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va dove ti porta lo chef/1 G d p La “griffe” di Paolo: da...

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+ SPECIALE 23 GIORNALE del POPOLO GIOVEDÌ 25 GIUGNO 2015 Ha mosso i primi passi fra spato- le e sac à poche, ma non chiamatelo “solo” pasticciere: «È molto limitan- te dire di essere specializzato in un solo ramo: bisogna sempre fare di tutto in cucina e io continuerò a far- lo». Per il lui il cioccolato, che adora, «non è tanto passione ma tecnica e precisione», il lievito madre «è come un bambino da coccolare, curare, seguire, conoscere e veder crescere», il burro è il suo ingrediente preferito perché «buono, duttile e caratteriz- zante», lo champagne «è felicità» e il foie gras «consapevolezza, sensibili- tà e… un trampolino di lancio». Già, perché proprio il fegato (che lui tiene a nominare con il termine italiano) potrebbe essere il suo ingrediente segreto – invero tutt’altro che celato – nel piatto del successo. Domani, in- fatti, all’Expo di Milano Paolo Griffa – sous-chef del Piccolo Lago a Verba- nia - rappresenterà l’Italia nella fina- le del concorso San Pellegrino Young Chef 2015, che lo vedrà incrociare i mestoli con altri venti giovani talenti dei fornelli provenienti da altrettan- ti paesi (per la Svizzera ci sarà Martin Elschner del ristorante Sonnenberg di Zurigo). «Mi piacciono e stimolano con- corsi e compe- tizioni perché si mettono in gioco abilità tecniche, di pensiero e di gusto; ci si mette in discussione – ci ha spiegato il 23enne torinese, che all’indirizzo www.paologriffa.com tiene un blog sulle sue esperienze culinarie – Ci si ritrova di fronte e si viene valutati da una giuria (gli chef di fama internazionale Joan Roca, Massimo Bottura, Yoshihiro Narisa- wa, Gastón Acurio, Yannick Alléno, Margot Janse e Grant Achatz, ndr) che ha conoscenze enormi e un pala- to maturato negli anni; avere un loro giudizio è qualcosa di impagabile. Ovviamente voglio vincerlo questo concorso perché darebbe lustro alla mia reputazione: rappresenterebbe una svolta nella mia vita sia persona- le che professionale, perché signifi- cherebbe che qualcosa lo so davvero fare e la strada che sto seguendo è quella giusta. Già poter rappresenta- re l’Italia significa molto per me, ve- nir premiato nella finalissima di un concorso al quale hanno partecipato 3.200 cuochi sarebbe fantastico». “Trippa e Fegato”, questo è il nome del piatto che le ha fatto vincere le selezioni italiane e che presenterà in finale: qual è la sua genesi? In testa avevo un altro piatto, poi però, confrontato con i tempi che stringevano, ho deciso di virare su qualcosa che mi veniva più naturale, ovvero il mondo delle frattaglie. Così ho cercato di valorizzarle, di dar loro un significato, un concetto, un gusto elegante e comprensibile, ho cerca- to di dare a questo piatto un’anima. C’è la trippa, nata inizialmente come elemento radicato nella tradizione che unisce l’Italia da nord a sud. Ho cercato di rinobilitare e dare valore a qualcosa che rischia di finire nel dimenticatoio. Poi c’è il fegato, pro- dotto da un contadino di Mortara (in provincia di Pavia, ndr) nel pieno rispetto dell’oca: il suo fegato, infatti, VA DOVE TI PORTA LO CHEF/1 Viaggio nell’alta cucina italiana Nasce pasticciere, ma evita le etichette ed è un cuoco a tutto tondo. Parliamo di Paolo Griffa, 23enne sous-chef del Piccolo Lago a Verbania e finalista all’Expo del concorso S. Pellegrino Young Chef. non avrà dimensioni enormi perché allevata naturalmente a fichi come nell’Antica Roma. Le verdure, inve- ce, provengono da un piccolo orto vicino a Mergozzo, dove abbiamo il nostro ristorante. E infine qualche al- tro elemento l’ho raccolto qua e là: il foraging (la raccolta spontanea, ndr) e l’immersione nella natura sono una passione che mi sta prendendo sem- pre più. La finale del concorso è a Milano, nell’am- bito dell’Expo: cosa può rap- presentare l’e- sposizione mon- diale per l’alta cucina italiana? L’Expo non è solo cucina per- ché il tema è “Nu- trire il