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ViaMare (N. 30)

Date post: 22-Mar-2016
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Numero 30 di ViaMare dedicato al mare e gli artisti.
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® Mensile di portualità, spiagge, sport, trasporti, viaggi e cultura mediterranea · speciale IL MARE E GLI ARTISTI · GRAZIA DELEDDA E IL MARE ESCLUSIVO QUASIMODO AL POETTO LE CANZONI E I FUMETTI DEL MARE FRANCESCO ALZIATOR RACCONTA LA MARINA TUTTO IL MARE DI ANDREA PARODI 1,00 €
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Page 1: ViaMare (N. 30)

B, vincendo per 2-1 la decisiva partita con la Salernitana. I tifosi fecero festa per diversi giorni, cantando in coro anche le canzoni della Fouget. Quan-do, poi, nell’estate successiva, la sou-brette tornò a Cagliari per la stagione all’Arena del Lido, fu accolta con ec-cezionale entusiasmo dai cagliaritani che la ribattezzarono amichevolmente Anna Fogatza o, con più semplicità, Fogatzedda. La Fouget volle anzitutto correre a ri-tuffarsi nel suo mare preferito e poi studiò come predisporre la scena. Si presentò alla ribalta in una pomposa scenografia rossoblu e cantò un moti-vo nuovo, pieno di ironia nei confronti di Mussolini e di tifo travolgente per il Cagliari che le altre squadre “fa fox-trottar”. Fogatzedda diventò l’incon-trastata Mascotte rossoblu e l’idolo dell’intera città. Il ricordo della Fouget si inserisce bene nella stagione balneare cagliari-tana di quest’anno che ha particolari sfumature rossoblu, considerato che anche al Poetto, tra un tuffo e l’altro, molto spesso le chiacchiere portano allo scudetto vinto dal grande Cagliari di quarant’anni fa. Un altro personaggio che ha lasciato traccia di sé a Cagliari è stata l’attri-ce Tina Di Lorenzo, di rara bellezza, tant’è che D’Annunzio la definì “una grande signora bella come il più bel raggio di sole della Sicilia”. Era già molto famosa quale primadonna della Stabile del Teatro Manzoni di Milano, quando, nel 1911, non resistette al fascino del mare cagliaritano e, forse vinta dalla giornata particolarmente afosa, tra una recita e l’altra al “Diur-no” di viale Regina Margherita, si tuffò nelle acque di Giorgino, senza curar-si affatto della rigida distinzione allo-ra vigente tra il recinto riservato alle donne e quello per gli uomini. Anzi, con una nuotata veloce e molto fluida, puntò decisamente verso quest’ultimo reparto mischiandosi in piena libertà tra gli uomini.Ne nacque un grande scandalo e in città se ne parlò per parecchio tempo. La notizia venne ripresa anche dalla stampa nazionale, buona parte della quale si schierò in difesa della brava attrice inneggiando alla donna nuota-trice dopo quella ciclista e schermitri-ce. I tempi, tanto per intenderci, erano quelli dell’avventura africana in Libia tra le note di “Tripoli, bel suol d’amo-re”: la gente aveva l’esigenza di cerca-re di sdrammatizzare ad ogni costo la

dura vita quotidiana. Perciò anche la sorprendente iniziativa balneare cagliaritana di Tina Di Lorenzo diede lo spunto per un’illusione di facile evasione da un mondo con nuvole sem-pre più cupi all’orizzonte.Qualche tempo dopo, però, per l’esattezza nella stagione bal-neare 1913, il Prefetto di Cagliari, ritenne opportuno ribadire, a scanso di equivoci, la sempre netta separazione tra uomini e donne. Precisò, nel dettaglio: “A tutela della pubblica decenza e del buon costume, in tutto lo spazio marino assegnato per i bagni ad uso dei clienti dello stabilimento, va rigorosamen-te mantenuta la separazione dei due sessi”. E proseguì: “Se poi taluni non volendo attenersi alle direttive prescritte all’in-terno dello stabilimento, e bramassero bagnarsi altrove sulla

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spiaggia, potranno pure farlo. Ma sempre tenendo conto che gli uomini dovranno recarsi sul lato destro boreale e le donne sul lato sinistro australe. Gli uni e gli altri sono autorizzati a muoversi separatamente, seguendo le distanze stabilite dagli appositi cartelli indicatori”. L’incarico di fare osservare le di-sposizioni fu affidato a is pulimas più intransigenti nel sepa-rare is ominis de una parti e is feminas de s’atra.E pensare che lo stabilimento di Giorgino, pur mantenendo rigida la distinzione tra uomini e donne, rappresentò, tutta-via, già un notevole passo in avanti rispetto a quello prece-dente di Sa Perdixedda. Qui i bagnanti non si vedevano tra di loro neppure da lontano, in quanto l’immersione in mare avveniva stando all’interno delle singole cabine. A Giorgino,

invece, per bagnarsi ci si recava in riva al mare. Finalmente, insomma, si prendeva an-che il sole.Il costume da bagno maschile consisteva in una maglia di cotone che copriva quasi l’intero corpo, dalla base del collo fino alle ginocchia. In genere si trattava di una maglia a maniche corte abbondante e mai aderente, perché giu-dicata troppo sconveniente. Le donne, inve-ce, avevano una specie di tunica di tela nera, inizialmente a maniche lunghe, con sotto dei mutandoni che arrivavano sino alle caviglie con appositi legaccini-guarnizioni. Chi osa-

