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VARIANZA E DEVIANZA I€¦ · ^ La devianza non è però semplicemente una perdita o un rifiuto...

Date post: 24-Aug-2020
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VARIANZA E DEVIANZA I n ogni società esiste uno scarto previsto fra i modelli e le condotte effettive: certi mo- delli sono riconosciuti come «ideali» verso cui le persone normali si limitano di solito ad indirizzarsi. Essi sono compiutamente realizzati solo dalle persone eccezionali: capi carismatici, santi, eroi. Inoltre nessuna società offre modelli unici per la condotta, quan- to piuttosto una serie di alternative, all'interno delle quali i soggetti e i gruppi devono compiere delle scelte, a seconda delle personalità, delle situazioni e dei valori. La varian- za- implica la possibilità per i membri di una società di scegliere tra diversi modelli tutti permessi; la devianza prevede invece il ricorso a modelli che vengono sanzionati negati- vamente in quanto non consentiti. Ciò non toglie che certe condotte devianti possano es- sere più o meno ampiamente tollerate; barbonisrno, prostituzione, certe forme di crimi- nalità da «colletti bianchi» come la corruzione, certe forme di tossicodipendenza posso- no essere o meno sanzionate dalla legge, ma trovano in determinati ambienti sociali una notevole quantità di consenso o indifferenza. In ogni caso la devianza implica il ricorso a modelli di comportamento propri di un gruppo marginale: quindi rappresenta una for- ma alternativa di conformità. Chi è deviante non è dunque deviante in assoluto, perché di solito è positivamente socializzato rispetto ad un gruppo a sua volta considerato de- viante e antisociale da una collettività più vasta. LE TEORIE DELLA DEVIANZA Da quando la società si è resa conto dell'esistenza della devianza, ha cercato di interpretarne le origini. Le teorie più antiche all'interno della no- stra cultura hanno classificato la devianza come il prodotto di tendenze individuali nega- tive, legate a fattori connaturati nella persona o alla sua perversione morale. SCHEDAI PERSONALITÀ E COMPORTAMENTO D La ricerca criminologica, come studio del com- portamento antisociale, si occupa fin dai primordi del rapporto fra personalità e devianza. A dare questa impostazione fu già il fondatore dell'antro- pologia criminale, Cesare Lombroso (1835- 1909),.con opere come L'uomo delinquente studiato in rapporto all'antropologia, alla medici- na e alle discipline carcerane (1865), in cui cer- cava di individuare i tratti caratteristici della perso- nalità criminale sulla base di tare ed anomalie somatiche, da lui attribuite a forme di «atavismo», cioè di soprawivenza di caratteri primitivi in indi- vidui moderni. A differenza di Lombroso, tuttavia, la criminologia contemporanea considera la per- sonalità non solo nel suo quadro somatopsichico, ma anche in relazione alla sua appartenenza cul- turale e ai gruppi sociali in cui l'individuo è inseri- to. Superata, nella maggior parte dei casi, appare pure la tendenza, inaugurata anch'essa da Lom- broso, ad analizzare la personalità dei singoli sog- getti devianti nel quadro di «classificazioni» e «ti- pologie» (per cui esisterebbero le personalità tipi- che del «rapitore», del «rapinatore», deH'«omici- da»). Nonostante una parte della psichiatria man- tenga ancora l'identificazione fra personalità cri- minale e personalità psicopatica o sodopatica, caratterizzata dai tre tratti fondamentali dell'/'m- maturità affettiva, dell'apatìa morale e della con- dotta antisociale, l'esistenza di frequenti compor- tamenti criminali da parte degli stessi soggetti viene oggi spiegata diversamente. Si fa così ricor- so a cause ambientali, all'imitazione di modelli sociali (ampiamente propagandati dalla «cronaca nera» dei media) o a forme particolari di psicosi che hanno uno sbocco nel comportamento cri- minale, anziché essere semplice manifestazione di una personalità criminale. Ciò che viene defini- to come comportamento «deviante», «antisociale» o «criminale» è relativo ad una serie di coordinate sociali di volta in volta mutevoli, come mutevoli possono essere le circostanze per cui un indivi- duo adotta un comportamento di questo genere. Pertanto l'etichetta di «personalità criminale» deve essere usata con molta prudenza e, a tutt'oggi, non sono state formulate a questo riguardo teo- rie unitarie. Resta naturalmente il fatto che non è possibile per il criminologo ricostruire il movente di un comportamento criminale senza far ricorso al concetto di personalità in tutta la sua ampiezza bio-psico-sodale e senza un'analisi estensiva e individualizzata del soggetto coinvolto. Questo tipo di analisi, più che individuare «personalità cri- minali» può servire a mettere in luce componenti della personalità (come l'impulsività, l'aggressi- vità, un basso livello di intelligenza o disturbi mentali) che possono avere reso più facile l'ado- zione del comportamento deviante. In taluni casi l'esame psicologico e psichiatrico della persona- lità può valere anche come strumento per una ri- duzione di eventuali pene o addirittura per la di- chiarazione di non imputabilità. Le teorie della personalità deviante presuppongcfun approccio prevalentemente psi- chiatrico, psicologico o psicanalitico incentrato anzitutto sull'individuo. Di diverso avvi- so è invece Durkheim, con la sua celebre riflessione sulla condizione di anemia come isolamento daTs3cIaIe"Per Durkheim la disintegrazione dei legami sociali lascia l'indivi- duo privo di regole e modelli, in uno stato di confusione in cui la devianza è inevitabile.
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Page 1: VARIANZA E DEVIANZA I€¦ · ^ La devianza non è però semplicemente una perdita o un rifiuto globale di non meglio precisate regole sociali: occorre infatti distinguere a questo

