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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA · ANNO ACCADEMICO 2016 – 2017 . 1 Indice Introduzione 2 1....

Date post: 11-Aug-2020
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI “M. FANNO” CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA PROVA FINALE WEB MARKETING E WEBSITES: COME COSTRUIRE UN SITO EFFICACE NEL MONDO DEL FASHION RETAIL ONLINE RELATORE: CH.MO PROF. MARCO PAIOLA LAUREANDO: FRANCESCO MONTANARO MATRICOLA N. 1088879 ANNO ACCADEMICO 2016 – 2017
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI

“M. FANNO”

CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA

PROVA FINALE

WEB MARKETING E WEBSITES: COME COSTRUIRE UN SITO

EFFICACE NEL MONDO DEL FASHION RETAIL ONLINE

RELATORE:

CH.MO PROF. MARCO PAIOLA

LAUREANDO: FRANCESCO MONTANARO

MATRICOLA N. 1088879

ANNO ACCADEMICO 2016 – 2017

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Indice

Introduzione 2

1. Il Web Marketing 3

1.1 Cosa significa fare Web Marketing 3

1.2 I canali di comunicazione 5

1.2.1 Siti Web 6

1.2.2 Social Media 8

1.2.3 Email 10

2. Il Sito Web 12

2.1 Costruire un sito web di successo 13

2.1.1 Scrivere il sito in ottica SEO 13

2.1.2 Dai modelli di Marketing alla progettazione di un Website 19

2.1.3 Tasso di conversione, traffico e ordine medio 23

2.1.4 I KPI di maggior rilievo 25

3. Il mondo del Fashion Retail Online 29

3.1 I protagonisti e le dinamiche del settore 29

3.2 Analisi e confronto dei siti web più efficaci 33

3.2.1 Home page 33

3.2.2 User Experience 36

3.3.3 Checkout 37

Considerazioni finali 40

Bibliografia e Sitografia 41

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Introduzione

La semplicità con cui diamo per assodato che una qualsiasi azienda, piccola o medio-grande

che sia, utilizzi attività di Marketing per raggiungere il successo e svolgere efficacemente il

proprio business, è la stessa con cui si parla continuamente di Web Marketing all'interno di

ogni realtà aziendale di questo Pianeta. Oggigiorno, infatti, strutturare un Piano di Marketing

significa inderogabilmente predisporre un piano d'azione incentrato sulla comunicazione e la

raccolta di informazioni attraverso due canali: online e offline. L'avvento del web 3.0 e della

diffusione capillare delle nuove tecnologie mobile, nonché la facilità con cui la popolazione

accede al World Wide Web, rappresentano un'opportunità senza precedenti per qualsiasi realtà

imprenditoriale interessata a interagire con i propri clienti, fidelizzare i nuovi acquirenti ed

ampliare il proprio numero di contatti all'interno del mercato. Lo stimolo che questi

avvenimenti hanno suscitato sull'imprenditoria mondiale ha creato una nuova piattaforma di

interazione mondiale, nella quale sempre più aziende stanno approdando con i propri prodotti,

il cosiddetto e-commerce. L'efficacia di questo strumento è stata sicuramente affermata e

accertata da fenomeni quali Amazon, eBay, ASOS o simili: aziende che hanno condizionato le

abitudini dei consumatori e dettato le “regole del gioco”.

Nel capitolo 1 andremo a definire dettagliatamente cosa significhi Web Marketing e come

venga svolto nelle aziende, attraverso interventi mirati e pianificazioni ad hoc per la raccolta

dati e la comunicazione con i clienti, potenziali e non. Focalizzando l'attenzione sugli strumenti

maggiormente utilizzati, ovvero Siti Web, Social Media e Email, stileremo un quadro empirico

sul loro funzionamento e sulle opportunità che ognuno di loro offre ai web marketers. Nel

capitolo 2 restringeremo il focus della nostra analisi soffermandoci sull'elemento cardine del

Web Marketing, nonché punto di riferimento della comunicazione online: il Website. In

particolare, approfondiremo alcune strategie fondamentali per il successo di un sito web, quindi

elencheremo i KPI più strategici per l’ottimizzazione del processo di analisi interpretativa e

migliorativa. Nel capitolo 3, infine, applicheremo le nozioni apprese nei capitoli precedenti per

analizzare il mondo del Fashion Retail Online, esplorando le dinamiche del settore e le

caratteristiche dei siti web più efficaci del 2017, in modo da confrontarle ed elaborare una linea

generale che ci indichi quale sia lo standard rappresentato dai leaders del mercato.

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Capitolo 1

Il Web Marketing

1.1 Cosa significa fare Web Marketing

Fare Web Marketing significa fare attività di Marketing online. È una definizione semplice,

letterale, ma per nulla banale, poiché racchiude in modo intrinseco le enormi difficoltà che

incontrarono i marketing managers quando decisero di sfruttare il portale informatico come

canale di comunicazione e interazione con i clienti. Prendere una disciplina sviluppata nel corso

dei secoli in un mondo prettamente materiale, in cui la digitalizzazione non faceva neppure

parte dell’immaginazione più fervida della popolazione e contestualizzarla in una nuova realtà

dematerializzata e in continuo mutamento, rappresentò sicuramente una delle grandi sfide che

investirono la IV Rivoluzione Industriale.

Facendo un breve excursus sulla storia e il significato della terminologia, si è in grado di

comprendere appieno come il Web Marketing possa considerarsi il frutto dell’evoluzione della

disciplina madre, non un fenomeno generatosi autonomamente da un evento eccezionale. Corey

Wainwright (2012) in un articolo scritto per Hubspot Blog sostiene che il Marketing nacque nel

momento in cui “qualcuno ebbe qualcosa da vendere”, identificando tuttavia quale fu la pietra

miliare nell’evoluzione di questa scienza. L’invenzione di Gutenberg del 1450, infatti, permise

la prima attività di promozione massificata, e per questa ragione è possibile considerare la

stampa a caratteri mobili un vero game changer nella storia del Marketing. L’utilizzo di

strumenti in grado di raggiungere sempre più contatti, quindi potenziali clienti, evolveva negli

anni, influenzando l’attività di Marketing ogniqualvolta le permettesse di cogliere nuove

opportunità per diffondere i propri orizzonti. Dall’invenzione della stampa fino allo

smartphone, passando per la radio, il telefono, la televisione ed internet, i marketing managers

aggiornarono i propri canali di comunicazione ed interazione, restando tuttavia fedeli ad una

metodologia di fondo chiamata Outbound Marketing o Interruption Marketing (Wainwright,

2012). Questo metodo si basa sul cercare di catturare l’attenzione del maggior numero di clienti

possibili, interrompendo le loro attività con informazioni e contenuti che essi non stavano

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cercando. Fare Web Marketing, agli inizi, significava “bombardare” con il maggior numero di

informazioni possibili chiunque entrasse nel raggio d’azione del canale comunicativo, senza

selezionare i consumatori sulla base dei loro interessi. Alcuni esempi caratteristici del Outbound

Marketing sono: cartelloni pubblicitari, spot televisivi o radiofonici, pop up ridondanti che

appaiono durante la navigazione di alcuni siti web e le cosiddette email spam (Esposito, 2016).

La saturazione di questo mercato nel corso degli anni ha spinto i prezzi ad un grave incremento,

limitando l’accesso alla maggior parte delle PMI intenzionate a fare Marketing. I consumatori,

inoltre, hanno sviluppato naturalmente la capacità di selezionare le informazioni che

tempestano quotidianamente la loro attenzione, rendendo ancora più difficile la scelta su

quando e quanto fosse giusto investire su questa tipologia di comunicazione. Come riportato

negli esempi, anche il web soffrì a lungo di essere troppo invasivo per i suoi utenti, specialmente

perché la rete sembrava essere l’ennesima scoperta scientifica in grado di ampliare

ulteriormente il numero di potenziali clienti da contattare e influenzare. Solo recentemente ci

si è accorti che il web rappresenta il più grande strumento per la raccolta dati che l’uomo abbia

mai posseduto. Una volta compresa questa fondamentale caratteristica, il passaggio all’Inbound

Marketing rappresentò la strategia vincente per tutti quei business ambiziosi che decisero di

sperimentare una metodologia divenuta oggigiorno dogmatica per il successo di un piano di

Web Marketing. Fare Web Marketing nella giusta maniera, quindi, significa fare Inbound

Marketing (Wainwright, 2012).

Come ben rappresentato in Figura 1.1, Inbound Marketing significa ottimizzare le risorse per

dialogare con coloro che sono effettivamente interessati a quello che l’azienda offre,

coinvolgere maggiormente le emozioni dei clienti, essere facilmente reperibili ogniqualvolta

qualcuno compia una ricerca inerente al proprio business e molto altro ancora. Questa

metodologia fonda le basi del suo successo su un insieme di attività: analisi dei dati, SEO, SEM,

PPC, promozione e dialogo. Non esiste una formula globalmente ottimale per tutte le tipologie

di business, poiché ognuna possiede delle peculiarità uniche; sta ai responsabili del piano di

web marketing capire quali siano i punti di forza su cui puntare e quali le necessità da colmare.

È bene ricordare, quindi, che per fare Web Marketing nella maniera più consona alle proprie

possibilità ci voglia una figura qualificata, capace di adoperare tutti gli strumenti citati in

precedenza per incrementare il proprio business e generare valore laddove prima non esisteva

(Rowles, 2015).

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Figura 1.1 - Outbound Marketing vs Inbound Marketing

Fonte: inboundmarketing.com.au

1.2 I canali di comunicazione

I canali principali attraverso cui si sviluppano le attività di Web Marketing con metodologia

Inbound sono sostanzialmente tre: Siti Web, Social Media e Email (Rowles, 2015). Il primo

rappresenta il punto cardine da cui ogni azienda dovrebbe partire quando decide di posizionarsi

sul Web o di migliorare il proprio ROI. I Social Media, invece, raggruppano alcune attività

svolgibili anche dal Sito Web, quali presentazione e dialogo, posizionandosi tuttavia al fianco

delle persone e stabilendo contatti meno formali con loro. Essi vengono spesso configurati

come un mondo a sé stante, fatto di dinamiche atipiche e ancora da comprendere, ma aiutano

molto le attività commerciali e non, a definire la propria Brand Equity. Infine ci sono le Email,

lo strumento migliore per fare Marketing Automation e fidelizzare i propri clienti con offerte

su misura per loro.

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1.2.1 Siti Web

La storia del website ha inizio il 6 agosto 1991, quando il CERN di Ginevra mise online il

primo spazio web di sempre: “info.cern.ch.” Diciassette giorni dopo, quello stesso sito ricevette

la sua prima visita.

Il magico mondo del World Wide Web deve la sua nascita all’informatico del CERN Tim

Berners-Lee, il quale, nel marzo del 1989, presentò un memo ai suoi capi, dove proponeva di

“creare uno spazio comune dove mettere le informazioni a disposizione di tutti”. (La

Repubblica, 2011). Il progetto era frutto di un altro programma, chiamato Enquire, che lo stesso

Berners-Lee adoperava già dal 1980 per “tenere traccia del complesso di relazioni fra persone,

idee, progetti e computer di quella straordinaria comunità di scienziati” (La Repubblica, 2011).

Figura 1.2 – The World Wide Web project

Fonte: corriere.it

Il progetto fondava le proprie basi su altri due pilastri informatici ideati nei decenni precedenti:

il primo era il sistema di rete generato dalla Nasa negli anni ’60 per comunicare tra computer,

il secondo era il cosiddetto “Internet Protocol”, un protocollo di rete nato negli anni ’70

funzionale a interconnettere reti eterogenee (La Repubblica, 2011).

Da questo breve excursus di carattere storico è possibile capire meglio le parole di Tim Berners-

Lee quando dice che “non c’è stato un momento Eureka nella creazione del web. Un momento

preciso in cui ho detto: è fatta! È stato piuttosto un percorso lungo” (Corriere della Sera, 2011).

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Nel corso della storia, il progetto fondato da Berners-Lee ha subito notevoli mutazioni,

divenendo, oggigiorno, lo strumento di interazione sociale più grande del Pianeta. In

particolare, la frequenza con cui si sente parlare di web 1.0, 2.0 e 3.0, lascia intendere quanti

siano stati i cambiamenti che incisero significativamente sulla struttura dei siti web, da sempre

protagonisti del www e per questo, oggetto del nostro approfondimento.

