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Verona In 24/2010

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N° 24 - MARZO 2010 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S.P .A.- SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV . IN L. 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1 - DCB VR i n VERONA
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Page 1: Verona In 24/2010

N° 24 - MARZO 2010 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1 - DCB VR

inVERONA

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per difendere il lavoro e liberare i diritti

a fianco dei lavoratori e dei pensionati

contro il precariato giovanilee per salari più equi

INSIEME FUO-RIDALLA CRISI

Studio editoriale G

iorgio Montolli

CGIL - CISL - UIL VERONA

Page 3: Verona In 24/2010

inVERONA 3

Quando un ministro, potenzialegovernatore del Veneto, un uomoconcreto come Luca Zaia mette inguardia dalle infiltrazioni mafiosenella nostra regione vuol dire, nellinguaggio dei politici e dei gior-nali, che queste infiltrazioni già cisono. A Verona la Procura nondorme, ci sono fascicoli aperti. Lamafia, storicamente approdata aSommacampagna negli anni Ot-tanta, anche da noi c’è e prospera.Non a caso il 6 giugno dello scorsoanno a Villa Buri si è presentata“Libera”, l’associazione impegnatacontro la malavita organizzata.Non a caso in quell’occasione ven-ne fatto un elenco dettagliato deibeni confiscati alla mafia nel Vero-nese. Ancora non a caso lo scorso6 novembre la città ha ospitato ilProcuratore generale antimafiaPietro Grasso, che ha messo inguardia dal ritenere certi fenome-ni delinquenziali appannaggio delsolo Mezzogiorno.

Verona è una città molto ricca. Loera anche trent’anni fa, quando ve-niva chiamata la Bangkok d’Italia,per via dell’eroina che scorreva afiumi. Allora il racket che curava lospaccio ben si guardava dal regola-re i conti, per le mancate consegneo i mancati pagamenti, a colpi dilupara. Tutto doveva rimanere lin-do, la piazza doveva essere sgom-bera da polizia e carabinieri. Glisgarri si regolavano altrove perchégli affari, compreso il riciclaggio didenaro, hanno sempre la prece-denza sui regolamenti di conti.

E allora come evitare di pensareche potrebbe esserci un nesso tra leparole di Zaia, un territorio ricco epulito, il monito del Procuratoregenerale antimafia e l’inchiesta cheapre questo numero del giornalesul tema delle grandi opere che in-teresseranno nei prossimi anni ilVeronese, per le quali è stata stima-ta una spesa di 20 miliardi di euro?Da dove arriverà questa enormemassa di denaro, in un tempo incui si chiudono le fabbriche e si ri-

corre alla cassa integrazione perchéi soldi non ci sono?Insieme a Zaia anche il presidentedi Confindustria del Veneto, An-drea Tomat, si è detto preoccupatoper le infiltrazioni mafiose. Il pun-to di vista degli industriali, anchedi quelli scaligeri di cui abbiamoraccolto le confidenze, è di unasemplicità disarmante: se manca-no i soldi per far girare l’economia,le aziende per tirare avanti posso-no fare tre cose: la prima è chiude-re, la seconda è rischiare sull’inno-vazione (e chi ne ha le capacità og-gi porta a casa risultati e salva postidi lavoro), la terza è farsi prestare isoldi. Tornano allora alla mente leparole di Pietro Grasso. Alla nostradomanda: «Come evitare che lamafia metta radici sul territorioveronese?» la risposta del magi-strato era stata: «Quando vengonoad offrirvi aiuto dite sempre di no:nessuno fa nulla per nulla».

Dalla mafia siamo messi in guar-dia, ma c’è qualcos’altro che nonquadra nel progetto di questegrandi opere e di cui la gente staprendendo consapevolezza. Sem-bra manchino di coerenza, chenon ci sia una visione d’insieme fi-nalizzata al bene comune, come se,ed è la convinzione che sta matu-rando, entrambe le cose siano sub-ordinate ad una logica affaristica.Due parole per dire come si rag-granellano 20 miliardi di euroaiuteranno a proseguire nel ragio-namento. Ci sono i finanziamentistatali; ci sono i finanziamenti pri-vati; c’è il ricorso al project finan-cing, attraverso il quale le ammi-nistrazioni realizzano opere pub-bliche con il concorso di capitaleprivato, creando i presupposti af-finché nel tempo il denaro spesorientri con i guadagni per l’inve-stitore.Ad esempio, nel caso del Traforodelle Torricelle (390 milioni di eu-ro), sarà il pedaggio che i cittadinidovranno pagare uno degli stru-menti a garanzia della sostenibilitàeconomica dell’opera, calcolato in

In copertina: La roulette, da poco comparsaanche nella nostra città(servizio all’interno)

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ni base al flusso veicolare previsto nei

prossimi 50 anni. Non è difficilecapire come mai il project finan-cing sia da molti considerato unostrumento-capestro. È questionedi buon senso: non puoi spendereil denaro che non hai, o meglio lopuoi fare se l’amministrazionepubblica garantisce la coperturadelle spese. Allora sì che diventaun affare vantaggioso per il priva-to che lo propone. Quali le garan-zie del Comune? Nel caso del Tra-foro c’è da sbizzarrirsi: si va dallapossibilità di aumentare il pedag-gio, alla creazione di parcheggi, al-berghi e quant’altro a pagamento,fino alla stipula di accordi succes-sivi per individuare nuove aree dadare in concessione ai privati a finilucrativi. Insomma, il rischio diimpresa non esiste più perché èstato scaricato sui cittadini. Nessu-no di noi, dovendo concludere unaffare, si metterebbe nelle condi-zioni di fare un simile salto nelvuoto. Perché allora il Comunequesto salto è disposto a farlo?

La conclusione è che in una socie-tà complessa, dove la politica èfortemente sollecitata da interessieconomici, alcune importanti de-cisioni che riguardano il futuro deicittadini non possono essere preseunicamente dagli amministratori,pur legittimamente eletti a gover-nare per un periodo limitato ditempo. Anche nel Veronese sononati gruppi spontanei spesso inconflitto con le amministrazionilocali. Altri vorrebbero iniziare unpercorso di democrazia parteci-pata per “affiancare” gli ammini-stratori nelle gravose responsabili-tà di governo, passando dalla con-trapposizione alla reciprocità. Maservono regole, serve confrontarsial di fuori del proprio ambito ter-ritoriale, magari per stabilire subi-to e con precisione quale debba es-sere il rapporto tra democrazia di-retta (i comitati) e la democraziadelegata (gli eletti nelle varie isti-tuzioni).

g.m.

www.verona-in.it

Primo piano

In una societàcomplessa, dove la

politica è fortementesollecitata da interessi

economici, alcuneimportanti decisioni

devono essere preseinsieme ai cittadini

Page 4: Verona In 24/2010

di Michele Marcolongo

Traforo, inceneritore, Mediana,nuove autostrade Nogara-Mare eTirreno-Brennero, Sistema delletangenziali venete. E poi ancora:riqualificazione delle Ex Cartieredi Basso Acquar, Motorcity dellaBassa, Centro agroalimentare di

Trevenzuolo, District Park di Vi-gasio, Interporto di Isola dellaScala, nuova porta autostradaledi Nogarole Rocca. Senza conta-re la Tav e l’Alta capacità.L’elenco delle grandi opere inprogettazione sul nostro territo-rio è a dir poco impressionante.Se sommiamo il valore preventi-

vato per ciascuna di esse, trovia-mo che Verona è il baricentro diinvestimenti in opere infrastrut-turali per l’incredibile cifra di 20miliardi di euro.Quasi nessuna di esse è ancoraavviata, ma tutte sono approvate,o in via di approvazione. È tut-tavia evidente che questa colos-sale massa di cemento e asfaltoqualche problema lo pone. A co-minciare dai costi, sui quali gliamministratori pubblici sonoabituati a glissare, dal momentoche molte opere sono finanziatein project financing: si suppone,cioè, che si ripaghino negli annicon pedaggi o con altre opereprivate inserite nel progetto ingrado di fruttare dei soldi (le co-siddette opere “compensative”).Ma chiedersi chi sia il responsa-bile del rientro dei capitali e chise ne fa garante non è una do-manda oziosa.Per Tangenziale Sud e PassanteNord (il Traforo delle Torricelle)si pagherà un pedaggio. Idem perMediana, Nogara-Mare e Tirre-no-Brennero. Il Motorcity verràinteramente finanziato da capi-tali privati per 1,5 miliardi di eu-ro. Nel complesso le opere inproject financing coprono un va-lore di 6 miliardi di euro; quellefinanziate direttamente dai pri-vati ammontano a 2 miliardi equelle dove sono coinvolte le so-cietà autostradali valgono quasi4 miliardi di euro. Allo Stato re-sta una fetta residua di 8 miliardi

4 Marzo 2010

Inchiesta

GRANDI OPERE NEL VERONESE

Cemento e asfaltoper 20 miliardi di euro

Pagheranno i cittadini, finanzieranno i privati ed è una valanga di soldi.Ecco quanto sta per accadere in barba a crisi, tutele e vincoli. Senza capire bene

se è questo quello che la gente veramente vuole. La parola ai comitati

OPERA MILIONI DI EURO FINANZIAMENTOTraforo 390 Project financingCa’ del Bue 118 Project financingTangenziali 2645 Project financingEx Cartiere 200 PrivatiPeople Mover 90 PubblicoGrezzanella 16 AutostradeAffi-Pai 250 Project financingInterporto Isola Della Scala 150 AutostradeMediana 400 Project financingTibre 2700 AutostradeNogara-Mare 1200 Project financingMotorcity 1500 PrivatiViabilità Motorcity 120 PrivatiNuovo Casello Nogarole 1000 Autostrade/privatiCentro Agroalimentare 400 PrivatiDistrict Park 400 PrivatiTav Nodo di Verona 657 PubblicoTav Milano-Verona 2596 PubblicoRaddoppio Verona-Bologna 446 PubblicoTav Verona-Padova 4483 Pubblico

TOTALE C/A 20 MILIARDI DI EURO

L’elenco delle grandiopere in progettazione

sul nostro territorio è a dir poco

impressionante

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di euro. È lecito chiedersi da do-ve salterà fuori questo fiume didenaro.Un secondo ordine di considera-zioni va fatto sul consumo di ter-ritorio. Basti dire che le nuoveopere previste nella Bassa Vero-nese copriranno una superficiedi 12 milioni di metri quadri oradestinati a coltivazioni pregiate, ri-so in primis. Il Motorcity da solomisura quanto il centro storico diVerona racchiuso dentro le muramagistrali, mentre la riqualifica-zione della Zai storica del capo-luogo scaligero porterà all’edifica-zione di 4,5 milioni di metri cubitra uffici e negozi. Abbiamo vera-mente bisogno di tutto questo?Non da ultimo, una riflessione vadedicata alle comunità locali chedovranno subire gli “effetti colla-terali” delle nuove grandi opere,preventivabili in termini di ulte-riore congestionamento delle viedi comunicazione e di aumentodell’inquinamento.Sempre più spesso delle ragionidelle popolazioni esposte si fannocarico comitati e associazioni,spesso in contrasto con gli ammi-nistratori. Il che pone una que-stione che si può più o menospiegare così: esiste un limite ol-tre il quale i governanti non pos-

sono spingersi nel decidere? Sì,secondo i comitati: ad esempioquando le loro scelte riguardanoprovvedimenti che andranno adincidere profondamente sullaqualità della vita delle persone.L’Arpav (un istituto pubblico) hacalcolato che le grandi opere con-centrate nella Bassa Veronesemoltiplicheranno per sei volte ivalori, già oltre la soglia di allar-me dei 50 microgrammi per me-tro cubo d’aria, del Pm10 e deglialtri inquinanti. Nello studio difattibilità relativo al Sistema delletangenziali venete è scritto nerosu bianco che una volta entrata aregime, l’opera garantirà agli au-tomobilisti una velocità di per-correnza di 17 km/h: un’andaturada lumaca che conferma la tesi se-condo cui fare nuove strade noncontribuisce a diluire il traffico,semmai lo moltiplica. Tutte ra-gioni, queste, puntualmente riba-dite e sostenute dai comitati masostanzialmente ignorate dallapolitica.

Il punto più alto di questa dialet-tica tra governanti e governati èstato toccato recentemente dalComitato contro il Traforo delleTorricelle (costo 390 milioni dieuro, da realizzare in project) gui-

dato da Alberto Sperotto, che si èimpegnato in una lunga e durabattaglia per evitare la realizza-zione dell’opera e che ha propo-sto, senza fortuna, un primo refe-rendum. Il 9 febbraio un gruppodi cittadini, composto da espo-nenti del mondo della cultura edelle istituzioni veronesi, tra cuispicca il Procuratore capo dellaRepubblica di Verona Mario Giu-lio Schinaia, ha proposto un se-condo referendum, il cui percor-so è apparso già da subito in sali-ta, nonostante la precisazione chetutti, contrari e favorevoli al tra-foro, andando a votare avrebberopotuto dare il loro contributo perfar conoscere l’orientamento deicittadini in merito.A cercare la consultazione popo-lare era stato anche l’attuale sin-daco Flavio Tosi, allora esponentedell’opposizione, contro la tram-via di Zanotto. Ma l’istanza erastata respinta più o meno comesta accadendo oggi che a governa-re è il centrodestra. A differenzadi ieri i no-traf di Sperotto, con iloro ricorsi in Tribunale, hannoaperto una pista importante met-tendo in discussione lo stesso re-golamento comunale sul referen-dum, troppo restrittivo per essereal passo con i tempi.

inVERONA 5

Inchiesta

Esiste un limite oltre il quale i governanti

non possono spingersinel decidere? Sì,

secondo i comitati: adesempio quando le loro

scelte riguardanoprovvedimenti che

andranno ad incidereprofondamente sulla

qualità della vita delle persone

L’autodromo di Vigasio in una simulazione

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Il più delle volte il concetto dicondivisione e di partecipazionepopolare nella gestione della cosapubblica si perde tra le pieghe deiprocedimenti burocratici, nonsenza una buona dose di maliziadei vari raggruppamenti politi-co-imprenditoriali che sostengo-no questa o quell’opera.Il caso forse più evidente riguar-da il Motorcity tra Vigasio e Tre-venzuolo, approvato a forza diblitz procedurali. In origine ilPiano d’area quadrante Europa(Paque), cioè lo strumento chedisegna lo sviluppo del territoriodefinendone la vocazione, preve-deva soltanto un semplice auto-dromo, che sarebbe dovuto sor-gere su un’area di 100 ettari aNord di Trevenzuolo. Scelta cheavrebbe potuto far sorridere, otutt’al più insospettire, ambien-talisti e comitati civici, vista lasua stravaganza. Nel Paque del1999 la maggior parte del territo-rio risultava tutelato, tant’è che

nell’area veniva prevista l’istitu-zione del Parco naturale regiona-le delle antiche terre del riso tra ilTartaro e il Tione e che, fino allafine del 2004, tutti i progetti era-no riferiti al disegno originario.Senonché dal dicembre 2004 laRegione ha emanato una rafficadi “varianti” che hanno finito perstravolgere il piano, prima inse-rendo accanto all’autodromo“nuove funzioni produttive ecommerciali”, in deroga agliobiettivi di sviluppo; poi, nel feb-braio 2005, prevedendo delle de-roghe ai limiti dimensionali dellagrande distribuzione e, cilieginasulla torta, nel marzo 2005 ap-provando la terza variante al Pa-que, la quale, recependo le prece-denti deroghe, ritirava i vincoli ditutela degli ambiti paesaggistico-ambientali. A quel punto la frit-tata era fatta: il nuovo sito era di-ventato un gigante da 458 ettari,di cui l’autodromo rappresentavasoltanto una piccola fetta (100 et-tari, appunto). E così è rimasto: ilresto dello spazio aggiuntivo se lospartiscono un mega centrocommerciale da 470 mila metri

6 Marzo 2010

Inchiestaquadrati (sarà il più grande d’Eu-ropa); un parco divertimenti te-matico da 360 mila metri quadri;tre hotel da 35 metri di altezzaper un totale di mille stanze; unazona residenziale di 230 mila me-tri quadri; un non meglio specifi-cato “parco scientifico e tecnolo-gico” e uno “spazio espositivo”(Motorshow) da 420 mila metriquadri. Costo dell’opera? Un mi-liardo e mezzo di euro.Commenta Michele Bertucco, di-rigente regionale di Legambien-te: «Questo, come altri casi, rivelache la programmazione del terri-torio non è più prerogativa dellapolitica, la quale abdica delegan-dola ai privati che decidono ilpiano dei trasporti e i piani urba-nistici. Oltretutto non si capisceda dove possano saltare fuori tut-ti questi soldi».In questo momento la cordata diimprenditori che sostengono ilMotorcity è guidata da CoopSet-te, potente società della galassiadelle coop rosse, e da Draco, so-cietà bresciana specializzata inoutlet. Ma da Società AutodromoVeneto (che è ancora a maggio-ranza pubblica) sono passati di-versi amministratori, alcuni deiquali facevano capo a EmilioGnutti, lo spregiudicato finanzie-re bresciano coinvolto in nume-rose inchieste giudiziarie.E non è finita: attorno al Motor-city sono in previsione altre gran-di opere, sempre introdotte di“straforo” nel Paque: il DistrictPark (1 milione di metri quadri),appena pochi chilometri più adOvest del Motorcity e il CentroAgroalimentare (1,3 milioni dimetri quadri). L’investimento do-vrebbe aggirarsi attorno ai 3-400milioni per ogni centro. Tuttavianessuno sa con precisione di cosasi occuperanno. Il primo è di pro-prietà della famiglia di un ex par-lamentare, il secondo fa capo adun società di “valorizzazioni im-mobiliari”, la Spalt.Ogni grande opera ha i suoi pro-motori economici (possono ancheessere società anonime o raggrup-pamenti di imprese, sempre da de-cifrare) e i suoi referenti politici. Èevidente, ad esempio, che il Trafo-ro delle Torricelle è sostenuto dallaLega Nord. Il promotore dell’ope-ra è l’ATI (Associazione tempora-nea d’impresa) di cui fanno parte i

L’autodromo traVigasio e Trevenzuolo

doveva occupareun’area di 100 ettari

inserita nel Parconaturale Regionale

delle antiche terre delriso, tra il Tartaro e il

Tione. Ma daldicembre 2004 la

Regione ha emanatouna raffica di

“varianti” che hannofinito per stravolgere il

piano: il Motorcityoggi è un gigante da

458 ettari, di cuil’autodromo è solo

una piccola fetta

Page 7: Verona In 24/2010

costruttori veronesi Mazzi, che so-no anche i comproprietari dell’a-rea delle ex Cartiere, oggetto diuna gigantesca riqualificazioneurbanistica dal costo di 200 milio-ni di euro.Il Motorcity invece ricade sotto lasfera di influenza della compo-nente forzista del Pdl. Ma a con-ferma che le grandi opere sonobipartisan c’è il caso della gigan-tesca porta autostradale di No-garole Rocca, che dovrebbe costi-tuire la porta di accesso alla BassaVeronese. A Nogarole la giuntacomunale è di centrosinistra, mail progetto, che interessa una su-perficie di 350 ettari (poco menodel Motorcity) va avanti lo stesso.E come spesso accade, il masto-dontico casello autostradale, for-mato da ben 29 porte (quello diVerona Sud ne ha solo 20), saràoccasione per altri investimentiimmobiliari: centri commerciali,poli logistici e quant’altro.Ancora diversa è la sfera d’in-fluenza politica sotto cui ricadel’Interporto di isola della Scala:qui è territorio degli ex di Allean-za Nazionale, ora nel Pdl. I pro-motori economici dell’interportosono chiari nel spiegare le moti-vazioni dell’opera: c’è l’interessedell’autostrada del Brennero e diquei capitali ferroviari tedeschiintenzionati ad installarsi nelNord Italia, che cercano un sitoalternativo al Quadrante Europa,che vedono troppo saldamenteancorato alle Ferrovie italiane.Ma è proprio questo il punto:qual è il vantaggio di avere due gi-ganteschi scali merci nel raggio diappena venti chilometri? Quali,tranne quello di spezzettare il ter-ritorio per aree di influenza poli-tico-economica a beneficio dellevarie fazioni ma con la conse-guente appesantimento delle in-frastrutture e dell’ambiente? Non a caso, collegata all’Interpor-to di Isola c’è la strada Mediana,che avrà il compito di portare icamion fino al casello autostrada-le di Soave. Altro project e altrastrada a pagamento, anche questasponsorizzata dall’Autobrennero.Costo di realizzazione: 400 milio-ni di euro. Dell’opera esistonodue progetti, entrambi redatti daVeneto Strade, società pubblica ilcui presidente è in quota ad An:nel primo progetto la strada parte

a Nord di Isola, nell’altro da Sud.Non si sa ancora quale soluzioneverrà privilegiata, ma intanto ilrisiko continua.E la gente che dice? «La gente nu-tre la speranza che tutto questoporti lavoro – spiega VincenzoParise, del comitato della BassaGenius Loci – tuttavia è vero chenon è mai stata data una prospet-tiva d’insieme su ciò che sta acca-dendo, né tanto meno dell’impat-to che queste opere avranno.Ogni Comune sta portandoavanti il suo pezzetino in solitudi-ne, senza che ci sia un confrontogenerale».Si consideri, infine, che non esisteancora un progetto per la viabili-tà secondaria in appoggio alMotorcity, al District Park e alCentro agroalimentare: i privatisi sono impegnati a investire 120milioni di euro in nuove stradeattraverso le quali collegarsi, tral’altro, anche alla Mediana, maper il momento si tratta di unaproposta di impegno unilateralenon ancora inserita nei piani ur-banistici. E se qualcuno fosse cu-rioso di sapere che fine farà ilprogettato Parco Regionale deifiumi Tartaro e Tione, stia tran-quillo: il parco rimane, solo chesarà il primo al mondo ad avereuna Città dei Motori al centro.Da qui l’appellativo di “Parco colbuco”.L’auspicio secondo cui “la naturaci salverà” deve venire preso sulserio, a giudicare da come è anda-to a finire il project financing da250 milioni di euro per l’auto-strada Affi-Pai, un’altra arteria apagamento inserita nel Piano d’a-rea regionale solo come opera“possibile”, in quanto non co-erente con la vocazione del terri-torio. A porla all’ordine del gior-no, tirandola fuori dal cilindrodelle opere regionali, ci avevapensato qualche anno fa l’asses-sore alle Infrastrutture RenatoChisso di Forza Italia. Al projectbandito aveva risposto una cor-data di imprese, tra cui l’Impregi-lo, ditta che ha attraversato nu-merosi scandali nazionali. Grazieal movimento d’opinione che ilcomitato No Affi-Pai è riuscito acreare, interessando anche i 15sindaci del lago e quelli dell’en-troterra gardesano, Chisso si ètrovato isolato all’interno della

sua stessa maggioranza in Regio-ne, che non ha ritenuto di conce-dere la dichiarazione di pubblicautilità dell’opera.«La strada sembra essere statamessa da parte ma non si puòescludere che venga riproposta,perché sull’area rimangono deiforti interessi politici – chiosaMaria Cristina Zanini, del Comi-tato No Affi-Pai – per questo mo-tivo stiamo spingendo per l’isti-tuzione del Parco regionale delBaldo-Garda e delle Colline Mo-reniche, sul quale abbiamo pre-sentato una proposta di legge diiniziativa popolare accompagnatada 6 mila firme. Questa alternati-va chiuderebbe il discorso dellastrada».Ma torniamo alle concessionarieautostradali, che sono i principalipropulsori di altre due grandi ope-re che attraverseranno il territorioscaligero: il Sistema delle Tangen-ziali Venete e l’autostrada Noga-ra-Mare. La prima consta di 108chilometri di nuove strade tra Pe-schiera e Vigonza di Padova, rica-vate collegando la tangenziale Suddi Verona con le tangenziali di Vi-cenza e di Padova. L’opera costa labellezza di 2,6 miliardi di euro. Laseconda è in pratica il rifacimentodella Transpolesana da Nogara aRovigo e il suo prolungamento fi-no ad Adria. Entrambe hanno loscopo di alleggerire il traffico dellaintasatissima A4. Le tangenziali“unite” ci riuscirebbero in mododiretto, in quanto correrebberoparallele all’autostrada e ne costi-tuirebbero di fatto il raddoppio. LaNogara-Mare rappresenta inveceuna valvola di sfogo solo in pro-spettiva, perché bisognerà atten-dere che venga realizzata la Cre-mona-Mantova, autostrada chesecondo i piani delle concessiona-rie dovrebbe collegarsi a montecon l’A4 e a valle, appunto, conNogara. Ma in attesa che il disegnosi completi, le società autostradali,Serenissima in particolare, incas-seranno i pedaggi che si annuncia-no piuttosto salati.È interessante notare la speculari-tà delle critiche che comitati diver-si e distanti tra loro rivolgono aqueste due grandi opere, tutte tesead evidenziare la sostanziale inuti-lità di strade che non soddisfano ibisogni di spostamento delle po-polazioni locali.

inVERONA 7

Inchiesta«La programmazione

del territorio non è piùprerogativa dellapolitica, la quale

abdica delegandola aiprivati che decidono ilpiano dei trasporti e i

piani urbanistici»

Ogni grande opera ha i suoi promotori

economici e i suoireferenti politici.

