Date post: | 17-Feb-2019 |
Category: |
Documents |
Upload: | trinhkhanh |
View: | 231 times |
Download: | 0 times |
Indice
1
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BRESCIA
Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali
Corso di Laurea in Scienze Motorie
TESI DI LAUREA
ANALISI DEL MODELLO PRESTATIVO DEL
SALTO TRIPLO: COMPONENTI TECNICHE,
COORDINATIVE, MUSCOLARI.
Relatore:
Prof. GUIDO FERRETTI
Correlatore:
Dott. HUBER ROSSI
Laureando:
STEFANO ANTONINI
Matricola n. 81834
Anno Accademico 2012 - 2013
Indice
2
Qumš, qum', ¢mhc£noisi k»desin kukèmene,
º ¢nadeu dusmenîn º d' ¢lšxeo prosbalën ™nant…on
stšrnon º ™ndokoisin ™cqrîn plhs…on katastaqeˆj
¢sfalšwj: kaˆ m»te nikšwn ¢mf£dhn ¢g£lleo,
mhdš nikhqeˆj ™n o‡kῳ katapesën ÑdÚreo,
¢ll¦ carto‹s…n te ca‹re kaˆ kako‹sin ¢sc£la
m¾ l…hn, g…noske d' oŒoj ∙usmoj ¢nqrèpouj œcei.
Cuore, o mio cuore, afflitto da mali senza rimedio,
alzati contro i nemici, difenditi portando avanti
il petto, affrontando le insidie di chi è ostile
saldamente; e se vinci non esaltarti pubblicamente,
né, vinto, devi gemere prostrato in casa,
ma gioisci delle gioie e soffri per i mali
non troppo, e comprendi quale ritmo governa gli uomini.
[Archiloco, 128 W.]
Indice
3
Indice
1 – Premessa generale e obiettivi ................................................................................... 6
2 – Introduzione al salto triplo ....................................................................................... 8
2.1 – Origini ............................................................................................................ 9
2.1.1 – L‟epoca antica .................................................................................. 9
2.1.2 – L‟epoca moderna............................................................................ 10
2.2 – Terminologia ................................................................................................ 11
3 – Analisi delle componenti tecniche del salto triplo ................................................ 14
3.1 – Rincorsa ........................................................................................................ 14
3.1.1 – Lunghezza e partenza ..................................................................... 14
3.1.2 – Velocità della rincorsa ................................................................... 15
3.1.3 – Tecnica della rincorsa .................................................................... 17
3.1.4 – Gli ultimi due appoggi ................................................................... 18
3.1.5 – Tecniche di controllo della rincorsa ............................................... 20
3.2 – Lo stacco....................................................................................................... 20
3.2.1 – Atterraggio attivo ........................................................................... 21
3.2.2 – Angoli di stacco e d‟atterraggio ..................................................... 22
3.2.3 – Durata della fase d‟appoggio e della fase di volo .......................... 24
3.2.4 – Altezza minima e massima del CdG .............................................. 26
3.2.5 – Velocità orizzontale e verticale ...................................................... 27
3.2.6 – Distanza e distribuzione delle fasi ................................................. 28
3.2.7 – Evoluzione e classificazione delle tecniche ................................... 29
3.2.8 – Distribuzione ottimale delle fasi .................................................... 31
3.2.9 – Considerazioni sulla distribuzione ottimale delle fasi in atleti
d‟alto livello ................................................................................... 32
Indice
4
3.2.10 – Il coefficiente di correlazione della velocità orizzontale in
verticale: relazione tra Δvx e Δvz ................................................... 34
3.2.11 – Rapporto tra il coefficiente di conversione dell‟energia
orizzontale in verticale e la distribuzione ottimale delle fasi......... 35
3.2.12 – Considerazioni sul coefficiente di conversione dell‟energia
orizzontale in energia verticale ...................................................... 37
3.3 – Chiusura e atterraggio finale ........................................................................ 37
4 – Forze di reazione al suolo (FRS) ............................................................................ 39
4.1 – Considerazioni finali sulle FRS .................................................................... 42
5 – Momento angolare .................................................................................................. 44
5.1 – Definizione di momento angolare (MA) ...................................................... 44
5.2 – Bilanciamento ............................................................................................... 45
5.3 – Momenti angolari nel salto triplo ................................................................. 46
5.4 – Considerazioni finali .................................................................................... 50
6 – Arti liberi ................................................................................................................. 51
6.1 – Movimenti delle braccia ............................................................................... 51
6.2 – Movimenti della gamba libera ...................................................................... 52
6.3 – Correlazioni .................................................................................................. 52
6.4 – Conclusioni ................................................................................................... 54
7 – Meccanismi muscolari e coordinativi coinvolti nel salto triplo .......................... 55
7.1 – Modello meccanico dell‟unità muscolo – tendinea ...................................... 55
7.2 – Il ciclo stiramento – accorciamento (CSA) .................................................. 56
7.3 – Meccanismi neurologici ............................................................................... 58
7.4 – Elasticità ....................................................................................................... 58
7.4.1 – Stiffness e compliance muscolare .................................................... 59
7.5 – Implicazioni pratiche .................................................................................... 60
Indice
5
7.6 – Principali muscoli coinvolti nell‟azione di stacco ........................................ 61
7.7 – Meccanismi coordinativi .............................................................................. 62
7.8 – Considerazioni .............................................................................................. 63
8 – Conclusioni .............................................................................................................. 64
9 - Bibliografia ............................................................................................................... 65
Ringraziamenti ......................................................................................................... 71
Capitolo 1 – Premessa generale e obiettivi
6
Capitolo 1 – Premessa generale e obiettivi
Solo recentemente, più precisamente nell‟ultimo ventennio, la letteratura scientifica si è
interessata al salto triplo con continuità. Inizialmente era considerato talmente affine al
salto in lungo da venire definito ed analizzato come una sua variante: insomma, un salto
in lungo ripetuto per tre volte. Ci si accorse però presto della sua complessità e delle sue
peculiarità. A partire dagli anni ‟30 si sviluppò un ampio dibattito riguardante questa
disciplina, che rimase però, inizialmente, ad un livello meramente qualitativo: a poco a
poco fiorirono perciò teorie e considerazioni miranti ad una più precisa analisi tecnica
del gesto. Il tutto però ancora in un ambito piuttosto sporadico ed embrionale. Le prime
indagini si basarono sulle tecniche di salto di alcune celebri scuole di saltatori che
all‟epoca primeggiavano: la prima a farsi strada fu quella giapponese, che arrivò negli
anni ‟30 ad ottenere due record del mondo, tra cui nel 1936 il primo salto sopra i 16 m,
16,00 m ad opera di Naoto Tajima. Successivamente emersero la scuola russa (con
rappresentanti illustri come Sherbakov, Ryakhovskiy e il più celebre Saneyev) e quella
polacca (con Josef Schmidt, il primo a superare i 17 m nel 1960 con 17,03 m).
Il primo lavoro completo di una certa importanza e di una certa consistenza scientifica
fu senza dubbio quello pubblicato da Verhoshanski nel 1961, intitolato Triple Jump with
approach. Esso pose basi più rigorose per lo studio di questa disciplina, fornendo delle
considerazioni basate su analisi tuttora valide. Un‟altra analisi particolarmente rilevante
fu quella di Fukashiro, Imoto, Koboyashi e Miyashita, “A biomechanical study of the
triple jump”, del 1981.
La vera rivoluzione copernicana, la pietra miliare negli studi sul salto triplo furono però
due lavori scritti nel 1992 e nel 1993 da James Hay, professore dell‟università
dell‟Iowa, intitolati rispettivamente “The biomechanics of the triple jump: a review” e
“Citius, altius, longius (Faster, higher, longer): the biomechanics of jumping for
distance”. Queste pubblicazioni ebbero numerosi meriti. Innanzitutto fornirono una
visione globale delle principali componenti prestative del salto triplo, riunendo
praticamente tutte le ricerche fatte fino a quel momento in un'unica prospettiva. Il
merito più grande di Hay fu però quello di aver posto delle concrete basi per uno studio
veramente scientifico del salto triplo. Fino a quel momento, infatti, le considerazioni
Capitolo 1 – Premessa generale e obiettivi
7
sulla disciplina erano sostanzialmente state di natura qualitativa, non sperimentale, e
avevano avuto scarse basi scientifiche. Molti tecnici esprimevano le proprie
considerazioni quasi unicamente sulla base empirica delle proprie esperienze, fornendo
molte volte punti di vista discordanti. Hay elaborò un modello deterministico,
contemplando tutte le componenti prestative del salto triplo in una visione quantitativa.
In particolare egli elaborò la terminologia scientifica ancor oggi utilizzata; inoltre pose
le basi per uno studio più preciso di uno dei problemi centrale per la prestazione: la
distribuzione delle fasi.
Partendo da questo studio generale Hay si concentrò poi, negli anni a venire, su singoli
aspetti biomeccanici della prestazione, fornendo altri imprescindibili lavori. Morì nel
2002, lasciandoci in eredità il suo grande contributo. E‟ soprattutto grazie a lui che è
fiorita successivamente una vasta letteratura scientifica sul salto triplo.
Questo lavoro si propone come un‟ulteriore revisione critica della letteratura, scientifica
e tecnica, riguardante il salto triplo, per quanto concerne le sue componenti tecniche,
coordinative e muscolari. Non c‟è nessuna presunzione di poter fornire l‟innovativo
apporto che seppe dare Hay: chi scrive ritiene però che nel corso degli ultimi anni nuove
ricerche e nuove analisi abbiano ampliato ulteriormente le nostre conoscenze sul salto
triplo, e abbiano reso necessario un nuovo scritto più aggiornato.
Verrà inoltre analizzato un altro aspetto più generale, solitamente non incluso negli
studi sul salto triplo: quello muscolare. Sembra utile, infatti, fornire un quadro
sommario di quei meccanismi neuro – muscolari implicati nella disciplina e, più in
generale, in tutte le attività di salto e di potenza.
Il punto di vista prescelto non è stato quello propriamente biomeccanico, più astratto. Si
è cercato infatti di coniugare l‟aspetto teorico, scientifico, che è imprescindibile per uno
studio che vuole considerarsi valido, con l‟aspetto tecnico, più concreto e applicabile sul
campo anche da qui quotidianamente si trova ad avere a che fare con questa disciplina.
Si è privilegiata la chiarezza e la linearità nell‟esposizione.
Chi scrive spera che, almeno in parte, gli obiettivi siano stati colti.
Capitolo 2 – Introduzione al salto triplo
8
Capitolo 2 – Introduzione al salto triplo
Il salto triplo è una delle quattro specialità di salto
dell‟atletica leggera, insieme a salto con l‟ asta, salto in
alto e salto in lungo. Con quest‟ultimo fa parte del
gruppo dei salti in estensione, il cui obiettivo è di
raggiungere la massima distanza orizzontale possibile, e
rappresenta uno dei gesti sportivi più complessi da
eseguire dal punto di vista fisico, tecnico e
coordinativo. E‟ composto da (Figura 1):
Rincorsa: deve accrescere il più possibile la
velocità orizzontale dell‟atleta.
Tre stacchi: il cui nome è per tradizione
mutuato dalla terminologia inglese.
Hop (letteralmente “balzo”): prevede
lo stacco con un piede dall‟asse di
battuta. Indica la fase che precede lo
step.
Step (letteralmente “passo”): prevede
un atterraggio sullo stesso arto ed un
successivo stacco. Indica la fase che
segue l‟hop.
Jump (letteralmente “salto”): indica lo
stacco conclusivo, che avviene sull‟altro
arto inferiore, e che si conclude con
l‟atterraggio in buca.
Fase di volo: l‟atleta deve mantenere una
corretta posizione dei segmenti corporei, per
ridurre l‟influenza dei momenti angolari.
Chiusura: l‟atterraggio. L‟atleta deve
lasciare un segno il più lontano possibile
nella sabbia, per ottimizzare la lunghezza del
salto.
Figura 1 - fasi di un salto
triplo: hop, step e jump.
2.1 - Origini
9
2.1 - Origini
2.1.1 – L’epoca antica
Nella letteratura dell‟antica Grecia abbiamo testimonianza di numerose imprese
sportive, e sappiamo per certo che si svolgevano delle gare assimilabili agli odierni salti
(Ward-Smith 1995). Le modalità di salto non vengono indicate con certezza, ma si
possono trarre utili indicazioni osservando le numerose pitture di ceramiche. Su queste
si osservano atleti che eseguono sia un salto in lungo da fermo (con partenza a piedi
pari), sia un salto in lungo con partenza di corsa, con stacco ad un piede. Le fonti
indicano poi la presenza di un‟area appositamente preparata, composta da una zona di
stacco, denominata batÔr (batér, letteralmente “soglia”), e da una zona d‟atterraggio,
scavata e successivamente livellata, denominata skámma (skàmma, letteralmente
“fossa”), lunga circa 50 piedi (15.240 m). Le raffigurazioni inoltre ci mostrano che gli
atleti saltavano sempre con due pesi, uno per mano, chiamati ßltÖrej (haltères)
(Figura 2).
Alcune testimonianze scritte pongono però alcune questioni: il lessico Suda, sotto la
voce skámma, dice: «La lunghezza dello skàmma è di 50 piedi, e „saltare oltre lo
skamma‟ indica un‟espressione proverbiale per un fatto straordinario». Inoltre
l‟Antologia Greca, appendice 297, dice: «Fiallo saltò 55 piedi, e lanciò il disco 95
piedi». Infine, a conferma di quanto già scritto, Sesto Giulio Africano riportò che
«Chione di Sparta, nella ventinovesima Olimpiade del 664 a.C., saltò 52 piedi».
Le misure appena elencate, rapportate all‟attuale record del Mondo del salto in lungo
(8.95 m, circa 29.36 piedi) appaiono eccessive, anche assumendo che i Greci avessero
delle qualità fisiche eccezionali rispetto alla norma (fatto poco probabile). Si pongono
quindi due ipotesi: o le misure riportate dalle fonti antiche sono completamente false, o
dobbiamo pensare ad un gesto diverso dal moderno salto in lungo. La misura attribuita a
Fiallo di 55 piedi, circa 16.764 m, appare verosimile se confrontata con le attuali
prestazioni di atleti d‟elite praticanti il salto triplo, il cui record del mondo è di 18.29 m.
E‟ quindi plausibile che il salto fosse composto da tre stacchi. Un altro problema è però
dato dall‟uso degli haltères, che nelle raffigurazioni appaiono sempre nelle mani degli
atleti. Considerazioni biomeccaniche mostrano chiaramente che, sebbene possano
aiutare durante il salto in lungo da fermo, questi costituiscono un ostacolo nel salto in
2.1.2 – L’epoca moderna
10
lungo con rincorsa. E‟ infatti nota l‟importanza delle componenti orizzontale e verticale
della velocità nel raggiungimento di una misura ragguardevole (Ward-Smith 1995).
Si sa anche che una disciplina che possiamo ritenere affine al salto triplo veniva
praticata nell‟antica Irlanda nel 632 a. C. .
Figura 2 – Atleta che stacca dal batèr (zona di stacco), con in mano degli haltères.
2.1.2 – L’epoca moderna
Nelle antiche festività di molte culture venivano praticati balzi multipli (Brüggeman &
Arampatzis 1997). Nell‟epoca moderna questa specialità nacque in Irlanda, ma fu
conosciuta e praticata anche negli Stati Uniti (soprattutto da parte di immigrati
irlandesi). Nella Germania del XIX secolo, inoltre, in cui venne inventata ed introdotta
nelle scuole la ginnastica, si praticava una sorta di “salto triplo tedesco”, composto da
tre balzi alternati (sinistro – destro - sinistro o viceversa). Quando l‟atletica leggera
nella sua forma attuale nacque la tecnica più in uso per molto tempo fu quella irlandese
(hop-hop-jump), che prevedeva tre balzi sullo stesso arto, e nel 1887 l‟atleta irlandese
John Purcell saltò 15.11 m. Dall‟inizio del XX secolo fu poi utilizzata la tecnica ancora
oggi in vigore.
Il salto triplo è presente sin dalla prima edizione delle Olimpiadi moderne, ad Atene nel
1896. All‟epoca lo stile non fu ancora codificato: la successione degli appoggi con i
2.2 – Terminologia
11
quali eseguire i tre balzi poté quindi essere variata a piacimento. A prevalere fu
l‟americano James Connolly, con 13.71 m, che adottò lo stile irlandese. A partire dai
Giochi di Londra del 1908 venne riconosciuta come unica tecnica regolamentare quella
che prevedeva la successione di hop step e jump. Da segnalare che nella seconda e terza
Olimpiade (rispettivamente nel 1900 e nel 1904) si disputò anche la specialità del salto
triplo da fermo, uguale al precedente ma eseguita senza l‟apporto della rincorsa, vinta in
entrambe le edizioni dall‟americano Ray Ewry, soprannominato “la rana umana” per le
sue incredibili doti atletiche. Il record del mondo maschile appartiene oggi al britannico
Jonathan Edwards, che ai mondiali di Göteborg nel 1995 saltò 18.29 m.