VARIANZA E DEVIANZA

I n ogni società esiste uno scarto previsto fra i modelli e le condotte effettive: certi mo-delli sono riconosciuti come «ideali» verso cui le persone normali si limitano di solito

ad indirizzarsi. Essi sono compiutamente realizzati solo dalle persone eccezionali: capicarismatici, santi, eroi. Inoltre nessuna società offre modelli unici per la condotta, quan-to piuttosto una serie di alternative, all'interno delle quali i soggetti e i gruppi devonocompiere delle scelte, a seconda delle personalità, delle situazioni e dei valori. La varian-za- implica la possibilità per i membri di una società di scegliere tra diversi modelli tuttipermessi; la devianza prevede invece il ricorso a modelli che vengono sanzionati negati-vamente in quanto non consentiti. Ciò non toglie che certe condotte devianti possano es-sere più o meno ampiamente tollerate; barbonisrno, prostituzione, certe forme di crimi-nalità da «colletti bianchi» come la corruzione, certe forme di tossicodipendenza posso-no essere o meno sanzionate dalla legge, ma trovano in determinati ambienti sociali unanotevole quantità di consenso o indifferenza. In ogni caso la devianza implica il ricorso amodelli di comportamento propri di un gruppo marginale: quindi rappresenta una for-ma alternativa di conformità. Chi è deviante non è dunque deviante in assoluto, perchédi solito è positivamente socializzato rispetto ad un gruppo a sua volta considerato de-viante e antisociale da una collettività più vasta.

• LE TEORIE DELLA DEVIANZA Da quando la società si è resa conto dell'esistenza delladevianza, ha cercato di interpretarne le origini. Le teorie più antiche all'interno della no-stra cultura hanno classificato la devianza come il prodotto di tendenze individuali nega-tive, legate a fattori connaturati nella persona o alla sua perversione morale.

SCHEDAI PERSONALITÀE COMPORTAMENTO D

La ricerca criminologica, come studio del com-portamento antisociale, si occupa fin dai primordidel rapporto fra personalità e devianza. A darequesta impostazione fu già il fondatore dell'antro-pologia criminale, Cesare Lombroso (1835-1909),.con opere come L'uomo delinquentestudiato in rapporto all'antropologia, alla medici-na e alle discipline carcerane (1865), in cui cer-cava di individuare i tratti caratteristici della perso-nalità criminale sulla base di tare ed anomaliesomatiche, da lui attribuite a forme di «atavismo»,cioè di soprawivenza di caratteri primitivi in indi-vidui moderni. A differenza di Lombroso, tuttavia,la criminologia contemporanea considera la per-sonalità non solo nel suo quadro somatopsichico,ma anche in relazione alla sua appartenenza cul-turale e ai gruppi sociali in cui l'individuo è inseri-to. Superata, nella maggior parte dei casi, apparepure la tendenza, inaugurata anch'essa da Lom-broso, ad analizzare la personalità dei singoli sog-getti devianti nel quadro di «classificazioni» e «ti-pologie» (per cui esisterebbero le personalità tipi-che del «rapitore», del «rapinatore», deH'«omici-da»). Nonostante una parte della psichiatria man-tenga ancora l'identificazione fra personalità cri-minale e personalità psicopatica o sodopatica,caratterizzata dai tre tratti fondamentali dell'/'m-maturità affettiva, dell'apatìa morale e della con-dotta antisociale, l'esistenza di frequenti compor-tamenti criminali da parte degli stessi soggettiviene oggi spiegata diversamente. Si fa così ricor-

