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Universo femminile Un mare di donne

Date post: 08-Nov-2021
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Giovedì, 21 Luglio 2016 www.corrieredelmezzogiorno.it T orna «un mare di donne». Lo pen- sammo, qualche anno fa, come un racconto collettivo e, insieme, come la traccia materiale di tante singolari- tà capaci di dar conto dell’universo, della fi- losofia, della storia, dell’etica, dell’econo- mia, della religione. Ascoltammo voci inedi- te e differenti che narravano dei loro paesi, delle loro culture, dei loro sogni, della poli- tica come strumento utile per rendere mi- gliore il rapporto con la realtà, del mare che avevano attraversato, delle disparità disse- minate sui loro insicuri percorsi, della vio- lenza, della forza. Parlammo di noi, del luo- go di confronto che volevamo costruire per pensare e giudicare, generare simboli: del nostro rifiuto di tutte le derive individuali- ste, di tutte le culture «per donne», del no- stro desiderio di un mondo che prevede, si nutre e legittima anche la libertà femminile. Un mondo che non separa la vita, i senti- menti , la morale, la politica, l’etica e che tie- ne tutto insieme, tutto connesso nell’espe- rienza e nel pensiero che essa produce. Un mondo che coglie il tratto distintivo del- l’umano nella relazione necessaria con l’al- tro/a . Che vede la natura, il paesag- gio, tutte le creatu- re viventi non co- me presenze indif- ferenti sulle quali fare agire il proprio ebete dispotismo suicida ma, come indi- spensabile scena su cui misurarsi. Un mon- do senza conformismi, senza regole esangui che chiedono e impongono di adeguarsi ad esse per essere accettati sacrificando magari la parte più significativa della propria singo- larità. Un mondo dove gli stili di vita si radi- cano in antiche feconde abitudini che nel presente trovano altre ragioni, altre prospet- tive, altre stagioni, un altro tempo. Parlarono e si raccontarono donne e uo- mini. Costruimmo una brevissima stagio- ne di confronto che si infranse, come spes- so accade, sulla esiguità delle risorse e, for- se, sull’affievolirsi del desiderio che la so- stenevano. Ora riprendiamo ma non come «se niente fosse» stato. Riprendiamo quel filo che non diventò tessuto, trama consolida- ta, riallacciando il presente a quel breve , intenso passato. Ci teniamo il titolo, «Un mare di donne», allusivo di una forza che è anche speranza . E ci teniamo quella sua traduzione in arabo che era il segno di una lingua che non si chiudeva nelle sue parole europee e ne cer- cava differenti per raccontare altre storie . Insieme al titolo manteniamo il metodo che assume le storie di vita come fonte, strumento insostituibile per conoscere ciò che accade e per pensare se c’è ancora tem- po per cambiare il mondo. © RIPRODUZIONE RISERVATA di Luisa Cavaliere Universo femminile Ritorna il racconto collettivo per un confronto necessario che rifiuta derive individualiste e superate disparità di genere Sul web È possibile consultare lo speciale Un mare di Donne sul sito internet www.corriere delmezzogior no.it Un mare di donne STORIE, TESTIMONIANZE, IDEE L’autrice Luisa Cavaliere è scrittrice e giornalista L’ultimo libro pubblicato è la biografia del primo presidente donna della Camera, Nilde Iotti Il mondo senza conformismi
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Page 1: Universo femminile Un mare di donne

Giovedì, 21 Luglio 2016 www.corrieredelmezzogiorno.it

T orna «un mare di donne». Lo pen-sammo, qualche anno fa, come unracconto collettivo e, insieme, comela traccia materiale di tante singolari-

tà capaci di dar conto dell’universo, della fi-losofia, della storia, dell’etica, dell’econo-mia, della religione. Ascoltammo voci inedi-te e differenti che narravano dei loro paesi,delle loro culture, dei loro sogni, della poli-tica come strumento utile per rendere mi-gliore il rapporto con la realtà, del mare cheavevano attraversato, delle disparità disse-minate sui loro insicuri percorsi, della vio-lenza, della forza. Parlammo di noi, del luo-go di confronto che volevamo costruire perpensare e giudicare, generare simboli: delnostro rifiuto di tutte le derive individuali-ste, di tutte le culture «per donne», del no-stro desiderio di un mondo che prevede, sinutre e legittima anche la libertà femminile.Un mondo che non separa la vita, i senti-menti , la morale, la politica, l’etica e che tie-ne tutto insieme, tutto connesso nell’espe-rienza e nel pensiero che essa produce. Unmondo che coglie il tratto distintivo del-l’umano nella relazione necessaria con l’al-

tro/a . Che vede lanatura, il paesag-gio, tutte le creatu-re viventi non co-me presenze indif-ferenti sulle qualifare agire il proprio

ebete dispotismo suicida ma, come indi-spensabile scena su cui misurarsi. Un mon-do senza conformismi, senza regole esanguiche chiedono e impongono di adeguarsi adesse per essere accettati sacrificando magari

la parte più significativa della propria singo-larità. Un mondo dove gli stili di vita si radi-cano in antiche feconde abitudini che nelpresente trovano altre ragioni, altre prospet-tive, altre stagioni, un altro tempo.

Parlarono e si raccontarono donne e uo-mini. Costruimmo una brevissima stagio-

ne di confronto che si infranse, come spes-so accade, sulla esiguità delle risorse e, for-se, sull’affievolirsi del desiderio che la so-stenevano.

Ora riprendiamo ma non come «seniente fosse» stato. Riprendiamo quel filoche non diventò tessuto, trama consolida-

ta, riallacciando il presente a quel breve , intenso passato.

Ci teniamo il titolo, «Un mare di donne»,allusivo di una forza che è anche speranza .E ci teniamo quella sua traduzione in araboche era il segno di una lingua che non si chiudeva nelle sue parole europee e ne cer-

cava differenti per raccontare altre storie . Insieme al titolo manteniamo il metodo

che assume le storie di vita come fonte,strumento insostituibile per conoscere ciòche accade e per pensare se c’è ancora tem-po per cambiare il mondo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

di Luisa Cavaliere

Universo femminileRitorna il racconto collettivo per un confronto necessarioche rifiuta derive individualiste e superate disparità di genere

Sul webÈ possibile consultarelo specialeUn maredi Donnesul sito internet www.corrieredelmezzogiorno.it

Un mare di donneSTORIE, TESTIMONIANZE, IDEE

di MARINA RIPPA *

A rrivano sorridendo, se ne van-no sorridendo. Si siedono e,levandosi le scarpe per indos-sare i calzini antiscivolo, rac-

contano di quello che hanno lasciato acasa. O al lavoro.

E da quella sedia si alzano più legge-re. Le guardo, sorrido e cominciamo.

Toti 73 anni, Fatima 13: la più grandee la più piccola del segmento chiamato

Trame adulte di un progetto sulle artisceniche dal titolo La scena delle donne.

Qualcuna arrivata per curiosità, qual-cuna perché già aveva frequentato il la-boratorio al Trianon due anni fa, qualcu-n’altra per conoscere persone nuove, oper non stare sola, o per «provarsi». Pro-varsi. Non a caso in teatro la preparazio-ne di uno spettacolo si chiama prova.

Il linguaggio teatrale riesce a svilup-pare competenze, a colmare le distanzeculturali, a far socializzare le persone, aformare il gruppo, a integrare le diversi-tà e, non ultimo, a creare le condizionimigliori per una crescita equilibrata del-la persona nella comunità in cui vive.

Il teatro come alimento, utensile, co-me luogo del ritrovamento di sé, dellapropria storia, della propria dimensio-ne di soggetto e del proprio ruolo all’in-terno del mondo che abitiamo.

La storia di questi ultimi anni ha mes-so bene in evidenza come i processi ditrasformazione sociale, urbanistica, cul-turale delle nostre città siano stati piùfacilmente fatti propri dagli abitanti edai gruppi quando il senso di questicambiamenti poteva essere metabolizza-to da esperienze forti di relazione e vici-nanza. Così nasce l’idea di mettere insie-me un bel numero di professioniste delteatro e osare un progetto che attraver-

so l’arte operi sulla qualità della vita. Unsegnale forte che indica come non siacon la repressione che si combatte laviolenza e la prevaricazione, ma con laconsapevolezza e la pratica di una citta-dinanza attiva. E l’incontro con Fernan-da Tuccillo, motore dirigente dell’Istitu-to comprensivo statale Adelaide Ristoriè proprio un esempio di ascolto attivo evicinanza, poiché ha permesso a un pro-getto artistico di essere ospitato in unascuola, luogo formativo per eccellenza.

I laboratori si sono svolti in quattrolocali dell’istituto: due nell’ex casa dellacustode, rimessa completamente a po-sto e a disposizione esclusiva del proget-to, gli altri due ospitati nella sala teatroe nella sala video della scuola. A pianterreno, in un’aula, ha funzionato il ser-vizio baby sitting.

La bellezza del lavoro che abbiamosvolto, e anche la sua unicità, sta nel-l’aver messo insieme, operatrici com-prese, donne di provenienza, età, cultu-ra diverse, attraverso le arti della scena.E sentire che questo percorso ha gettatoun seme sulla qualità della vita di cia-scuna.

Alcune quando arrivano mi abbrac-ciano forte. Quando vanno via no, nonlo fanno. So che tornano a una vita chele ha un po’ stancate, provate. Stavoltala «prova» è sulla loro pelle. Di donne.

* Operatrice teatralee insegnante di movimento

di ANITA PESCE *

Musica Il femminile nella cultura musicale partenopea, una riflessione breve e amara sullo stato dell’arte

O ltre 100 donne, dai 9 ai 73 anni, hanno seguito «Lascena delle donne», un progetto che esplora l’univer-

so femminile attraverso le arti sceniche, ideato da MarinaRippa e sostenuto nell’idea e nella cura da Fernanda Tuccil-lo, dirigente dell’Istituto Adelaide Ristori di Napoli. È unprogetto nato dall’esperienza del laboratorio teatrale «Don-ne con la folla nel cuore» tenuto al Teatro Trianon nel 2007e che ha ottenuto un finanziamento dalla Regione Campa-nia, assessorato alle Politiche sociali e alle Pari opportuni-tà. Si compone di due segmenti: Trame adulte, dedicatoalle donne Trame bambine che ha visto la partecipazionedi 20 ragazzine (dalla quinta elementare alla terza media)dell’Istituto e delle loro mamme.

Trame Adulte & bambine

L a donna nella canzone napoletanacanta, eccome. Talvolta lo fa addirit-tura prendendo posizioni «toste»,

sfacciate, arroganti. Talvolta pare che addi-rittura lo faccia in prima persona.

Ma poi si va a vedere chi ha scritto i testie si scopre che è praticamente sempre unuomo.

Parlo della canzone del passato: quelladi oggi è tutt’al più un pop annacquato escopiazzato con testi in napoliano (un mi-sto frammentario e inconcludente di stere-otipi, ribaditi sia nel dialetto partenopeoche in un italiano davvero minimale). Op-pure ci sono loro, le cantatrici d’oggi, ma cisaranno altri momenti e altra attenzione dadedicare a ciascuna.

È la canzone cosiddetta «classica» che of-

fre spunti per soffermarsi e pensare. Se pro-prio vogliamo allargare un po’ gli orizzontie gli sfondi, scontorniamo cronologica-mente l’argomento tra l’inizio dell’Ottocen-to e il periodo fascista.