La compagine dei soci privati delle

Autostrade è formatada grandi società

politicamente collocate sia a destra

che a sinistra

A Nogarole Roccala giunta comunale èdi centrosinistra, ma

la prevista portaautostradale, che

occuperà unasuperficie di 350 ettari

va avanti lo stesso con i suoi centri

commerciali, polilogistici e quant’altro

Page 8: Verona In 24/2010

Sergio Mantovani, del comitatoInsieme per Borgo Roma, sul si-stema delle tangenziali osserva:«Si trova facilmente una monta-gna di soldi per costruire la terzaautostrada a Verona Sud, ma poila politica non riesce a trovare 30miseri milioni di euro per la va-riante alla Statale 12, che riusci-rebbe a togliere 40 mila veicoli algiorno da Borgo Roma, Cadida-vid, Castel D’Azzano, Sacra Fami-glia e Buttapietra».Lino Pironato, del comitato con-tro la Nogara-Adria, osserva: «Piùche un’autostrada servirebbe unavariante alla Strada regionale 10 (acui la Nogara-Mare corre paralle-la, ndr) che possa liberare Nogara,Sanguinetto, Cerea e Legnago daltraffico di attraversamento, garan-tendo allo stesso tempi i collega-menti tra i diversi paesi».Tra i soci delle società autostradalici sono gli enti locali, ovvero Co-muni capoluogo e Province, cheper legge devono avere cura dellaqualità della vita e della salute deiloro cittadini. La compagine deisoci privati delle Autostrade è in-vece formata da grandi società chesi occupano di opere stradali e diriqualificazioni urbanistiche. Poli-ticamente sono collocate tanto a

destra quanto a sinistra. Per faresolo un esempio, Bruno Tosoni,patron della Cis, Compagnia Inve-stimenti Sviluppo, socio di Sere-nissima e soprattutto di Autobren-nero, è quotato in area di centrosi-nistra.L’associazione temporanea d’im-presa Pizzarotti-Mantovani-Mal-tauro, che ha preso l’incarico dicostruire le Tangenziali Venete, ri-unisce tre colossi del settore il cuicapitale societario in qualche casoè partecipato dalle stesse societàautostradali. Tutte aziende, questeultime, con una lunga e onoratacarriera e coinvolte nelle inchiestedi Mani Pulite.Nel risiko delle grandi opere il

grande assente è il trasporto pub-blico locale. Con tutta evidenza gliinvestimenti su rotaia program-mati dallo Stato, ovvero Tav e Altacapacità, per un totale di 7,5 mi-liardi di euro, non rispondono aibisogni di spostamento delle po-polazioni locali, come nota Danie-le Nottegar del Comitato No Tav:«L’Alta velocità non è concorren-ziale all’automobile ma all’aereo.Noi questo lo andiamo dicendo da10 anni ma l’amministratore dele-gato di FS, Mauro Moretti, l’haammesso soltanto quando hainaugurato il primo Frecciarossa.La Tav, dunque, non determineràalcuno spostamento modale, dagomma a rotaia, e meno che menol’Alta capacità, che in sostanza èun’invenzione di Prodi, il quale haavanzato l’idea che le merci possa-no viaggiare sull’Alta velocità. Maè tutto da dimostrare che i contai-ner pieni possano viaggiare in si-curezza sui binari a 300 chilometril’ora».La Tav dovrebbe attraversare Vero-na correndo lungo il Corridoio 5Lisbona-Kiev, mentre l’Alta capa-cità dovrebbe scendere da Berlinoper dirigersi a Palermo (Corridoio1) lambendo i quartieri di SanMassimo e Chievo, così come ipaesi di Dolcè, Pescantina, Ferraradi Monte Baldo e Brentino Bellu-no. Assessori comunali, provincia-li e regionali del centrodestra han-no chiesto a FS di spostare più aOvest il tracciato, ma tra il chiede-re e l’ottenere c’è di mezzo... il ma-re.L’Alta velocità tra Milano e Veronae Verona e Padova è ferma al pro-getto definitivo, in attesa di recu-perare il denaro necessario a fi-nanziarla. L’Alta capacità invece sista arrovellando sulla questionedel traforo del Brennero.

8 Marzo 2010

Inchiesta

Municipio di Verona, Sala Arazzi,9 gennaio 2010. I “Cittadini per ilreferendum” mentre presentanoal Segretario generale del Comu-ne i quesiti referendari riguar-danti il Traforo delle Torricelle(Foto Verona In)

Tra i soci delle societàautostradali ci sono gli

enti locali, ovveroComuni capoluogo e Province, che perlegge devono averecura della qualità

della vita e della salute dei loro cittadini

Manifestazione contro l’inceneritore di Ca’ del Bue

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Lo spostamento delle merci dagomma a rotaia è anche lo scopodichiarato dell’Autocisa, societàfinanziatrice dell’autostrada Ti-bre (Tirreno-Brennero, costo: 2,7miliardi di euro), altra arteria chedovrebbe mettere in collegamen-to il porto di La Spezia con il Qua-drante Europa di Verona. Tutta-via, come osserva Michele Bertuc-co di Legambiente, «hanno privi-legiato ancora una volta il tra-sporto su gomma, mentre poteva-no scegliere di fare la Tibre ferro-viaria». Insomma, perché portarele merci fino a Verona in camionper poi metterle sul treno in dire-zione del Brennero? Nel progettodella Tibre, recentemente appro-vato dal Cipe, il collegamento fer-roviario è stato solo “predisposto”.Svizzera e Austria mettono pesan-ti limitazioni al passaggio dei tir,cosa che qui da noi evidentementenon succede: l’Atutocisa Spa è unasigla che sta per Autocamionabiledegli Appennini. L’ingresso dellanuova arteria stradale nella nostraprovincia avverrà a Nogarole Roc-ca. Come opera compensativa Au-tocisa finanzierà la Grezzanella daDossobuono a Nogarole Rocca.Altra strada, altro regalo. Costo:16 milioni di euro.L’inceneritore di Ca’ del Buecompleta il quadro sulle grandiopere di Verona. In pochi ancorasi rendono conto che gli inceneri-tori in realtà saranno tre: la nuovastruttura finanziata con un projectda 118 milioni di euro per duenuovi forni a griglia brucerà ac-canto al vecchio forno a letto flui-do, che verrà ristrutturato. In que-sto modo l’impianto brucerà labellezza di mille tonnellate di ri-

fiuti al giorno circa, molto piùdella produzione giornaliera di ri-fiuto non differenziato di Verona eprovincia. Il Comitato VeronaReattiva, di cui fanno parte Notte-gar e Mantovani, continua a pro-porre la soluzione del trattamentoa freddo dei rifiuti, meno inqui-nante, sul modello dell’impiantodi Vedelago: «È vero che gli im-pianti a freddo non riescono atrattare più di 100 tonnellate di ri-fiuti al giorno, ma nel 2012, quan-do per legge la raccolta differen-ziata dovrà raggiungere il 65%,saranno sufficienti tre impianticome quello di Vedelago per sod-disfare il fabbisogno dell’interaprovincia scaligera».Sergio Mantovani continua sullastrada dei ricorsi e degli appelli al-la Commissione europea chequalche risultato l’hanno dato an-che sulla questione della colata dicemento su Verona Sud: «Verona eil Veneto sono già stati condannatiper il mancato rispetto della nor-mativa europea sull’inquinamen-to – ricorda Mantovani, annun-ciando per marzo una nuova de-nuncia a Bruxelles –. La Commis-sione europea ha offerto loro unaproroga, a patto di intervenire perridurre l’inquinamento. E inveceper tutta risposta questi che fan-no? L’inceneritore e altre due au-tostrade».Recentemente le rilevazioni del-l’Arpa Lombardia ha smentito idati delle emissioni di diossinaforniti dai gestori dell’incenerito-re di Brescia, impianto ritenuto si-curo, pulito e moderno. La situa-zione di contaminazione dell’am-biente circostante sarebbe dunqueben più grave di quanto i dirigentidell’inceneritore di Brescia sianodisposti ad ammettere e il dubbioè calato su tutti i dati da loro for-niti negli ultimi dieci anni.L’aspetto tragicomico della fac-cenda è che adesso, dopo il casoGlaxo, la crisi economica è con-clamata e ammessa anche da que-gli amministratori pubblici localiche fino a qualche mese fa mini-mizzavano. Di fronte ai disoccu-pati, tuttavia, i governanti nonpossono che allargare le braccia:tutte le risorse, pubbliche e priva-te, sono state orientate a costrui-re strade, capannoni e centricommerciali. Per quali clientinon si sa.

inVERONA 9

Inchiesta

Mille (e più!) garibaldini cercansi. Dopo150 anni la mitica spedizione si ripete. Ineffetti, ingaggiare una battaglia volta a libe-rare la città dal traffico cittadino richiede

coraggio, audacia e tutto il resto. Anche perché stavolta non ci sa-ranno armi vere e proprie, né cavalli: l’impresa sarà compiuta ca-valcando semplici biciclette. Paolo Fabbri, presidente degli Ami-ci della Bicicletta di Verona, insieme alle centinaia di soci attividell’associazione, invita mille, e più, cittadini e cittadine a effet-tuare nel mese di maggio almeno 2/3 degli spostamenti sistema-tici – quelli che quotidianamente portano a scuola, o al lavoro, oa fare la spesa – in bicicletta. Oppure, se preferibile, a piedi o conil mezzo pubblico. Evitando il più possibile il ricorso ad auto emoto, insomma. L’impegno può essere sottoscritto nelle setti-mane precedenti all’avvio della spedizione compilando un mo-dulo accessibile dal sito www.amici della bicicletta.it/mille, opresso la sede di via Spagna 6. Oppure fermandosi ad uno dei ta-volini che saranno allestiti in piazza Bra nei giorni 11, 12, 13, e 14aprile. Una macchina digitale sarà a disposizione per fotografareogni nuovo garibaldino.«Ci proponiamo di attirare attenzione sui tanti meriti dei ciclistiurbani e di trovare alleati che con noi sostengano l’opportunitàdi investire più energie e risorse per la promozione della biciclet-ta e del mezzo pubblico negli spostamenti sistematici» affermaPaolo Fabbri. La ricorrenza di quell’impresa memorabile per ilraggiungimento dell’Unità d’Italia, il 5 maggio, e la conclusionedel Giro d’Italia a Verona, il 30 maggio, sono per gli Amici dellabicicletta ottime occasioni per proporre una “buona pratica”molto diffusa in vari paesi europei.In Germania per esempio, da 10 anni l’ADFC, Associazione Na-zionale di Ciclisti Urbani, in collaborazione con ministero bava-rese per l’Ambiente e la Salute, il sindacato e l’Associazione del-l’economia bavarese, ha lanciato la campagna Mit dem Rad zurArbeit, per promuovere l’uso delle due ruote nella vita quotidia-na. «L’iniziativa ha coinvolto 60.000 persone in Baviera, 170.000a livello federale e migliaia di imprese» racconta Martina Kiderle,dell’ADFC di Monaco. «Abbiamo verificato che, a conclusionedella campagna, molte persone hanno continuato ad usare la bi-cicletta per gli spostamenti da casa all’ufficio e che tale compor-tamento ha avuto un effetto contagioso su amici, colleghi, vicini.Andare in bicicletta fa tendenza».Per forza: un nostro sondaggio conferma che chi la usa la preferi-sce perché è un piacere che dona salute e benessere e fa rispar-miare, ma soprattutto perché – incredibile ma vero – regala tem-po: in città, in bici, si arriva prima.

La rivincita delle due ruote

Iniziativa degli ADB per invitare i cittadini a spostarsiutilizzando le biciclette durante il mese di maggio

Ca’ del Bue: gli inceneritori inrealtà saranno tre.La nuova strutturafinanziata con un

project da 118 milionidi euro per due nuoviforni a griglia brucerà

accanto al vecchioforno a letto fluido,

che verrà ristrutturato

Giuseppe Luisi

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di Laura Lorenzini

Gli austriaci le concepirono co-me un imponente sistema difen-sivo attorno al territorio di Vero-na, guidati dalla maestria dell’ar-chitetto Franz von Scholl. Cosìmura, bastioni, caserme e ron-delle hanno resistito per più diun secolo a baionette, cannoni ebombe. Ora le fortificazioni sipreparano a un’invasione chemetterebbe in difficoltà perfino ilfeldmaresciallo Radetzky. Mi-gliaia di auto sono pronte a var-care i cancelli di Forte Procolo edell’ex caserma Riva di Villasan-ta, prima veneziana e poi france-se e austriaca, che ha spalancatole porte per la prima volta qual-

che settimana fa per mostrare lefuture aree destinate a parcheg-gio. In due cortili, di cui unoenorme che guarda verso la colli-na, verranno disegnati settecentostalli, tutti destinati ai dipendentiospedalieri. Ma il mese scorso eragià toccato all’Arsenale, maesto-so complesso militare di epocaottocentesca, lo sfregio di trasfor-marsi in posteggio per i lavorato-ri di borgo Trento. Vecchi portoniche si spalancano, cortili e disteseerbose spianate in fretta e furiacon operai che intingono i pen-nelli nei secchi e disegnano centi-naia di strisce. Blu, bianche, gial-loblù: sui colori l’Amministra-zione si sbizzarrisce. Quello checonta è trovare alla velocità della

luce soluzioni per borgo Trento,che sta vivendo una vera e pro-pria emergenza. Oggi è invaso daltraffico e dalle auto a caccia di unbuco, con un piano sosta che erastato congegnato per garantire iposteggi ai residenti ma che inve-ce ha sortito l’indesiderato effet-to di scaricare le auto dei lavora-tori nei quartieri limitrofi. E cioèCatena e Navigatori. Ma tra unanno il rione simbolo del benes-sere di Verona rischia di precipi-tare in un inferno di gran lungapeggiore con l’inaugurazione delnuovo polo chirurgico, che tra-sformerà l’ospedale maggiore inuna cittadella sanitaria tra le piùmoderne e grandi d’Europa.L’azienda ospedaliera e il Comu-

10 Marzo 2010

Un fiore all’occhielloma nel posto sbagliato

Con l’inaugurazione del nuovo polo chirurgico, che trasformerà l’ospedalemaggiore in una cittadella sanitaria tra le più grandi d’Europa, il rione

di borgo Trento e i quartieri limitrofi diventeranno un enorme parcheggio

«Un poloall’avanguardia»

secondo il direttoregenerale dell’Azienda

ospedaliera SandroCaffi, per architettura,

tecnologie e per la compenetrazione

con l’Università

Foto Verona In

BORGO TRENTO

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ne ne sono consci e da mesi lavo-rano per parare il big-bang. Tren-tadue sale operatorie, 450 postiletto per le degenze, terapie in-tensive, pronto soccorso, ambu-latori e laboratori troverannospazio nel nuovo edificio di oltre74 mila metri quadrati dispostosu nove piani, che già troneggiasu lungadige Attiraglio, dove ver-rà posizionato il nuovo accessoper utenza e personale. All’inter-no sorgeranno un ospedale delladonna e del bambino al postodella vecchia maternità e uno perl’anziano che sostituirà il geria-trico. Quindi vialetti, giardinipensili e fontane e l’uscita su viaMameli. Un grande polo all’a-vanguardia, l’ha definito il diret-tore generale dell’Azienda ospe-daliera Sandro Caffi, per archi-tettura, tecnologie e pure per lacompenetrazione futura con l’U-niversità, che a borgo Trento tra-sferirà gli ultimi anni di corso, lespecializzazioni e la ricerca. Tuttobellissimo, ma Caffi non ha mainascosto che tanto spiegamentodi forze e di servizi esigerà mi-gliaia di posti auto. Dei cinque-mila dipendenti tra borgo Trentoe borgo Roma almeno tremilaruoteranno attorno al nuovotempio della medicina. Ed è pre-vedibile che i 70 mila ricoveri an-nui attuali crescano a dismisura,così come i pazienti in arrivo dafuori Regione: già oggi costitui-scono il 15 per cento sul totale,ma un ospedale tanto bello, mo-derno e funzionale attrarrà inevi-tabilmente un maggiore numerodi utenza. Ma quanti posti servi-ranno per soddisfare le esigenzeospedaliere? «Almeno cinquemi-la», ha risposto schietto Caffi allacommissione Lavori pubblici delComune, in visita nella primave-ra di un anno fa al polo in costru-zione. Ed è stato proprio in quel-l’occasione che ha svelato il pianodell’Azienda ospedaliera: acqui-sire (in concessione) dal Dema-nio civile il Forte di San Procolonel quartiere Catena e la casermaRiva di Villasanta a San Zeno, permettere a disposizione subito unmigliaio di posti per dipendenti eutenza. Con il tempo gli stallicresceranno fino a tremila, ha in-formato successivamente il sin-daco Flavio Tosi, spiegando chel’operazione andrà a buon fine

una volta che sarà possibile occu-pare la totalità della superficie adisposizione. Intanto la conces-sione, con la regia dell’assessoreal Patrimonio Daniele Polato, èstata accordata in tempi record.Così il mese prossimo settecentoposti alla Riva di Villasanta do-vrebbero essere già pronti per ilpersonale ospedaliero. Va a rilen-to invece, con il parere della So-printendenza che stenta ad arri-vare, il via ai lavori per Forte Pro-colo, che non sarà disponibileprima dell’estate. Ma per il futu-ro l’ospedale ha in serbo pianiambiziosi: l’area è destinata a di-ventare park per utenti e residen-ti «con un ticket da stabilire, perevitare soste improprie», ha pre-

inVERONA 11

InchiestaMigliaia di auto sono

pronte a varcare i cancelli di Forte

Procolo, dell’excaserma Riva di Villasanta,

dell’Arsenale. Deicinquemila dipendenti

tra borgo Trento e borgo Roma, almeno

tremila ruoterannoattorno al nuovo

tempio della medicina

Trentadue saleoperatorie, 450 postiletto per le degenze,

terapie intensive,pronto soccorso,

ambulatori e laboratori

troveranno spazio nel nuovo edificio

di oltre 74 mila metriquadrati disposto

su nove piani

cisato Caffi , oltre che sede per gliuffici una volta che l’ospedaleacquisterà la proprietà. Previstibus navetta in collegamento conl’ospedale e una passerella ciclo-pedonale sull’Adige in un secon-do momento, che dovrebbe con-durre diritto all’accesso sul lun-gadige Attiraglio. Il costo? Seimilioni di euro, tutti ancora dafinanziare.È una corsa contro il tempo, in-somma, quella che si profila. Coni posti del parcheggio De Lellische si perderanno a breve, con ilvia dei lavori per la costruzionedel multipark da 400 posti. E i1300 del prospettato park scam-biatore di Ca’ di Cozzi, inseritonel progetto del traforo delle Tor-

L’ingresso del parcheggio dell’Arsenale

Caserma Riva di Villasanta: i lavori per il nuovo parcheggio

Forte Procolo lambisce il quartiere Catena. Anche qui nuovi parcheggi

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ricelle, che dovrà ancora attende-re parecchio. Intanto, tra una de-cina di mesi, il nuovo polo taglie-rà il nastro. Reggerà l’onda d’urtola città o si scatenerà il caos? Il Pdha messo in piedi un gruppo dilavoro per analizzare il problema,composto dalla capogruppo con-siliare Stefania Sartori, il suoomologo in seconda circoscrizio-ne Mario Gianelli e quello pro-vinciale Diego Zardini, con ilsupporto tecnico dell’urbanistaGiulio Saturni e il mobility ma-nager Marco Passigato. E la dia-gnosi è stata funerea: con le at-tuali contromisure, considerateassolutamente insufficienti, la vi-vibilità di borgo Trento e deiquartieri limitrofi sarà irrimedia-bilmente compromessa. «FinoraVerona ha avuto due ospedali si-mili per tipologie di cure, borgoTrento e borgo Roma – argomen-ta Zardini –. Ora la parola d’ordi-ne sarà differenziazione. E men-tre il policlinico diventerà uncentro specializzato, che punteràsoprattutto sulle eccellenze, ilnuovo polo diventerà il cuorepulsante di tutta l’attività dia-gnostica e operatoria. Ciò signifi-ca che diventerà un grande poloattrattore, causando un notevo-lissimo aumento dell’utenza e deltraffico. Tutto questo a fronte diun piano della sosta con gravi ca-renze, deroghe, contraddizioni. Enessuna previsione di un’efficaceespansione del trasporto pubbli-co locale e di un piano per la ci-clabilità». Secondo Gianelli saràproprio l’ospedale a giustificare iltraforo, con parcheggi e infra-strutture annesse: «Il polo saràl’attrattore di traffico che scari-cherà le auto, provenienti dal fu-turo anello circonvallatorio, neiquartieri che già muoiono dismog: Pindemonte, borgo Tren-to, Ponte Crencano, Catena».Non è solo il Pd a guardare conapprensione al futuro e ai tampo-namenti continui dell’alluvionedi automobili con caserme e for-tificazioni. Già un anno fa LuciaCametti, consigliere comunale diAn, non era riuscita a trattenere ilmaldipancia all’annuncio dell’as-sessore Enrico Corsi di requisireun cortile interno dell’Arsenaleper dare posti aiuto ai lavoratoridi borgo Trento. «Stiamo trasfor-mando le più belle architetture

12 Marzo 2010

Inchiesta

Una cittadella ospedalieraparte integrante di Verona

In una stampa del 1942 si vedono pochi palazzisignorili, con tanto verde in mezzo, in riva all’A-dige. Quello era borgo Trento, un quartiere tran-quillo e poco popoloso, quando fu inaugurato ilnuovo ospedale maggiore il 13 settembre di quel-l’anno. Fu un evento storico della città, con la be-nedizione di Benito Mussolini accorso qualchetempo prima a visitare il cantiere in costruzione.Ma il nucleo originario del complesso di borgoTrento era già presente da trent’anni. Nel 1914era stato inaugurato l’ospedale infantile, formatoda un sistema edilizio unitario rivolto verso viaMameli, grazie al lascito testamentario del cava-liere Alessandro Alessandri, a cui venne poi inti-tolata la struttura. E si era deciso che per il nu-cleo storico, situato dal ’500 in piazza Bra, doveora sorge Palazzo Barbieri, fosse venuto il mo-mento di trovare un luogo più consono. Fu allorache si cominciò a delineare un ospedale maggio-re “che fosse rispondente alle nuove necessità de-mografiche, al progresso della scienza e alle au-mentate esigenze della tecnica sanitaria”. Così,dagli anni ’40 in poi, cominciò l’espansione, connuovi edifici nell’area a Sud Ovest dell’Alessan-dri. E al padiglione su piazzale Stefani si aggiun-sero quelli delle chirurgie, fino ad arrivare, intempi successivi, alla costruzione del geriatrico edi altre costruzioni minori.Negli ultimi decenni la constatazione che laframmentarietà e la disaggregazione dell’interosistema non fossero più in grado di rispondere

alle esigenze dei servizi di diagnosi e cura, inenorme e continuo sviluppo funzionale. Da cui ildibattito sull’opportunità di ristrutturare il com-plesso in loco o rifarlo ex novo fuori città. E infi-ne, nel 2003, la delibera regionale che ha spintoper l’attuale progettazione. Finora sono statistanziati 244 milioni di euro per il polo chirurgi-co, più 119 milioni per il polo della donna e del-l’anziano.L’idea fondante della riorganizzazione dell’area èquella di coniugare le esigenze funzionali e sani-tarie con la necessità di far diventare tutta la cit-tadella parte integrante della città. L’architetturapunta quindi alla creazione di un luogo colletti-vo, con una serie di elementi tipologici: l’edificioa pianta centrale, il portico, il parco, la piazza. Ein questo contesto l’ospedale vuole essere luogodell’accoglienza: struttura trasparente, grandehall con negozi, banca, bar e piccolo asilo, vasched’acqua davanti all’ingresso, stanze con grandiaperture vetrate di tre metri per tre al posto delletradizionali finestrelle in stile piccola prigione.Nove piani tra interrati e superiori, con terapieintensive, day hospital, trentadue sale operatorie,un centro prelievi e trasfusionale, i laboratori dianalisi e la diagnostica per immagini. Tre i pianiper le degenze. All’interno verrà realizzato ungrande giardino centrale, con pergolato di glicinee magnolie, con altri punti verdi disseminati nel-l’area come un giardino romantico, isole di risto-ro e giardini lineari punteggiati di felci. (L.L.)