so a cause ambientali, all'imitazione di modellisociali (ampiamente propagandati dalla «cronacanera» dei media) o a forme particolari di psicosiche hanno uno sbocco nel comportamento cri-minale, anziché essere semplice manifestazionedi una personalità criminale. Ciò che viene defini-to come comportamento «deviante», «antisociale»o «criminale» è relativo ad una serie di coordinatesociali di volta in volta mutevoli, come mutevolipossono essere le circostanze per cui un indivi-duo adotta un comportamento di questo genere.Pertanto l'etichetta di «personalità criminale» deveessere usata con molta prudenza e, a tutt'oggi,non sono state formulate a questo riguardo teo-rie unitarie. Resta naturalmente il fatto che non èpossibile per il criminologo ricostruire il moventedi un comportamento criminale senza far ricorsoal concetto di personalità in tutta la sua ampiezzabio-psico-sodale e senza un'analisi estensiva eindividualizzata del soggetto coinvolto. Questotipo di analisi, più che individuare «personalità cri-minali» può servire a mettere in luce componentidella personalità (come l'impulsività, l'aggressi-vità, un basso livello di intelligenza o disturbimentali) che possono avere reso più facile l'ado-zione del comportamento deviante. In taluni casil'esame psicologico e psichiatrico della persona-lità può valere anche come strumento per una ri-duzione di eventuali pene o addirittura per la di-chiarazione di non imputabilità.

Le teorie della personalità deviante presuppongcfun approccio prevalentemente psi-chiatrico, psicologico o psicanalitico incentrato anzitutto sull'individuo. Di diverso avvi-so è invece Durkheim, con la sua celebre riflessione sulla condizione di anemia comeisolamento daTs3cIaIe"Per Durkheim la disintegrazione dei legami sociali lascia l'indivi-duo privo di regole e modelli, in uno stato di confusione in cui la devianza è inevitabile.

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LA TEORIAFUNZIONALISTA

DELLA DEVIANZADI MERTON

^ La devianza non è però semplicemente una perdita o un rifiuto globale di non meglioprecisate regole sociali: occorre infatti distinguere a questo proposito fra i mezzi e i finiche vengono considerati socialmente apprezzabili: si può essere devianti nei mezzi manon nei fini, e viceversa. Secondo Robert Merton la devianza è risultato di uno squilibrioall'interno del sistema sociale, di un'anemia legata alla discrepanza tra i fini altrettantoapprovati e la disponibilità per tutti di mezzi socialmente approvati: «è soltanto quandoun sistema di valori esalta, praticamente sopra ogni altra meta, certe mete di successo co-muni alla popolazione in generale, mentre la struttura sociale restringe rigorosamente oblocca del tutto l'accesso alle vie accettabili per raggiungere queste mete a una parte con-siderevole della stessa popolazione che il comportamento deviante si sviluppa su largascala». Secondo Merton esistono cinque livelli rispetto ai quali gli individui possono ac-cettare i fini sociali e i mezzi che la società propone per raggiungerli. Egli definisce la ge-lazione in cui un individuo accetta sia i fini che i mezzi «conformità», mentre indica l'at-teggiamento opposto «rinuncia». Gli «innovatori» sono invece coloro che accettano ifini ma non i mezzi e i «ritualisti» che, al contrario, accettano i mezzi ma non i fini. Visono infine i «ribelli», che rifiutano radicalmente l'intera società e voglio sostituirla conuna alternativa, essendo indifferenti rispetto ai mezzi e ai fini del «sistema».

Tabella 1 Tipologia della devianza di Merton.

1 Modi di adattamento

Conformità

Innovazione

Ritualismo

Rinuncia

Accetta le meteapprovate culturalmente

No

No

Accetta i mezziapprovati culturalmente .,.

