frontiere (le linee colorate) di tre diversi pseudospettrirelativi ad una stessa matrice quadrata di ordine 5.

Figura 5.5: Lo spettro (i punti neri) e le frontiere (le linee colorate) di tre diversi pseudospettrirelativi ad una stessa matrice quadrata di ordine 5.

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5.5 Il caso del cilindro conduttore.

Utilizzando il metodo di discrettizzazione dei momenti e il codice MatLabriportato nel corso del paragrafo precedente, abbiamo calcolato due matricidi discretizzazione dell'operatore integrale dell'EFIE, nel caso TE e TM peril cilindro conduttore. Le matrici sono state quindi elaborate in MatLabattraverso l'EigTool. Il risultato dei plottaggi degli pseudospettri è riportatoqui di seguito.

Figura 5.6: Lo spettro (i punti neri) e le frontiere (le linee colorate) degli ε-pseudospettri relativiad una stessa matrice quadrata di ordine 5 per ε = 10−1, 10−2, 10−3.

Figura 5.7: Lo spettro (i punti neri) e le frontiere (le linee colorate) degli ε-pseudospettri relativiad una stessa matrice quadrata di ordine 5 per ε = 10−1, 10−2, 10−3.

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Quel che si evidenzia è il fatto che, diversamente dall'operatore innitodimensionale, il modello discretizzato del problema suggerisce la diagonaliz-zabilità dell'operatore discreto. Questo fatto è indice dell'impossibilità di ri-costruire in modo fedele il comportamento dell'oepratore integrale dell'EFIEa partire dal suo modello proiettivo in dimensione nita.

Figura 5.8: Lo spettro (i punti neri) e le frontiere (le linee colorate) degli ε-pseudospettri relativiad una stessa matrice quadrata di ordine 5 per ε = 10−1, 10−2, 10−3.

Figura 5.9: Lo spettro (i punti neri) e le frontiere (le linee colorate) degli ε-pseudospettri relativiad una stessa matrice quadrata di ordine 5 per ε = 10−1, 10−2, 10−3.

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Figura 5.10: Modello 3D dello pseudospettro dell'EFIE discretizzata nel caso di polarizzazioneTE (gura in alto) e TM (gura in basso) per lo scattering da parte di un conduttore elettricoideale di forma cilindrica. Il plottaggio è stato realizzato mediante l'EigTool del MaTLab.

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5.6 Lo speed-up computazionale.

Discuteremo di seguito come sia possibile accelerare il computo numeri-co degli pseudospettri, adottando tutta una serie di accorgimenti di cui ciserviremo in conclusione del capitolo per estrarre il codice MatLab sviluppatonel corso di questi mesi di intenso studio. La sua ecienza viene rarontatacon il più classico algoritmo impiegato per il plottaggio degli pseudospettridelle matrici sparse, basato sulla semplice decomposizione SVD.

Il primo passo di questo processo di ottimizzazione consiste nell'evitaredi estendere l'analisi pseudospettrale a quelle regioni del piano complesso incui la norma risolvente assume valori relativamente piccoli. Di fatto, questosemplice accorgimento, riduce da solo i tempi di calcolo di un fattore 1.5, nelcaso di matrici dense di grandi dimensioni (circa 600 righe-colonne).

Alcune idee interessanti per sfruttare operativamente questo sempliceprincipio del buon senso sono state suggerite già a suo tempo da Gallestey,sotto il nome di algoritmo SH, [Gal 98] e [Gal 98b]. Gallestey immagina disuddividere la regione d'interesse del piano complesso in quadrati di variedimensioni e utilizza quindi il principio del massimo di Dirichlet e la sub-armonicità della norma risolvente per eliminare in modo algoritmico le areemeno interessanti, dove la risolvente assume ampiezze modeste.

Un secondo accorgimento per velocizzare il calcolo degli pseudospettri,indipendente dal primo, consiste nel ridurre la dimensione n delle matrici ingioco mediante una loro proiezione ortogonale su un sottospazio invariantedi dimensione m < n. L'idea è che, in molte applicazioni, la massima partedelle dinamiche di interesse si conservano anche a seguito della proiezionesullo spazio di dimensione ridotta. Incidentalmente, si noti l'analogia con laprocedura di proiezione di un operatore hilbertiano continuo da uno spazioa dimensione nita su un sottospazio nito-dimensionale.