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storiche e monumentali in par-cheggi, così non si può andareavanti», era sbottata. Quindi ilgruppo consiliare di An, capeg-giato dal capogruppo Ciro Ma-schio e dalla battagliera ElenaTraverso, aveva lanciato l’allarmeall’indomani del piano di espan-sione ospedaliera e del dichiaratofabbisogno di cinquemila postiauto: «L’ospedale non può fago-citare il quartiere. L’azienda pensia una struttura prefabbricata dainstallare all’interno, con mi-gliaia di posti auto per l’utenza».Oggi, di fronte al niet di Caffimotivato con la mancanza dispazio, Maschio e Traverso tor-nano alla carica e propongonoall’Amministrazione comunaleche almeno intanto si faccianodiventare gratuiti gli stalli blu divia Da Vico e altre strade di SanZeno, per liberare il quartiere Ca-tena preso d’assalto. Un quartiereche intanto si ribella, all’idea diun Forte Procolo trasformato inpark, con un neonato comitatoche teme di diventare un rione diattraversamento: «Avremmo bi-sogno di verde e spazi per bimbie anziani, invece ci ritroveremoin un girone infernale di motoriaccesi», si è lamentato il portavo-ce Sergio Caggia in una riunionecon Tosi e Caffi. Lo ha rassicuratol’assessore all’Urbanistica VitoGiacino, che ha messo in piedi ungruppo di coordinamento degliinterventi legati al nuovo polo:«L’operazione Forte Procolo saràrilevante sia per l’ospedale, siaper il quartiere. Da un lato è fina-lizzata a incrementare i serviziper i pazienti e i familiari, dall’al-tra a sottrarre al degrado unaparte importante del patrimoniocittadino». Ma il malessere crescee si estende ai residenti e ai lavo-ratori borgotrentini, che non tro-vano posto nonostante il per-messo pagato mensilmente.«Mancano i controlli per i tra-sgressori che lasciano l’auto neglistalli blu e bianchi per ore e ore»,denuncia Alberto Bozza, presi-dente della Seconda Circoscrizio-ne di area ex Forza Italia. E sem-pre sul fronte centrodestra l’as-sessore regionale Massimo Gior-getti, in piena campagna eletto-rale, ormai è un fiume in piena sututto: «Latita una visione d’insie-me – tuona –. O si coordinano gli

inVERONA 13

InchiestaUn quartiere che si

ribella con un neonatocomitato che teme

di diventare un rione di attraversamento:«Avremmo bisogno di verde e spazi per

bimbi e anziani, invececi ritroveremo in un

girone infernale di motori accesi»,

si è lamentato il portavoce

Sergio Caggia

interventi, o tra poco le auto, do-po la zona Catena, si sposterannoal Saval o in borgo Milano».Un bel garbuglio, insomma, dicui non si vede l’uscita. Eppurel’apocalisse era ampiamente an-nunciata, secondo Massimo Val-secchi, direttore del dipartimentodi prevenzione dell’Ulss 20. An-cora negli anni ’90, quando si co-minciò a parlare della ristruttu-razione dell’ospedale di borgoTrento, si espresse contro e invitòa ricostruire la struttura ex novofuori dalla città. «Era già chiaroallora che il traffico stava rag-

giungendo punte insostenibili –dice oggi amareggiato –. Quella èstata una grande occasione persadi avere in breve tempo un ospe-dale moderno e decentrato, resti-tuendo respiro a una zona dellacittà fortemente congestionata».Anche la giunta Zanotto, ricordal’ex assessore Roberto Uboldi, sibattè contro il potenziamento inriva all’Adige: «Percepimmo loscenario dei grandi sconvolgi-menti viabilistici che avrebbecomportato un nuovo polo contrentadue sale operatorie, più unospedale del bambino e dell’an-

Sopra: la nuova hall dell’ospedale. Nella pagina accanto: la planimetria

Il piano sosta per borgo Trentoha scaricato le auto nei quartierivicini, ad esempio Catena e Navi-gatori, dove anche per i residentisono iniziate a fioccare le multe

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ziano – ricorda –. E temevamoche un giorno i posteri avrebberopotuto chiedersi, di fronte allaparte Nord-Ovest cittadina para-lizzata, chi fosse stato quel pirlatanto privo di lungimiranza dasistemare lì un complesso di taleportata. Così formulammo lanostra idea: lasciare sul lungadi-ge un presidio sanitario e sposta-re il nuovo complesso all’ex se-minario di San Massimo o nel-l’area dietro il policlinico di bor-go Roma. Ma la Regione Venetoe l’azienda ospedaliera deciserodiversamente, con il plauso del-l’attuale centrodestra che siedein giunta e in Consiglio». Secon-do Mao Valpiana, che allora eraconsigliere regionale e votò a fa-vore dell’ospedale mantenuto incittà, il vero problema è stata lamancata pianificazione di par-cheggi e trasporti. Perché per ilresto Verona si è allineata alla vi-sione del resto d’Europa: «Da Pa-rigi a Padova l’orientamento at-tuale è quello di lasciare i poli sa-nitari nei centri urbani, in quan-to luoghi appartenenti alla città,vicini ai cittadini, parte inte-

grante del tessuto sociale. Ovun-que però gli ospedali sono otti-mamente serviti da una rete ditrasporti pubblici capillare efunzionale. Così era nei progettidella giunta Zanotto. Con latramvia erano previste corseogni tre minuti sulle direttrici divia IV Novembre, via XIV Mag-gio e via Mameli. I cittadini sa-rebbero stati incoraggiati a rag-giungere il polo chirurgico con imezzi pubblici e le auto nonavrebbero intasato la zona. Ora,invece, c’è un filobus ibrido chenon si sa bene a chi e a cosa gio-verà. E con il traforo sarà il fini-mondo, perché le macchine usci-ranno al Saval e torneranno in-dietro».Il direttore Caffi difende le sceltecompiute dai suoi predecessori,rimarcando che è stato proprioborgo Trento a battersi forte-mente per tenersi stretto il suoospedale, presenza storica amatae rassicurante. E tutte le criticità,a poco a poco, verranno dipana-te: «Il parcheggio sotterraneo sullungadige Attiraglio, ora riserva-to ai dipendenti, verrà destinato

all’utenza – chiarisce –. Si sta la-vorando molto anche in collabo-razione con l’Azienda trasportiper realizzare nuovi collegamentitra borgo Trento, stazione e bor-go Roma. Io sono ottimista, perl’inaugurazione sarà tutto a po-sto». Non ci credono Zardini eGianelli, che sperano in un ridi-mensionamento della grandeurper ridurre i danni: «A questopunto cerchiamo almeno di tra-sferire altrove, finchè si è in tem-po, il polo della donna e del bam-bino o quello dell’anziano. E fa-voriamo il decentramento sani-tario delle esigenze non speciali-stiche, diagnostiche e analitiche.Si può utilizzare tutta la tecnolo-gia moderna per evitare gli spo-stamenti: telecomunicazioni einformatizzazione. E c’è pure laposta che può fare la sua parte».E un domani, quando verrà co-struito il parcheggio scambiatoredel Saval, l’auspicio è che sia col-legato all’ospedale con un mezzodi trasporto di massa: «Gratuito,perché altrimenti sarà disertatocome quello dello stadio. E allorasarà davvero la fine».

InchiestaMassimo Valsecchi,

direttore deldipartimento di

prevenzione dell’Ulss20: «Era già chiaro

negli anni ’90 che il traffico stava

raggiungendo punteinsostenibili. Abbiamo

perso una grandeoccasione per avere in

breve tempo unospedale moderno e

decentrato,restituendo respiro auna zona della città

fortementecongestionata»

L’accesso all’ospedale in Lungadige Attiraglio

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di Rino A. Breoni*

È mia consuetudine siglare i fogli che usoper la corrispondenza, con una frase che di-venti quasi un messaggio per il destinatariodello scritto. Ricordo che, per un certo pe-riodo, vi ho fatto stampare l’espressioneevangelica “la verità vi farà liberi”. Un ami-co, ricevuto il mio scritto ed il messaggio,mi rispose dicendo: “Anche la libertà ci faràveri”. Una risposta così lapidaria ed incisivaha avuto una grande eco nel mio animo epiù volte mi sono ritrovato a riflettere sulrapporto che intercorre tra verità e libertà.Quando sono vero sono anche libero e so-no davvero libero quando sono vero. Il dis-corso si fa lungo e non facile. Viene da chie-dersi quanti siano oggi a fermarsi qualcheistante per considerare se scelte ed orienta-menti di vita, ritenuti espressione di com-pleta autonomia e libertà, rispondano a cri-teri di verità ed oggettività. Sono ben con-sapevole di camminare su un terreno mina-to, perché non v’è convergenza di parerisulla stessa definizione di libertà e menoche meno sul concetto di verità. Invece diadattarmi a definire verità e libertà, mi per-metto alcune considerazioni quali nasconodalla mia esperienza di uomo e di uomoche ha fatto una scelta di vita, singolare for-se, ma che mi ha egualmente consentito divivere in un rapporto stretto con ogni miosimile ed indugiare così a valutazioni con-cretissime su posizioni considerate vere, eche tali poi non si sono rivelate, e anche suscelte non proprio libere, anche se tali veni-vano considerate. Non occorre tanto di-scernimento per comprendere che il comu-ne sentire interpreta la libertà come ele-mento costitutivo del vivere umano pro-prio nella capacità di scegliere, di optare se-condo criteri propri e molto spesso insin-dacabili. Ma ogni scelta libera persegue unafinalità, una meta da raggiungere, vuole ar-rivare ad un fine ed è a questo punto che lecose si complicano perché non sempre il fi-ne, la meta, l’oggetto sono percepiti nellaloro verità e perché le modalità con cui sivogliono raggiungere rivelano poi la loroinconsistenza. Nell’animo rimane, nella

migliore delle ipotesi lo scoraggiamentofrustrante per avere inutilmente perseguitouna finalità ancora lontana quando non l’a-marezza di dover ammettere di aver presoun abbaglio. È a questo punto che affioranoprepotenti alcuni interrogativi: qual è la ve-rità di un oggetto, qual è la verità di unapersona, qual è la verità di una situazione?Qual è il cammino più vero per accostarsiin piena libertà a una meta desiderata, qualisono il metodo e il ritmo più sicuri per uncammino che non si riveli deludente? Cre-do si debba recuperare una sorta di umiltàinteriore, ridimensionando le nostre prete-se di dare definizioni, di affermare certezze.Non si tratta di cadere in un relativismo in-teriore, oggi sospettato e sospettabile,quanto di tornare a misura, riconsiderandocon maggiore realismo le nostre capacità dicapire e la nostra capacità di agire. Rileg-gendo uno dei massaggi più belli del Van-gelo giovanneo, quando il Nazareno, da-vanti a Pilato afferma di essere venuto arendere testimonianza alla verità, il procu-ratore romano sbotta in un interrogativoche forse era riflesso di un suo travaglio in-teriore: “Cos’è la verità?”. Eppure aveva da-vanti a sé Colui che aveva potuto dire: “Iosono la verità”. Una affermazione, questa,che può essere tranquillamente considerataanche in chiave laica da chi non accoglieCristo nella sua divinità. A me pare che seun uomo ha potuto dire “Io sono la verità”,sia sempre possibile considerare la suaumanità come un richiamo a dimensioniumane del cammino di ricerca del vero e

della espressione della libertà. Sarà capitatoanche a qualche mio lettore di imbattersi inpersone che si comportano con tale sicu-rezza da credere di avere la verità in tasca, diconoscere, con oggettivo giudizio, persone,cose, situazioni. Devo confessare che quan-do ne ho incontrata qualcuna, ne sono ri-masto assai impressionato, perché m’è par-so di incontrarmi con un mio simile ormaiincapace di ricerca, di dubbio, di sospetto.L’esperienza di ogni giorno, vissuta con laconsapevolezza del proprio limite, è un co-stante cammino verso la verità. Le piccoleacquisizioni ottenute con il dialogo, con ilconfronto, con il misurarsi nel vissuto, por-tano a comprendere come la “verità” siasinfonica e quanto, almeno per il credente,la verità costituisca una meta ma prima an-cora una provocazione a cercare i passi piùautentici e quindi più liberi per accostarecose, persone, situazioni nella loro autenti-cità. È una posizione, questa, che relativizzaogni assoluto, che sospetta dei riverberi ne-fasti dell’ideologia, che rifugge enfatizza-zioni anche religiose ma sceglie la strada deconfronto, della disponibilità a rimescolarele carte della propria autorità, riconoscen-do che nel cammino per diventare uominiliberi e veri rimane insostituibile il dialogo,l’onesta ammissione dell’errore. Forse miripeto, ma credo ne valga la pena. È attri-buita a Socrate questa mirabile espressione:“La massima virtù di chi dialoga è sapergioire nel riconoscere d’essere nell’errore”.Se oggi, in ogni ambito dell’esperienzaumana, ci scontriamo con durezze, resi-stenze, rifiuti e offese a chi non condivide lanostra posizione, è perché abbiamo persodi vista o lo stiamo perdendo, il senso dellaricerca della verità. Della libertà come cam-mino. Ciascuno crede di avere la libertà intasca, la sua piccola verità fatta idolo e unalibertà insindacabile perché giustificata daquanto non si vuole rimettere in discussio-ne. Per me questo modo di essere e posizio-ni come queste hanno un nome preciso:paura. Dalla paura ci si difende. Non sicammina, non si cresce e non si aiutano al-tri a crescere.

*Rettore di San Lorenzo

RIFLESSIONI

«La verità vi farà liberi»lungo la strada del confronto

Ciascuno crede di avere la libertà in tasca, la sua piccolaverità fatta idolo e una libertà

insindacabile perché giustificata da quanto non si

vuole rimettere in discussione.Posizioni come queste hanno un

nome preciso: paura. E dallapaura ci si difende

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di Corinna Albolino

Si tratta dunque di riprendere il cammino,di scoprire altre percezioni, altri gesti,altre parole per dire, per dirsi, il rapporto con la natura, con se stessi, con l’altro.(Luce Irigaray)

Marzo, profumo di mimose, profumo didonne. Anche a Verona, parole, canti, eventiscandiscono tutto il mese in ricordo della“Giornata della donna”, una ricorrenzasempre importante per fare memoria e ri-parlare dell’universo femminile che nellacomplessità dell’oggi si muove tra nuovi sa-peri, creatività, competenze. Donne impe-gnate in una ridefinizione di sé che intendeinnovare, svecchiare le modalità di essere,di abitare il mondo. Forti di un pensieroappassionato intessuto di discussioni, co-noscenze, desideri, pratiche politiche, chematura, a partire dalla fine dell’Ottocento,la consapevolezza di essere soggetti “impre-visti” che irrompono sulla scena del mon-do, come sottolinea Carla Lonzi, insigne in-terprete del femminismo. Dopo millenni diassenza dalla storia, rivendicano diritti,identità, riconoscimento. “Cuori pensanti”perché, al dire delle filosofe del Novecento,in questo caso è proprio il cuore che com-prende, cioè si scopre come originaria aper-tura conoscitiva al mondo, all’altro da sé.Non secondo le astrazioni della ragione, maattraversando l’esperienza della vita, mai

riducibile a pura razionalità. Figure che allaluce di una approfondita ricerca, riappro-priandosi della loro vicenda, attivandosinel presente per progettare il futuro, ambi-scono ora a ridisegnare la loro esistenza, ri-trovandosi a pieno titolo in quel “diventaredonne” che nei confronti di una millenariacultura declinata al maschile, fondata cioèsui codici di una ragione dominante, segnauna trasformazione qualitativa nella diffe-renza di genere. È tout court l’opera femmi-nile per la costruzione di un’alterità che ri-scrivendo una nuova tavola di valori, rivederadicalmente la relazione con l’altro sesso,discute con forza la possibilità di un pattocondiviso che si alimenti della ricchezzadell’essere alla pari e in dialogo. Un percor-so sicuramente ancora lungo da realizzarsi,

ma che si muove già in una direzione dicambiamento. All’interno di questo discor-so allora, i valori di cui si fanno portatricioggi le donne si contrappongono alle dureconnotazioni di matrice maschile, che pe-raltro continuano a contraddistinguerel’intera nostra cultura, l’organizzazione so-ciale e politica del potere. Sono quelli dellaflessibilità, cura e attenzione e si definisconoa partire dalla categoria del “sentire” comemodalità di esperire il mondo, riconosciutacome peculiarità del loro genere. Stimateda sempre come virtù minori perché re-le-gate ai sentimenti, nell’attuale contesto ditrasformazione dei costumi, opportuna-mente ripensate, vengono rivalutate per di-ventare, afferma la studiosa Barbara Ma-pelli, “nuove virtù”. Nuove qualità che pos-sono tradursi in modi di essere anche degliuomini, se solo crescesse nella relazione laloro capacità di riconoscerle anche comeproprie. E così la “cura”, da sempre definitaopera delle donne fino alla abnegazione disé, ora, rivisitata nella prospettiva di una di-versa identità femminile, trova la forza diconvertirsi anche in “cura per sé”. Una sortadi movimento, di conversio ad se che, senzavenir meno alla positività della dedizioneall’altro, scopre la possibilità, la legittimitàdi inaugurare quello spazio, quel tempo in-teriore che offre riflessione, conoscenza,apertura di creatività.Nel merito dell’occuparsi di sé, Duccio De-metrio, pedagogista dell’adultità, ci fa os-servare come si sia inserita nel tempo anchela scrittura, la narrazione autobiografica.Una pratica che sta incontrando molto in-teresse tra le donne di oggi che hanno sco-perto in questo strumento la possibilità diricordare, di valorizzare la propria vita. Unavita che seppur non è stata “il migliore deimondi possibili” rimane comunque unica eirripetibile. A Verona, diversi sono i gruppifemminili che ormai da tempo lavoranosulla memoria di sé. È diventato il piaceredi stare insieme, di condividere i propri vis-suti, di reinventarsi rispetto a nuovi scenaridi vita. La nostra città dunque, una comu-nità che ama raccontarsi anche attraverso lestorie delle sue donne.

DONNE IN CAMMINO

L’opera dei “cuori pensanti”per costruire nuovi valori

A Verona, diversi sono i gruppifemminili che ormai da tempolavorano sulla memoria di sé.È diventato il piacere di stare

insieme, di condividere i proprivissuti, di reinventarsi rispetto

a nuovi scenari di vita.La nostra città è dunque una comunità che ama

raccontarsi anche attraverso le storie delle sue donne

16 Marzo 2010

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di Marta Bicego

Tra città e provincia, a Verona sicontano cinque sale Bingo: a No-gara,San Giovanni Lupatoto, in viaGolosine e Basso Acquar; l’ultimain ordine di tempo è stata inaugu-rata in novembre, a Bussolengo.Ma non è tutto, perché il mito del“vincere è facile”– controllato e so-stenuto dallo Stato –, viene incon-tro alle esigenze di qualsiasi cliente:l’offerta è varia, e cavalca con tem-pismo invidiabile i venti della crisi.Un esempio su tutti? In tempi di ri-strettezze economiche, con Winfor Life, la vincita si trasforma inun vitalizio dalla durata ventenna-le. Secondo il Rapporto “L’Italia ingioco” diffuso da Eurispes tra lelotterie istantanee il Gratta e Vinci

è quella di maggiore successo, conun incremento del 45 per cento nel2008 solo della versione sul web.Nel 2008 il mercato dei giochi haraggiunto quota 47,5 miliardi dieuro, ma si prevede arriverà a sfio-rare i 60 miliardi nel 2010. Settoretrainante, che fa registrare il 46 percento degli incassi, è quello delleNewSlot:brevi giocate e puntate ir-risorie favoriscono il gioco conti-nuo e ripetuto. I giochi di abilitàonline o Skill games, in particolareil poker (nella variante più diffusadel Texas Hold’em), hanno con-quistato in breve tempo il pubbli-co: legalizzate a settembre 2008,queste forme di divertimento a di-stanza hanno riscontrato un con-senso straordinario e già nei primimesi del 2009 il successo ha supe-

rato le aspettative.A fronte di tantaofferta, perché ormai il gioco d’az-zardo si trova dappertutto, i casinòdi Venezia, San Remo, Campioned’Italia, Saint Vincent hanno chiu-so il 2008 con bilanci in rosso.Tra il2003 e il 2008 sono diminuiti an-che gli introiti legati a concorsipronostici come Totocalcio e Toto-gol, il che dimostra una certa disaf-fezione dei giocatori nei confrontidi questi giochi.

