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Variabili di esito-processo nella valutazione dei setting ... Teresa Gargano...

Date post: 28-Mar-2018
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1 Variabili di esito-processo nella valutazione dei setting multifamiliari a orientamento psicodinamico, rivolti ai pazienti psichiatrici e ai loro familiari: uno studio pilota. Maria Teresa Gargano [email protected] Mobile: 3381573116 Grazia Serantoni [email protected] Mobile: 3312811348 Introduzione L’intervento multifamiliare di gruppo, nell’ambito della cura della patologia psichiatrica, è conside- rato oggi uno degli strumenti più validi per contrastare il numero di ricadute e di ospedalizzazione in pa- zienti con schizofrenia (Dixon & Lehman, 1995; Dick et al., 2002; Pitschel-Walz et al., 2001), rivelandosi più efficace degli interventi familiari in setting individuale (McFarlane et al., 1995) e del gruppo di controllo (pa- zienti che non partecipavano al gruppo) (Dick et al., 2002; Bradley et al., 2006; Couchman, 2008). Il gruppo promuove anche il miglioramento del clima familiare e del ruolo sociale e comunitario (Jenner, 2003). È da sottolineare, tuttavia, che poche ricerche hanno valutato cambiamenti nella struttura di personalità del pa- ziente, l’effettivo sbocco occupazionale e la qualità della vita (Bradley et al., 2006). L’esito misurato dalle ricerche ha riguardato anche diverse caratteristiche del sistema familiare. Hugen e collaboratori (1993) hanno riportato, ad esempio, che la partecipazione al gruppo diminuiva il con- flitto familiare. Più recentemente un trial interessante ha mostrato che il gruppo multifamiliare contribuiva a ridurre lo stress percepito dai familiari, ma non produceva effetti significativi nell’aumento delle risorse psico-sociali percepite (Hazel et al., 2004). In un altro studio, invece, su un campione cinese (Chien & Wong, 2007), i familiari che partecipavano al gruppo riportavano un miglioramento nel benessere psico-sociale. Questi risultati contraddittori indicano una mancanza di chiarezza su quali siano gli effettivi benefici perce- piti dai familiari (Corcoran & Phillips, 2000). Restringendo l’approfondimento della letteratura empirica al territorio italiano, le ricerche presenti hanno valutato soprattutto il carico familiare (Magliano et al., 2006; Fulgosi, Rizzo, 2008; Bazzoni et al., 2003), evidenziando come nel gruppo d’intervento si registrava un minore carico familiare rispetto all’inizio e la percentuale dei parenti che riferivano di sentirsi imbarazzati quando entravano nei locali pubblici con il paziente diminuiva significativamente, dal 21% all’8%. (Magliano et al., 2006). Il gruppo promuove il miglio- ramento nel carico oggettivo e soggettivo percepito dai familiari e nell’aiuto nella gestione del paziente e nel sostegno pratico e psicologico da parte della rete sociale (Fulgosi, Rizzo, 2008). Il gruppo favorisce, allo stesso tempo, nei pazienti il miglioramento di alcuni aspetti del funzionamento sociale, come il coinvolgi- mento alla vita familiare e le relazioni sociali. Inoltre, nel gruppo dei pazienti trattati non vi sono stati rico- veri durante il periodo di osservazione (Magliano et al., 2006). Questi studi hanno coinvolto il servizio pubblico, in setting ambulatoriale, considerando un arco di tempo di 6 mesi, a fronte di una durata di malattia di più di 5 anni nel 75% dei casi. Mancano, dunque lavori che valutino nel lungo termine, l’efficacia dell’intervento. Sia le ricerche in ambito internazionale che quelle
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Variabili di esito-processo nella valutazione dei setting multifamiliari

a orientamento psicodinamico, rivolti ai pazienti psichiatrici e

ai loro familiari: uno studio pilota.

Maria Teresa Gargano

[email protected]

Mobile: 3381573116

Grazia Serantoni

[email protected]

Mobile: 3312811348

Introduzione

L’intervento multifamiliare di gruppo, nell’ambito della cura della patologia psichiatrica, è conside-

rato oggi uno degli strumenti più validi per contrastare il numero di ricadute e di ospedalizzazione in pa-

zienti con schizofrenia (Dixon & Lehman, 1995; Dick et al., 2002; Pitschel-Walz et al., 2001), rivelandosi più

efficace degli interventi familiari in setting individuale (McFarlane et al., 1995) e del gruppo di controllo (pa-

zienti che non partecipavano al gruppo) (Dick et al., 2002; Bradley et al., 2006; Couchman, 2008). Il gruppo

promuove anche il miglioramento del clima familiare e del ruolo sociale e comunitario (Jenner, 2003). È da

sottolineare, tuttavia, che poche ricerche hanno valutato cambiamenti nella struttura di personalità del pa-

ziente, l’effettivo sbocco occupazionale e la qualità della vita (Bradley et al., 2006).

L’esito misurato dalle ricerche ha riguardato anche diverse caratteristiche del sistema familiare.

Hugen e collaboratori (1993) hanno riportato, ad esempio, che la partecipazione al gruppo diminuiva il con-

flitto familiare. Più recentemente un trial interessante ha mostrato che il gruppo multifamiliare contribuiva

a ridurre lo stress percepito dai familiari, ma non produceva effetti significativi nell’aumento delle risorse

psico-sociali percepite (Hazel et al., 2004). In un altro studio, invece, su un campione cinese (Chien & Wong,

2007), i familiari che partecipavano al gruppo riportavano un miglioramento nel benessere psico-sociale.

Questi risultati contraddittori indicano una mancanza di chiarezza su quali siano gli effettivi benefici perce-

piti dai familiari (Corcoran & Phillips, 2000).

Restringendo l’approfondimento della letteratura empirica al territorio italiano, le ricerche presenti

hanno valutato soprattutto il carico familiare (Magliano et al., 2006; Fulgosi, Rizzo, 2008; Bazzoni et al.,

2003), evidenziando come nel gruppo d’intervento si registrava un minore carico familiare rispetto all’inizio

e la percentuale dei parenti che riferivano di sentirsi imbarazzati quando entravano nei locali pubblici con il

paziente diminuiva significativamente, dal 21% all’8%. (Magliano et al., 2006). Il gruppo promuove il miglio-

ramento nel carico oggettivo e soggettivo percepito dai familiari e nell’aiuto nella gestione del paziente e

nel sostegno pratico e psicologico da parte della rete sociale (Fulgosi, Rizzo, 2008). Il gruppo favorisce, allo

stesso tempo, nei pazienti il miglioramento di alcuni aspetti del funzionamento sociale, come il coinvolgi-

mento alla vita familiare e le relazioni sociali. Inoltre, nel gruppo dei pazienti trattati non vi sono stati rico-

veri durante il periodo di osservazione (Magliano et al., 2006).