®

Mensile di portualità, spiagge, sport, trasporti, viaggi e cultura mediterranea

· speciale IL MARE E GLI ARTISTI ·

GRAZIA DELEDDA

GRAZIA DELEDDA

E IL MARE

ESCLUSIVO

QUASIMODO AL POETTO

LE CANZONI E I FUMETTIDEL MARE

FRANCESCO ALZIATORRACCONTA LA MARINA

TUTTO IL MAREDI ANDREA PARODI

1,00 €

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DIRETTORE RESPONSABILEGiorgio AriuIN REDAZIONESimone Ariu, Maurizio Artizzu, Lorelyse Pinna, Antonella SolinasREDAZIONE GRAFICA E IMPAGINAZIONEGIASCRITTIFrancesco Alziator, Neria De Giovanni, Alessandra Deleuchi, Giampaolo Lallai,Michele Pio Ledda, Lorelyse Pinna, Bepi VignaFOTOFrancesco Cabras, Alessandra Deleuchi,Roberto FerranteCONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITÀGIA ComunicazioneTel. 070 728214 - [email protected]

ANNO VI, NUMERO 30

REDAZIONE E CENTRO DI PRODUZIONEvia Sardegna, 132 - 09124 Cagliari (Italy)Tel. 070 728356 - [email protected] - facebook.com/giacomunicazioneSTAMPA E ALLESTIMENTOGrafiche GhianiDISTRIBUZIONEAgenzia Fantini (Cagliari-Olbia)

Registrazione Tribunale di Cagliari n. 18/05 del 14 giugno 2005 / Marchio depositato numero CA2005C000191

Vietata la riproduzione, anche parziale, di foto, testi e solu-zioni creative presenti nella rivista.

Sped. in abbonamento postale (45%, art. 2, comma 20/b, legge 662/96)

B, vincendo per 2-1 la decisiva partita con la Salernitana. I tifosi fecero festa per diversi giorni, cantando in coro anche le canzoni della Fouget. Quan-do, poi, nell’estate successiva, la sou-brette tornò a Cagliari per la stagione all’Arena del Lido, fu accolta con ec-cezionale entusiasmo dai cagliaritani che la ribattezzarono amichevolmente Anna Fogatza o, con più semplicità, Fogatzedda. La Fouget volle anzitutto correre a ri-tuffarsi nel suo mare preferito e poi studiò come predisporre la scena. Si presentò alla ribalta in una pomposa scenografia rossoblu e cantò un moti-vo nuovo, pieno di ironia nei confronti di Mussolini e di tifo travolgente per il Cagliari che le altre squadre “fa fox-trottar”. Fogatzedda diventò l’incon-trastata Mascotte rossoblu e l’idolo dell’intera città. Il ricordo della Fouget si inserisce bene nella stagione balneare cagliari-tana di quest’anno che ha particolari sfumature rossoblu, considerato che anche al Poetto, tra un tuffo e l’altro, molto spesso le chiacchiere portano allo scudetto vinto dal grande Cagliari di quarant’anni fa. Un altro personaggio che ha lasciato traccia di sé a Cagliari è stata l’attri-ce Tina Di Lorenzo, di rara bellezza, tant’è che D’Annunzio la definì “una grande signora bella come il più bel raggio di sole della Sicilia”. Era già molto famosa quale primadonna della Stabile del Teatro Manzoni di Milano, quando, nel 1911, non resistette al fascino del mare cagliaritano e, forse vinta dalla giornata particolarmente afosa, tra una recita e l’altra al “Diur-no” di viale Regina Margherita, si tuffò nelle acque di Giorgino, senza curar-si affatto della rigida distinzione allo-ra vigente tra il recinto riservato alle donne e quello per gli uomini. Anzi, con una nuotata veloce e molto fluida, puntò decisamente verso quest’ultimo reparto mischiandosi in piena libertà tra gli uomini.Ne nacque un grande scandalo e in città se ne parlò per parecchio tempo. La notizia venne ripresa anche dalla stampa nazionale, buona parte della quale si schierò in difesa della brava attrice inneggiando alla donna nuota-trice dopo quella ciclista e schermitri-ce. I tempi, tanto per intenderci, erano quelli dell’avventura africana in Libia tra le note di “Tripoli, bel suol d’amo-re”: la gente aveva l’esigenza di cerca-re di sdrammatizzare ad ogni costo la