IL BANCO VINCE SEMPRE

Non c’è dubbio: il mercato dei gio-chi rappresenta una vera e propriaindustria. Solamente a gennaio diquest’anno, come rivelano i datidiffusi dall’Amministrazione au-tonoma dei Monopoli di Stato, la

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Attualità

DIPENDENZE / IL GIOCO

Signore e signori«Rien ne va plus»

Si comincia per scherzo, magari con una vincita, ma può diventare una malattiache si mangia lo stipendio. Anche a Verona ci sono famiglie distrutte da questa

subdola forma di dipendenza a cui si connettono violenza e reati di vario genere

Dopo i mercatini a chilometri zero, anche il casinò. Perché quindispostarsi fino a Venezia, se a pochi passi dall’Arena è già possibiletrovare una comoda sala con slot machines, postazioni per giocare apoker Texas Hold’em e da pochi giorni con tanto di roulette? Con-traddizioni dei tempi moderni. La tentazione di cedere alle lusinghedel gioco – unico settore in controtendenza nonostante la crisi eco-nomica – è una realtà che tocca da vicino anche i veronesi. E conl’imbarazzo della scelta: dalle tabaccherie ai bar, dagli autogrill aisupermercati, dalle sale Bingo a veri e propri salotti dell’azzardo.Casinò della porta accanto, dove è possibile provare il brivido di ve-der girare la pallina di una roulette. O fare una partita a poker: untempo relegato tra le mura delle case da gioco, oggi passatempo perragazzi ed adulti.

Il paese dei balocchi

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Un giocatore in astinenzaracconta la sua esperienza con il video-poker

Da quella prima partita alle macchinette aoggi, sono passati dieci anni. Intere giornatetrascorse tra bugie e sotterfugi, fino ad arri-vare a «toccare il fondo» a causa della dipen-denza da gioco d’azzardo. Quella di Alessan-dro, il nome è di fantasia, è la storia di unodei giocatori in astinenza che si ritrovano alSelf Help di via Albere per confrontarsi in ungruppo di auto aiuto.«A diciott’anni ero un ragazzo normale, do-po non so che cosa sia successo. Per troppotempo libero o troppi soldi per le mani, hoiniziato per scherzo a giocare a video-pokerassieme a un amico» racconta il ventottenneimpiegato in un’azienda veronese. «Perscherzo», ripete, «finché mi sono messo agiocare anche da solo e sono andato avantiper oltre sei anni. Somme basse, all’inizio.Ma, quando mi sono ritrovato ad avere deidebiti a causa delle macchinette, sono arri-vate le difficoltà».Problemi con i familiari, la fidanzata, gliamici: «Non potevo tenere i ritmi di un ra-gazzo della mia età con le spese che avevo algioco. Così mi sono trovato ad allontanarmi

e a scappare. Le cose andavano sempre peg-gio, ma non pensavo di essere malato». Lapatologia è quella che ti spinge a giocare atutti i costi, anche se lo stipendio (che alloraera di un milione e mezzo di lire) non è suffi-ciente a coprire i debiti. «Il mio comporta-mento era strano: spendevo tutti i soldi cheavevo e i miei genitori non capivano perché –rivela Alessandro –. Non dicevo nulla, ed erosempre preoccupato, tant’è che una sera miopadre mi ha preso il braccio, me l’ha tiratolungo per vedere se c’erano punture di sirin-ga». Dopo diverse ricadute, e debiti semprepiù pesanti, «sono arrivato a toccare il fondo.In quel momento ho capito che non potevopiù fare a meno del gioco d’azzardo».Il passo più importante, e difficile, è statoammettere di avere un problema e parlarnein famiglia, poi c’è stato l’arrivo al Self Help.«Quando mi hanno parlato del centro mi so-no detto: proviamo. Una volta incontrato ilgruppo, però, ho pensato: qui sono tutti ma-lati, io non sono così...».Il percorso di Alessandro prosegue, tra alti ebassi, da qualche anno: 101 giorni di asti-

nenza, poi la ricaduta; altri 156, poi la rica-duta; ancora 499 giorni... «Ho rivoluto lostipendio e sono andato a giocare. Ora conto27 giorni di astinenza». È una «lotta conti-nua», spiega, tra il desiderio di tornare al vi-deo-poker e i sensi di colpa. Giocare regalaforti emozioni «che sembrerebbero brutte,ma non lo sono, perché alla fine continui adandare a giocare. È l’adrenalina forse. Inquel momento il tuo cervello non è lucido: faimille pensieri, ma solo quando esci dal bar tirendi conto di ciò che hai fatto». Lontanodalle macchinette, però, «si vive meglio»: siriesce a ragionare, si affronta in maniera di-versa la vita, si recupera il tempo perduto.Semplicemente regalandosi una vacanza.«Ora non arriverei mai a pensare al suicidio– confessa l’ex giocatore –, invece negli annipiù difficili ho pensato di farla finita. Unavolta mi sono fermato in un parcheggio, nonho provato ad uccidermi, ma l’idea mi hasfiorato». Il problema è nella mancanza diinformazione: difficilmente le persone accet-tano che il gioco possa trasformarsi in ma-lattia. «La situazione più preoccupante ri-guarda i minorenni – conclude –: escono coni dieci euro dati come mancia dai genitori, ligiocano in cinque secondi al bar, poi vanno acasa perché restano senza soldi. A pensarcibene, anch’io facevo così». (M.B.)

L’idea di aprire a Verona una

succursale del casinòdi Venezia è vista come

un’opportunità dirilancio economico,

senza tuttavia pensareai risvolti negativi

che una simileoperazione

potrebbe avere

raccolta proveniente dal gioco hafruttato 5.224 milioni di euro – deiquali 2.559 provenienti da appa-recchi (pari quasi al 50 per centodegli incassi) e 777 dalle lotterie –,con un trend positivo (+15,5 percento) rispetto allo stesso mese del2009. Per questo l’idea di aprireuna casa da gioco a Verona, comesuccursale del casinò di Venezia, èvista in tempi di magra comeun’opportunità di rilancio econo-mico, senza pensare tuttavia ai ri-svolti negativi – dalla dipendenzapatologica ai reati connessi, fino alfenomeno dell’usura – che una si-mile operazione potrebbe avere.Anche nella nostra città ci sono fa-miglie che stanno vivendo dei veridrammi a riguardo. Nemmeno iveronesi sono esenti dalla febbredell’azzardo: quanto a scommessela città scaligera è seconda solo allavicina Venezia. Da uno studio rea-lizzato da Censis servizi è emersoche,nel 2008,ogni veronese ha spe-so in media 828 euro per tentare lafortuna contro i 933 euro sborsatidai veneziani.Ogni 100 euro gioca-ti, però, soltanto 68 sono ritornati

nelle tasche dei giocatori. E le cassedello Stato ringraziano.Si inizia spesso per curiosità, avolte per caso, ma il gioco puòcreare dipendenza. «In Veneto al-cuni servizi per le tossicodipen-denze seguono anche personeche soffrono di gioco d’azzardo»spiega Francesco Bricolo, psi-chiatra che opera presso l’Ulss 20di via Germania. «A livello di datiepidemiologici, possiamo direche il disturbo è riguarderebbe

18 Marzo 2010

Attualità

circa 5 per cento della popolazio-ne, ma si tratta solo di una stima,e ad essere colpite sono soprat-tutto le donne». Mancano datiprecisi, ma a preoccupare è so-prattutto l’impatto che il giocod’azzardo patologico (ricono-sciuto da quarant’anni come ma-lattia dall’Oms) ha sulla società,«perché quando le persone arri-vano a chiedere aiuto si tratta disituazioni già compromesse. Ilgioco d’azzardo, ora classificato

«Sono arrivatoa pensare il peggio»

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inVERONA

Attualità

Lo definiscono divertimento per famiglie, in real-tà il Bingo nulla ha a che fare con la cara vecchiatombola. «Per far sopravvivere le sale devi averepersone dipendenti da gioco, perché il sistema sifonda sulla presenza di clientela abituale. Questo èun binomio inscindibile, senza il quale il Bingo èun’azienda destinata a fallire».Vista dalla prospet-tiva di chi ci lavora, la realtà del Bingo assume tut-ta un’altra dimensione. Un mondo del quale, finoa qualche tempo fa, anche Matteo – il nome è, perovvie ragioni, inventato – non sapeva nulla finchépoco più che venticinquenne, per necessità di tro-vare un’occupazione, è diventato operatore di salaBingo nel Veronese.Al di là dei protocolli dettati dal Monopolio, ognistruttura è gestita in maniera differente. In linea dimassima, però, valgono i principi di efficienza eottimizzazione: nel mettere a proprio agio il clien-te e vendere il maggior numero di schede. Per farciò, la macchina organizzativa prevede la presenzadi alcune figure: lo speaker e il cassiere (oggi ri-unite, grazie a un software, in un’unica persona), ivenditori, un caposala, un capo venditore “stella”.Poi ci sono gli addetti alla ristorazione, i quali «de-vono offrire sostentamento a giocatori che tra-scorrono anche sei ore in una sala. Con offerte dibevande o piatti a determinati orari, quando l’af-flusso inizia a calare».Altra cosa è il gioco. Speakere cassiere gestiscono le partite: decidono numeroe prezzo delle cartelle da vendere, raccolgono ilvenduto, distribuiscono le vincite. Per i venditori«la prima disposizione è avere una determinataefficienza nella vendita» precisa Matteo. Il risulta-to al quale mira qualsiasi sala, prosegue, «è fare al-meno dieci partite in un’ora. Quindi far durare lapartita, tra vendita cartelle e svolgimento del gio-

co, sei minuti e non di più. Ovviamente dipendedall’afflusso di persone e dalla presenza di perso-nale». Fino a questo punto, fa notare, «nulla di ec-cezionale, a parte la necessità di efficienza nel ri-spettare i tempi». Il paradosso, precisa, è che «l’e-sistenza di un Bingo si basa sulla presenza di clien-ti abituali. Il giocatore occasionale influisce per il10 per cento sul movimento di denaro totale. L’af-flusso di persone che vengono a vedere com’è ilgioco si può notare nei fine settimana, ma lo “zoc-colo duro” è fatto dagli abituali che potrei giornodopo giorno indicarti uno per uno». Ogni Bingorappresenta uno spaccato eterogeneo, ma com-pleto, della società perché non esiste una classe so-ciale che non sia rappresentata: «Trovi personeanziane, coppie e famiglie, compagnie di giovani,extracomunitari che considerano il Bingo una viaper racimolare soldi». E, a giocare, si può rimane-re per ore perché la vendita di cartelle di poco va-lore, cadenzato ad una velocità incredibile, per-mette a tutti di entrare nel meccanismo dell’as-suefazione. «Chiaramente c’è una forma di malat-tia. Più ancora che nel gioco, nella costante pre-senza in sala: c’è chi arriva alle sei di sera, cena e ri-mane fino a mattina». È difficile capire cosa fascattare la dipendenza: «Il fenomeno più preoccu-pante lo vedo tra chi usa i video-poker, dove i sol-di vanno giù ad una velocità impressionante».Qui, gli unici che riescono ad andarsene a casa conun bilancio in attivo sono i cinesi: «Trascorronoore a guardare una persona che gioca. Poi spendo-no 600 euro in trenta minuti, ma magari ne gua-dagnano mille. Hanno una forma di mania che ri-escono a rendere fruttuosa. Hanno provato anchecon il Bingo, ma evidentemente non vale lo stessoprincipio». (M.B.)

come disturbo del controllo degliimpulsi, potrebbe essere riformu-lato in futuro come comporta-mento di dipendenza che può svi-lupparsi verso qualsiasi cosa. Lenuove generazioni sono più a ri-schio».Sono circa cinquanta le persone se-guite dal Dipartimento di viaGer-mania (telefono 045.8622235):«Prevalentemente adulti, ma per-ché i genitori non hanno il corag-gio di portare i propri figli, népercepiscono il r ischio». Perquanto riguarda la cura, il tratta-mento che sembra ottenere mag-giori risultati è di tipo psicologi-co: «Ciò che possiamo dare è unsupporto per aiutare a superare ilproblema. Poi ci sono i gruppi diauto aiuto sui quali puntiamomolto».Soli, oppure accompagnati dai fa-miliari, sono quarantasei i “gioca-tori in astinenza” che ogni martedìe mercoledì si incontrano nei tregruppi di auto aiuto della coopera-tiva Self Help, al civico 132c di viaAlbere (telefono 045.502533), e ilpercorso che seguono è quello deldialogo e confronto tra personeche soffrono della stessa malattia.«Il giocatore patologico ha atteg-giamenti facilmente riconoscibi-li» precisa Manuela Persi, educa-trice al Self Help da circa nove an-ni: «Comportamenti come il bi-sogno incontrollabile di giocare,la rincorsa delle perdite, falsifica-zioni che vanno a intaccare salu-te, lavoro e affetti», aggiunge, so-no i campanelli d’allarme più fre-quenti. L’azione del gruppo di so-stegno (la cui frequenza è libera egratuita) punta al «cambiamentoradicale dello stile di vita, all’asti-nenza da qualsiasi gioco basatosulla casualità, all’allontanamen-to da conoscenze e ambienti sba-gliati. Infine alla pianificazioneeconomica, per aiutare il giocato-re a pagare i debiti e impararenuovamente a gestire il denaro».Il fenomeno più preoccupante ri-guarda i giovanissimi: «Ragazzidella “Verona bene”che giocano apoker, on line o in piccole bische,usando magari la carta di creditodi papà. Tra giovani e meno gio-vani, le persone non mancano –conclude Persi –, anzi sono incontinuo aumento. Infatti stiamopensando di aggiungere un altrogruppo...».

Bingo: un operatore ci spiega cosa c’è dietro«Le sale sopravvivono grazie ai clienti abituali»

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20 Marzo 2010

di Fabiana Bussola

Parola d’ordine: crisi. È questo iltermine che ha convinto a Veronatutte le categorie produttive, leistituzioni e i servizi, a sedersi in-torno a un tavolo insieme ai sinda-cati. Cgil, Cisl e Uil raccolgonocontinue domande di cassa inte-grazione, e non soltanto dagli in-dustriali.Sono anche protagonistidella cabina di regia, il Crevv, pro-mossa dalla Provincia per concer-tare gli interventi e ripensare losviluppo della città. Se è vero checrisi significa anche cambiamen-to, forse qualcosa si muove nellamentalità veronese, quella china eoperosa nel coltivare il proprio or-ticello. E forse, passata la buriana,si inizierà un percorso più colla-borativo. Ecco cosa ne pensano isindacati confederali di Verona.

– Crisi finanziaria mondiale: le ri-cadute sulla città si fanno sentire.Ma che crisi stiamo vivendo? Sia-mo di fronte alle crepe del sistemaeconomico veronese e veneto?

SINDACATO

INSIEME contro la crisi

Carla PellegattaSegretaria generale Cgil VeronaLa nostra città non è seconda anessuno in quanto a ricadute sul-l’economia reale della crisi finan-ziaria. Ma alcuni settori erano inaffanno già ben prima: penso altermomeccanico, al marmo, inparte all’edilizia, al tessile e al cal-zaturiero. Una peculiarità nel no-stro territorio però c’è: la piccola

dimensione delle imprese, per lequali è difficile non solo affronta-re questo momento, ma che nonsono in grado di puntare su inno-vazione e ricerca. Ancora piùcomplesso è prepararsi alla ripre-sa: servirebbe un rilancio dei di-stretti produttivi per stimolare si-nergie tra aziende e sperare diavere così delle prospettive per ilfuturo. In realtà, in questi anni

Incontro con i segretari di CGIL, CISL e UIL di Verona per fare il

punto sulla situazione.Le formule per uscire

dal tunnel ci sono.Si chiamano ricerca,innovazione, sinergie

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abbiamo perso per strada fetteimportanti di imprese medio-grandi, che o si sono ridimensio-nate o sono scomparse.

Lucia PerinaSegretaria generale Uil VeronaC’è anche un problema culturale:il forte attaccamento alla propriaattività spinge a resistere alla crisisenza reagire finché non ce la si fapiù. Ma ciò destruttura in sensoeconomico-finanziario la mag-gior parte delle piccole e medieimprese, che non riescono a farerete. Inoltre, rispetto a 15 anni fa,quando le grandi aziende nel ve-ronese hanno cominciato ad an-darsene, oggi è molto più difficilericollocarsi. Il sistema non è piùin grado di assorbire chi fuoriescedalle imprese più grandi. Anche igruppi bancari non sono riusciti afare un salto etico. Fino a ieri lepiccole aziende hanno ingrassatole banche e oggi non sono altret-tanto sostenute: faticano ad avereaccesso al credito. Assistiamo adun allargamento della forbice traricchi e poveri e qui le banche so-no chiamate a giocare un ruoloimportante, perlomeno favoren-do le aziende sane. Inoltre, nonpuò esserci un sindacato che fabuoni contratti e poi laddove nonc’è rappresentanza – penso allecooperative, al precariato – si faquel che si vuole. Non c’è unifor-

mità nei controlli, le verifichepreviste dalla legge non sonouguali per tutti e così abbiamocittadini che pagano le tasse ancorprima di ricevere lo stipendio echi non ha alcuna tutela.

Massimo CastellaniSegretario generale Cisl VeronaLa crisi finanziaria non ha fattoche acuire una situazione gravegià evidente. Ricordo che negli ul-timi 10 anni il Pil italiano è giun-to all’1% solo un paio di volte.Siamo rimasti in media allo 0,2-0,3 mentre altri paesi europeihanno avuto performance più al-te. Prima dell’euro il nostro siste-ma produttivo è cresciuto moltograzie al cambio lira-marco. Oggilo scenario è più complesso: mol-ti paesi dell’Est Europa hannoaperto le frontiere permettendola delocalizzazione delle nostreimprese. La crisi finanziaria haposto sotto i riflettori una realtàin cui è chiara la mancanza di unaprogettazione industriale ade-guata ai tempi. Verona ha rettomeglio rispetto alle altre città delNordest e al resto d’Italia: il ter-ziario ha infatti tenuto, così il tu-rismo e l’agroalimentare, doveperò si stanno mostrando dellecrepe. La crisi occupazionale nonè drammatica ma non vedo unindirizzo, una soluzione lungi-mirante. Paghiamo anche unacultura che non ha creduto nelmarketing, non ha saputo investi-re in ricerca e innovazione. Sipreferisce seguire la logica del ri-basso del costo della mano d’ope-ra, piuttosto che pensare a comeaffrontare i mercati esteri. Abbia-mo in definitiva delle potenziali-tà produttive a cui però non se-guono aperture ai nuovi mercati,dell’Est e del Sudamerica in par-ticolare. Il nostro modo di essereci ha fatto crescere con la mi-croimpresa, ma oggi bisogna co-niugare questa operosità con unavisione globale del mercato. Cosìci si trascina nella speranza che leeconomie vicine a noi, special-mente quella tedesca, ripartanoper poterci agganciare. IntantoVerona si sta svuotando dal mani-fatturiero, la Glaxo sta smantel-lando la ricerca e la città si sta tra-sformando in una provincia fattadi commercio, turismo e indu-stria del divertimento.

inVERONA 21

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Cgil, Cisl e Uil nel 2002 per il Pat-to per l’Italia e più recentemente aquella sui modelli contrattuali. Maabbiamo sempre cercato di lavora-re insieme: la primavera delloscorso anno abbiamo sottoscrittoun patto anticrisi, firmato poi daProvincia,Camera di commercio etutte le associazioni datoriali. Ipunti che ci vedono contrappostiriguardano la visione del mercatodel lavoro, le proposte per supera-re il dualismo tra lavoratori tutela-ti e i precari, esploso anche in basea leggi che hanno in parte destrut-turato il mercato del lavoro.Altro punto di divisione forte èstato lo scorso anno la firma sepa-rata sulla riforma del modellocontrattuale. E così oggi ci trovia-mo un accordo che sancisce la pos-sibilità di derogare rispetto allenorme contrattuali. Inoltre c’è unproblema di rappresentatività delsindacato: la Cgil chiede che sipossa avere una legge sulla rappre-sentanza come nel pubblico im-piego, per verificare l’effettiva rap-presentatività di ciascuna organiz-zazione, e la possibilità, il dirittosecondo noi, che i lavoratori sipossano esprimere su piattaformee accordi che li riguardano. Questesono problematiche nazionali, mavorrei che provassimo anche a li-vello territoriale a dare dei segnalialle nostre organizzazioni centrali.

Carla Pellegatta (CGIL)

Massimo Castellani (CISL)

Lucia Perina (UIL)

– A fronte di un reciproco rispettotra segretari generali, quali sonoi punti che vi allontanano?

Carla Pellegatta (CGIL)Anche in tempi di difficoltà abbia-mo mantenuto buone relazioni econdotto azioni unitarie. Inevita-bilmente non possiamo essere im-muni da ciò che accade a livellonazionale: penso alla rottura tra

Lucia Perina (UIL):«C’è anche un

problema culturale: il forte attaccamentoalla propria attività

spinge a resistere allacrisi, senza reagire,

finché non ce la si fa più. Ma ciò

destruttura in sensoeconomico-finanziariola maggior parte delle

piccole e medieimprese, che non

riescono a fare rete»

Page 22: Verona In 24/2010

Lucia Perina (UIL)Confermo la stima reciproca manon è sufficiente per fare accordi.Il buon clima tra noi segretarinon basta ad evitare che poi lenostre rispettive categorie mani-festino conflittualità. La primagrande occasione persa è statoproprio l’articolo 18: eravamoinsieme dentro le grandi macchi-ne organizzative, però Cisl e Uilsono giunte prima alla possibilitàdi non vedere la modifica di quel-l’articolo come l’apripista al li-cenziamento libero. La Cgil inve-ce si è arroccata e ha preso unaposizione critica verso le altre or-ganizzazioni sindacali, sostenen-do che chi aveva ceduto su quelpunto non aveva fatto gli interes-si dei lavoratori. Lo trovo offensi-vo e le distanze sono così aumen-tate.Ci sono temi importanti su cuiabbiamo fatto percorsi diversianche all’interno delle nostre or-ganizzazioni. Insieme rappresen-tiamo il 35-40% del mondo dellavoro, molto meno dei pensio-nati. Sulla rappresentatività ce ladobbiamo giocare per bene.

Carla Pellegatta (CGIL)Infatti serve a stabilire la titolaritàdi chi deve stare ai tavoli…

Lucia Perina (UIL)Non è proprio così perché poiquando la Cisl dice una cosa, la Uilun’altra e la Cgil agisce da sola,perché pensa di essere l’unica e lapiù grande, allora è davvero unproblema di rappresentatività e dinumeri.

Massimo Castellani (CISL)Tornando all’ambito locale credoche la riforma dei contratti ci di-vida: la Cisl ha un atteggiamentobasato sulla concertazione conchiunque ci sia dall’altra parte ecerca di portare a casa il migliorrisultato possibile. La Cgil è inve-ce più antagonista. Non nego cheanche questa posizione a voltepuò dare i suoi frutti.È da un anno che ricopro l’incari-co di segretario e sento la difficol-tà di lavorare in tre, ciascuno conle proprie procedure interne darispettare. Il lavoro di squadranon è facile né rapido nei rappor-ti con le le altre organizzazioni

mentre questo tempo di crisi esi-gerebbe rapidità nelle decisioni econcretezza. Un esempio è il casoGlaxo: credo non lo si possa liqui-dare sui gradini di Palazzo Barbie-ri dicendo che la ricerca non se neandrà via da Verona. Questi sonosolo slogan. Le cose si risolvono seci sono le capacità di individuaredelle possibili soluzioni, instau-rando un rapporto stretto traazienda e governo, in un tavolonazionale che non deve vedere isindacati in posizione subalterna.