Pianeta”, quindi a 360°. L’alta cucina, in questo contesto, ha grande importanza, sì, ma come lo hanno agricoltori, produttori e industrie di lavorazione. L’alta gastronomia ha un ruolo di portabandiera, portavoce e canale per far conoscere al mondo, perché si può avere a disposizione il prodotto più buono che esista, ma se non viene valorizzato a dovere, inve- ce di acquisire forza, sparisce. In Ita- lia abbiamo un bagaglio culturale sul “Food” che è infinito, quindi l’Expo di Milano è un’occasione da cogliere al volo. Lei rappresenta il presente e, so- prattutto, il futuro dell’alta ga- stronomia italiana: qual è la sua filosofia in cucina? Non voglio avere vincoli: nei miei piatti si può vedere a volte la cucina più tradizionale, altre una più inno- vativa, oppure più semplice, nordica o esotica. Rispetto la nostra tradizio- ne e la porterò sempre con me, anche perché sono le nostre fondamenta, ma da lì si può costruire qualunque cosa. Prima di creare un piatto, un qualcosa che deve interagire con il cliente, voglio conoscere e capire, fare esperienze. Ecco, la mia cucina si basa sulle esperienze personali, applicate. Influenze da altre culture culina- rie, contaminazione, esperien- ze, innovazione: esiste ed esiterà ancora l’alta cucina italiana o bi- sogna parlare semplicemente di alta cucina? No, esisterà sempre la tipicità ita- liana, perché abbiamo dentro di noi un gusto e un attaccamento alla tra- dizione che è molto forte; c’è un baga- glio culturale che deve rimanere. Non sparirà mai la cucina italiana perché il tuo pubblico, per quanto possa es- sere straniero – anche per il 50 o l’80% –, vuole gustare una certa tradizione, non uno stravolgimento totale. In Ita- lia è difficile che un concetto simile, quello dello stravolgimento, attecchi- sca, quindi la nostra cucina avrà sem- pre una forte personalità, un’identità. Ad ogni modo, l’alta cucina che verrà non me la immagino tanto differente da quella di oggi. Mi auguro che sia sempre più aperta, quello sì. A noi, al momento, mi sembra manchi una certa cultura del capire che cosa ac- cadrà: mi piacerebbe esistesse un ri- storante, non necessariamente da tre stelle Michelin, dove si possa servire cibo qualitativamente interessante con una proposta “Food” invitante; un’attenzione particolare al cliente per far sì che si venga capiti dall’av- ventore stesso. Tradizione e prodotto: sono que- ste le radici inestirpabili? Sì, però senza porre vincoli, senza subire l’austerità del concetto. Se tro- vo un prodotto può buono da un’altra parte del mondo, lo prendo e lo utiliz- zo. Io, personalmente, non sono rigi- do, ferreo e ostinato nel voler sfrut- tare a tutti i costi il prodotto italiano. Cerco il meglio e il fatto che in Italia ci siano tanti elementi di altissima qua- lità, fa sì che vengano ancora scelti e, in un certo senso, tenuti in vita. E sarà ancora così in futuro. La “griffe” di Paolo: identità senza vincoli «Mi auguro che l’alta cucina sia sempre più aperta: tradizione e prodotto, ma senza subire l’austerità del concetto» Da Torino a... New York? Paolo Griffa – nato a Torino il 25 luglio 1991 – ha avuto da subito le idee chiare, o quasi: «Sin da giovanissimo sapevo di voler fare il cuoco o il pasticciere – ci ha raccontato –, così, dapprima ho frequen- tato l’istituto alberghiero, lavorando nel tempo libero per una gelateria vicino a casa, poi ho iniziato a fare degli stage qua e là. Durante il terzo anno alla scuola superiore ho lavorato per un mese al ri- storante La Barrique di Torino: lì ho visto e capito cos’era il livello da “stellato”». L’anno dopo, il primo stage all’estero: «In un ristorante in Belgio, dove sono rima- sto due mesi nel pieno del “boom” della cucina molecolare. Ad essere sincero, me ne sono stufato subito, perché l’esaspera- zione del prodotto, attraverso tutte le tec- niche possibili immaginabili, non faceva per me. Ho capito che personalmente era più importante conoscere le tradizioni e l’essenza dei prodotti prima di lavorarli». Durante il quinto anno è poi arrivata la svolta: «Un professore fantastico mi ha seguito attentamente e indirizzato bene, facendomi partecipare a diversi concorsi che, senza falsa modestia, ho quasi sem- pre vinto. Uno di questi era “Io lavoro con Davide Scabin” e il premio era uno sta- ge al Combal.Zero (due stelle Michelin a Rivoli, nei pressi di Torino, ndr). Doveva- no essere solo sei mesi, ci sono rimasto per due anni. Durante l’apprendistato da Scabin ho inoltre vinto per tre volte consecutive il concorso “Champagne e cucina regionale”, che mi ha permesso di viaggiare sul posto, scoprire, apprez- zare e, infine, adorare lo Champagne». Terminata l’esperienza al Combal.Zero, ecco l’opportunità al Piccolo Lago a Verbania (due stelle Michelin), ma non solo... «Grazie allo chef Marco Sacco posso viaggiare molto nel periodo di bassa stagione: ho così lavorato sei mesi a Parigi (dal Chateaubriand al Septime, passando per il Dauphin) e, quest’anno, altrettanti allo Studio di Copenaghen». E la prossima tappa? «Lavorativamente mi sono sempre mosso in Europa, quindi mi piacerebbe scoprire qualcosa di nuovo: Giappone, magari Tokio?, e New York po- trebbero fare al caso mio». (PIERFI) PAGINA A CURA DI Pietro Filippini «Il Piccolo Lago è libertà e sperimentazione» IL RISTORANTE Ma Griffa non succederà a Marco Sacco: «Fra quattro anni farò lo chef, ma non qui» È al Piccolo Lago a Verbania che Pa- olo Griffa esprime la sua arte culinaria. Aperto nel 1974 per desiderio di Ga- stone e Bruna Sacco – genitori dell’at- tuale chef Marco, che con il fratello Carlo gestisce l’attività –, il ristorante, due stelle Michelin dal 2007, regala uno splendido scorcio del piccolo lago (appunto) di Mergozzo, con una sala a strapiombo sullo specchio d’acqua e un giardino incantevole, ideale per aperitivi e banchetti. Il menu mensile – da cinque, otto oppure undici porta- te, più la possibilità di un “viaggio” di ventitré assaggi in un tavolo con vista sulla cucina e i “classici” come il flan di Bettelmatt, il Lingotto del Mergozzo, la carbonara “au koque” o l’anguilla – propone piatti creativi. Il regno, in- somma, dello chef Marco Sacco e del suo sous-chef Paolo Griffa. «Al Piccolo Lago, grazie a Marco, ho grandissima libertà – ci ha spiegato Paolo – Insie- me possiamo provare e sperimentare. Lavoriamo tanto, soprattutto nell’alta stagione, ma riusciamo anche a rita- gliarci momenti di relax da passare in riva al lago e nei boschi soprastan- ti. Sono arrivato al Piccolo Lago nel 2012, occupandomi tutto l’anno degli antipasti. Però i momenti di vuoto, in bassa stagione, mi lasciavano un po’ perplesso, tanto che volevo cambiare aria, ma è allora che Marco mi ha det- to: «I mesi di alta stagione li passi qui, gli altri puoi farli in un altro ristoran- te all’estero. Sai che al Piccolo Lago ci sarà sempre un posto per te quando torni». Così mi ha convinto, lasciando- mi la possibilità di viaggiare, scoprire e fare nuove esperienze». Ci sarà quin- di il Piccolo Lago nel futuro (da chef) di Paolo Griffa? «No, è un ristorante che dovrà continuare per la sua strada; io non mi ci vedo come gestore, perché è troppo grande. È bello, ha una cucina da sogno, ma non lo sento mio. Non è la mia zona, non sono cresciuto qua; certo, vivendoci, ora, sto iniziando a conoscere la gente del posto e i clienti, che però vengono al Piccolo Lago per Marco, non per me». A quando, quin- di, il prossimo passo? «Credo che fra quattro anni, all’età di 27, avrò vissuto le necessarie esperienze e sarò pronto per diventare chef. Sto ancora cercan- do di capire e definire esattamente la cucina che voglio esprimere ai miei clienti. La cucina che segni la mia per- sonalità». (PIERFI) Chef Marco Sacco e Paolo Griffa nella cucina del Piccolo Lago. G d P MILANO Il torinese Paolo Griffa sul terrazzo del ristorante Piccolo Lago a Verbania. (foto C. Castelnuovo) “Trippa e Fegato” è il nome del piatto che Griffa proporrà alla finalissima di S.P. Young Chef. (foto P. Picciotto)
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+ speciale 23GiORNaledelpOpOlOGIOVEDÌ 25 GIUGNO 2015