Questi studi hanno coinvolto il servizio pubblico, in setting ambulatoriale, considerando un arco di

tempo di 6 mesi, a fronte di una durata di malattia di più di 5 anni nel 75% dei casi. Mancano, dunque lavori

che valutino nel lungo termine, l’efficacia dell’intervento. Sia le ricerche in ambito internazionale che quelle

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nel territorio italiano hanno valutato l’intervento psicoeducativo multifamiliare, e non quello di ispirazione

più strettamente psicodinamica.

Infine, nessuna delle ricerche presenti in letteratura, confrontava l’esito del trattamento multifami-

liare con le variabili di processo di gruppo, come l’alleanza, la coesione, il clima percepito e più in generale, i

fattori terapeutici di gruppo.

Sembra, dunque, evidente la necessità di valutare l’intervento multifamiliare, a conduzione psico-

dinamica e a lungo termine, cercando di verificare quali effettivi benefici sono percepiti dai pazienti e dai

familiari, nell’ambito della struttura di personalità e della qualità della vita da un lato, e nell’ambito del ca-

rico familiare e del supporto sociale percepito dall’altro.

Rimane ancora da esplorare la relazione tra quelle variabili di processo più indagate nella ricerca in

psicoterapia di gruppo (coesione, alleanza, clima) e le variabili di esito che riguardano sia il paziente sia i

familiari.

Se da un lato la review di Lorentzen (2006) afferma che le ricerche sulla psicoterapia di gruppo a

orientamento dinamico a lungo termine analizzano separatamente le variabili di esito e di processo,

dall’altro sono aumentati gli studi che fanno correlare le misure di coesione, di alleanza e di clima con

l’esito nella psicoterapia psicodinamica a breve termine (Lingren et al., 2008; Crowe & Grenyer, 2008; Din-

ger et al., 2010) e interpersonale a breve termine (Joyce et al., 2007; Ogrodniczuk & Piper, 2003).

I risultati di questi studi hanno tuttavia, prodotto risultati contraddittori e la letteratura attribuisce

la contraddittorietà di questi risultati al tentativo di isolare le variabili dalla relazione, utilizzando diversi

strumenti di indagine e mutuando metodologie statistiche nate all’interno di altri paradigmi di ricerca (Gar-

gano et al., 2009). Lo sforzo di individuare la direzionalità tra alcune variabili del paziente, come il quadro

sintomatologico, le funzioni metacognitive o i meccanismi di difesa e variabili più legate al processo dinami-

co, come l’alleanza terapeutica, la coesione, rischia di produrre inevitabilmente risultati contraddittori e

giustapposti (cit.).

Ancora oggi non è ben chiaro, ad esempio, se elevati punteggi iniziali di coesione e di alleanza siano

legati in modo significativo all’esito della terapia di gruppo (Martin, Garske, & Davis, 2000; Horvath & Bedi,

2002).

Una recente ricerca (Joyce, Piper, & Ogrodniczuk, 2007) poneva a confronto l’alleanza terapeutica e

la coesione, nella loro capacità di predire l’outcome, in un gruppo a breve termine a orientamento inter-

personale, di 12 sedute. Dai risultati è possibile notare come l’alleanza valutata dal paziente dimostrava

possedere una significativa predittività rispetto all’outcome, sebbene anche alcuni aspetti della coesione

influissero sui risultati ottenuti. Da questo studio, dunque, in termini di semplice relazione, l’alleanza con il

terapeuta sembrerebbe essere maggiormente associata con l’esito rispetto alla coesione. Il campione era

composto da pazienti con diagnosi in asse I (73%, di cui un 50% circa depressione maggiore); diagnosi in as-

se II (55%).

Questi risultati sono stati in parte sconfermati da uno studio di Crowe & Grenyer (2008). La ricerca

ha mostrato che i livelli di conflitto del gruppo e la capacità dei membri del gruppo di lavorare attivamente

erano correlati all’esito, mentre l’alleanza con il terapeuta non era correlata all’esito. Questa ricerca riguar-

dava 16 sedute di psicoterapia psicodinamica rivolta a pazienti con depressione maggiore.

Altri lavori sembrano seguire un percorso che tenta di superare o meglio complessificare la sempli-

ce esplorazione della relazione lineare che si può misurare tra coesione di gruppo, alleanza, clima ed esito,

introducendo la valutazione di altre variabili, come lo stile interpersonale o lo stile di attaccamento (Lingren

et al., 2008; Dinger et al., 2010).

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Quello di Lingren e collaboratori (2008) ha utilizzato una misura di alleanza di gruppo e non rispetto

al terapeuta. Lo studio conferma che i livelli di alleanza medi, percepiti nei confronti del gruppo nel suo in-

sieme predicono l’esito (ansia e livello sintomatologico generale, ma non depressione), mentre i livelli ini-

ziali di alleanza non predicono l’esito. Anche questo campione era composto prevalentemente da pazienti

depressi. Gli autori sostengono che probabilmente nella fase iniziale della terapia è più importante che il

paziente percepisca un’alleanza con il terapeuta. D’altra parte Piper et al. (2005), Lorentzen et al. (2004),

Taft e collaboratori (2003), hanno mostrato che l’alleanza iniziale correla con l’esito quando si misura quella

percepita nei confronti del terapeuta. Lo studio di Lingren ha inoltre mostrato che l’attaccamento evitante

era associato a bassi livelli iniziali di alleanza. Alti livelli di sofferenza interpersonale, come sentirsi preoccu-

pati di essere troppo amichevoli o sottomessi era associato in modo significativo a un aumento dell’alleanza

percepita con il gruppo nel suo insieme. Si può ipotizzare che siano più le caratteristiche di personalità a in-

terferire con lo sviluppo iniziale dell’alleanza, più che il livello sintomatologico.