dura vita quotidiana. Perciò anche la sorprendente iniziativa balneare cagliaritana di Tina Di Lorenzo diede lo spunto per un’illusione di facile evasione da un mondo con nuvole sem-pre più cupi all’orizzonte.Qualche tempo dopo, però, per l’esattezza nella stagione bal-neare 1913, il Prefetto di Cagliari, ritenne opportuno ribadire, a scanso di equivoci, la sempre netta separazione tra uomini e donne. Precisò, nel dettaglio: “A tutela della pubblica decenza e del buon costume, in tutto lo spazio marino assegnato per i bagni ad uso dei clienti dello stabilimento, va rigorosamen-te mantenuta la separazione dei due sessi”. E proseguì: “Se poi taluni non volendo attenersi alle direttive prescritte all’in-terno dello stabilimento, e bramassero bagnarsi altrove sulla

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spiaggia, potranno pure farlo. Ma sempre tenendo conto che gli uomini dovranno recarsi sul lato destro boreale e le donne sul lato sinistro australe. Gli uni e gli altri sono autorizzati a muoversi separatamente, seguendo le distanze stabilite dagli appositi cartelli indicatori”. L’incarico di fare osservare le di-sposizioni fu affidato a is pulimas più intransigenti nel sepa-rare is ominis de una parti e is feminas de s’atra.E pensare che lo stabilimento di Giorgino, pur mantenendo rigida la distinzione tra uomini e donne, rappresentò, tutta-via, già un notevole passo in avanti rispetto a quello prece-dente di Sa Perdixedda. Qui i bagnanti non si vedevano tra di loro neppure da lontano, in quanto l’immersione in mare avveniva stando all’interno delle singole cabine. A Giorgino,

invece, per bagnarsi ci si recava in riva al mare. Finalmente, insomma, si prendeva an-che il sole.Il costume da bagno maschile consisteva in una maglia di cotone che copriva quasi l’intero corpo, dalla base del collo fino alle ginocchia. In genere si trattava di una maglia a maniche corte abbondante e mai aderente, perché giu-dicata troppo sconveniente. Le donne, inve-ce, avevano una specie di tunica di tela nera, inizialmente a maniche lunghe, con sotto dei mutandoni che arrivavano sino alle caviglie con appositi legaccini-guarnizioni. Chi osa-

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Mensile di portualità, spiagge, sport, trasporti, viaggi e cultura mediterranea

· speciale IL MARE E GLI ARTISTI ·

GRAZIA DELEDDA

GRAZIA DELEDDA

E IL MARE

ESCLUSIVO

QUASIMODO AL POETTO

LE CANZONI E I FUMETTIDEL MARE

FRANCESCO ALZIATORRACCONTA LA MARINA

TUTTO IL MAREDI ANDREA PARODI

1,00 €

ViaMare 03

Giornale di bordo

Giorgio Ariu,direttore di ViaMare

Attorno alla navicella nuragica Giovanni Lilliu sospinse il vento delle sue ricerche e spinse sul mare “ispantosu” le sue battaglie sull’identità dei sardi. Francesco Masala “sul cagliaritano” attraverso “il riso sardonico” aguzzò la punta della penna per battagliare su autonomismo e le “briciole dei dopo banchetti” lasciati ai sardi anche dalla monopolista Tirrenia, Poi incontrò quel viso d’angelo di Marisa Sannita, ricercatrice profonda e appassionata della poesia sarda e delle melodie antiche, e riprese i versi di un altro grande, quel Montanaru di “Tocca barchetta mia!”, “và, barchetta mia! Quella terra che promette onore e gloria è lontana. A pochi, la vitto-ria arride in questo mare di guerra. Non temere i venti forti e furibondi/questi misteri grandi e profondi/sono per le anime forti, cose belle”.“Passa, barchitta, tocca/Libera e bella che piuma/su mare, su mare pro sonniare/Liberos e birdes orizzontes….” E “Corri lon-tano vola con il vento/leggera come una piuma/A cicli chiari scappiamo via/nessuno ci fermerà/Il mare, su mare pro sonniare/Liberos e birdes orizzontes”…E sogno anch’io con questo Giornale un’iso-la orgogliosa, libera,protagonista del proprio destino. Un’isola vincente con la risorsa mare tutto l’anno, fratelli, i sardi, delle coste e del-le campagne e delle montagne, senza più i Caronte a affogare il nostro destino. Così ci piace, in questo Via Mare molto speciale, ce-lebrare il mare accanto ad artisti sognatori.