Ha mosso i primi passi fra spato-le e sac à poche, ma non chiamatelo “solo” pasticciere: «È molto limitan-te dire di essere specializzato in un solo ramo: bisogna sempre fare di tutto in cucina e io continuerò a far-lo». Per il lui il cioccolato, che adora, «non è tanto passione ma tecnica e precisione», il lievito madre «è come un bambino da coccolare, curare, seguire, conoscere e veder crescere», il burro è il suo ingrediente preferito perché «buono, duttile e caratteriz-zante», lo champagne «è felicità» e il foie gras «consapevolezza, sensibili-tà e… un trampolino di lancio». Già, perché proprio il fegato (che lui tiene a nominare con il termine italiano) potrebbe essere il suo ingrediente segreto – invero tutt’altro che celato – nel piatto del successo. Domani, in-fatti, all’Expo di Milano Paolo Griffa – sous-chef del Piccolo Lago a Verba-nia - rappresenterà l’Italia nella fina-le del concorso San Pellegrino Young Chef 2015, che lo vedrà incrociare i mestoli con altri venti giovani talenti dei fornelli provenienti da altrettan-ti paesi (per la Svizzera ci sarà Martin Elschner del ristorante Sonnenberg di Zurigo).

«Mi piacciono e stimolano con-corsi e compe-tizioni perché si mettono in gioco abilità tecniche, di pensiero e di gusto; ci si mette in discussione – ci ha spiegato il 23enne torinese, che all’indirizzo www.paologriffa.com tiene un blog sulle sue esperienze culinarie – Ci si ritrova di fronte e si viene valutati da una giuria (gli chef di fama internazionale Joan Roca, Massimo Bottura, Yoshihiro Narisa-wa, Gastón Acurio, Yannick Alléno, Margot Janse e Grant Achatz, ndr) che ha conoscenze enormi e un pala-to maturato negli anni; avere un loro giudizio è qualcosa di impagabile. Ovviamente voglio vincerlo questo concorso perché darebbe lustro alla mia reputazione: rappresenterebbe una svolta nella mia vita sia persona-le che professionale, perché signifi-cherebbe che qualcosa lo so davvero fare e la strada che sto seguendo è quella giusta. Già poter rappresenta-re l’Italia significa molto per me, ve-nir premiato nella finalissima di un concorso al quale hanno partecipato 3.200 cuochi sarebbe fantastico».

“Trippa e Fegato”, questo è il nome del piatto che le ha fatto vincere le selezioni italiane e che presenterà in finale: qual è la sua genesi?In testa avevo un altro piatto, poi

però, confrontato con i tempi che stringevano, ho deciso di virare su qualcosa che mi veniva più naturale, ovvero il mondo delle frattaglie. Così ho cercato di valorizzarle, di dar loro un significato, un concetto, un gusto elegante e comprensibile, ho cerca-to di dare a questo piatto un’anima. C’è la trippa, nata inizialmente come elemento radicato nella tradizione che unisce l’Italia da nord a sud. Ho cercato di rinobilitare e dare valore a qualcosa che rischia di finire nel dimenticatoio. Poi c’è il fegato, pro-dotto da un contadino di Mortara (in provincia di Pavia, ndr) nel pieno rispetto dell’oca: il suo fegato, infatti,

va dove ti porta lo chef/1 Viaggio nell’alta cucina italiana

Nasce pasticciere, ma evita le etichette ed è un cuoco a tutto tondo. Parliamo di Paolo Griffa, 23enne sous-chef del Piccolo Lago a Verbania e finalista all’Expo del concorsoS. Pellegrino Young Chef.

non avrà dimensioni enormi perché allevata naturalmente a fichi come nell’Antica Roma. Le verdure, inve-ce, provengono da un piccolo orto vicino a Mergozzo, dove abbiamo il nostro ristorante. E infine qualche al-tro elemento l’ho raccolto qua e là: il foraging (la raccolta spontanea, ndr) e l’immersione nella natura sono una passione che mi sta prendendo sem-pre più.

La finale del concorso è a Milano, nell’am-bito dell’Expo: cosa può rap-presentare l’e-sposizione mon-diale per l’alta cucina italiana?

