Vi racconto il Pantheon
BY DIDATTICARTE · 16 FEBBRAIO 2014
Molti lettori del blog mi hanno raccontato di aver sbagliato la risposta alla domanda
sulla copertura del Pantheon, il famoso edificio romano, partecipando al test “Quanto ne
sapete di storia dell’arte? Un test per scoprirlo”.
Le possibilità che davo riguardo il materiale della volta erano: cemento
armato (impossibile perché questo appare a metà dell’Ottocento), opus
incertum (risposta sbagliata perché, pur essendo una tecnica romana, era utilizzato per
muri “a sacco” cioè con due strati di pietre irregolari e una colata di cemento al
centro), mattoni a spina di pesce (questo era un trabocchetto per i miei alunni in quanto
abbiamo studiato da poco lacupola di Santa Maria del Fiore di Brunelleschi che è
realizzata con questa tecnica) e, infine, calcestruzzo (e questa, sebbene sia stata
contestata, era la risposta corretta).
Da questo episodio mi è venuto il desiderio di dedicare un intero post a
questo monumento eccezionale, una delle architetture italiane più significative dal punto
di vista strutturale, artistico e simbolico.
Ma andiamo con ordine, seguendo le indicazioni che ho dato per la lettura di un’opera
d’arte e iniziamo dalla descrizione del monumento. Il Pantheon che conosciamo tutti
venne creato in epoca imperiale (118-128 d-C.) quando, sotto Adriano, fu ricostruito un
precedente tempio, ugualmentededicato a tutti gli dei (dal greco pan, tutto, e theòs,
divinità), voluto da Agrippa (63-12 a.C.) ma distrutto da un incendio.
La grandezza di questo monumento è data soprattutto dallo spazio interno, un unico
vano a pianta circolare coperto da un’immensa cupola emisferica di dimensioni
impressionanti, talmente avvolgente da dare l’impressione di essere sospesi al centro di
una grande sfera cava. E in effetti le proporzioni sono proprio quelle di una
sfera:il diametro dell’aula(43,44 m) è esattamente pari alla sua altezza.
La facciata anteriore ha l’aspetto di un tempio ottastilo; il pronao, composto da tre file
di colonne corinzie monolitiche lisce in granito egizio, è unito alla rotonda retrostante da
un elemento intermedio a forma di parallelepipedo.
Il corpo cilindrico (detto anche tamburo) ha uno spessore di circa 6 metri ed è
profondamente scavato all’interno da nicchie alternativamente quadrangolari o
semicircolari intervallate da edicole. Al di sopra di esse corre una trabeazione
anulare che sporge solo in corrispondenza delle colonne che affiancano l’abside.
Sul tamburo si innesta la grande cupola emisferica (la più grande cupola del mondo fino
alla costruzione di quella brunelleschiana nel XV secolo) la cui solidità è garantita
dal massiccio rinfianco, cioè l’appesantimento della parte più esterna della cupola in
modo da “verticalizzare” le spinte orizzontali che potrebbero far collassare il tamburo. Il
profilo esterno della cupola appare, così, ribassato, cioè meno di mezza sfera.
La cupola è realizzata in calcestruzzo, (un impasto di calce, pozzolana, acqua e pietrisco)
nella cui composizione, via via che ci si avvicina alla sommità, sono presenti materiali
sempre più leggeri (dal travertino iniziale fino alla leggerissima pomice nella parte più
alta). Un oculo zenitale, del diametro di quasi 9 metri, costituisce l’unica fonte di luce per
il grande vano circolare.
All’interno della cupola sono presenti cinque anelli concentrici di 28
cassettoni quadrangolari ciascuno i quali, da un lato alleggeriscono la struttura (sono
infatti degli incavi nello spessore della cupola stessa), e dall’altro la rendono più resistente
attraverso la griglia di nervature che vanno formare.
L’edificio venne consacrato alla Vergine (Santa Maria ad Màrtyres) nel 609. Fu questo il
motivo per cui, unico fra le antiche costruzioni templari, ci è pervenuto pressoché integro
non avendo subito le devastazioni a cui furono sottoposti tutti gli altri templi pagani dopo
l’anno 391, quando l’imperatore Teodosio (347-395) ne decretò la definitiva chiusura. La
copertura in tegole di bronzo dorato e le decorazioni a rosette dei cassettoni furono
asportate nel corso dei secoli e sono irrimediabilmente perdute. Ma il ricco pavimento e
gran parte del rivestimento parietale interno in pregiati marmi policromi
sono,ancora,quelli,originali.