Il mare accanto ad artisti sognatori

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tutto dimentica e tutto dice e che per il marinaio è il solo abito che può indossare.Forse senza quella e le altre canzoni adesso il ricordo sarebbe veramente tale, solo un inutile dolore e non, al contrario, la felicità di stare insieme, parlare di una creatura comune, di un fi glio che cresce ogni giorno – perchè una canzone, una vera ed importante canzone alla fi ne diventa di chi la canta, poco importa chi l’ha scritta, come poco importa, nella tavola il nome del pescatore del cibo che mangiamo.Questo è il dono che più conta. Non essere ricordati con lacrime e dolore, non essere pianti e rimpianti, fi no a quando le nostre parole passeranno sopra le labbra che la cantano io sarò vivo. E la rosa ed il coltello, le temporadas, le siendas, altro non sono che frammenti di un solo ed unico grande movimento di un solo ed unico suono dell’anima che riempie tutto il silenzio.Questo il senso di quest’alba a Cagliari, il senso di questa barca e di queste parole che poco aggiungono ma nulla tolgono alla storia. L’ho detto e ridetto mille volte, scrivendo canzoni con Andrea ho visto e sentito cose che non tutte avranno il privilegio di essere svelate, altre, molte altre resteranno in fondo al cuore – tesori che non saranno mai ritrovati ma che non sono perduti- e mentre rientriamo e il veliero si popola di giovani marinai che risalgono gli alberi della nave come una nebbia d’uomini, la presenza è più forte dell’assenza, come adesso, come adesso che scrivo lontano dal mare e che lui, Andrea, non mi ha lasciato solo, perché accanto a me, dagli abissi del mio tempo c’è un nuovo tesoro di cui sono il solo a godere.Guardo Valentina, per un attimo siamo un abbraccio ed un sorriso, poi guardo il mare: lui. E lui, su mare, su meri/sa mere, il padrone sa cosa non ho detto e sopratutto, le cose che ancora avrò da dire sopra questa piccola storia, che non sarà mai sola, perché se una lacrima ora cade in acqua, leggera di malinconia ma tanto forte da far partire nel punto in cui cade, piccole onde che si allargano sino a diventare cerchi infi niti, onde sopra altre onde e sempre più grandi porteranno lontano questo nostro vivere nessuno è solo.Perché se col nostro vivere riusciamo a creare anche una sola piccola ed impercet-tibile onda, il mare siamo noi.

(L’Ultimo sole Mpl)Musica di Nando Esposito

Coro degli Angeli 2007

Francesco Cabras

Page 4: ViaMare (N. 30)

AndreaFrancesco C

abras

AndreaAndrea

77777

AndreaIl veliero arriva all’improvviso come la pioggia, come sogno richia-

mato dal sogno che quegli istanti trasformano in una visione irrea-le. Come un sogno sembra arrivare da mari lontanissimi, carico di

storie che aspettano solo di essere raccontate. L’onda ha annunciato il suo arrivo come un tamburo percosso da mani di maestrale la sua fre-quenza ha attraversato il mondo. Così, l’eco di una musica suonata da qualche parte fa rollare la barca sulla quale ci troviamo e controluce, gli alberi con le vele arrotolate, sembrano melograni d’inverno spogli di fi ori e frutti, bellissimo in quella sua quieta forza invernale.Seduti sul parapetto della nave davanti ad una telecamera stiamo par-lando tra di noi. Giorgio Ariu fa le domande, Valentina sorride con sorrisi che guardano dentro di sé immagini che solo lei può vedere, le parole che dice sono pane appena sfornato ancora caldo della fame dell’uomo che con lei ha vissuto parte del suo tempo, dell’uomo che è stato il suo cibo.L’uomo è Andrea, la sua voce che adesso continua come un’ onda partita da migliaia di chilometri, allargando i cerchi e cavalcandola, arriverà su quello scafo che per altre coincidenze porta il suo nome.Adesso siamo al centro del Golfo di Cagliari: dal mare la città è donna addormentata davanti ai pennelli di un pittore, bella e sinuosa incu-rante di mostrare forme ed angoli ed ha la sua pelle libera da ogni velo. Cagliari è lì, gli occhi socchiusi di Valentina sono la verità e la forza che tirano su le reti di un ricordo, che luccica come il sole ancora basso sull’orizzonte del suo corpo.Siamo lì, a dare al mare quel che è del mare, il suono di una voce che scendeva nelle profondità dell’abisso e risaliva sempre carica di esseri fantastici e preziosi, siamo lì a ricordare non una persona che manca ma il ricordo di noi.Le leggende del mare raccontano di marinai inghiottiti dalle onde, di naufragi e navi fantasma, di tesori nascosti, raccontano e affermano che: il corpo di un marinaio non può essere smembrato, deve ritorna-

I pensieridella risacca

di Michele Pio Ledda

“Così se fossi sottile come i frammenti di coralloche rosseggiano sotto le mie dita,potrei in un attimo entrare dentro di tee fondermi con il mare”