La donna d’oggi, è inutile negarlo, non èpiù la vile ancella, oggi abolisce in pieno lagonnella e «sta gonnella ’a metto ’ncuoll’’ate!» cantava Ria Rosa nel 1937 con la verveun po’ impudente dell’interprete di rango.Che donna! La Fonit Cetra le dedicò (ormaimolti anni fa) persino un disco-revival,Una nonna del femminismo. Però, poi, an-dando a ben leggere le note di copertina,subito si ammetteva che il femminismo diRia Rosa risiedeva nella sua vocalità, nel co-raggio insolente di interpretare certi testi,non certo nella fase della produzione di pa-role e musica. E allora ecco il tradimento:la donna che canta di sé — e qualcuno po-

trebbe pure crederci — aderendo all’imma-gine della donna libera e liberata e poi siscopre che a metterle tra i denti quelle paro-le è un uomo. Allora il sorrisetto compia-ciuto e arrogante di chi scrive Nun so’ ddo-ce, so’ feroce (Gigliati - Barile, 1937) o Nonmi seccare (Pisano - Cioffi, 1937) diventaintollerabile affronto. Il solito «come tu mivuoi», in versione pepata e «moderna»,per godersi meglio il battito d’ali della far-falla in gabbia.

«Mparete n’auta vota/ de no fà lo squar-c i o n e / e n o ’ m m e n t à c a n z o n e / d evuommeco ppe me./ Pe chisto pane fino/ lidiente tu non aje:/ nò t’aggio amato maje,/né boglio penz’a te». Con queste parole pe-rentorie si chiude una «risposta» al femmi-nile alla famosissima «I’ te voglio bene as-saje». Ovviamente anche qui (e siamo al-l’inizio dell'Ottocento) la risposta è confe-

zionata ad arte per rispondere al cliché viri-le della femmina volitiva e capricciosa. Del-la dispettosa schiavottella che con la suaenergia dà tanto brio alla vita sentimentaledel marenariello di turno.

Anche nei primi anni dell’Ottocento (co-me si legge nei testi delle canzoni raccoltedall’editore - autore di origine franceseGuillaume Cottrau) la donna cantava tal-volta in prima persona: c’era da soddisfarela richiesta della haute société partenopeaparticolarmente affollata di fanciulle zelan-ti che si preparavano a immolarsi allo spo-so di turno gorgheggiando insulse canzo-nette. I temi? Figlie capricciose che chiedo-no alle mamme le più svariate mercanzie.Amori partiti a pesca e mai più tornati. Ma-ledizioni davvero vigorose all’indirizzo delperduto amore che sposa un’altra: «Quan-no vaje a la chiesa oje pe sposare/ Se pozza-

no stutà torce e cannele./ Quanno po vaje atavola oje pe magnare/ lo primmo muorzote pozz’affocare./ Quanno vaje a lu lietto pete corcare/ la casa ’ncuollo te pozza cade-re». La fanciulla che prende l’iniziativa per-ché si trova di fronte un «Amante scornu-so»: «Giacch’isso tene sta soggezione/ Lafaccia tosta a mme tocca d’avere».

Per non scontentare nessuno, ecco com-parire finalmente la malafemmina tradito-ra, che deve sopportare il fastidio de «Lemale lingue»: «Non ce arapì l’arecchia Nin-no/ a cheste male lengue/ schitt’è l’emmi-dia che le fa parlare./ Te stanno a ’nzallanìca dongo audienzia/ a chisto e a chillo/mente squaglio pe te Nennillo mio».

Vengono così poste le basi per quelloche diventerà un ricco catalogo di stereoti-pi femminili legati alla canzone napoleta-na. Man mano che la canzone s’infiltra nel-la società o si ricicla in ambiti «colti» e «raf-finati» si aggiungeranno sciantose, mam-mà, malefemmine, appunto; donne sante eperdute, donne ardite e donne ardenti ma,soprattutto, donne che prestano la loro vo-ce, ancora una volta, a pensieri non propri.

* Musicologa

Canzone napoletana, voce di donna parola d’uomo

Un laboratorioper esplorare la vita

Il prossimo numero di un Mare di Donne sarà in edicolacon il Corriere del Mezzogiorno il 30 aprile. Percomunicare con noi scrivete a [email protected]

Il prossimo appuntamento

Il quartiere e il teatroPer sviluppare competenze e colmare le distanze culturalima anche per una crescita equilibrata della persona nella comunità

Ria Rosa in unafoto d’epoca

Si può fare teatro ovunque, purchési trovi il luogo in cui viene a crearsila condizione fondamentale per il tea-tro; deve esserci cioè qualcuno che haindividuato qualcosa da dire e deve es-serci qualcuno che ha bisogno di star-lo a sentire.

Quello che si cerca, dunque, è la re-lazione. Occorre che ci siano dei vuoti.

Non nasce teatro laddove la vita èpiena, dove si è soddisfatti.

Il teatro nasce dove ci sono delle fe-rite, dei vuoti, delle differenze, ossianella società frantumata, dispersa, incui la gente è ormai priva di ideologie,dove non vi sono più valori; in questasocietà il teatro ha la funzione di crea-re l'ambiente in cui gli individui rico-noscano di avere dei bisogni a cui glispettacoli possono dare delle risposte.

Quindi ogni teatro è pedagogia.Jacques Copeau

foto di Irene De Caprio

Palcoscenico Imparare a recitare usando la propria esperienza come sceneggiatura

UN MARE DI DONNE

13DossierCorriere del Mezzogiorno Giovedì 26 Marzo 2009

NA

L’autrice

Luisa Cavaliere è scrittrice e giornalista L’ultimo libro pubblicato è la biografia del primo presidente donna della Camera, Nilde Iotti

Il mondo senza conformismi

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NA2 Giovedì 21 Luglio 2016 Corriere del Mezzogiorno

Ieri e oggi

Tra la primavera e l’estate il verde domina tutto.Scintillano al sole il giardino, la siepe e gli albe-ri. In inverno invece nebbia e nuvole basse na-scondono le mura di cinta avvolgendole di fia-ba e malinconia. L’Abbazia del Goleto sorgesulle colline altirpine del comune di Sant’Ange-lo dei Lombardi: poco distanti i territori di Lio-ni e Nusco. Il fiume Ofanto scorre qualche cen-tinaia di metri più in là fino alla Puglia.

All’interno è il silenzio: profondo, imbaraz-zante, eloquente. La Chiesa del Vaccaro, archi-tetto napoletano che la progettò nel 1700, fadella volta celeste la sua cupola: conserva il pa-vimento con al centro una rosa octolobata, lemura perimetrali e un tris di maestosi archiche, volgendo lo sguardo dall’interno versol’esterno, incorniciano l’Appennino picentino.

Qui la sacralità si dispiega sotto forma di ar-chi e colonne, di torri austere, di scalinate senzafronzoli, di pietra riportata alla vita dai restau-ratori, di pietre che hanno vissuto numerosevolte sopravvivendo al tempo e ai terremoti.

Una severità ereditata dalle donne del luogo,da secoli protagoniste dello spazio pur non vi-vendolo più. La Torre Febronia deve i natali al-l’omonima badessa. Fu realizzata nel 1152 a di-fesa del monastero fondato trentotto anni pri-ma da Guglielmo da Vercelli per farne residenza

di clausura femminile, e porre accanto a essaun piccolo convento maschile sottoposto e de-dito alla gestione economica. Capolavoro ro-manico e decorata con bassorilievi, la torre fuedificata con una serie di blocchi provenientida un mausoleo romano dedicato a Marco Pac-cio Marcello. Su due piani, a quello superiore siaccedeva tramite un ponte levatoio.

Le donne del complesso del Goleto si chia-

mavano Marina o Scolastica, l’ultima fu Maria.La sua morte segnò il primo declino per l’Abba-zia la cui chiusura venne decretata da papa Giu-lio II nel 1506 salvo trovare nuova vita nella resi-stenza portata avanti da un gruppo di monaciper altri tre secoli.

Nella chiesa di San Luca tra gli affreschi del‘500 restano soltanto due medaglioni raffigu-ranti le badesse Marina II, colei che la fece eri-gere, e Scolastica, oltre a qualche episodio dellavita di San Guglielmo. Capitelli eleganti e una commistione ben riuscita di architettura pu-gliese e gotica, di scultura irpina e sannitica,fanno della cappella uno dei gioielli monu-mentali del Sud Italia.

Luogo di preghiera e potere, il monastero aguida femminile divenne presto uno dei centrieconomici più influenti del Meridione sfrut-tando gli operosi contadini dell’area e delle province vicine, terre di campi coltivati a granoe foraggio e rese fertili dalle sorgenti e dai fiumiirpini. Le badesse erano al comando, tempratenello spirito e nel corpo dalla penitenza cristia-na e dal rigore del clima locale. In un documen-to del 1321 le monache di San Guglielmo eranodefinite fideles et devotae oratrices regiae. De-vote a Dio e alla famiglia reale per la quale pre-gavano ininterrottamente riservando una men-zione speciale per la sovrana Maria di Ungheria,moglie di Carlo II. In cambio ricevevano l’assi-curazione di sostegno economico e protezione.Preghiere di genere, recitate da donne per altredonne: solidarietà femminile e dimostrazionedi forza.

Paola Liloia© RIPRODUZIONE RISERVATA

Goleto un’abbazia guidata da managerNel Medioevo il luogo di preghiera sulle colline di Sant’Angelo dei Lombardidivenne ben presto uno dei centri economici più influenti di tutto il Meridione

P er molti anni c’èstato qualcuno cheha sostenuto chenon fosse mai

esistita e che fosse solo frutto di una leggenda popolare. Altri, invece, e oggi sono la maggioranza, hanno sempre creduto che le sue opere furono alla base dei più importanti studi di ginecologia e ostetricia del secolo. E chi le ha conferito il titolo di prima donna medico d’Italia ha dovuto vedersela con quelli per i quali fu semplicemente una delle tante Mulieres Salernitanae, cioè le donne della Scuola Medica di Salerno. Ciò che è certo è che il nome di Trotula de Ruggiero rimarrà per sempre legato al mondo della medicina. Nata nel XI secolo d.C. a Salerno, una delle città più attive e cosmopolite del Medioevo,

Trotula apparteneva a una nobile casata e per questo ebbe modo di studiare frequentando importanti scuole, specializzandosi poi in medicina. Sposò il medico Giovanni Plateario con il quale scrisse il manuale Practica brevis e dal quale ebbe due figli che continuarono l’opera dei genitori. Oltre a essere una studiosa, fu anche insegnante nella stessa Scuola Medica presso la quale si formò. Le sue lezioni furono incluse nel De agritudinum curatione, una raccolta di insegnamenti di sette grandi maestri dell’università. Obiettivo principale della medichessa fu alleviare i dolori delle donne durante il parto e, più in generale, migliorare gli standard di vita femminili promuovendo l’importanza della cura dell’igiene, di una corretta alimentazione e di una quotidiana attività fisica. La sua opera più importante fu il De Passionibus mulierum ante in et post partum, conosciuta anche come Trotula Maior. Composta da più di 60 capitoli, descrive consigli per tutte le età. In Passionibus mulierum, Trotula suggerisce di curare con le erbe la maggior parte delle malattie, dalla scabbia al cancro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Trotulade Ruggiero,la primamedichessa

La storiaLa chiusura del monastero, fondato da San Guglielmo da Vercelli, fu decretata da papa Giulio II nel 1506Il complesso risale al XII secolo

Nell’XI secolo d. C.

Il ritrattoScolastica, una delle abbadesse più note del Goleto

Essere donna è una sfida che non annoia mai

(Oriana Fallaci)

Il sito Il fascino della storia

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Corriere del Mezzogiorno Giovedì 21 Luglio 2016 NA3

Date alle donne occasioni adeguate ed esse potranno fare tutto

(Oscar Wilde)

Le «Tecno Lady» alla conquista dei posti di co-mando di politica, lavoro, industria. Tecnolo-giche, preparatissime e pronte a raccogliere lesfide della professione. Valorizzazione delladiversità, inclusione tra generi, sinergie tra di-verse culture: il dibattito è sempre più accesotra le imprese se si tratta di entrare davvero nell’universo delle quote rosa. Basta qualchedato. Uno studio del Pearson Institute for in-ternational economics di Washington ha evi-denziato che le imprese che hanno una pre-senza di almeno il 30% di donne nel board, ve-dono un incremento del 6% della quota di uti-le netto. È pur vero che ancora oggi in Europale lavoratrici guadagnano il 16,4% in meno ri-spetto ai loro colleghi maschi con lo stessoruolo. È il sintomo di quanto ci sia ancora dafare riguardo alla parità di genere. E molte so-no le realtà produttive impegnate in prima filasu queste tematiche.