Carla Pellegatta (CGIL)Ricordo che la Cgil è una delle fau-trici del percorso concertativo. Inrealtà sia in Italia che in Europa sista affermando la formula del dia-logo sociale, che è però altra cosadalla concertazione. Lo scenarioche abbiamo davanti ci impone diavere come obiettivo l’unità sin-dacale, altrimenti finiremo coltrovarci a dover ricostruire deipercorsi per avere maggiore pote-re contrattuale. Sono anche d’ac-cordo che il lavoratore possa vota-re sulle piattaforme e sugli accor-di, e anche che l’iscritto al sindaca-

22 Marzo 2010

Forum

L’Associazione Guide Turistiche Autorizzate di Verona eProvincia ASSOGUIDE è composta da 23 guide turistichetutte in possesso del patentino rilasciato dalla Provinciadi Verona in base alla Legge Regionale del 4 novembre2002, n. 33.

L’Associazione unisce passione ed entusiasmo ad un co-stante lavoro di aggiornamento e approfondimento. Le lin-gue straniere nelle quali i soci ASSOGUIDE possono forni-re il loro servizio sono: inglese, francese, tedesco, spa-

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ARTICOLO 18

Il 14 maggio 1970 la Cameraapprovava la legge n. 300 co-nosciuta più comunementecome "Statuto dei diritti deilavoratori". Si tratta del piùimportante testo normativo,dopo la Costituzione, sui di-ritti dei lavoratori e venivaapprovato dopo un lungo pe-riodo di lotte sindacali culmi-nate col rinnovo dei contratti-vi collettivi nazionali dell'au-tunno del 1969. Lo Statuto tu-tela in particolare il dirittodei lavoratori, nelle aziendecon più di 15 dipendenti, didarsi dei rappresentanti sin-dacali. L'articolo 18 imponel'obbligo della riassunzioneper il lavoratore licenziato in-giustamente

Page 23: Verona In 24/2010

to abbia maggior peso, ma ricor-diamoci che siamo soggetti socialie che la nostra firma vale ancheper i non iscritti. Perciò anchequesti non iscritti devono poterdire se sono o meno d’accordo conle intese che sottoscriviamo.

– Come si stanno modificando irapporti con Confindustria e lealtre organizzazioni datoriali?

Massimo Castellani (CISL)La richiesta di cassa integrazioneè continua da parte degli indu-striali, ma la crisi ci sta avvicinan-do a categorie che prima non ciinterpellavano, come il commer-cio, gli artigiani, le cooperative,per trovare degli accordi che aiu-tino a superare questa fase. Il vol-to del sistema veneto è moltocambiato negli ultimi anni e gliindustriali non sono più la mag-gioranza nel mondo produttivo.

Lucia Perina (UIL)Confindustria rappresenta il 20%delle imprese in Italia e un po’ me-no a Verona, quindi è la metà diquanto siamo noi tre sindacati in-

sieme. Oltre alle realtà dell’asso-ciazionismo d’impresa vorrei sot-tolineare la presenza rilevante deiconsulenti del lavoro, professioni-sti che hanno un rapporto ad per-sonam con centinaia di aziende econ cui dovremmo rapportarci.L’associazionismo datoriale –Confartigianato, Confcommer-cio, Confapi... – è molto fram-mentario e competitivo. Bisogne-rà capire come sindacato e lavora-tori possano inserirsi in questoclima. Noto però che da un anno aquesta parte prevale uno spirito dialleanza: finché sosteniamo l’im-prenditore perché gli si conceda ilcredito da parte delle banche sia-mo bravissimi.Vedremo cosa suc-cederà quando la crisi sarà menopesante e chiederemo ai datori dilavoro di dividere la ricchezza coni dipendenti. Saremo ancora auto-revoli allora?

Carla Pellegatta (CGIL)Concordo con la visione di Massi-mo e di Lucia: finché c’è la crisi irapporti sono buoni. Ma una vol-ta superata questa fase di difficoltàdovremo mettere in campo noi

sindacati una qualche forma dicontrattazione territoriale a Vero-na, anche per cercare di intercetta-re le molte forme di lavoro flessi-bile. Una contrattazione che puntia dare riconoscimenti economicie diritti anche a settori in cui il sin-dacato non è presente.

– Siete tra i partecipanti alla Ca-bina di regia per l’economia ve-ronese e veneta, il tavolo promos-so dalla Provincia per affrontarela crisi. Dopo la prima riunioneoperativa di febbraio, pensateche il Crevv abbia un futuro?

Massimo Castellani (CISL)Questo è un tavolo importante. Èla Provincia che ha la titolaritàdella formazione, del mercato dellavoro e gli elementi su cui far levaper vincere la crisi. C’è stata unarappresentanza direi totale, per-ché oltre ai sindacati nel Crevv cisono le associazioni di categoria,quelle imprenditoriali, le banche,le istituzioni, i comuni e la curia.Ho riscontrato da parte di tuttiuna grande disponibilità al con-fronto e a mettere insieme le idee,

inVERONA 23

ForumMassimo Castellani

(CISL): «La crisi ci staavvicinando a

categorie che primanon ci interpellavano,

come il commercio,gli artigiani, le

cooperative, pertrovare degli accordi

che aiutino a superarequesta fase. Il volto delsistema veneto è moltocambiato negli ultimianni e gli industriali

non sono più lamaggioranza nel

mondo produttivo»

Page 24: Verona In 24/2010

cercando punti d’incontro. Ab-biamo proposto di creare un fon-do che dia risposta immediata achi è in difficoltà: l’accordo conuna banca per dare un anticiposulla cassa integrazione straordi-naria non basta. Crediamo cheun fondo a cui partecipino fon-dazioni e banche abbia più possi-bilità di rispondere rapidamentea chi ha bisogno rispetto ad unammortizzatore sociale. Secondocompito del fondo è istituire uncredito d’onore per avviare for-me di attività autonoma o di tipocooperativo.

Lucia Perina (UIL)Nella convenzione con le banchesi dovrebbe agire più rapidamen-te: è vero che siamo in tanti al ta-

volo, ma le proposte a riguardopresentate da noi sindacati rischiadi restare sulla carta. Se per met-terci i soldi ci si impiegano due, tremesi abbiamo perso per strada unpo’ di gente e non avremo qualchepovero in più, ma decine di perso-ne che cadono nelle mani deglistrozzini.

Carla Pellegatta (CGIL)I beneficiari degli ammortizzatorisociali sono una fetta sempre piùridotta di lavoratori, infatti ne so-no esclusi la gran parte dei lavora-tori a tempo determinato, moltis-simi apprendisti, i lavoratori aprogetto e in somministrazione.La Provincia si è impegnata a pro-muovere l’intervento dei comuniaffinchè mettano in atto tutta unaserie di provvedimenti, quali la ri-duzione delle rette di asili nido ocase di riposo, agevolazioni sullebollette, contributi agli affitti, inmodo da poter sostenere il redditodelle persone e delle famiglie cheper effetto della crisi si trovano ingravi difficoltà. A questo propositoè necessaria una riflessione appro-fondita sul modo in cui i comuniutilizzano le risorse. Da questopunto di vista considero sbagliatala scelta del Comune di Verona diprocedere alla realizzazione deltraforo delle Torricelle, non soloperché ritengo sia un’opera inuti-

le, dannosa e assolutamente in-compatibile con il territorio e latutela dell’ambiente, ma ancheperché con le stesse risorse si po-trebbero mettere in atto interventidavvero necessari. La città di Vero-na, ad esempio, ha le carte in rego-la e le potenzialità per diventarecittà metropolitana. Ma per farequesto occorre avere una visionestrategica del territorio, investirenelle infrastrutture davvero neces-sarie. Naturalmente la condizioneper raggiungere questo obiettivo èche si faccia “squadra”. Uno dei li-miti dell’associazionismo e del si-stema delle imprese a Verona, staproprio nel non aver saputo fare“sistema”, esigenza tanto più pres-sante in un contesto economicoglobale. Da questo punto di vistaritengo importante che la provin-cia di Verona abbia attivato – comeperaltro il sindacato chiedeva datempo – una Cabina di regìa, suitemi dello sviluppo del territorio esui temi del lavoro. Era una solle-citazione contenuta anche nel Pat-to anticrisi, che abbiamo promos-so e sottoscritto nell’aprile scorsocome Organizzazioni sindacali efirmato assieme a Provincia, Ca-mera di Commercio e a tutte leparti datoriali, con l’obiettivo diprovare a far fronte alla crisi anchecon proposte concrete soprattuttosul versante delle politiche sociali.

24 Marzo 2010

Forum

Carla Pellegatta(CGIL):

«Uno dei limitidell’associazionismo

e dell’impresa veronese è l’aver lavorato peranni solo il proprioorticello, senza unavisione d’insieme»

Page 25: Verona In 24/2010

di Jean-Pierre Piessou *

In Africa i papà spesso portano i bambinisulle spalle. Lo fanno non per comodità o perconvenienza ma semplicemente perché i lorofigli vedano più lontano di loro. Perchéesplorino oltre i confini delle loro etnie, deiloro villaggi, delle Weltenschaung in cui sonocresciuti, dei costumi e delle tradizioni antro-pologiche e spirituali. I genitori portanodunque i figli sulle spalle perché siano capacidi apprezzare orizzonti più ampi così da nonessere ottusi, ma piuttosto cosmopoliti.Questa comportamento saggio dei genitoridovrebbe consentire ai ragazzi immigrati diseconda generazione, chiamati G2, di viverein città che non discriminano le persone perprovenienza, cultura, religione e quant’altro.Per seconda generazione si intende i figli deicittadini immigrati adulti, giunti a Verona daun bel po’ di anni. Questi giovani possonoessere suddivisi in tre gruppi: il primo grup-po è composto dai giovani arrivati in seguitoal ricongiungimento familiare dei genitori,residenti stabili in Italia già da qualche anno;il secondo gruppo è composto dai giovani fi-gli di immigrati nati in Italia da coppie pro-venienti da paesi terzi; nel terzo gruppo sitrovano i figli di immigrati nati da coppiemiste (italiani-immigrati).Questa distinzione ci aiuta a meglio com-prendere alcuni aspetti legati all’inclusionescolastica e sociale di questi giovani cittadini,soprattutto per quanto riguarda la questionedella lingua italiana. Per esempio, per i ragaz-zi immigrati nati in Italia, e che fin dalla tene-ra età frequentano gli istituti scolastici vero-nesi, il problema dell’italiano come secondalingua generalmente non si pone, mentre perchi è giunto a Verona attraverso la proceduradi ricongiungimento, la lingua può rappre-sentare un grosso ostacolo, sia dal punto divista della comunicazione che da quello del-l’autocomprensione di sé, rispetto al contestoin cui si vive l’integrazione.I dati che abbiamo di questi minori immi-grati sono in continua oscillazione e diconoche al primo gennaio 2009 i minori, figli dicittadini immigrati tra Verona e Provincia,erano 22.375, su una popolazione immigrata

di circa 96.309 unità. Se mettiamo a confron-to questi dati del 2009 con quelli del 2004, ve-diamo che l’incremento è del 50%: nel 2004infatti questi minori erano 11.116.I paesi di provenienza della maggior parte diquesti giovani sono quelli degli immigratiadulti, cioè la Romania, il Marocco, lo SriLanka, l’Albania, il Ghana, la Moldavia e l’In-dia. Questi giovani portano sulle spalle le fa-tiche, le ansie, le difficoltà anche abitative, lefrustrazioni e le ingiustizie che i loro genitorisubiscono. Non riescono a vivere sereni.È venuto a trovarmi un giovane ghanese dinome Augustine, studente in una scuola pro-fessionale di Verona. Aveva in mano una bol-letta da 543, 07 euro da pagare. Voleva saperese e perché doveva pagare quei soldi per la ri-parazione dell’ascensore, quando lui e la suafamiglia non lo usano perché abitano al pia-no terra. Mi dice che il padre è stanco di par-lare di queste cose, ma soprattutto moral-mente depresso per alcune situazioni e haquindi deciso che d’ora in poi sarà Augustineche dovrà recarsi negli uffici a fare valere leloro ragioni. Questo giovane immigrato, benintegrato nella società veronese, vive questofatto come una forma di ingiustizia.Il giovane Singh ha sedici anni. Mentre viag-gia in autobus da un paese della provinciaverso Verona, in compagnia dei genitori an-ziani, il controllore chiede solo a loro se sonoin possesso del biglietto. Questo fatto reca algiovane indiano, nato in Italia e studente aVerona, dolore, tristezza e anche un senso di

frustrazione. Si chiede come mai il controllo-re abbia interpellato solo loro.La terza storia è di Sabina, diciannove anni,studentessa al quinto anno di un liceo di Ve-rona, d’origine ukraina. È stata cacciata dacasa perché innamorata di uno studente ni-geriano. I genitori la accusano di tradire la re-ligione e la cultura della loro terra d’origine.La vorrebbero sposata con un ukraino.I G2 sono per noi immigrati come i rami diun albero dove sbocciano prima i fiori, poi ifrutti. Le radici, il tronco e i rami formanol’insieme dell’albero. Non esistono gli unisenza gli altri. Così i G2 sono la visione e laprospettiva di una nuova società veronese.Coloro che ripetono continuamente “prima iveronesi e poi gli altri” dimostrano miopiaperché non sanno guardare avanti verso unasocietà multietnica, arricchita dalla diversitàdelle culture, dove tutti, indipendentementedalla provenienza o dal colore della pelle,possano godere delle opportunità offerte.I G2 sono spesso soli. Li troviamo a vagabon-dare nelle gallerie dei supermercati, a sbircia-re gli oggetti con le cuffie nelle orecchie. Pos-sono sembrare integrati, ma non è semprecosì. I G2 chiedono di essere apprezzatiquando compiono dei gesti di amicizia e diaffetto, senza essere sempre giudicati. Chie-dono che la scuola sia all’altezza dei problemilegati alla loro ricerca di identità. Chiedonodi non essere usati nelle pubblicità. Chiedo-no ampi spazi di riflessione, di approfondi-mento delle tematiche di attualità e della me-moria storica. I G2, uniti ai loro concittadiniitaliani ed europei, chiedono che i politici lasmettano di usare le loro provenienze geo-grafiche, e quelle dei loro genitori, per farepropaganda elettorale. Chiedono di non es-sere chiamati extracomunitari, clandestini,negri, islamici, albanesi, ma di essere chiama-ti per nome, perché sono cittadini con i lorodiritti e i loro doveri. I G2 sognano e deside-rano che la Repubblica Italiana rimanga unaRepubblica democratica fondata sul lavoro eche i diritti all’istruzione, alla cura, al lavoro,alla libertà di espressione, di libera circola-zione, al culto, alla pace siano inalienabili egarantiti anche a loro.

* Mediatore culturale

INTEGRAZIONE

I nostri figli portiamoli in spallaaffinché possano vedere lontano

inVERONA 25

Page 26: Verona In 24/2010

26 Marzo 2010

Storia

di Elisabetta Zampini

Il documentario sarebbe lostrumento più idoneo per rac-contare e far conoscere la storia,in particolare quella più recente.È quello che pensa Mauro Vit-torio Quattrina, autore di ormainumerose mostre e documenta-ri legati al periodo delle dueGuerre, dove emergono volti evicende inedite ma non perquesto poco significative.«Spesso libri, anche ottimi, diargomento storico – spiegaQuattrina – non riescono adavere la divulgazione che meri-terebbero. Diventano un piacereper pochi cultori. L’immagine,invece, che si basa su fonti origi-nali ma anche su ricostruzioniprecise, è potente. Banalmentesi può dire che siamo immersiin una società dell’immagine.Ma ci sono altre implicazioni.L’immagine arriva a tutti. Coin-volge. Rende partecipi emotiva-mente i fruitori. Ne è prova lagrandissima affluenza di pub-blico alle presentazioni dellemie opere». Nel caso di un do-cumentario è delicato l’equili-brio tra la necessità di creare uncanovaccio, una trama, una fic-tion che però rimanga fedele al-la verità storica, non solo nelcomplesso ma anche nelle sfu-mature: «Per fare questo – pro-segue Quattrina – ci vuole unascrupolosa conoscenza della

storia. Non solo dei fatti acca-duti ma anche dell’ambiente,dei contesti, dei particolari dellavita quotidiana, degli oggetti.Non mi è piaciuta la recente edi-zione televisiva della vicenda diAnna Frank. Ho riscontratomolte incongruenze storichenella ricostruzione degli am-bienti e dei personaggi. Non èpignoleria. Ma fedeltà alla sto-ria. Altrimenti ci si sbilanciasulla fiction intesa come super-ficiale via per commuovere». Lestorie di Quattrina sono abitateda persone vere, testimoni ocontrofigure estremamente cu-rate di chi fu testimone. È il ca-so di Ferdinando Vallecchi, pro-tagonista dell’ultimo lavoro delregista intitolato “Deportato I57633”. Giocatore del VeronaHellas, Vallecchi viene chiama-to poi nel Milan. A Milano èimprigionato per motivi politi-ci e quindi deportato nel campodi Mauthausen. Si salva perchésa giocare bene a calcio: le SShanno bisogno di lui per com-pletare la squadra e “rilassarsi”con qualche partita. Il pregiodel documentario è quello di le-gare la storia del singolo a quel-la di tutti, la microstoria allamacrostoria con il vantaggio diumanizzarla e renderla quindipiù riconoscibile empatica-mente. È la cifra artistica ed eti-ca presente in tutto il percorsodi Quattrina: «Attraverso Val-

lecchi parlo del dramma diMauthausen, evitando la retori-ca. E forse riesco a restituire conpiù credibilità quel dramma.Per questo, in occasione del 65°anniversario dello sbarco inNormandia, nel 2009, ho rac-contato vicende inedite di moltiitaliani che vi parteciparono,tra cui Walter Chiari. Poi ho da-to vita alle lettere dei soldati ita-liani nella Grande guerra. Perarrivare al documentario suiprigionieri di guerra alleati neicampi di lavoro nel Veronese trail 1942 e il 1945: emerge unmondo sommerso ma degno diessere conosciuto come quellodei tanti veronesi che, rischian-do la vita, hanno nascosto i “ne-mici” in casa o li hanno aiutati afuggire. Per questi atti di eroi-smo, prima dimenticati, le piùalte autorità dello Stato hannovalutato l’opportunità di dareun riconoscimento alla Provin-cia di Verona».Tante fonti inedite, perciò, checontribuiscono a ritarare lagrande storia. Arrivano, se cosìsi può dire, come una benedi-zione. Restituiscono emozioni,sofferenze, percorsi umani chedanno uno strattone alla storiadi forma, imbellettata e cristal-lizzata nei libri, spesso non ag-giornati. Si parla di uomini e didonne, di vita. Non di fatti “og-gettivi”. «La cosa per me piùstraordinaria – prosegue Quat-

trina – è che arrivo a conoscen-za di queste vicende quasi percaso. Sono appassionato dasempre di storia, specialmentequella del periodo bellico; horaccolto immagini, lettere, og-getti in tutto il mondo. Ma adun certo punto sono le stessepersone che mi vengono a cer-care per regalarmi materiale oracconti. I testimoni hanno vo-glia di parlare, di farsi ascoltare.Molti di loro, anzi, si sentonotraditi dalla società, dal potere edall’uso fatto delle loro memo-rie. Si sentono testimoni “a sca-denza” per le cerimonie com-memorative di rito. Il resto del-l’anno, la memoria del passatorecente è maltrattata. In centroa Verona stanno sparendo legrandi lettere “R” che indicava-no sugli edifici i rifugi antiaerei.Nessuno le ritiene un dato sto-rico. Così pure i rifugi dei ba-stioni di San Zeno. Sono intatti.Con poco si potrebbero ristrut-turare. Dimenticati. Eppure làdentro gente ci ha sofferto, ci haabitato, ci sono nati dei bambi-ni…». Si dimentica, si cancella,per ignoranza, secondo Quattri-na, e non per premeditazione:«Conosciamo poco la città. Ioho un sogno: realizzare un mu-seo della Prima e Seconda Guer-ra all’interno dei bunker deigiardini ex zoo. Ho già presenta-to il progetto. E attendo gli svi-luppi, spero positivi».

ESPLORATORE DEL PASSATO

Nei film di Quattrinaparlano i testimoni

Il documentarista ha raccolto immagini, lettere, oggetti in tutto il mondo e haun sogno: realizzare un museo della Prima e Seconda Guerra all’interno dei

bunker dell’ex zoo. «Ho già presentato il progetto. Attendo gli sviluppi»

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Nell’immagine in altola ritirata di Russia

di Laura Muraro

«Piango...». È la medesima rispostache con inaspettata coincidenza af-fiora dalle labbra di due reduci ve-ronesi della seconda guerra mon-diale: l’uno della battaglia di ElAlamein , l’altro di quella di Niko-lajewka. Sia che l’esperienza dellaguerra sia avvenuta nel caldo torri-do del deserto egiziano o nelle geli-de pianure russe, alla domanda:«Cosa prova quando ripensa a quei

momenti?» entrambi manifestano,tra le lacrime ancora sincere, lostesso sentimento, nonostante sia-no passati quasi 70 anni.

EL ALAMEINSiamo ormai al terzo anno diguerra (il secondo per l’Italia fa-scista, dal 1940 a fianco della Ger-mania di Hitler) e l’avanzata delletruppe dell’Asse in Europa sem-bra non trovare ostacoli. L’unicanazione fiaccata, ma non sconfit-

ta, è la Gran Bretagna. Con lacampagna del Nord Africa letruppe italo-tedesche puntano adarrivare rapidamente fino a Sueze bloccare così i rifornimenti bri-tannici ai pozzi petroliferi delMedioriente, prima che gli Usa,ripresisi del tutto dall’attaccogiapponese di Pearl Harbor (di-cembre 1941), riversino tutta laloro potenza di uomini e mezzianche in occidente.La cittadina di El Alamein si trova

inVERONA 27

REDUCI

Sabbia o ghiaccioma sempre guerra era

Antonino Tomba, di Sant’Andrea di Cologna Veneta, è l’ultimo carrista rimastodella divisione corazzata Ariete, tra i pochi scampati alla seconda battaglia

di El Alamein. Giuseppe Ferro, di Brancon di Nogara, è uno dei sopravvissuti del fronte russo: era tra gli alpini che sfondarono l’assedio a Nikolajewka

EL ALAMEIN E NIKOLAJEWKADUE VERONESI AL FRONTE

Page 28: Verona In 24/2010

nel deserto in posizione strategi-ca, a circa 60 km dalla costa egi-ziana e lungo la ferrovia, nelle vi-cinanze di Alessandria d’Egitto.Dopo la prima battaglia di El Ala-mein (1-27 luglio 1942) l’avanza-ta delle forze dell’Asse, comanda-te dal generale Erwin Rommel,viene bloccata. Il generale Ber-nard Montgomery prende il co-mando dell’Ottava Armata bri-tannica.È a questo punto che si inseriscela storia personale del caporal-maggiore Antonino Tomba, l’ul-timo carrista rimasto della divi-sione corazzata Ariete, tra i pochiscampati alla seconda battaglia diEl Alamein (23 ottobre - 3 no-vembre 1942). A dispetto dellosforzo eroico, riconosciuto anchedal nemico, lo scontro è un suc-cesso britannico decretato dallastraordinaria superiorità deimezzi alleati. Questo segna ilpunto di svolta nella campagnadel Nord Africa, conclusasi nelmaggio 1943 con la resa delle for-ze dell’Asse in Tunisia: sul camporimangono 30.543 tra morti, feri-ti, prigionieri e dispersi italo tede-schi e 13.560 alleati.Il caporalmaggiore Tomba, oraun arzillo signore di 88 anni, ciaccoglie nella sua casa di Sant’An-drea di Cologna Veneta dove ini-zia il suo racconto dell’esperienzain Nord Africa. È tale la lucidità ela precisione delle sue parole chela sua è stata una testimonianzaimportante per il regista EnzoMonteleone nella realizzazionenel 2002 del film El Alamein - Lalinea del fuoco.Dopo aver frequentato, dall’in-verno del 41 al maggio 42, il corsoalle casermette di Montorio, il di-ciannovenne Tomba è tra i pochi(il 30% dei partecipanti) ad uscir-ne con il brevetto di conducentedei carri M-13: la realizzazione diun sogno. Due settimane premiodi vacanza in Lessinia e in agosto,all’inizio all’oscuro della meta fi-nale, comincia l’avventura africa-na con un lungo viaggio in trenofino in Grecia e quindi su un ae-reo tedesco. Ma in Africa non c’ètempo per ambientarsi: l’aero-porto ad El Aden, in Cirenaica, èsotto bombardamento, l’aereonon può atterrare e si deve saltareletteralmente giù, sbalzati nel belmezzo della battaglia e delle pri-

buttato sugli stessi camion usatiper i feriti.Non mancano nel racconto diTomba situazioni bizzarre, comel’apprensione durante la notteper una presenza non identifica-ta, apprensione che al mattino siscioglie alla scoperta di un cam-mello a spasso sul campo minatoe che una volta catturato diventaoccasione di banchetto per tutti; eancora le scorpacciate di leccor-nie trovate sui mezzi abbandonatidagli inglesi; o i due soldati bri-tannici che avanzano verso il car-ro di Tomba ubriachi fradici: lasbronza salva loro la vita e vengo-no indirizzati a gesti verso le re-trovie.Era partito con l’entusiasmo diun ventenne del 1922, certo dellavittoria militare e dopo la delu-sione per la sconfitta e le sofferen-ze fisiche e psicologiche dellaguerra, patisce per tre anni anchel’umiliazione di una pesante ed atratti brutale prigionia in manofrancese. Ma questa è tutta un’al-tra storia.