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Andrea

Francesco Cabras

AndreaAndrea

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AndreaIl veliero arriva all’improvviso come la pioggia, come sogno richia-

mato dal sogno che quegli istanti trasformano in una visione irrea-le. Come un sogno sembra arrivare da mari lontanissimi, carico di

storie che aspettano solo di essere raccontate. L’onda ha annunciato il suo arrivo come un tamburo percosso da mani di maestrale la sua fre-quenza ha attraversato il mondo. Così, l’eco di una musica suonata da qualche parte fa rollare la barca sulla quale ci troviamo e controluce, gli alberi con le vele arrotolate, sembrano melograni d’inverno spogli di fi ori e frutti, bellissimo in quella sua quieta forza invernale.Seduti sul parapetto della nave davanti ad una telecamera stiamo par-lando tra di noi. Giorgio Ariu fa le domande, Valentina sorride con sorrisi che guardano dentro di sé immagini che solo lei può vedere, le parole che dice sono pane appena sfornato ancora caldo della fame dell’uomo che con lei ha vissuto parte del suo tempo, dell’uomo che è stato il suo cibo.L’uomo è Andrea, la sua voce che adesso continua come un’ onda partita da migliaia di chilometri, allargando i cerchi e cavalcandola, arriverà su quello scafo che per altre coincidenze porta il suo nome.Adesso siamo al centro del Golfo di Cagliari: dal mare la città è donna addormentata davanti ai pennelli di un pittore, bella e sinuosa incu-rante di mostrare forme ed angoli ed ha la sua pelle libera da ogni velo. Cagliari è lì, gli occhi socchiusi di Valentina sono la verità e la forza che tirano su le reti di un ricordo, che luccica come il sole ancora basso sull’orizzonte del suo corpo.Siamo lì, a dare al mare quel che è del mare, il suono di una voce che scendeva nelle profondità dell’abisso e risaliva sempre carica di esseri fantastici e preziosi, siamo lì a ricordare non una persona che manca ma il ricordo di noi.Le leggende del mare raccontano di marinai inghiottiti dalle onde, di naufragi e navi fantasma, di tesori nascosti, raccontano e affermano che: il corpo di un marinaio non può essere smembrato, deve ritorna-

I pensieridella risacca

di Michele Pio Ledda

“Così se fossi sottile come i frammenti di coralloche rosseggiano sotto le mie dita,potrei in un attimo entrare dentro di tee fondermi con il mare”

ViaMare 05

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re al mare tutto intero – lo avevo letto da piccolo in una bella storia di capitani coraggiosi ed ora, mi ritorna la fi gura di quel marinaio che salvò il ragazzo caduto dal transatlantico; era anche lui, Andrea, un marinaio, per un gioco di coincidenze oggi stiamo cercando il nostro ricordo con lui perché i bei ricordi tornano sempre al mare ed un vero capitano affonda con la sua barca e noi, che siamo stati con lui, quel giorno siamo con lui scesi negli abissi. Ma ho let-to anche di pescatori sfortunati che non riescono a portare a riva il miracolo di una grande pesca: solo una lisca, enorme e smisurata come la delusione di non poter essere creduti.Sappiamo cosa vuol dire. Lo sappiamo bene.Ma la musica non ha un amo al quale fare abboccare i pesci, la musica non ha reti, la musica è il mare che tutto contiene e che tutto ridà in egual mi-sura. Per questo, solo per questo siamo qui, a ricucire le reti, a guardare le vele e a leggere tra i segni indecifrabili di una mappa il vero nascondiglio del tesoro – non sempre è vero perché la cosa più affascinante è la ricerca in sé - Il tesoro, a volte diventa una chimera che dura tutta la vita ma la sua ricerca ha sempre la stessa identica intensità perché in fondo al cuore di ogni uomo che cerca la speranza non muore mai e non è tanto importante trovare un qualunque tesoro, quanto cercarlo e nel cercarlo dare il meglio di sé e di se stessi trovare il meglio, il solo tesoro che possiamo dire il nostro e spendere conservare o dilapidare.Eppure siamo qui, devo rispondere e non vorrei, vorrei riuscire a conservare per me certe mappe, solo per me il ricordo di terre lontane, di storie e donne, delle giornate accanto a sorella musica a pregare alla sua grazia il suo dono. Vorrei ma non posso, perché ancora ci sono parole da dire, ancora bisogna raccontare come l’ultima pesca l’ho fi nita da solo, come Rosa Resolza alla fi ne è diventata quella pesca miracolosa alla quale in tanti abbiamo partecipato e Ruzaju, la storia del pescatore e del suo rosario cantata dalle sue donne, da Elena Ledda dalle Balentes e, non sono solo le barche a diventare fantasma, lo siamo anche noi, quando lo vogliamo con tutte le nostre forze e riusciamo a veder l’invisibile dove apparentemente non c’è nulla.Ma mi aiuta il vento che soffi a sul microfono portandosi via le parole, il vento geloso che vorrebbe che io tenessi per me le mie storie: il vento che alla fi ne