Tra queste c’è anche Vodafone Italia, chepromuove iniziative per valorizzare il talentofemminile grazie a una cultura del merito cheaiuta, nelle scelte manageriali, a incoraggiarel’eccellenza. Vodafone Italia è uno dei princi-pali provider di telecomunicazioni che nel Pa-ese offre forniture di servizi di telefonia mobi-le e fissa, internet e M2M. Un’azienda che da

sempre è sensibile alle buone pratiche capacidi coniugare diversità e inclusione. Il big delletelecomunicazioni garantisce sempre la pre-senza di almeno una donna nella rosa di can-didati per una promozione o un’assunzione, iniziativa che ha portato anche nelle regionidel sud la percentuale di manager donne a su-perare il 35%. La «popolazione manageriale»di Vodafone è composta per il 39% da donne. È

il valore della diversità e dell’inclusione restaprimario anche se ci si addentra nel cosiddet-to business secco. A partire da soluzioni ad hoc come quelle a sostegno della maternità.

«A tutte le mamme, infatti, l’azienda garan-tisce la copertura al 100% dello stipendio dei 4mesi di congedo facoltativo ai quali si aggiun-gono i 5 mesi di legge, turni di lavoro agevolatifino ai 3 anni del bambino e programmi di ag-giornamento per supportare la delicata fase del rientro a lavoro, creando le condizioni percui le donne che lavorano in azienda non sia-no mai costrette a scegliere tra maternità e la-voro», fanno sapere con orgoglio da VodafoneItalia.

Non è un caso che delle 3.700 donne in Vo-dafone, oltre 2.000 sono mamme; di queste, 630 hanno avuto figli negli ultimi tre anni. Ol-tre a ciò, l’azienda prevede un programma diWelfare flessibile grazie al quale il dipendentepuò scegliere di utilizzare parte della retribu-zione variabile direttamente in servizi, comele rette scolastiche per i figli, dall’asilo nido inpoi. E poi c’è l’universo Smart Working, chepermette di lavorare da remoto fino a 4 giornial mese, un passo ulteriore verso la concilia-zione famiglia-lavoro.

Ultima buona notizia: per valorizzare la di-versità in senso ampio, di genere, di età, dibackground, l’azienda da qualche mese a que-sta parte ha dato il via a iniziative di «ascoltointerno» per poter definire quella che sarà«l’agenda della diversità per i prossimi 3 an-ni».

Luigi Busatti© RIPRODUZIONE RISERVATA

Diversità e inclusionecon le «tecno lady»Politica, lavoro e cultura: i «board» delle imprese sono sempre più rosaVodafone sostiene anche iniziative per valorizzare il talento femminile

Verso il futuroL’aziendaguardasoprattuttoalle donnee ai giovani

V alore D è la primaassociazione diimprese chepromuove la

diversità, il talento e la leadership femminile per la crescita delle aziende e del Paese. Nata nel 2009 dallo sforzo comune di 12 aziende-AstraZeneca, Enel, GE Oil&Gas, Johnson&Johnson, Ikea, Intesa Sanpaolo, Luxottica, McKinsey & Company, Microsoft, Standard&Poor’s, UniCredit e Vodafone - oggi conta più di 150 aziende associate, supportando lo sviluppo di percorsi di crescita per i loro talenti femminili verso il vertice aziendale al fine di «elevare la discussione pubblica sul tema e promuovere il cambiamento», come spiega anche la neo presidente Sandra Mori

(nella foto), General Counsel Europa di Coca-Cola. «Il mio mandato è quello di continuare a far crescere l’associazione, rendendola ancora più incisiva nel dialogo con le aziende, con una maggior attenzione verso la crescita professionale femminile nel middle management», spiega la Mori, classe 1964, una laurea in giurisprudenza all’Università degli Studi di Pisa, a cui è seguita una prestigiosa specializzazione in diritto internazionale all’Università di Yale. «Intendiamo ampliare ancor di più il raggio d’azione sul territorio: l’Italia è ricca di eccellenze imprenditoriali anche nel Sud Italia e sarebbe bello riuscire a valorizzarle, creando sinergie e buone prassi a livello locale».

Renzo Esposito© RIPRODUZIONE RISERVATA

Tra talentoe leadershipEcco la sfidadi Valore D

Il progetto

Le manager del futuroL’Italia è ricca di eccellenze imprenditoriali anche nel Sud Italia e sarebbe bello riuscire a valorizzarle, creando sinergie e buone prassi a livello locale

Per le candidatureIl big della comunicazione garantiscesempre la presenza di una donnanella rosa dei candidatiper una promozione o assunzione

Storica Donne al lavoro negli anni ‘40 sul Progetto Manhattan

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NA4 Giovedì 21 Luglio 2016 Corriere del Mezzogiorno

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Corriere del Mezzogiorno Giovedì 21 Luglio 2016 NA5

Emma Giammattei «Vi racconto la mia vitatra Benedetto Croce e impegno femminile»

È preside della facoltà di Lettere al Suor Orsola Benincasa«Non sono mai stata però una femminista in senso stretto»

Storia e cultura

S torica della letteraturae critico letterario, Em-ma Giammattei è pre-side della Facoltà di

Lettere dell’Università SuorOrsola Benincasa, presso cui èanche professore ordinario diLetteratura italiana, nonchédocente di Storia della criticapresso l’Istituto italiano per glistudi storici di Napoli fondatoda Benedetto Croce e membrodel Consiglio Scientifico del-l’Istituto dell’Enciclopedia Ita-liana creato da Giovanni Trec-cani. Impegnata non solo incattedra ma anche nell’ambitodella politica, è stata dal 2002al 2004 assessore alla cultura evicesindaco di Castellammaredi stabia con Ersilia Salvato enel novembre 2007 è stata poieletta primo Segretario pro-vinciale di Napoli del Partito democratico. È sposata da 44anni, ha un figlio e un nipote.

Lei fa parte della genera-zione di donne che ha vissu-to il ’68. Riguardando conocchio critico la storia, comerivede quell’esperienza?

«Mi riconosco senz’altro inquella generazione e in quellastagione, nel bene e nel male.Con il ‘68, che da noi ebbe ini-zio qualche anno dopo, in ef-fetti si chiude un periodo. Ba-sti dire che quelli che entrava-no all’Università alla fine deglianni ‘60 avevano affrontato,per l’ultima volta, la scuoladella riforma Gentile. E la no-stra Università era ancoraquella dei nostri genitori.Questo conta. Per quanto miriguarda ero molto studiosa eda sempre “prima della clas-se”, eppure critica e scontentaproprio rispetto al modelloche mi aveva formata e costru-

ita. Mio padre era uno di queipresidi di liceo severissimi.Oggi, lo confesso, io vedo più iva n t a g g i c h e i d a n n i d iun’educazione direi sanamen-te repressiva».

Erano gli anni del femmi-nismo e dell’uguaglianza digenere.

«Allora si è aperto il varco,ma non sono mai stata fem-minista in senso stretto, e poilo sono stata sempre meno;non mi pareva si dovesse arre-trare sul terreno dei diritti co-me persona, come singolaritàqualunque, mettendo avanti

un’idea collettiva, in fondouno stereotipo o una sommadi stereotipi. La grande diffe-renza è un discrimine storicoe come tale va vissuto e affron-tato».

Come è cambiato nel tem-po il concetto di uguaglianzauomo-donna?

«Certamente oggi, rispettoagli anni Settanta, l’ugua-glianza di genere si è incredi-bilmente indebolita, come delresto altre forme di salvaguar-dia dei diritti. Probabilmentesi è fatta molta teoria, c’è statoanche un cattivo uso politico,

formazione anche su questoversante. La letteratura italia-na, dall’antico al moderno, e lastoria della cultura, possonoinsegnare moltissimo. Ciò checaratterizzava tante esperien-ze della mia generazione era ilrapporto strettissimo, anzil’identità, fra cultura e politi-ca. La scissione fra i due ter-mini ha determinato un con-traccolpo anche, io credo, nel-la dimensione del genere. Se-gnalo un bel romanzo di unaprofessoressa italo-america-na, Laura Benedetti, dal titolo“Il Paese di carta”, dove si svi-luppano questi temi, di un piùarioso post-femminismo».

La sua esperienza in poli-tica è stata positiva? La rifa-rebbe?

«Tutto ciò che mette in con-tatto col mondo reale è positi-vo. Se ne perde in presunzioneed i l lusione. Certamentel’esperienza nella mia città, conErsilia, fu positiva, sebbenebreve e drammatica. Per la pa-rentesi della segreteria, forse fusconfortante verificare il cre-scente disagio intellettuale del-la classe politica che aveva allespalle l’eredità sostanziosa delPci napoletano, la sua passionegramsciana, l’idea di partitocome pensiero in azione».

Il cambiamento culturaledeve intervenire più nelledonne o negli uomini?

«I cambiamenti sono sem-pre nel e del sistema, integralie processuali. Ci sono feno-meni compensativi, continuiaggiustamenti dialettici. Percitare il “mio” Flaiano, alla fi-ne è importante, ancora, “es-sere interrogati sull’amore”».

Laura Cocozza© RIPRODUZIONE RISERVATA

Chi è

Emma Giammatteiè una storica della letteratura e critica letteraria.È preside della Facoltà di Lettere presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasadi Napolie docentedi Storiadella critica presso l’Istituto italianoper gli studi storicifondatoda Benedetto Croce.Ha ricevuto numerosi premi nazionali e internazionali, ma è soprattutto nota per la sua più che ventennale attivitàdi ricerca sulla figura e sull’opera di Croce

Ascolta come mi batte forte il tuo cuore

(Wislawa Szymborska)

alquanto interessato, della questione. E nel frattempo legiovani donne sono entratenel mercato delle relazioni(che sono e sempre sono staterapporti di forza) e nella gene-rale “società dello spettacolo”senza gli strumenti culturali,che dico, spessissimo senzalavoro. Avendo e gestendo so-lo l’immagine, un simulacro».

Le donne per ricoprire ca-riche e ruoli pubblici do-vrebbero essere più prepa-rate?

«Ritengo che l’Universitàdebba essere il luogo della

StoricaEmmaGiammatteiintellettualedella città

Network e reti globaliCaglioti, l’accademica 2.0«Tra Princeton e Harvard, la mia casa è Napoli»

S i potrebbe chiamarlaun’accademica 2.0, unadi quelle persone spe-ciali che all’autorevolez-

za scientifica universitaria af-fiancano la capacità di costruirenetwork e reti globali. Nata inCalabria, a Lamezia Terme, Da-niela Luigia Caglioti – Gia pergli amici e i colleghi – è una cin-quantenne dall’aria da ragazza,un’attitudine cosmopolita e uncurriculum professionale da fa-re invidia. E’ professore ordina-rio di Storia contemporanea allaFederico II, è in vari direttivi eriviste storiche internazionali,parla perfettamente tre lingue etrascorre molti mesi all’anno al-l’estero, tra Princeton, Harvard,Friburgo e Londra. Ovunque cisia un corso da tenere, un con-vegno da organizzare o una ri-cerca da portare avanti.

L’Università a Napoli era laprassi per molti giovani cala-bresi della sua generazione.Com’è stato l’incontro con lacittà?

«Sono cresciuta facendo po-

litica, volontariato, divorando iromanzi comprati a Cosenza damia zia, perché fino ai 16 anni dilibrerie a Lamezia Terme non cen’erano. Studiare fuori era nor-male ed era eccitante: indipen-denza, autonomia, libertà. Sonoarrivata nel novembre del 1980,due settimane prima del terre-moto, in tempo per sentire lascossa. Fu drammatico ma nonmi fece scappare. Scappai inve-ce da giurisprudenza dopo unanno di noia. All’epoca mi sem-brava che il diritto non mi dessemolte chiavi per capire il mon-do che mi circondava. Oggi unaparte dei miei studi deve mol-tissimo al diritto e ai giuristi,ma a vent’anni cercavo altro e lotrovai prima nella facoltà di let-tere e più tardi nell’Europa inminiatura (allora era a 12 mem-bri) dell’Istituto UniversitarioEuropeo di Firenze dove ho fat-to il dottorato in un ambienteinternazionale vivace e stimo-lante».