No

No

TÌ'Ì 11: Mrt f^f^n i-in™*** m^t^ì Mo (rrpa nuovi mezzi)

(Adattamento da Robert K. Merton, Teoria e struttura soda/e, Bologna, II Mulino 1971 )

IL SUCCESSO

DELLA TEORIAFUNZIONALISTA

LA DEVIANZAGIOVANILE

LIMITIDELLA TEORIA

FUNZIONALISTA

> La teoria di Merton ha avuto grande diffusione in sociologia, e ha favorito la considera-zione della devianza come fatto in parte indipendente dalla personalità degli individui chela mettono in atto. Merton ha sottolineato in Social Stmcture andAnomie la presenza di si-tuazioni sociali che possono condurre alla devianza. Ad esempio la cultura può prescrive-re dei fini, come il successo, che certi gruppi non possono raggiungere con i mezzi social-mente approvati, come farsi un'istruzione e lavorare duramente, perché la società distri-buisce queste risorse in modo ineguale. Così parte dei membri di questi gruppi approde-ranno al ritualismo o all'innovazione (categoria in cui, bisogna ricordarlo, Merton includecomportamenti criminali come l'omicidio o la rapina). L'uso di mezzi illegittimi, conside-rato in genere un grave problema, può dipendere dal fatto che in determinate condizionil'enfasi sociale è molto più forte sul raggiungimento dei fini che non sull'uso di mezzi con-siderati legittimi. In ogni caso altri membri di gruppi svantaggiati possono scegliere la ri-nuncia, in quanto hanno profondamente interiorizzato sia i mezzi che i fini sociali. Costo-ro si trovano in una condizione di grande difficoltà: non potendo rifiutare né gli uni né glialtri, provano semplicemente a «fuggire» dalla società. I ribelli invece sono coloro che de-cidono che occorre «cambiare le regole del gioco» e il gioco stesso, istituendo una nuovasocietà sia dal punto di vista dei mezzi che dei fini.>• La teoria dell'anemia di Merton è stata usata per spiegare la devianza delle bande giova-nili: la maggior parte dei giovani delinquenti sarebbero quindi ragazzi appartenenti a clas-si svantaggiate dal punto di vista socioeconomico, che, in mancanza di canali appropriati,seguono l'imperativo morale del successo attraverso l'affermazione di sé in azioni crimina-li o teppistiche in cui occorre mostrarsi abili, coraggiosi o spregiudicati. Secondo RichardCloward e Lloyd Ohlin esistono tre tipi di subculture delinquenziali: quella criminale si in-centra sulla realizzazione di guadagni illeciti; quella conflittuale è basata invece sulla difesadi un «territorio» e sullo scontro; quella rinunciataria si caratterizza attraverso stili di vitacome la tossicodipendenza.^- La teoria funzionalista della devianza presuppone un consenso sociale generalizzato sualcuni valori, trascurando il fatto che certi comportamenti vengono «etichettati» come de-vianti da gruppi sociali che hanno, per varie ragioni, valori ad essi contrapposti e il poteresociale per imporre la loro etichetta mediante leggi e sanzioni. Il punto è che costoro costi-tuiscono solo alcuni gruppi, mentre nella società esistono altri gruppi che possono noncondividere tale prospettiva. Così in molti paesi del mondo l'omosessualità è considerataun reato, sebbene la maggioranza dell'opinione pubblica del mondo occidentale sia benlontana da considerare deviante l'omosessualità, anche in quegli Stati dove esistono anco-