A livello femminile il salto triplo vide il suo debutto nel 1993 ai Mondiali disputatisi a
Stoccarda. Nonostante questo già da molti anni alcune federazioni nazionali avevano
introdotto questa specialità per le donne, e la Iaaf istituì una lista ufficiale per i record
del mondo femminili sin dal 1990. La prima distanza conosciuta risale al 1909, quando
Catherine Hand saltò 8,805 m. Il record del mondo appartiene oggi all‟ucraina Inessa
Kravets, che ai mondiali di Göteborg nel 1995 saltò 15.50 m.
2.2 – Terminologia
In vista dell‟analisi che ci apprestiamo a fare, è di primaria importanza chiarire sin da
subito la terminologia che verrà utilizzata, per favorire la migliore comprensione dei
temi trattati (Hay 1992, Hiu & Liu 2012).
FASE DI APPOGGIO: dura per tutto il tempo in cui il piede sta a contatto con
il terreno. Può essere divisa in:
ATTERRAGGIO: dal primo istante in cui il piede poggia a terra fino
all‟ultimo istante in cui tutto il piede sta a contatto col terreno.
STACCO: dal primo istante in cui il tallone del piede d‟appoggio si stacca
da terra fino all‟ultimo istante in cui una parte del piede è ancora a contatto
con il terreno.
FASE DI VOLO: da quando la punta del piede di stacco si stacca da terra fino a
quando il piede inizia l‟appoggio a terra per la fase successiva (o fino
all‟atterraggio nella sabbia).
2.2 – Terminologia
12
DISTANZA UFFICIALE: la distanza accreditata all‟atleta nel salto
(assumendo che questo non sia nullo), ottenuta misurando la lunghezza di una
linea perpendicolare immaginaria che va dal bordo dell‟asse di battuta fino al
segno più vicino che l‟atleta lascia nella sabbia.
DISTANZA PERSA ALLO STACCO: la distanza tra la punta del piede al
momento dello stacco e il bordo dell‟asse di battuta.
DISTANZA ATTUALE: la somma di distanza ufficiale e distanza persa allo
stacco.
La distanza attuale è composta dalla somma di tre distanze minori:
DISTANZA DELL’HOP: la distanza orizzontale tra la punta del piede di
stacco durante la fase d‟appoggio dell‟hop e la punta del piede di stacco durante
la fase d‟appoggio dello step.
DISTANZA DELLO STEP: la distanza orizzontale tra la punta del piede di
stacco durante la fase d‟appoggio dello step e la punta del piede di stacco
durante la fase d‟appoggio del jump.
DISTANZA DEL JUMP: la distanza orizzontale tra la punta del piede di
stacco durante la fase d‟appoggio del jump e il segno più vicino all‟asse di
battuta che l‟atleta lascia nella sabbia.
A sua volta la distanza di ogni fase può essere ottenuta con la somma di tre distanze
minori (Figura 3):
Figura 3: distanza di stacco, distanza di volo, distanza dell'atterraggio, distanza della fase, altezza
allo stacco e altezza all'atterraggio (da Liu & Yu 2012).
2.2 - Terminologia
13
DISTANZA DI STACCO: la distanza orizzontale tra la punta del piede di
stacco fino al centro di gravità dell‟atleta all‟istante dello stacco.
DISTANZA DI VOLO: la distanza orizzontale che il centro di gravità compie
durante la fase di volo.
DISTANZA DELL’ATTERRAGGIO: la distanza orizzontale tra il centro di
gravità e la punta del piede d‟appoggio all‟istante dell‟appoggio (durante l‟hop e
lo step), e dal centro di gravità all‟istante d‟appoggio fino al segno nella sabbia
più vicino all‟asse di battuta (per il jump).
ALTEZZA ALLO STACCO: la distanza verticale tra la punta del piede di
stacco fino al centro di gravità dell‟atleta all‟istante dello stacco.
ALTEZZA ALL’ATTERRAGGIO: la distanza verticale tra il centro di
gravità e la punta del piede d‟appoggio all‟istante dell‟appoggio (durante l‟hop e
lo step), e dal centro di gravità all‟istante d‟appoggio fino al segno nella sabbia
più vicino all‟asse di battuta (per il jump).
RAPPORTO (O PERCENTUALE) DELLE FASI: la lunghezza, in
percentuale, di ciascuna fase in rapporto alla lunghezza totale del salto.
2.2 - Terminologia
Capitolo 3 – Analisi delle componenti tecniche del salto triplo
14
Capitolo 3 – Analisi delle componenti tecniche del salto triplo
3.1 – Rincorsa
Le considerazioni espresse sulla rincorsa nel salto triplo verranno in larga parte dedotte
da pubblicazioni riguardanti la stessa nel salto in lungo, in quanto le fasi d‟esecuzione
possono essere sovrapponibili, tranne per alcuni dettagli, che verranno comunque messi
in evidenza nella trattazione.
Una rincorsa, per essere efficace, deve rispondere necessariamente a tre requisiti (Hay
& Koh 1988):
- La punta del piede di stacco deve essere posizionata il più vicino possibile al
bordo anteriore, e non oltre (richiesta di precisione).
- La velocità orizzontale del centro di gravità (CdG) dell‟atleta deve essere la
massima velocità orizzontale controllabile possibile (richiesta di velocità).
- Il corpo dell‟atleta deve essere in una posizione e deve muoversi in maniera tale
che possa essere sviluppata la massima velocità verticale possibile del CdG, e
che solo la minima parte della velocità orizzontale vada persa allo stacco
(richiesta di posizionamento).
3.1.1 – Lunghezza e partenza
Come suggerito nella revisione realizzata da Hay (1992) i triplisti d‟alto livello
utilizzano una rincorsa che varia dai 17 ai 26 appoggi (con la maggior parte che usa da
19 a 21 appoggi), con lunghezze che stanno in un range di 37-50 m. Il numero di passi
in una rincorsa deve essere in funzione dell‟età dell‟atleta (Krejer 1982) e della sua
capacità di sprint, aumentando direttamente con essa. Le condizioni fisiche dell‟atleta o
quelle ambientali (meteo, vento) in un determinato evento possono modificare anche
sensibilmente la rincorsa.
La partenza può essere statica o in movimento, con tre-quattro piccoli passi o saltelli di
pre-avvio. La prima metodica ha sicuramente il vantaggio di una maggior precisione
sull‟asse di battuta, mentre la seconda consente una maggior decontrazione in avvio.
3.1.2 – Velocità della rincorsa
15
3.1.2 – Velocità della rincorsa
Hay (1992), citando numerosi studi, affermò che la velocità di rincorsa nel salto triplo è
considerevolmente minore rispetto a quella del salto in lungo. Esaminando le massime
velocità orizzontali ottenute al termine delle rincorse degli otto finalisti dell‟una e
dell‟altra specialità, per i triplisti si ebbe un valore medio di 10.29 m/s, per i lunghisti
invece di 10.83 m/s.
Questo risultato può essere attribuito essenzialmente a due ragioni:
1) La necessità di eseguire tre stacchi consecutivi nel salto triplo, con maggiori
richieste dal punto di vista coordinativo e del controllo del corpo.
2) La necessità di mantenere le forze agenti sul corpo dell‟atleta entro limiti
tollerabili, dato il forte impatto conseguente agli atterraggi successivi agli
stacchi.
Queste considerazioni appaiono esatte, soprattutto se rapportate a principianti o ad atleti
di medio livello. Tuttavia, negli ultimi anni, la specialità ha visto un‟evoluzione. Il
merito di questi progressi è senza dubbio da attribuire all‟attuale detentore del record
del mondo del salto triplo, Jonathan Edwards, che nel 1995 a Göteborg saltò 18.29 m.
La sua sopraffina padronanza tecnica gli permise di raggiungere velocità allo stacco mai
viste prima: Portnoy (1997), indagando su alcuni valori cinematici del salto dell‟attuale
record del mondo, trovò che la massima velocità orizzontale raggiunta da Edwards ad
un metro dallo stacco era di 11.90 m/s. Assumendo una piccola sovra-valutazione si ha
comunque una velocità media negli ultimi 10 m di 10.85 m/s. Valori che eguagliano
certamente quelli della rincorsa di un lunghista. Non solo Edwards seppe raggiungere
tali velocità, ma la sua azione composta, leggera ed elegante (visivamente molto diversa
da quella molto potente e muscolare dei suoi avversari) gli consentiva un miglior
mantenimento della stessa e una perdita di velocità orizzontale tra una fase e l‟altra di
circa 0.5 ms-1
inferiore rispetto ai suoi concorrenti. Ciò risultava in salti estremamente
bilanciati ed efficaci.
Si può perciò affermare che la velocità della rincorsa nel salto triplo, in atleti d‟elite, è
attualmente elevata quanto quella del salto in lungo, perché la padronanza degli
elementi tecnici e coordinativi è migliorata (Song & Ryu 2011). Non si può però
certamente dar torto ad Hay: questa padronanza è estremamente difficile da ottenere, e
3.1.2 – Velocità della rincorsa
16
la gran parte degli atleti d‟alto livello ha certamente bisogno di velocità d‟entrata minori
e più facilmente controllabili.
Sono state trovate delle correlazioni positive tra la velocità orizzontale media negli
ultimi 5 metri della rincorsa e la lunghezza del salto (Hay 1993, Figura 4) e tra la
velocità orizzontale allo stacco nell‟ultimo appoggio e la distanza ufficiale (Fukashiro &
Miyashita 1983). Anche Panoutsakopoulos & Kollias (2008) trovarono una correlazione
molto alta (r = 0.816) tra velocità della rincorsa e prestazione nel salto triplo.
Hay (1992) notò inoltre che, sebbene ci fosse un‟evidente e positiva relazione tra
velocità della rincorsa e prestazione nel salto triplo, questo non era evidente in gruppi di
alto livello e con caratteristiche omogenee. Un‟elevata velocità è perciò necessaria ma
non sufficiente per una prestazione d‟eccellenza nel salto triplo.
Figura 4 - Velocità orizzontale della rincorsa in rapporto alla distanza ufficiale del salto in lungo su
un campione di 306 salti (r = 0.95). (Da Hay 1993).
3.1.3 – Tecnica della rincorsa
17
3.1.3 – Tecnica della rincorsa
La rincorsa può essere divisa in tre fasi (Krejer 1982):
- La partenza avviene da un segno standardizzato. Nei primi 4 – 6 appoggi,
l‟atleta ricerca da subito una corretta ritmica e frequenza della corsa. Si ha una
marcata inclinazione del busto in avanti e un‟azione potente delle braccia.
- La parte centrale, in cui l‟atleta accentua la rotondità della corsa, per permettere
un corretto posizionamento degli appoggi, e prosegue nell‟accelerazione,
raggiungendo il 90-95% della massima velocità controllabile. Il busto si
raddrizza.
- Gli ultimi 6-8 appoggi, in cui si ha un ulteriore incremento della frequenza dei
passi, e un‟accelerazione finale, che ha il suo culmine negli ultimi tre appoggi,
per raggiungere la massima velocità orizzontale controllabile.
Un concetto fondamentale per l‟esecuzione di una rincorsa corretta è quello di una
graduale accelerazione (Tellez & James 2000). Uno degli errori più frequenti da parte di
principianti, infatti, è di accelerare troppo in fretta. Così facendo la massima velocità
viene raggiunta troppo in anticipo e si ha perciò una decelerazione prima dello stacco.
Krejer (1982) trovò che i saltatori d‟alto livello, per quel che concerne la rincorsa,
fossero classificabili in due tipologie:
SALTATORI VELOCISTI: un avvio veloce (massimo 3-4 appoggi), seguìto
dal raggiungimento e dal mantenimento di una velocità quasi massimale nella
fase centrale della rincorsa. L‟accelerazione finale è raggiunta incrementando la
frequenza degli appoggi, e negli ultimi 30 m si ha un incremento dall‟87% al
100% della velocità orizzontale.
SALTATORI DI POTENZA: un avvio rilassato con una graduale
accelerazione nella parte centrale della rincorsa e un‟accelerazione massimale
negli appoggi finali, dall‟82% al 100% della velocità orizzontale.
Anche se una simile suddivisione potrebbe rivelarsi in qualche modo utile dal punto di
vista pratico, non è data però alcuna classificazione formale delle due categorie (Hay
1992).
3.1.4 – Gli ultimi due appoggi
18
3.1.4 – Gli ultimi due appoggi
Per le loro peculiari caratteristiche e per la loro fondamentale importanza per una
corretta ed efficace transizione dalla rincorsa allo stacco verrà effettuata di seguito
un‟analisi degli ultimi due appoggi della rincorsa.
Myers (1989) e Tellez & James (2000) sostengono che, per uno stacco efficace, il
penultimo appoggio dovrebbe essere più lungo rispetto agli altri eseguiti fino a quel
momento. Questo per consentire un notevole abbassamento del CdG, che permette
l‟esecuzione di un‟azione di “caricamento”, garantita dal prestiramento attivo dei
muscoli della gamba. L‟ultimo appoggio, invece, deve essere più breve, per consentire
un rapido innalzamento del CdG, un appoggio attivo e uno sfruttamento maggiore della
velocità verticale. Qui il piegamento della gamba è minimo, essa è quasi completamente
estesa. Anche Song & Ryu (2011) affermano che quando l‟appoggio finale è corto
l‟altezza del centro di gravità cresce, e questo consente all‟atleta di eseguire un hop più
radente e veloce.
Diversi studi sui parametri biomeccanici di atleti partecipanti a finali mondiali
(Brüggeman & Arampatzis 1997, Kyrolainen et al. 2005, Mendoza & Nixdorf 2009,
Sang Yeon & Yong Woon 2011) hanno dimostrato che la massima velocità orizzontale
veniva raggiunta nel corso dell‟ultimo appoggio e che questo aveva una lunghezza
minore rispetto al penultimo (Tabella 1).
Brüggeman &
Arrampatzis 1997 Kyrolainen et
al. 2005 Mendoza &
Nixdorf 2009 Sang Yeon &
Yong Woon 2011
Velocità 2L 10,12 (± 0,14) / 10,13 (± 0,23) 10,18 (± 0,17)
1L 10,47 (± 0,15) 10,20 (±0,20) 10,14 (± 0,21) 10,34 (± 0,26)
Lunghezza 2L 2,39 (± 0,20) 2,39 (± 0,20) 2,58 (±0,19) 2,51 (± 0,10)
1L 2,23 (± 0,20) 2,23 (± 0,20) 2,41 (± 0,13) 2,38 (± 0,13)
Tabella 1 - Media, con DS, dei valori della velocità (in ms
-1) e della lunghezza (in m) del penultimo
e dell’ultimo appoggio. Si noti come l’ultimo appoggio sia in tutti i casi il più breve e quello dove si
raggiunge la velocità orizzontale maggiore.
3.1.4 – Gli ultimi due appoggi
19
Il fattore principale è però rappresentato dal ritmo degli ultimi due appoggi: in questo
frangente dev‟esserci un‟accelerazione finale, con un ulteriore incremento nella
frequenza e perciò il raggiungimento, in concomitanza dello stacco, della massima
velocità orizzontale controllabile.
Hay (1992), citando dati di analisi effettuate sui finalisti del salto triplo alle Olimpiadi
di Seoul nel 1988, mostrò invece come negli ultimi tre appoggi la velocità rimanesse
inalterata. Egli riportò infatti valori di 10.05, 10.16 e 10.06 m/s rispettivamente per il
terz‟ultimo, il penultimo e l‟ultimo appoggio. L‟azione degli ultimi tre appoggi presa
qui in esame non era perciò la più efficace dal punto di vista biomeccanico.
A supporto della tesi precedentemente espressa vanno però sia Portnoy (1995) che Čoh
& Kugovnik (2011) (Tabella 2), che hanno rilevato, con due studi separati su due
diversi atleti, le velocità orizzontali da 11 a 6 m e da 6 a 1 m dalla zona di stacco. Essi
mostrano come la parte decisiva dell‟accelerazione finale avvenga negli ultimi 5-6
metri, corrispondenti agli ultimi 2-3 appoggi. Tutto questo a testimoniare quanto, negli
ultimi anni, il salto triplo si stia indirizzando verso un‟esecuzione più veloce e un più
efficace sfruttamento della velocità orizzontale.
E‟ importante infine sottolineare il fatto che il corpo va preparato in maniera corretta
per lo stacco, in quanto l‟azione qui è molto differente rispetto alla normale corsa.
Tabella 2 - Velocità orizzontale da 11 a 6 m e da 6 a 1 m negli studi di Portnoy (1995) e Čoh &
Kugovnik (2011).