NIKOLAJEWKANegli stessi mesi in cui si svolgo-no le battaglie di El Alamein, aNord, lontano dal Mediterraneo,è in pieno svolgimento l’opera-zione Barbarossa. Nel 1941, dopola rottura da parte tedesca delpatto di non aggressione stipulatoalla vigilia dello scoppio dellaguerra, le truppe italo tedescheavevano attaccato e invaso l’Urssdi Stalin. Hitler, conquistata laFrancia e fiaccata l’Inghilterra,mirava a distruggere l’Unione So-vietica in un colpo e arrivare aldominio totale con la sottomis-sione dell’Est europeo.I sovietici, presi alla sprovvista,avevano nei primi mesi lasciatodilagare le truppe tedesche (sup-portate da eserciti alleati, fra cui ilCSIR italiano) che dopo le inizialivittorie cominciano a incontrarele prime sconfitte a seguito dellagraduale riorganizzazione dell’e-sercito sovietico. Nel frattempoarriva l’inverno siberiano e fra il’42 e il ’44 si assiste a un drammadi proporzioni enormi, con per-dite umane pesantissime dall’unae dall’altra parte.Tra le truppe italiane chiamate adaffiancare l’esercito tedesco c’èanche il caporale Giuseppe Ferro

28 Marzo 2010

Storiavazioni. Dopo due giorni di viag-gio in camion si arriva sulla lineadel fronte: 15 giorni di scontricon la coscienza sempre più chia-ra dell’inevitabile sconfitta. Allafine tutti i carri della divisioneAriete vengono distrutti o messifuori uso e Tomba è costretto aduna fuga rocambolesca per 1200km nel deserto su una camionet-ta, fino al villaggio Marconi, doveinizia un’altra battaglia per evita-re il completo accerchiamentodelle truppe dell’asse.Dai suoi nitidissimi ricordi diquei momenti emergono conprecisione non solo i preparativi,le mosse, gli spostamenti com-piuti dall’Ariete durante la batta-glia di El Alamein, ma anche isentimenti di orgoglio per lo spi-rito di corpo degli italiani, scon-fitti solo dalla superiorità nume-rica degli avversari e dalla poten-za eccezionale di camion, carri ecannoni statunitensi in forza agliinglesi. Allo stesso tempo riaffioraviva la cocente amarezza per lascarsità di rifornimenti aggravatadai traffici illeciti di carburante:«Nei fusti che arrivavano dall’Ita-lia – afferma – era stato rubatoparte del gasolio e aggiunta acquaal suo posto. Lo stesso Rommel sene lamentava, ventilando il so-spetto di tradimento degli italia-ni». Tomba non nasconde la suagrande ammirazione per il gene-rale tedesco «che a differenza deivertici militari italiani era semprein mezzo alla battaglia» e un certodisprezzo verso gli inglesi e il lorogenerale Montgomery.Un capitolo a parte è riservato alricordo dei compagni morti: èancora vivo in lui lo strazio pro-vato nel vedere i carri italiani col-piti e nel sentire poi nel collega-mento radio «grida di dolore,dipaura, invocazioni di aiuto allamamma, alla Madonna… e poipiù nulla».Allo stesso tempo ricorda ancheepisodi della vita quotidiana inquelle condizioni estreme: le ine-vitabili sofferenze fisiche nei car-ri, dove la temperatura di giornoarrivava anche a 70C°; le giornatepassate al riparo dal sole nella bu-ca scavata sotto il cingolato; la se-te patita; l’acqua «che sa di gaso-lio» perché trasportata nelle stes-se taniche usate per il carburante;e il pane sporco di sangue perché

Il caporalmaggiore AntoninoTomba, reduce della campagnad’Africa

Quella di AntoninoTomba è stata una

testimonianzaimportante per il regista Enzo

Monteleone nellarealizzazione nel 2002

del film El Alamein -La linea del fuoco

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di Brancon di Nogara, classe1918, che dall’alto dei suoi 92 an-ni splendidamente portati ci rac-conta la sua esperienza. Dopoaver fatto la campagna di Franciaviene inviato in Russia con la di-visione Torino: è il 18 luglio 1941e la propaganda lo rende fiducio-so in una rapida vittoria primadell’inverno. Ma è solo propagan-da.Nelle parole dell’ultimo reduce diRussia della Bassa c’è poco spazioper ricordare le strategie e le bat-taglie, ed emergono soprattutto ladisillusione e il dubbio.Con la prima neve, che li sorpren-de già in ottobre, aumentano leprivazioni, le sofferenze, gli assaltidella guerriglia russa, «che arma-va anche i bambini contro gli in-vasori». Arrivano le prime scon-fitte: siamo nella zona caucasica.A Chazepetovka, Ferro viene feri-to a una gamba «rischiai di mori-re schiacciato dai cadaveri deimiei compagni» poi sanguinanteraggiunge a piedi l’ospedale dacampo dove, senza anestetico, ilmedico gli ricuce la ferita. La si-tuazione appare disperata: man-cano antibiotici, i farmaci co-adiuvanti per sopportare il fred-do garantiscono una protezionefino a –30Cº, «ma in quelle zonesi arrivava a –40Cº». L’abbiglia-mento è inadeguato e poiché gliuomini devono spesso procederestrisciando, i tessuti non imper-meabili si ghiacciano e procuranoestese zone di assideramento sultorace; per giorni tengono addos-

so gli scarponi, salvo poi fare tal-volta macabre scoperte: «Nel-l’aiutare un commilitone a to-glierli – ci rivela – mi ritrovai frale mani le dite staccatesi dal suopiede». Passano i mesi: altre bat-taglie, altri orrori, altre sofferen-ze. È l’estate del ’42 quando i te-deschi tentano invano di prende-re la città di Stalingrado, mentrel’esercito sovietico comincia unamanovra di accerchiamento: unacatastrofe che nell’inverno coin-volge anche gli italiani e li co-stringe ad una rotta disperata in-seguiti nella neve dalle colonnecorazzate sovietiche. Ferro è traqueste migliaia di miliari in fugae allo sbando: «Avevamo abban-donato tutto comprese le armi, –racconta – senza sapere dove an-dare e con un freddo polare chenon permetteva di sostare chequalche secondo». Ma il corpodegli alpini un giorno riesce asfondare l’assedio a Nikolajewkae a creare un varco attraverso ilquale egli riesce a passare. Nasco-stosi per alcuni giorni in paese,prosegue la fuga verso Ovest in-sieme con altri sette. «Ci sposta-vamo di notte, mentre di giornorimanevamo nascosti come ani-mali braccati». Dopo alcuni gior-ni, con la forza della disperazionee l’istinto di sopravvivenza, rag-giungono la cittadina di Gorlow-ka, salgono su un convoglio ita-liano carico di viveri (destinatiinizialmente al fronte) che tornaindietro e li scarica a Udine: fi-nalmente in Italia.

Le note positive e serene del rac-conto nascono invece dal contat-to con la popolazione locale concui Ferro, che aveva imparato irudimenti della lingua russa, ri-esce a comunicare frequente-mente.Sono gli stessi comandanti a solle-citarli a cercare rifugio nelle isbe,presso le famiglie costituite ormaisolo da donne, bambini e vecchi.La raccomandazione però è quelladi agire con rispetto ma anche dimuoversi sempre in piccoli grup-pi «per evitare i rischi». Gli aggua-ti di partigiani sovietici infatti era-no sempre incombenti. Ricordacon raccapriccio di aver trovatoun giorno un commilitone ucciso,spogliato e con macabre mutila-zioni. «Le donne russe, avevanouna particolare simpatia per gliitaliani perché sapevano – aggiun-ge con un po’ di malizia – farle sor-ridere, ma soprattutto perché simostravano corretti verso i civili».Anche il ritorno a casa a Nogaraha le sue sofferenze. Lo aspettanouna giovane moglie e una bambi-na di 4 anni. È ridotto a 40 kg.Chi lo riconosce? Dopo la gioiaper il ritorno arriva l’amarezzaper una figlia che non può rico-noscere il padre partito da troppotempo: «Un intruso – secondo lapiccola di Ferro – che stava con lamamma».C’è infine la delusione per unoStato che lo richiama in guerradopo solo due settimane dal rien-tro: la destinazione è Tunisi. Mauna pleurite, scoperta prima del-l’imbarco, lo trattiene a lungo inospedale in Sicilia. Dimesso nel-l’estate del ’43, gli viene prescrittauna lunga convalescenza proprioquando gli alleati sbarcano in Si-cilia. Torna a casa: per lui la dolo-rosa esperienza della guerra nonriprenderà più.L’entusiasmo giovanile, unito allapropaganda, avevano creato inquesti, come in altri giovani deltempo, grandi aspettative e la fal-sa convinzione che la grandezzadi un popolo e di una nazionepassasse attraverso la guerra. Toc-cata con mano tale tragedia eragradualmente emersa in loro in-vece la piena consapevolezza dellasua assurdità e inutilità, lasciandospazio al contrario ad altri valoriquali l’accoglienza, la solidarietà,il rispetto dell’altro.

inVERONA 29

Storia

La battaglia di El Alamein

Il caporale Giuseppe Ferro,reduce di Russia

«Le donne russe,avevano una

particolare simpatiaper gli italiani perché

sapevano – spiegaFerro con un po’

di malizia – farlesorridere»

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di Giordano Fenzi

Erano i primi giorni del 2007 e ingiro si sentivano i soliti discorsi. «Igiovani d’oggi non hanno più nes-sun valore, non hanno ideali!».Mamme che denunciavano lamancanza di luoghi d’aggregazio-ne per i loro figli, anziani che si la-mentavano per la solita assenza divalori e gli “esperti ” che concede-vano le solite sagge interviste.L’associazione culturale Colla-mente nacque in quei giorni, dal-l’idea di un gruppo di ragazzi diSan Giovanni Lupatoto, che vole-vano contrastare quel diffusopregiudizio che fa di tutti i gio-vani una massa indistinta d’indi-vidui senza impegno e senza va-lori.Una sera si trovarono e dall’u-nione di due parole, collabora-zioni e mentali, fecero nascereCollamente. L’obiettivo dell’asso-ciazione è di svolgere attività dipromozione artistica e socialesul territorio.I ragazzi di Collamente si riuni-scono tutti i martedì sera a CasaNovarini, uno spazio voluto dal-l’ex sindaco di San Giovanni Lu-patoto Remo Taioli come centrogiovanile e ricreativo per i giova-ni del paese.Le decisioni vengono prese da uncollettivo formato da dieci per-sone dai 23 ai 30 anni. Sono ra-gazzi di differente formazioneculturale, ma accomunati dallemedesime sensibilità.

Non possedendo una sede opera-tiva stabile, l’associazione amaconsiderarsi “nomade”, in quantoè disponibile a spostarsi tra Vero-na e le province limitrofe per pro-muovere la cultura per e con lasocietà che le sta attorno.Nei suoi primi tre anni di vita, l’as-sociazione ha allestito tre mostrefotografiche (“Altro Adige” nel2007, “Luoghi urbani perduti” nel2008, “Vivere usa e getta” nel2009). Tra le attività del 2007 ha ri-scosso grande successo H2nonO,una giornata di sensibilizzazione,tenuta al Teatro dell’Angelo di Val-lese, sul concetto di acqua comebene comune da tutelare.Collamente ha evidenziato fin dasubito una forte sensibilità alleproblematiche sociali del territo-rio veronese e in omaggio a PortoSan Pancrazio, quartiere che, co-me San Giovanni Lupatoto, si af-

faccia sull’Adige, l’anno scorso haorganizzato “Scambi Portuali”.Questa brillante rassegna di treserate ha voluto sensibilizzare icittadini sul tema del Porto comeluogo di scambi e come opportu-nità per confrontarsi e conoscersi.Dallo scorso novembre, Colla-mente pubblica una newslettermensile per i suoi 700 associati eduna versione stampabile gratuitanella quale ogni membro del col-lettivo dà il proprio spunto di ri-flessione su fatti d’attualità localie globali, su problematiche socialie ambientali e su temi d’interessegenerale come i viaggi, la musicae il cinema. Per il 2010, oltre al-l’allestimento di una mostra foto-grafica itinerante che si chiamerà“OneDayDiary”, Collamente hadefinito le proprie attività attornoa due grandi temi, l’integrazionee l’ambiente.

Dal marzo 2009, con l’organizza-zione di una conferenza al parcodell’Adige di San Giovanni Lupa-toto, l’associazione ha iniziato adoccuparsi dell’inceneritore di Ca’del Bue, aderendo al “ComitatoNo all’inceneritore di Verona, Sìal riciclo”. Per la prossima estate èin programma la giornata del ri-ciclo, un’importante occasioneper riflettere sulla tutela del terri-torio e sull’eco-compatibilità del-le nostre vite.«Siamo contro Ca’ del Bue», di-chiara la presidentessa di Colla-mente, Federica Collato, «perchéquando verranno accesi i camini,i rischi ambientali e per la salutedei cittadini saranno elevatissimi,in quanto l’inceneritore produrràdiossine e nanopolveri che sare-mo costretti a respirare». Il centrodi riciclo di Vedelago costituisceun riferimento sia per l’associa-zione, sia per i membri del Comi-tato, perché è innocuo dal puntodi vista ambientale e permette unquasi totale riciclo dei materiali.«La nostra organizzazione è indi-pendente e apartitica», precisaFederica, «ed è alla costante ricer-ca di persone che possano colla-borare o vogliano entrare nel col-lettivo. Non dobbiamo pensareche tanto sono loro a decidere»,conclude la giovane presidentes-sa. «La città è dei cittadini, ed èdiritto di tutti decidere per il pro-prio futuro».

www.collamente.it

inVERONA 31

Giovani

ASSOCIAZIONI

Con il cuoree... Collamente

Integrazione ed ambiente sono i due temi attorno ai quali un gruppo di giovani,nato a San Giovanni Lupatoto nel 2007, organizza le proprie attività

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di Nicola Guerini

«Le nuvole sono forme in-dividualmente imperma-nenti, la nuvolosità è mo-bile ma costante, eppuredeve ad esse il manteni-

mento del proprio stato identificabile; è an-cora alla mutazione conservata delle loro for-me individuali asimmetriche che essa nuvo-losità si identifica nel suo mutamento diffe-renziato» Franco Donatoni (1927-2000)

Dopo la sua scomparsa nel 2000, molte so-no state le occasioni che il mondo musicaleha avuto nel ricordarlo e molti sono statigli articoli che hanno scritto, sempre conun unico scopo, quello di far capire la forzaenergetica della sua musica. Per i suoi 70anni era stato festeggiato in tutto il mondo(da Siena a Salisburgo, da Cordoba a Lon-dra, da Edimburgo a Los Angeles, da Am-sterdam a Trieste), come uno dei più grandicompositori del secolo scorso.Franco Donatoni è nato a Verona nel 1927,ha studiato con Desderi, Liviabella e Pizzet-ti e dopo aver conosciuto Maderna si è re-cato a Darmstadt per specializzarsi. Ha in-segnato in diversi Conservatori, a Torino,Milano, Bologna, Roma e alla Chigiana diSiena, formando una delle più floride scuo-le compositive, in seno alla quale si sonospecializzati intere generazioni di composi-tori. Autore di un ricco catalogo compositi-vo, ha scritto anche due enigmatici libri diriflessione sulla propria arte: Questo (1970)e Antecedente X (1980).I primi cimenti artistici del veronese riflet-tono il suo amore per la musica di Bartók,in particolare per le opere percussive delmusicista ungherese. A tale modello unì poiil radicalismo strutturale della scuola diDarmstadt e la serialità post-webernianaconnessa a tale scuola.L’originalità dell’arte di Donatoni deriva dauna posizione estetica che lo ha presto por-tato, all’indomani delle prime affermazionicome Puppenspiel I (1961), ad affermareun rapporto del tutto artigianale con la ma-teria, smitizzando completamente la figura

dell’artista “creatore”. Di fronte alla mate-ria, il musicista può solo “abbandonarsi”,automatizzando una serie di trasformazio-ni quali gli consentono la diretta conoscen-za delle pratiche compositive e la propriasensibilità. Il “comporre” diviene così unasorta di teatro fatto di gesti artigianali percosì dire interiorizzati e sublimati in una“tecnica”. Puppenspiel II (1966), Duo pourBruno (1975), In cauda (1982), Puppen-spiel III (1985): questi sono solo alcuni deilavori più conosciuti e apprezzati del com-positore, figura di riferimento tra le piùlimpide della musica italiana di fine secolo.“Sono quasi certo di poter condividere l’o-pinione secondo la quale non si può inse-gnare a comporre” scrive con lucidità Do-natoni, creando un paradosso fra l’affer-mazione “che non si può insegnare a com-porre” e il suo essere stato uno dei piùgrandi didatti che la musica contempora-nea abbia avuto, un musicista che ha moltoriflettuto sul suo operare, così prosegueDonatoni: “all’invenzione non si può acce-dere mediante una disciplina ricevuta dal-l’esterno”.Donatoni ha inserito nella sua azione com-positiva il concetto di “dolore” per meglioanalizzarsi e per meglio capire la (sua) mu-sica, infondendo alla propria arte una pro-fondità che solo la partecipazione vera e to-tale alla vita può dare. Proprio l’accettazio-ne dell’angoscia si fa garante dell’affezionedi vita: a ogni quantità di forza vitale corri-sponde un adeguato potere di essere affettida ciò che ci circonda.È quello di Donatoni un atteggiamento chericorda queste parole di Nietzsche: “non sose il dolore renda migliore /…/ ma è solo ilgrande dolore che scava nelle profonditàdel nostro essere”.Nel 1972 una forte turba depressiva fa scat-tare la crisi risolutiva in Donatoni. Nel1980, viene pubblicato Antecedente X, unvolume che chiarisce l’avvenuto percorsoverso una rinascita. La perdita della co-scienza dell’io viene ora mutata nella perdi-ta dell’io nella coscienza: “l’equivocato ab-bandono al materiale” scrive Donatoni “fupiuttosto un abbandono del materiale”. Il

ritrovamento della coscienza e del metodo(onirico e ludico) permette una nuova rive-lazione della creazione, intesa come dono.Nel suo atto creativo si inserisce il “Nume-ro”, che suggerisce e indica, che compone“gli arabeschi del destino, revoca epifanie,promette adempimenti, regola equilibri,formula presagi, intrica labirinti, celebramisteri dai quali l’io è assente / …/ il nume-ro è l’antecedente di ogni antecedente”.I giochi numerici e certi riferimenti all’al-chimia interessano l’ultima fase della pro-duzione di Donatoni, un percorso che ama-va considerare diviso in cicli di sette anni.Il gioco numerico nasce dall’intuizione chelascia percepire la qualità del numero enon la sua funzione matematica, in unasorta di aritmetica animata che intende ilnumero come entità individuale: “peresempio si può provare antipatia per l’89”dice Donatoni “e simpatia per il 93 comeinverso del 39, cioè il triplo di 13, il mionumero portafortuna”. L’ultima produzio-ne di Donatoni, da Refrain II (1991) e III(1993) a In Cauda II (1994) e III (1996), daPortal (1994) a Algo n. 3 (1995) e n. 4(1996), da Punppenspiel n. 3 a Rusch (en-trambi del ’95), dimostra come egli sia ap-prodato a un felice esercizio ludico dell’in-venzione, che dice sì all’esistenza e all’ope-ra, inoltrandosi nella parte intima e segretadel comporre, in un viaggio temerario esbalorditivo dentro il cuore dell’operare inmusica, incredibile e straordinaria testi-monianza sulle “difficoltà del comporre”,esplicitata non solo attraverso un artigia-nato artistico di altissima qualità, ma an-che attraverso le infinite avventure umanepercorse, approdando a una facilità di scrit-tura sicurissima, a una libera spontaneitàdel l inguaggio musicale e a una forteespressività, che – da sempre – comunicala profondità dell’avvenuto sposalizio fravita vissuta e musica scritta.«Chi può oggi» si chiede Pierre Boulez«unire le qualità minute dell’artigiano conl’originalità di un raffinato mondo imma-ginario?». Franco Donatoni ovviamente,che «unisce finezza sonora a un’invenzioneforte».