Vediamo adesso alcuni aspetti legati all’iconologia, cioè ai significati dell’opera. Il primo
elemento simbolico, di cui ho già parlato, è la forma dello spazio interno e la sua
riconducibilità alla sfera. Si tratta di un’allusione all’eccellenza in quanto la filosofia greca
considerava la sfera il solido geometrico perfetto, simbolo della volta celeste e del creato.
Per ritrovare in architettura un riferimento così esplicito alla sferadovremo attendere
fino alla fine del XVIII secolo quando, in pieno Illuminismo, Étienne - Louis Boullée
progettò l’utopistico “Cenotafio di Newton”, un’immensa sfera dal diametro di ben 150 m
tale da ricreare l’immensità dell’universo come omaggio al celebre scienziato.
Il visitatore, entrando nell’aula del Pantheon, è compreso fra le due direttrici
fondamentali della sua vita: quella terrestre data dall’asse orizzontale che collega
l’ingresso all’abside e quella celeste frutto dell’asse verticale, l’axis mundi, in una
dimensione in cui si incontra l’umano con il divino.
Lo stesso
imperatore Adriano disse: ”La mia intenzione è che questo santuario per tutti gli Dei
riproduca la somiglianza del globo terrestre e delle sfere dei pianeti. La cupola deve
rivelare il cielo attraverso una grande apertura al centro, mostrando alternativamente
luce ed ombra.
Questo Tempio deve essere concepito alternativamente e misteriosamente come un
spazio aperto e come uno spazio chiuso come se fosse un quadrante astrologico. Le ore
faranno il loro giro su quella volta così laboriosamente pulita da artigiani greci; il disco
della luce del giorno resterà sospeso come uno scudo d’oro; la pioggia formerà una
piscina pulita sul pavimento sotto l’oculo, le preghiere saliranno come fumo verso il vuoto
dove noi poniamo gli Dei”.
L’imperatore sembra voler sottolineare proprio l’aspetto più importante del Pantheon: il
suo rapporto con la luce. È la luce che crea lo spazio interno. Questa è la grande
scoperta dei Romani! L’architettura fino a quel momento non era molto diversa
dalla scultura: il tempo greco o lapiramide egizia erano strutture da guardare
dall’esterno, non era permesso entrarvi. Se ne godeva la perfezione geometrica, l’armonia
delle proporzioni, ma non erano vivibili come spazi architettonici.
Con i Romani arriva lo spazio e con esso la luce che lo struttura. Come scrive Alberto
Campo Baeza “Architectura sine luce nulla architectura est”o, ancora, “Se mi si
domandassero dei consigli su come distruggere I’architettura, suggerirei di chiudere
l’anello del Pantheon”…
E adesso, per concludere in bellezza, lasciatevi accompagnare dentro il Pantheon
da Alberto Angela con uno dei suoi eccezionali documentari. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=-_R7RK-hKiA
Raccontiamo l’enigma del “doppio frontone” del Pantheon romano
Non tutti sanno che il Pantheon, il tempio romano dedicato a tutti gli dei dell’Olimpo, è
oggetto di un enigma che archeologi e storici dell’arte non sono riusciti ancora a spiegare.
Quanti in piazza del Pantheon, oltre che al “più grandioso, più significativo e meglio
conservato” dei monumenti romani antichi (lo diceva Armando Ravaglioli), dedicano
un’occhiata ai muri degli edifici, o alla sua sommità?
Ci sono almeno tre lapidi, che definire eloquenti è poco; e spesso, queste piccole tavole in
marmo raccontano incisa la storia di una città: solo nel Centro storico, se ne contano oltre
novecento.
In piazza, si vede poi il segno perfino d’un clamoroso errore degli architetti antichi. Il
dettaglio che rivela l’errore è proprio sopra il pronao dell’edificio dell’anno 27 avanti Cristo
(che noi vediamo ricostruito da Adriano), dietro al timpano triangolare.
Dalla piazza, con qualche fatica per quanto è in alto ed anche nascosto dal frontone (alla
cui base è la dicitura in cui se ne ricorda l’autore: Marco Vipsanio Agrippa, genero
dell’imperatore Augusto), si può anche apprezzare l’errore di un’epoca e di architetti
antichi. Il Pantheon, dietro il pronao, mostra le tracce di un altro frontone, più elevato
dell’attuale.