L’ultimo sole (canzone per Andrea)

Che c’è mare questa ultima notte giù a BalaiChe di pesci neanche l’ombra credi a meAlla deriva dentro un altro blues

Che mi suona dentro l’anima un’ideaE una musica dove scrivere di teCome seta, come stradeChe si aprono e mi porta via da quiMolto lontano da quiQual è la via per sentirti adesso ancora mia

Tirate su quelle voci e ridatele al cieloLascia che prendano l’aria su un vento del sudChe sia ontano il respiro la nostra ban-dieraSenza colori nè segni nè traccia di noi

Sulla pista ogni segno è andato viaSolo il vento può sapere dove seiHo lasciato il mio sentieroAd un passo c’era il cielo

Io sono quiInsieme a voiIo lo so che tu le troverai

Siamo alla fi ne del mare dove inizia il cielo Dove è rimasto qualcosa più forte di noiE una conchiglia una fi glia e un ultimo soleDentro i segreti del mare, del mare che è in noi

Ora uoi scrivere le tue canzoniPuoi raccontarmi per giorni di teE accarezzarti cullarti e sentirtiDovunque tu sei

Ora…

Tirate su quelle voci e ridatele al cieloLascia che prendano l’aria su un vento del nord

Ora puoi scrivere le tue canzoniPuoi raccontarmi per ore di teE accarezzarti cullarti e sentirti Dovunque tu sei

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tutto dimentica e tutto dice e che per il marinaio è il solo abito che può indossare.Forse senza quella e le altre canzoni adesso il ricordo sarebbe veramente tale, solo un inutile dolore e non, al contrario, la felicità di stare insieme, parlare di una creatura comune, di un fi glio che cresce ogni giorno – perchè una canzone, una vera ed importante canzone alla fi ne diventa di chi la canta, poco importa chi l’ha scritta, come poco importa, nella tavola il nome del pescatore del cibo che mangiamo.Questo è il dono che più conta. Non essere ricordati con lacrime e dolore, non essere pianti e rimpianti, fi no a quando le nostre parole passeranno sopra le labbra che la cantano io sarò vivo. E la rosa ed il coltello, le temporadas, le siendas, altro non sono che frammenti di un solo ed unico grande movimento di un solo ed unico suono dell’anima che riempie tutto il silenzio.Questo il senso di quest’alba a Cagliari, il senso di questa barca e di queste parole che poco aggiungono ma nulla tolgono alla storia. L’ho detto e ridetto mille volte, scrivendo canzoni con Andrea ho visto e sentito cose che non tutte avranno il privilegio di essere svelate, altre, molte altre resteranno in fondo al cuore – tesori che non saranno mai ritrovati ma che non sono perduti- e mentre rientriamo e il veliero si popola di giovani marinai che risalgono gli alberi della nave come una nebbia d’uomini, la presenza è più forte dell’assenza, come adesso, come adesso che scrivo lontano dal mare e che lui, Andrea, non mi ha lasciato solo, perché accanto a me, dagli abissi del mio tempo c’è un nuovo tesoro di cui sono il solo a godere.Guardo Valentina, per un attimo siamo un abbraccio ed un sorriso, poi guardo il mare: lui. E lui, su mare, su meri/sa mere, il padrone sa cosa non ho detto e sopratutto, le cose che ancora avrò da dire sopra questa piccola storia, che non sarà mai sola, perché se una lacrima ora cade in acqua, leggera di malinconia ma tanto forte da far partire nel punto in cui cade, piccole onde che si allargano sino a diventare cerchi infi niti, onde sopra altre onde e sempre più grandi porteranno lontano questo nostro vivere nessuno è solo.Perché se col nostro vivere riusciamo a creare anche una sola piccola ed impercet-tibile onda, il mare siamo noi.