Da quando le attività commerciali decisero di approdare sulla piattaforma online, infatti, il

principale canale con cui iniziarono a fare Web Marketing fu senza dubbio il sito aziendale, uno

strumento che permetteva di presentarsi agli “internauti”, o “web surfers”, promuovendo i

propri prodotti o servizi attraverso la nota metodologia Outbound. Con l’avvento del web 3.0,

invece, quello in cui navighiamo oggi è un mondo molto più connesso, in cui i siti web

rappresentano il nesso tra tutti gli attori economici presenti nel mercato, sfruttando le

potenzialità che la rete 3.0 offre loro.

Costruire un sito web efficace richiede disciplina e competenze e per questo motivo

approfondiremo l’argomento nel secondo capitolo. Qui, invece, ci limiteremo ad accennare

alcune caratteristiche distintive di questa piattaforma; prima su tutte, la capacità di poter essere

continuamente aggiornata e di riportare contenuti storici ed anagrafici utili a far conoscere la

propria identità agli utenti “di passaggio” e non.

Secondariamente, il sito offre l’opportunità di approfondire la conoscenza del proprio business

attraverso cataloghi consultativi, descrizioni informative ed eventuali servizi di chat o contatto

con cui chiunque è in grado di soddisfare le proprie curiosità riguardo al brand.

La terza caratteristica fondamentale di un sito web è la sua capacità di raccogliere dati: ogni

utente durante la sua navigazione, infatti, si sposta all’interno della pagina e clicca su alcuni

link piuttosto che su altri, fornendo, spesso inconsciamente, un’enorme quantità di dati di

carattere generale o personale, fonte ottimale per le attività di Marketing Automation o per

migliorare la User Experience dei visitatori.

Il quarto aspetto per cui è importante valorizzare le qualità di un sito web, è la costruzione di

una brand equity solida, attraverso piccoli dettagli che rendono il sito lo specchio dell’azienda;

dalla facilità con cui si naviga il sito all’immediatezza nel comprenderlo, dalla qualità del

servizio informativo fino alla form con cui si presenta, tutto lascia trasparire che tipo di business

ci sia alle spalle.

L’ultima caratteristica su cui è bene soffermare l’attenzione è forse la più importante, perché si

tratta della sezione e-commerce. Questa funzionalità consente agli utenti di acquistare online i

prodotti o i servizi offerti dall’azienda e può, talvolta, costituire l’unica ragion d’essere del sito.

Il successo che sta attraversando il fenomeno e-commerce è dovuto alle sue capacità di

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coinvolgere il cliente durante la fase di acquisto, lasciandolo nella posizione più confortevole

in cui si possa trovare, a casa propria. I clienti possono informarsi in tutta tranquillità sulle

caratteristiche dei prodotti, consultandoli a qualsiasi ora e più di una volta al giorno senza

sentirsi osservati o giudicati, e potranno decidere se acquistare quello che hanno visualizzato o

dove farlo recapitare.

1.2.2 Social Media

Andreas M. Kaplan e Michael Haenlein (2010, pag.61) definiscono i Social Media come “un

gruppo di applicazioni Internet-based costruite sui paradigmi ideologici e tecnologici del web

2.0 che permettono la creazione e lo scambio di contenuti generati dagli utenti”. Il termine “web

2.0” viene utilizzato per la prima volta nel 2004, per indicare una nuova metodologia di utilizzo

del world wide web. I contenuti presenti in Rete, un tempo creati e pubblicati individualmente,

diventano per la prima volta oggetto di continue modifiche da parte di tutti coloro che ne

prendano visione. Adobe Flash, AJAX e RSS rappresentarono le uniche funzionalità necessarie

a questo cambiamento e costituirono il trampolino di lancio per i Social Media. Adobe Flash è

uno strumento che consente di caricare animazioni, audio, video e contenuti interattivi sui siti

web. AJAX (Asynchronous Java Script), invece, permette di modificare ed aggiornare in tempo

reale il contenuto dei siti senza interferire con il display ed il comportamento delle pagine.

Infine RSS (Really Simple Syndication) genera flussi automatici che consentono di aggiornare

le modifiche sul contenuto delle pagine automaticamente, senza che sia necessario l’intervento

manuale di un operatore ogni qualvolta venga apportata una modifica.

L’idea che sta alla base dei Social Media assomiglia molto all’idea con cui nacque il world wide

web, ovvero quella di poter dare agli utenti la possibilità di condividere informazioni (testi,

immagini, video e file audio) in un portale che fosse disponibile a tutti. L’errore più ricorrente

è quello di confondere i Social Media con i Social Network, che rappresentano un sottoinsieme

dei primi; è importante soffermarsi sulla distinzione dei termini poiché rende più agevole capire

il motivo per cui le aziende dovrebbero sfruttare i Social Media – e in particolare i Social

Network – come canale di comunicazione per fare Web Marketing. Restando fedeli alle

pubblicazioni degli esperti Kaplan e Haenlein, è possibile identificare sei tipologie di Social

Media: blog e microblog, siti di social networking, mondi virtuali di gioco, mondi virtuali

sociali, progetti collaborativi e content communities1. I Social Network, ovviamente,

1 Siti in cui è possibile condividere determinati tipi di file multimediali, come video o foto, e in cui gli utenti

possono dare dei feedback sui contenuti pubblicati. L’esempio più citato è YouTube.

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rappresentano la punta di diamante delle strategie di Social Marketing poiché richiedono

investimenti relativamente poco onerosi e riescono a cogliere uno degli aspetti fondamentali

delle attività di business: il dialogo con il cliente. Grazie ai Social Network, piattaforme in

grado di connettere miliardi di profili tra loro, i clienti hanno finalmente trovato l’opportunità

di saziare quel desiderio che da generazioni li affliggeva, ovvero, far sentire la propria voce alle

aziende. Con il boom dei Social Network e in particolare di Facebook2, entrambi gli attori di

mercato sono stati in grado di trarre profittevoli guadagni da questo nuovo strumento: i clienti

si sentono più coinvolti nelle attività aziendali, riescono facilmente a comprendere l’identità

dei brand basandosi sui contenuti che pubblicano e possono richiedere qualsiasi genere di

informazione interrogando una persona fisica che gestisce la pagina. Dall’altra parte le aziende

sono in grado di raccogliere un’innumerevole quantità di dati attraverso i profili dei propri

clienti, l’ascolto delle loro preferenze e la mappatura delle nuove tendenze, in base sia ai

feedback che ricevono dopo aver pubblicato alcuni contenuti, sia monitorando come si

comportano i profili del network. Infine, i Social Network costituiscono la piattaforma più

indicata dove costruire la propria brand equity attraverso commenti, foto, video e pubblicità.

Tutto ciò che viene condiviso diventa di dominio pubblico e per questo motivo è fondamentale

programmare minuziosamente i propri movimenti all’interno della Rete. Dimenticandosi dei

mondi virtuali, poco consoni ai progetti di business, è facile capire come mai si parli di Social

Media Marketing così spesso all’interno delle comunità online. Oltre ai Social Network, di cui

si sono brevemente spiegati i servizi che vengono offerti, i blog e le content communities sono

due ottime piattaforme con cui influenzare le scelte dei consumatori e svolgere Web Marketing.

Partecipare ad un blog come Twitter o gestire un proprio canale su YouTube può essere un

ottimo investimento per aziende in grado di coordinare le proprie risorse oltre che i propri

profili. Come si era detto parlando di Siti Web, ogni business è a sé stante e di questo devono

risponderne i Marketing Managers che profilano un piano strategico in base alle risorse messe

a disposizione e alle necessità dell’azienda.

In un mondo dove i consumatori investono più tempo su Facebook di quanto non ne occupino

guardando la televisione, spesso distratti dal doppio schermo, essere presenti sui Social Media

è di vitale importanza per tutti coloro che sono interessati a fare business online e ampliare i

propri orizzonti restando sempre al passo con i tempi. Le opportunità che questi canali di

comunicazione offrono alle aziende giustificano ogni investimento.

2 Secondo internetlivestats.com sono poco più di 2 miliardi gli utenti attivi. [Data di accesso: 03/10/2017]

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1.2.3 Email

Il motivo per cui le Email vengono considerate tra gli strumenti di Web Marketing più utilizzati

nel mondo del business online è sicuramente intrinseco alle loro caratteristiche principali:

permettono un dialogo diretto ed esistono sostanzialmente da sempre. Tutto risale all’ottobre

del 1971, quando il programmatore Ray Tomlinson riuscì a far recapitare il primo messaggio

di posta elettronica all’indirizzo di destinazione (Anon., 2013). Come sostiene nel discorso

tenuto durante la sua introduzione nella Internet Hall of Fame, Tomlinson sapeva esattamente

quello che stava facendo: stava cercando un modo per permettere alle persone di comunicare

con altre persone (Raymond Tomlinson, 2012). Nonostante sia sempre lui l’ideatore della

famosa @ che permette di separare il nome del titolare del dominio dal computer o dalla rete

utilizzata (Anon., 2013), è a Shiva Ayyadurai che si deve il merito di aver concepito e realizzato

la forma delle caselle email che ancora oggi utilizziamo. Lo scienziato del MIT, allora

quindicenne, nel 1978 realizzò la suddivisione della posta in cartelle.

Il sistema di Email dava a tutti gli interessati di Marketing l’opportunità di dialogare

direttamente con i propri clienti, talvolta rispondendo alle loro curiosità e stabilendo rapporti di

valore duraturi, altre volte promuovendo un proprio prodotto o un evento. Con l’affermarsi

dell’utilizzo della posta elettronica da parte di tutti gli internauti del mondo, alle aziende bastò

ottenere direttamente o indirettamente i loro indirizzi di posta elettronica per poter massificare

vigorosamente le loro attività di promozione, tempestando di pubblicità le cartelle della posta

in arrivo in pieno stile Outbound. Con il saturarsi del mercato e la creazione di apposite cartelle

addette alla raccolta delle cosiddette Email spam, comprendere la metodologia di Inbound

Marketing fu di vitale importanza per le aziende che non volevano essere tagliate fuori dal

business o venir etichettate come estremamente invasive. I maggiori motori di ricerca, infatti,

basano le proprie black list anche sull’analisi delle attività di Email Marketing che i siti web

adoperano, valorizzando ancor di più l’importanza di indicizzare i contenuti delle proprie email

e di adottare la metodologia Inbound.

Grazie alla suddivisione dei propri clienti in cluster d’interesse, è possibile sfruttare una

comunicazione mirata e ottimizzare le proprie risorse, incentivando la fidelizzazione del cliente

che si sente personalmente coinvolto nell’attività aziendale ed evitando di infastidirlo con

contenuti inadatti alle sue esigenze, rischiando quindi di intaccare l’immagine del brand.

Secondo i dati forniti da internetlivestats.com, ogni giorno vengono spedite mediamente 250

miliardi di email che raggiungono i 3,7 miliardi di utenti presenti nel mondo (Internet Live

Stats). Con l’avvento del web 2.0 e 3.0, i contenuti stessi delle Email sono divenuti

estremamente più interessanti e sono oggetto di studio di moltissimi uffici universitari.

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Dietro ad un messaggio promozionale, si racchiude la stessa analisi che viene compiuta durante

la realizzazione di uno spot pubblicitario, nel quale non si cerca soltanto di catturare l’attenzione

di chi lo sta visualizzando, ma è importante che il messaggio resti impresso nella mente. Una

delle celebri citazioni di Giorgio Armani (Moncalero, 2014) recita: “l’eleganza non è farsi

notare, ma farsi ricordare”; allo stesso modo lo scopo di una pubblicità, per poter essere

efficace, è proprio quello di farsi ricordare, con tutti i pro e i contro che può portare la ricerca

sfrenata di questo obiettivo. Si sta parlando di pubblicità poiché l’Email Marketing per

eccellenza è quello a scopo promozionale, sebbene si siano affinate le metodologie e possa

sembrare molto più personale di quel che è realmente. Le classiche Email di auguri per il

compleanno o le offerte “dedicate soltanto a te” sono oggigiorno alla base dell’Email Marketing

e rappresentano uno standard per coloro che vogliono fare Web Marketing con successo. Questi

piccoli accorgimenti, frutto di innumerevoli ricerche, rientrano perfettamente nel quadro che

abbiamo disegnato riguardo al Web Marketing. Oggi questa attività è concentrata più che mai

a far arrivare i brand al cuore delle persone, stabilendo con loro rapporti di fiducia e fedeltà,

rendendo il cliente un tassello importante per il successo dell’intero business. Ecco quindi che

il “vecchio” canale Email ha confermato il suo ruolo fondamentale all’interno del web andando

ad inserirsi perfettamente nelle attività di Web Marketing più moderne e completando in toto

quello che risulta essere un progetto ambizioso ma di enorme valore per le aziende del XXI

secolo.