Lo studio di Dinger e collaboratori (2010) ha mostrato che i pazienti con uno stile interpersonale

amichevole, ottenevano un migliore esito quando la loro “esperienza” di coesione diminuiva nel corso del

trattamento. Al contrario, coloro che presentavano uno stile freddo o ostile ottenevano un migliore esito

quando la loro “esperienza” di coesione aumentava nel corso del trattamento. Sembra dunque che non i

tutti i casi, sentire una forte coesione con il gruppo o una forte alleanza iniziale con il gruppo sia diretta-

mente collegato a un buon esito.

Ci chiediamo se questi risultati (l’alleanza con il terapeuta predice l’esito più che la coesione di

gruppo; livelli medi di alleanza di gruppo correlino con l’esito, e non quelli iniziali; l’attaccamento evitante è

associato a bassi livelli iniziali di alleanza di gruppo; le caratteristiche di personalità interferiscono più del

livello sitomatologico, nello lo sviluppo iniziale dell’alleanza) si possano estendere anche ai pazienti psichia-

trici e ai rispettivi familiari, che frequentano un gruppo multifamiliare, a conduzione psicodinamica e a lun-

go termine.

Riteniamo che i costrutti di coesione e di alleanza, soprattutto nella cura del paziente grave, richie-

dano un ripensamento teorico-clinico e pensiamo che si rifacciano a una concezione della malattia psichica

come multi personale e multi contestuale (Fasolo, 2002; Pontalti, 2006).

A sostegno del fatto che le caratteristiche di personalità, come lo stile di attaccamento, interferi-

scono con lo sviluppo dell’alleanza terapeutica ci sono tanti studi (Goldman & Anderson, 2007; Kivlighan &

Patton, 1998; Reis & Grenyer, 2004; Satterfield & Lyddon, 1998; Sauer, Lopez, & Gormley, 2003), che però

hanno riguardato prevalentemente la terapia individuale. Mikulincer and Shaver (2007) hanno affermato

che dalla prospettiva dell’attaccamento le connessioni emotive nel gruppo possono essere considerate co-

me legami di attaccamento. Una persona può cercare e mantenere una vicinanza con il gruppo e usare il

gruppo come una fonte di sostegno, supporto e sicurezza nel momento in cui sente un bisogno e come una

base sicura per l’esplorazione e la crescita (p.235). Sono rari gli studi che hanno indagato la relazione tra lo

stile di attaccamento e alcune variabili di processo di gruppo. Ne riportiamo di seguito alcuni, seguendo un

po’ l’ordine cronologico. Smith, Murphy, and Coats (1999) trovarono che punteggi più alti

nell’attaccamento ansioso o evitante predicevano un minore coinvolgimento nelle attività del gruppo, una

peggiore valutazione dei gruppi e un minore supporto percepito dal gruppo. Secondo Rom e Mikulincer

(2003), i pazienti con attaccamento sicuro generalmente mostravano un’attitudine più positiva nei confron-

ti del gruppo e un ricordo positivo delle interazioni nel gruppo e del funzionamento del gruppo. Chen and

Mallinckrodt (2002); Mallinckrodt & Chen, 2004, hanno osservato che i pazienti con un attaccamento evi-

tante valutavano gli altri membri come meno amichevoli e allo stesso tempo meno dominanti. In uno stu-

dio più recente di Shechtman and Dvir (2006) si è visto come i pazienti più sicuri ottengono punteggi più

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elevati nelle misure di autosvelamento, produttività e responsività nei confronti del gruppo. Rispetto alla

valutazione del rapporto tra lo stile di attaccamento e l’alleanza percepita nei confronti del gruppo ripor-

tiamo lo studio di Lingren e collaboratori (2008) prima citati, che mostrato una relazione tra l’attaccamento

evitante e bassi livelli iniziali di alleanza. Un’altra ricerca di Tasca e collaboratori (2007) ha mostrato che in

gruppi psicodinamici centrati sulle relazioni interpersonali [Group psychodynamic interpersonal psychothe-

rapy (GPIP)], con pazienti con disturbo del comportamento alimentare, un più alto attaccamento ansioso e

un più basso attaccamento evitante era associato a una crescita dell’alleanza percepita nei confronti del

gruppo, lungo il tempo. Sempre Tasca e collaboratori nel 2004, avevano mostrato che negli stessi gruppi, gli

esiti individuali differivano durante il trattamento sulla base dei livelli di attaccamento ansioso ed evitante.

Una recente ricerca (Kirchman et al., 2009) ha valutato la relazione tra lo stile di attaccamento, lo

stile interpersonale, i sintomi e i fattori terapeutici di gruppo nella terapia psicodinamica di gruppo, con un

campione di 289 pazienti ricoverati. La diagnosi più rappresentata era quella di disturbo di personalità. Non

c’erano pazienti psicotici. La durata media di trattamento era di circa 11 settimane. La ricerca ha mostrato

che lo stile di attaccamento è un predittore di esito anche nella psicoterapia di gruppo psicodinamica e che

la relazione tra l’attaccamento e l’esito può essere mediata o moderata da altre variabili di processo di

gruppo. In particolare si è visto come esista una correlazione tra l’attaccamento sicuro e il clima di gruppo

(che è una sottoscala del Düsseldorf Therapeutic Factors Questionnaire (DTFQ). Sempre riguardo il clima di

gruppo, i soggetti con attaccamento sicuro risultavano avere punteggi più alti; tra i soggetti con attacca-

mento ambivalente ed evitante, i secondi risultavano avere punteggi più alti nella scala del dominio di clima

di gruppo. Inoltre i pazienti con attaccamento sicuro sono quelli che ottengono i più alti punteggi in tutte e

tre le scale del DTFQ (clima di gruppo, apprendimento sociale, aiuto da parte del terapeuta). Sempre il cli-

ma di gruppo è l’unica scala tra i fattori terapeutici che predice l’esito misurato con SCL-90 e l’IIP.

Dall’analisi della varianza è emersa, inoltre, una tendenza statisticamente significativa tra l’attaccamento

sicuro e l’apprendimento sociale; tra i soggetti con attaccamento ambivalente ed evitante, è risultato che i

primi ottenevano punteggi significativamente più alti sempre nella scala dell’apprendimento sociale.