Questa tecnica, per quanto si è potuto indagare, è stata utilizzata per laprima volta da [RSH 93], ed è descritta piuttosto diusamente nell'appendiceB della pubblicazione. E' elementare, eppure cruciale nella pratica, e consente- nei casi più fortunati - di abbattere i tempi di calcolo di un fattore 10.

Il terzo step, che è anche il più importante dell'elenco, si fonda su un'ideasviluppata da Lui in un articolo recente del 1997 [Lui 97]. La chiave dellavoro di Lui consiste in vero nella tecnica di triangolarizzazione seguitadall'iterazione inversa di Lanczos. Tentiamo di spiegare brevemente l'idea.

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Se B è un matrice densa, il computo del più piccolo valore singolare diogni altra matrice n × n della forma (z − B)−1, con z ∈ C, richiede un nu-mero di operazioni pari a O(n3), per un totale di O(r2n3) operazioni su unagriglia quadrata r× r. In ogni caso, prima di calcolare numericamente qual-siasi valore singolare, ammettiamo di operare una decomposizione di Schur,con o senza compressione, per rimpiazzare B con una matrice T triangolaresuperiore unitariamente simile alla prima.

E allora, per qualsiasi z ∈ C, z − B è unitariamente simile alla matricetriangolare superiore z− T , e pertanto z−B e z− T risulteranno possederei medesimi valori singolari. Comunque, dacché z − T è triangolare, il suopiù piccolo valore singolare può essere calcolato in O(n2) operazioni, anzichéin O(n3). Perciò, al costo di una singola computazione che utilizza O(n3)operazioni, abbiamo ridotto il costo di ogni successivo SVD ad O(n2).

Ne consegue un improvement complessivo da O(r2n3) a O(n3 + r2n2)operazioni in virgola mobile, che nella massima parte delle applicazioni siriduce eettivamente ad un più semplice O(r2n2).

Inne, se B è stato proiettata come nel passo 2 in un sottospazio invari-ante di dimensione inferiore, allora il risultato è una matrice già di per sé tri-angolare, il che semplica ulteriormente la complessità computazionale del-l'algoritmo. Resta soltanto da descrivere il modo in cui sia possibile calcolarein O(n2) operazioni il minimo valore singolare della matrice z − T .

L'idea è che σm(z−T ) è semplicemente la radice quadrata del più piccoloautovalore della matrice (z−T )H(z−T ). Siccome T è triangolare, il calcoloindicato può essere svolto appunto in O(n2) operazioni per passo, appuntola stima di cui si era detto. Ciò stabilito, non resta a questo punto chepresentare il codice sviluppato sintetizzando tutte le idee qui esibite.

E' il caso di sottolineare esplicitamente come il codice proposto qui diseguito non sia stato eettivamente utilizzato nel computo degli pseudospet-tri di cui sono corredate le pagine di quest'ultimo capitolo, ma solo in ra-gione del fatto che la resa graca dei plottaggi prodotti dall'EigTool risultadecisamente più gradevole che non utilizzando il codice suddetto.

Resta tuttavia che, a parità degli input, l'algoritmo qui di seguito pro-posto riduce di un fattore 4 i tempi di calcolo necessari, e rappresenta diconseguenza una ragionevole alternativa all'impiego del tool MatLab là dovel'aspetto graco abbia un signicato ben più ridimensionato.

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5.7 Un codice per computare gli pseudospettri.

% psa.m = un semplice codice MATLAB per il computo degli

% pseudospettri in norma holderiana di ordine 2

% per un'assegnata matrice A (densa).

% Tempo stimato di esecuzione: circa n/4 volte

% più veloce del più consueto metodo SVD

% Stabilisce la griglia per il plottaggio dei contorni:

% Definisce la risoluzione della griglia

npts = 20; s = .8*norm(A,1);

% Definisce il range degli assi

xmin = -s; xmax = s; ymin = -s; ymax = s;

x = xmin:(xmax-xmin)/(npts-1):xmax;

y = ymin:(ymax-ymin)/(npts-1):ymax;

[xx,yy] = meshgrid(x,y); zz = xx + sqrt(-1)*yy

% Calcola la forma di Schur e plotta gli autovalori:

[U,T] = schur(A);

if isreal(A), [U,T]=rsf2csf(U,T);

end, T=triu(T); eigA=diag(T);

re = real(eig(A)); im = imag(eig(A));

hold off, plot(re,im,'.','markersize',15), hold on

axis([xmin xmax ymin ymax]), axis square, grid on, drawnow

% Riordina la decomposizione di Schur e

% restringe il sottospazio di interesse :