Ha studiato le elitè cala-bresi e gli imprenditori stra-

nieri a Napoli nell’’800, c’èuna figura femminile che l’hacolpita?

«Ho incontrato tante donnenelle mie ricerche, tutte interes-santi e fondamentali come edu-catrici, protagoniste, spesso si-lenziose, di scelte e strategie fa-miliari, puntellatrici di patri-moni e salvatrici di imprese inbilico. Forse tra quelle più inte-ressanti c’è Harriet Grey Meuri-coffre, moglie del banchiereTell, una donna colta, appassio-nata di politica, che segue contrepida partecipazione le vicen-de risorgimentali, il collasso delRegno delle Due Sicilie e l’unifi-cazione italiana».

Trascorre buona parte del-l’anno all’estero, è una neces-sità solo professionale?

«È soprattutto un modo perraccogliere altri stimoli, permettere in rete le proprie idee.L’università italiana, con la sua scarsa mobilità, a volte può es-sere un po’ soffocante».

Però ha preferito restare aNapoli…

Chi è Daniela Luigia Caglioti (Lamezia Terme, 1962) è professore ordinario di Storia Contemporanea nel Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Napoli Federico II.Si è laureata in filosofia alla Federico II nel 1985. Ha conseguito due dottorati ed è autrice di diverse pubblicazioni. Attualmente sta svolgendo una ricerca su Cittadinanza e trattamento dei cittadini di nazionalità straniera durante la prima guerra mondiale.

«Ho avuto molto da questaUniversità e ho il dovere di resti-tuirle qualcosa. E poi grazie allarete, alla nostra bella bibliotecadigitale per cui non ringrazieròmai abbastanza i colleghi che sene occupano, Napoli si è avvici-nata al mondo».

Esiste ancora in ambito ac-cademico un problema legatoal genere?

«Le donne fanno più fatica ascalare le gerarchie. Ma è que-stione di tempo. Oggi assistia-mo a chiusure che sono chiara-mente colpi di coda di maschiche vedono il loro mondo sbri-ciolarsi. Non può durare ancoraper molto».

A cosa sta lavorando in que-sto momento?

«Mi sto occupando di quelloche succede agli immigrati, aglistranieri, in tempo di guerra,ma anche ai cittadini di originenemica. L’idea mi è venuta do-po l’11 settembre 2001. Mi sonoposta il problema di capire co-me nelle società contempora-nee si risolve il dilemma sicu-rezza/libertà-diritti in una si-tuazione di emergenza, e comein tempo di guerra si ridefini-scono le appartenenze e i confi-ni della cittadinanza».

E nel tempo libero cosa fa?«Leggo romanzi e passo la

notte a guardare intere serie tele-visive, un episodio dopo l’altro».

Raffaella Leveque© RIPRODUZIONE RISERVATAGia per gli amici Daniela Luigia Caglioti

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NA6 Giovedì 21 Luglio 2016 Corriere del Mezzogiorno

Etica e impresa

Dora Affinita: «Lavoriamo con Fiatsenza dimenticare l’aiuto agli ultimi»

Dall’azienda campanadi componenti auto, che esporta in tutto il mondo, è nata la fondazioneche segue Casa di Rut

Dalla partedei bambiniIn alto, il progetto Mammutbus della FondazioneAngelo Affinita. A lato, Dora Affinita con i figli Mariangela, Antonio e Giovanni

«L’ amore vince sututto. La vita èspesso fatta dierrori, è impos-

sibile essere perfetti, ma che sifaccia impresa o tutt’altro il cuore deve essere sempre alposto giusto. Si deve sempreessere pronti a crescere e mi-gliorare. Mio marito Angelo,diceva sempre che l’aziendadeve essere un bene sociale.Che è sempre l’uomo a fare ladifferenza. Non a caso si defi-niva ottimista e anche reali-sta». A parlare è Dora Affinitache assieme ai figli Mariange-la, Antonio e Giovanni guida ilgruppo Sapa azienda campanaleader nella costruzione dicomponenti per auto, con unfatturato che supera i 120 mi-lioni di euro, che dalla sedecentrale e storica di Arpaia, nelBeneventano, lavora con mar-chi quali Fiat, Ferrari, Masera-t i , L a n c i a , A l f a Ro m e o ,Volkswagen e tanti altri. Il tut-to nel rispetto del World ClassManufacturing, strategia chetiene particolarmente contodella sicurezza sul lavoro, del-l’ambiente, puntando al mi-glioramento continuo ed eli-minando gli sprechi pur ga-rantendo al cliente la cosid-detta top quality II segreto? Il

metodo di lavoro, il coinvolgi-mento dei dipendenti. Piùsemplicemente il modo diconcepire l’azienda. «I nostriragazzi devono credere in quelche fanno, nelle sfide del futu-ro, per dare il cento per cento.Questo può accadere solo peròse c’è il giusto dialogo all’inter-no di un’azienda. Se si condivi-dono idee e valori».

Valori che non si fermanoall’azienda. Proprio in memo-ria di Angelo Affinita è nata

nel 2010 la Fondazione AngeloAffinita Onlus. «La nostra ideaera raccogliere l’eredità umanadi mio marito e continuare adiffondere i principi etici chehanno ispirato la sua vita, rim-boccandoci le maniche e par-tecipando a progetti attivi,proprio come faceva lui». Co-me nel caso del progetto che livede collaborare con Casa di Rut che accoglie giovani don-ne migranti sole o con bimbiche scappano da situazioni di

grande difficoltà e sfrutta-mento e che possono trovareuna seconda possibilità oltre acure mediche e tutto quello dicui hanno bisogno per rimet-tersi in piedi. «In particolaredal 2015 sosteniamo il proget-to “Adotta un mamma col suobambino”, pensato per le gio-vani donne che cercano rifu-gio da gravissime situazioni disfruttamento e violenza, men-tre con padre Renato Chiera,fondatore della Casa do Me-nor, in Brasile diamo una ma-no ai bambini delle favelas,salvati dalla strada dagli squa-droni della morte. E poi ci pia-ce ricordare Creattiva con cuidiamo una possibilità ai mino-ri in carcere, offrendo loro unaprospettiva concreta di reinse-rimento grazie a corsi di for-mazione professionali. Inoltreappoggiamo il MammutBus,che a bordo di un camper, chesi chiama ludobus, aiuta i bim-bi dei quartieri più disagiati diNapoli».

Paola Cacace© RIPRODUZIONE RISERVATA

I soli che possono amarmi sono quelli che soffrono

(Anna Maria Ortese)

Chi è

Dora Affinita assieme ai figli Mariangela, Antonio e Giovanni , guida il gruppo Sapa, leader nella costruzione di componenti per auto. Nel 2010, in memoria di Angelo Affinita, è nata una fondazione che collabora con la Casa di Rut nel sostegno a donne e bimbi migranti. L’azienda ha un suo codice etico e si muove tra tutele, diritti e solidarietà

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Corriere del Mezzogiorno Giovedì 21 Luglio 2016 NA7

Sociale e integrazione

«C hi siamo? Siamodonne e uominich e l avor a n onella economia

della reciprocità, assumiamola sfida delle buone pratiche apartire dalle relazioni, quellepersonali e quelle delle reti lo-cali. Siamo imprenditori edimprenditrici che cercano ma-estri e maestre per lavoraresulla interdipendenza e sullafragilità, sulla innovazioneeconomica e culturale, in con-tinuità con la cultura materialedella migliore tradizione delMezzogiorno. Assumiamo losguardo europeo guardandola Storia dal Mediterraneo, datutte le sue straordinariesponde culturali». È la rispo-sta di Salvatore Esposito a chigli domanda di descrivere 35anni di storie, pluralità di per-sone che hanno costruito co-munità locali sostenibili, cam-biato il corso di vite spezzate, creato opportunità dove c’era poca speranza, accolto chi eradisorientato. Trentacinqueanni di Mediterraneo sociale, la società consortile di cuiEsposito è presidente.

«Tutto cominciò nel ’79 delsecolo scorso – racconta Espo-sito -. “Sostenuto da convinci-menti di speranza ciascuno as-solva con coraggio il propriocompito”, diceva Papa Wojtylanella sua visita a Napoli. PadreSantucci insegnava, allora, inuna scuola della borghesia na-poletana, da dove, però, pote-va vedere gli “scugnizzi” cheincominciavano a delinquere

e a perdersi nell’eroina per lestradine dei quartieri spagno-li, proprio sotto corso VittorioEmanuele. Ebbe il coraggio diandar via e trovò una fabbricadi cartucce a Somma Vesuvia-na, sotto un maestoso Pioppo.Lì fondò la Comunità per ra-gazzi tossicodipendenti assie-me ad un gruppo di giovaniche, come il prete, volevanosolo cambiare il mondo». Nac-que un’esperienza particolare,controcorrente in quel tempo:si contrastò l’ideologia del

«rinchiudere» e del «punire»:«il pensiero critico e la relazio-ne erano già la traccia che siscriveva, ogni giorno, su per-corsi di responsabilità e auto-coscienza».

A quel volontariato genero-so si associò presto una ideanuova di economia civile e larete delle relazioni di impegnosociale si consolidò in una sto-ria di imprese non profit «conuna qualità fondativa: l’auto-nomia culturale del potere edai governi. Ancora oggi - sot-tolinea Esposito - non siamonella disponibilità di alcunpartito, alcun governo e alcuncandidato. L’impegno civileanticamorra si sostanzia pro-prio nel contrasto all’area gri-gia della corruzione e della po-litica clientelare». Negli anniMediterraneo sociale ha accre-sciuto la propria rete, con im-prese che si riconoscono inquell’insieme di valori solidalie scelgono l’economia sociale,spesso fondandosi sull’inge-gno di donne imprenditrici.Come ad esempio la coopera-tiva Lazzarelle che produce ilcaffè omonimo nel carcerefemminile di Pozzuoli, pro-muovendo lavoro per le donnedetenute; o la piccola rete diassociazioni che gestisconoParco Mediterraneo a SommaVesuviana, un convento ab-bandonato diventato Bibliote-ca di comunità, centro di lettu-ra, giardino sociale e piccolacasa di accoglienza per donnee bambini migranti, un mo-dello per altre tre case famiglie

In campoIl presidente Salvatore Espositoad una manifestazione di solidarietà organizzata dal suo gruppo di lavoro

Gabriella Ferrari Bravo«Una vita tra le storie di famiglia»La psicologa è giudice onorario nel Tribunale minorile

D a oltre trent’anni Ga-briella Ferrari Bravo la-vora con Napoli. Sì,perché durante la sua

esperienza di psicologa, ha vis-suto le diverse anime della cit-tà, dal dedalo di vicoli bui estretti del centro, alle stradeampie e luminose della zonacollinare. Conosce le dinami-che della città e dei suoi abitan-ti, una vita passata a osservare estudiare.

Come inizia il suo percor-so?

«Mi sono iscritta all’universi-tà nel 1967 e mi sono laureata infilosofia nel 1971, a Napoli. Lasvolta del ’68 ha quindi coincisocon gli anni della mia formazio-ne. Era un periodo speciale, chistudiava psicologia aveva a chefare con giganti come Basaglia(L’istituzione negata è del ’68) egià nel ’61 Goffman con Asylumaveva rotto il silenzio sulle isti-tuzioni totali: carceri, manico-mi, orfanatrofi. Tutti “luoghi”della psicologia e della psichia-tria».

Sono stati anni straordinariche hanno segnato una svoltaepocale, anche per la nostracittà.