Il risultato che sembra essere più interessante riguarda, però la relazione tra esito, attaccamento e

variabili di processo. Alcuni fattori terapeutici moderano la relazione tra attaccamento ed esito. Ad esempio

se il paziente mostrava un attaccamento poco sicuro e sentiva più supporto dal terapeuta, otteneva mag-

giori benefici dal trattamento. Pazienti con attaccamento sicuro, e con alti valori di apprendimento sociale,

mostravano un migliore esito. Il clima di gruppo modera invece l’esito (SCL-90) più nei pazienti con attac-

camento ambivalente che in quelli sicuri. Il supporto da parte del terapeuta modera l’esito (SCL-90) più nei

pazienti con attaccamento evitante che in quelli sicuri.

Quest’ultimo studio è uno dei pochi che ha tentato di chiarire in che modo alcune variabili del pro-

cesso di gruppo siano imprescindibilmente legate ad alcune caratteristiche strutturali del paziente, e

all’esito ottenuto in terapia. Sono più frequenti, invece, in letteratura quei studi che si sono limitati a valu-

tare la relazione predittiva tra l’attaccamento e l’esito nel trattamento di gruppo, trovando una debole cor-

relazione positiva tra l’attaccamento sicuro e l’esito (Meredith, Strong, & Feeney, 2007; Meyer, Pilkonis,

Proietti, Heape, & Egan, 2001; Mosheim et al., 2000; Strauss, Lobo-Drost, & Pilkonis, 1999). Altri studi han-

no trovato vantaggi per quello evitante (Fonagy et al., 1996) o ambivalente (Sachse & Strauss, 2002) o an-

cora nessuna correlazione tra gli stili di attaccamento e l’esito (Cryanowski et al., 2002). Questi risultati in-

congruenti sono espressione della diversità di pazienti considerati, delle diverse caratteristiche del tratta-

mento, della diversa operazionalizzazione del costrutto (Kirchman et al., 2009). Tuttavia si può assumere

che lo stile di attaccamento del paziente determina il modo in cui lui/lei vive le relazioni interpersonali,

comprese quelle del gruppo (cit., p.235).

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Rispetto al clima di gruppo, misurato in quasi tutti gli studi, attraverso il GCQ (Group Climate Que-

stionnaire- Short Form, MacKenzie, 1983), i risultati mostrano che, nelle terapie a orientamento psicodina-

mico, si ottiene un esito migliore quando i pazienti percepiscono il gruppo come meno coinvolgente

(Strauss, Burgmeier-Lohse, 1994), ma più conflittuale (Tschuschke & Greene, 2002; Strauss, Burgmeier-

Lohse, 1994; Grabhorn et al., 2000; Crowe & Grenyer, 2008). Poco chiari sono finora i risultati rispetto alla

relazione tra l’altra scala del GCQ, l’evitamento e l’esito della terapia psicodinamica (Strauss, Burlingame,

Bormann, 2008).

Queste ricerche hanno inoltre riguardato solo terapie a breve termine. Ad esempio Kanas e collabo-

ratori (1989) hanno confrontato l’andamento del clima di gruppo in due gruppi di psicoterapia interperso-

nale (uno a breve termine e uno più a lungo termine) con 17 pazienti schizofrenici, riportando che nel

gruppo a breve termine c’erano livelli più bassi di evitamento e conflitto rispetto ai secondi e che in tutte e

due i setting, i livelli di coinvolgimento aumentavano durante il trattamento, mentre i livelli di evitamento e

conflitto diminuivano. Sempre Kanas e collaboratori nel 1984 effettuarono un confronto del tipo di clima

percepito, in gruppi composti da pazienti schizofrenici e gruppi di pazienti nevrotici. Lo studio mostrò che

nel gruppo di pazienti gravi c’erano punteggi più alti di evitamento. I livelli di coesione aumentarono e i li-

velli di conflitto diminuirono.

Ci aspettiamo, dunque, che nei gruppi multifamiliari a orientamento psicodinamico ci siano alti li-

velli di conflitto e di evitamento e che si ottenga un esito migliore quando i pazienti percepiscono il gruppo

come meno coinvolgente, ma più conflittuale. Bisogna tuttavia considerare che i pazienti coinvolti nelle ri-

cerche citate sono meno gravi di quelli che solitamente partecipano ai gruppi multifamiliari e inoltre rimane

da capire come i familiari percepiscono il clima delle sedute, collegandolo all’esito.

Nell’ambito della ricerca empirica con i pazienti gravi sembra ancora più importante non limitarsi a

valutare la semplice relazione predittiva tra variabili di esito e di processo, ma esplorare in che modo alcune

variabili di processo, che coinvolgono pazienti e familiari, possano ricoprire un importante ruolo e di media-

tori o moderatori di cambiamento. Può tornare, inoltre, più utile al clinico, variabili che oltre a basarsi su

dimensioni individuali, coinvolgano le appartenenze familiari e comunitarie e affiancare al lavoro di ricerca

con i pazienti quello con il gruppo dei curanti, che sembra essere più trascurato.

Le ricerche prima citate (Magliano et al., 2006) che hanno valutato i setting multifamiliari in Italia,

riportavano che nel gruppo di intervento i familiari si sentivano più supportati dal servizio di riferimento, e

più motivati a seguire programmi riabilitativi. Sembra dunque che il carico percepito dai familiari risenta

della qualità della relazione instaurata con il servizio.

Da non sottovalutare, infatti, gli effetti positivi, attivati dai gruppi dei familiari, all’interno dei servi-

zi. I gruppi facilitano il recupero della comunicazione tra servizio e famiglie, spesso sfilacciata, discontinua o

frammentata. In questo modo si può offrire una risposta concreta al bisogno dell’operatore di ritrovare uno

spazio paritario con il paziente e con la famiglia, evitando di fissare etichette psicopatologiche, recuperando

la storia familiare e quella clinica.

Pensiamo che nel gruppo multifamiliare ci sia la possibilità di un confronto continuo con utenti e

familiari, oltre che con colleghi dello stesso servizio o di altre agenzie sociali collegate al servizio, e che ciò

può rafforzare, a lungo termine, nell’istituzione una cultura di gruppo, sollecitando il gruppo curante a uti-

lizzare spazi finalizzati al:

confronto,

alla negoziazione delle scelte,

alla circolarità delle informazioni,

alla verifica intersoggettiva e

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alla più generale riflessione sul metodo di lavoro utilizzato, sui diversi percorsi di cura possibili e alla

progettazione a lungo termine (interfacciandosi con le altre strutture e servizi con cui è venuto a

contatto il paziente).