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Capitolo 2

Il Sito Web

In Figura 2.1, è rappresentato metaforicamente il web marketing come un albero, che fonda le

proprie radici in attività strategiche, di ricerca, di branding e di contenuto. Il ruolo fondamentale

dei siti web è ben rappresentato dal tronco dell’albero, senza il quale crollerebbe tutta l’attività

di web marketing “contenuta” nella chioma, dove trovano spazio quelle attività necessarie a

determinare il successo dei websites. Per tale ragione, si è deciso di approfondire il tema del

sito web, con l’obiettivo di evidenziare quali siano le linee guida in grado di assicurare una

crescita rigogliosa delle proprie attività di web marketing e di conseguenza dei profitti.

Attraverso le opere di alcuni autori, si cercherà di spiegare come il successo di un website non

sia frutto di una mera coincidenza di eventi, ma il risultato di un progetto ben definito ed

organizzato, in grado di raggiungere conseguentemente ROI elevati. Si procederà quindi alla

definizione di una procedura di analisi utile per cogliere le migliorie attuabili al sito, nonché

alla presentazione di alcuni tra gli indicatori più consultati oggigiorno dai web marketing

managers e dai programmatori informatici per la loro qualità di rappresentare verosimilmente

lo “stato di salute” del sito web (Morano 2017).

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Figura 2.1 – The Internet Marketing Tree

Fonte: clintonlord.wordpress.com

2.1 Costruire un sito web di successo

Dopo le premesse, dovrebbe essere chiaro che un sito efficace sta alla base di una strategia di

web marketing vincente e che, per ottenerlo, non si può lasciare all’improvvisazione o all’estro

di qualche programmatore informatico la fase di progettazione iniziale. Costruire un sito che

abbia le caratteristiche necessarie per fare breccia tra la moltitudine di competitors presenti nel

mercato di riferimento, interessa tutte le aziende intenzionate ad investire il proprio capitale

sulla piattaforma virtuale.

Iniziamo il nostro approfondimento ricollegandoci ad uno degli argomenti chiave del primo

capitolo, ovvero, l’Inbound Marketing. Come sostiene Zimmerman (2007, pag. 63), sono i

propri obiettivi strategici e i propri clienti a guidare il design di un sito web; mantenendo una

mentalità molto ricettiva, si riusciranno a cogliere i tratti più importanti che il sito dovrà

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incorporare per poter conquistare il cuore dei clienti. Ecco spiegato il motivo per cui

Zimmerman (2007, pag.63) sia particolarmente interessato a sottolineare che il sito debba

possedere il “look and feel” che i clienti stanno cercando. È con queste premesse che si deve

iniziare il processo di realizzazione di un sito web di successo, tenendo a mente quale sia il

metodo più corretto per fare web marketing e quali gli obiettivi da perseguire, consci del fatto

che non sempre verranno decisi internamente, ma che spesso saranno influenzati da fattori

esterni.

2.1.1 Scrivere il sito in ottica SEO

Il primo passo che si deve compiere lungo il percorso che porta alla realizzazione di un sito

web è una riflessione: è necessario, infatti, capire perché si vuole approdare sulla piattaforma

online attraverso un sito web e come lo si intende fare. È fondamentale aver ben chiari questi

due punti poiché il passo immediatamente successivo sarà quello di scrivere il codice

contenente le informazioni necessarie a definire la struttura del website. È importante far sapere

ai browser quali siano le caratteristiche possedute dal sito, in modo da poterle rendere visibili a

tutti gli utenti; per assolvere a questo compito vengono in aiuto i lavori dei programmatori

informatici e degli specialisti in grafica, dato che i programmatori informatici tradurranno in

codice le disposizioni che li verranno fornite dagli esperti grafici. Onde evitare tecnicismi poco

interessanti ai fini del nostro approfondimento, ci soffermeremo in questa sede solamente sul

linguaggio HTML, lo strumento più utilizzato al mondo per la progettazione di pagine web.

Sarà interessante comprendere cosa siano le attività SEO e come esse si leghino intrinsecamente

ai documenti “.html”, motivo del nostro excursus teorico.

All’interno dei documenti in HyperText Markup Language (HTML), vengono trascritte tutte le

informazioni inerenti i contenuti del sito web, ognuna ben organizzata e indicizzata. Questo

documento si compone di due parti, come spiega Silvia Cappelli (2001): head e body. Per

rappresentare nel modo più chiaro possibile come sia fatto un documento in HTML e cosa

identifichino i termini utilizzati da Cappelli, si è deciso di far testare con mano l’esperienza di

consultazione di un documento .html, poiché si ritiene che possa agevolare il procedimento.

Premendo i tasti Ctrl + U mentre si sta navigando con Google Chrome o Mozilla Firefox3, è

possibile visualizzare il documento che identifica la struttura del sito che si sta esplorando.

Trovate un esempio in Figura 2.2.

3 Per tutte le alternative si veda Matteuzzi, 2013. Guida SEO (base) all’ottimizzazione del codice HTML

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Figura 2.2: documento .html di Treccani.it

Fonte: view-source:http://www.treccani.it/

Tra le primissime voci che visualizziamo, è facile individuare la scritta <head>, sotto la quale

sono elencati numerosi meta-tag; i meta-tag sono dei raggruppamenti sintetici delle

informazioni presenti nel sito e sono distinguibili in base alla funzione esercitata (esistono ad

esempio meta-tag “description” e meta-tag “keywords”). Più in generale, i tag presenti sotto la

sezione <body>, che raggruppa la trascrizione di tutti gli altri contenuti del sito, comunicano al

browser indicazioni fondamentali circa la rappresentazione visiva di tutte le informazioni del

sito. Il team di computerhope.com (Anon., 2017), utilizza una metafora molto efficace per

spiegare a cosa serva l’HTML e come si relazioni con il Cascading Style Sheets, dicendo che

“si può pensare al HTML come alle ossa (la struttura) della pagina web e al CSS come alla sua

pelle (quindi l’aspetto esteriore)”. Un documento CSS è un documento contenente alcune

informazioni in grado di alterare il layout e l’aspetto delle pagine web, un ottimo strumento in

mano agli sviluppatori informatici che vogliano cimentarsi nella progettazione di pagine

interattive e dinamiche. Facendo un esempio molto banale, possiamo abbinare al codice 001

presente nel doc CSS l’indicazione di rendere nero il testo collegato; questa informazione verrà

trascritta all’interno del doc HTML che permetterà la corretta visualizzazione da parte del

browser e renderà, per l’appunto, nero il testo interessato.

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La metodologia appena esplorata per la creazione di un sito web, tuttavia, non è l’unica

adoperabile da parte di un utente qualsiasi; come sottolinea Aranzulla sul suo blog, esiste la

possibilità di creare web pages senza conoscere l’HTML o il CSS, appoggiandosi ad alcuni siti

appositamente progettati per guidare l’utente nella creazione del sito. L’autore cita Weebly,

Yola, Xoom, IM Creator e Jimido tra i migliori portali che si possano trovare sul www in grado

di guidare gratuitamente il proprio cliente lungo tutta la fase di programmazione del sito, fino

a consegnare nelle sue mani il prodotto desiderato. Restando tuttavia fedeli al metodo

tradizionale, che meglio si adatta alle esigenze delle grandi aziende piuttosto che dei piccoli

imprenditori, è importante ribadire quanto sia importante conoscere il binomio HTML + CSS

per la buona riuscita della creazione di un sito web, come dovrebbe essere passato da questo

breve excursus sulle caratteristiche di tali strumenti. Cercheremo ora di capire cosa voglia dire

fare attività SEO e come possano queste attività collegarsi alla fase di scrittura del sito.

Innanzitutto, è bene specificare che la scrittura del sito deve rispettare i canoni dettati dai motori

di ricerca più noti, andando così ad indicizzare il proprio contenuto in modo da poter essere

letto e classificato dai bot4 di Google, per esempio, e conseguentemente posizionato tra i

risultati di ricerca. Il risultato di questa operazione può essere ottimizzato da alcune attività di

Search Engine Optimization, utili per mettere in evidenzia un determinato dominio5 tra la scala

di risultati che il browser è in grado di reperire attraverso query6 di ricerca. Grazie

all’introduzione di Hummingbird, fare una buona attività di indicizzazione e SEO può

notevolmente migliorare le performance del sito web, non solo aumentando il traffico organico

generato dal sito, ma anche diminuendo il bounce rate, cioè la percentuale fisiologica di

visitatori che entrano nel sito e lo abbandonano immediatamente. A scanso di equivoci,

Hummingbird è un algoritmo di ricerca introdotto da Google nel 2013, capace di comprendere

“il significato delle parole chiave, le frasi di ricerca e la qualità dei testi inseriti all’interno di

una pagina web” (Gallon, 2016). Partendo da questi presupposti e dai consigli di Di Rocco

(2016) e Matteuzzi (2013), possiamo stilare una classifica sommaria riguardo alle attività

distintive della strategia SEO. In particolare, è importante:

1. Indicizzare i websites secondo le regole poste dai motori di ricerca, a seconda delle

caratteristiche dei loro algoritmi;

2. Valorizzare la qualità dei contenuti dei testi, affinché siano unici ed originali;

4 Sistemi automatici di lettura dei documenti HTML che forniscono feedback al motore di ricerca in base alla

posizione in cui hanno rilevato le keywords ricercate. 5 I domini web si trovano alla base di internet perché attraverso il DNS, o Domain Name System, permettono di

associare un nome ad uno specifico spazio web, con la formula www.nome.it/com/... 6 In linguaggio informatico, significa interrogare un database per estrapolarne dati.

http://www.wordreference.com/enit/query

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3. Mantenere aggiornati i contenuti esistenti;

4. Pubblicare con regolarità nuovi contenuti;

5. Rivendicare la paternità dei contenuti;

6. Prestare attenzione alla lunghezza dei testi, che devono essere di circa 1000-1500

parole;

7. Includere più pagine di entrata al sito, restando presenti tramite collegamenti ipertestuali

su social media e altri siti web;

8. Fare guest blogging, ovvero, pubblicare sul proprio sito contenuti di qualità provenienti

da altri siti;

9. Utilizzare keywords che permettano un posizionamento di favore tra i primissimi

risultati della ricerca, specialmente nei casi imprescindibili di “long tails”, ovvero,

ricerche a più parole e quindi tendenzialmente specifiche;

10. Rendere il sito human-friendly, aumentandone i livelli di Usability;

11. Rendere il sito mobile-friendly, considerando l’espansione che stanno avendo i

dispositivi mobile nel mondo;

12. Ottimizzare il tempo di caricamento delle pagine web;

13. Mantenere il controllo sulle pubblicità che appariranno nel website.

È bene soffermarsi brevemente sull’attività elencata al punto 7, perché costituisce parte di una

strategia ben più ampia, che vorremmo introdurre: la SEO off-page. L’obiettivo di questa

procedura è quello di “creare una sorta di rete attorno al proprio sito, collegandolo a canali

esterni come social network, blog, forum e portali. Lo scopo è che questi si relazionino con il

[…] sito accrescendone la buona reputazione per i motori di ricerca e aumentandone

autorevolezza e popolarità” (Anon, 2015).

Dopo aver visto le tecniche SEO consigliate da Di Rocco e Matteuzzi, possiamo affermare che

il lavoro più consistente della programmazione di attività SEO sta nello studiare il

funzionamento degli algoritmi che i motori di ricerca adoperano per svolgere la loro mansione.