(L’Ultimo sole Mpl)Musica di Nando Esposito

Coro degli Angeli 2007

Francesco Cabras

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re al mare tutto intero – lo avevo letto da piccolo in una bella storia di capitani coraggiosi ed ora, mi ritorna la fi gura di quel marinaio che salvò il ragazzo caduto dal transatlantico; era anche lui, Andrea, un marinaio, per un gioco di coincidenze oggi stiamo cercando il nostro ricordo con lui perché i bei ricordi tornano sempre al mare ed un vero capitano affonda con la sua barca e noi, che siamo stati con lui, quel giorno siamo con lui scesi negli abissi. Ma ho let-to anche di pescatori sfortunati che non riescono a portare a riva il miracolo di una grande pesca: solo una lisca, enorme e smisurata come la delusione di non poter essere creduti.Sappiamo cosa vuol dire. Lo sappiamo bene.Ma la musica non ha un amo al quale fare abboccare i pesci, la musica non ha reti, la musica è il mare che tutto contiene e che tutto ridà in egual mi-sura. Per questo, solo per questo siamo qui, a ricucire le reti, a guardare le vele e a leggere tra i segni indecifrabili di una mappa il vero nascondiglio del tesoro – non sempre è vero perché la cosa più affascinante è la ricerca in sé - Il tesoro, a volte diventa una chimera che dura tutta la vita ma la sua ricerca ha sempre la stessa identica intensità perché in fondo al cuore di ogni uomo che cerca la speranza non muore mai e non è tanto importante trovare un qualunque tesoro, quanto cercarlo e nel cercarlo dare il meglio di sé e di se stessi trovare il meglio, il solo tesoro che possiamo dire il nostro e spendere conservare o dilapidare.Eppure siamo qui, devo rispondere e non vorrei, vorrei riuscire a conservare per me certe mappe, solo per me il ricordo di terre lontane, di storie e donne, delle giornate accanto a sorella musica a pregare alla sua grazia il suo dono. Vorrei ma non posso, perché ancora ci sono parole da dire, ancora bisogna raccontare come l’ultima pesca l’ho fi nita da solo, come Rosa Resolza alla fi ne è diventata quella pesca miracolosa alla quale in tanti abbiamo partecipato e Ruzaju, la storia del pescatore e del suo rosario cantata dalle sue donne, da Elena Ledda dalle Balentes e, non sono solo le barche a diventare fantasma, lo siamo anche noi, quando lo vogliamo con tutte le nostre forze e riusciamo a veder l’invisibile dove apparentemente non c’è nulla.Ma mi aiuta il vento che soffi a sul microfono portandosi via le parole, il vento geloso che vorrebbe che io tenessi per me le mie storie: il vento che alla fi ne

L’ultimo sole (canzone per Andrea)

Che c’è mare questa ultima notte giù a BalaiChe di pesci neanche l’ombra credi a meAlla deriva dentro un altro blues

Che mi suona dentro l’anima un’ideaE una musica dove scrivere di teCome seta, come stradeChe si aprono e mi porta via da quiMolto lontano da quiQual è la via per sentirti adesso ancora mia

Tirate su quelle voci e ridatele al cieloLascia che prendano l’aria su un vento del sudChe sia ontano il respiro la nostra ban-dieraSenza colori nè segni nè traccia di noi

Sulla pista ogni segno è andato viaSolo il vento può sapere dove seiHo lasciato il mio sentieroAd un passo c’era il cielo

Io sono quiInsieme a voiIo lo so che tu le troverai

Siamo alla fi ne del mare dove inizia il cielo Dove è rimasto qualcosa più forte di noiE una conchiglia una fi glia e un ultimo soleDentro i segreti del mare, del mare che è in noi

Ora uoi scrivere le tue canzoniPuoi raccontarmi per giorni di teE accarezzarti cullarti e sentirtiDovunque tu sei

Ora…

Tirate su quelle voci e ridatele al cieloLascia che prendano l’aria su un vento del nord

Ora puoi scrivere le tue canzoniPuoi raccontarmi per ore di teE accarezzarti cullarti e sentirti Dovunque tu sei

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tutto dimentica e tutto dice e che per il marinaio è il solo abito che può indossare.Forse senza quella e le altre canzoni adesso il ricordo sarebbe veramente tale, solo un inutile dolore e non, al contrario, la felicità di stare insieme, parlare di una creatura comune, di un fi glio che cresce ogni giorno – perchè una canzone, una vera ed importante canzone alla fi ne diventa di chi la canta, poco importa chi l’ha scritta, come poco importa, nella tavola il nome del pescatore del cibo che mangiamo.Questo è il dono che più conta. Non essere ricordati con lacrime e dolore, non essere pianti e rimpianti, fi no a quando le nostre parole passeranno sopra le labbra che la cantano io sarò vivo. E la rosa ed il coltello, le temporadas, le siendas, altro non sono che frammenti di un solo ed unico grande movimento di un solo ed unico suono dell’anima che riempie tutto il silenzio.Questo il senso di quest’alba a Cagliari, il senso di questa barca e di queste parole che poco aggiungono ma nulla tolgono alla storia. L’ho detto e ridetto mille volte, scrivendo canzoni con Andrea ho visto e sentito cose che non tutte avranno il privilegio di essere svelate, altre, molte altre resteranno in fondo al cuore – tesori che non saranno mai ritrovati ma che non sono perduti- e mentre rientriamo e il veliero si popola di giovani marinai che risalgono gli alberi della nave come una nebbia d’uomini, la presenza è più forte dell’assenza, come adesso, come adesso che scrivo lontano dal mare e che lui, Andrea, non mi ha lasciato solo, perché accanto a me, dagli abissi del mio tempo c’è un nuovo tesoro di cui sono il solo a godere.Guardo Valentina, per un attimo siamo un abbraccio ed un sorriso, poi guardo il mare: lui. E lui, su mare, su meri/sa mere, il padrone sa cosa non ho detto e sopratutto, le cose che ancora avrò da dire sopra questa piccola storia, che non sarà mai sola, perché se una lacrima ora cade in acqua, leggera di malinconia ma tanto forte da far partire nel punto in cui cade, piccole onde che si allargano sino a diventare cerchi infi niti, onde sopra altre onde e sempre più grandi porteranno lontano questo nostro vivere nessuno è solo.Perché se col nostro vivere riusciamo a creare anche una sola piccola ed impercet-tibile onda, il mare siamo noi.