Distanza dall’asse di stacco
Velocità
Portnoy (1995) Čoh & Kugovnik
(2011)
Da 11 a 6 m 9,80 6,94
Da 6 a 1 m 11,90 8,77
Differenza + 2,10 +1,83
3.1.5 – Tecniche di controllo della rincorsa
20
3.1.5 – Tecniche di controllo della rincorsa
Sebbene si pensi che l‟atleta, durante la rincorsa, possegga un modello di corsa che si
può definire automatizzato Lee et al. (1982), Hay & Koh (1988) e Hay (1993) hanno
dimostrato, nei loro studi su saltatori in lungo d‟elite, un diverso comportamento.
- Una prima parte (dall‟inizio fino circa al quint‟ultimo appoggio) in cui l‟atleta,
accelerando, utilizza un modello di corsa stereotipato, con un controllo
programmato e automatizzato. Infatti, nella prima parte della rincorsa, si
accumulano progressivamente, nella maggior parte dei tentativi, dei piccoli
errori.
- Una seconda parte (dal quint‟ultimo appoggio fino allo stacco) in cui l‟atleta si
accorge, in caso questo avvenga, di non essere nella posizione corretta rispetto
all‟asse di battuta. Inizia così a modificare la lunghezza degli appoggi,
utilizzando il suo sistema visuo-percettivo.
Nella prima parte si ha perciò un modello programmato, nella seconda un modello di
controllo visivo.
Un utile mezzo di controllo della rincorsa è rappresentato da un segno, posto a circa 6-8
appoggi dallo stacco. Se l‟atleta, all‟appoggio considerato, arriva davanti ad esso allora
per posizionare correttamente il piede sull‟asse di battuta dovrà ridurre l‟ampiezza del
passo, e viceversa.
3.2 – Lo stacco
Lo stacco è il momento più importante dell‟intero salto, in quanto qui avviene la
trasformazione della velocità orizzontale in velocità verticale. Di fondamentale
importanza è la sua corretta preparazione negli ultimi due appoggi della rincorsa. Nel
salto triplo la situazione è resa ancor più difficile dal fatto che si hanno tre stacchi. In
questa fase un ruolo essenziale lo assume un efficace sfruttamento del ciclo stiramento-
accorciamento (per un approfondimento si veda più avanti il punto 7.2).
L‟energia meccanica totale espressa nel salto triplo (EM) è uguale alla somma di
energia potenziale (EP), energia cinetica orizzontale (ECO) ed energia cinetica verticale
(ECV). Partendo da questo assunto gli studi di Fukashiro et al. (1981) dimostrarono che
3.2.1 – Atterraggio attivo
21
durante la prima metà di ogni stacco (la fase d‟atterraggio) c‟è un notevole decremento
dell‟energia meccanica (EM), e un suo incremento invece nella seconda parte
dell‟appoggio (la fase di stacco). La diminuzione di EM è data dal lavoro negativo
(eccentrico) compiuto dall‟arto d‟appoggio nella prima parte della fase d‟appoggio
dell‟hop, l‟aumento dal lavoro positivo (concentrico) compiuto nella seconda parte.
Fukashiro notò altresì come il 4% dell‟EM acquisita con la rincorsa veniva persa
durante lo stacco dell‟hop.
L‟obiettivo di uno stacco efficace dovrebbe essere un compromesso tra la minima
perdita di velocità orizzontale, ottenuta tramite un atterraggio attivo del piede, e un buon
guadagno di velocità verticale (Koh & Hay 1990).
3.2.1 – Atterraggio attivo
E‟ stata ampiamente documentata in letteratura la necessità di un atterraggio attivo al
momento di ogni stacco, tramite un‟azione griffata del piede (Miller & Hay 1986, Koh
& Hay 1990, Hay 1992, Matić et al.2012).
L‟atterraggio attivo è definito come la differenza tra le velocità del CdG del piede di
stacco e del CdG del corpo nell‟attimo precedente lo stacco (Matić et al. 2012).
Rappresenta il movimento con cui il saltatore porta verso il basso e verso dietro il piede
di stacco prima del contatto col terreno, per rendere ottimale la posizione della gamba e
ridurre la componente orizzontale delle forze di reazione al suolo, che frenano l‟atleta
allo stacco. La direzionalità del corpo risulta essere maggiormente efficiente ed intensa.
Il terreno infatti, in reazione alle forze applicate ad esso, genera una forza uguale e
opposta sul piede. La componente orizzontale di queste forze si oppone
all‟avanzamento dell‟atleta, e per minimizzare l‟effetto frenante si ricorre all‟atterraggio
attivo.
L‟atterraggio attivo è risultato essere più pronunciato negli ultimi due appoggi della
rincorsa, ed è maggiore negli atleti d‟alto livello rispetto ai principianti. E‟ più difficile
da ottenere nello step e nel jump, rispetto all‟hop, in quanto nelle ultime due fasi le
forze esercitate sull‟arto d‟appoggio sono molto più elevate (Ramey & Williams 1985).
3.2.2 – Angoli di stacco e d’atterraggio
22
3.2.2 – Angoli di stacco e d’atterraggio
Figura 5 - Determinazione dell'angolo di stacco.
L‟angolo di stacco b è quello determinato dall‟incontro della linea orizzontale passante
per il CdG e dalla traiettoria di proiezione del CdG in volo (Figura 5). Maggiore è il suo
valore maggiore è la direzionalità verticale dell‟impulso, e perciò la perdita di velocità
orizzontale.
Se nel moto di un proiettile si può affermare che l‟angolo di proiezione ideale è di 45°
nei salti in estensione non è così (Linthorne 2006). Questo assunto infatti è valido solo
se la velocità di stacco è uguale in tutti i segmenti dell‟angolo, cosa che non avviene nei
salti. Un angolo di stacco di 45°, infatti, richiede che la velocità orizzontale e verticale
abbiano lo stesso valore. Nel salto triplo, però, si raggiungono valori massimi di
velocità verticale di 3-4 ms-1
, mentre un atleta può arrivare a raggiungere valori di
velocità orizzontale che superano anche i 10 ms-1
.
Per questo motivo un saltatore ottiene una prestazione maggiore producendo una
velocità di stacco molto elevata piuttosto che saltando ad un‟angolazione vicina ai 45°.
Nella Tabella 3 sono riportati i dati di diversi studi sugli angoli di stacco di triplisti
d‟alto livello.
3.2.2 – Angoli di stacco e d’atterraggio
23
Tabella 3 - Angoli di stacco (in °) in tre diversi studi su saltatori (a, b, c, d) e saltatrici (e, f) di triplo.
I valori espressi non si discostano eccessivamente l‟uno dall‟altro. L‟angolo di stacco
all‟hop raggiunge valori tra 12° e 19°, allo step tra 10° e 16°, al jump tra 16° e 27°.
Si nota sin da subito come gli angoli di stacco dell‟hop e dello step siano notevolmente
più bassi rispetto a quello del jump. Questo perché dopo le prime due fasi è necessario
mantenere quanto più possibile la velocità orizzontale, perché la distanza totale del salto
non ne risenta, e dirigere in maniera non eccessiva l‟impulso in verticale. E‟ altresì
fondamentale tenere una posizione più eretta del corpo rispetto al salto in lungo, per
essere in grado di affrontare gli altri stacchi. Nello step, inoltre, si hanno in media valori
minori rispetto all‟hop. Questo perché le forze di reazione al suolo nella seconda fase
sono molto più elevate (Ramey & Williams 1985), e l‟arto d‟appoggio necessita di
esplicare un maggior gradiente di forza per poter esprimere una parabola di volo
Autore Fase Angolo di stacco (°)
Koh (1992)
(a)
Hop 12 – 18
Step 11,9 – 16
Jump 17,7 – 24,5
Kyrolainen et al. 2005 Hop 12 - 15
(b) Step 10 - 15
Jump 19 - 26
Mendoza & Nixdorf 2009
(c)
Hop 14 - 16
Step 13 - 16
Jump 19 - 26
Sang Yeon & Yong Woon
2011
(d)
Hop 10 - 14
Step 11 - 14
Jump 16 - 21
Panoutsakopoulos & Kollias 2008
(e)
Hop 15,4 – 19,5
Step 10,2 – 14,2
Jump 17,8 – 24,3
Čoh & Kugovnik 2011
(f)
Hop 19,2
Step 14,9
Jump 27,5
3.2.3 – Durata della fase d’appoggio e della fase di volo
24
efficace. Hay (1992) sottolinea come la transizione tra hop e step sia uno dei fattori
cruciali per la riuscita del salto. Questo fattore si nota soprattutto negli studi effettuati su
saltatrici (Tabella 3, studi e e f), che possono incontrare più difficoltà a dover
fronteggiare forze così elevate, ed hanno perciò un angolo allo step minore degli
uomini. A supporto di questa tesi anche le ricerche di Al-Kilani & Widule (1990) che,
per atlete di livello collegiale (con un primato personale inferiore ai 12 m) hanno
riscontrato un angolo di stacco allo step di 7,6°. Il minor livello di forza e/o di tecnica
non consentono un efficace sfruttamento di questa fase.
Oltre a ciò le tripliste mostrano di avere degli angoli di stacco più ampi all‟hop rispetto
ai maschi. Questo denota probabilmente una minor abilità da parte loro nel
mantenimento della velocità orizzontale durante le tre fasi, ed un maggior impulso
verticale.
I valori riportati per il jump sono i più alti, e possono essere tranquillamente accostati a
quelli normali per lo stacco nel salto in lungo, che oscillano solitamente tra i 20 e i 25°
(Linthorne 2007). Le due fasi sono infatti molto simili.
L‟angolo d‟atterraggio è solitamente della stessa ampiezza di quello di stacco,
soprattutto nell‟hop e nello step, e la somma dei due determina l‟entità della variazione
di direzione del CdG. E‟ stato dimostrato che, per la conservazione della velocità
orizzontale, il saltatore necessiterebbe idealmente di un basso angolo di stacco e di un
ampio angolo di atterraggio, ma questi due fattori sono incompatibili (Linthorne 2007).
3.2.3 – Durata della fase d’appoggio e della fase di volo
La fase di appoggio per i tre stacchi può essere divisa in una fase frenante (circa i 3/5
del tempo totale) ed in una fase di spinta (circa 2/5), che si rivela perciò più breve. La
Tabella 4 riporta i tempi di contatto nelle tre fasi del salto triplo. I valori variano grosso
modo da 0,10 a 0,15 s per l‟hop, 0,12 – 0,18 s per lo step, 0,12 – 0,20 s per il jump.
In accordo con quanto affermato dai dati di tutti gli studi in nostro possesso Fukashiro et
al. (1981) osservarono un andamento crescente all‟interno delle tre fasi della durata del
tempo di contatto. Essi evidenziarono che la durata della fase d‟appoggio dello step era
significativamente maggiore di quella dell‟hop, e quella del jump più lunga di quella
dello step. Sono state trovate alte correlazioni negative tra le misure della distanza totale
3.2.3 – Durata della fase d’appoggio e della fase di volo
25
nel salto triplo e la durata della fase d‟appoggio per l‟hop, lo step e il jump. Questo
significa che minore è la durata di ogni fase d‟appoggio e maggiore sarà la distanza
totale del salto, sinonimo forse di un impulso al suolo più efficace. Čoh & Kugovnik
(2011) trovarono inoltre una correlazione positiva tra l‟aumento della durata della fase
d‟appoggio e l‟aumento della velocità verticale, e una correlazione negativa tra
l‟aumento della durata della fase d‟appoggio e l‟aumento della velocità orizzontale.
La durata della fase di volo sta in un range di 0.50-0.56 s per l‟hop, 0.42-0.47 per lo
step, 0.64-0.71 per il jump, mostrando, in ogni caso, uno schema che segue un tracciato
“medio-basso-alto” (Hay & Miller 1985). Traiettorie di volo più radenti, inoltre, sono
solitamente caratteristiche di atleti con un‟alta velocità di base (Panoutsakopoulos &
Kollias 2008).
Tabella 4 - Durata delle fasi d'appoggio nelle tre fasi del salto triplo.
Autore Fase Durata fase d’appoggio (s)
Hay 1992
(a)
Hop 0,12 – 0,14
Step 0,15 – 0,18
Jump 0,16 – 0,19
Perttunen et al.2000 Hop 0,13
(b) Step 0,16
Jump 0,18
Kyrolainen et al. 2005 (c)
Hop 0,10 – 0,13
Step 0,12 – 0,16
Jump 0,13 – 0,20
Mendoza & Nixdorf 2009
(d)
Hop 0,11 – 0,13
Step 0,14 – 0,17
Jump 0,14 – 0,19
Sang Yeon & Yong Woon 2011
(e)
Hop 0,13 – 0,15
Step 0,17 – 0,18
Jump 0,17 – 0,20
Čoh & Kugovnik 2011
(f)
Hop 0,10 – 0,13
Step 0,12 – 0,16
Jump 0,12 – 0,18
3.2.4 – Altezza minima e massima del CdG
26
3.2.4 – Altezza minima e massima del CdG
I valori riguardanti l‟altezza minima e massima del CdG nel salto triplo sono riportati in
molti studi. Tuttavia essi sono soggetti ad una grande variabilità (Hay 1992), dovuta
probabilmente a differenze nella tecnica utilizzata e in alcuni parametri antropometrici.
E‟ stato però osservato che l‟altezza del CdG allo stacco per lo step è minore di circa il
10% rispetto a quella delle altre due fasi, e che l‟altezza del CdG durante la fase
d‟atterraggio è sempre almeno 10 cm più bassa rispetto alla precedente fase di stacco.
Inoltre (Fukashiro et al. 1981) ci sono significative correlazioni tra la distanza totale e la
massima altezza del CdG durante la fase di volo dello step e del jump, ma non dell‟hop.
Figura 6 - Cambiamenti di velocità del CdG durante il salto triplo (da Fukashiro et al. 1981).
3.2.5 – Velocità orizzontale e verticale
27
3.2.5 – Velocità orizzontale e verticale
La Figura 6, per quanto datata, è molto immediata ed intuitiva nel mostrare i
cambiamenti di velocità orizzontale e verticale durante un salto triplo. Le variazioni di
velocità orizzontale e verticale durante una fase d‟appoggio sono calcolate come la
differenza tra la velocità all‟atterraggio e la velocità allo stacco. Si può notare, in
accordo con Fukashiro et al. (1981), come la velocità orizzontale decresca durante la
prima metà di ogni fase d‟appoggio (la fase d‟atterraggio) e cresca durante la seconda
metà (la fase di stacco). Il valore assoluto di velocità orizzontale, comunque, decresce in
maniera regolare da una fase d‟appoggio all‟altra (Song & Ryu 2011). I dati riportati
sugli otto finalisti in importanti manifestazioni internazionali (Tabella 5) mostrano
come tra una fase e l‟altra un saltatore perda all‟incirca 1 ms-1
, e come questa perdita di
velocità orizzontale sia maggiore tra lo step e il jump che tra l‟hop e lo step. Se è vero
che nello step uno degli obiettivi principali è minimizzare l‟effetto frenante quando il
piede raggiunge il terreno e di mantenere l‟avanzamento, è altresì esatto che le FRS
sono le più difficili da affrontare, e quindi una maggior perdita di velocità orizzontale
nella fase successiva è inevitabile. Nel jump, invece, l‟atleta è più concentrato a
massimizzare la lunghezza del salto, quindi tende a sviluppare una maggior velocità
verticale (Hay 1992).
Tabella 5 - Media (± SD) delle velocità orizzontali nelle diverse fasi in alcuni studi sugli otto finalisti
nel salto triplo ad importanti eventi internazionali (ms-1). F=femmine; M=maschi, WC=mondiali,
OG=olimpiadi.
AUTORE PU U Hop Step Jump
Bruggemann 1990, OG
Seoul 1988 M / 10,06 (± 0,36) 9,29 (± 0,29) 8,29 (± 0,49) 6,84 (± 0,53)
Bruggemann & Arampatzis 1997, WC
Atene 1997
F 9,29 (± 0,30) 9,31 (± 0,18) 8,40 (± 0,23) 7,58 (± 0,27) 6,46 (± 0,29)
M 10,12 (± 0,14) 10,47 (± 0,15) 9,77 (± 0,15) 8,61 (± 0,27) 7,02 (± 0,33)
Kyrolainen et al. 2005, WC Helsinki 2005
F / 9,28 (± 0,18) 8,34 (± 0,24) 7,59 (± 0,27) 6,49 (± 0,26)
M / 10,18 (± 0,21) 9,71 (± 0,20) 8,75 (± 0,41) 7,04 (± 0,34)
Mendoza & Nixdorf 2009, WC Berlino 2009
F 9,06 (± 0,15) 9,08 (± 0,18) 8,35 (± 0,23) 7,65 (±0,33) 6,41 (±0,36)
M 10,13 (± 0,23) 10,14 (± 0,21) 9,38 (± 0,20) 8,29 (± 0,14) 6,99 (± 0,22)
Sang Yeon & Yong Woon 2011, WC Daegu
2011
F 9,09 (± 0,34) 9,09 (± 0,26) 8,14 (± 0,37) 7,38 (± 0,58) 6,24 (± 0,55)
M 10,18 (± 0,17) 10,34 (± 0,26) 9,40 (± 0,53) 8,30 (±0,24) 7,04 (±0,38)
3.2.6 – Distanza e distribuzione delle fasi
28
Tabella 6 - Media (± SD) delle velocità verticali nelle diverse fasi in alcuni studi sugli otto finalisti
nel salto triplo ad importanti eventi internazionali (ms-1).