Non è possibile dire che basti concentrarsi sul funzionamento di Hummingbird, tralasciando gli

altri motori di ricerca poiché tutto dipenderà, come sempre, dalle caratteristiche del business

che si sta perseguendo. Se lo scopo del web marketer è quello di espandere il proprio business

in Russia, ad esempio, sarà importante che sappia quali sono le caratteristiche degli algoritmi

di Yandex, il più grande motore di ricerca del paese (Arosio, 2017).

Per concludere l’argomento Search Engine Marketing, introdotto con la descrizione delle

attività SEO, si ritiene possa essere utile presentare brevemente anche il secondo ramo del SEM:

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il posizionamento sponsorizzato, o PPC. L’acronimo significa Pay Per Click e identifica un

metodo di acquisizione clienti, basato sui cosiddetti Annunci; si tratta di link a pagamento che

compaiono in posizioni strategiche tra i risultati di ricerca. Google ha messo a disposizione dei

propri clienti la piattaforma AdWords, che richiede un budget iniziale di almeno 10-20€ al

giorno7, ma è in grado di aumentare notevolmente il flusso di visitatori al sito. Gli addetti alla

promozione del sito web, avranno la facoltà di acquistare determinate keywords, alle quali

verranno associate landing page specifiche, inerenti agli interessi dell’utente. AdWords è uno

strumento in grado di agevolare qualsiasi tipologia di business che si possa permettere

l’investimento richiesto; brand rinomati, o addirittura leader di settore, non si esulano

dall’utilizzo dello strumento firmato Google, per due motivi che andremo ad elencare.

Prendiamo ad esempio il caso Gucci; se un utente qualsiasi digita sulla barra di ricerca la parola

“Gucci”, si presume che sappia cosa sta cercando o che almeno abbia idea di quali possano

essere i risultati della sua ricerca. Eppure il primo risultato che Google offre è un Annuncio del

sito ufficiale gucci.com.

Figura 2.3: Il risultato della ricerca “gucci”

Fonte: google.it

I motivi per cui Gucci non permette a nessun altro di posizionarsi al di sopra del suo annuncio

sono: in primis, quello di aumentare il traffico di visitatori che visualizzino il sito e conoscano

il brand; secondo, assicurarsi che l’immagine aziendale non venga intaccata da altri siti che

potrebbero posizionarsi nelle vicinanze durante la ricerca. Il rischio che si possa diffamare

l’immagine aziendale, o che qualche competitors possa attrarre a sé i clienti delle società rivali,

risultando dai primi risultati di keywords “rubate”, sicuramente vale l’investimento speso. Le

funzionalità di AdWords sono, ovviamente, più complesse di quelle presentate finora, così come

le sue potenzialità possono essere sfruttate in molti altri modi; tuttavia, si ritiene che possa

essere sufficiente per completare il percorso intrapreso all’inizio del paragrafo, quando si è

deciso di approfondire il processo di scrittura del sito web, mantenendo un occhio di riguardo

7 Valori stimati direttamente da Google, sulla sua guida online

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per le attività SEO.

Nei prossimi paragrafi si abbandonerà l’aspetto tecnico della creazione di un sito web, per

lasciare spazio alla teorizzazione di piani d’azione influenti ai fini del successo del sito.

2.1.2 Dai modelli di Marketing alla progettazione di un Website

Nel capitolo 1, viene più volte sottolineato come il Web Marketing rappresenti un ramo del

Marketing e che, di conseguenza, abbia assimilato alcuni modelli storici della disciplina,

adattandoli al contesto virtuale. In particolare, il già citato Zimmerman (2007, pag. 64)

evidenzia come le strategie di Direct Marketing vengano frequentemente adoperate per

veicolare le scelte dei consumatori online, facendo leva sulle loro esigenze. Il modello teorico

conosciuto come AIDA è in assoluto il primo esempio che l’autore adopera per poter dimostrare

l’efficacia di questi modelli durante la costruzione di un sito web, suggerendo intrinsecamente

di restare fedeli a questa traccia ogniqualvolta fosse necessario effettuare un’implementazione

al sito. Il nome del modello altro non è che un acronimo delle parole Attention, Interest, Desire

e Action; Zimmermann (2007, pag. 64) ci aiuta a comprendere il significato di questi termini

adattati alle necessità web, elencando una serie di accortezze e funzioni necessarie per

ottimizzare il risultato della strategia.

A- Attenzione: catturare l’attenzione degli utenti che visitano il sito web si trova

sicuramente alla base della ragion d’essere del sito, ma viene spesso tralasciata per

mancanza di competenze. Per guadagnarsi la sosta di un utente abituato a fare zapping

tra i milioni8 di siti reperibili in Rete, è necessario innanzitutto attirarlo con delle

grafiche accondiscendenti per i suoi gusti, in linea con le mode del momento.

Zimmerman parla addirittura di un lasco di soli quattro secondi nei quali è possibile

convincere il visitatore del valore del sito su cui è approdato.

I- Interesse: dopo aver catturato l’attenzione dell’utente, è fondamentale stimolare e

soddisfare i suoi interessi attraverso una navigabilità semplice e una costruzione del sito

ergonomica rispetto alle sue abitudini, frutto di un design accurato. Ultimo ma non meno

importante, bisogna ricordare che la qualità dei contenuti deve essere di maggior livello

possibile, poiché l’utente, rispetto ad un negozio brick and mortar, ha la possibilità di

abbandonare la pagina senza sentirsi osservato o giudicato da nessuno, con un semplice

click.

8 Sono poco più di 1,2 miliardi i siti web presenti sulla Rete al momento della stesura del testo secondo

internetlivestats.com [Data di accesso: 18/10/2017]

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D- Desiderio: Creare desiderio e senso di urgenza è uno dei cavalli di battaglia del

Marketing tradizionale e non poteva che ben adeguarsi ai canali comunicativi del web.

In una realtà così mutevole e fluida, viene quasi spontaneo adattare le proprie offerte

all’urgenza di essere sempre in movimento, sempre innovativi e “al passo” per poter

sovrastare la concorrenza e catturare l’attenzione. Se lo scopo del website è vendere, sarà

di vitale importanza, quindi, incentivare l’acquisto di un visitatore con alcuni reminder

sulle sue preferenze o con una comunicazione diretta che lo agevoli a concludere

l’acquisto. Nell’era del web 3.0, adattare il sito in tempo reale in base alla navigazione

dell’utente potrebbe di molto migliorare i tassi di vendita, come dimostra il caso

Amazon. Mostrare una buona offerta ad un prezzo stracciato, inoltre, non ha gli stessi

riscontri che è possibile ottenere presentando la stessa offerta come “imperdibile”: far

sentire il consumatore unico, con il potere di concludere un affare che potrebbe non

ricapitare mai, è una delle strategie più in voga nel mondo della rete e ne sono un chiaro

esempio le compagnie di voli low cost.

A- Azione: Dopo aver attratto gli utenti non resta che finalizzare lo scopo per cui sono

approdati sulla pagina web e non c’è metodo migliore della chiarezza. Un sito che fin da

subito metta in evidenza come si arrivi alla linea del traguardo nel modo più facile e

veloce, possibilmente con un solo bottone9, è sicuramente un sito che a fine esercizio

porterà a casa un ROI più elevato.

Il secondo modello storico che Zimmerman decide di citare (2007, pag.93), è il noto modello

delle 4 P, risalente al secolo scorso e pietra miliare del marketing moderno (Kotler, 2015, pag.

76). Si è deciso di soffermarsi brevemente su questo modello, poiché ha sempre ricoperto un

ruolo chiave nel mondo del Marketing, quindi si riteneva potesse essere molto interessante

vederne l’adattabilità al contesto online.

Le 4 P che compongono il Marketing Mix sono: Product, Price, Placement e Promotion. Kotler

(2015, pag.77) sottolinea che l’impresa debba prima compiere delle analisi di mercato se poi

desidera procedere efficacemente alla definizione del suo Marketing Mix; allo stesso modo, la

programmazione dei piani strategici di web marketing, circa i punti fondamentali rappresentati

dalle 4 P, dovrà seguire lo stesso iter compiuto dalle aziende offline. La definizione del proprio

Marketing Mix, se fatta nel modo corretto, potrebbe portare a grossissimi vantaggi in termini

di guadagno, poiché consiste in una serie di strumenti che influiscono sulle relazioni intrattenute

tra il mercato e l’azienda; un vantaggio che non si può di certo perdere nel momento in cui si

9 Si veda il caso Amazon “Compra ora con 1-Click”

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sposta il proprio business online. A tal proposito, bisogna specificare che non tutte le aziende

presenti online, ovviamente, sono approdate trasportando con sé un business già consolidato;

molte sono nate online ed altre non ci sono mai entrate. Zimmerman (2007, pag.91) parla di

due tipologie di store online: pure-play e brick-and-clicks. La prima rappresenta un’attività nata

esclusivamente per vendere online e slegata da qualsiasi forma commerciale brick-and-mortar,

come ASOS o Zalando. La seconda, invece, interessa tutti gli store che sono nati per supportare

le attività offline, con lo scopo di ampliare il proprio portafoglio clienti, come Foot Locker.

Partendo allora dalla definizione del Prodotto, possiamo dire che, all’interno del modello,

questa variabile porta con sé una concezione ben più ampia del singolo articolo a cui siamo

abituati a pensare. Kotler parla di Prodotto come della “combinazione di beni e servizi offerti

dall’impresa al mercato obiettivo” (2015, pag. 77). Assieme alle sue caratteristiche, al design,

alla qualità e ad altri fattori come la confezione, la variabile Prodotto è oggetto di

numerosissime strategie di Marketing e Web Marketing, le quali possono combaciare oppure

no. Una delle opportunità di cui godono soltanto gli store brick-and-clicks, è la facoltà di

scegliere se tenere l’intero catalogo sia online che offline oppure fornire prodotti differenti nei

due canali di vendita. La decisione che investe questa strategia basa le sue radici sulla

profilazione dei consumatori che sono soliti frequentare i due canali di vendita e sulla necessità

di incrementare il volume d’affari di uno dei due canali. L’esempio Foot Locker, sopracitato,

offre alcuni spunti di riflessione, poiché adopera questa strategia di vendita differenziata. In tal

modo, l’azienda non solo aumenta il ROI del sito web offrendo degli articoli “only online”,

come recita il tag nel sito, ma vincola la clientela a visualizzare, almeno parzialmente, anche il

restante catalogo prima di poter concludere l’acquisto, aumentando così l’opportunità di

spingere i consumatori appassionati di sport ad aggiungere qualche altro prodotto di loro

interesse nel carrello virtuale. Lo stesso varrebbe nel caso in cui sponsorizzassero online la

vendita di un articolo disponibile solamente in negozio, andando ad incentivare i clienti a

visitare i loro store brick-and-mortar.

Il secondo componente del modello, per la sua caratteristica di essere spesso osservato con

maggior riguardo rispetto agli altri tre, è sicuramente il più ostico: il Prezzo (Kotler, 2015).