Il grande timpano triangolare, ora disadorno, in origine doveva essere decorato da fregi in
bronzo che furono quasi certamente asportati all’epoca delle invasioni barbariche: la
disposizione dei fori ora visibili usati per ancorare le decorazioni ha suggerito agli esperti
che il fregio stesso potesse raffigurare un’aquila ad ali spiegate che tiene nel becco una
corona di quercia, simbolo di potere.
Ma sulla facciata del Pantheon si nota un secondo frontone triangolare in laterizio
esattamente identico a quello del pronao ma più alto di quasi 3 metri: il vertice, come bene
evidenzia l’immagine sotto, sfiora la cornice superiore del tamburo.
La differenza di livello tra i due frontoni ha fatto ipotizzare che forse il progetto originale
prevedeva un pronao più alto e più imponente con un effetto prospettico più sarebbe stato
più equilibrato e gradevole con colonne molto più alte di quelle attuali. Si sono formulate
due ipotesi.
La prima: le cave egiziane di Assuan, che fornivamo il il granito non erano in grado di
fornire fusti monolitici di tali eccezionali dimensioni. La seconda più teorizza invece la
possibilità di un errore: furono spedite colonne più basse. Quindi, per l’impossibilità (o
mancando il tempo) di procurarsi quelle adatte, i costruttori risolsero il problema
semplicemente abbassando l’altezza del pronao.
“Era il progetto originario; però, non furono trovate colonne sufficientemente alte; e quindi,
la facciata del monumento fu ridotto di misura”, spiega l’archeologo Andrea Carandini. Per
questo, il tempio, che ci appare come dovrebbero averlo visto alla loro epoca i Romani, è
probabilmente il solo che vanti una tale eclatante singolarità.
“Il Pantheon forse si trova sul luogo dove i Romani credevano che Romolo fosse stato
divinizzato”, dice Paolo Carafa, docente alla Sapienza. Il mito ha due varianti: la morte in
Senato, o la sparizione in Campo Marzio, quindi dove si trova il Pantheon, durante una
tempesta. Supportano la tesi di Carafa indizi intriganti: un bassorilievo e un racconto di
Svetonio, che indicano e parlano proprio di questo tempio.
Augusto, insomma, si fa divinizzare come il fondatore; e per questo costruisce una
singolare “unità di luogo”: il tempio, con il progetto che poi deve essere variato. Nelle città
è opportuno vagare con gli occhi in alto: si scoprono parecchi dettagli. Roma ne è piena;
forse aveva proprio ragione Nibby: per un itinerario completo, serve una vita. O forse,
nemmeno: un conoscitore come Silvio Negro ha infatti intitolato, nel 1962, un libro sulla
città Roma, non basta una vita. Il Pantheon è il monumento romano che vanta il maggior
numero di primati: è il meglio conservato, ha la cupola in muratura più grande di tutta la
storia dell’architettura, è considerato l’antesignano di tutti moderni luoghi di culto, ed è
stata l’opera dell’antichità più copiata ed imitata. Michelangelo la considerava opera di
angeli e non di uomini.
Il punto in cui sorge non è casuale ma è un luogo leggendario della storia della città.
Secondo una leggenda romana, infatti, questo era il posto dove il fondatore di Roma,
Romolo, alla sua morte fu afferrato da un’aquila e portato in cielo fra gli dei. Ma a che cosa
serviva e cosa indica il suo nome?
Il nome deriva da due parole greche: pan, “tutto” e theon “divino”, in origine infatti il
Pantheon era un piccolo tempio dedicato a tutte le divinità romane. Fatto erigere tra il 27 e
il 25 a.C. dal console Agrippa, prefetto dell’imperatore Augusto, l’edificio attuale è opera di
successive e imponenti ristrutturazioni.
Domiziano nell’80 d.c, lo ricostruì dopo un incendio, trent’anni dopo colpito da un fulmine
prese nuovamente fuoco. Fu allora ricostruito nella sua forma attuale dall’imperatore
Adriano, sotto il cui regno l’impero di Roma raggiunse il culmine del suo splendore, ed è
probabile che la struttura attuale sia frutto proprio del suo genio eclettico dai gusti esotici.
Infatti, il Pantheon unisce ad una struttura cilindrica, di chiaro stampo romano, lo splendido
colonnato esterno d’ispirazione greca.
Benché la nuova struttura risultasse molto diversa da quella originale l’imperatore Adriano
volle che sulla facciata fosse apposta un’iscrizione latina che tradotta significa “Lo costruì
Marco Agrippa, figlio di Lucio, console per la terza volta”.