% Altera la scelta del sottospazio

select = find(real(eigA)>-250);

% Riarrangia la matrice di Schur

n = length(select);

for i = 1:n

for k = select(i)-1:-1:i

G([2 1],[2 1])=planerot([T(k,k+1) T(k,k)-T(k+1,k+1)]')';

J=k:k+1; T(:,J)=T(:,J)*G; T(J,:) = G'*T(J,:); end, end

T = triu(T(1:n,1:n)); I = eye(n);

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% Computa le norme risolventi mediante l'iterazione

% inversa di Lanczos e traccia i contorni:

sigmin = Inf*ones(length(y),length(x));

for i = 1:length(y)

if isreal(A) & (ymax ==-ymin) & (i > length(y)/2)

sigmin(i,:) = sigmin(length(y)+1-i,:);

else

for j = 1:length(x)

z = zz(i,j); T1 = z*I-T; T2 = T1';

% Altera la selezione dei punti sulla griglia

if real(z)<100

sigold = 0; qold = zeros(n,1); beta = 0; H = square;

q = randn(n,1) + sqrt(-1)*randn(n,1);q = q/norm(q);

for k = 1:99

v = T1\(T2\q) - beta*qold;

alpha = real(q'*v); v = v - alpha*q;

beta = norm(v); qold = q; q = v/beta;

H(k+1,k) = beta; H(k,k+1) = beta; H(k,k) = alpha;

sig = max(eig(H(1:k,1:k)));

if (abs(sigold/sig-1)<.001) | (sig<3 & k>2)

break, end

sigold = sig; end

% Mostra i conti dell'iterazione:

%text(x(j),y(i),num2str(k))

sigmin(i,j) = 1/sqrt(sig); end, end, end

% Nell'esecuzione, eliminare il tag '\\'

% e riportare le 2 linee seguenti

% sullo stesso rigo:

disp(['finished line ' int2str(i) ' out of ' \\

int2str(length(y))]), end

% Modifica le linee di livello:

contour(x,y,log10(sigmin+1e-20),-8:-1);

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Conclusioni.

Al di là dei risultati esibiti e delle tante inconcludenze che qua e là si potreb-bero pure evidenziare, giusticate il più delle volte dall'esigenza vuoi di rien-trare nei tempi previsti vuoi di evitare un'eccessiva dispersione del discorso,datasi l'ampia varietà delle tematiche arontate nel corso della trattazione,il presente lavoro di tesi costituisce di fatto il risultato nale di uno studiointenso e appassionato che ha rappresentato innanzitutto un momento diarricchimento umano e professionale di cui non si può denire la portata.

E così, messe da parte queste riessioni preliminari, comunque doverosedacché sentite, tento brevemente di seguito di riassumere il senso più stretta-mente accademico di questo lavoro. Innanzitutto, non si può non ricordaregli aspetti più interessanti di questa trattazione sotto il prolo dei contributi,pur modesti, alla ricerca scientica, ovvero i passaggi che ne sintetizzano ilcarattere essenzialmente sperimentale.

E qui il riferimento è da una parte a tutto lo studio svolto nel corso dell'in-tera trattazione onde asserire, attraverso l'esempio contestuale dello scatter-ing elettromagnetico, l'esigenza pratica di aancare alla soluzione numericadei problemi operatoriali un'indagine preliminare di tipo teoretico mirataa stabilire l'eventuale non-normalità delle equazioni prese in considerazione;dall'altra lo sviluppo del codice MatLab, ottimizzato rispetto alla più classicaversione basata sull'impiego della decomposizione SVD, per la computazionenumerica degli pseudospettri (capitolo 5) come appunto strumento di estra-polazione di eventuali anomalie comportamentali e perdite di informazionidegli operatori discretizzati rispetto alle controparti continue.

In quanto alle prospettive, mi sento di poter aermare, senza presunzionidi sorta, che la tesi fornisce di fatto così tanti spunti di approfondimento chesarebbe comunque riduttivo tentare di tracciarne qui un sommario. Perciò,dirò soltanto dell'ingenua impressione che io personalmente ne ho tratto,così, nel rileggerla a lavoro ultimato: che il presente lavoro rappresenta, infondo, un tentativo (magari maldestro) di mettere insieme alcuni pezzi di ungrande puzzle, incastrando fra loro tasselli apparentemente distanti eppureintimamente connessi nella visione d'insieme del mosaico.

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