L’Expo non è solo cucina per-ché il tema è “Nu-

trire il Pianeta”, quindi a 360°. L’alta cucina, in questo contesto, ha grande importanza, sì, ma come lo hanno agricoltori, produttori e industrie di lavorazione. L’alta gastronomia ha un ruolo di portabandiera, portavoce e canale per far conoscere al mondo, perché si può avere a disposizione il prodotto più buono che esista, ma se non viene valorizzato a dovere, inve-ce di acquisire forza, sparisce. In Ita-lia abbiamo un bagaglio culturale sul “Food” che è infinito, quindi l’Expo di Milano è un’occasione da cogliere al volo.

Lei rappresenta il presente e, so-prattutto, il futuro dell’alta ga-stronomia italiana: qual è la sua filosofia in cucina?

Non voglio avere vincoli: nei miei piatti si può vedere a volte la cucina più tradizionale, altre una più inno-vativa, oppure più semplice, nordica o esotica. Rispetto la nostra tradizio-ne e la porterò sempre con me, anche perché sono le nostre fondamenta, ma da lì si può costruire qualunque cosa. Prima di creare un piatto, un qualcosa che deve interagire con il cliente, voglio conoscere e capire, fare esperienze. Ecco, la mia cucina si basa sulle esperienze personali, applicate.

Influenze da altre culture culina-rie, contaminazione, esperien-ze, innovazione: esiste ed esiterà ancora l’alta cucina italiana o bi-sogna parlare semplicemente di alta cucina?No, esisterà sempre la tipicità ita-

liana, perché abbiamo dentro di noi un gusto e un attaccamento alla tra-dizione che è molto forte; c’è un baga-glio culturale che deve rimanere. Non sparirà mai la cucina italiana perché il tuo pubblico, per quanto possa es-sere straniero – anche per il 50 o l’80% –, vuole gustare una certa tradizione, non uno stravolgimento totale. In Ita-lia è difficile che un concetto simile, quello dello stravolgimento, attecchi-sca, quindi la nostra cucina avrà sem-pre una forte personalità, un’identità. Ad ogni modo, l’alta cucina che verrà non me la immagino tanto differente da quella di oggi. Mi auguro che sia sempre più aperta, quello sì. A noi, al momento, mi sembra manchi una certa cultura del capire che cosa ac-cadrà: mi piacerebbe esistesse un ri-storante, non necessariamente da tre stelle Michelin, dove si possa servire

cibo qualitativamente interessante con una proposta “Food” invitante; un’attenzione particolare al cliente per far sì che si venga capiti dall’av-ventore stesso.

Tradizione e prodotto: sono que-ste le radici inestirpabili?Sì, però senza porre vincoli, senza

subire l’austerità del concetto. Se tro-vo un prodotto può buono da un’altra parte del mondo, lo prendo e lo utiliz-zo. Io, personalmente, non sono rigi-do, ferreo e ostinato nel voler sfrut-tare a tutti i costi il prodotto italiano. Cerco il meglio e il fatto che in Italia ci siano tanti elementi di altissima qua-lità, fa sì che vengano ancora scelti e, in un certo senso, tenuti in vita. E sarà ancora così in futuro.

La “griffe” di Paolo:identità senza vincoli

«Mi auguro che l’alta cucina sia sempre più aperta:tradizione e prodotto,

ma senza subirel’austerità del concetto»

da torino a... New York?Paolo Griffa – nato a Torino il 25 luglio 1991 – ha avuto da subito le idee chiare, o quasi: «Sin da giovanissimo sapevo di voler fare il cuoco o il pasticciere – ci ha raccontato –, così, dapprima ho frequen-tato l’istituto alberghiero, lavorando nel tempo libero per una gelateria vicino a casa, poi ho iniziato a fare degli stage qua e là. Durante il terzo anno alla scuola superiore ho lavorato per un mese al ri-storante La Barrique di Torino: lì ho visto e capito cos’era il livello da “stellato”». L’anno dopo, il primo stage all’estero: «In un ristorante in Belgio, dove sono rima-sto due mesi nel pieno del “boom” della cucina molecolare. Ad essere sincero, me ne sono stufato subito, perché l’esaspera-zione del prodotto, attraverso tutte le tec-niche possibili immaginabili, non faceva per me. Ho capito che personalmente era più importante conoscere le tradizioni e l’essenza dei prodotti prima di lavorarli». Durante il quinto anno è poi arrivata la svolta: «Un professore fantastico mi ha seguito attentamente e indirizzato bene, facendomi partecipare a diversi concorsi che, senza falsa modestia, ho quasi sem-