La velocità verticale (Figura 6) mostra una crescita costante durante la fase d‟appoggio,
e mostra valori similari per l‟hop e il jump, mentre è significativamente più bassa nello
step. Si può notare anche come la velocità verticale raggiunga un picco appena prima
che la gamba d‟appoggio lasci il suolo, e come essa inizi a calare non appena lo stacco è
concluso. La Tabella 6 mostra come i valori più bassi di velocità verticale si
raggiungano nello step, e quelli più alti nel jump, in accordo con le caratteristiche delle
diverse fasi spiegata precedentemente. Čoh e Kugovnik (2011) infine affermano che
maggiori velocità verticali sono correlate a maggiori angoli di stacco, con valori più alti
nell‟hop e nel jump. Le differenze interindividuali nei cambiamenti di velocità
orizzontale e verticale si spiegano però in base alle diverse tecniche usate e alla
distribuzione delle fasi.
3.2.6 – Distanza e distribuzione delle fasi
Nella letteratura sia scientifica che tecnica del salto triplo questo argomento è stato
sicuramente il più dibattuto ed esaminato, e c‟è un parere unanime nel ritenere la
distribuzione delle fasi come il fattore determinante della prestazione nel salto triplo.
AUTORE Hop Step Jump
Bruggemann & Arampatzis 1997, WC Atene 1997
F 2,34 (± 0,25) 1,52 (± 0,27) 2,53 (± 0,13)
M 2,40 (± 0,16) 1,95 (± 0,22) 2,79 (± 0,26)
Kyrolainen et al. 2005, WC Helsinki 2005
F 2,35 (± 0,26) 1,54 (± 0,27) 2,51 (± 0,14)
M 2,39 (± 0,15) 2,00 (± 0,27) 2,79 (± 0,24)
Mendoza & Nixdorf 2009, WC Berlino 2009
F 2,37 (± 0,10) 1,63 (± 0,28) 2,38 (± 0,33)
M 2,48 (± 0,13) 2,06 (± 0,19) 2,63 (± 0,23)
Sang Yeon & Yong Woon 2011, WC Daegu 2011
F 1,98 (± 0,20) 1,59 (± 0,29) 1,96 (± 0,56)
M 2,03 (± 0,18) 1,94 (± 0,13) 2,37 (± 0,31)
3.2.7 – Evoluzione e classificazione delle tecniche
29
Per distanza delle fasi s‟intende la distanza di ogni singola fase (hop, step, jump) in
rapporto alla distanza totale del salto. Per distribuzione delle fasi, invece, s‟intende la
percentuale che ogni singola fase (hop, step, jump) ricopre in rapporto alla distanza
totale del salto (100%).
Per preservare la velocità orizzontale per le fasi che seguono e per preservare il corpo da
carichi eccessivi, infatti, l‟hop e lo step sono eseguiti con uno sforzo sottomassimale
(Hay 1993). La distribuzione delle fasi non è fissa, ma varia in base alle caratteristiche
di ogni singolo atleta.
3.2.7 – Evoluzione e classificazione delle tecniche
Sin dall‟inizio del secolo scorso l‟evoluzione delle tecniche del salto triplo diede vita ad
un vivace dibattito, che considerava principalmente come l‟atleta dovesse distribuire il
proprio sforzo lungo i tre balzi (Hay 1992). Verso la fine degli anni ‟20 e negli anni ‟30
dominarono la specialità i saltatori giapponesi, che utilizzarono una tecnica che
enfatizzava marcatamente l‟hop (con percentuali di distribuzione che superavano il 40%
per questa fase). Anche i triplisti australiani ottennero alcuni successi in questo periodo,
utilizzando una tecnica diametralmente opposta, che poneva cioè la sua maggior enfasi
sul jump. Questa suddivisione venne poi ripresa negli anni ‟60, in cui si misero in
evidenza la scuola russa e quella polacca.
La tecnica russa prevedeva un hop lungo con una parabola di volo alta, uno step con una
parabola altrettanto alta, e un jump più ridotto. La tecnica polacca invece consisteva in
un hop e uno step veloci e radenti ed un jump molto lungo e dall‟ampia parabola.
Hay sottolineò giustamente però la grossolanità e la poca affidabilità di queste
classificazioni. Infatti furono frequenti i casi in cui atleti russi e polacchi si discostarono
largamente da questi parametri, ed anzi utilizzarono la tecnica opposta. Questo a
dimostrazione della grande variabilità, anche da un tentativo all‟altro da parte dello
stesso atleta, delle tecniche esecutive.
Nella sua revisione del 1992 Hay introdusse una classificazione che ancora oggi è alla
base di ogni valutazione e considerazione sulle tecniche utilizzate da ogni triplista.
Appare senza dubbio la più ragionevole e la più utile. Egli trovò tre tipologie principali
di salto:
3.2.7 – Evoluzione e classificazione delle tecniche
30
Hop prevalente: un salto in cui la distanza dell‟hop è almeno del 2% maggiore
rispetto alla successiva fase più lunga.
Jump prevalente: un salto in cui la distanza del jump è almeno del 2%
maggiore rispetto alla successiva fase più lunga.
Bilanciata: un salto in cui la fase prevalente supera di meno del 2% la
successiva fase più lunga.
L‟utilizzo di una tecnica piuttosto che di un‟altra è sottoposto ad una grande variabilità
interindividuale ed intraindividuale. Nella tabella 6 sono riportate la distanza e la
distribuzione delle fasi dei finalisti e delle finaliste nel salto triplo nella finale dei
mondiali di Daegu nel 2011.
Tabella 7 - Distanza totale, distanza delle fasi, distribuzione delle fasi (espresse in metri) e tecnica
utilizzata dai finalisti del salto triplo nella finale dei mondiali di Daegu del 2011 (da Song Yeon &
Yong Woon 2011).
Dai dati riportati si possono trarre le seguenti considerazioni:
a) Lo step è la fase che presenta, in sette casi su otto, la distanza più corta. E‟ stata
infatti già sottolineata la difficoltà di esecuzione di questa fase, che presenta una
percentuale di distribuzione media che si aggira intorno al 30% della distanza
totale del salto.
Atleta Distanza Fase Distribuzione Tecnica
Ufficiale Attuale Hop Step Jump Hop Step Jump
Taylor C. 17,96 m 18,10 m 6,19 5,29 6,62 34 29 37 Jump prevalente
Idowu P. 17,77 m 17,77 m 6,67 5,64 5,60 37 32 31 Hop prevalente
Claye W. 17,50 m 17,67 m 5,77 5,43 6,47 33 31 36 Jump prevalente
Copello A. 17,47 m 17,62 m 6,40 5,38 5,84 36 31 33 Hop prevalente
Evora N. 17,35 m 17,46 m 6,44 5,18 5,84 37 30 33 Hop prevalente
Olsson C. 17,23 m 17,45 m 6,37 5,09 5,99 37 29 34 Hop prevalente
Sands L. 17,21 m 17,59 m 6,63 4,77 6,19 38 27 35 Hop prevalente
Compaorè B. 17,17 m 17,48 m 6,32 5,23 5,93 36 30 34 Hop prevalente
3.2.8 – Distribuzione ottimale delle fasi
31
b) Degli otto atleti esaminati sei utilizzano una tecnica hop prevalente, mentre
soltanto due una jump prevalente. Nessun atleta utilizza una tecnica bilanciata.
c) I due atleti che utilizzano la jump prevalente sono il primo ed il terzo della
classifica. Potrebbe significare che questa tecnica è molto redditizia ma, nel
contempo, la più difficile da utilizzare proficuamente. Panoutsakopoulos &
Kollias (2008) osservarono nei loro studi come la tecnica hop prevalente fosse la
più comune tra i saltatori, ma come la jump prevalente o la bilanciata fossero
osservate più frequentemente in atleti d‟elite.
d) Esaminando i valori delle velocità orizzontali degli otto finalisti (Tabella 7) si
osserva che gli atleti che utilizzano la jump prevalente posseggono una velocità
di stacco superiore rispetto agli altri, e una miglior capacità di conservazione
della stessa durante le tre fasi.
Tabella 8 - Valori delle velocità orizzontali nelle tre fasi del salto nei finalisti del salto triplo ai
mondiali di Daegu nel 2011.
3.2.8 – Distribuzione ottimale delle fasi
3.2.8 – Distribuzione ottimale delle fasi
Partendo da queste considerazioni è perciò fiorito nei decenni un ampio dibattito su
quale fosse la tecnica migliore in generale, quella che permetterebbe ad ogni atleta di
Atleta Velocità orizzontale (m/s)
Hop Step Jump
Taylor C. 9,70 8,61 7,33
Idowu P. 9,65 8,11 6,53
Claye W. 9,77 8,57 7,33
Copello A. 8,14 7,96 6,71
Evora N. 9,49 8,35 6,67
Olsson C. 9,35 8,07 7,33
Sands L. 9,36 8,43 7,50
Compaorè B. 9,71 8,26 6,91
3.2.9 – Considerazioni sulla distribuzione ottimale delle fasi in atleti d’elite
32
ottenere la sua miglior prestazione. Hay riporta numerosissimi esempi di tecnici, più e
meno illustri, che sulla base della loro esperienza si sbizzarrirono nell‟enumerare valori
di riferimento universalmente validi. Tutto ciò senza alcun tipo di supporto scientifico.
In particolare negli anni „60, sulla base della contrapposizione tra scuola Russa e scuola
Polacca, si ipotizzò che la tecnica jump prevalente fosse più adatta per atleti molto
veloci, mentre la hop prevalente per atleti un po‟ più lenti, ma con una migliore capacità
di forza esplosiva.
Fu ancora una volta Hay a dare una svolta a questo dibattito: sottolineando come questo
argomento, che risulta essere centrale per la comprensione delle componenti prestative
nel salto triplo, fosse stato fino a quel momento poco trattato e considerato dalla
letteratura scientifica, intraprese egli stesso delle ricerche al riguardo.
Egli mostrò (Hay 1992) come atteggiamenti troppo dogmatici fossero limitativi ed
inutili. Vide che non esiste una distribuzione ottimale delle fasi universalmente valida.
In particolare essa è influenzata da caratteristiche fisiche (lunghezza e forza degli arti
inferiori, potenza e azione rapida dei muscoli), tecniche (velocità della rincorsa,
movimenti di oscillazione degli arti) e psicologiche (attitudine mentale, approccio
psicologico, esperienza in gara). La distribuzione ottimale delle fasi, inoltre, può variare
nel momento in cui, con l‟allenamento, variano le caratteristiche dell‟atleta.
3.2.9 – Considerazioni sulla distribuzione ottimale delle fasi in atleti d’elite
Dai dati in nostro possesso riferiti a quattro finali mondiali, maschili e femminili
(Brüggeman & Arrampatzis 1997, Kyrolainen et al. 2005, Mendoza & Nixdorf 2009,
Sang Yeon & Yong Woon 2011), e ad un meeting internazionale femminile di alto
livello (Panoutsakopoulos & Kollias 2008) su un totale di 74 salti 41 (il 55,4%) erano
hop prevalenti, 28 (il 37,8 %) bilanciati e solo 4 (il 6,8%) jump prevalenti.
La tecnica più comunemente utilizzata è, perciò, la hop prevalente e, sommando anche i
tentativi che utilizzano la bilanciata, si arriva ad un considerevole 93,2% del totale.
Questo fatto sottolinea come, date le richieste coordinative elevate, sia piuttosto difficile
mantenere valori alti di velocità orizzontale fino al jump, ed esplicare qui il maggior
sforzo: è più comune eseguire un hop più lungo. In ogni caso, comunque, lo step risulta
essere la fase più corta.
3.2.9 – Considerazioni sulla distribuzione ottimale delle fasi in atleti d’elite
33
Analizzando i cinque tentativi che utilizzavano la tecnica jump prevalente si scopre
come, in quattro casi su cinque, gli atleti considerati abbiano ottenuto piazzamenti di
alta classifica, e siano finiti sul podio nelle competizioni considerate. Si nota inoltre
come le velocità orizzontali da essi raggiunte siano tra le più alte del lotto dei
partecipanti.
E‟ utile a questo proposito esaminare i valori dei salti di due degli unici tre atleti che ,
nella lunga storia di questa disciplina, abbiano mai superato la fatidica quota dei 18 m.
Si tratta di due gare piuttosto distanti nel tempo, e di atleti con caratteristiche diverse. Il
primo è il famoso salto che Jonathan Edwards eseguì a Göteborg nel 1995, l‟attuale
record del mondo di 18.29 m. Rilevazioni ufficiose (riportate da Hay 1999), ma a nostro
avviso affidabili, rivelano una percentuale di distribuzione del jump corrispondente al
36,3 % del salto totale (con una misura di 6,69 m), ed un salto di tipo jump prevalente.
La stessa tecnica di salto è stata utilizzata, più di recente, e precisamente ai mondiali di
Mosca del 2012, dal vincitore, il francese Teddy Tamgho. Egli riuscì a vincere
raggiungendo la rilevante misura di 18.04 m, con una distribuzione (dati ufficiosi) di
6,16 m (hop), 5,30 m (step), e 6,58 m (jump). Anche qui perciò una jump prevalente
(36,5%).
Si potrebbe perciò ragionevolmente dedurre che questa tecnica, lungi da essere quella
universalmente migliore, è si padroneggiata da pochi (soprattutto da atleti con le
migliori abilità tecniche e coordinative) a causa delle alte velocità prodotte ma, una
volta appresa, può essere molto produttiva.
Infine è da ricordare, sulla base di quanto espresso da Hay (1999) l‟ampia variabilità
intra-individuale delle tecniche del salto triplo. Se è vero che Edwards per stabilire il
record del mondo utilizzò un salto jump prevalente, raramente riuscì a ripetersi
nell‟utilizzo di questa tecnica: sia negli anni precedenti che in quelli successivi a questa
gara egli si servì sempre, nelle gare clou della stagione di una hop prevalente o di una
bilanciata (Hay 1995). Segno che non fu più in grado di padroneggiare questa tecnica
con maestria.
Occorre quindi avere una notevole elasticità mentale nel considerare l‟argomento, data
la sua notevole complessità e la molteplicità degli aspetti che sono coinvolti, ed essere
3.2.10 – Il coefficiente di correlazione della velocità orizzontale in verticale:
relazione tra Δvx e Δvz
34
sempre molto cauti nel pronunciare affermazioni in qualche modo dogmatiche o
eccessivamente categoriche.
Ulteriori studi sperimentali dovrebbero essere condotti, sia per stabilire una più stretta
correlazione tra la tecnica più adatta a ciascuna tipologia di atleta (in base a
caratteristiche morfologiche, tecniche, psicologiche), sia per porre chiarezza per quanto
riguarda l‟utilizzo così poco frequente, e quasi solamente ad opera di atleti d‟elite, della
tecnica jump prevalente.
3.2.10 – Il coefficiente di correlazione della velocità orizzontale in verticale:
relazione tra Δvx e Δvz
Per stabilire quale tecnica e quale distribuzione ottimale delle fasi fossero più adatte ad
atleti con determinate caratteristiche (per es. maggiore o minor forza od elasticità) Yu &
Hay (1996) elaborarono su base sperimentale il coefficiente di correlazione della
velocità orizzontale in verticale.
Molteplici studi (Hay 1992, Yu & Hay 1996, Yu 1999a, 1999b, Liu & Yu 2012) hanno
trovato una correlazione molto stretta tra il guadagno di velocità orizzontale e la perdita
di velocità verticale nel salto triplo. In particolare (Yu 1999a, Yu1999b, Liu & Yu
2012) è stato scoperto che in ogni fase d‟appoggio del salto triplo l‟atleta
inevitabilmente perde velocità orizzontale, e contemporaneamente guadagna velocità
verticale con lo stacco. Il guadagno di velocità verticale tende ad incrementare la
distanza della singola fase, la perdita di velocità orizzontale, invece, fa decrescere la
distanza delle fasi successive.
Si ipotizzò dunque che la perdita di velocità orizzontale (Δvx) e il guadagno in velocità
verticale (Δvz) durante ogni fase d‟appoggio fossero correlati per un singolo atleta. Gli
studi di Yu e di Hay (1996) trovarono una correlazione lineare (Figura 7) tra Δvx e Δvz:
maggiore era il valore di Δvx, quindi, maggiore doveva essere il valore di Δvz durante
ogni fase d‟appoggio. Quindi un aumento di Δvz non doveva per forza corrispondere ad
un aumento della lunghezza della distanza totale del salto, a causa della contemporanea
crescita di Δvx.