Oltre alle classiche strategie elencate da Kotler, quali sconti, agevolazioni e tempi di

pagamento, il Prezzo online gode, come il Prodotto, della possibilità di influire con nuove

metodologie, verosimilmente inattuabili in un contesto brick-and-mortar. Ancora una volta, ad

influire su queste iniziative c’è la variabile store: nei casi di store pure-play, nulla esclude che

ci si possa muovere in maniera perfettamente analoga a quella dei negozi offline, mentre nei

casi brick-and-clicks nasce una nuova opzione, ovvero, se ci si trova all’interno di quest’ultima

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tipologia, applicare due prezzi differenti per lo stesso prodotto potrebbe essere una strategia

quotidianamente sfruttata durante i processi di vendita, specialmente nei casi in cui i web

marketing managers siano consapevoli di interagire con due tipologie di clienti molto dissimili

tra loro e difficilmente intercambiabili. Il cliente che acquista online, infatti, non è detto che

possa raggiungere fisicamente un punto vendita, o per motivi geografici o per motivi fisiologici;

se il venditore è in grado di estrapolare questo dato, magari conoscendo gli indirizzi a cui il

compratore è solito farsi spedire la merce acquistata, sarà poi in grado di applicare un prezzo

maggiorato attraverso un costo di spedizione più alto. La maggioranza dei corrieri addetti ai

trasporti accorda con le ditte un costo fisso per le spedizioni nazionali e un altro per quelle

internazionali; al compratore non è dato sapere se questi accordi siano stati presi o meno, così

pagherà un costo per la spesa di spedizione che potrebbe contenere un markup consistente

rispetto al prezzo originario. Un altro caso potrebbe essere quello di visualizzare un importo

che vari assieme all’inserimento degli indirizzi di consegna. A questo punto, la prima

considerazione che sarà portato a fare il cliente è quella di dover sostenere un costo più elevato

a causa della sua lontananza rispetto ai magazzini di stoccaggio e smistamento della merce,

conclusione non sempre veritiera. Sebbene oggigiorno lo standard stia diventando quello di far

pagare un prezzo fisso per le spese di spedizione o addirittura di non farlo pagare per tutti coloro

che abbiano sottoscritto un abbonamento, come il caso Amazon Prime, esistono dei bot che

automatizzano la discriminazione di prezzo online, indagando il proprio database sulla

posizione geografica dell’acquirente. Questa strategia sarebbe sicuramente di difficile

applicazione all’interno dei negozi brick-and-mortar, così come è oggettivamente impossibile

quella inerente il Prodotto. Le regole concernenti le ultime due P del modello, invece, sono

pressoché analoghe sia per le attività offline, sia per quelle online.

Conclusosi questo excursus sull’adattabilità dei modelli, nati nella realtà offline, ad un mondo

con dinamiche molto differenti, si procederà ora ad analizzare quali siano gli strumenti teorici

concernenti specificatamente l’universo online e che ne caratterizzano le “regole del gioco”. In

una realtà in cui la raccolta dati è semplificata rispetto al passato, sarà di maggiore interesse

abbandonare il concetto di modello d’azione per accogliere il concetto di indicatore di

performance, ossia un dato che riflette l’andamento di un qualsiasi business online e influenza

il piano d’azione dei web marketing managers. In particolar modo, ci concentreremo su quelli

che vengono denominati KPI, Key Performance Indicators, ovvero tutti quegli indicatori che

appunto formano la base su cui costruire considerazioni e riflessioni per la stesura di una

strategia di Web Marketing all’altezza con le aspettative degli investitori e in grado di far

emergere il proprio business tra i numerosi competitors.

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2.1.3 Tasso di conversione, traffico e ordine medio

Il processo di analisi, che periodicamente investe il tempo dei web marketing managers, si

articola sulla consultazione di alcuni dati in grado di delineare i punti di forza e di debolezza di

un sito web. Tra gli indicatori di performance più consultati per l’agevolazione dei processi sia

di progettazione, sia di analisi, troviamo il tasso di conversione, ovvero, la percentuale di

visitatori che hanno effettivamente raggiunto l’obiettivo prefissato dalla campagna (Fassi,

2017). I dati reperibili sul web riguardo ai tassi di conversione parlano di circa un 3% per le

attività di vendita al dettaglio, anche se la percentuale si abbassa al di sotto del 1% nel caso del

Fashion Retail.

Questi valori non dovrebbero sorprendere il lettore più esperto, il quale comprende quale sia la

moltitudine di web surfers che navigano quotidianamente, rimbalzando da un sito web all’altro:

questo fenomeno comporta un maggior numero di visitatori di quanti non siano effettivamente

interessati al sito e pregiudica ovviamente la statistica. Tuttavia, è utile apprendere come il

lavoro che viene fatto a monte, con i vari modelli studiati precedentemente, non sia

effettivamente un lavoro inutile perché produce un risultato “scarno”, se così si può dire, poiché

interagendo con una tal mole di visitatori giornalieri, riuscire ad ottenere una variazione di 0.1%

può significare cambiare sensibilmente le prestazioni dell’intero business, producendo un

effetto eco nel fatturato.

Figura 2.4: Chart by Industry

Fonte: marketingexperiments.com

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Bryan Eisenberg (2013) riporta una definizione molto lungimirante del tasso di conversione,

prendendo ad esempio l’elevatissimo tasso raggiunto da Jeff Bezos: “Il tasso di conversione è

una misura della vostra abilità di persuadere i visitatori ad agire come voi volete che agiscano.

È il riflesso della vostra efficienza e della soddisfazione dei clienti. Per raggiungere i vostri

scopi, i visitatori devono prima raggiungere i loro”. Tale definizione scorpora la soggettività

dalla statistica e spinge i web marketing managers a guardare oltre il singolo dato, spronandoli

a non porsi limiti per quel che concerne il tasso di conversione. È chiaro che questo indicatore

non può individualmente fornire tutte le stime necessarie per lo sviluppo di un sito web, poiché

rappresenta un mero dato statistico, che potrebbe per esempio raggiungere il 50% nel caso in

cui nel sito fossero state aperte 4 sole sessione ma venduti ben 2 prodotti, magari allo stesso

cliente.

Ecco perché diventa importante affiancare questo indicatore ad altri due valori di interesse quali

il traffico e l’ordine medio (Fassi, 2017), in modo da disegnare un quadro più completo della

situazione del sito o del mercato di riferimento. Affinché un sito sia efficace, è necessario

innanzitutto generale una mole di traffico, organico e non, ragionevolmente elevata.

Zimmerman dice che solamente il 5% delle persone che visualizzano un URL finiscono per

cliccarci sopra (2007, pag. 88), quindi sarà necessario generare una mole 500-1000 volte

maggiore per ogni conversione che si ha intenzione di finalizzare, poiché di quel misero 5%,

meno di un cliente su dieci/venti/cento raggiungerà l’obiettivo proposto dalla campagna.

Per concludere, Browne (2017) ci ricorda che il fatturato è in assoluto l’indicatore di maggiore

rilevanza, non il tasso di conversione, il quale rappresenta sicuramente una stima dell’efficienza

dei propri investimenti, ma che può anche fuorviare l’attenzione dal vero successo del sito. Un

buon indicatore collegato al fatturato è il sopracitato ordine medio, ovvero una stima degli

ordini effettuati periodicamente nel sito (presupponendo che si stia parlando di un sito e-

commerce, ma nulla esclude che ci siano altri parametri simili all’interno di una strategia di

Web Marketing che possano essere consultati con le stesse finalità). Tale parametro è facilmente

assoggettato a valori obiettivo, data la facilità con cui è possibile calcolarlo, ma anche il suo

risultato viene fortemente influenzato dagli altri due KPI di cui si è parlato. Non a caso, infatti,

questi tre indicatori sono stati discussi congiuntamente, proprio per poterli presentare

esaustivamente e poterne sottolineare l’interdipendenza che c’è tra loro.

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2.1.4 I KPI di maggior rilievo

Come suggerisce il nome, questi parametri vengono periodicamente consultati per verificare

l’operatività del dominio10, fornendo delle buone basi su cui programmare il piano strategico

di web marketing. Nonostante esista una ricorrenza tra gli elenchi dei KPI consigliati per il

miglioramento dei websites, non esiste una lista predefinita, valida per tutte le tipologie di

business, poiché ognuna di esse possiede esigenze differenti. L’aspetto interessante, tuttavia, è

proprio quello di soffermarsi su quelli più ricorrenti, perché costituiscono degli strumenti

essenziali per il processo di analisi e miglioramento. L’obiettivo di questo paragrafo sarà quindi

presentare qui KPI in grado di svolgere efficacemente il proprio lavoro generalmente in ogni

sito web, se consultati dalle persone giuste.

Iniziamo dando una definizione un po’ più dettagliata del termine, rispetto a quella che si era

detta in precedenza; in particolar modo si è deciso di sfruttare lo schema presentato da Acerbi

su merlinwizard.com (2016) con le caratteristiche che ogni indicatore deve possedere per poter

essere dichiarato “key”. Esso deve essere:

Misurabile;

Specifico;

Accessibile;

Rilevante;

Pianificato, ovvero, consultabile con cadenza periodica.

Non è detto che tale schema debba essere interpretato in maniera dogmatica, ma fornisce

sicuramente una chiara idea di quel che rappresenta un KPI; non un semplice numero, ma un

dato che racconta una situazione veritiera e che possa essere letto ed interpretato dai web

marketers più esperti. Ora che è stata presentata la funzione dei Key Performance Indicators,

si procederà con la descrizione di quelli che vengono maggiormente utilizzati lungo il processo

di analisi svolto regolarmente dagli addetti al sito web.

Per cominciare, Bizzarri (2017) ci ricorda che il primo passo per poter impostare un’attività di

analisi efficace è quello di registrarsi su Google Analytics, uno strumento che Google fornisce

a tutti i proprietari dei domini presenti sul web, interessati a monitorare costantemente le

performance. Grazie a questo strumento, si ha la possibilità di ritrovare tutti i maggiori

indicatori all’interno della stessa pagina, agevolando di conseguenza l’acquisizione di

statistiche rilevanti. Partendo dai Costi totali delle Campagne Marketing e dal numero di Clienti

Acquisiti, Bizzari ci spiega che con una semplice divisione è possibile ottenere il Costo di

10 I domini web si trovano alla base di internet perché attraverso il DNS, o Domain Name System, permettono di

associare un nome ad uno specifico spazio web, con la formula www.nome.it/com/...

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Acquisizione di un Cliente, a suo parere uno dei quattro KPI che costituiscono il punto di

partenza di partenza per il processo di analisi, grazie alla sua dote di mostrare l’efficienza della

campagna di marketing, oltre che del sito web.

Del tasso di conversione se ne è già abbondantemente parlato assieme all’ordine medio;

quest’ultimo, in particolare, viene utilizzato dall’autore come dividendo per ottenere lo

scontrino medio, fondamentale non solo per comprendere la portata del business, ma

specialmente per profilare la propria clientela. Con l’aiuto di Analytics, infatti, è possibile

scorporare dal dato una segmentazione di clienti utile per le attività di Email marketing o Direct

marketing, collegate alle ottimizzazioni di performance.

Per concludere, Bizzari si sofferma sul tasso di abbandono del carrello, un dato estremamente

rilevante per le attività di e-commerce poiché sprona i web marketers a porsi i giusti

interrogativi sulle motivazioni. In base alla rilevanza della statistica, sarà importante cercare di

capire se il problema sorge a causa del prezzo dei prodotti o se è conseguenza di un processo

di checkout troppo complicato. Potrebbe anche sorgere il dubbio che i tempi previsti per la

spedizione non siano in linea con i competitors, o che i costi della stessa siano troppo elevati.

Insomma, possiamo considerarlo a tutti gli effetti un Key Performance Indicator poiché, come

si è visto, stimola oltremodo il procedimento analitico, senza dimenticare che può porre delle

buone basi su cui impostare eventuali campagne di Email Marketing atte al cosiddetto

“recupero del carrello”.

Resta in linea con queste indicazioni anche Jarvis Macchi, penna di intelligentluxury.it, il quale

aggiunge alcune precisazioni riguardo ai parametri già discussi. Egli puntualizza l’importanza

di capire quante siano le visite uniche effettuate nel sito, ma soprattutto da quale piattaforma

provengano i visitatori, quindi quali domini abbiano fatto da referrer11 per il sito, quali siano

le parole chiave utilizzate per trovarlo e quale sia il livello di engagement.

L’engagement è misurato dal numero di pagine che ogni web surfer visualizza, in media, e dal

tempo che trascorre all’interno del sito; grazie a questi due parametri è possibile capire se i

contenuti del sito web sono interessanti o meno, quali sono le pagine di maggior successo e se

i web surfers, che visitano il sito, sono entrati in contatto per interesse personale o casualmente,

basandosi sul dato del tempo medio trascorso su ogni pagina. Facciamo un esempio: se il tempo

medio che rileviamo è di poco superiore al minuto, questo potrebbe significare che il sito web

è poco user-friendly o che i contenuti sono poco interessanti, oppure che viene visualizzato per

sbaglio, magari a causa di un’errata collocazione nei motori di ricerca; se gli utenti incappano

11 Con il termine "referrer" si intende l’URL della pagina contenente il link su cui il visitatore ha cliccato per

raggiungere il sito (ShinyStat)

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spesso nel URL che stiamo analizzando ma non ne sono interessati, significa che il sito si sta

rivolgendo ad un mercato sbagliato rispetto al business e all’obiettivo che persegue.