«Napoli era una città piena difermenti. Sergio Piro, uno deifondatori di Psichiatria demo-cratica, dalla metà degli anni’70 fu direttore prima del Leo-nardo Bianchi e poi del Frullo-ne, i due ospedali psichiatricidella città, iniziandone l’operadi smantellamento sancita poinell’78 dalla legge Basaglia.Erano luoghi cupi, di dolore edi schiavitù. Per capirlo basta andare al Bianchi, vedere le ma-cerie dei reparti, le sbarre. Era-no anni entusiasmanti, si respi-rava il nuovo il ogni campo. Poisono venuti gli anni di piomboe il terribile terremoto dell’80.Ne antivedemmo gli effetti dal-l’osservatorio del carcere mino-rile, dove allora lavoravo: interegenerazioni di ragazzi e ragazze

allo sbando, “deportati” inscuole, chiuse per alloggiare glisfollati, comunità intere deva-state. E i nuovi quartieri, comeScampia, oggi, a più di trent’an-ni, infettate da una camorrasempre più aggressiva, che uti-lizza giovanissimi, ragazzini,per imprese criminali da fareimpallidire».

Non solo minori nella suavita professionale, anchel’esperienza con le donne l’hamolto segnata.

«Dopo il primo incarico pro-fessionale nel carcere minoriledi Nisida ho lavorato con le ra-gazze a Pozzuoli e ad Airola. Èstato a quell’epoca che ho avutoil primo impatto con la violenzasulle donne, uno scenario sulquale ancora si muove una par-te della mia attività.Il carcere èuno dei luoghi in cui s’incon-trano persone stando seduti susedie assai scomode, compresaquella degli psicologi. I raccon-ti, nel carcere, sono spessomolto somiglianti alle tramenoir. Anche nei servizi dell’Asl,in cui ho lavorato con le fami-glie in conflitto, le storie sem-brano spesso incubi ad occhiaperti».

Quanto è importante lavo-rare sul campo, conoscere lerealtà da vicino?

«Le competenze le ho appre-se quasi tutte sul campo, lavo-rando e confrontandomi con icolleghi. È molto importantefar parte di un gruppo in cui sipossa fare “supervisione” reci-proca. Per me è essenziale lavo-rare in affiancamento, soprat-tutto nella clinica. Ridotto al-l’osso, il cuore del lavoro clinicosi può definire così: un incon-tro tra persone che lavoranoper il cambiamento. Le parolechiave sono relazione e recipro-cità. Può sembrare una sempli-ficazione, ma il nucleo del lavo-ro terapeutico è questo: sedersiin una stanza con qualcuno edessere disposti ad accoglierequalunque racconto, cercarne ilbandolo per cambiare il finaledella storia».

Il personaggioLa psicologae psicoterapeutaGabriellaFerrari Bravo

L’impresa sociale

Mediterraneo Sociale è una società consortilee una federazione attivasui progetti internazionali, che garantisce servizi amministrativi e di management, attività di supervisione e investimenti strutturaliai propri entino profit (onlus,coop e imprese sociali) attivi nel mondo dell’esclusione sociale, accoglienzae consulenza per migranti, minori, disabili e detenuti.È una realtà autonomaa livello politico culturalmente laica, forte di oltre 120 operatori,, più di 1.000 utenti e circa 40 Unità operative complesse soltanto in Campania.

Per tutte le violenze consumate su di lei: in piedi signori, davanti a una donna!

(William Shakespeare)dirette da donne; o ancora lafiliera delle Fattorie sociali, dicui la prima in Campania (Geairpina) già alla nascita direttada donne.

«La rete della cultura dellalegalità del nostro mondo èstanca dei cerimoniali – ag-giunge il presidente - e denun-cia pubblicamente le conni-venze del potere con l’area gri-gia: il nostro presidio di Libe-ra, non a caso, diretto da unadonna, è intitolato a Rita Atria,l’adolescente che seppe anda-re contro le mafie dei suoi ge-nitori, diventando figlia adot-tiva di Borsellino. La nostra Associazione Giancarlo Sianied il nostro centro Studi, diret-ti da donne, pubblicano Eco-nomia è cura di Ina Praetoriuse propone a tutta la nostra retela riflessione ecumenica diCristina Simonelli, quella ur-banistica di Sandra Bonfiglio-li, quella economica di Anto-nio Genovesi e Manlio RossiDoria, quella filosofica di Lui-sa Mauraro e Lia Cigarini».Una rete solidale di donne euomini che «non hanno nél’ansia, né l’obiettivo di diven-tare grandi centrali di associa-zioni e cooperative. Nella no-stra visione e missione - con-clude Esposito - la rete dellerelazioni culturali globali deveessere sostenuta dalle realtàimprenditoriali locali, demo-cratiche e partecipative, picco-le e qualificate territorialmen-te».

Laura Cocozza© RIPRODUZIONE RISERVATA

Dopo avere conosciuto e os-servato i suoi figli, che rap-porto ha con Napoli?

«La mia città la sento simile ame, allergica alle regole strette.È spiazzante, è come entrare nelmondo psichico dell’”altro”. Mail lavoro psicologico deve tenerconto del contesto “coagente”,altrimenti fallisce. Per questo èimportante sentire la città, co-me capire la struttura familiare,con un’attenzione continua alcambiamento sociale. S’imparamolto, non solo dalle ricerche,ma anche da romanzi comequelli di Elena Ferrante o di DeGiovanni. A volte penso, ereti-camente, che la letteratura, co-me il cinema, l’arte figurativa, siano chiavi di lettura di patolo-gie sociali e individuali superio-ri a qualunque altra».

Per concludere: ora cosa faGabriella Ferrari Bravo?

«Il mio impegno professio-nale, oggi, continua come giu-dice onorario del Tribunale peri minorenni. Malgrado la mialunga esperienza, sto ancoraimparando molto. È un lavoroduro, che si confronta condrammi e tragedie in cui sonocoinvolti bambini. E si ha sem-pre la sensazione di arrivaretroppo tardi, o di non fare atempo a modificare situazionipericolose».

Walter Medolla© RIPRODUZIONE RISERVATA

Chi è

Napoletana, Gabriella Ferrari Bravo è una psicologa e psicoterapeuta. Dal 2001 è responsabile del «Centro per le famiglie di Napoli».

Attualmente è coordinatrice scientifica e docente de master in «Mediazione familiare in ambito istituzionale» di Napoli e giudice onorario al Tribunale per i minorenni di Napoli. Ha lavorato per gli istituti e servizi del Ministero di Grazia e Giustizia

La formazioneMi sono laureata nel 1971e la svolta del ‘68ha coinciso con gli annidella mia formazione

Mediterraneo Da Napoli il riscatto dei deboliLa società consortile ha ampliato la propria rete anche con l’ingegno di imprenditrici e manager Tra i partner la cooperativa Lazzarelle e le associazioni che gestiscono il Parco di Somma Vesuviana

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NA8 Giovedì 21 Luglio 2016 Corriere del Mezzogiorno

Economia e tech

«S enza cultura nonsi fa impresa»: èq u e s to ce r t a -mente uno dei

principi chiave della vita e del-l’attività lavorativa di StefaniaBrancaccio, vicepresidente diCoelmo (Costruzioni Elet-tromeccaniche Monsurrò) Spa,azienda che produce Gruppielettrogeni industriali e mari-ni, fondata a Napoli nel 1946 daMario Monsurrò, Cultura inte-sa come studio e preparazione,ma anche come conoscenza disé e dell’altro da sé, che porta diconseguenza a valorizzare ilpatrimonio umano arteficedella crescita aziendale. «Se inun’azienda togli le persone, re-stano solo tavoli, sedie e pc. Ecosa ci fai? - dice l’imprenditri-ce, nominata Cavaliere del la-voro nel 2009 -. Tra quelle per-sone ci sono uomini e donne,con bisogni diversi, dovuti a fi-siologiche differenze. E sonoproprio le differenze che vannovalorizzate. Per essere impren-ditori e non “prenditori” biso-gna assumersi la responsabili-tà sociale e basare il propriooperato sull’etica del lavoro.Non ci vogliono grandi investi-menti, ma bisogna formare lecoscienze. E i risultati, anche intermini di redditività azienda-le, si vedono».

Laureata in Lettere e filosofiaall’università Federico II di Na-poli e specializzata in psicope-dagogia dell’età evolutiva pres-so il Magistero di Torino, Bran-caccio inizia alla Coelmo colla-borando con l’Ufficio esteroper la sua ottima conoscenzadella lingua inglese, essendo dimadre americana. «Era il 1973ma già la Coelmo era proiettatasui mercati esteri, per cui co-minciai a tradurre testi e docu-menti necessari. Mi appassio-

nai al lavoro in azienda e decisidi proseguire, appoggiata damio marito Domenico. Miamadre e i miei fratelli inveceerano perplessi: Ma è un lavorodignitoso?” mi chiedevano».Certo, una laureata in filosofiache entra in uno stabilimentodi tute blu, negli anni di piom-bo, era cosa insolita. «Sì, hoavuto coraggio allora, ma nelsenso che intendeva Ambroso-li: “avere coraggio non è essereeroi”, bensì vuol dire essereuna persona normale che vuo-le lavorare e vivere la propria vi-ta in pieno». Ha iniziato «dalbasso» con molta umiltà, stu-diando tantissimo: si specializ-za in gestione della qualità,della sicurezza, aziendale, e co-sì via, gradino per gradino,senza sconti, fino a giungerealla dirigenza. «Ma non ho maivoluto appiattirmi sul modellomaschile, ho voluto sempremantenere le mie prerogativefemminili».

Partendo dall’idea di agevo-lare la «doppia presenza» delladonna, sul lavoro e in famiglia,Brancaccio ha dedicato quindigrande attenzione alle esigenzedelle lavoratrici e trasformato Coelmo in un riferimento nelcampo del welfare aziendale,dotando l’azienda di un Mani-festo per l’uguaglianza e la va-lorizzazione delle differenze digenere. Inoltre ha adottatoquello a lei piace chiamare «co-ordinamento dell’orario di la-voro» per una più serena con-ciliazione dei tempi di vita fa-miliare. Non solo: l’azienda ga-rantisce una retribuzione equatra uomini e donne per lo stes-so lavoro o di ugual valore, efornisce anche voucher con cuiil lavoratore, uomo e donnache sia, può trovare chi va a pa-gargli le bollette all’ufficio po-stale o una baby sitter per i fi-gli. Un impegno che viene rico-nosciuto anche ufficialmenteda una certificazione di meritoper la qualità, la sicurezza,l’ambiente e, prima azienda inItalia, per la differenza di gene-re. E per il futuro? «Auguro atutti noi un paese che sia ingrado di offrire alle donne didomani un contesto che favori-sca la loro realizzazione sia mo-rale che professionale. Pur-troppo viviamo ancora in unasocietà che vive ancora su pre-giudizi di segregazione femmi-nile. E le donne sono le prime acascarci: la bellezza a tutti i co-sti è il burqa dell’Occidente».

Laura Cocozza© RIPRODUZIONE RISERVATA

In campoStefania Brancaccio (foto in basso) con Papa Francescoe l’ex Capo dello Stato, Napolitano

La sfida di Stefania Brancaccio«L’etica è alla base del lavoro»L’imprenditrice racconta«Per fare funzionareuna grande aziendabisogna soprattuttoformare le coscienze»

Chi è

La manager e imprenditrice è vice presidente della Coelmo di Acerra, società che produce gruppi elettrogeni industriali e marini. Laureata in Lettere e Filosofia presso l’Università «Federico II» di Napoli, specializzata in psicopedagogia dell’età, la Brancaccio porta avanti da anni le sue battaglie in tutela dei lavoratori, anche all’interno dei sindacati imprenditoriali di categoria, da Confindustria a Federmeccanica, di cui fa parte. Nel tempo promuove l’apertura di sportelli di consulenza per la creazione di aziende al femminile e di altre realtà contro il racket e l’usura fra i quali l’Osservatorio della prefettura di Caserta. Impegnata da sempre nel sociale anche grazie alla «Fondazione in Nome della Vita Onlus», «Casa di Tonia».