3.2.11 – Rapporto tra il coefficiente di conversione dell’energia orizzontale in
verticale e la distribuzione ottimale delle fasi
35
Figura 7 - Correlazione lineare tra guadagno di velocità verticale (Δvx) e perdita di velocità
orizzontale (Δvy) in un singolo atleta (da Yu 1999a).
Per descrivere in maniera efficace la relazione lineare che intercorre tra Δvx e Δvz Yu &
Hay (1996) trovarono sperimentalmente il coefficiente di correlazione della velocità
orizzontale in verticale (A1).
In base alla grandezza di questo coefficiente, quindi, variano i rapporti tra velocità
verticale ed orizzontale. E‟ stato stimato che il valore di A1 vari in base alle
caratteristiche fisiche e psicologiche dell‟atleta.
3.2.11 – Rapporto tra il coefficiente di conversione dell’energia orizzontale in
verticale e la distribuzione ottimale delle fasi
Sulla base di questo modello teorico Yu & Hay (1996) stabilirono quale fosse la
distribuzione ottimale delle fasi ad un determinato valore di A1.
Per prima cosa essi trovarono che, se un atleta si discostava dalla sua distribuzione
ottimale delle fasi, andava incontro ad una riduzione consistente della sua distanza
attuale. Così, se un atleta la cui tecnica ottimale era la jump prevalente utilizzava la hop
prevalente poteva perdere sino a un metro. Notarono che la grandezza di A1 influenzava
considerevolmente la relazione tra Δvx e Δvz (Tabella 9). Inoltre osservarono le seguenti
relazioni:
3.2.11 – Rapporto tra il coefficiente di conversione dell’energia orizzontale in
verticale e la distribuzione ottimale delle fasi
36
a) ALTO VALORE DI A1: per un valore basso di Δvz si avrà un valore altrettanto
basso di Δvx. Per un alto valore di Δvz, invece, si avrà un alto valore di Δvx. Un
atleta con tali caratteristiche, quindi, è abile a mantenere la velocità orizzontale
con un piccolo guadagno di velocità verticale. Dovrà minimizzare la crescita di
velocità verticale durante la fase d‟appoggio dell‟hop, per non disperdere troppa
velocità orizzontale e mantenere quest‟ultima per lo step e il jump.
Ecco perché per un atleta con un alto valore di A1 la tecnica ottimale è la jump
prevalente (Tabella 9).
a) BASSO VALORE DI A1: la perdita di velocità orizzontale del CdG è minore
per un alto guadagno di energia verticale. Ciò significa che Δvx è indipendente
da Δvz. L‟atleta è più abile a mantenere la velocità orizzontale. E‟ perciò più
vantaggioso esplicare lo sforzo massimo in direzione verticale quando si
possiede la velocità orizzontale più alta.
Ecco perché per un atleta con un basso valore di A1 la tecnica ottimale è la hop
prevalente (Tabella 9).
Tabella 9- Distanza ottimizzata delle fasi, distribuzione delle fasi e distanza totale corrispondente
(da Yu 1999a).
3.2.12 – Considerazioni sul coefficiente di conversione dell’energia orizzontale
in energia verticale
37
Yu (1999b) suggerì inoltre l‟utilità di A1 per distinguere tra atleti maggiormente adatti
al salto in lungo e atleti maggiormente adatti al salto triplo. Infatti un basso valore di A1
consente di conservare alte velocità orizzontali con un grande guadagno di velocità
verticale, rivelandosi così una caratteristica utile per i lunghisti d‟elite. Yu (1999a)
verificò che triplisti con alti valori di A1 avevano in media distanze attuali di salto
maggiori rispetto a triplisti con bassi valori di A1. Ecco perché, sempre secondo i due
scienziati, l‟obiettivo di un allenamento finalizzato al salto triplo dovrebbe essere quello
d‟innalzare A1.
3.2.12 – Considerazioni sul coefficiente di conversione dell’energia orizzontale in
energia verticale
Il coefficiente di conversione dell‟energia orizzontale in energia verticale si rivela uno
strumento di massima utile per fornire una più solida base teorica e meno empirica alle
considerazioni dei tecnici sulla distribuzione ottimale delle fasi per un singolo atleta,
tenendo conto delle caratteristiche dello stesso (esplosività, velocità).
Questo però, pur possedendo una comprovata validità dal punto di vista scientifico e
statistico e fornendoci preziose indicazioni, appare un elemento teorico un po‟ troppo
astratto per poter essere inserito efficacemente nella pratica dell‟allenamento. Oltre ad
essere particolarmente difficile da calcolare, e necessitando per la rilevazione dei dati di
apparecchiature costose e di calcoli piuttosto complicati, sembra talvolta fornire delle
informazioni avulse dalla reale dinamica del salto triplo. Si prenda come esempio un
caso (Tabella 8): per il soggetto A è riportato un jump ideale di 7,52 m, cosa che appare
fuori da ogni logica. Si pensi soltanto che, come esposto in precedenza, Jonathan
Edwards, un triplista tecnicamente sopraffino, nel suo salto del record del mondo di
18,29 m eseguì, con una tecnica jump prevalente, un jump di 6,69 m, che appare già
molto lungo.
3.3 – Chiusura e atterraggio finale
L‟obiettivo della fase di volo dev‟essere quello di contrastare efficacemente il momento
di rotazione in avanti che è prodotto con lo stacco, e di mantenere in linea i segmenti
corporei (Hay 1993). La lunghezza del salto non può essere in alcun modo resa
3.3 – Chiusura e atterraggio finale
38
maggiore. Essendo la fase di volo finale del salto triplo notevolmente più breve rispetto
a quella del salto in lungo, non si ha il tempo necessario per utilizzare la tecnica dei
passi in volo. Si ricorre perciò solitamente alla tecnica veleggiata o a quella raccolta
(Hayes 2000).
L‟atterraggio finale deve portare l‟atleta a lasciare un segno nella sabbia che sia il più
lontano possibile rispetto all‟asse di battuta.
Capitolo 4 – Forze di reazione al suolo (FRS)
39
Capitolo 4 – Forze di reazione al suolo (FRS)
Le forze di reazione al suolo sono componenti fondamentali di ogni movimento umano
che comprende una fase d‟appoggio al suolo (Ramey & Williams 1985). Se una persona
sta ferma in posizione eretta l‟accelerazione di gravità lo spinge verso il basso ad
un‟intensità di 9,81 m/s2. Tuttavia il corpo non è soggetto a nessun movimento, e il
valore della velocità verticale della persona rimane uguale a zero. Questo a causa della
terza legge di Newton; quando una persona applica a terra una forza uguale al suo peso,
infatti, la Terra applica una forza d‟intensità uguale e di direzione contraria sulla
persona. Questa forza vettoriale che punta verso l‟alto è denominata forza di reazione al
suolo (FRS). In una situazione di stasi la forza peso e la FRS hanno uguale valore,
mentre in situazioni di movimento la forza applicata supera la FRS.
Comprendere come le FRS agiscano durante il salto triplo risulta importante per capire
più in profondità le dinamiche del gesto, e come gli arti inferiori vengano sollecitati.
Uno dei primi studi ad esaminare le FRS nel salto triplo fu quello di Ramey &
Williams, nel 1985. Analizzando, tramite delle pedane di forza, i salti di quattro triplisti,
essi arrivarono a tracciare le curve di forza – tempo delle tre componenti ortogonali
delle FRS: la forza in direzione verticale, in direzione antero – posteriore ed in direzione
medio – laterale (Figura 7).
Essi trovarono una grande variabilità inter-individuale nella tempistica e nella
grandezza delle GRF. Tuttavia trovarono dei tracciati comuni tra i saltatori, e questi
sono quelli che vengono riportati nella Figura 8. Esaminando la componente verticale,
che risulta essere quella maggiormente incisiva, si possono fare alcune considerazioni.
Si può notare un primo picco di forza che, nella fase dello step, può arrivare sino a 12
PC. Si ha poi una discesa della curva, con un secondo picco che arriva a toccare 6 PC. Il
primo picco corrisponde alla fase d‟atterraggio, in cui si verifica l‟impatto del piede con
il terreno, mentre il secondo picco si ha durante la fase di stacco, o di spinta. Il picco di
forza verticale maggiore si registra durante lo step, e, per tutte le fasi di contatto, le FRS
sono maggiori nella fase frenante rispetto a quella di spinta. Il picco di forza verticale
minore si registra invece durante l‟hop.
Capitolo 4 – Forze di reazione al suolo (FRS)
40
Figura 8 - Forze di reazione al suolo nel salto triplo. PC = Peso corporeo. Note: a) per renderne più
agevole la comprensione gli autori hanno presentato le forze sottoforma di multipli del peso
corporeo; b) le FRS applicate al corpo sono positive quando il piede spinge verso il basso nella
direzione verticale, verso dietro nella direzione antero – posteriore, medialmente nella direzione
medio – laterale (da Ramey & Williams 1985).
Queste affermazioni, in seguito, furono ampiamente confermate e validate dagli studi di
Perttunen et al. (2000).
Anche per quanto riguarda la forza antero – posteriore si possono registrare due picchi,
corrispondenti alle fasi d‟atterraggio e di stacco.
I valori massimi registrati di 12 PC superano di gran lunga quelli rilevati da Cavanagh
& LaFortune (1980) per la corsa di lunga distanza, corrispondenti a circa 3 PC. Da
questi dati si può capire quanto siano elevate le forze risultanti sull‟articolazione della
caviglia e su quella del ginocchio, e quanto alto sia il rischio d‟infortuni.
Anche Matveyev (1985), usando una procedura analoga, ottenne risultati simili. Egli,
però, rilevò valori di forza verticale durante il jump maggiori rispetto a quelli per lo
step, con una deviazione standard però molto più alta per l‟ultima fase. Trovò inoltre
una correlazione statistica molto rilevante tra i picchi di forza verticale durante ogni fase
Capitolo 4 – Forze di reazione al suolo (FRS)
41
di spinta e la distanza attuale, con r = 0,78 per l‟hop, r = 0,73 per lo step e r = 0,56 per il
jump.
Nonostante questi due studi abbiano apportato importanti contributi per la conoscenza
della cinetica del salto triplo, non possiamo non essere d‟accordo con Hay (1992), che li
comprese nella sua revisione, nel ravvisarne alcune lacune. Prima di tutto la mancanza
di un‟accurata descrizione delle procedure utilizzate. L‟articolo di Ramey & Williams
(1985), per esempio, non riporta il livello d‟abilità dei soggetti esaminati. Solo una
comunicazione personale del 1991 degli autori riportata in Hay (1993) c‟informa che i
saltatori maschi dello studio saltarono circa 12 m, le saltatrici 9 m.
Sembra inoltre che i salti siano stati eseguiti in condizioni lontane da quelle reali di
gara, e che non siano rappresentativi della tecnica effettiva utilizzata dagli atleti.
Amadio (1985) rilevò la forza verticale non più su atleti principianti, ma su triplisti
tedeschi di alto livello, e trovò per questo motivo valori notevolmente più alti rispetto a
quelli di Ramey & Williams (1985).
Gli studi di Perttunen et al. (2000), compiuti su triplisti e tripliste di livello nazionale,
mostrano forze verticali più vicine a quelle riportate da Ramey & Williams (1985), con
picchi leggermente più alti (Tabella 10). Essi rivelano inoltre che la massima forza
verticale nella fase frenante e la massima forza orizzontale nella fase di spinta sono le
migliori FRS per predire la distanza attuale nel salto triplo. C‟è da mettere in evidenza,
comunque, come anche in questo studio gli atleti eseguano uno sforzo sottomassimale,
Valore massimo di forza verticale
(PC) Studio
Hop Step Jump
Ramey & Williams (1985) 10,1 12,6 12,2
Amadio (1985)
Perttunen et al. (2000)
14,4
11,3
22,3
15,2
15,7
12,9
Tabella 10 - Valori massimi di forza verticale riportati dalle misurazioni dirette in tre diversi studi.
4.1 – Considerazioni finali sulle FRS
42
ben lontano dal proprio miglior risultato personale e quindi dalle reali condizioni di
gara.
Utilizzando inoltre dei sensori di rilevazione della pressione posti sui piedi degli atleti è
stato trovato che i picchi di pressione si hanno soprattutto a livello del tallone e
dell‟avampiede, con i sensori che si attivano contemporaneamente, e i valori minori
sulla parte centrale del piede. Questo a testimonianza di come il contatto col terreno
avvenga di tutta pianta.
I valori pressori massimi del retropiede e dell‟avampiede, inoltre, variano
considerevolmente tra hop, step e jump, con i valori minimi raggiunti durante l‟hop.
Altri studi, invece, provarono a rilevare le FRS tramite misurazioni indirette, calcolate
utilizzando la seguente formula:
Ft = m(va – vs)
Dove Ft sta per la forza media durante la fase d‟appoggio dell‟hop, dello step o del
jump, m per la massa dell‟atleta, va e vs rispettivamente per la velocità all‟atterraggio e
allo stacco.
Per dei saltatori d‟elite furono trovati da Hay (1992) in letteratura dei valori medi di
forza verticale rispettivamente di 3,2 – 3,77 PC per l‟hop, 3,8 – 4,35 PC per lo step, 3,7
– 4,21 per il jump. Molto più bassi, cioè, di quelli rilevati direttamente e, probabilmente,
sottovalutati.
4.1 – Considerazioni finali sulle FRS
Sebbene gli studi esaminati posseggano, in alcuni casi, delle lacune, essi si rivelano
importanti per la descrizione della cinetica del salto triplo. I valori misurati
direttamente, pur con qualche differenza, sono sovrapponibili, ed indicano come gli arti
inferiori, durante le tre fasi del salto, siano sottoposti a sollecitazioni d‟intensità
notevole, superiori a quelle riscontrate in qualsiasi altro sport (Hay 1993). Tutti
concordano, inoltre, nel fatto che gli stimoli maggiori si registrino nello step.
I valori ricavati indirettamente, invece, rivelano FRS notevolmente più basse, all‟incirca
un terzo di quelle rilevate direttamente.
4.1 – Considerazioni finali sulle FRS
43
Per poter avere indicazioni più precise gli studi futuri dovrebbero misurate le FRS in
atleti d‟elite che eseguono un gesto quanto più vicino possibile all‟intensità massimale.
In tutti gli studi esaminati, infatti, gli atleti eseguono uno sforzo submassimale, che,
probabilmente, non rivela la reale entità delle forze a cui gli arti inferiori sono
sollecitati.
Come suggerito da Hay, infine, sarebbe interessante indagare su come le FRS variano,
in un saltatore e tra un saltatore e l‟altro, in base alle diverse tecniche utilizzate (hop
prevalente, jump prevalente o bilanciata) e alla diversa enfasi posta su una fase piuttosto
che un‟altra.
Capitolo 5 – Momento angolare
44
Capitolo 5 – Momento angolare
Un‟analisi bidimensionale delle componenti che determinano la prestazione nel salto
triplo appare incompleta. Ecco perché si è resa anche necessaria un‟analisi
tridimensionale, che esaminasse l‟influenza del momento angolare sulla dinamica del
gesto. I momenti angolari a cui è sottoposto un triplista, infatti, hanno un‟influenza
rilevante sulla sua capacità di mantenere un corretto bilanciamento durante le diverse
fasi, e questo fatto condiziona la sua abilità nel mantenere velocità orizzontale,
sviluppare velocità verticale, e, in sostanza, la distanza attuale stessa (Yu & Hay 1995).
5.1 – Definizione di momento angolare (MA)
Il momento angolare (L) rappresenta l‟equivalente rotazionale della quantità di moto (p
= mv). Indica perciò un oggetto o un corpo che si muove con una velocità angolare di
modulo ω lungo una circonferenza r. L‟intensità di L si ricava perciò sostituendo m e v
con le corrispondenti grandezze rotazionali.
L = Iω
I indica il momento d‟inerzia, ω la velocità angolare.
Si può notare come il MA del sistema vari in base alla grandezza del momento d‟inerzia
di un corpo, che è dato dalla somma dei momenti d‟inerzia di tutti i segmenti che
compongono quel corpo. Ecco perché anche il MA totale si calcola dividendo il corpo
in un sistema collegato di segmenti rigidi, e calcolando quanto ogni segmento
contribuisce a determinare il MA totale.
L‟analisi dei MA esercitati nel salto triplo sul corpo dell‟atleta comprende la rotazione
intorno ai tre assi principali (Figura 9):
3 Asse longitudinale: percorre il corpo dalla testa ai piedi.
4 Asse sagittale: percorre il corpo dal dietro al davanti.
5 Asse trasversale: percorre il corpo da un lato all‟altro, da sinistra a destra o
viceversa.
5.2 - Bilanciamento
45
Figura 9 - Principali assi del corpo umano.
5.2 - Bilanciamento
5.2 – Bilanciamento
Alla base delle analisi sui MA nel salto triplo Hay (1993) pone come esigenza
fondamentale per un‟efficace esecuzione del gesto un corretto bilanciamento.
Il bilanciamento viene da lui definito come una condizione in cui l’impulso angolare
esercitato su ciascuno dei principali assi di un corpo umano è corrispondente al
cambiamento del valore di MA richiesto su quell’asse.