Riteniamo, dunque, fondamentale, valutare lo “stato di salute” degli operatori, la loro capacità di

confrontarsi con condizioni di lavoro particolarmente stressanti, in quanto hanno a che fare con aspetti de-

licati e complessi, relativi alla vita degli altri. Se un operatore sanitario (medico, infermiere o altre figure)

non riesce ad affrontare con successo certe situazioni, rischia di “bruciarsi”, di essere colpito da quella che è

stata definita la “sindrome del burnout” (Maslach & Leiter, 1997).

Se condividiamo l’idea che il burnout sia il risultato del processo di confronto sociale, l’ipotesi che

qui avanziamo è che, nel lungo termine, la presenza del setting multifamiliare, come strumento di lavoro di

gruppo, possa diminuire negli operatori il senso di solitudine e di insoddisfazione lavorativa, promuovendo

circoli virtuosi in cui potere tenere a mente il vincolo dell’utente e dei familiari.

Obiettivi e metodologia1

Lo scopo della presente ricerca è di valutare l’efficacia dell’intervento multifamiliare di gruppo at-

traverso l’analisi di variabili sia di processo (fattori terapeutici, aspetti di coesione, alleanza e clima di grup-

po) sia di risultato (funzionamento globale del paziente psichiatrico, stile di attaccamento del paziente, ca-

rico di cura percepito e strategie di coping dei familiari, livelli di burnout degli operatori): i due cluster di va-

riabili verranno analizzati sia indipendentemente sia dipendente tra loro, ipotizzando – come da analisi del-

la letteratura scientifica – una stretta interdipendenza.

Per quanto riguarda l’analisi indipendente dei singoli cluster di variabili, si procederà a valutare dif-

ferenze statisticamente significative dei punteggi ottenuti nei test nei diversi tempi di somministrazione –

lungo un arco temporale di sperimentazione minimo di 18 mesi prolungabile – attraverso l’analisi del T-test

per campioni dipendenti. Si ipotizzano, in particolare, miglioramenti a medio termine sui livelli di funziona-

mento globale del paziente psichiatrico e, a lungo termine, cambiamenti adattivi riguardo gli stili di attac-

camento e i livelli organizzativi di personalità del paziente stesso. Si ipotizzano, inoltre, miglioramenti a me-

dio termine del carico familiare percepito e dell’efficacia degli stili di coping della famiglia e, a lungo termi-

ne, si ipotizzano cambiamenti nel grado di coesione e adattabilità familiare.

Per quanto riguarda l’analisi delle relazioni tra i due cluster di variabili, si provvederà ad analizzare

le relazioni tra le variabili indagate dai diversi strumenti psicometrici nei quattro livelli di indagine, per me-

glio comprendere – nell’ottica di individuazione di elementi terapeutici efficaci – i rapporti tra le dimensioni

relative al paziente, ai familiari, agli operatori e ai processi di gruppo. A tal fine, si svolgeranno correlazioni

lineari tra variabili con i coefficienti rho di Spearman (per le variabili di carattere ordinale e dicotomico) e R

di Pearson (per le variabili a intervalli e a rapporti equivalenti) con risultati a due code (con correlazioni si-

gnificative per p > 0,01 e p > 0,05); si utilizzeranno le tecniche di Anova a una via, T-test e Regressione li-

neare multipla per la valutazione più approfondita delle differenze statistiche fra i punteggi.

Quanto detto rientra in un’ottica di ricerca contemporaneamente multidimensionale e multipro-

spettica: multidimensionale perché capace di considerare sia la componente clinica e sintomatologica sia il

1 Per le analisi statistiche si utilizzerà il software SPSS-PASW Statistics (Predictive Analytics Software) v. 18.

Agli osservatori che effettueranno le somministrazioni, verranno fornite griglie digitalizzate di inserimento dati per ogni test, con le relative istruzioni per lo scoring; queste griglie verranno costruite utilizzando il software Microsoft Excel. Si dovrà predisporre, per ogni partecipante, un foglio di consenso informato.

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funzionamento relazionale e sociale relativo al paziente; multidimensionale, ancora, perché attenta sia alle

componenti di esito sia di processo di gruppo [strumenti usati per l’analisi del processo di gruppo:

Group/Member/Leader Cohesion Scale – GMLCS (Piper, Jones, Lacroix, Marrache, Richardson, 1984); Cali-

fornia Psychotherapy Alliance Scale – CALPAS-G (Marmar et al., 1986; 1989; 1989a; Gaston, 1991; Gaston e

Marmar, 1994); Group Climate Questionnaire – Short Form (MacKenzie, 1981); Therapeutic Factors Invento-

ry-Short form – TFI-S (MacNair-Semands, 2010)] nell’ambito della valutazione dell’efficacia di un intervento

psicoterapeutico.

Multiprospettica perché, in un’ottica ecologica dello sviluppo fisiologico e psicologico di un sogget-

to la cui tutela della qualità delle relazioni interpersonali – attraverso le quali sono veicolate le

(in)formazioni che permettono l’implementazione delle capacità cognitive ed emotive di ciascun individuo –

è elemento basilare per garantire una corretta parabola di cura (Parkes, Stevenson-Hinde & Harris, a cura

di, 1995; Fonagy & Target, 2001), la ricerca tiene conto delle prospettive dei diversi attori della esperienza

terapeutica, cioè i pazienti [strumenti usati per l’indagine di outcome terapeutico: Millon Clinical Multiaxial

Inventory III - MCMI-III (Millon, 2008); Questionario sul Funzionamento Mentale – QFM-27 (Albasi, Lasorsa e

Porcellini, 2007); Attachment Styles Questionnaire – ASQ (Feeney, Noller, & Hanrahan, 1994; Fossati, et al.,

2003); World Health Organization - Disability Assessment Schedule – WHO-DAS II (WHO, 2001)] ma anche: i

familiari [strumenti usati per l’indagine sulla famiglia: Strumento di Valutazione del Supporto Sociale – QRS

(Gigantesco et al., 1995); Coping Orientation to the Problems Experienced-Nuova Versione Italiana – COPE-

NVI (Sica et al., 2008); The Family Adaptability and Cohesion Evaluation Scale – FACES (Olson, 1991)], gli

operatori [strumento usato per la valutazione del benessere degli operatori: Link Burn-Out Questionnaire -

LBQ (Santinello, 2007)], il contesto relazionale coinvolto. Verranno prese in considerazione, infatti, nella

presente ricerca, anche variabili intervenienti del processo di cura: i livelli di organizzazione di personalità

del paziente e altre variabili anagrafico-epidemiologiche legate alla malattia psichiatrica, il grado di coesio-

ne e adattabilità della famiglia, il vissuto emotivo e il mantenimento delle capacità professionali degli ope-

ratori. Queste variabili – in special modo quelle relative ai livelli di organizzazione di personalità e quelle

anagrafico-epidemiologiche – possono facilitare l’analisi della varianza dei punteggi ottenuti ai test su sot-

tocampioni clinici specifici, ai fini di una maggior chiarezza delle dinamiche della prassi psicoterapeutica di

gruppo.