pre vinto. Uno di questi era “Io lavoro con Davide Scabin” e il premio era uno sta-ge al Combal.Zero (due stelle Michelin a Rivoli, nei pressi di Torino, ndr). Doveva-no essere solo sei mesi, ci sono rimasto per due anni. Durante l’apprendistato da Scabin ho inoltre vinto per tre volte consecutive il concorso “Champagne e cucina regionale”, che mi ha permesso di viaggiare sul posto, scoprire, apprez-zare e, infine, adorare lo Champagne». Terminata l’esperienza al Combal.Zero, ecco l’opportunità al Piccolo Lago a Verbania (due stelle Michelin), ma non solo... «Grazie allo chef Marco Sacco posso viaggiare molto nel periodo di bassa stagione: ho così lavorato sei mesi a Parigi (dal Chateaubriand al Septime, passando per il Dauphin) e, quest’anno, altrettanti allo Studio di Copenaghen». E la prossima tappa? «Lavorativamente mi sono sempre mosso in Europa, quindi mi piacerebbe scoprire qualcosa di nuovo: Giappone, magari Tokio?, e New York po-trebbero fare al caso mio». (pierfi)

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paGiNa a cURa Di

pietro Filippini

«Il Piccolo Lago è libertà e sperimentazione»il ristoraNte Ma Griffa non succederà a Marco Sacco: «Fra quattro anni farò lo chef, ma non qui»

È al Piccolo Lago a Verbania che Pa-olo Griffa esprime la sua arte culinaria. Aperto nel 1974 per desiderio di Ga-stone e Bruna Sacco – genitori dell’at-tuale chef Marco, che con il fratello Carlo gestisce l’attività –, il ristorante, due stelle Michelin dal 2007, regala uno splendido scorcio del piccolo lago (appunto) di Mergozzo, con una sala a strapiombo sullo specchio d’acqua e un giardino incantevole, ideale per aperitivi e banchetti. Il menu mensile – da cinque, otto oppure undici porta-te, più la possibilità di un “viaggio” di ventitré assaggi in un tavolo con vista sulla cucina e i “classici” come il flan di Bettelmatt, il Lingotto del Mergozzo, la carbonara “au koque” o l’anguilla – propone piatti creativi. Il regno, in-somma, dello chef Marco Sacco e del

suo sous-chef Paolo Griffa. «Al Piccolo Lago, grazie a Marco, ho grandissima libertà – ci ha spiegato Paolo – Insie-me possiamo provare e sperimentare. Lavoriamo tanto, soprattutto nell’alta stagione, ma riusciamo anche a rita-gliarci momenti di relax da passare in riva al lago e nei boschi soprastan-ti. Sono arrivato al Piccolo Lago nel 2012, occupandomi tutto l’anno degli antipasti. Però i momenti di vuoto, in bassa stagione, mi lasciavano un po’ perplesso, tanto che volevo cambiare aria, ma è allora che Marco mi ha det-to: «I mesi di alta stagione li passi qui, gli altri puoi farli in un altro ristoran-te all’estero. Sai che al Piccolo Lago ci sarà sempre un posto per te quando torni». Così mi ha convinto, lasciando-mi la possibilità di viaggiare, scoprire

e fare nuove esperienze». Ci sarà quin-di il Piccolo Lago nel futuro (da chef) di Paolo Griffa? «No, è un ristorante che dovrà continuare per la sua strada; io non mi ci vedo come gestore, perché è troppo grande. È bello, ha una cucina da sogno, ma non lo sento mio. Non è la mia zona, non sono cresciuto qua; certo, vivendoci, ora, sto iniziando a conoscere la gente del posto e i clienti, che però vengono al Piccolo Lago per Marco, non per me». A quando, quin-di, il prossimo passo? «Credo che fra quattro anni, all’età di 27, avrò vissuto le necessarie esperienze e sarò pronto per diventare chef. Sto ancora cercan-do di capire e definire esattamente la cucina che voglio esprimere ai miei clienti. La cucina che segni la mia per-sonalità». (pierfi)chef Marco sacco e paolo Griffa nella cucina del piccolo lago.

G d pMilaNO

il torinese paolo Griffasul terrazzo del ristorante piccolo lago a verbania.(foto c. castelnuovo)

“trippa e fegato”è il nome del piattoche Griffa proporràalla finalissimadi s.p. Young chef.(foto p. picciotto)

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