MUSICA

Ricordando Franco Donatoniveronese noto al mondo intero

32 Marzo 2010

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di Cinzia Inguanta

La prima cosa dalla quale si rima-ne colpiti osservando un quadrodi Umberto Simili è l’armoniacromatica frutto di un’attenta ri-cerca di equilibrio. Questa ricercanon è solo la nota dominantedelle sue opere ma anche dellasua stessa vita. Figlio d’arte nascea Castelmassa in provincia di Ro-vigo il 31 maggio 1949. La suaformazione inizia con gli studiall’Istituto d’Arte del suo paese,ma il difficile rapporto con il pa-dre, che in qualche modo ostaco-la le sue ambizioni artistiche, ilbisogno di trovare una propriastrada affrancandosi dal pesodell’ambiente familiare lo porta-no, giovanissimo, a Urbino dovesi diploma presso l’Istituto diBelle Arti in incisione e disegnoanimato.Quelli di Urbino sono anni deter-minanti per la sua formazione,ricchi di incontri personali e pro-fessionali che trovano espressionenei suoi lavori, nell’abilità per lacaricatura in cui Simili eccelle. At-tento osservatore con pochi trattil’artista restituisce l’anima, la per-sonalità dei suoi modelli.Nel corso degli anni ottiene variriconoscimenti, fra i quali il pre-mio di pittura “Cavalcaselle” nel1968 ed il premio “Bianco Nero”per tre anni consecutivi dal 1969al 1971 sempre alla mostra nazio-nale “Cavalcaselle” di Legnago.Per quaranta anni insegna dise-gno dal vero presso l’Istitutod’Arte “N. Nani” di Verona. Quiconosce e diventa amico di un al-tro grande pittore, Moreno Zop-pi, con cui condivide il gusto perla ponderazione. Il pittore deveanalizzare, misurare, riflettere

nia ed arrivare a farla diventareuna parte di sé. Ogni volta costrui-sce un rapporto diretto con il pae-saggio, con la modella. Ogni qua-dro è una storia, un percorso versola scoperta, verso la conoscenza.Ogni quadro è una sfida: come fa-re per capire? Come restituire laprofondità di quello che si ha da-vanti? Ecco perché l’artista amadipingere in solitudine, la cono-scenza è sempre un percorso per-sonale che solo in un secondo mo-mento può essere condiviso e re-stituito attraverso l’opera d’arte.Simili definisce se stesso come unuomo del Po, un uomo di acquadolce e così i suoi quadri rifletto-no i segni di quest’anima liquida,libera, ma profondamente legataai valori della sua terra.Non importa quale sia il mezzoespressivo scelto dall’artista, in-fatti, sia che usi, gli oli o i pastelli,le matite o gli acquerelli, l’acqua-forte o la creta le sue opere riesco-no sempre ad incantare e sor-prendere per la dirompente cari-ca emotiva che trasmettono.

inVERONA 33

Arte

PITTURA

Umberto Simili:l’arte che vivedi emozioniLa conoscenza è un percorso

personale che solo in un secondo momento può essere condiviso attraverso l’opera dell’artista

Per l’artista «anche la figura femminile è un paesaggio da

scoprire e ci si avvicinain punta di piedi, senzafar rumore, per entrare

in sintonia»

per restituire all’occhio la musi-calità di un paesaggio, di una fi-gura. L’istinto, l’intuizione sonomezzi da controllare attraversola funzionalità e l’armonia diogni singola pennellata.I suoi paesaggi, sono tutti rigoro-

samente en plein air, dipinti all’a-ria aperta, in solitudine, la matti-na presto per cogliere nel silenziole sottili sfumature che la luce ge-nera su ogni particolare e quindiafferrare la vera essenza delle cosefino a penetrarne il mistero.Umberto Simili vive anche la figu-ra femminile come un paesaggioda scoprire, e ci si avvicina in pun-ta di piedi, senza far rumore percomprendere, per entrare in sinto-

Umberto Simili nel suo studio in viaDuomo a Verona

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Da Pistolesi haappreso la tecnica

della tempera grassa –di rimando

cinquecentesco – cheprevede l’impasto di

pigmenti naturalimescolati al vinobianco e all’uovo,

decotti a fuoco lentoper 24 ore con l’olio di

lino. Il risultato è uncolore vivo e lucente

che non ammetteimperfezioni

di Federico Martinelli

Firenze torna a Verona: dopo lamostra di Luca Alinari, la Galleriad’arte L’Incontro di via IV No-vembre 25/F ospita dal 6 marzo al1 aprile (dal martedì alla domeni-ca, dalle 16 alle 19.30) le opere delfiorentino Giuliano Panieri por-tando in città una pittura d’altritempi, quasi magica.Non è nuova a queste scelte la salad’arte veronese, capace di cattura-re l’attenzione dei grandi appas-sionati dell’Ottocento e del Nove-cento italiano ed internazionale e icollezionisti dei pittori sia affer-mati che emergenti. Da oltre 35anni diretta da Laura Biscardo lagalleria ha ospitato innumerevoliartisti, ha proposto mostre di am-pio respiro con particolare atten-zione al gusto e alla sensibilità deisuoi frequentatori, sempre attentaa nuovi stimoli culturali. Ne è te-

stimonianza il successo di questimesi: la grande arte del Novecen-to, l’esposizione del milanese Um-berto Levi, l’internazionale LucaAlinari, la disegnatrice di modaPatrizia Pezzin, il veronese Rober-to Tommasi, artista della natura edei corsi d’acqua che riscuote mol-to successo anche in America. Eora, Giuliano Panieri con la suapersonale: curata da Laura Biscar-do e promossa con la collabora-zione dell’Associazione CulturaleQuinta Parete di Verona, la mostrarappresenta un valore aggiuntoper la città tanto che Provincia eCircoscrizione II hanno concessoil loro patrocinio. È proprio nel si-gnificato della parola artista –troppo spesso usata in manierainappropriata – che si può espri-mere la vera essenza della nobiltàstilistica e pittorica di Panieri: l’ar-tista è uomo di rara sensibilità epurezza di cuore che esplora e fariemergere universi perduti. Pa-nieri inizia il suo percorso neglianni ’70 quando frequenta l’Acca-demia di Belle Arti di Firenze perpoi avvicinarsi alla Scuola del Nu-do da cui apprende una sorpren-dente capacità nel disegno a mati-ta. Di lì a poco segue la scuola pri-vata di Nerina Simi. «Nerina erafiglia d’arte, il padre aveva studiatoalla scuola di Gerôme, a sua voltaallievo di Ingres. Aspettai due anniper poter accedere alla scuola, fre-quentata da artisti di tutto il mon-do, che volevano approfondire lecapacità nel disegno. Lavoravamo

tanto sui gessi, sulle nature mortee sulla riproduzione dello studiodove ci esercitavamo», raccontaPanieri che ha avuto altri due ma-stri d’eccezione: Silvestro Pistolesie Pietro Annigoni. Da Pistolesi haappreso la tecnica della temperagrassa – di rimando cinquecente-sco – che prevede l’impasto di pig-menti naturali mescolati al vinobianco e all’uovo, decotti a fuocolento per 24 ore con l’olio di lino.Il risultato è un colore vivo e lu-cente che non ammette imperfe-zioni: la tempera grassa difatti nonpermette all’artista di coprireeventuali errori, come invece av-viene per l’olio e l’acrilico. Da Pie-tro Annigoni, grande maestro delNovecento, Panieri ha ricevutopreziosi consigli che si riflettononella scelta garbata dei toni e deicolori, mai violenti e contrastanti.L’estrema cura dei dettagli inizialicome la preparazione del suppor-to in legno, l’applicazione del co-siddetto “cencio della nonna” uni-to alla carta di riso giapponese so-no prerogativa essenziale perun’opera che acquisisce luminosi-tà e rimanda ai classici toscani. Pa-nieri trasmette l’intimismo e lasensibilità sia nello stile che nelsoggetto: le sue nature morte, gliinterni dai morbidi colori, i libri egli strumenti musicali così abil-mente rappresentati hanno un sa-pore ottocentesco e rimandano al-l’arte di Caravaggio e di Vermeer efanno contraddistinguono un’ar-te con la A maiuscola.

34 Marzo 2010

Arte

PITTURA

I colori e i profumidell’arte di Panieri

La Galleria L’Incontro ospita le opere del fiorentino Giuliano Panieri portando in città una pittura d’altri tempi, quasi magica

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Territorio

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36 Dicembre 2003

Territorio

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biente attraverso uno strumentoormai universalmente utilizzatoquale il web».Sul sito saranno inseriti i dati rela-tivi a tutto il territorio della pro-vincia di Verona: dal Lago di Gar-da fino alla Val d’Alpone. Le infor-mazioni saranno divise per zoneomogenee. Il sito offrirà la mappa-tura di tutti i sentieri da quelli pra-ticabili a quelli storici, insieme aproposte di nuovi percorsi. Oltre aquesto saranno inserite informa-zioni sulla flora, sulla fauna e sullastoria, a partire dal pleistocene fi-no ad arrivare ai nostri giorni.Il progetto è stato avviato all’iniziodel 2009 ed in questo momento èin piena fase operativa. Il gruppodi lavoro è composto da una qua-rantina di persone che operano avari livelli, con diverso impegno etutte le svariate competenze neces-sarie per la realizzazione di unprogetto così complesso.La previsione è quella di arrivareper la fine di quest’anno ad avereuna buona mole di informazioniinserite per dare all’utente unapossibilità di utilizzo reale.«Attraverso il monitoraggio e lapubblicazione su rete dei percorsinaturalistici, l’associazione pro-muove una sorta di protezione in-diretta delle caratteristiche pecu-liari dei paesaggi che caratterizza-no il territorio – dice Spezia –.Non dobbiamo dimenticare cherivolgere attenzione ai paesaggiche abitiamo, riconoscere ed at-tribuire valore agli elementi natu-rali, storici, culturali che ne deter-minano l’identità, non può cheaccrescere il rispetto e il senso diappartenenza per i luoghi dovel’uomo vive e per la comunità».

inVERONA 37

Territorio

PATRIMONIO NATURALE

www.collineveronesi.itL’associazione di promozione culturale “Il Carpino” sta realizzando un sito

internet che fornirà informazioni sui percorsi naturalistici a Nord della città.La conoscenza dell’ambiente è un modo per tutelare la nostra identità

di Cinzia Inguanta

L’ Associazione di promozione so-ciale “Il Carpino” sta lavorando al-la realizzazione di un sito internetwww.collineveronesi.it che ha loscopo di mettere in rete il maggiornumero possibile di informazionisui diversi percorsi naturalisticidelle colline veronesi, sulle risorsenaturali, storiche, ambientali edarchitettoniche di cui è ricco ilcontesto a Nord della città. Il pro-getto ha ottenuto sia la collabora-zione che il patrocinio della Regio-ne, della Provincia e della Fonda-zione Cariverona e sta coinvolgen-do un po’ tutti i Comuni interessa-ti dai rilievi.Il sito, che è ancora in fase di co-struzione, è rivolto al turista italia-no o straniero che vuole organiz-zare una piccola vacanza, all’e-scursionista veronese che desiderascoprire nuovi sentieri e appro-fondire la conoscenza del proprio

territorio, a chiunque voglia sco-prire il patrimonio di natura e dimemoria racchiuso nei paesaggidelle colline intorno a Verona.Per saperne di più abbiamo incon-trato il responsabile del progetto,Mario Spezia, che ci spiega comel’idea sia nata prima di tutto dallacostatazione che i sentieri segnala-ti e mappati negli anni ’70-’80,grazie alla collaborazione tra Cas-sa di risparmio Cai (Club AlpinoItaliano), stanno scomparendo:un po’ per incuria, un po’ per l’in-tervento di privati che mettono re-cinzioni, cancelli e quant’altro. Insecondo luogo, «da un punto divista più generale – spiega Spezia –si sta verificando un “inselvatichi-mento” delle menti per cui sta dis-solvendosi quella cultura legata al-l’attenzione per il territorio cheera patrimonio del nostro passato.Per questi motivi si è pensato adun’iniziativa forte che rimettessein gioco la sensibilità verso l’am-

Mario Spezia: «Si sta verificando un

“inselvatichimento”delle menti, si sta

dissolvendo quellacultura legata

all’attenzione per il territorio che era patrimonio

del nostro passato»

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di Aldo Ridolfi

«Va a tóre ‘na bótilia de aqua!».E allora il bambino – quello che,grossomodo, corrisponde alla me-moria dello scrivente – talvolta dicorsa, talaltra di malavoglia, si av-viava verso el canaleto, sorgenteche da tempo immemore disseta-va gli abitanti della contrada Bia-setti. Circondata da una fama leg-gendaria che esaltava la purezzadelle acque (il mitico dottor Bru-no ne aveva curato le analisi e ga-rantiva non solo sulla loro potabi-lità ma anche sulle loro particola-rissime virtù terapeutiche), la sor-gente del canaleto scaturiva centometri a valle della contrada e si

può dire fosse perenne, perché po-co o tanto la butava sempre.Una volta percorso il breve viot-tolo sassoso il bambino prendevauna o due foglie di nocciolo (masolo se quelle usate nei giorni pre-cedenti erano inutilizzabili, chéanche le foglie di nocciolo veniva-no, fin da quella giovane età, rico-nosciute come esauribili), le col-locava nel piccolo fossetto natu-rale per favorire lo scorrimentodell’acqua e attendeva con pa-zienza che la bottiglia si riempis-se. Vi erano periodi d’arsura lun-ghi e intensi nei quali dalla sor-gente usciva un filo sottilissimod’acqua. In quel caso si provvede-va a collocare stabilmente un re-

cipiente che servisse da “serba-toio” e quindi permettesse di at-tingere con facilità l’acqua neces-saria.Altri cento metri più a valle, lun-go la carrareccia che portava inpaese, vi era un’altra sorgente,qualitativamente declassata ri-spetto al canaleto. Dal fornelo, ter-mine con il quale si designava lavaschetta di raccolta (metri 1per0,60 per un’altezza di 30 centime-tri circa), una breve condottaportava l’acqua dell’abbondantescaturigine a due arbi costruitidopo l’ultima guerra in sassi e ce-mento (le lastre che caratterizza-no le fontane della Lessinia eranouna sofisticheria che in questi sitinon ci si poteva permettere). Da-gli arbi si attingeva tutta l’acquanecessaria agli usi non stretta-mente commestibili, si portavanodue volte al giorno a bearare le be-stie, si lavavano e si risciacquava-

no i panni, si portavano brenti evedòti a inbusarse.Quella contrada, la mia contrada,disponeva di una terza sorgente(ma con un po’ di buona volontàse ne potrebbero rintracciare del-le altre, pur modestissime), amonte questa volta, attorno allaquale era stato ricavato un ampioorto e costruiti due arbi con lafunzione di deposito, essenzialeperché si trattava di una sorgentedolsa cioè soggetta ai capricci del-la siccità e pertanto d’estate la sesugava. Quando i bambini mette-vano le mani tra i sassi della sor-gente par edre da in do la ven, in-terveniva immediatamente l’au-torità dell’adulto sentenziandoche le vene (sorgenti) no se le tocase nò le se perde e lasciando così,assieme a qualche dubbio, pochesperanze di poterci giocare.Straordinaria affermazione, pe-raltro, quest’ultima, rivisitataadesso, dopo cinquant’anni!Conteneva, in una decina di pa-role, un rispetto profondissimoper la natura, un briciolo di spiri-to pratico, un atavico, religioso eforse anche superstizioso rispettoper un bene essenziale. Metteva adiretto contatto con l’acqua pri-meva, quella delle origini, l’unicavera e autentica acqua. Chi voles-se saperne di più attorno a questiaspetti legga Storia dell’acqua.Mondi materiali e universi simbo-lici testo curato da Vito Teti e pe-netrerà il misterioso universo del-l’acqua (peste colga chi osa dis-

38 Marzo 2010

Territorio

L’ORO BLU DELLA LESSINIA

Delle antiche acquee parsimonia delle gentiPreziosa in passato, tanto quanto lo è oggi, con le sue sorgenti riempiva fontane e ruscelli di paesi e contrade. Nell’acqua si nasconde un patrimonio di ricordi

e di tradizioni: emozioni d’altri tempi...

Quando i bambinimettevano le mani

tra i sassi della sorgente“par edre da in do

la ven”, intervenivaimmediatamente

l’autorità dell’adultosentenziando che “le vene (sorgenti) no se le toca se nò

le se perde”

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perdercelo!) e scoprirà la sua pe-renne dimensione antropologica.E che dire della parziale motoriz-zazione della collina negli anniSessanta quando, arrivato il pic-colo trattore cingolato, si è benpensato di andarla a prendere conuna botte, l’acqua, risparmiandotempo e fatica e giubilando per-ché una schiavitù era pur statasconfitta? Ebbene quella bottenon durava più di due giorni:non c’è dubbio, l’abbondanza in-duceva al consumo (che comun-que non era mai spreco).Altre emozioni; e altri tempi an-che. Dai quali mi piace pigliare apiene mani questi favolosi ricordisemplicemente perché sono belli,e lo sono tanto più quanto non siprefiggono intenti moraleggianti.Nelle contrade attorno succedevala stessa cosa. Ai “Batai”, contradameravigliosamente orientata aSud-Ovest giusto a pigliare tuttoil sole che Dio comanda, si scen-deva nel vajo ad attingere l’acquada una sorgente favolosamenteabbondante che nella mia puerilefantasia associavo ad una sorta diricchezza, non aurea però, a unatranquillità esistenziale assente làdove l’acqua non era così abbon-dante. E la si prendeva con i sec-chi di rame, l’acqua, stando beneattenti, risalendo la china, a smor-sar l’onda che si formava a causadel dondolio dei secchi appesi alladerla. Infatti un dondolio eccessi-vo faceva tracimare l’acqua ren-dendo meno vantaggioso il viag-gio. A evitare tale rischio si prov-

vedeva collocando, nella parte su-periore del secchio, delle frascheche avevano appunto lo scopo desmorsar l’onda. Ed era virtù di ra-gazza saper portare l’acqua senzaspanderla. E attorno a questa ba-nalissima (oggi) esperienza pren-devano vita – a dimostrazione dicome le basi materiali contribui-scono a formare il pensiero, il lin-guaggio, l’ironia – modi di dire,proverbi e indovinelli: i va sigan-do e i torna lagrimando, sa ei? Isecchi, naturalmente.Più organizzati erano, ovviamen-te, in paese, dove gli acquedottierano arrivati da tempo, ma lemassaie hanno insistito avantinegli anni Cinquanta a usare i la-vatoi pubblici, soprattutto per ilbucato e il risciacquo, anche conil freddo. C’è in giro, da noi, gentenon ancora sessantenne che ri-corda, con un misto di paura e diallegria, i diaoleti ale man causatidall’immersione prolungata nel-l’acqua al limite del ghiaccio. Nelpaese di Tregnago ve n’eranoquattro di questi lavatoi: quellodella Pieve, a Nord, l’altro dellaRì, in centro, un terzo a Sud, laVasca e l’ultimo in periferia, quel-lo di Marcemigo. Attorno ad essiun universo culturale che andavadalle tecniche per garantire lamanutenzione delle condotte allafunzione sociale, essendo la fon-

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Territorio

L’acqua benedetta,non mancava in nessuna

abitazione e le piccoleacquasantiere fissate

nel muro accanto al lettovenivano regolarmenteriempite per consentire

il segno della croce al mattino e alla sera

tana intesa come momento di ag-gregazione, di ritrovo tra massaie,ma anche luogo ove si potevanotessere, sotto lo sguardo vigile dimamme e di nonne e di zie maga-ri nubili, incontri tra giovanid’ambo i sessi.Negli archivi si conservano docu-menti di antichi approvvigiona-menti. Nel Campion delle stradedel territorio veronese formatol’anno 1589, meritatamente cita-tissimo, si conserva memoria ditutti i punti d’acqua della nostraterra veronese; nella canonicadella parrocchia di Cogollo unamappa del Settecento narra dellaprogettazione di un acquedottoche doveva captare le acque inluoghi “selvosi ed erti” e portarlain centro paese, “al Santo”; risa-lendo la strada che da Selva diProgno raggiunge Velo Veronese è

ancora possibile vedere tracce –oggi debolissime – delle condottedell’acqua ai mulini; Piero Piaz-zola racconta delle diatribe otto-centesche attorno al possesso del-la sorgente detta della “Casarola”a Campofontana; a Cellore d’Illa-si la fontana di Arano, sito recen-temente scoperto come stazionepreistorica, la fontana convivecon un’edicola votiva inserita inun suggestivo percorso legato allaviabilità medioevale e alla religio-ne... Vivaddio non possiamo get-tare alle ortiche simili fondantiesperienze!Senza contare che l’acqua bene-detta, tenuta in una speciale am-polla riempita nel tempo pasqua-le, non mancava in nessuna abita-zione e le piccole acquasantierefissate nel muro accanto al lettovenivano regolarmente riempiteper consentire il segno della croceal mattino e alla sera. La sacralitàdell’acqua, sotto tutti i profili, eraun dato acquisito. Anche se l’iro-nia o l’autoironia, che sono sem-pre segno, soprattutto quest’ulti-ma, di spirito raffinato e d’intelli-genza leggera e presta, era semprein agguato: la dòna l’è come l’aquasanta, la fa tanto poca come tanta.Ma questo è decisamente un altrodiscorso.

*Centro Documentazionee Ricerca Antropologica Frazer

Una botte montata sopra un’artigianale struttura, un carrello, che consentiva, per mezzo di un trattore, un approvvi-gionamento consistente e facile dell’acqua. Talune contrade delle colline veronesi sono state raggiunte dagli acque-dotti pubblici solo in anni molto recenti

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40 Marzo 2010

Territorio

di Alessandro Norsa

Il carnevale ha origini storicheantichissime che si perdononella notte dei tempi e derivanodalla fusione dei diversi riti (sa-turnalia, celebrazioni dionisia-che…) che si alternarono neivari periodi storici durante laparte dell’anno compresa trafebbraio e marzo.Questi riti, nei paesi di monta-gna, a causa del loro isolamen-to geografico, conservaronomaggiormente inalterate le lo-ro caratteristiche peculiari.Il carnevale di Cerna è una vivatestimonianza della presenzaanche in territorio veronese diqueste antichissime tradizioni.La manifestazione, estintasi nel1954, è ritornata in vita da treanni, dopo un oblio durato piùdi mezzo secolo.Nel libro dal titolo: “Il carne-vale di Cerna: un’ipotesi dicontinuità con i carnevali del-l’arco alpino” (Edizioni Mille-nium), lo scopo è quello di ri-portare alla luce, per non per-dere questa labile traccia di me-moria, le dirette testimonianzesul carnevale di chi lo ha vistorealizzare cinquant’anni fa.Il carnevale, come altri pochiriti comunitari, sono la tracciadi una cultura contadina chesta per estinguersi.Dopo l’ultima riforma agraria,avvenuta a cavallo della metàdel secolo scorso, ha iniziatouna lenta ma inarrestabile con-clusione di un capitolo impor-tante della storia dell’agricoltu-

ra: c’era stato un periodo lungomolti secoli in cui la maggio-ranza della popolazione visse elottò esclusivamente per avere

maggiori proventi dall’agricol-tura. Con il boom economicosi passò ad una nuova era, dovel’industrializzazione, e il terzia-

rio, divennero i principali so-stegni dell’economia.Nelle nostre campagne, a lungoandare, il cambiamento si è no-tato, provocando una grave cri-si di crescita che fatalmente hapenalizzato molti sani valoriche facevano parte di quelmondo, regolato da leggi nonscritte, che viene da noi indica-to come “civiltà contadina”. Im-mersi nell’era tecnologica fac-ciamo fatica a comprendere ilsignificato della trebbiatura delgrano, il momento del raccolto,il frutto delle fatiche, delle an-sie e delle speranze di un interoanno di lavoro dei contadini;non abbiamo idea dell’interaatmosfera che caratterizzavaquelle importantissime giorna-te all’interno delle comunità.Il periodo di carnevale elemen-to di congiunzione tra il ciclostagionale e quello della vitadelle persone era il naturalemomento di passaggio dall’in-verno alla primavera, che se-gnava quindi il confine tra la fi-ne del “Brutto” e l’inizio del“Bel” tempo; ma era anche conla primavera che oltre la vitavegetale nell’immaginario col-lettivo si risvegliano anche isensi ed i desideri di corteggia-mento.Una possibilità quindi di conti-nuità della vita. Il carnevale nelsuo aspetto meno presente dive-niva un rito propiziatorio dellavita vegetale, nell’aspetto piùrappresentato di corteggiamen-to e continuità della specie.Nella pubblicazione che godedelle presentazioni dell’antro-pologo di chiara fama interna-zionale Cesare Poppi, e dei socidell’Associazione di Studio eRicerca Antropologica Frazer(Aldo Ridolfi, Francesco Cor-tellazzo e Angelico Brugnoli)viene dato ampio spazio all’a-nalisi comparativa di alcunicarnevali dell’arco alpino edeuropei (dal Portogallo allaBulgaria) che possono offrirespunti di confronto con quellodi Cerna e dove è possibile in-dividuare per ogni singolo ele-mento costitutivo, i miti, i riti ele possibili origini che lo hannogenerato.