La presente ricerca, a differenza di quanto indagato dalla quasi totalità dei riferimenti presenti in

letteratura, si focalizza in maniera peculiare sull’efficacia di interventi multifamiliari di gruppo di matrice

psicodinamica con pazienti psichiatrici gravi; si ipotizza, in questo senso, che:

vi sia una relazione positiva tra coesione di gruppo e funzionamento globale del paziente psichiatrico;

vi sia una relazione positiva tra fattori terapeutici del gruppo e funzionamento globale del paziente psi-

chiatrico;

vi sia una relazione positiva tra fattori terapeutici del gruppo e carico di cura percepito dai familiari;

i livelli di organizzazione della personalità del paziente psichiatrico influiscano sia sulle variabili di pro-

cesso sia di risultato, fungendo da variabili mediatrici del cambiamento.

Campionamento

Secondo Kazdin (1996) e Goodheart et al. (2007), la nozione di «gruppo di controllo» è rudimentale e rien-

tra nel più ampio concetto di «gruppo di confronto»: infatti, “… i gruppi di confronto fanno riferimento a

ognuno dei gruppi inclusi nel disegno oltre al gruppo primario o i gruppi di interesse. *…+ Alcuni gruppi di

controllo (ad esempio, quelli con nessun trattamento, in lista di attesa) affrontano primariamente le minac-

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ce alla validità interna.” (Kazdin, 1996, 178). Altresì, altri tipi di gruppi di confronto, come quelli alternativi,

permettono di affrontare una serie di problematiche più complesse che riguardano anche la validità di co-

strutto, nel senso che aiutano a interpretare le basi del tipo di impatto che caratterizza l’intervento: questo

aiuta il ricercatore a trarre tutte le possibili informazioni circa l’intervento e ciò che provocano le variazioni

comportamentali osservate (Kazdin, 1996; Goodheart et al., 2007).

Alla luce di queste riflessioni e in linea con i vincoli etici imposti dalla ricerca in psicoterapia e psicologia cli-

nica (Goodheart et al., 2007), il campionamento ragionato dei partecipanti a questo studio pilota – della

durata di 12 mesi – consentirà di costituire un gruppo sperimentale, composto da:

pazienti, familiari e operatori di 4 gruppi multifamiliari a conduzione psicodinamica, con almeno tre

nuclei familiari ciascuno (minimo 35 soggetti in totale) [CSM ASL Roma A/4, via Monte Tomatico 9;

CSM di Frascati, ASL Roma H; Centro Diurno Via Palestro, ASL Roma A; Comunità terapeutica GNO-

SIS]; i pazienti hanno una diagnosi psichiatrica di medio-alta gravità; i partecipanti (figli e familiari)

hanno un’età compresa tra i 20 e 65 anni;

e un gruppo di confronto composto da:

un minimo di 35 soggetti partecipanti o a gruppi psicoterapeutici a conduzione psicodinamica per

soli genitori *Fondazione Maruzza Lefebvre D’Ovidio Onlus, Roma+ o per soli pazienti; i pazienti

hanno una diagnosi psichiatrica di medio-alta gravità; i partecipanti ai gruppi hanno un’età compre-

sa tra i 20 e 65 anni.

Per psicoterapia psicodinamica2 intendiamo una psicoterapia che abbia, come caratteristiche basi-

lari, le seguenti (Shedler, 2010, 11-12):

1. focalizzazione sugli affetti (affect) e sull’espressione delle emozioni;

2. esplorazione dei tentativi tesi a evitare pensieri e sentimenti disturbanti;

3. identificazione di temi e modalità ricorrenti;

4. discussione di esperienze passate (focalizzazione sullo sviluppo);

5. focalizzazione sui rapporti interpersonali;

6. focalizzazione sulla relazione terapeutica;

7. esplorazione di desideri e fantasie.

Per ciascun gruppo psicoterapeutico si dovrà individuare un referente che abbia il compito di inter-

facciarsi periodicamente con i responsabili della ricerca per segnalare eventuali cambiamenti, difficoltà,

nuovi inserimenti, etc.

Ciascun gruppo psicoterapeutico dovrebbe prevedere la presenza di due psicologi osservatori silen-

ti – che garantiscano una presenza minima di 12 mesi – per la redazione dei verbali delle sedute e per la

somministrazione degli strumenti.

2 "La terapia psicodinamica o psicoanalitica si riferisce a una gamma di terapie basate su concetti e metodi

psicoanalitici che utilizzano sedute meno frequenti della psicoanalisi cosiddetta “classica” e che possono anche essere

più brevi. *...+ L’essenza della terapia psicodinamica consiste nell’esplorare gli aspetti del Sé non pienamente

conosciuti, specialmente se si manifestano nella relazione terapeutica e potenzialmente ne vengono influenzati."

(Shedler, 2010, 10).

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I nuovi inserimenti dovranno essere programmati: si dovrebbero prevedere inserimenti ogni tre

mesi e non in concomitanza con le pause festive, per permettere un adeguata adesione al timing stabilito

per le somministrazioni.

Per ogni nuovo inserimento si dovrà programmare la valutazione pre-test.

Qualora i pazienti dovessero lasciare il gruppo si dovrà programmare la valutazione post-test.

Livelli di indagine, variabili e strumenti

La ricerca si snoderà secondo i seguenti quattro livelli di indagine:

LIVELLO DI INDAGINE 1: IL PAZIENTE

I questionari, riportati di seguito, che analizzano le variabili relative ai livelli di organizzazione della persona-

lità e agli stili di attaccamento del paziente psichiatrico, si somministreranno nel pre-post trattamento (e,

comunque, ogni 12 mesi dalla prima somministrazione).

Il questionario che analizza, invece, le variabili relative al funzionamento globale del paziente psichiatrico, si

somministrerà nel pre-post trattamento e ogni sei mesi (vedi Fig. 1).