Per collegare la nostra analisi al prossimo KPI, è bene riprendere brevemente l’argomento

AdWords ribadendone soltanto lo scopo finale: agevolare i web marketers nell’obiettivo di

rendere il website visibile all’interno del proprio mercato di riferimento. Se utilizzati

correttamente, Google AdWords, o di Bing Ads12 dovrebbero aumentare il livello di

engagement oltre che il numero stesso di visitatori, poiché attirano all’interno del sito soltanto

coloro che hanno ricercato contenuti simili a quelli offerti. Data la sua natura a pagamento,

AdWords fa parte delle variabili che determinano il valore del costo medio per visita, un

indicatore che nasce dall’incrocio tra il valore degli investimenti effettuato in AdWords e nelle

campagne di marketing, con il valore di traffico generato e il numero di click che sono stati

necessari per portare, in media, un cliente all’interno del sito.

Monitorare il traffico da referrer e le parole chiave, agevola significativamente il lavoro dei web

marketing managers, perché li aiuta a decidere dove investire maggiormente il denaro a loro

disposizione tracciando le vie più efficaci con cui acquisire nuovi clienti.

I KPI che abbiamo presentato sono di vitale importanza ai fini di una campagna marketing di

successo, oltre che ad un sito di successo, perché aiutano a tenere traccia dell’efficienza e

dell’efficacia degli investimenti compiuti, oltre che a fornire nuovi spunti per migliorarsi. Tali

indicatori sono gli stessi che si andranno a visualizzare dopo una modifica di tipo grafico o di

contenuti, poiché appunto rispecchiano lo “stato di salute” del sito (Morano, 2017).

Modificare il layout o la disposizione dei contenuti, siano essi prodotti o meno, all’interno del

sito può generare notevoli cambiamenti, come per i negozi fisici. Tali cambiamenti sono

sicuramente visibili con il modificarsi degli indicatori appena citati, ma soprattutto diventano

facilmente individuabili nelle variazioni compiute dal numero di visite ricevute dal singolo

contenuto. È importante tenere sotto controllo il flusso di visualizzazioni che ogni contenuto

riceve, perché così facendo si è in grado di capire quali siano le mode di oggi, su cosa l’azienda

debba puntare maggiormente e quale sia il profilo del cliente medio, tutte informazioni

strategiche anche per la realizzazione di piani di Email Marketing e Social Marketing che

possano ottenere dei ROI elevati.

I KPI che sono stati presentati in questo paragrafo non rappresentano sicuramente l’elenco

completo di tutti gli indicatori più utili o in qualsiasi modo migliori che si possano sfruttare;

come è stato detto all’inizio del paragrafo, lo scopo era quello di dare un’idea su cosa fossero i

KPI, come venissero utilizzati e quali fossero quelli generalmente presenti in ogni attività di

12 Il corrispondente di Google AdWords, firmato da Bing.

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analisi delle prestazioni. Sono stati tralasciati molti altri che frequentemente compaiono nelle

liste dei più utilizzati, quali il Click Through Rate, il Tasso di riordino, il rispetto delle

caratteristiche di spedizione garantite e il Customer Lifetime Value. Questi indicatori

rientrano tranquillamente all’interno del nostro quadro analitico e grazie alle conoscenze

acquisite lungo il paragrafo è facile capire il significato di ognuno di loro. È bene fermarsi un

attimo sul Click Through Rate poiché potrebbe risultare ambiguo; esso identifica l’efficacia del

posizionamento e della struttura di un annuncio calcolando il rapporto tra il numero di click

fatti sull’annuncio e il numero di impressioni13 dell’annuncio.

Ora che si è concluso il secondo capitolo, di impronta prettamente teorica, si passerà ad uno

studio pragmatico degli strumenti descritti, in cui si analizzerà come vengano sfruttati dai web

marketing managers che lavorano nel mondo del Fashion Retail Online. Sarà interessante

verificare quali strategie stiano seguendo i leader di settore, cercando le analogie e le differenze

che caratterizzano i loro siti web, in modo da delineare un possibile standard da eguagliare per

tutti coloro intenzionati a competere con i rivenditori più affermati al mondo.

13 In Google AdWords “viene conteggiata un'impressione ogni volta che l'annuncio viene pubblicato su una

pagina dei risultati di ricerca o un sito della Rete Google”, fonte https://support.google.com/adwords/answer/

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Capitolo 3

Il mondo del Fashion Retail Online

3.1 I protagonisti e le dinamiche del settore

Per cominciare l’analisi di questo settore, è innanzitutto fondamentale capire chi siano i

protagonisti del mercato e quali relazioni susseguano tra loro. La piattaforma digitale SEMrush,

conosciuta per l’affidabilità nell’analizzare i dati di oltre 130 milioni di domini (Laganà, 2017),

ha stilato la classifica dei 25 migliori siti Fashion al mondo, in base al traffico generato

(Zaczkiewicz, 2017).

1. asos.com 14. victoriassecret.com

2. hm.com 15. trendydol.com

3. macys.com 16. dafiti.com.br

4. zara.com 17. boohoo.com

5. wildberries.ru 18. zalando.de

6. forever21.com 19. mango.com

7. jabong.com 20. markafoni.com

8. gap.com 21. bershka.com

9. urbanoutfitters.com 22. next.co.uk

10. zappos.com 23. laredoute.fr

11. myntra.com 24. zozo.jp

12. uniqlo.com 25. vip.com

13. lamoda.ru

All’interno di questa classifica, è facile notare la compresenza di siti monomarca e department

stores, così come non dovrebbe stupire la presenza di numerose aziende leader nella vendita

del cosiddetto fast-fashion. Un ulteriore dato, estrapolato da SEMrush e particolarmente

interessante, è la percentuale di traffico generato dai social media. I siti non-fashion riscontrano

circa un 3.2% del loro traffico totale proveniente dai social, mentre per i siti fashion il dato sale

al 4.3% (Zaczkiewicz, 2017). L’influenza esercitata dai cosiddetti Fashion Blogger, appunto, è

un fenomeno che non si può sottovalutare e, anzi, rappresenta oggigiorno un’enorme

opportunità per promuovere online i propri prodotti, arrivando direttamente al target di

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consumatori prescelto. L’esempio più lampante è sicuramente la chiacchieratissima Chiara

Ferragni; la Fashion Blogger più seguita di Instagram vanta all’attivo 10,7 milioni di followers14

e, forte appunto della sua popolarità, nell’ultimo anno ha moltiplicato, oltre che i propri

guadagni, anche le collaborazioni con numerosi brand. Sfruttare la visibilità dei web

influencers, utilizzandoli come testimonial delle proprie campagne, si sta dimostrando

un’attività sempre più utilizzata dai web marketers del settore, i quali vedono in Instagram la

piattaforma preferita entro cui investire i finanziamenti aziendali. Facebook, invece, mette a

disposizione dei propri utenti la possibilità di creare delle inserzioni pubblicitarie entro cui

promuovere i contenuti del sito. Attraverso Facebook Business, le aziende possono incanalare

i propri clienti direttamente al sito di riferimento, sponsorizzando contenuti interessanti ed

attraenti. Il binomio tra social media e fast-fashion è sicuramente noto agli esperti del settore e

i dati fin qui analizzati sembrano dar credito alla forte relazione che li correla. A seguito di

queste nuove tendenze, sembra che il mondo del Fashion, che nel 2016 aveva fatto registrare i

tassi di crescita sui ricavi più bassi dal 2009 (Amed, 2016), sia entrato in una profonda

rivoluzione, dettata dalle abitudini dei consumatori. In una intervista per La Repubblica, a

gennaio 2017, anche Giorgio Armani utilizzò il termine “rivoluzione”, spiegando poi che lui

stesso si aspetta di affrontarne una nei prossimi due o tre anni. L’imprenditore milanese si

dimostra consapevole della necessità di “rinunciare ai negozi mausoleo” per potersi adattare

alle nuove tendenze di consumo da parte del mercato, aggiungendo poi una piccola critica a sé

e agli altri protagonisti del settore: “in tanti anni, quasi per abitudine, abbiamo mantenuto delle

posizioni che dovevano essere riviste mentre è successo qualcosa nel mondo

dell’abbigliamento, la gente ha più scelta anche a livello di spesa” (Anon, 2017). A sostegno di

questa tesi, oltre ai dati forniti da SEMrush, riportiamo le considerazioni fatte dai team di The

Business of Fashion (BoF) e McKinsey & Company, che all’interno del loro prospetto sullo

scorso anno (Amed, 2016) avevano già individuato i primi segnali di cambiamento. Lo stato di

incertezza che colpisce il Pianeta (Amed, 2016, pag. 13), causato dalle instabilità geopolitiche,

dal terrorismo e da altre cause di tipo economico come il rallentamento della crescita cinese,

sta influendo enormemente sulle abitudini d’acquisto dei consumatori. Nonostante l’industria

del Fashion sia una delle più importanti al mondo e che sia di conseguenza necessario

mantenere stabile il suo andamento, Uncertain, Changing e Challenging sono state le tre parole

più utilizzate dagli executives del settore durante il 2016 (Amed, 2016, pag. 17). In un contesto

estremamente volatile, i bisogni dei consumatori incontrano perfettamente la dinamicità di

internet e del fast-fashion, i quali disimpegnano i portafogli dei clienti e rispecchiano le loro

14 Aggiornato al 31/10/17

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instabilità emotive. Le nuove tendenze della moda sembrano rispecchiare gli stati d’animo e la

situazione sociale dei clienti, divenuti sempre più esigenti, informati e preparati, se non

predisposti, al cambiamento. Essi hanno imparato ad utilizzare i siti e-commerce come

strumento per confrontare agevolmente i prezzi tra loro, nonché cercare sconti e promozioni.

Nell’era del consumismo e dell’incertezza, non sorprende che il fast-fashion abbia trovato

terreno fertile in cui crescere, tanto meno che sia riuscito a svilupparsi attraverso i canali

informatici. Le generazioni under 35 sono sicuramente quelle che navigano maggiormente in

rete, nonché target preferito per i retailers del fast-fashion. ASOS, n°1 al mondo per traffico

generato, conferma la nostra tesi definendosi “rivolto agli appassionati di moda tra i 16 e i 34

anni”, come è possibile visualizzare all’interno del sito, cliccando sulla voce “Chi Siamo”,

presente al piè di ogni pagina (Figura 3.1).

Figura 3.1: “Chi è ASOS?”

Fonte: asos.com/it

ASOS, tuttavia, è un caso pure-play focalizzato solo sulla vendita online, quindi non soggiace

alle problematiche che si ritrovano ad affrontare i competitors Macy’s, H&M e Zara, aziende

brick-and-clicks. BoF e McKinsey & Co., all’interno del loro report (2016, pag. 28),

individuano due grosse sfide per le aziende del fashion: la prima è quella di velocizzare la

propria supply chain per restare al passo con le necessità dei consumatori e i loro ritmi di

consumo; la seconda, riguardante proprio i brick-and-clicks, è trovare il giusto equilibrio tra

l’assortimento da effettuare per il canale di vendita online e quello per gli store fisici.

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Come è stato sottolineato nel paragrafo 2.1.2, questa decisione rientra tra le teorie più discusse

dai managers aziendali in sede di pianificazione strategica. Sebbene possa portare i vantaggi

presentati durante l’analisi del modello delle 4 P, resta comunque un argomento spinoso, a causa

delle difficoltà nel rifornire fisicamente entrambi i negozi con una adeguata profondità di

prodotti. H&M e Zara sembrano aver risposto bene alle spinte di mercato, andando a

posizionarsi di conseguenza tra i migliori 5 siti nel mondo del Fashion online, fungendo da

esempio per tutti gli altri protagonisti del mercato. Sorge spontaneo pensare che non sia

altrettanto facile raggiungere quegli standard partendo da piccole realtà brick-and-mortar. Per

spiegare come mai in quella lista figurino così tanti department stores, tra cui il primo

classificato, partiamo dal presupposto che fondare un sito e-commerce per competere nel

mercato virtuale è molto difficoltoso, specialmente per coloro che partono da piccole realtà.