L‟atleta deve perciò possedere un‟elevata capacità di coordinazione e di controllo del
proprio corpo durante la fase di volo, evitando che le forze di rotazione generate dalle
FRS diano luogo a movimenti indesiderati dei segmenti corporei, i quali
comprometterebbero una valida dinamica del salto. Il MA dell‟atleta durante lo stacco
dell‟hop al suo asse frontale dovrebbe essere intorno allo zero. Durante la fase
d‟appoggio, infatti, l‟atleta deve generare al suolo una forza di reazione verticale di una
tale grandezza e una tale linea d‟azione che il MA risultante dovrebbe essere sufficiente
a cancellare il MA subìto nella fase d‟atterraggio (Hay 1993). Le FRS, e il loro
momento rispetto a G, modificano la traslazione e la rotazione del corpo dell‟atleta
durante ogni fase d‟appoggio.
5.3 – Momenti angolari nel salto triplo
46
5.3 – Momenti angolari nel salto triplo
Se mantenere un corretto bilanciamento rappresenta un‟esigenza fondamentale del
saltatore in lungo questo fattore diventa ancor più prioritario nel triplista, per il quale un
corretto posizionamento dei segmenti durante le tre fasi è basilare per un proficuo
mantenimento della velocità orizzontale e la produzione di velocità verticale.
Lo studio più accurato e completo su questo argomento è senz‟altro quello di Yu & Hay
(1995), che determinarono in 13 triplisti d‟elite, tramite un‟analisi cinematica
tridimensionale, i valori dei MA lungo i tre assi principali durante lo stacco dell‟ultimo
appoggio della rincorsa, dell‟hop, dello step e del jump. Essi distinsero tre tipi di MA:
a) Momento d’inclinazione laterale:
è il movimento d‟inclinazione che avviene intorno all‟asse sagittale, che porta il busto
ad inclinarsi verso destra o verso sinistra. Assume valori positivi quando è diretto dallo
stesso lato dell‟arto di stacco, negativi in caso contrario. Furono rilevati valori molto
differenti da zero per l‟ultimo appoggio e lo step, poco diversi da zero per l‟hop e il
jump. L‟analisi della Figura 10 permette di comprendere al meglio l‟azione del
momento d‟inclinazione laterale. Questo rispecchia le specifiche esigenze tecniche di
ogni successiva fase di volo. Durante la fase di volo dell‟ultimo appoggio un saltatore
deve portare verso l‟alto un arto inferiore, e portare verso il basso l‟altro. Per avere però
una corretta posizione del corpo, con il busto eretto (Fig. 10b), questo gesto richiede da
parte dell‟atleta un momento d‟inclinazione laterale contrario. Se egli non adotta
quest‟azione il movimento compiuto dagli arti inferiori può portare o ad un‟inclinazione
della parte superiore del corpo (Fig. 10c) o ad un‟inclinazione meno marcata dell‟intero
corpo (Fig. 10d).
Quest‟azione si ripete durante la fase di volo dello step, in cui bisogna cambiare l‟arto
d‟appoggio rispetto alla fase precedente. Dopo lo stacco dell‟hop, invece, il momento
d‟inclinazione è meno marcato, poiché la ricaduta avviene sullo stesso arto. Gli studi di
Yu e di Hay hanno inoltre dimostrato che, in atleti d‟elite, la differenza nel momento
d‟inclinazione laterale durante lo stacco dello step e del jump era dovuta al
cambiamento del corrispondente MA durante la fase d‟appoggio di quella fase, e non al
cambiamento del MA durante la fase di volo precedente.
5.3 – Momenti angolari nel salto triplo
47
Figura 10 - (a) Posizione del corpo allo stacco dell'ultimo appoggio. Posizione del corpo durante la
fase d'atterraggio dell'hop in presenza di un momento d'inclinazione laterale sufficiente (b) ed
insufficiente (c e d) dalla parte dell'arto libero. In (c) è inclinato solo il tronco, in (d) tutto il corpo
(da Yu & Hay 1995).
Questo significa che è la fase d‟appoggio, e non quella di volo, che contribuisce in larga
parte a determinare un adeguato valore del momento d‟inclinazione laterale nel
successivo stacco.
Inoltre è risultato che i triplisti, per avere una distanza attuale maggiore, dovrebbero
minimizzare il cambiamento di momento d‟inclinazione laterale durante la fase
d‟appoggio dello step, e che questo valore dovrebbe essere quasi equivalente sia nello
stacco dell‟hop che in quello dello step. Ecco perché una buona preparazione per lo
stacco del jump, per ottimizzare il risultato del salto, dovrebbe avvenire sin dallo stacco
dell‟hop.
Sono state anche indagate le cause di questa inclinazione laterale. Ciò può essere dovuto
innanzitutto ad un poco preciso piazzamento del piede di stacco relativamente a G in
direzione laterale, oppure ad un‟inclinazione del busto durante la fase d‟appoggio a
livello dell‟articolazione tra L4 e L5 (come nella Fig. 10c). Altre ragioni possono essere
5.3 – Momenti angolari nel salto triplo
48
relative ad un‟inclinazione dell‟intero corpo intorno all‟articolazione sotto-astragalica
(Fig. 10d), oppure all‟azione degli arti liberi (superiori e inferiore). Di tutti questi fattori
il più importante sembra essere il primo: infatti un piccolo errore nel posizionamento
del piede d‟appoggio durante l‟atterraggio in una singola fase può causare un grande
errore nella direzione d‟applicazione delle FRS, e così un grande errore nel
cambiamento del momento d‟inclinazione laterale rispetto a G. Le inclinazioni del
tronco e dell‟intero corpo sembrano invece ricoprire un ruolo sinergico, utili a
compensare un errore di piazzamento del piede d‟appoggio.
Infine è stata trovata una stretta relazione (r = 0,86) tra il momento d‟inclinazione
laterale allo stacco dello step e la distanza attuale.
b) Momento di rotazione antero - posteriore:
è il movimento di rotazione che avviene intorno all‟asse trasversale, che porta il corpo
a ruotare in avanti o indietro, come per eseguire un salto mortale. Assume valori positivi
quando è diretto in senso orario, negativi quando è diretto in senso antiorario.
Hinrichs (1989), riportato in Hay (1993), studiò l‟intensità e la direzione del momento
di rotazione antero - posteriore durante lo stacco del salto in lungo. Queste
considerazioni possono essere tranquillamente utilizzate per analizzare anche lo stacco
nel salto triplo.
Innanzitutto è possibile determinare che è scorretto dire che un‟atleta arriva allo stacco
con un valore di tale momento pari a zero. Infatti almeno la metà di questo MA è
acquisito durante la rincorsa. Durante lo stacco, inoltre, l‟atleta è sottoposto a FRS
orizzontali e verticali che tendono a dare all‟atleta un‟accelerazione angolare intorno
all‟asse trasversale che passa nel suo CdG.
Il momento totale è dato dalla somma dei MA di tutti i segmenti corporei. Tra questi un
ruolo importante è affidato all‟azione degli arti inferiori: se l‟arto di stacco, durante la
fase di volo precedente ad un appoggio, compie un movimento verso dietro, provocando
così uno spostamento in senso orario di G sull‟asse trasversale, il movimento dell‟arto
libero verso l‟avanti serve a riequilibrare il sistema, e dà un impulso in direzione
antioraria. Questo permette al saltatore di mantenere un corretto bilanciamento.
5.3 – Momenti angolari nel salto triplo
49
Per la maggior parte dello stacco la forza orizzontale agisce per dare un‟accelerazione
angolare in un senso orario (come per eseguire un salto mortale in avanti). La forza
verticale, invece, inizialmente dà un‟accelerazione angolare in senso antiorario (come
per eseguire un salto mortale all‟indietro) e successivamente, una volta che il CdG è
passato davanti al centro di pressione (i piedi), in senso orario. Il momento risultante
che agisce sull‟atleta, perciò, all‟inizio è diretto in senso antiorario, a causa
dell‟influenza dominante della forza verticale, che agisce davanti al CdG; poi si dirige
in senso orario, dato che sia le forze orizzontali che quelle verticali agiscono nello
stesso senso. Infine, per un brevissimo periodo, si ha ancora un impulso diretto in
direzione antioraria.
Il momento risultante, per la maggior parte del tempo di stacco, provoca quindi una
rotazione in avanti (Figura 11).
Figura 11 - (A) Durante lo stacco FRS orizzontali e verticali agiscono per accelerare angolarmente
l'atleta sull'asse trasverso. (B) Il MA risultante sull'atleta è prima diretto verso dietro, come
risultato dell'influenza dominante della forza verticale; poi verso avanti, dato che sia le forze
orizzontali che quelleverticali agiscono nello stesso senso angolare; infine, per un breve periodo, di
nuovo verso dietro, come risultato dell’influenza dominante della forza orizzontale (da Hay 1993).
5.4 – Considerazioni finali
50
Heinrichs ne dedusse perciò che l‟atleta, quando lascia l‟asse di battuta, possiede valori
di MA molto bassi intorno agli assi sagittale e longitudinale, ma un cospicuo MA in
direzione oraria intorno all‟asse trasversale.
Questo rappresenta, nei saltatori in estensione, uno dei maggiori fattori di difficoltà
legati al controllo del corpo in volo. Più la velocità orizzontale aumenta, inoltre, più è
complicato il controllo e il contrasto del MA sull‟asse trasversale.
Yu & Hay (1995) trovarono che il momento di rotazione antero – posteriore era molto
diverso da zero sia per l‟ultimo appoggio che per l‟hop, lo step e il jump.
c) Momento di torsione:
è il movimento di rotazione che avviene intorno all‟asse longitudinale, simile a quello di
una trottola. Per atleti d‟elite non fu trovato nessun valore di questo parametro che si
discostasse dallo zero, segno che la sua influenza veniva fortemente limitata durante il
salto triplo.
5.4 – Considerazioni finali
È stata sopra discussa e dimostrata l‟importanza dei movimenti rotazionali all‟interno
del salto triplo, e come sia necessario per un atleta saperli contrastare in maniera
efficace. Nessuna relazione venne trovata tra il cambiamento di una componente del
MA in una data fase e il cambiamento delle altre due componenti (Yu & Hay 1995).
Questo perché l‟aggiustamento di una componente sulle altre due non segue un modello
regolare in un‟analisi comparativa, ma si differenzia da un triplista all‟altro.
Future ricerche dovrebbero indagare per trovare delle relazioni tra il cambiamento di
una componente del MA e le altre due, e su come queste tecniche di controllo
differiscano tra atleti con diverse caratteristiche. Inoltre sarebbe interessante studiare gli
effetti dei MA su atleti principianti.
Capitolo 6 – Arti liberi
51
Capitolo 6 – Arti liberi
Diversi studi hanno esaminato la funzione degli arti liberi nel salto triplo, con analisi
che però, nella grande maggioranza dei casi, hanno assunto un carattere meramente
descrittivo e qualitativo, senza però nessuna evidenza scientifica. Lo studio di Yu &
Andrews (1998) ha però provato a fornire criteri di valutazione maggiormente
quantitativi, e ad indagare le relazioni esistenti tra il movimento degli arti liberi e la
prestazione nel salto triplo.
In ogni fase d‟appoggio tre dei quattro arti dell‟atleta eseguono un‟azione oscillatoria;
in base a come questi segmenti si muovono relativamente al tronco durante la fase
d‟appoggio essi esercitano delle forze sul busto (Yu & Andrews 1998). Queste forze
condizionano la forza che è trasmessa dalla gamba d‟appoggio al suolo, e questo
modifica la forza di reazione che il terreno trasmette al corpo dell‟atleta.
6.1 – Movimenti delle braccia
Dal punto di vista tecnico possono essere distinte tre tecniche per l‟utilizzo delle braccia
durante il salto triplo (Hayes 2000):
- Azione a braccia alternate: in cui l‟azione degli a. s. rispecchia quella della
corsa, in opposizione a quella degli a. i..
- Azione a braccia sincrone: in cui gli a. s. prima dell‟atterraggio del piede
durante una delle fasi vengono portate dietro al corpo e successivamente
oscillano con un movimento vigoroso verso l‟avanti durante lo stacco.
- Azione combinata: durante l‟hop si utilizza la tecnica a braccia alternate,
durante lo step e il jump quella a braccia sincrone.
Hay (1992) distinse due ulteriori varianti, che non vengono qui riportate, dato che
sembrano chiaramente riconducibili ad una delle tre tecniche sopra descritte, e
genererebbero soltanto ulteriore confusione.
Generalmente si ritiene che la tecnica a braccia sincrone sia poco efficace per l‟hop, a
causa dell‟eccessiva perdita di velocità orizzontale che comporterebbe l‟interruzione
della normale dinamica della corsa durante gli ultimi due appoggi della rincorsa.
6.2 – Movimenti della gamba libera
52
Allen et al. (2010) suggerirono inoltre che un‟azione asimmetrica delle braccia potrebbe
essere utilizzata dagli atleti per contrastare il momento di torsione, anche se, fanno
giustamente notare, i triplisti che si servono della tecnica a braccia sincrone fanno fronte
altrettanto efficacemente a questo movimento. Essi affermarono inoltre che quest‟ultima
tecnica permetteva all‟articolazione della spalla di compiere un lavoro maggiore.
Non c‟è nessun criterio oggettivo che stabilisca che una tecnica sia più efficace rispetto
ad un‟altra, e questa tematica, come sostiene Hay, è stata fonte di ampi dibattiti negli
ultimi decenni. Generalmente (Hayes 2000) si tende a prediligere un metodo piuttosto
che un altro in base alla velocità orizzontale espressa dall‟atleta. Un triplista veloce
trarrà maggior giovamento dalla tecnica a braccia sincrone (che permette lo sviluppo di
un maggior impulso verticale) o da quella combinata, uno più lento prediligerà quella a
braccia alternate.
6.2 – Movimenti della gamba libera
Prima dell‟atterraggio di una delle tre fasi l‟arto libero si deve trovare dietro il corpo per
poi, allo stacco seguente, eseguire una potente azione oscillatoria verso l‟avanti, per
trovarsi in posizione parallela al terreno. L‟oscillazione, in atleti ben allenati, inizia
addirittura durante la fase di volo precedente.
La velocità del CdG della gamba libera di un triplista cresce notevolmente all‟inizio del
movimento oscillatorio, raggiungendo il valore massimo nel momento in cui il suo CdG
passa nel punto più basso della sua traiettoria, e decresce poi nel restante tempo
dell‟oscillazione. In questo modo sviluppa un MA che viene trasferito al corpo
(Verhoshanski, 1961).
Questa azione contribuisce ad incrementare l‟efficacia dello stacco, in quanto si viene a
creare un carico addizionale sui muscoli precedentemente stirati della gamba
d‟appoggio.
6.3 – Correlazioni
Gli studi di Yu e di Andrews rivelarono che il movimento degli arti liberi era associato
ad un decremento delle velocità di avanzamento orizzontale di G, e ad un incremento
6.3 – Correlazioni
53
della velocità verticale di G durante le tre fasi d‟appoggio del salto triplo. Questo perché
durante l‟atterraggio di ogni fase d‟appoggio i segmenti di un atleta si trovano
generalmente dietro le spalle. Successivamente, nella fase di stacco, le braccia e la
gamba libera raggiungono il livello delle spalle, e il vettore di velocità del CdG dei tre
arti ha direzione verticale.
Nello specifico essi trovarono che i movimenti delle braccia contribuivano per il 9%, il
16% e il 19% al decremento della velocità orizzontale di G rispettivamente nell‟hop, lo
step e il jump, e per il 9% all‟incremento di velocità verticale di G durante ogni fase
d‟appoggio (Figura 12).
Gli a. s. inoltre aumentavano i valori della velocità orizzontale laterale di G dalla parte
della gamba libera durante la fase d‟appoggio dello step. Allen et al. (2010)
affermarono inoltre che il movimento oscillatorio delle braccia facilitava un incremento
del lavoro a livello dell‟articolazione dell‟anca. Le loro simulazioni ottimizzate al
computer mostrarono inoltre che una flessione più marcata a livello dell‟articolazione
della spalla portava ad un incremento della distanza dello stacco e dell‟altezza del CdG
allo stacco, con un conseguente aumento dell‟impulso verticale e delle FRS. Questo
perché, secondo loro, i muscoli della gamba d‟appoggio erano messi in questo modo in
condizione d‟agire con un‟azione concentrica più lenta.
Un altro beneficio dato dall‟oscillazione delle braccia è rappresentato dall‟azione di
ammortizzamento, che contribuisce ad attutire l‟impatto dell‟arto di stacco.
I movimenti della gamba libera, invece, contribuivano per il 3% all‟incremento della
velocità verticale di G durante ogni fase d‟appoggio dello step e del jump.