- Livelli di organizzazione della personalità (diagnosi dimensionale e categoriale di personalità)

Millon Clinical Multiaxial Inventory III - MCMI-III (Millon, 2008); Questionario sul Funzionamento Mentale –

QFM-27 (Albasi, Lasorsa e Porcellini, 2007); diagnosi categoriale effettuata attraverso DSM-IV-TR (APA,

2002).

Il MCMI-III (questionario autosomministrato composto da 175 item a doppia alternativa di risposta

“vero-falso”) è fondato sulla teoria evoluzionista della personalità con formato multiassiale e connessione

con il DSM-IV e rileva 24 scale e 4 indici di correzione:

1. pattern di personalità clinica [1 schizoide; 2a evitante; 2b depressiva; 3 dipendente; 4 istrionica; 5

narcisistica; 6a antisociale; 6b sadica (aggressiva); 7 ossessivo-compulsiva; 8a negativistica (passivo-

aggressiva); 8b masochistica (autofrustrante); grave patologia della personalità; s schizotipica; c

borderline; p paranoide];

2. sindromi cliniche [a ansia; h somatizzazione; n bipolare: mania; d distimia; b dipendenza da alcol; t

dipendenza da droghe; r disturbo post-traumatico da stress];

3. sindromi cliniche gravi [ss disturbo del pensiero; cc depressione maggiore; pp disturbo delirante];

4. indici di modifica [x apertura; y desiderabilità; z autosvalutazione; v validità].

Il QFM (questionario con 27 item ai quali il clinico deve assegnare un punteggio da 0 a 4) permette

di evidenziare profili di funzionamento mentale dei pazienti (Risorsa – Livello di organizzazione sana; Con-

flittualità – Livello nevrotico; Deficitarietà – Livello borderline) a partire dalle 9 funzioni di base individuate

dall’Asse M del Manuale Diagnostico Psicodinamico – PDM (PDM Task Force, 2006; edizione italiana a cura

di F. Del Corno e V. Lingiardi, 2008), e cioè:

1. capacità di regolazione, attenzione e apprendimento;

2. capacità di relazioni e intimità (profondità, range e coerenza);

3. qualità dell’esperienza interna (livello di sicurezza e rispetto di sé);

4. esperienza, espressione e comunicazione degli affetti;

5. pattern e capacità difensive;

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6. capacità di formare rappresentazioni interne;

7. capacità di differenziazione e integrazione;

8. capacità di auto-osservazione (mentalità psicologica);

9. capacità di costruire o ricorrere a standard e ideali interni (senso morale).

I due strumenti sopra citati sono stati scelti per la somministrazione poiché, sinergicamente, permettono di

valutare – senza appesantire troppo il paziente – non solo gli aspetti patologici della personalità (MCMI-III)

ma anche le risorse e le parti sani del paziente; inoltre, questi due strumenti, essendo compilati l’uno (il

MCMI-III) dal paziente e l’altro (il QFM) dal clinico, fanno sì che si rispetti l’intenzione iniziale di integrare –

in un’ottica multiprospettica – elementi provenienti da tutti gli attori presenti in un setting multifamiliare.

- Stili di attaccamento Attachment Styles Questionnaire – ASQ (Feeney, Noller, & Hanrahan, 1994; Fossa-

ti, et al., 2003); è un questionario autosomministrato, composto da 40 item con risposta su scala Likert a 6

punti che indaga le seguenti dimensioni:

Fiducia

Disagio per l’intimità

Secondarietà delle relazioni

Bisogno di approvazione

Preoccupazione per le relazioni

Questo strumento è stato scelto poiché, come emerso dall’analisi della letteratura internazionale, lo stile di

attaccamento risulta essere una variabile che media in misura notevole sulle variabili di processo di gruppo.

- Funzionamento globale del paziente psichiatrico World Health Organization - Disability Assessment

Schedule – WHO-DAS II (WHO, 2001); è un questionario da somministrare a cura del clinico, composto da

51 item con risposta su scala Likert che indaga le seguenti dimensioni, relative al funzionamento del pazien-

te psichiatrico nella vita quotidiana:

comprensione e comunicazione;

mobilità;

cura di sé;

interazioni e relazioni con gli altri;

vita domestica o attività lavorativa;

partecipazione alla società.

Questo strumento è stato scelto poiché, come sottolinea Lombardo (2007), secondo quanto riportato dalle

linee guida di Davenhill et al. (1996 in Lombardo, 2007) un progetto di ricerca adeguato dovrebbe rivolgersi

non solo all’analisi e al controllo dei sintomi ma anche al funzionamento interno e a quello sociale dei pa-

zienti. La capacità di adattamento e la possibilità di reinserimento sociale influiscono, infatti, notevolmente

sulla qualità di vita: questi elementi dipendono, sì, molto dalle condizioni economiche della persona ma

non quanto la capacità del paziente psichiatrico di funzionare nell’ambiente e relazionarsi con gli altri (cit.).

- Altre variabili anagrafico – epidemiologiche da indagare:

numero e durata dei ricoveri in SPDC;

numero di ingressi in SRAIT/CRT/SR e durata dell’esperienza;

presenza di attività presso CD;

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farmacoterapia;

altri tipi di psicoterapia oltre alla partecipazione al GMF;

capacità di lavorare e/o di proseguire negli studi;

richiesta di certificazione di invalidità.

LIVELLO DI INDAGINE 2: LA FAMIGLIA

I questionari, riportati di seguito, che analizzano le variabili relative al carico familiare e alle strategie di co-

ping, verranno somministrati ai familiari partecipanti al gruppo (i familiari dei pazienti membri del gruppo

multifamiliare che non partecipano allo stesso sono esclusi dalla somministrazione) nel pre-post trattamen-

to e ogni sei mesi.

Il questionario che analizza, invece, le variabili relative al grado di coesione e adattabilità della famiglia, ver-

rà somministrato ai familiari partecipanti al gruppo (i familiari dei pazienti membri del gruppo multifamilia-

re che non partecipano allo stesso, sono esclusi dalla somministrazione) nel pre-post trattamento (e, co-

munque, ogni 12 mesi dalla prima somministrazione) (vedi Fig. 1).

- Carico familiare Strumento di Valutazione del Supporto Sociale – QRS (Gigantesco et al., 1995): breve

questionario autosomministrato (o da somministrare a cura del clinico) che indaga il livello di soddisfazione

generale relativo al supporto sociale percepito.