A costoro, Giovanni Cappellotto, nel suo intervento durante il Web Marketing Expo 2017, ha

più volte consigliato di “sfruttare i rivenditori già presenti sul mercato”, come Amazon, per

sfruttare la loro visibilità, in modo da raggiungere un maggior numero di potenziali clienti

(Cappellotto, 2017). Adattando questo discorso al mondo del fashion, Amazon magari non è tra

le piattaforme più consigliate, ma gli altri siti web iscritti nella lista sono sicuramente delle

opportunità imperdibili. Attraverso un sistema logistico efficiente, un’alta varietà di prodotti e

la personalizzazione del sito in base ai gusti del cliente, oggi i department stores riescono a

sostenere il ritmo della moda fast-fashion, combinando un’offerta unica come quella

dell’acquisto guidato e della consegna a domicilio, spesso in tempi ridottissimi, con il continuo

riassortimento del proprio catalogo.

Per concludere il quadro del settore, ci soffermiamo ulteriormente sul report esposto da BoF e

McKinsey & Co., poiché sono riusciti ad identificare altri quattro fenomeni che stanno

rivoluzionando il mondo del fashion (2016, pag. 27). Innanzitutto, stiamo assistendo ad un

casualization della moda e lo dimostra il tasso di crescita dell’abbigliamento sportivo, che negli

ultimi dieci anni ha registrato circa il +10%, a fronte del +4% raggiunto dall’abbigliamento

generico assieme al mondo delle calzature. Secondariamente, appaiono nei negozi le prime

linee interamente genderless, che vedono tra i pionieri il colosso Zara, quarto nella classifica

degli e-commerce più frequentati al mondo. Terzo fenomeno fondamentale, il positivismo con

cui si affronta il mondo curvy, che non viene più discriminato, ma largamente accettato dai

nuovi canoni di bellezza, che muovono passi importanti verso il benessere fisico e psicologico

delle persone, apprezzando la naturalezza dei loro corpi. Moltissimi brand si stanno

rapidamente muovendo in questo campo, fondando marchi e disegnando collezioni

esclusivamente per i capi plus-size. Infine, l’acquisto di popolarità da parte dei cosiddetti

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modest wear, i capi d’abbigliamento della cultura Islamica, rappresenta una testimonianza della

crescita che sta attraversando questo popolo e sulle necessità uniche che possiede nel vestire.

Alcuni brand, come Dolce & Gabbana e Uniqlo, già dallo scorso anno hanno intrapreso questa

strada, disegnando delle collezioni pensate appositamente per la donna del mondo islamico.

Tra i fattori di rilievo nella rivoluzione della moda, già da tempo figura, invece, il ruolo della

sostenibilità, determinato dalla sensibilizzazione dei clienti sul tema. Questo campo rappresenta

un mercato unico, entro cui numerose aziende sono state in grado di differenziarsi, non solo nel

mondo del fashion, ma anche in quello automobilistico o alimentare. Attualmente, l’argomento

sta diventando uno standard per tutte le aziende che abbiano intenzione di restare nel mercato,

poiché non esiste altra via né per salvare il pianeta, né per accondiscendere l’opinione pubblica.

3.2 Analisi e confronto dei siti web più efficaci

Dopo aver inquadrato le dinamiche e le tendenze del settore di nostro interesse, è possibile

iniziare un’analisi più dettagliata sugli standard rappresentati dai siti web dei leader di settore.

Verranno presi in esame i primi quattro siti della lista fornitaci da SEMrush, in modo da poter

approfondire quali siano i loro punti di forza ed estrarre un resoconto generale che ci aiuti ad

individuare quale possa essere un sito web efficace nel mondo del Fashion Retail Online.

Ovviamente, tutti e quattro appaiono come primo risultato della ricerca Google, quindi

partiremo analizzando direttamente la home page attraverso la visualizzazione fatta da desktop.

3.2.1 Home page

Appena entriamo sulla home page di ASOS, notiamo che il sito è in lingua inglese, ma un pop-

up di colore nero ci domanda se stiamo navigando dall’Italia, quindi se vogliamo visitare il sito

italiano. H&M, invece, accoglie i propri utenti in una landing page transitoria in cui sono

trascritte tutte le nazioni da cui è possibile acquistare. Sarà quindi l’utente a dover cliccare sopra

alla propria nazione per poter iniziare a navigare il sito. Macy’s adotta un altro sistema ancora,

facendo comparire un pop-up in cui vengono trascritti i dettagli più importanti della spedizione

in Italia, rassicurando l’utente e invitandolo ad iscriversi alla newsletter per ottenere uno sconto

del 25%. Zara, infine, riprende lo stile di H&M e lascia che sia l’utente a decidere la nazionalità

dello store e la lingua che è interessato a visualizzare, preimpostando però le variabili sulla

provenienza dell’indirizzo IP che riceve. Per semplicità, si è deciso di visualizzare i siti in

qualità di utenti italiani, in modo da restare coerenti e portare un’analisi che potesse essere

verificabile direttamente dai lettori.

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Ora possiamo finalmente entrare nel vivo delle home page. A primo impatto, scorgiamo subito

alcuni punti in comune, specialmente per quel che riguarda l’header: l’utilizzo di uno sfondo

bianco, il “carrello” in alto a destra e la visibilità del marchio, posizionato sempre in alto a

sinistra o centralmente, nel caso di H&M. La visibilità del logo è un dogma dei siti web che

viene dato per scontato, per un motivo molto semplice: entrereste mai in un negozio senza nome

sulla porta d’ingresso? Senza il logo esposto chiaramente, il brand non è in grado di far sapere

ai propri clienti cosa li aspetta una volta entrati, sia esso un sito web o un negozio fisico, di

conseguenza non riuscirebbe a vendere. Risulta molto più interessante, invece, capire come mai

lo sfondo sia bianco; assodato che sia uno standard del settore, possiamo spiegarne il motivo

attraverso gli studi della dottoressa Alyson L. Hill (Hill, 1997) e del “guru dell’usabilità”15

Jakob Nielsen. Entrambi sottolineano l’importanza del contrasto per agevolare la lettura dei

testi, prediligendo lo sfondo bianco a quello nero per la scorrevolezza con cui è possibile

leggere i contenuti (Nielsen, Tahir, 2002). È noto, inoltre, che i colori chiari amplifichino la

percezione dello spazio e che il bianco, in particolare, sia sinonimo di purezza e semplicità.

Gitte Lindgaard, nei suoi studi (Lindgaard, 2006), afferma che la prima impressione di un utente

che visita il sito è fondamentale per la navigazione, poiché in 50 millisecondi il suo cervello

avrà elaborato un’idea generale della struttura e dei contenuti. È importante, quindi, che l’utente

si senta a proprio agio nell’utilizzare il sito e lo sfondo bianco può andare incontro a questa

esigenza, grazie alla percezione human-friendly che instaura nella mente del consumatore. La

scelta del colore per lo sfondo non deve chiaramente essere presa come dogmatica, poiché ogni

target di consumatori ha le proprie esigenze; se l’obiettivo del sito è quello di vendere in Cina,

ad esempio, si preferirà adottare uno sfondo nero, colore associato al principio dello Yin (Enzo,

2017), al contrario del bianco che viene utilizzato durante le cerimonie funebri. È sempre bene

ricordare che nel web non esistono regole fisse, valide per ogni contesto. Esistono delle linee

guida dettate dal business perseguito, dal mercato di riferimento e dalle necessità dei

consumatori obiettivo. Come prima linea guida per il mondo del fashion europeo, ad esempio,

abbiamo trovato lo sfondo bianco.

Proseguendo con l’analisi, riscontriamo altre analogie, sempre riguardo l’header delle home

page: Macy’s è l’unico brand che posiziona i contatti per il customer care in fondo alla pagina,

mentre i competitors mettono il link ben evidente sulla testata del sito. Ciò che dovrebbe mettere

tutti d’accordo, invece, è il tasto di Log-In al sito, situato in alto a destra, purtroppo Macy’s è

una piattaforma ancora molto nazionale, predisposta per gli acquisti effettuati negli States,

tant’è che è macchinoso trovare il tasto di Sign-In nella versione italiana del sito, così come

15 Definito così da The New York Times

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l’intero sito non viene neppure tradotto. Per tali motivi, si è deciso di passare alla navigazione

originale, soltanto su questa piattaforma, mantenendo il confronto con gli altri siti adattati ad

un utente italiano.

Passando ora all’analisi del menu di navigazione, è possibile verificare le grosse differenze

che intercorrono tra loro. ASOS raggruppa tutti i contenuti del proprio sito sotto a due macro

insiemi, categorizzati come Donna e Uomo, mentre H&M e Macy’s presentano delle widget

bar molto più corpose in quanto a numero di sottogruppi. Zara è l’unico ad avere una widget

bar verticale anziché orizzontale, scelta determinata dalla struttura stessa del sito, che punta il

focus del cliente sulla serie di immagini e gif a tutto schermo che scorrono lateralmente, dando

l’impressione di essere un brand più elegante e ricercato. Questo trend accomuna entrambi i siti

monomarca che stiamo analizzando, ed è possibile intuirlo dalla sobrietà delle loro home page,

dalla snellezza dei testi, pressoché inesistenti, e dal ruolo fondamentale che occupano le

illustrazioni all’interno del sito. Zara, in particolare, incentiva la navigazione del sito

mostrando, oltre ai trend che scorrono sullo sfondo, solamente il menu principale con pochi

link che incuriosiscano l’utente.

ASOS si avvicina notevolmente ai due e-commerce monomarca, presentando delle landing

pages molto lineari, intuitive e con pochi testi. È stato utilizzato il termine landing pages poiché

dalla home del sito non è possibile visualizzare granché, è necessario scegliere se navigare il

sito visualizzando solo i contenuti per Lui o per Lei; il sistema è simile a quello adoperato da

Zara, ma diversamente del sito monomarca, ASOS incentiva l’utente con un messaggio molto

accattivante, posizionato sopra ad una foto multietnica: “THIS IS ASOS. Your fashion and style

destination”. Sotto, troviamo i link per accedere al negozio donna o al negozio uomo. Macy’s

si allontana leggermente dallo standard rappresentato dai propri competitors, poiché applica

moltissimi testi sopra alle immagini, che comunque ricoprono buona parte della superfice della

home page. La sensazione che percepisce l’utente è quella di trovarsi all’interno di un discount,

ed è pressoché veritiera, data la natura del brand che nasce come catena della grande

distribuzione. Il sito, comunque, non risulta troppo complesso da navigare.

I footer dei primi tre siti web della classifica sono molto simili tra loro, ricchi di informazioni

sul copyright, i contatti, le generiche dell’azienda e altri link utili per coloro che vogliano

esplorare maggiormente la realtà aziendale. In Zara, invece, non esiste un vero e proprio footer

e le informazioni che siamo abituati a visualizzare a piè pagina si trovano nel link “+info”

all’interno del menu verticale, una scelta determinata sempre assieme a quella di differenziare

il sito rispetto ai competitors del fast-fashion.

Chiudiamo l’analisi della home page osservando le sezioni extra, che rappresentano l’ultima

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analogia dei siti web posizionati sui tre gradini del podio. Tutti e tre arricchiscono l’esperienza

d’acquisto dei propri clienti con una sezione extra in cui pubblicano articoli, interviste o consigli

ad hoc per i clienti interessati al mondo del fashion, dimostrandosi sensibili al dialogo ed esperti

del settore. Questo messaggio, che Zara incorpora attraverso le immagini con cui si presenta,

non è affatto secondario, anzi, aumenta notevolmente la considerazione che hanno i clienti sul

marchio, oltre alle possibilità di fidelizzazione e di successo nel processo di vendita.

Conclusasi l’analisi oggettiva sulle home page dei quattro siti web presi in esame, si passerà

ora alla verifica della User Experience, o UX, dei siti web, un aspetto più pragmatico. Poiché

tale argomento richiederebbe un approfondimento a sé stante, come dimostrano le

numerosissime pubblicazioni firmate da Jakob Nielsen e Don Norman, si è ritenuto fosse più

interessante presentare brevemente l’argomento elencando quali siano le metodologie

adoperate per rilevare il livello di “usabilità” di un sito.