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IL CONSUMODI DROGHE

COME FORMADI DEVIANZA

ra sanzioni a questo riguardo. Ugualmente il consumo di droghe leggere da luogo a con-trasti e accaniti dibattiti fra i sostenitori di una sua legalità e coloro che rifiutano la sua de-penalizzazione.^ II consumo e la dipendenza da droghe hanno avuto nella società occidentale una enor-me espansione a partire dalla seconda metà del Novecento. Questi comportamenti si ca-ratterizzano per l'essere giudicati in modo socialmente incerto, a cavallo fra la devianza ela varianza. Ciò appare evidente anche solo dal confronto fra le legislazioni dei diversi pae-si del mondo occidentale. Mentre la condanna dello spaccio è complessivamente unani-me, in certi paesi l'uso personale di determinate sostanze viene considerato lecito (anchese in genere pericoloso), mentre in altri è reato. Esistono subculture che collegano l'uso disostanze allucinogene a valori (socialità, libertà, espansione della mente) e consistenti fe-nomeni di devianza legati alle dipendenze: un mercato delle sostanze colluso con gruppicriminali organizzati, come la mafia, una serie di reati commessi dai tossicodipendenti du-rante il consumo o per procurarsi il denaro necessario ad acquistare le sostanze. L'opinio-ne pubblica a questo proposito è fortemente divisa. Secondo un elenco dell'Organizzazio-ne Mondiale per la Sanità la variabilità sociale del consumo di droghe si lega a fattori qua-li l'identità sessuale, l'età, la pressione del gruppo, l'automedicamento (per allontanarel'ansia o la depressione), le difficoltà famigliari, problemi e profili di personalità, fattori e-conomici e sociali. All'incrocio fra questi diversi fattori i giovani compaiono come la cate-goria sociale più esposta. Nella grande varietà di interpretazioni a questo riguardo, alcunistudiosi hanno riconosciuto questi comportamenti fra i bisogni di una personalità malatao «particolare», come forma di automedicazione o di regressione infantile di fronte ad unarealtà vissuta come difficile. La psicologia sociale ha invece discusso il legame fra condi-zione giovanile, frustrazione, fuga dal senso di colpa, consumo di droghe come forma dirivolta e «controcultura». La teoria di Merton relativa alla disparità mezzi-fini è stata infi-ne chiamata in causa per indicare nel consumatore di droghe o nel tossicodipendente unindividuo emarginato che reagisce in questo modo alla proposta sociale di obiettivi e mo-delli di vita.

9 LA TEORIA DELLA TRASMISSIONE CULTURALE Esistono inoltre teorie che spiegano ladevianza anzitutto in relazione all'esistenza di una vera e propria «cultura» criminale cheviene trasmessa con tutti i meccanismi tipici della trasmissione culturale. Secondo EdwinSutherland «la ragione per la quale una persona diventa delinquente sta nel sovrappiù didefinizioni favorevoli alla violazione della legge rispetto alle definizioni contrarie alla vio-lazione della legge». La devianza dipenderebbe da un processo di associazione differenzia-le, così che chi cresce in ambienti devianti, o ha contatti più frequenti e intensi con indivi-dui devianti piuttosto che non devianti o trova in individui devianti un riconoscimentopositivo altrimenti mancante, viene socializzato alla cultura deviante. Ne deriva quindiche la devianza si lega all'esistenza di subculture parzialmente separate e conflittuali ri-spetto alla cultura dominante in una data società: le piccole comunità, essenzialmente mo-noculturali, non permettono la trasmissione di culture devianti e non hanno necessità diforme di controllo istituzionalizzate.

• LA TEORIA DELL'ETICHETTAMENTO È stato messo in luce che quasi tutti ci comportia-mo qualche volta in modo deviante, ad esempio violando il codice della strada o frodandoil fisco. In genere questi atti di devianza primaria sono temporanei e superficiali: qualchevolta vengono adottati da persone adolescenti come forma di «esperimento». Tuttavia puòaccadere che tali atti vengano scoperti e resi pubblici da persone dotate di autorità moraleo istituzionale: sacerdoti, genitori, insegnanti, datori di lavoro, agenti di polizia. Ciò com-porta una «cerimonia di degradazione» che prevede la «messa in stato d'accusa», un am-monimento o una punizione e soprattutto un «etichettamento» come ladro, tossicodipen-dente, truffatore e così via. A questo punto Petichettamento condiziona le relazioni socialidel soggetto (che può ad esempio essere considerato «uno da evitare», o di cui «non ci sipuò fidare») e il suo concetto di sé, rinforzandolo nel comportamento deviante (devianzasecondaria). Così la devianza diventa un caso di «profezia che si autodetermina», una «car-riera» e uno status dominante, una «narrazione» sul soggetto che ingloba e reinterpretaanche i suoi atti precedenti alla «scoperta» della devianza come premonitori e anticipatoridella devianza stessa. Le probabilità di etichettare e di essere etichettati come devianti nonsono però distribuite uniformemente: chi è in una posizione di preminenza sociale, politi-ca ed economica, può facilmente etichettare e resistere considerevolmente all'etichetta-mento e alle sanzioni collegate, a differenza di chi si trova negli strati più bassi della so-cietà. Tale differenza non sembra neanche condizionata dalla gravita degli atti: chi emetteassegni a vuoto è un truffatore, ma la stessa etichetta viene applicata meno facilmente a chifalsa bilanci sociali per decine di miliardi per ottenere fondi «neri»; chi colpisce a morte u-na persona in una rissa è un omicida, ma chi nasconde per decenni i rischi mortali per lasalute dei lavoratore in un impianto nucleare strategico non lo è immediatamente conside-rato, e così via. Ciò non toglie, naturalmente, che anche emettere assegni a vuoto e omette-

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re elementari di controlli di sicurezza siano atti aggettivamente lesivi del prossimo e, cometali, meritevoli di sanzione. I reati sono atti formalmente proibiti dalla legge, perché consi-derati disgreganti e troppo pericolosi per essere controllati in modo informale. Per essil'autorità politica costruisce opportune categorie e precise sanzioni.