Coelmo, tre stabilimenti in CampaniaDagli anni ‘50 un successo basato su innovazione e rigore

T re stabilimenti e settant’anni di espe-rienza in un mix entusiasmante di in-novazione, qualità, rigore e sostenibi-

lità. Da quel primo generatore portatile cre-ato negli anni cinquanta fino ad oggi in cuisostenibilità e rinnovabili sono all’ordine del giorno. È la storia d’eccellenza della Co-elmo. L’azienda, che produce società che produce gruppi elettrogeni industriali emarini, è stata fondata dal 1947 da MarioMonsurrò e negli anni è riuscita a ritagliarsiimportanti quote di mercato operando inambienti molto diversi. Tanto da diventaread oggi un punto di riferimento nel settoredell’energia, soprattutto in campo nautico. Negli anni è riuscita a ritagliarsi importantiquote di mercato operando in ambientimolto diversi: dall’industria al settore del-l’estrazione petrolifera; dalle organizzazioniumanitarie al compartimento militare finoa quello delle telecomunicazioni. Una realtà

che dalla metà del secolo scorso, quando fuaperta la sua prima sede a Casoria, è cresciu-ta esponenzialmente allargando la produ-zione ad altri due stabilimenti, uno a Mar-cianise e un altro a Palomonte. Il segreto?Rigore e innovazione. La realizzazione diuna macchina Coelmo parte, infatti, daun’attenta progettazione delle componenticui fa seguito una simulazione computeriz-zata per verificare la qualità che ormai con-traddistingue il marchio. Un marchio la cuimissione è offrire prodotti altamente inno-vativi. Senza però dimenticare i valori del re-sponsabilità ambientale e sociale. Non a ca-so la missione dell’azienda è sviluppare leaspirazioni: eccellenza, dinamismo, leader-ship, responsabilità e consapevolezza. Esse-re vocati all’eccellenza consapevoli di guida-re un percorso verso il cambiamento.

P. C.© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Le donne son venute in eccellenza di ciascun’arte ove hanno posto cura

(Ludovico Ariosto)

Il primo generatore portatile di Coelmo, 1950

La scommessa vintaNel 1973 mi avvicinaiall’attività economicae grazie al sostegnodi mio marito Domenicoho deciso di proseguire

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Corriere del Mezzogiorno Giovedì 21 Luglio 2016 NA9

Territori e accoglienza

«L ampedusa è co-me una madreche vede arrivarei migranti a piedi

nudi, bagnati. Li vede chinarsiverso la terra per baciarla soloperché sono sopravvissuti almare. È come Davide che mo-stra più forza del gigante Go-lia. È la forza di chi vive suun’isola. Si è allenati alla fati-ca. A risolvere problemi da so-li. Si è pronti ad accogliere chiarriva dal mare, sia esso nau-frago, turista, pescatore o mi-grante. E chi cerca un approdocerto non si aspetta di essereaccolto con le armi ma conuno sguardo di speranza ecomprensione». Giusi Nicoli-ni, sindaco di Lampedusa e Li-nosa, è l’esempio di come sen-timento e politica possano an-dare di pari passo. «Faccio ilsindaco sulla base dei miei va-lori e resistendo perché non èche Lampedusa sia un postotanto diverso dal resto delmondo. Nei confronti delledonne si tende sempre ad al-zare di più la voce, a dramma-tizzare. Eppure le donne por-tano un punto di vista diversoindispensabile. In famiglia,nel lavoro. E nella politica. Ledonne che fanno politica sonoportatrici sane di visioni, sen-

timenti e passioni unici. Ed ècompito delle stesse donne re-stare vigili. Basta una crisi per-ché i nostri diritti siano chia-mati in causa. Dobbiamo sal-vaguardare le conquiste otte-n u te n e g l i a n n i . C o m e ?Guadagnando autorevolezzaper ciò che si fa sul campo. Eper come lo si fa».

E Nicolini lo fa bene. Nata aLampedusa nel 1961, da sem-pre è impegnata per la salva-guardia dell’ambiente portan-do avanti la convinzione che le

aree protette non debbano es-sere precluse all’uomo ma cheil segreto della salvaguardiaambientale sia nel giusto equi-librio. E poi c’è la questionemigranti che ormai nell’im-maginario collettivo fa parte diLampedusa stessa. «È norma-le che la situazione gravi sullacittadinanza. Un’isola che ècontinuamente testimone deldolore e del lutto vive male.Soffre. Lampedusa ha vissutoquest’emergenza da sola peranni ma non è giusto. Il para-

Giusi Nicolini «Basta politici egoisti»La sindaca di Lampedusa: «Le immigrate spesso arrivano mutilate e violentateNoi ospitiamo tutti, non possiamo condannarci a vivere un mondo senza umanità»

Aiuti convergenti«Ci sono tante comunità che si occupano di donne ma sono piccole realtà, il nostro compitoè metterle insieme»

Chi è

Giuseppina Maria Nicolini, detta Giusi, è sindaca di Lampedusa dall’8 maggio 2012. Nata a Lampedusa il 3 maggio del 1961, si è distinta per la militanza attiva all’interno di Legambiente e per l’impegno civile dedicato al suo territorio. A questo si aggiunge sensibilità, politica che ne ha fatto un simbolo di accoglienza

Qui tocca a me/decidere/ come sarò/nel sogno che mi assegno

(Patrizia Cavalli)dosso è che basterebbe un ri-sposta solidale per far scom-parire l’emergenza. Penso alle11mila persone dietro il filospinato a Idomeni. Undicimilapersone sono come una goc-cia nel mare per l’Europa macerto non per una piccola real-tà di poche centinaia di abi-tanti. E invece si continua a farpolitica con egoismo». E inparticolare l’impegno di Nico-lini è per le donne. «Spesso ar-rivano mutilate, violentate conla paura di essere deportate,sfruttate, rese schiave, blocca-te nella spirale infernale del ri-fiuto. Ci sono tante comunitàche se ne occupano ma sonospesso piccole splendide real-tà prive di mezzi che vannoavanti a colpi di dedizione. Ec-co, la mia idea è di collegarle eaiutarle a lavorare insieme.Con un pizzico di speranza.Non possiamo condannarci avivere in un mondo senzaumanità. Non è un caso se il 13luglio è stata inaugurata StarS,mostra subacquea unica nelsuo genere di Salvo Galano checon le sue foto ha raccontato 12storie di rifugiati che hanno vi-sto nel mare l’ultimo ostacoloverso la libertà».

Paola Cacace© RIPRODUZIONE RISERVATA

Migranti Una delle foto della mostra StarS sui rifugiatiche ce l’hanno fatta e, a lato, Giusi Nicolini

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NA10 Giovedì 21 Luglio 2016 Corriere del Mezzogiorno

Arte e ambiente

È’ a Scario, impegnata afare la nonna. «Hocinque nipoti, dai 14ai 2 anni. In questi

giorni sono con i più grandiche mi impegnano relativa-mente. Fra un po’ arriverannodal Belgio anche i piccoli».Maria Rosaria de Divitiis, Misaper quelli che la conosconobene, affronta gli impegni fa-miliari e quelli professionalicon lo stesso spirito deciso esereno. Ad osservarla sembrache tutto sia semplice: tenere abada un gruppo di adolescentio guidare con mano ferma ilFai, dopo essere stata per anniSoprintendente archivistica della Campania, prima di esse-re nominata direttore dell’Ar-chivio di Stato. «Il Fai è arriva-to per me appena sono andatain pensione — ricorda —. Nonmi hanno dato tregua: nel giu-gno 2009 il congedo dal lavo-ro, ad ottobre il Fai. Mi avevapreceduto Federico Pepe, cheinsistette perché accettassi unincarico per il quale mi aveva-no voluto fortemente anche aMilano. Ho appreso in seguitoche chiesero notizie sul mioconto a Marina Colonna e aMariella Utili».

Come è stato questo saltonel vuoto?

«Considero la presidenzaregionale del Fai un grandeonore, mi sono legata a questoimpegno. È un’organizzazioneseria, trasparente, che coinvol-ge persone qualificate e labo-riose e che è organizzata pro-prio come un piccolo ministe-ro. Per me che vengo dal mini-s t e r o e c h e c o n o s c o l elungaggini della burocrazia èun miracolo di efficienza e ve-locità. Ricordo di una bruttascultura che avrebbero volutomettere a Procida: ci chiama-rono, ci segnalarono la cosa eriuscimmo ad arginare in po-chi giorni il problema».

A Napoli e in Campania ilFai prima del suo arrivo avevauno spessore diverso.

«Era poco presente e avevapochi iscritti. A Napoli menodi Salerno, circa 8/900, e oggisono 3/4mila quelli che paga-

Fra i luoghi simbolo che ilFai apre c’è Villa Rosebery.Come l’ha conquistato?. l

«Villa Rosebery è ecceziona-le. Noi l’abbiamo sempre aper-ta nelle giornate Fai grazie allarisposta positiva che Napolita-no ciclicamente mi dava. Io gliscrivevo e lui autorizzava le vi-site: un giorno per gli iscritti alFai, uno per i napoletani. È cosìdiventata una tradizione».

E come ha ottenuto che laVilla venisse concessa al Faianche in altri giorni?

«Ad ottobre ho scritto alnuovo presidente, chiedendoche mantenesse la cortesiache ci era stata in passato ac-cordata e poi mi sono spintaoltre. E ho chiesto se era pos-sibile fare visite guidate in al-tri momenti dell’anno con igiovani del Fai. Lui ha detto sìed io ne sono stata felicissima.Abbiamo organizzato quattro

giornate e stiamo pensando anuovi appuntamenti puntan-do proprio sui giovani. Il Qui-rinale ed il Fai guardano conmolto interesse al coinvolgi-mento dei ragazzi. Il mio au-spicio è far diventare le aper-ture di Villa Rosebery regolarie destinarla, nel periodo in-vernale, alle visite per le scuo-le. A settembre abbiamo un’al-tra apertura straordinaria pri-ma di partire con questo nuo-vo progetto».

Il Fai è partner di CasaCor-riere, che per un giorno tra-sforma sei luoghi simbolodella città in un giornale.L’apertura emozionante èavvenuta proprio nella Bi-blioteca dei Girolamini.

«Ad ottobre, in occasionedelle Domenica di carta, il pro-curatore della Repubblica Pi-scitelli manifestò l’intenzionedi riaprire a condizione che il

Fai garantisse l’accoglienza.Con il sostegno dei carabinierigestimmo tutto con tranquilli-tà e venne esaltata la vera fun-zione dei giovani del Fai. Ci sia-mo ritrovati per CasaCorriereed è stato emozionante e ripro-varci con al fianco un giornale.Etica, bellezza, narrazione. E’stato come fosse la prima voltaun’esperienza per noi del Faicosì esclusiva di entrare in unarete che dal giornale parla di-rettamente alla gente».

Qualche ostacolo ancorada superare?

«Qui da noi non c’è culturadei lasciti, delle donazioni, dell’affidamento al Fai del pa-trimonio che altrove è invecefortissimo. Basta guardare unacartina sul nostro sito. Al Nordil Fai prende un bene, lo ri-struttura, lo gestisce, ci faeventi, ci guadagna. Dolce &Gabbana hanno dato soldi aVilla Pignatelli, alla chiesa apiazza San Gaetano ... questacultura il Fai da tempo ce l’ha ela pratica in pieno. Però a Na-poli non funziona così... dissi alla Crespi, che insisteva con ilasciti, che come minimo aduna mia richiesta del genere inapoletani avrebbero fatto le corna. Qui la gente si vuole te-nere la roba sua e si fa cadereaddosso i palazzi, che vanno inmalora».

Le manca la sua attività al-l’Archivio di Stato?