Vennero trovate anche delle correlazioni tra i movimenti dei segmenti corporei e i valori
del momento angolare: le braccia aumentavano i valori del momento d‟inclinazione
laterale, facendo inclinare il busto dalla parte dell‟arto libero, e i valori del momento di
rotazione antero – posteriore, spingendo il corpo a ruotare verso dietro. La gamba
libera, invece, spingeva il corpo verso l‟avanti. Ecco perché la loro azione contribuisce
anche al mantenimento di un corretto bilanciamento del corpo durante il gesto.
6.4 – Conclusioni
54
Figura 12 - Variazioni (a) nella componente orizzontale e (b) nella componente verticale della velocità di G
dovute ai movimenti degli a. s. (da Yu & Andrews 1998).
6.4 – Conclusioni
Sebbene un‟idea qualitativa della funzione degli arti liberi sia presente nella gran parte
della letteratura tecnica, troppo pochi sono però i dati sperimentali in nostro possesso
per determinare con certezza in che modo questo fattore sia decisivo per la prestazione.
Studi futuri dovrebbero cercare di capire come le diverse tecniche di utilizzo delle
braccia nel salto triplo siano correlate alle caratteristiche fisiche di un atleta (più potente
o più veloce), o alle diverse tecniche di salto (hop o jump prevalente), e quale sia la più
vantaggiosa da utilizzare nei diversi casi.
Ulteriori indicazioni quantitative servirebbero inoltre per comprendere al meglio la
funzione di bilanciamento del corpo in volo esercitata dagli arti liberi nel salto triplo, e
la loro opposizione alla variazione del momento angolare.
Capitolo 7 – Meccanismi muscolari e coordinativi coinvolti nel salto triplo
55
Capitolo 7 – Meccanismi muscolari e coordinativi coinvolti nel salto triplo
Ci sembra qui utile fornire un quadro generale di quei meccanismi muscolari e
coordinativi che stanno alla base del salto triplo e, più in generale, di ogni attività di
salto che ponga alte richieste di forza esplosiva e di potenza.
7.1 – Modello meccanico dell’unità muscolo - tendinea
Per comprendere efficacemente l‟attività svolta dal complesso muscolo – tendineo Hill
(1938) propose un modello in cui esso veniva considerato come un‟unità meccanica,
che doveva le sue proprietà essenzialmente a tre elementi (Figura 13):
Figura 13 – Complesso muscolo – tendineo di Hill. Esso consiste di tre elementi: un elemento
contrattile (EC), un elemento elastico in parallelo (EEP) ed un elemento elastico in serie (EES). La
terminazione prossimale dell’EC è stata fissata ad un punto del campo gravitazionale, e un oggetto
supportante privo di massa è stato fissato alla terminazione distale dell’EES (da Fukashiro et al.
2006).
7.2 – Il ciclo stiramento – accorciamento (CSA)
56
a) Un elemento contrattile (EC), che esercita forza attivamente durante
l‟accorciamento muscolare. E‟ localizzato a livello delle fibre muscolari ed è
considerato in funzione della formazione di ponti tra i filamenti d‟actina e quelli di
miosina.
b) Un elemento elastico in serie (EES), che prima immagazzina e poi rilascia energia
elastica durante l‟azione muscolare. E‟ localizzato a livello del tessuto tendineo, ed
è costituito fondamentalmente dai corpuscoli tendinei di Golgi. Essi forniscono
informazioni inerenti alla forza esercitata da un muscolo, e sono perciò sensibili ai
cambiamenti di tensione.
Lavori recenti hanno però provato che EES sono presenti, in minor quantità, anche
nella fibra muscolare stessa, e che l‟energia elastica è immagazzinata all‟interno dei
ponti acto – miosinici.
c) Un elemento elastico in parallelo (EEP), che immagazzina e rilascia energia
elastica lavorando in parallelo con l‟EC. E‟ localizzato a livello dei fusi neuro –
muscolari, situati all‟interno dei muscoli, e scorre parallelamente ad essi. I fusi
forniscono informazioni meccanico – percettive sui cambiamenti di lunghezza di
una fibra muscolare.
7.2 – Il ciclo stiramento – accorciamento (CSA)
Partendo dalle considerazioni di Hill (1938) Cavagna fu il primo a capire e a studiare il
meccanismo che sta alla base di ogni attività muscolare, il ciclo stiramento –
accorciamento (CSA). Egli lo descrisse per la prima volta in un articolo del 1965,
arrivando però a fornirne la versione più compiuta nel 1977, in un lavoro fondamentale
denominato Storage and utilization of elastic energy in skeletal muscle (in seguito
Cavagna 1977). Quanto da lui espresso fu poi ampiamente confermato nei decenni a
venire, e fu materia d‟interesse di altri esìmi studiosi quali il finlandese Paavo Komi e
l‟italiano Carmelo Bosco (Bosco 1982).
Il CSA descrive quel processo per cui ad una contrazione eccentrica del muscolo, che
viene precedentemente attivato, ne segue immediatamente una concentrica, e questo
porta ad un rendimento maggiore e ad una maggiore produzione di lavoro e di potenza
(Figura 14). Questa accresciuta efficienza data dal contromovimento può essere spiegata
7.2 – Il ciclo stiramento – accorciamento (CSA)
57
col fatto che, durante la fase di lavoro negativo (eccentrica), l‟energia elastica viene
immagazzinata negli EEP, negli EES e, in parte, negli EC, e poi parzialmente recuperata
durante la seguente fase di lavoro positivo (concentrica). Questa azione risulta perciò in
una contrazione che è più efficace di una contrazione puramente concentrica.
Figura 14 - Il ciclo stiramento - accorciamento. Ad una fase eccentrica del muscolo preattivato
segue immediatamente una fase concentrica (da Zatsiorsky & Kramer 2006).
Questa energia potenziale, tuttavia, può essere dispersa sottoforma di calore se alla
contrazione eccentrica non segue immediatamente quella concentrica. Ciò è determinato
dal carattere di transitorietà delle variazioni dell‟elasticità muscolare: ecco perché un
movimento veloce è più vantaggioso di un movimento lento. Il periodo di transizione
che lega la fase negativa con quella positiva è stato denominato tempo di
accoppiamento (TA).
E‟ stato dimostrato inoltre (Bosco 1982) come un efficace sfruttamento dell‟energia
elastica immagazzinata porti ad una minore attività elettromiografica. Il maggior
rendimento meccanico di un CSA può perciò essere ricondotto essenzialmente a quattro
elementi (Wilson & Flanagan 2008): per prima cosa un maggior tempo a disposizione
per sviluppare forza, poi con l‟immagazzinamento e l‟utilizzo di energia elastica, il
7.3 – Meccanismi neurologici
58
potenziamento del meccanismo contrattile ed, infine, l‟azione dei due meccanismi
riflessi.
7.3 – Meccanismi neurologici
Il nostro organismo, per proteggere le strutture muscolari da eventuali danni e
mantenere i parametri di riferimento entro certi range, possiede due meccanismi
neurologici di feedback (Zatsiorsky & Kramer 2006):
Riflesso miotatico (di stiramento): i suoi recettori sono costituiti dai fusi
neuromuscolari. Essi sono sensibili ai cambiamenti di lunghezza del muscolo. Quando
questo è stirato da una forza esterna anche i fusi vengono stirati: ciò induce un
incremento della carica elettrica dei fusi stessi, e un conseguente aumento della carica
degli α – motoneuroni. Si ha perciò come effetto finale una contrazione riflessa del
muscolo stirato, che ritorna così alla sua lunghezza originale. Questo meccanismo è
perciò positivo, eccitatorio, ed accresce perciò il rendimento del CSA.
Riflesso miotatico inverso: i suoi recettori sono costituiti dagli organi tendinei di
Golgi. Essendo questi sensibili alla forza sviluppata, e non alla lunghezza di una fibra,
se la tensione muscolare cresce repentinamente essi provocano un‟inibizione dell‟azione
dei muscoli. Ciò aiuta a prevenire possibili danni muscolo – tendinei.
Ecco perché, durante un CSA, il risultato finale della contrazione è determinato, oltre
che dal grado di attivazione muscolare, dall‟effetto combinato di questi due riflessi, uno
eccitatorio ed uno inibitorio. Ciò corrisponde al modello meccanico a tre componenti
formulato da Hill.
7.4 – Elasticità
E‟ stata sopra esposta l‟importanza di un efficace immagazzinamento di energia elastica
nei muscoli e nei tendini nella fase eccentrica, per ottenere poi un rendimento maggiore
nella fase concentrica del CSA (Zatsiorsky & Kramer 2006).
L‟elasticità può essere definita come la misura della facilità che possiede un corpo di
ritornare alla sua forma originaria dopo che è stato deformato da uno stiramento, una
compressione o una torsione (Wilson & Flanagan 2008). Si può perciò affermare che il
7.4.1 – Stiffness e compliance muscolare
59
valore dell‟energia immagazzinata è proporzionale al grado di deformazione applicato
al muscolo (Zatsiorsky & Kramer 2006).
7.4.1 – Stiffness e compliance muscolare
Il concetto di stiffness è importante parlando di elasticità muscolare.
La parola stiffness è difficilmente traducibile in italiano; deriva dall‟aggettivo stiff, che
letteralmente significa “rigido, duro”. Indica la capacità di un sistema di resistere ad un
determinato allungamento (Wilson & Flanagan 2008). Questa qualità può essere
descritta tramite la legge di Hooke, che si riferisce a corpi deformabili soggetti a forze
esterne.
Fe sta per la forza elastica, k indica la stiffness della molla e x l‟intensità dello
stiramento o dell‟accorciamento. Quando non ci sono forze esterne questi corpi
mantengono una forza costante; in presenza di forze deformanti, invece, questi corpi
generano forza elastica per opporsi alle stesse, e possono perciò immagazzinare e
restituire energia elastica.
Analisi biomeccaniche riferite ai salti solitamente parlano di stiffness dell‟a. i.,
considerato come una molla. In questo caso la stiffness può essere calcolata dividendo il
cambiamento di forza per il cambiamento di lunghezza (ΔF/ΔL) del sistema. Durante un
salto la stiffness totale (Stot) è uguale alla stiffness verticale (Svert), la componente che
descrive i movimenti verticali del CdG durante la fase di contatto al suolo.
Il valore opposto alla stiffness è invece la compliance, ed indica la facilità con cui un
tessuto viene stirato. Si può affermare che la stiffness di un tendine è costante, mentre la
stiffness di un muscolo è variabile e dipende dalle forze a cui è sottoposto. Il muscolo
passivo, rilassato perciò è compliant, facilmente estendibile, mentre un muscolo attivo è
stiff, per stirarlo occorre un alto gradiente di forza. Maggiore è la tensione muscolare,
perciò, maggiore è la stiffness di un muscolo (Zatsiorsky & Kramer 2006).
All‟inizio della fase di allungamento in un CSA il tendine ha una maggiore compliance
mentre, quando è applicata una tensione maggiore, la sua stiffness cresce e si mantiene
poi pressoché costante (Latash & Zatsiorsky 1993). Più un atleta ha dei tendini
60
estensibili, dotati di elevata compliance, più è in grado di sfruttare il meccanismo a
“molla”, d‟incamerare energia elastica e di utilizzare una minor energia dalla
contrazione, più dispendiosa. Si ha perciò un rendimento maggiore nel CSA. Questo
perché una contrazione di tipo concentrico ha un rendimento del 25% (il resto viene
disperso in calore), il meccanismo “a molla” del 100%.
In atleti di sport di potenza molto abili la stiffness muscolare arriva a superare quella dei
tendini, ed è proprio per questo che in tali atleti l‟energia elastica è immagazzinata più
facilmente nei tendini che nei muscoli (Figura 15).
Figura 15 - Stiffness di un muscolo e di un tendine a diversi livelli di forza muscolare. Quando atleti
d'elite producono alti gradienti di forza la stiffness di un muscolo attivo può superare la stiffness
tendinea. In questo caso i tendini sono deformati in maniera maggiore rispetto ai muscoli e possono
così immagazzinare più energia elastica (da Zatsiorsky & Kramer 2006).
7.5 – Implicazioni pratiche
L‟analisi teorica sopra esposta ha importanti implicazioni pratiche per quanto riguarda
le caratteristiche fisiche richieste ad un triplista di alto livello.
Un atleta che possiede tendini dotati di un‟alta compliance, e perciò molto estensibili,
ed in grado di sfruttare al meglio le proprietà di “molla” del meccanismo muscolo –
tendineo, sarà in grado d‟incamerare e di utilizzare una maggior quantità di energia
elastica, e di avere perciò un rendimento più elevato. Ciò permetterà, infatti, un minor
lavoro a livello della parte contrattile, un conseguente risparmio di energia metabolica e
7.5 – Implicazioni pratiche
7.6 – Principali muscoli coinvolti nell’azione di stacco
61
un migliore sfruttamento del meccanismo a molla, che non comporta alcun costo
energetico (Latash & Zatsiorsky 1993).
Nello stesso tempo è fondamentale un livello di stiffness muscolare sufficientemente
alto. Nel salto triplo, infatti, le FRS applicate alla gamba d‟appoggio sono molto
elevate, ed arrivano a toccare valori superiori a 15 PC (Perttunen et al. 2000). Muscoli
con eccessiva compliance rischierebbero di “collassare” e di non riuscire a sostenere un
impatto con forze di tali entità.
In conclusione se un lunghista necessita di un gradiente maggiore di forza esplosiva, per
sfruttare al massimo la propria potenza nell‟unico stacco a disposizione, un triplista ha
bisogno anche di una notevole capacità di rimbalzo, ossia l‟abilità di accumulare nei
tendini e riutilizzare una grande quantità di energia elastica nel corso delle tre fasi.
7.6 – Principali muscoli coinvolti nell’azione di stacco
Alcune indagini, tramite ricerche elettromiografiche, hanno studiato i principali muscoli
attivati durante uno stacco e durante la fase d‟atterraggio del salto triplo. Hay et al.
(1999), tramite un modello tridimensionale dei quattro segmenti che compongono l‟a.i.,
osservarono i cambiamenti di lunghezza dei principali muscoli della gamba attivi
durante tutta la fase di stacco. In sintesi trovarono che nello stacco sono coinvolti:
a) Il grande gluteo, che agisce prima in modo isometrico, poi concentrico. Durante
la prima metà dello stacco, infatti, l‟angolo all‟articolazione dell‟anca rimane
costante, per poi aumentare.
b) Gli ischio – crurali, che agiscono in modo concentrico per tutto il tempo. Ciò è
causato dalla flessione dell‟articolazione dell‟anca nella prima parte dello
stacco.
c) Il retto femorale, che agisce prima in modo isometrico, poi eccentrico.
L‟azione degli ischio – crurali e del retto femorale sono, in generale, opposte:
quando i primi si accorciano il secondo si allunga.
d) Il vasto mediale e laterale, che agiscono prima in modo eccentrico, poi
concentrico. Questo rispecchia la loro natura di muscoli monoarticolari, e segue
l‟andamento dell‟articolazione dell‟anca che prima si flette poi si estende.
7.7 – Meccanismi coordinativi
62
e) il soleo e il gastrocnemio, che agiscono prima in modo eccentrico, poi
concentrico.
Ad una prima analisi può destare sorpresa il comportamento del vasto mediale, che
agisce solo in maniera isometrica ed eccentrica, e mai concentrica. Questo è dovuto alle
caratteristiche del complesso muscolo tendineo. Infatti è noto che la forza generata da
una fibra muscolare decresce con l‟aumentare della velocità d‟accorciamento
(Zatsiorsky & Kramer 2006).
In gesti che richiedono elevati gradienti di potenza l‟azione quasi isometrica che il vasto
mediale esercita per gran parte dello stacco permette alla parte contrattile di esercitare
un alto livello di forza rispetto alla relazione forza – velocità. Il tendine, con la sua alta
compliance, è d‟altra parte responsabile della maggior parte dell‟allungamento e
dell‟accorciamento dell‟intero complesso, con ampie e rapide modificazioni della sua
lunghezza (prima in allungamento poi in accorciamento), per immagazzinare e poi
restituire energia elastica. L‟azione quasi isometrica del quadricipite è perciò permessa
dal rapido accorciamento della struttura tendinea, che consente un efficace SSC e
un‟azione sufficientemente esplosiva (Fukashiro et al. 2006).
Il comportamento delle due componenti si rivela perciò complementare, e consente al
meccanismo muscolo – tendineo di generare un‟alta potenza meccanica nella fase di
stacco.
Altri studi (Perttunen et al. 2000) hanno dimostrato, più in generale, un‟ampia
preattivazione e un‟alta azione eccentrica dei muscoli estensori dell‟a.i durante la fase
d‟atterraggio del salto triplo, che servirebbero a prevenire un eventuale cedimento della
gamba causato dall‟intensità delle FRS.