- Strategie di coping Coping Orientation to the Problems Experienced-Nuova Versione Italiana – COPE-

NVI (Sica et al., 2008) è un questionario autosomministrato composto da 60 item con quattro possibilità di

risposta (da “di solito non lo faccio” a “lo faccio quasi sempre”) che misura cinque dimensioni di base relati-

ve agli stili di coping:

supporto sociale;

strategie di evitamento;

attitudine positiva;

orientamento al problema;

orientamento trascendente.

- Coesione familiare The Family Adaptability and Cohesion Evaluation Scale – FACES (Olson, 1991), è un

questionario composto da 40 item (20 per la dimensione familiare reale e 20 per la dimensione familiare

ideale) con risposta su scala Likert a 5 punti che indaga il grado di coesione e adattabilità della famiglia.

LIVELLO DI INDAGINE 3: GLI OPERATORI

Il questionario, illustrato di seguito, che analizza le variabili relative al vissuto emotivo e al mantenimento

delle capacità professionali degli operatori, verranno somministrati ai soli operatori partecipanti al gruppo

(gli operatori che hanno in cura i pazienti membri del gruppo multifamiliare e che non partecipano allo

stesso, sono esclusi dalla somministrazione) nel pre-post trattamento e ogni sei mesi (vedi Fig. 1).

- Vissuto emotivo e mantenimento delle capacità professionali Link Burn-Out Questionnaire - LBQ (San-

tinello, 2007); è un breve questionario composto da 24 item con risposta su scala Likert che indaga quattro

scale, ognuna delle quali comprende tre item con polarità positiva e tre con polarità negativa:

esaurimento psicofisico: è la sensazione di sentirsi stanchi e sotto pressione, l'esaurimento delle ri-

sorse fisiche e psichiche.

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deterioramento della relazione: quando la relazione di aiuto con l'utente diviene alienata fino al ci-

nismo.

inefficacia professionale: quando i problemi professionali diventano situazioni incomprensibili.

disillusione: quello che sembrava una passione è diventato una routine priva di significato.

LIVELLO DI INDAGINE 4: IL GRUPPO (FATTORI TERAPEUTICI, ASPETTI DI COESIONE E ALLEANZA, CLIMA DI GRUPPO)

I questionari, riportati di seguito, che analizzano le variabili relative ai fattori terapeutici, agli aspetti di coe-

sione, alleanza e clima di gruppo, verranno somministrati ai partecipanti al gruppo mensilmente: per le ana-

lisi correlazionali con le altre variabili, relative ai livelli di indagine 1-2-3, si utilizzeranno le medie ponderate

dei punteggi ottenuti nel corso di sei somministrazioni (vedi Fig. 1).

- Coesione Group/Member/Leader Cohesion Scale – GMLCS (Piper, Jones, Lacroix, Marrache, Richardson,

1984). Piper et al. (1984) e Kipnes, Piper e Joyce (2002) hanno costruito e testato su diversi campioni clinici

3 questionari autosomministrati che valutano rispettivamente la coesione nei confronti del terapeuta, del

gruppo nel suo insieme e dei singoli partecipanti al gruppo. In questo studio verrà utilizzata solo una forma,

quella che valuta la coesione rispetto al gruppo nel suo insieme: si tratta di un questionario self-report

composto da 9 item, con risposta su scala Likert a 6 punti (da “pochissimo” a “moltissimo”).

La forma che valuta la coesione rispetto al gruppo nel suo insieme fornisce punteggi rispetto a tre

aree:

1. effetto e stimolazione mutua

2. impegno verso il gruppo

3. impegno del gruppo.

- Alleanza California Psychotherapy Alliance Scale – CALPAS-G (Marmar et al., 1986; 1989; 1989a; Ga-

ston, 1991; Gaston e Marmar, 1994) è un questionario autosomministrato, specificamente pensato per la

valutazione dell’alleanza terapeutica in gruppo, che fornisce la valutazione di quattro indici di alleanza te-

rapeutica. Questi indici si riferiscono ai contributi del paziente nel processo di formazione dell'alleanza:

1. Capacità di lavoro del paziente (Patient Working Capacity, PWC) riflette la capacità del paziente

di lavorare attivamente e in modo propositivo durante la terapia, formando cioè un’“alleanza di

lavoro” con il gruppo: il paziente fornisce materiale rilevante e lavora con le interpretazioni del

gruppo in modo da favorire l'approfondimento dei temi salienti e di orientarsi alla soluzione dei

problemi.

2. Impegno del paziente (Patient Commitment, PC) riflette l’atteggiamento del paziente verso la

terapia e comprende il sentimento di fiducia e l'impegno a compiere l'intero processo terapeu-

tico anche se questo implica momenti difficili e sacrifici; corrisponde a un attaccamento in par-

te emotivo e in parte razionale verso la terapia e il gruppo.

3. Consenso sulla strategia di lavoro (Working Strategy Consensus, WSC) riflette il grado di accor-

do, implicito o esplicito, tra paziente e gruppo sui modi (strategie e obiettivi) in cui la terapia

dovrebbe procedere; paziente e membri del gruppo lavorano in uno sforzo comune. Si riferisce

quindi all'accordo o al disaccordo tra gruppo e paziente sul modo di lavorare in terapia.

4. Comprensione e coinvolgimento del membro/paziente (Member Understanding and Involve-

ment, MUI); riflette due componenti del coinvolgimento rispetto al gruppo: la comprensione

empatica delle difficoltà e delle sofferenze del paziente, e la comprensione delle ragioni sotto-

stanti a queste difficoltà.

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Si procederà, infine, alll’analisi fattoriale confirmatoria il metodo di estrazione Maximum Likelihood

con rotazione Direct Oblimin e Goodness of Fit’s Test del valore relativo del χ2 (McIver & Carmines, 1981) e

con i metodi AGFI (Adjusted Goodness of Fit’s Test), TLI (Tucker-Lewis Index) e CFI (Comparative Fit Index).

Si valuterà, per ogni fattore e per la somma dei fattori, il valore di attendibilità misurato attraverso il coeffi-

ciente α di Cronbach; la validità interna si rileverà attraverso le correlazioni lineari tra fattori (r di Pearson a

due code); si calcoleranno, inoltre, i punteggi normativi.

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Figura 1 - Timing delle somministrazioni per la raccolta dati

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