3.2.2 User Experience

Jakob Nielsen, autore di spicco nel mondo dell’usabilità e co-fondatore del Nielsen Norman

Group, in un video molto recente (Jakob Nielsen, 2017) investe due minuti del suo tempo per

spiegare agli interessati il significato di Usefulness, variabile principale per la determinazione

della UX. Il termine deriva dalla combinazione delle parole Utility e Usability, poiché, a detta

dell’esperto, solamente coordinando le due attività si potrà ottenere il massimo risultato dal

sito. L’utilità del sito è fondamentale per incentivare l’utente a tornare sulla pagina ed identifica

ciò che il sito è effettivamente in grado di fare per soddisfare le necessità dei visitatori. I

contenuti e le caratteristiche del sito devono essere accurate, interessanti e ben amalgamate tra

loro per poter offrire un servizio completo e soddisfacente. L’Usability, invece, agevola la

capacità degli utilizzatori di apprendere come utilizzare l’interfaccia, capirne il funzionamento

e, di conseguenza, sfruttarne tutte le sue potenzialità. Se il livello di usabilità non fosse alto,

sottolinea Nielsen, non sarebbe neppure necessario, per il sito, avere dei contenuti, perché se

l’utente non fosse in grado di utilizzare l’interfaccia a suo piacimento, non sarebbe sicuramente

in grado di visualizzare quello che contiene.

Misurare l’usabilità di un sito, tuttavia, è un’attività dispendiosa, che molte aziende non fanno.

Nielsen (2001) chiarisce quanto sia facile elencare le metriche utili all’analisi, ma anche quanto

sia difficile misurarle. Generalmente, si prende un gruppo di circa 20 utenti tester a cui verranno

affidati molteplici compiti da portare a termine; in base a:

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tasso di successo;

tempo che ogni compito richiede;

tasso di fallimento;

soddisfazione dell’utente;

saremo in grado di misurare qualitativamente l’Usability del sito. Una volta raccolti i dati, è

possibile trarre delle conclusioni, confrontando le metriche relative alle performance con quelle

relative alla satisfaction degli utenti. Starà ai web marketers decidere quale dei due aspetti sia

più rilevante e, in base a questa decisione, prendere i relativi provvedimenti per migliorare i

propri domini. Questa metodologia, risalente a degli studi compiuti nel 2001, pecca chiaramente

di modernità, ma può ancora tornare utile; tenendo a mente quel che Nielsen disse qualche anno

più tardi, “le linee guida dell’Usability sopravvivono nel tempo perché dipendono dal

comportamento umano, che cambia molto lentamente, sempre che lo faccia” (Nielsen, 2005).

Per tale motivo, le metriche alla base del rilevamento di Usability sono molto simili alle

originali, con l’aggiunta di nuovi strumenti, come l’eyetracking e il diary study16 (Nielsen,

2011).

Per quel che riguarda i quattro siti che abbiamo preso in esame, è difficile determinare

oggettivamente il loro livello di usabilità basandosi sull’esperienza di un solo utente,

specialmente poiché stiamo parlando di siti web già affermati e che di conseguenza saranno già

ad alti livelli di performance. Determinare quale tra loro sia il migliore, o quali siano gli

standard raggiunti da tutti e quattro non è agevole, per questo motivo si è deciso di accennare

brevemente l’argomento, in modo da incuriosire il lettore, fornendo già un’impronta del

significato dei termini e di come si operi su questo frangente.

3.2.3 Checkout

Concludiamo la nostra breve analisi ipotizzando di effettuare un acquisto su ognuno dei quattro

siti, cercando di capire quali siano le linee guida generali per la fase fondamentale di checkout.

La concretizzazione della compravendita è l’obiettivo finale di tutti gli attori coinvolti nel

mercato, per questo motivo deve essere il più efficace possibile. Peter Drucker, economista del

secolo scorso, disse che “Lo scopo del Marketing è rendere inutile il processo di vendita”,

celebre frase citata da Kotler (2015) nel suo Principi di Marketing. Come si può definire

efficace un’attività di Web Marketing, se la finalizzazione dell’acquisto diventa macchinosa?

16 Si tratta di un metodo per reperire dati riguardo l’utilizzo di uno strumento da parte dell’utente, durante un

periodo di tempo prolungato (Flaherty, 2016)

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Agevolare il processo di pagamento può aiutare il cliente a completare la vendita, senza che sia

annoiato da lunghe procedure che potrebbero portare all’abbandono del carrello.

Facciamo una prova aggiungendo un prodotto in ogni carrello e procediamo con gli acquisti.

Zara consente una navigazione snella tra gli articoli in vetrina, andando a collocare direttamente

il prodotto selezionato all’interno del carrello, una volta premuto il tasto “Aggiungi”. Un pop-

up, visibile per meno di un secondo nelle zone dell’icona, segnala che il prodotto è stato

aggiunto. Non approdando su una pagina dedicata alla visualizzazione del carrello, l’utente è

in grado di continuare il suo shopping con il numero di click più basso possibile; nel caso si

dimenticasse quello che ha inserito, gli basterà passare con il mouse sopra all’icona della

shopping bag per visualizzare una tendina riepilogativa degli articoli che ha selezionato. Il

numero degli articoli, invece, compare a lato dell’icona.

H&M si comporta in modo pressoché identico, con le stesse modalità di segnalazione

dell’aggiunta del prodotto alla shopping bag e la tendina a comparsa quando si passa con il

mouse sopra l’icona. La prima differenza durante questo processo è riscontrabile in ASOS, il

quale ha deciso di mantenere il primo pop-up più a lungo rispetto ai colleghi, ma soprattutto,

accanto al numero indicante gli articoli presenti sul carrello, segnala il costo totale.

Macy’s opera in maniera completamente diversa, obbligando il cliente a visualizzare

nuovamente il prodotto aggiunto al carrello in una nuova web page, al di sotto di una scritta di

remind che segnala l’avvenuta aggiunta del capo. Questo sistema rallenta lo shopping del

cliente, il quale è costretto ad usufruire del widget per tornare a visualizzare la categoria che

stava visitando. Posizionandosi con il mouse sopra all’icona della shopping bag, invece,

compare sempre una tendina riassuntiva dei prodotti selezionati, con un appariscente banner

dove viene specificato che le spese di spedizione sono gratuite al di sopra dei $49. Essendo

tuttavia in Italia, siamo costretti ad abbandonare nuovamente il sito statunitense, selezionare il

nostro articolo in quello importato per la spedizione in Italia e procedere con l’acquisto,

scoprendo che la spedizione costa €17.52 + tasse e imposte doganali. Il checkout, però, è in

lingua italiana. Vediamo ora gli altri siti, che, invece, investono ampiamente sul business

europeo. Partendo da Zara, notiamo che non dispone della funzione “Procedi all’acquisto”

direttamente sulla tendina, al contrario degli altri tre siti web; il brand ha deciso di obbligare il

cliente a visualizzare il carrello per confermare i dettagli dell’acquisto. Sul totale vengono

segnalate le spese di spedizione di importo uguale a €0, poiché abbiamo superato i €50 di spesa,

informazione acquisibile durante la visualizzazione degli articoli. Le spese di spedizione di

H&M, invece, sono visualizzabili sulla tendina riepilogativa, ed ammontano a €4.99.

Proseguendo con l’acquisto, tuttavia, si potrà venire a conoscenza di un’altra possibilità, quella

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di spendere €7.99 ed ottenere la consegna il giorno dopo, ordinando entro le ore 15:30. ASOS,

nella solita tendina, fornisce un link per i dettagli delle spedizioni e dei resi, poiché dispone di

ben cinque alternative per la consegna, più la possibilità di diventare un cliente Premium, al

prezzo di €18.99, ed ottenere così la consegna gratuita il giorno successivo, per un anno intero.

Tutti e quattro i websites fanno atterrare i propri clienti sulla pagina di Sign-In, nella quale viene

richiesto di effettuare il login, oppure registrarsi. Macy’s permette di concretizzare l’ordine

all’interno della stessa web page, mantenendo un riepilogo dei dati sia personali che di

pagamento. H&M consente di procedere come ospiti e di completare l’acquisto in maniera

molto simile alle dinamiche di Macy’s, accompagnando il cliente step by step, fino

all’inserimento dei dati per il metodo di pagamento e alla concretizzazione dell’acquisto. ASOS

fornisce lo stesso tipo di servizio, così come Zara, che tuttavia ci sorprende mettendoci a

disposizione una più vasta scelta per le modalità di consegna, con prezzi e ritiri di tipo

differente. È chiaro che ci troviamo di fronte ad un probabile standard di settore, poiché i quattro

siti fashion più visitati al mondo adoperano le stesse metodologie. Alla base di questo iter, resta

la convinzione che sia preferibile rendere il checkout il più veloce possibile, limitando il numero

di click all’essenziale.

Come è stato detto in precedenza, sono stati presi in analisi quattro siti già affermati, che

vantano alle spalle numerosi web marketers di esperienza, fautori del successo dei loro brand.

Di conseguenza, non è possibile criticare le loro caratteristiche, ma è possibile prendere per

efficace il loro modus operandi, motivo per cui per delineare quali potessero essere le

caratteristiche di un sito web efficace nel mondo del Fashion Retail Online si è deciso di

cogliere il maggior numero di spunti possibile da questi colossi dell’e-commerce.

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Considerazioni finali

La dinamicità del web e i processi di cambiamento che stanno colpendo il mondo del Fashion

non permettono di poter identificare un modello di sito web che rimanga stoico di fronte al

susseguirsi delle mode. Come è stato chiaramente presentato in questo approfondimento, ogni

realtà economica ha le proprie esigenze, il proprio mercato di riferimento e le proprie risorse, e

adotterà di conseguenza le strategie più adatte per ottenere dei profitti. Provare, tuttavia, a

definire quali siano le linee guida per la costruzione di un sito efficace ed efficiente agevola,

sicuramente, la buona riuscita del progetto, poiché permette di assimilare tutta l’esperienza

acquisita dai protagonisti di questo settore e di tradurla, assieme ad idee innovative, in un nuovo

progetto. Dopo l’approfondimento fatto nel testo, sorge spontaneo pensare che non sia

sufficiente applicare le direttive acquisite dagli altri siti web per avere successo, poiché serve

una vasta base teorica su cui fondare le fondamenta per la costruzione del sito, per sapere come

muoversi tra le mille variabili del web e del mercato. Queste fondamenta prendono il nome di

Web Marketing e di tutti gli strumenti che esso adopera per svolgere positivamente il proprio

ruolo. Per tale ragione, è stato dato ampio spazio ad una presentazione empirica dell’argomento,

per poter incontrare le esigenze dei lettori meno esperti. È importante conoscere il punto di

partenza, se si vuole arrivare al termine del percorso, specialmente perché il Digital Marketing

fornisce anche tutti gli strumenti necessari per muoversi lungo il cammino.

Ciò che possiamo concludere, unendo le nozioni apprese negli ultimi due capitoli, è il bisogno

di mantenersi sempre aggiornati e preparati sulle nuove spinte provenienti dal mercato, siano

esse tendenze di consumo, fondamentali nel mondo della moda, oppure scoperte in ambito

tecnico. Come è stato detto dai team di The Business of Fashion e McKinsey & Company,

Challenging è una delle tre keywords per il futuro del Fashion, ed è da questo principio che

devono partire i web marketers di tutto il mondo. Con l’umiltà di voler sempre imparare, con

le basi teoriche da cui partire e con il coraggio di voler innovare, la tecnologia potrebbe

trasformarsi in un valido alleato, anche per un mercato storico come quello del Fashion. Gli

strumenti in grado di regalare esperienze d’acquisto uniche e personali sul canale online ci sono

e sono alla portata di tutti. Sta a noi, appassionati di Web Marketing, cogliere queste opportunità

per costruire la rete fashion più globale di sempre, rendendo questo mercato accessibile a tutti,

come stanno facendo molti brand che operano nel fast fashion, quali H&M e Zara.

Costruire un sito web efficace nel mondo del Fashion Retail Online nasce e finisce qui, sulla

conoscenza del settore, lo studio del mercato, l’analisi dei trend e la disciplina con cui si

applicano i modelli informatici volti ad ottimizzare le performance del sito; ma nessuno toglie

che con la fame di cui parlava Steve Jobs si possa veramente rivoluzionare il mondo.

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