7.7 – Meccanismi coordinativi
Gli studi di Wilson et al. (2008) analizzarono la variabilità degli schemi coordinativi in
triplisti di differente livello. Furono trovati tre diversi gradi di apprendimento delle
capacità coordinative:
a) Un‟alta variabilità coordinativa in atleti meno abili, che non è utile alla
prestazione. Questo è dovuto ad un‟instabilità degli schemi motori del salto
7.8 – Considerazioni
63
triplo propria dei principianti, che non hanno ancora acquisito in maniera
definitiva le capacità richieste.
b) Una variabilità più bassa in atleti di medio livello, dovuta ad una più alta
capacità di controllo e di padronanza tecnica del gesto.
c) Un ulteriore innalzamento della variabilità, che raggiunge in atleti d‟elite i suoi
valori massimi. Questa variabilità è però positiva, funzionale in quanto da
flessibilità al sistema per poter affrontare al meglio anche le condizioni
ambientali più ostiche.
7.8 – Considerazioni
La descrizione dei principali meccanismi neuro - muscolari e coordinativi appena svolta
ha voluto fornire un quadro sommario, utile a comprenderne le principali dinamiche.
Una trattazione completa avrebbe certamente richiesto uno scritto a parte, tanto vasta e
minuziosa è la letteratura al riguardo.
Quello che qui importa sottolineare è come una comprensione di fondo di tali argomenti
sia imprescindibile per qualsiasi studioso e tecnico che abbia a che fare con il salto
triplo. Conoscere, per esempio, i principali muscoli attivati durante questa disciplina e la
loro azione (concentrica, eccentrica o isometrica), consentirebbe una più efficace
programmazione dell‟allenamento della forza.
Ulteriori studi sarebbero auspicabili per comprendere più efficacemente i meccanismi
del complesso muscolo – tendineo durante il salto triplo, e per comprendere quali sono
le caratteristiche neuro – muscolari fondamentali che differenziano triplisti d‟elite da
lunghisti d‟elite.
Capitolo 8 – Conclusioni
64
Capitolo 8 – Conclusioni
Sono stati presi in esame in questo scritto i principali meccanismi tecnici, muscolari e
coordinativi che determinano la prestazione nel salto triplo. Partendo da una rapida
descrizione della specialità, è stata successivamente esposta la sua storia, dalle origini
risalenti all‟antica Grecia fino alle Olimpiadi moderne, per arrivare ai giorni nostri. E‟
stata poi affrontata un‟analisi tecnica delle principali componenti della specialità: la
rincorsa, la fase di stacco, la fase di volo e l‟atterraggio, per poi arrivare all‟esame di
importanti parametri cinematici quali il tempo d‟appoggio, il tempo di volo, l‟angolo di
stacco. La parte centrale, più importante ha riguardato quello che può essere considerato
come la chiave di volta per un‟efficace riuscita del salto: la distribuzione delle fasi e le
differenti tecniche. Altre componenti sostanziali sono state poi prese in esame, le forze
di reazione al suolo, i momenti angolari, il ruolo degli arti liberi. La parte finale ha poi
visto la trattazione dei principali aspetti neuro – muscolari e coordinativi.
Le nostre conoscenze scientifiche attuali sul salto triplo hanno raggiunto un livello
molto avanzato ed approfondito, e possiamo che la letteratura abbia efficacemente
individuato ed indagato sulla grande maggioranza degli aspetti inerenti a tale specialità,
che si rivela essere tra le più complesse e per questo tra le più affascinanti da analizzare
nell‟ambito delle discipline sportive. Nonostante questo permangono alcuni punti
ancora da chiarire, che si spera possano essere oggetto di ricerche future sempre più
approfondite. Tra questi il più importante è senza dubbio quello che riguarda la
distribuzione delle fasi, e la sua variabilità iter – individuale ed intra – individuale. Gli
studi dovrebbero analizzare eventuali relazioni tra determinate caratteristiche fisiche,
psicologiche e tecniche di un atleta e una certa distribuzione ottimale delle fasi. Ciò
sarebbe molto utile per la pratica dell‟allenamento, per indirizzare determinate tipologie
di atleti verso determinati pattern tecnico – coordinativi. Ulteriori approfondimenti
sarebbero auspicabili sul collegamento tra misure in certi casi notevoli (oltre i 18 m) e la
tecnica jump prevalente, utilizzata in questi casi, e sul perché questa sia poco impiegata
da atleti d‟alto livello.
Un altro aspetto su cui sarebbero necessari studi più approfonditi è la differenza tra
uomo e donna nel salto triplo. A causa di caratteristiche di genere peculiari, infatti, il
modello prestativo femminile appare diverso per alcuni fattori, che andrebbero indagati
con maggior precisione.
8 – Conclusioni
65
Un altro punto da chiarire riguarda la transizione dall‟hop allo step, uno dei momenti
più delicati dell‟intero salto e spesso fonte di problemi per gli atleti.
La prospettiva degli studi sul salto triplo dovrebbe allargarsi, soprattutto per spiegare la
forte variabilità intra e inter – individuale nell‟uso delle tecniche; sarebbe utile
esaminare più compiutamente l‟utilizzo dei meccanismi visuo – percettivi nella
specialità, di controllo propriocettivo e posturale, e che relazione hanno con la
prestazione. E‟ altresì auspicabile che un numero sempre maggiore di studi si focalizzi
non su salti effettuati in allenamento, in condizioni di sforzo sottomassimale e di scarsa
motivazione, ma sulla prestazione in gara, dove l‟atleta è obbligato a servirsi di tutte le
risorse a disposizione (accorgimento che sembra scontato, ma che in realtà spesso non è
adottato). Si otterrebbero risultati più utili e veritieri.
Concludiamo esprimendo un‟intelligente considerazione di Hay (1993), sulle enormi
potenzialità sperimentali intrinseche al salto triplo. Egli sostenne che questa specialità
possiede un interesse molto maggiore di quello fine a se stesso, della ricerca della
miglior prestazione in gara. Essa è un ambito multidisciplinare di cui ci si potrebbe
servire per ricerche sulla locomozione umana, sulla percezione visiva e sul controllo
delle meccaniche muscolari durante sforzi esplosivi, sul controllo posturale dinamico,
sulla forza dei materiali biologici e sui meccanismi d‟infortunio dei tessuti molli.
Ecco perché, forse, la sua complessità esercita un grande fascino per tutti gli studiosi
che lavorano nell‟ambito della ricerca sportiva.
8 – Conclusioni
Capitolo 9 – Bibliografia
66
Capitolo 9 – Bibliografia
Al-Kilani, M. A. & Widule, C. J. (1990). Selected kinematic characteristics of
intercollegiate women triple jumpers. The American Journal of Sports Medicine, 18
(3), 267-270.
Allen, S. J., King, M. A., Yeadon, M. R. (2010). Is a single or double arm technique
more advantageous in triple jumping?. Journal of Biomechanics, 43, 3156-3161.
Bosco, C. (1985). L‟effetto del pre-stiramento sul comportamento del muscolo
scheletrico. Atletica Studi, 1, 11-65.
Brüggemann, G. P. & Arampatzis, A. (1997). Triple jump. In Müller, H. & Hommel, H.
(eds), Biomechanical Research Project at the VIIth World Championships in
Athletics, Athens 1997: Preliminary Report. New Studies in Athletics, 12 (4), 59-66.
Cavagna, G. A. (1977). Storage and utilization of elastic energy in skeletal muscle. In:
Exercise and Sport Sciences Reviews, edited by R. S. Hutton. Santa Barbara:
Journal Publ. 89-129.
Cavanagh, P. R. & La Fortune, M. L. (1980). Ground reaction forces in distance
running. Journal of Biomechanics, 13 (5), 397-406.
Čoh, M. & Kugovnik, O. (2011). Variability of biomechanical parameters in the triple
jump technique – A case study. SportLogia, 7 (2), 113-121.
Fukashiro, S., Yuji, I., Kobayashi H., Miyashita M. (1981). A biomechanical study of
the triple jump. Medicine and Science in Sports and Exercise. 13 (4), 233-237.
Fukashiro, S., Miyashita, M. (1983). An estimation of the velocities of three take-off
phases in 18-m triple jump. Medicine and Science in Sports and Exercise. 15 (4),
309-312.
Fukashiro, S., Hay, D. C., Nagano, A. (2006). Biomechanical behavior of muscle-
tendon complex during dynamic human movements. Journal of Applied
Biomechanics, 22, 131-147.
Hay, J. G. & Koh, T. J. (1988). Evaluating the approach in the horizontal jumps.
International Journal of Sport Biomechanics, 4, 372-392.
Capitolo 9 – Bibliografia
67
Hay, J. G. (1992). The biomechanics of the triple Jump: a review. Journal of Sports
Sciences, 10, 343-378.
Hay, J. G. (1993). Citius, altius, longius (faster, higher, longer): the biomechanics of
jumping for distance. Journal of Biomechanics, 26 (1), 7-21.
Hay, J. G. (1999). Effort distribution and performance of Olympic triple jumpers.
Journal of Applied Biomechanics, 15, 36-51.
Hay, J. G. & Miller J. A. (1985). Techniques used in the triple jump. International
Journal of Sport Biomechanics, 1, 185-196.
Hay, J. G., Thorson E. M., Kippenhan, B. C. (1999). Changes in muscle-tendon length
during the take-off of a running long jump. Journal of Sports Sciences, 17, 159-
172.
Hayes, D. (2000). Triple jump. In USA Track and Field Coaching Manual, 159-171.
Hill, A. V. (1938). The heat of shortening and the dynamic constants of muscle.
Proceedings of the Royal Society of London, B 126, 136-195.
Koh, T. J. & Hay, J. G. (1990). Landing leg motion and performance in the horizontal
jumps II: the triple jump. International Journal of Sport Biomechanics, 6, 361-373.
Komi, P. (2000). Stretch-shortening cycle: a powerful model to study normal and
fatigued muscle. Journal of Biomechanics, 33, 1197-1206.
Kreyer, V. (1993). About the female triple jump. Modern Athlete and Coach, 31, 13-17.
Krejer, V. (1982). The run-up and the take-off in triple jumping. In: JARVER J. (ed).
The jumps: contemporary theory, technique and training (3rd
edtion). Los Angeles,
CA: Tafnews Press.
Kyröläinen, H., Komi P. V., Virmavirta, M., Isolehto, J. (2009). Biomechanical analysis
of the triple jump. New Studies in Athletics (supplement), 57-64.
Latash, M. L. & Zatsiorsky V. M. (1993). Joint stiffness: myth or reality? Human
Movement Science, 12, 653-692.
Lee, D., Lishman, J. R., Thomson, J. A. (1982). Regulation of gait in long jumping.
Journal of Experimental Psychology: Human Perception Performance, 8, 448-459.
Capitolo 9 – Bibliografia
68
Linthorne, N. P. (2006). The biomechanics of the long jump. Journal of Sports
Sciences, 24, 889-897.
Liu, H., Yu, B. (2012). Effects of phase ratio and velocity conversion coefficient on the
performance of the triple jump. Journal of Sports Sciences, 30 (14), 1529-1536.
Matveyev, A. E. (1985). Analysis of the push-off technique of the running triple jump.
Theory and Practice and Physical Education, 12, 5-6.
Matić, M., Mrdaković, V., Janković, N., Ilić, D., Stefanović, D., Kostić, S. (2012).
Active landing and takeoff kinematics of the long jump. Physical education and
Sport, 10 (3), 243-256.
Mendoza, L. & Nixdorf, E. (2010). Scientific research project. Biomechanical analysis
at the Berlin 2009: the triple jump.
Miladinov, O. & Bonov P. (2004). Individual approach in improving the technique of
triple jump for women. New Studies in Athletics, 19 (4), 27-36.
Miller, J. A. & Hay, J. G. (1986). Kinematics of a world record and other world-class
performances in the triple jump. International Journal of Sport Biomechanics, 2,
272-288.
Myers, B. (1989). Improving the penultimate step in the jumping events. New Studies in
Athletics, 4 (3), 73-77.
Nagano, A., Komura T., Fukashiro S. (2004). Effects of series elasticity of the muscle
tendon complex on an explosive activity performance with a counter movement.
Journal of Applied Biomechanics, 20, 85-94.
Panoutsakopoulos, V. & Kollias, I. A. (2008). Essential parameters in female triple
jump technique. New Studies in Athletics, 23 (4), 53-61.
Perttunen, J. Kyröläinen, H., Komi P. V., Heinonen A. (2000). Biomechanical loading
in the triple jump. Journal of Sports Sciences, 18, 363-370.
Portnoy, G. (1995). Difference in some triple jump rhythm parameters. Modern Athlete
and Coach. 35, 11-14.
Ramey, M. R., Williams, K. R. (1985). Ground reaction forces in the triple jump.
International Journal of Sport Biomechanics, 1, 233-239.
Capitolo 9 – Bibliografia
69
Sang-Yeon, W. & Yong-Woon, K. (2011). Biomechanics research project in the IAAF
World Championships Daegu 2011. In Biomechanical analysis of the triple jump,
82-99.
Song, J. H. & Ryu, J. K. (2011). Biomechanical analysis of techniques and phase ratios
of domestic elite triple jumpers. International Journal of Applied Sports Sciences,
23 (2), 487-504.
Tellez, K. & James, K. (2000). Long jump. In USA Track and Field Coaching Manual,
141-158.
Yu, B. (1999a). Horizontal-to-vertical velocity conversion in the triple jump. Journal of
Sports Sciences, 17, 221-229.
Yu, B. (1999b). Biomechanical studies on triple jump techniques: theoretical
considerations and applications. In Acts of the 17th
International Symposium on
Biomechanics in Sports, 17-26.
Yu, B. & Andrews, J. G. (1998). The relationship between free limb motions and
performance in the triple jump. Journal of Applied Biomechanics, 14, 223-237.
Yu, B. & Hay J. G. (1995). Angular momentum and performance in the triple jump: a
cross-sectional analysis. Journal of Applied Biomechanics, 11, 81-102.
Yu, B. & Hay J. G. (1996). Optimum phase ratio in the triple jump. Journal of
Biomechanics, 29 (10), 1283-1289.
Ward-Smith, A. J. (1995). The application of modern methods of biomechanics to the
evaluation of jumping performance in Ancient Greece. Journal of Sport Sciences,
13, 223-228.
Verhoshanski, Y. (1961). Triple jump with approach. Moscow, Physical Culture and
Sport.
Wilson, J. M. & Flanagan E. P. (2008). The role of elastic energy in activities with high
force and power requirements: a brief review. Journal of Strength and Conditioning
Research, 22 (5), 1705-1715.
Wilson, C., Simpson S. E., Hamill J. (2009). Movement coordination pattern in triple
jump training drills. Journal of Sports Sciences, 27 (3), 277-282.
70
Wilson, C., Simpson S. E., Van Emmerik R. E. A., Hamill J. (2008). Coordination
variability and skill development in expert triple jumpers. Sports Biomechanics, 7
(1), 2-9.
Zatsiorsky, V. M. & Kramer W. J. (2006). Science and practice of strength training, 33-
39.
Ringraziamenti
71
Ringraziamenti
Un cortese ringraziamento al prof. Ferretti, relatore di questa tesi.
Un grazie a Huber. La sua professionalità, la sua competenza e la passione per il suo
lavoro hanno reso il di tirocinio presso il centro Marathon un‟esperienza imprescindibile
per la mia formazione. Ha contribuito a creare un ambiente di lavoro disteso e
collaborativo, ideale per apprendere e crescere professionalmente. Ho molto apprezzato
inoltre il tempo e il sincero impegno dedicatomi, nonostante le intense giornate di
lavoro e nonostante l‟argomento piuttosto tecnico e ostico, per la buona riuscita di
questa tesi, e gliene sono grato.
Il mio grazie più grande e più sincero va ad Elena e Raffaello. Sono per me un modello
e una fonte d‟ispirazione, persone autentiche e di rare qualità umane, ed è soprattutto
grazie a loro che ho maturato questa grande passione per lo sport. La fiducia e la stima
dimostrate negli anni verso di me, e le numerose occasioni e opportunità concessemi
senza avere in cambio alcun tornaconto personale mi hanno spronato e spinto a dare
sempre il meglio. Mi hanno insegnato ad apprezzare la bellezza dell‟Atletica Leggera
come stile di vita, trasmettendomi con i fatti e con le lunghe chiacchierate valori
autentici come l‟onestà, la trasparenza, l‟impegno, il coraggio di difendere i propri
diritti, il rispetto per gli altri, e il gusto di rapporti umani veri. La quotidianità vissuta
con loro e con gli altri compagni d‟allenamento mi ha offerto sempre serenità e stabilità,
solide basi d‟appoggio anche in momenti non facili.
Gli sono profondamente riconoscente, e spero un giorno di riuscire a ripagarli.
Un pensiero va a tutti gli amici: a quelli di Monticelli e a quelli di Camignone, a quelli
più lontani, ai compagni di università, vecchi e nuovi, a Irene, Silvia ed Enrico, ai
compagni di allenamento e, non ultimi, agli amici del coro. A tutti un grazie per il
tempo passato insieme e per avere, a volte, sopportato il mio carattere un po‟ spigoloso
e scostante.
Un grazie particolare a Francesco per la preziosa consulenza ed assistenza tecnica.
Ad Maiora.