Tabella 2 I principali tipi di reato

Reati contro fa persona

Colpiscono l'integrità fisica delle vittime (violenze, omicidi... )

Reati contro il patrimonio

Sottrazione o danneggiamento di proprietà altrui (furti, incendi...)

Reati «senza vittime»

Comportamenti condannati moralmente dal gruppo dominante, ma non direttamente lesivi dipersone o proprietà (gioco d'azzardo, prostituzione, l'accattonaggio ...)

Reati da «colletti bianchi»

Così definiti da Edwin Sutherland, sono i reati commessi da persone «rispettabili» nell'eserci-zio della loro professione o, in generale, in relazione al loro status e alle loro attività (frode, cor-ruzione, evasione delle imposte, appropiazione indebita ...)

• IL RICONOSCIMENTO DEL CRIMINALE E IL SUO TRATTAMENTO Le persone che vengo-no arrestate, processate e condannate al carcere sono soltanto una parte di quel gruppo e-normemente più vasto di individui che commettono reati; inoltre, a parità di reati, coloroche vengono imprigionati non sono omogeneamente distribuiti fra le diverse categorie so-ciali, a causa di un lungo processo di selezione, che comprende la scoperta del reato, la suaeffettiva denuncia, l'arresto di chi lo ha commesso, il processo, la condanna e la carcera-zione. A parte la scoperta, tutti le fasi di questo processo comportano delle decisioni equindi delle selezioni fra i soggetti. La gravita del reato e la sua tipologia condizionano lasua scoperta e denuncia: è infatti meno probabile che vengano denunciati reati lievi ocommessi da «colletti bianchi»; se il colpevole viene scoperto, inoltre, il suo status può es-sere decisivo per determinare o meno l'arresto. A parità di reati, vengono arrestati più fa-cilmente i maschi che le femmine, i giovani rispetto agli anziani, gli individui delle classiinferiori rispetto a quelli delle classi superiori, le persone con carattere meno accomodan-te rispetto a quelle che assumono un atteggiamento «pentito» e umile, quelli che hanno u-na «cattiva fama» rispetto a quelli che risultano «per bene».

Dopo l'arresto alcuni possono fruire di arresti domiciliari, altri no. Giunti al processo,alcuni potranno permettersi un avvocato, mentre altri verranno affidati ad una difesad'ufficio, che può essere più o meno efficace nello sfruttare al meglio per il propriocliente i meccanismi processuali; dopo la condanna alcuni sono in grado di usufruire dimisure alternative alla detenzione, altri no. Le condizioni carcerarie possono a loro voltaessere molto diverse, a seconda della valutazione da parte dell'autorità preposta sul dete-nuto e delle condizioni oggettive degli istituti. Il carcere dovrebbe assolvere una funzio-ne rieducativa e riabilitativa, ma attualmente è utilizzato, nella maggior parte dei casi,come «punizione» con effetto deterrente e come strumento per allontanare il deviantedalla società in modo da impedirgli la reiterazione del reato, con tutte le caratteristichedelle istituzioni totali studiate da Goffman. In carcere l'individuo vede cancellato nellasegregazione tutto il proprio passato, deve affrontare una risocializzazione alle regoledell'istituto e alle regole del gruppo carcerario, all'interno del quale sono possibili, spes-so, violenze e sopraffazioni di vario tipo. Il gruppo carcerario può così divenire una verae propria «scuola di delinquenza», che fornisce all'individuo una serie di competenze el'approvazione sociale necessarie ad attuare condotte devianti che, nell'emarginazionesociale successiva alla scarcerazione con l'etichetta di criminale, appaiono l'alternativapiù facilmente praticabile. Per questo in molti Paesi, come il nostro, si cerca di fissare so-glie e misure alternative alla carcerazione, in modo da non radicare il comportamentodeviante nel maggior numero possibile individui.


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