CERNA E IL CARNEVALE

Labile tracciadi un antico rito

precristianoElemento di congiunzione tra il ciclo stagionale e della vita delle persone,

era il naturale momento di passaggiodall’inverno alla primavera

Costumi dei “Belli” in una foto degli anni Quaranta. In alto: paesani di Cerna in una foto di fine Ottocento

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Territorio

Per Ferdinandol’agricoltura è un

patrimonio ditradizioni fondato

sulla famiglia, sullospirito di sacrificio

e che ha offerto lavoroa decine di

“tabacchine”

di Stefano Vicentini

C’è chi lo fa solo per semplicemestiere e chi invece vi aggiungelo zelo, lo spirito d’intrapresa euna tenace lungimiranza. Suquesto secondo stile di vita habasato la carriera professionaleFerdinando Priuli, commenda-tore di 87 anni di Oppeano cheda sessant’anni dirige un’azien-da di tabacco estesa su un lati-fondo di 120 ettari di terreno.Per lui l’agricoltura è diventata“agri-cultura” con un patrimo-nio di storia e tradizioni che ha

segnato il passo negli anni deldopoguerra. Non solo ha offertolavoro a decine di “tabacchine”del territorio intercomunale traOppeano, Isola Rizza e Rover-chiara, ma ha mostrato pure uncomplesso di relazioni socialifondato sulla famiglia, sullo spi-rito di sacrificio, sui valori delmondo contadino con l’esempiodel “buon padre di famiglia”.Ragionando oggi con Priuli, glianni d’oro della tabacchicolturanon sono paradossalmente que-sti ultimi, dove è scomparsa difatto la manodopera sostituita

OPPEANO

Un commendatorecol vezzo del tabacco

L’imprenditore Ferdinando Priuli spiega gli anni d’oro della tabacchicoltura veronese. Quando la raccolta delle foglie avveniva ancora a mano e, oltre al buon

raccolto, l’azienda guardava alla serenità dei lavoratori e delle loro famiglie

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da mastodontici mezzi da lavo-ro, veloci macchinari e modernetecniche: le maggiori soddisfa-zioni, in realtà, sono venute ne-gli anni più lontani, quando ilgiorno iniziava col raduno ditutti gli operai guidati dal “ta-bacchino”, l’arrivo al campo e lenumerose attività che si susse-guivano fino a sera. Erano sanirapporti professionali ma ancheprofondamente umani, pur nel-le fatiche quotidiane. «Fino aglianni Settanta le nostre operaie,una quarantina di donne, porta-vano a casa una paga di circa 24mila l ire al mese (otto l ire algiorno), mentre il “tabacchino”,che era il loro capo e si occupavadi tante mansioni compresa lacontabilità, arrivava anche a 40mila lire al mese: soldi guada-gnati, ma tenuti con rispetto esoddisfazione. Oltre al buonraccolto, l’azienda guardava an-che alla serenità delle donne chepercepivano uno stipendio, da-vano un contributo significativoal mantenimento della famiglia,potevano perseguire qualcheimportante obiettivo futuro».Secondo Priuli, c’era poi una vi-va rete di relazioni e collabora-zioni legate alla suddivisione dellavoro, da ripercorrere come unricco dizionario: dal vivaio dipiantine di tabacco si facevano imazzetti e il trapianto a manonel campo, con la zappatura. Se-guiva la cimatura (in dialetto, zi-mar la pianta) per troncare (sbu-tar) il fiore; poi, dopo circa unmese – nel frattempo si toglieva-no i germogli – si iniziava la rac-colta delle foglie divise in tre co-rone ossia la basilare (4-5 fo-glie), la mediana (4-5) e l’apicale(7-8). La fase successiva era lostendaggio sulle asticelle (stan-ghete) in un paio di giorni, quin-di la lavorazione nel capannoneper l’essiccazione. «Si stava inmagazzino per la cernita – pro-segue il commendator Priuli –durante l’inverno, mentre d’e-state si faceva la raccolta, a co-minciare da agosto. Dal 1950 al’70 abbiamo coltivato il tabaccoda sigaretta del tipo “Nostranodel Brenta”, essiccato ad aria, poiil Kentucky per pipe e sigari to-scani (anni ’70-’90), essiccato afuoco diretto, infine dal 1995 adoggi solo il tipo Virginia Bright

con moderni forni a metano.Ora, con l’evoluzione dei tempila manodopera si è ridotta a unaventina di stranieri, rumeni e ce-coslovacchi, perdendo parte del-la catena di montaggio».L’antica “Concessione di tabacconumero 104” di via Casotton èdiventata insomma un’aziendamoderna, diretta oggi da Priuliin società con due nipoti. E soloin fotografie ingiallite e tantanostalgia rimangono fissati i ri-cordi più belli. «Da alcuni anni ilraccolto del tabacco avviene amacchina; l’essiccazione è fattanei forni in otto giorni, poi ilprodotto è messo nei cartoni eportato in una delle poche co-operative del Veneto, per noi aCampodarsego di Padova. Il re-sto è mercato libero, dalla co-operativa ai produttori di siga-rette multinazionali». La vocedell’imprenditore agricolo sem-bra quasi raffreddarsi per unosguardo ormai disincantato sul-

la realtà. Il tabacco di oggi nonnaviga di certo in buone acque:la produzione costa e cresconole spese di manutenzione ma so-prattutto il contributo europeoper questo triennio è sceso delsessanta per cento rispetto alprecedente, causando preoccu-pazione e persino qualche chiu-sura d’attività. La nuova genera-zione ha compreso l’impossibili-tà di sviluppo, anzi intravede unforte arretramento del settorenei prossimi anni: non ci sono,insomma, giovani che ereditanoquest’attività agricola, difficiledi per sé da condurre ed oggi piùche mai osteggiata.Col commendator Priuli nonapprofondiamo oltre l’analisidella coltura odierna del tabaccocoi suoi numerosi riflessi. All’in-domani della pluricentenariaFiera di San Biagio del vicinocomune di Bovolone, dedicatacome sempre all’agricoltura e inparticolare al tabacco, l’anzianoimprenditore di Oppeano ha ca-pito l’ennesimo grido di doloredel prodotto: ma ad altri, se lovorranno, spetterà il compito ditrovare la medicina.Ai numerosi agricoltori basso-veronesi attivi dal dopoguerrava riconosciuto il merito di averelevato un territorio ad ottimilivelli di progresso, non solo fa-cendo crescere l’economia maanche la convinzione nelle per-sone riguardo ai propri mezzi,come dimostra lo sviluppo divarie realtà cittadine e della so-cietà nel suo complesso.

42 Marzo 2010

Territorio

L’antica “Concessione di tabacco numero

104” di via Casotton è diventata un’aziendamoderna, diretta oggi

da Priuli in società con due nipoti. E soloin fotografie ingiallite

e tanta nostalgiarimangono fissati i ricordi più belli

La nuova generazione hacompreso l’impossibilità

di sviluppo, anziintravede un forte

arretramento del settorenei prossimi anni: non

ci sono giovani cheereditano quest’attivitàagricola, difficile di persé da condurre ed oggipiù che mai osteggiata

Ferdinando Priuli

Piantine di tabacco

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VERONA IN: PERCHÉ FARE L’ABBONAMENTO15 euro l’anno per crescere insieme

IL PROGETTO EDITORIALEVerona In è un trimestrale di attualità e cultura edito dallo Studio Editoriale Giorgio Mon-tolli, dove si impaginano libri e giornali. La redazione è costituita da volontari che hannocome obiettivo quello di produrre una comunicazione libera e responsabile attorno a temiritenuti sensibili:

– L’attenzione alla salute, all’educazione, al lavoro e all’ambiente– La valorizzazione di una politica responsabile al servizio dei cittadini – La diffusione dei valori che ispirano l’associazionismo e il volontariato– La promozione culturale attraverso un linguaggio semplice e accessibile a tutti– L’attenzione alle nuove culture in un’ottica di integrazione– Il sostegno al dialogo e al confronto per una convivenza civile e pacifica– La riscoperta dei valori della tradizione

Verona In è distribuito gratuitamente in determinate occasioni, ma per sostenere il progettoè stata introdotta la formula dell’abbonamento (15 euro/anno). Gli abbonamenti sono im-portantissimi perché permettono all’editore di essere libero da certi condizionamenti. I con-tributi degli abbonati e la pubblicità consentono di pagare le spese di base (impaginazionee stampa) e di impiegare quanto eventualmente rimane per far crescere il giornale.

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Alcune iniziative in corso• Tour per conoscere la storia, le opere e i monumenti di Verona• Visita ad alcune mostre cittadine • Corso di giornalismo per studenti delle scuole medie superiori• Campagna di impegno civico contro la dipendenza da gioco• Gite in montagna e in bicicletta

Su Facebook, nella pagina di Giorgio Montolli, scrivi al direttore e sei informato delle iniziative inVERONA

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NEWS DAL MONDO DEGLI EDITORI

44 Marzo 2010

Giornale di attualità e cultura

DirettoreGiorgio Montolli

RedazioneCinzia Inguanta

Elisabetta Zampini

Lungadige Re Teodorico, 10 37129 -Verona. Tel. 045.592695

Stampa Croma Srl

Registrazione al Tribunale di Veronan° 1557 del 29 settembre 2003

Iscrizione ROC 18748N° 24/marzo 2010

Copia venduta in abbonamentoal prezzo di 15 euro l’anno

www.verona-in.it

STUDIOeDITORIALEGiorgio Montol l i

bologie racchiuse nella Ruota del-la fortuna, nel funerale della vol-pe e nella cena con gli scorpioni.Non manca una vetrinetta dedi-cata ai personaggi celebri, primifra tutti Teodorico e re Pipino,mentre la Piéra del Gnoco e il bu-sto di Tommaso da Vico ci ripor-tano alle origini del carnevale ve-ronese. Il titolo della raccolta, in-fine, si rifà al volto ilare del patro-no, atteggiamento che ha finitoper diventare il simbolo del carat-tere pacioso dei sanzenati stessi,come recita il detto San Zen cheride e paparèle calde (San Zenoche ride e tagliatelle calde). Dabuon sanzenate l’autore spiegache se la prima parte del blasonecelebra l’artefice della positiva in-fluenza, la seconda rimanda aepoche economicamente menofloride delle nostre, quando pran-zare con un piatto di paparèle enbrodo costituiva un piccolo lussodi cui andar fieri, tanto che neigiorni festivi non era raro vederequalche popolano passeggiareavanti e indietro per la Piàssa esi-bendo con malcelata nonchalanceun avanzo di paparèla “casual-mente” cadutogli sopra la scarpatirata a lucido.

consuetudine. Accanto alla prota-gonista, un padre colto nei silen-zi. Sullo sfondo gli anni del dopo-guerra, che conservano ancora ilricordo delle tragedie appena tra-scorse. Un libro con uno stile ori-ginale ed elegante che, l’autriceveronese, Laura Bonaventura, hapervaso d’illuminanti influssileopardiani.

Perosini EditoreGiovanni RapelliLa lingua veneta e i suoi dialettiEuro 13,00

Agevole saggio sullalingua veneta, ancoraoggi molto diffusa,del linguista veroneseGiovanni Rapelli.Conoscerla è impor-

tante, non tanto per sollecitareanacronistiche appartenenze etni-co-linguistiche, ma come patri-monio culturale di una societàprotagonista di cambiamenti. Unlibro da leggere per conoscere noistessi e la nostra lingua madre. Ilvolume esce nella collana “Una re-te di peste” che opera per la raccol-ta e la conservazione di testimo-nianze linguistiche e del patrimo-nio culturale immateriale ricono-sciuto e tutelato dall’Unesco.

Grafiche BustiGiuseppe RamaSan Zen che ride

“Il luogo in cui siabita segna la nostrainteriorità e lasciaechi che difficilmen-te si cancellano”, scri-ve l’abate don Rino

Breoni in presentazione a SanZen che ride di Giuseppe Rama ilquale, mescolando piacevolmentestoria e leggenda, ha dato forma auna serie di paginette dove trova-no posto amenità, luoghi e aspetticaratteristici concernenti la cele-bre basilica e il santo patrono dacui essa prende il titolo. Il lettore,così, avrà modo di conoscere lastoria dei miracoli compiuti dal“vescovo moro” e delle sue leg-gendarie sfide contro il demonioe, pure, vedrà interpretate le sim-

inVERONA

Nel Quattrocentoinizia la diffusione,anche in Veneto, deiMonti di pietà, istitu-zioni bancarie di ori-gine francescana dal-

la forte caratterizzazione sociale.Nel 1490 a Verona nasce un bancodi pegno “cristiano”, la cui vicen-da raggiunge la piena maturitànel corso del XVII secolo. Carme-lo Ferlito evidenzia la strutturaorganizzativa e l’andamento eco-nomico-finanziario dell’istituzio-ne creditizia nella vita economi-co-sociale della città e poi la rap-porta al sistema dei banchi diffusinella Repubblica veneta.

Editrice Missionaria ItalianaGiulio BattistellaPastorale e nuovi stili di vita. So-brietà e crisi economicaEuro 9,00

Giovanni Battista di-ceva: “Convertitevi,perché il regno deicieli è vicino”. “Vici-no” significava allaportata dell’umanità.

La “buona novella” è che il proget-to di Dio può essere realizzato sullaterra. Secondo l’autore, don GiulioBattistella, grande esperto d’Ame-rica Latina, è possibile cercare lanostra realizzazione in quella deglialtri e vivere secondo i nuovi stili divita “dell’uomo nuovo fatto comeCristo”. Questo libro è nato dallavolontà di alcune diocesi di stimo-lare un dialogo d’approfondimen-to in quanti abbiano delle respon-sabilità pastorali nella Chiesa.

Perosini EditoreLaura BonaventuraLa bambina che mangiava i fioriEuro 12,00

Un viaggio nell’in-fanzia, dove i piacerie i dolori sono inten-si e assoluti perché“mancano dell’as-suefazione al bene e

al male”. Cristina, una bambinache si affaccia sul mondo, viveogni esperienza con la sensibilitàdi chi non è ancora logorato dalla

Libri EsteAntonino Leone - Mita Marra (a cura di)Frantumi da ricomporre.Riforme legislative e innovazionidi managment per migliorare laproduttività delle organizzazionipubblicheEuro 20,00

Il sistema Italia è“fuori mercato” acausa di un elefantia-co apparato pubblicoincapace di offrireservizi efficienti alle

imprese e ai cittadini. Le leggi va-rate negli ultimi due anni puntanosulla trasparenza, sulla responsabi-lità e sull’incentivazione come levedel cambiamento organizzativo.In questo testo Antonino Leone eMita Marra fanno capire comequeste riforme possano migliorareil rendimento istituzionale, le so-luzioni organizzative e le pratichemanageriali del nostro paese.

Tecniche NuoveBruno Brigo, Francesco PassarellaGiovani si diventa. Lo stile di vi-ta per il benessere centenarioEuro 24,90

Chimera inseguita dasempre nella storiadell’uomo, l’elisir dilunga vita sembra allaportata di tutti. Il li-bro ci conduce in un

viaggio all’interno di sé stessi cheha per meta una vita più lunga efelice. Ricco di semplici consigliper migliorare l’umore e la propriaforma fisica, il libro ci offre subitola possibilità di una breve autodia-gnosi. Gli autori, un medico e unfotografo veronesi, hanno confe-zionato questa “ricetta” per l’elisirdi lunga vita che si legge facilmen-te e ci offre una via divertente ver-so un’esistenza felice.

Istituto Veneto di Scienze Lettereed ArtiCarmelo FerlitoIl monte di pietà di Verona e ilcontesto economico-sociale del-la città nel secondo SettecentoEuro 30,00

di Giordano Fenzi

Libri

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inVERONA

Acque Veronesi non è solo una società cooperativa a totaleproprietà pubblica che si occupa di gestire il servizio idrico in-tegrato in buona parte della provincia veronese. Acque Verone-si, infatti, non si limita (si fa per dire) a far funzionare reti ac-quedottistiche e fognarie ed impianti di depurazione. Per quan-to questo significhi operare in 70 Comuni estesi su un territo-rio di più di 2.200 chilometri quadrati, servire 270.000 utenze,pari a 720.000 cittadini, gestire 4.200 chilometri di acquedot-to, 2.100 chilometri di fognatura e 70 impianti di depurazione,erogando 70 milioni di metri cubi l’anno di acqua.Acque Veronesi, infatti, questo lavoro, che significa l’impegnoquotidiano di oltre 270 dipendenti, di un gruppo di dirigenti dialto profilo e di una direzione ed un consiglio di amministrazio-ne costantemente presenti e puntuali, lo sta svolgendo cer-cando di dare un’anima al proprio fare.L’acqua è un bene di fondamentale importanza, così come difondamentale importanza è l’opera volta a preservare l’am-biente da inquinamenti. Due assunti che costituiscono la basesu cui questa azienda ha costruito la propria attività, che è vol-ta da una parte a garantire l’erogazione di acqua sicura e diqualità e dall’altra a far funzionare al meglio ed estendere il piùpossibile le reti fognarie e le attività di depurazione. Un’attivitàche, d’altro canto, è forte anche di una presenza capillare sulterritorio, che garantisce sia interventi rapidi in caso di emer-genza che servizi efficienti per gli utenti.Acque Veronesi, insomma, è un’azienda che ha voluto e vuoleavere un’anima. Perché un’anima deve possedere chi opera alservizio dei cittadini. Di oggi e di domani.

Il presidenteGuido Cuzzolin

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ACQUA: UN BENEPIÙ PREZIOSO DELL’ORO

Per Acque Veronesi, la società consortile che gestisce il servizio idrico integrato in 70 Comuni del Veronese, ci sono due soli imperativi: preservare

le risorse idriche e l’ambiente e garantire un servizio sempre migliore. Solo così può infatti essere realmente al servizio della collettività

«L’acqua è un bene di fondamentale

importanza, così comedi fondamentale

importanza è l’operavolta a preservare

l’ambiente dainquinamenti.

Due assunti checostituiscono la base su cui questa azienda

ha costruito la propria attività»

Guido Cuzzolin, Presidente “Acque Veronesi”

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Marzo 2010

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ACQUE VERONESI E GLI UTENTI

La presenza di Acque Veronesi è rappresenta-ta anche, se non soprattutto, dagli sportelliper gli utenti. Sportelli che, essendo dislocatinell’intero territorio in cui opera la società,consentono ad Acque Veronesi di essere dav-vero una realtà vicina ai cittadini. Per l’azien-da, infatti, questa presenza non è dovuta adun mero adempimento alla normativa ma al-l’applicazione di quella che è una vera e pro-pria filosofia. Un modo di agire che viene at-tuato attraverso nove sportelli, che consento-no di garantire l’esistenza per gli utenti di unrapporto, non solo professionale ma ancheumano, con operatori qualificati. I quali, es-sendo vicini al territorio, costituiscono un pun-to di riferimento per ogni esigenza.Nelle sedi dislocate nei vari distretti si posso-no espletare tutte le tipologie di pratiche. Dal-la richiesta di fornitura e la stipula del contrat-to alla disdetta, cessazione o subentro delladomanda di allacciamento all’acquedotto o al-la fognatura, alla domanda di autorizzazioneallo scarico, al semplice chiarimento in meritoalle bollette sino all’eventuale comunicazionedei consumi o di composizione del nucleo fa-miliare. Il personale è inoltre a completa dis-posizione per qualsiasi altro tipo di supporto ri-

sulti essere necessario al fine di realizzare unareale semplificazione delle procedure e di pro-porre una sempre maggiore, e trasparente, in-formazione per quanto riguarda la complessagestione del servizio idrico integrato. Tutto questo è possibile grazie anche alle si-nergie esistenti con i vari Enti interessati. Loscopo finale è quindi quello di offrire un servi-zio che, oltre ad essere completo e preciso,in condizioni normali viene espletato in tempiparticolarmente contenuti.Ogni sede di sportello è quindi punto di riferi-mento per le zone limitrofe, anche se una ca-ratteristica peculiare della rete è che i clientipossono recarsi negli uffici di una qualsiasi se-de territoriale e accedere ai servizi riguardantil’intero territorio di competenza di Acque Vero-nesi nel modo più completo e diretto.Acque Veronesi ha nove uffici aperti al pub-blico, che sono a disposizione degli utenti re-sidenti in un territorio comprendente vari Co-muni, posti mediamente in un raggio di diecichilometri dalla sede. Sono disponibili inoltrecinque sportelli di cortesia, frutto di accordicon le amministrazioni. Sono attivi in spazi econ personale messi a disposizione dagli entilocali e si occupano solo di alcune praticheamministrative, con competenze limitate alterritorio municipale.

“ACQUE VERONESI” UN’AZIENDA VICINA AI CITTADINI

Nove sportelli a disposizione di utenti che mediamente devono percorrere al massimo una decina di chilometri per espletare le pratiche relative

ai servizi di acquedotto, fognatura e depurazione

ACQUE VERONESI SUL WEB

Acque Veronesi cresce ancora sul web.Da adesso è infatti possibile vederenel la home page del sito internetwww.acqueveronesi.it “Avventura nelciclo dell’acqua”. Un’apposita areamultimediale contenente un car toneanimato ed un fumetto di nuova gene-razione. Protagonista dell’avventura èMarco, un ragazzino che all'inizio consi-dera inutile e noiosa ogni forma di at-tenzione verso le risorse idriche mache grazie ad un viaggio fantastico sco-pre come funziona il ciclo dell’acquaed il ruolo di Acque Veronesi . In que-sto sogno segue il percorso che fanno

le gocce d’acqua, vede l’azione degliagenti inquinanti e scopre l’importanzadi un corretto e responsabile uso del-l’acqua attraverso decine di piccoli ge-sti quotidiani per garantirla e salvaguar-darla per le generazioni future. Il risul-tato è una consapevolezza nuova cheporta Marco a dare il giusto valore "al-l'oro blu". Proprio in questi giorni Ac-que Veronesi ha iniziato una capillareopera di distribuzione del cartoon e delfumetto per por tare le avventure diMarco tra i banchi degli alunni di centi-naia di scuole della provincia di Verona.A breve, inoltre, il cartone animato an-drà in onda sulle principali emittenti te-levisive locali e regionali. La società

prosegue quindi nel suo percorso cheha nella comunicazione e nell'informa-zione un importante mezzo per dar vo-ce a tutto ciò che l’azienda, in terminedi servizi, eroga quotidianamente a cir-ca 800 mila abitanti. Un sito internet,quello di Acque Veronesi, graficamenteaccattivante e sempre aggiornato, cheoltre a news, notizie dal panorama re-gionale in tema di ambiente, comunica-ti stampa, una rassegna stampa concentinaia di articoli dalla stampa localee nazionale, si arricchisce adesso diuna tv-web on demand dove vedere de-cine di rotocalchi televisivi e, tramiteun semplice click, immergersi nell’”Avventura nel ciclo dell’acqua”.

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