«Sono soddisfatta del mioimpegno di volontario nel Fai.Nel quale svolgo la parte belladel mio lavoro, ma con minoripreoccupazioni amministrati-ve e con alcune variazioni sul tema. A metà novembre GiuliaMaria Crespi porterà a Napoliun convegno sull’agricolturabiodinamica e ha chiesto ilmio sostegno. Evidentementese una donna di tal genere, chestimo in maniera infinita,chiede il mio sostegno vuol di-re che qualcosa ho fatto. Sonosoddisfazioni per una quasi75enne».

Rivela la sua età?«E perché no. Lo faccio con

orgoglio. Sono andata in pen-sione a 67 anni, al limite mas-simo. E ora ho questo impegnototalizzante. Sarebbe facile far-si due calcoli. E io non ho alcunmotivo per nascondermi die-tro alcuna bugia».

Anna Paola Merone© RIPRODUZIONE RISERVATA

Genius lociMaria Rosaria de Divitiis con il presidente Fai Andrea Carandini e con Giulia Maria Mozzoni Crespi. In alto, il Fai ai Girolaminiper CasaCorriere

De Divitiis: «Vi racconto il mio Fai»L’ex soprintendente: «Un onore la presidenza regionale, puntiamo sui giovaniper aprire i siti storici. Con CasaCorriere ai Girolamini un’esperienza unica»

Niente donazioniQui da noi purtroppo non esiste la cultura dei lasciti che altrove invece è fortissima

Villa Rosebery La residenza presidenziale al Fondo per l’ambienteIl 24 settembre apertura straordinaria della dimora. Saranno ammesse 300 persone

Chi éMaria Rosaria de Divitiis, Misa per gli amici, salernitana, classe 1942, è laureata in Lettere moderne.Con due figli, Corrado e Annalisa, già all’età di trenta anni eraalla guida dell’Archivio di Stato della provincia di Isernia. Dal 1966 vive a Napoli, dove ha svolto anni intensi di impegno scientifico ed organizzativo per il Ministero per i Beni Culturali che si è concluso come dirigente del Ministero, per cui è stata soprintendente archivistico per la Campania e poi direttore del Grande Archivio di Stato. Dal novembre 2009 è presidente regionale del Fai, ruolo che svolge con passione e che l’ha portata ad ottenere la riapertura di Villa Rosebery per le Giornate di Primavera

N on solo nelle giornateFai di primavera, VillaRosebery è stata ria-perta grazie all’impe-

gno del Fai ma anche per altriquattro giorni questa estate.

La residenza presidenzialedi Napoli, un gioiello neoclas-sico incastonato sulla collinadi Posillipo al quale si accededalla discesa che porta verso ilmare, è stata inserita nel-l’agenda delle iniziative relati-ve all’apertura al pubblico deibeni della Presidenza della Re-pubblica voluti dal presidenteSergio Mattarella.

Nelle Giornate Fai di prima-vera è stato sempre registratoil pienone, con tante richiesteinevase per la materiale im-

possibilità di accontentare tut-ti i visitatori che avrebbero vo-luto vedere da vicino la casanapoletana del Capo dello Sta-to. Ed ecco l’idea di ampliare lapossibilità di fruizione del be-ne.

La visita si snoda attraversoil parco, che unisce le caratte-ristiche della flora mediterra-nea alla naturalezza di un giar-dino inglese e dove si possonoammirare anche un tempiettoneoclassico e scorci suggesti-vi; si passa poi alla palazzinaborbonica, all’interno dellaquale è prevista una esposizio-ne di documenti ed immaginistoriche; conclude il percorsola darsena, con la visita dellagrande foresteria. L’intera pas-

seggiata fra ambienti internied esterni dura circa due ore ele visite sono state prenotatepresso il sito del Fai e del Qui-rinale in pochissimo tempo.

Le aperture straordinariesono state organizzate il 7maggio, l’11 giugno e sabato 25giugno. La prossima è fissataper sabato 24 settembre e i po-sti disponibili — trecento lepersone ammesse per un gior-no, divise in gruppi di trentache entrano ad orari scaglio-nati — sono già da tempo pre-notati. La visita a Villa Rosebe-ry è gratuita ma è dovuto uncontributo di 1.50 euro.

A. P. M.@annapaolamerone

© RIPRODUZIONE RISERVATA

La bellezza è negli occhi di chi guarda

(Antico proverbio inglese)

Il luogoA sinistra un’immagine di Villa Rosebery, sopra l’internodella casa napoletana del presidente

no le quote e ci seguono».Come fa a coinvolgere tanti

giovani e non solo dame e si-gnori poco presi da figli pic-coli e carriere?

«Cerco di motivare tutti tan-tissimo. In delegazione ci sonoFrancesca Vasquez, Giancarlo Ascione e insegnanti molto at-tivi nelle giornate Fai di prima-vera, in cui vengono coinvolti2.800 ragazzi delle scuole chefanno da apprendisti Ciceroni.Quest’anno solo fra Napoli eprovincia abbiamo aperto ven-ti luoghi coinvolgendo gruppi foltissimi di studenti».

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NA12 Giovedì 21 Luglio 2016 Corriere del Mezzogiorno

L’ammiraglio Howard«Io, piccola ma decisa»Per la prima volta una donna guida la Nato di Napoli«A chi si meraviglia dico sempre: aspettate e vedrete»

Chi é

L’ammiraglio Michelle Janine Howard, nominata alla guida del Comando Nato di Napoli, ha56 anni, sposata, senza figli, 28 anni di servizio nelle Forze armate e finora vicecapo della Marina. E’ la prima volta che una donna ricopre questo incarico

«Q ui parla l’am-m i r a g l i oHoward». Die-tro questa bre-ve battuta di

“Captain Phillips: attacco inmare aperto”, film del 2013con Tom Hanks, si nascondeun mondo. Quello che vedeuna donna da primato a capo del Comando Nato Interforzecon sede a Napoli. Si tratta del-l’ammiraglio Michelle Janine Howard, 56 anni, californiana,che è stata la prima donna am-miraglio quattro stelle dellaMarina Usa, la prima donna al-la guida del Comando Nato diNapoli, uno dei due Comandidell’Alleanza Atlantica deputa-to alla stabilità della zona Eu-ro-Atlantica, e la prima afro-americana.

Sposata, 28 anni di servizionelle forze armate Usa, laHoward è subentrata all’ammi-raglio Mark Ferguson lo scorso7 giugno nel corso di una ceri-monia al Jfc Naples, a Lago Pa-tria, Giugliano. Dopo il diplo-ma nel 1978 presso la GatewayHigh School di Aurora, nel Co-lorado, l’ammiraglio ha conti-

nuato gli studi presso l’Accade-mia Navale nell’82 per poi con-seguire un master in Arti eScienze Militari nel 1998. I suoiprimi incarichi a bordo sonostati sulle navi Uss Hunley eLexington per poi aggregarsinel ’90, all’equipaggio della UssMount Hood come primo tec-nico partecipando a operazioninote anche alle cronache come

Desert Shield e Desert Storm. Dopo una serie di altri inca-

richi nel ’99 è diventata la pri-ma donna afroamericana a co-mandare una nave della Mari-na Usa, ossia la Uss Rushmore.Ha poi partecipato alle opera-zioni di soccorso delle vittimedello tsunami in Indonesia edall’aprile 2009 ha comandatoil Secondo Gruppo SpedizioniTattiche, aggregandosi al tea-tro operativo Centcom dove hacomandato la task Force 151 ele forze di spedizione dellaTask Force 51 impegnate inun’operazione multinazionalecontro la pirateria. Proprioquel la de l f i lm con TomHanks. Era infatti proprio laHoward, tre giorni dopo averassunto il nuovo incarico a gui-dare il salvataggio di RichardPhillips capitano della MaerskAlabama, preso in ostaggio daipirati somali.

Uno dei tanti successi dellaHoward che sin dal giorno delsuo insediamento ha mostratola sua determinazione che ne hanno fatto la donna dei re-cord, che è riuscita ad abbatte-re un tabù dopo un altro e che,alla domanda se fosse stato piùdifficile nella Marina America-na superare i pregiudizi legatial fatto che è una donna o alcolore della pelle, ha rispostosenza esitazioni: «L’unico pro-blema che ho avuto è con l’al-tezza. Spesso mi hanno chiestocome poteva una donna cosìpiccola, così minuta assolvereal compito di comandare tantiuomini. E io dico sempre:aspettate e vedrete».

Paola Cacace© RIPRODUZIONE RISERVATA

Vita militareMichele Janine Howard in vari momenti pubblici della sua intensa e gratificante vita militare. L’ammiraglio è stimata per la determinazione

Potere e diritti

Donna di primatiMIchelle Janine Howard ha conquistato diversi primati: tra cui quello di essere stata la prima donna afroamericana a comandare una nave della Marina degli Stati Uniti d’America

Hard times require furious dancing

(Alice Walker)

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Corriere del Mezzogiorno Giovedì 21 Luglio 2016 NA13

Mediazione e pace

Barrosse «La diplomazia è rosa»Il console americano torna in Usa: «Porto con me un bagaglio di esperienze»

«L a prima donnad i p l o m a t i c aamericana c ’èstata all’inizio de-

gli anni ’20 ma considerate chefino agli anni ’70 le donne delcorpo diplomatico dopo il ma-trimonio erano obbligate a la-sciare il lavoro. E se oggi tuttoè cambiato, se il servizio diplo-matico è completo, è grazie al-le tante donne che si sono bat-tute seguendo tutte le vie lega-li possibili. Anzi vi dirò, quan-do è stata vinta questa sfida èstato bellissimo vedere le stes-se donne, che anni prima ave-vano dovuto a lasciare il lavo-ro, tornare nel corpo diploma-tico. Ed è bello notare come intutto il Governo Federale oggici sia parità di salario, di bene-fici e di opportunità. Abbiamopoi avuto finalmente la primadonna Segretario di Stato conla Madeleine Albright. e poicon la Hillary Clinton e siamoriuscite velocemente a cam-biare il volto alla diplomazia,dando spazio anche alle mino-ranze, che ora è rappresentati-vo davvero del nostro Paese».

A parlare è Colombia A. Bar-rosse, Console Generale degli Stati Uniti d’America che èpronta a lasciare Napoli tra unpaio di giorni dopo la conclu-sione del suo mandato.

Parlando della Albright,ha collaborato con lei vero?

«Si per quasi un anno e de-vo dire che è stato un lavoroimpegnativo ma allo stessotempo meraviglioso perché hopotuto vedere la diplomaziaagire ad alti livelli. Oltre adammirare la sua energia incre-dibile e la sua conoscenza va-stissima. È straordinaria».

Ha citato anche la Clinton.A un passo dalle presidenzia-li Usa, che ne pensa?

«Siamo già nel ventunesi-mo secolo e questo fa di leiuna figura controversa. È qua-lificatissima ma oggi ci sonodonne che hanno dovuto lot-tare tanto per avere pari op-portunità e vedono in una ma-niera molto diversa il poter vo-tare per una donna. Le più gio-vani però hanno una diversa opinione e sono pronte a sce-gliere il loro candidato solo inbase alle loro convinzioni poli-tiche senza farne una questio-ne di genere. Quindi vedremo.Sono curiosa. Tra l’altro segui-rò da vicino queste elezioni,visto che il mio nuovo ruolosarà a Washington dove avrò ilcompito di scegliere chi entre-rà nel servizio diplomatico».

Ad ogni modo l’Americasembra avere una forte con-notazione femminile oggi.

«Sì. Mia madre Arcelia hasempre lavorato. È partita dal-la Colombia quando aveva 21anni per studiare per gli StatiUniti. Erano gli anni Cinquan-ta, non aveva certo un cellularein tasca per chiamare casa. Elei per la mia famiglia è statauna vera e propria pioniera. Ladonna ideale. E quindi devodire che lei, così come d’al-tronde mio padre Marc, hasempre dato per scontato chenoi donne potessimo farequello che volevamo. Rag-giungere il successo in qualsi-asi impresa immaginabile. Macertamente la mia è stata unafamiglia fortunata, non è sem-pre così. Per questo mi colpi-sce particolarmente essermitrovata in contatto, qui a Na-poli e nel Mezzogiorno, comein giro per il mondo, con per-sone coraggiose e straordina-rie che lavorano per protegge-re le donne meno fortunate eanche per dare un’opportunitàalle ragazze. L’opportunità dicostruire il futuro che sogna-no».

Lei è in partenza. Cosaporta con sé a Washington?

«Un bagaglio di esperienzecoinvolgenti. Ogni attimo del-la mia carriera è stato un mo-mento speciale nel suo gene-re. La carriera diplomatica èmolto simile a un mosaico conuna miriade di tessere colorateche vanno a formare un qua-dro splendido che raccontauna vita».

Paola Cacace© RIPRODUZIONE RISERVATA

Alla guida della Nato di Na-poli è arrivata l’ammiraglioMichelle Howard.

«È fantastica. Ha dimostratola sua forza sin da subito e de-vo confessare che un po’ mi di-spiace di essere in partenza enon poter passare un po’ ditempo in più insieme duranteil suo mandato. E poi ritengoimportante che le donne chehanno ruoli di rilievo manife-stino le loro capacità così dadimostrare alle ragazze che sipuò arrivare a essere ConsoleGenerale, o Ammiraglio comenel caso della Howard, se si

crede in se stesse, ci si impe-gna. In questo poi è importan-te anche l’influenza delle fami-glie, com’è stato per me. Ciò,purtroppo, non vuol dire chenel corso della mia carrieranon ci sia mai stato un com-mento inopportuno o politica-mente scorretto nei miei con-fronti. Ma per me fortunata-mente non è mai stato possibi-le anche solo concepire cheun’opportunità non sia data auna giovane in quanto don-na».

Grazie alla sua famigliaper l’appunto?

Stelle e strisceColombia A. Barrosse ritratta con alle spalle una megafoto del presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Lascerà Napoli a giorni per prendere servizio a Washington

Chi è

Colombia A Barrosse è nata a New Orleans ed è cresciuta tra Colombia, Uruguay e Panama dove il padre lavorava per l’United States Agency International Development. Sposata, con due figli , è stata a Santo Domingo, Madrid, Buenos Aires, Parigi e Port-au-Prince prima di arrivare a Napoli.

La guerra non appartiene alla storia della donna

(Virginia Wolf)

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NA14 Giovedì 21 Luglio 2016 Corriere del Mezzogiorno

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Corriere del Mezzogiorno Giovedì 21 Luglio 2016 NA15

Le altre storie Gli uomini sono donne che non ce l’hanno fatta

(Groucho Marx)Michela cambia vitaAddio amore molestoAccolta a Caserta in una casa rifugio«È stata la svolta, adesso sto bene»

M ichela mi aspetta a Caserta,in un appartamento seque-strato alla camorra, sede del-la Casa rifugio per donne vit-

time di violenza. Le volontarie dell’as-sociazione Spazio Donna, che dal 1989lottano contro la violenza di genere, miricevono nel luminoso soggiorno. Do-po pochi minuti, arriva Michela: sguar-do basso, volto segnato dalle violenzepatite e occhi colmi di lacrime. La suastoria inizia in un paesino dove la quo-tidianità delle donne è scandita da unmaschilismo che si subisce come fi-glie, mogli e mamme. Di amore nem-meno a parlarne. Quando può si allon-tana da quella casa e trova un lavoro einizia a sentirsi libera. Una mattina nelbar in cui lavora entra un ragazzo dibell’aspetto e modi garbati. È amore aprima vista. Cominciano a frequentarsie lei rimane incinta.

Ma Vincenzo, l’uomo che ama, co-mincia a bere, diventa geloso e violen-to. Così Michela diventa bersaglio dellefrustrazioni del marito e basta un nullaper scatenare l’inferno. È sola, ma sop-porta per amore di suo figlio. Passanogli anni e Vincenzo diventa violento an-

che con il bambino. Qualcosa scatta inMichela che va dai carabinieri, ma nonci sono abbastanza elementi per proce-dere contro il marito. E così Michelascappa. Il figlio però le chiede di torna-re a casa e Vincenzo le giura di esser pronto a cambiare.

Tre mesi più tardi rientra dal lavoroprima convinto di trovare la mogliecon l’amante. Non c’è nessun amantema Vincenzo la invita a fare quattropassi. Salgono in auto, dopo pochi me-tri il primo pugno e la folle corsa versouna zona isolata dove Vincenzo trasci-na Michela fuori dalla macchina, lagetta a terra e comincia a prenderla acalci e pugni. Il pomeriggio un uomoche fa jogging nota qualcosa in uno deifossati ai margini della strada. Non è lacarcassa di un cane ma Michela. Vin-cenzo è arrestato per tentato omicidio.

Dopo il ricovero in ospedale e l’ope-razione per ricostruire parte del viso devastato, l’arrivo alla Casa rifugio doveMichela è accolta come una sorella. Iprimi tempi sono difficili perché ladonna sente la mancanza del figlio, af-fidato ai nonni. In seguito la situazionecambia e nonostante le ferite cominciauna nuova vita. Oggi Michela sta bene:è a casa del fratello e suo figlio è con lei.

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di Gianfrancesco Coppo

«Ma tu sì sempe tu» Canto triste per MariaPassione, tradimento, violenza e rinascitaDopo l’incubo ritrova il sogno di bambina

«L’ unico giorno che mi hafatto felice è stato quan-do l’hanno ammazzatosotto casa perché forse

aveva sgarrato». Così , impietosa, Ma-ria ricorda Pasquale, il suo primo mari-to traditore incallito («ci provava contutte e, poi, mi diceva ma tu sì sempetu»), assoldato ad un clan feroce, face-va tanti … lavori . Neanche un giorno difelicità, o almeno soltanto di tranquilli-tà. Lui usciva e entrava dal carcere di Poggioreale e ogni volta il calvario dellevisite, dell’avvocato, dei carabinieri chela interrogavano.

Le chiedevano notizie sul marito, suisuoi «amici», su di lei che aveva trebambini e certe volte non sapeva nep-pure come fare a sfamarli. Alla fine unacondanna a vent’anni per concorso inomicidio da scontare in un penitenzia-rio del Nord.

(Maria si era fatta una cultura giuri-dica e ne sapeva, dice con ironia, piùdell’avvocato. Più di quel difensore cheaveva lo studio dietro la ferrovia e cheMaria pagava con i soldi che le davanogli amici del marito).

Un lungo periodo quasi felice. Non

c’era più la paura. Lei faceva i servizinelle case delle signore e tirava avanticome poteva quelle creature. A Nataleper loro non arrivava nessun giocattoloma soltanto il pacco della Caritas e ilpanettone delle suore della mensa do-ve lei il pomeriggio andava a lavare perterra.

Improvvisa la scarcerazione. Un ca-villo rimetteva in libertà quell’uomoche la detenzione aveva reso ancora piùviolento, bugiardo e cinico. Finita la pace ricominciava però un po’ di be-nessere. Pasquale aveva ripreso le vec-chie amicizie e tutto era tornato ugualea prima. Poi, forse, lo sgarro e l’agguatosotto casa. I colpi di pistola infiniti cherompono il silenzio di una sera d’inver-no.

Maria non sente dolore. Non piange.Non riesce neppure a parlare. I viciniguardano stupiti il suo silenzio. Pensache quel sangue, che si è fermato sul primo gradino, archivia per sempre ilsogno che aveva fatto da poco più chebambina, a scuola quando aveva cono-sciuto Pasquale spavaldo e seducente.Pasquale che poi gli anni avevano tra-sformato nel suo incubo e che ora era lìcoperto dalla pietà di un lenzuolo chene nascondeva la sconfitta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

di Luisa Cavaliere

Viste da vicino

Giorgia Abeltino è direttore Public Policy di Google Cultural Institute & Google Italy. Nata e cresciuta a Napoli, dove si è laureata in Giurisprudenza alla «Federico II», ha lavorato tra l’altro anche a Sky Italia e NewsCorporation

Giorgia Abeltino

La pugile più forte under 20 è nata a Torre Annunziata nel ‘97. A soli 17 anni conquista la medaglia d’oro a Taiwan, e nell’aprile 2016 ottiene la qualificazione a Rio diventando la prima pugile italiana a un’ Olimpiade.

Irma Testa

A svelare i segreti del caos che guida il mondo infinitamente piccolo delle particelle c’è una napoletana. Classe 1977, all’Università di Innsbruck (Istituto di Fisica Sperimentale) studia le interazioni tra atomi polarizzati.

FrancescaFerlaino

La sua una dinastia di gioiellieri. Tutto inizia nel 1904 con quel primo negozio che diffonderà il prestigioso marchio Rolex tra i napoletani. Con lei il brand di famiglia respira arte e design, per gioielli dall’eleganza eterna.

Gabriella Monetti

Dal Cilento è partita, alla conquista di direttori come Muti, Barenboim e Mehta. Soprano dalla voce di velluto, è ormai regina su palcoscenici internazionali, dalla Carnegie Hall ai nostri prestigiosi Teatro alla Scala e San Carlo.

Maria Agresta

È nata a Pompei nel 1979. Scrittrice e blogger italiana, ha vinto il premio «Ceppo Pistoia» per la narrativa breve, il Premio «Italo Calvino» e il premio «Girulà 2010» per la drammaturgia. I suoi lavori sono stati pubblicati da Einaudi e Laterza.

Rossella Milone

È cresciuta con due fuoriclasse come papà Pasquale e mamma Lucia, per poi formarsi in Germania con Hans Meyer e a New York. Oggi è la felice ideatrice di «Artecinema», appuntamento seguitissimo da esperti, appassionati e turisti.

Laura Trisorio

Da Scampia al tappeto rosso di Cannes. Vincitrice del premio speciale Ubu per «Punta Corsara» e «Hystrio Altre Muse», da «Gomorra» in poi ha collaborato con Garrone anche in «Reality» e ne «Il racconto dei racconti».

Giusy Cervizzi

Una stella Michelin tinta di rosa. Chef casertana che nel 1998 si è messa ai fornellinel ristorante di famiglia,diventando un’ambasciatrice della dieta mediterraneae trasformando la mozzarella di bufala in un viaggio del palato.

Rosanna Marziale

La trentenne latinista dell’università Federico II di Napoli è la più giovane dei ricercatori ad aver vinto l’European Research Council per il progetto Platinum che vuole rivelare l’ignoto potenziale di antichi papiri.

Maria CristinaScapaticcio

V iste da vicino, guardandoal futuro. Donne che si so-

no ritagliate un loro spazio, ri-cevendo eredità, innovando latradizione disegnata da figureche si son distinte nelle articome nella scienza, nella mo-da e nell’impresa. Folto il par-terre delle nuove eccellenze,che qui fotografiamo solo inparte. Non dimenticando chedevono qualcosa a chi ha spia-nato loro la strada: da LiaRumma, grande gallerista e ri-ferimento indiscutibile perl’arte contemporanea non soloa Napoli , come Mirella Barrac-co lo è stata per il recupero delCentro Storico con la suaNapoli99, fino a Rosanna Pur-chia del San Carlo, prima so-vrintendente del teatro liricopiù antico d’Europa. E ancoral’imprenditrice della liquiriziaPina Amarelli e la filosofa An-gela Putino, l’editrice Maria Li-guori e la scienziata Annama-ria Colao, la pianista Laura DeFusco e Angelica Viola, che sidedica con amore ai diversa-mente abili, fino alla stilista Roberta Bacarelli, dal trattoelegante e colorato, solo percitarne alcune. Storie che si in-crociano idealmente alle no-stre, in quel gioco di incontri erimandi che è un Mare di Don-ne. Ne mancano ancora mol-tissime. Non ci fermiamo qui.

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Eccellenzae tenacia:quelle chehanno vinto

7 Sono stati i femminicidi in Campania nel 2014. L’anno prima furono 20

13I centri in Campania aderenti a Rete Antiviolenza 1522

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NA16 Giovedì 21 Luglio 2016 Corriere del Mezzogiorno


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