(L’Ultimo sole Mpl)Musica di Nando Esposito

Coro degli Angeli 2007

Francesco Cabras

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anche quasimodo si tuffò al poetto...eppoi quegli scandaliIl mare azzurro di Cagliari ha sempre esercitato, anche nel pas-

sato, un irresistibile richiamo per tutti, compresi i personaggi illustri. Basterebbe citare l’esempio dell’allora diciannovenne, ma già noto, Gabriele D’Annunzio che, insieme a Scarfoglio ed

a Pascarella, scrittori affermati, si recò, nel 1882, ai bagni Devoto di Giorgino per incontrare le nobildonne cagliaritane e leggere loro ver-si e brani nella rotonda appositamente trasformata in palcoscenico. Non si lasciò sfuggire l’occasione per una rinfrescante e ristoratrice nuotata di cui serbò un ricordo indelebile per parecchio tempo e non solo parlando con gli amici.

Qualche anno dopo, sempre a Giorgi-no, venne inaugurato il nuovo stabi-limento Carboni che, oltre ad offrire servizi di ottima qualità, presentava la vera novità di un teatro all’aperto per gli spettacoli di varietà e di prosa. Tra le prime ad esibirsi fu la bellissima diva del cafè-chantant Nella Regini. Le immagini dell’epoca la ritraggono ac-canto alla sua chitarra e con l’imman-

QUANDO NEGLI STABILIMENTI BALNEARIUOMINI E DONNE ANDAVANO SEPARATI

anche quasimodo si tuffò al poetto...eppoi quegli scandali

cabile sigaretta tra le dita. Il notevole successo riscosso tra i cagliaritani, non solo per le sue straordinarie doti vocali ma anche per le audaci in-terpretazioni sceniche, suscitò, però, la forte gelosia di mogli e fidanzate non proprio gentili nei loro apprezzamenti. Non videro l’ora che la Regini lasciasse la città ed il mare di cui si dichiarò innamorata. Prima dello scoppio della Grande Guerra recitarono a Giorgino anche attori molto famosi come Emma Gramatica, Nicola Maldacea, Tecla Sca-rano, Angelo Musco, i giovanissimi fratelli Titina, Eduardo e Peppino De Filippo, Antonio Gandusio che percorse in barca il tratto sino a Villasi-mius, non essendo stata ancora costruita l’apposita strada.

Ma forse l’amore più spontaneo per il nostro mare lo manifestò a più ri-prese la celebre stella dello spettacolo Anna Fougez, in quel momento fulgi-da primadonna del varietà e sensibile interprete della canzone napoletana nei principali teatri italiani ed esteri. Ebbe, tra l’altro, una notorietà preco-ce perché, a soli quindici anni, calcava già le scene in coppia nientemeno che con Petrolini. Fu lei a creare per prima le coreografie con le piume di struzzo, con le fontane d’argento e soprattutto con le scale per il suo ingresso trion-fale che in seguito vennero adottate come componente permanente dal-la “divina” Wanda Osiris. Divenne la sciantosa per antonomasia, ma anche l’espressione più alta dell’eleganza e del lusso. Legò il suo nome a motivi di enorme successo come Abat jour, Vi-pera, Addio mia bella signora, Perché piangi Pierrot.Quando giunse a Cagliari per la pri-ma volta le piacque subito tutto: non solo la città ed il suo mare, ma anche i cagliaritani e persino la squadra di calcio rossoblu che allora non navi-gava certo in buone acque: nella sta-gione 1930-31 era in serie C e ad un passo dal fallimento per un bilancio in rosso…profondo. La Fouget prese subito a cuore la sorte del Cagliari al quale dedicò ben due serate tenutesi all’Eden Park ed al Lido del Poetto, de-volvendo gli incassi, pari a trecento-mila lire (una cifra favolosa per allora), al ripianamento dei debiti. Lo spetta-colo al Poetto ebbe per protagonista il

giocatore del Cagliari Marcialis, noto Canciofa s’arrogadori, che, invitato sul palcoscenico dalla stessa Fouget, non si perse in eccessivi formalismi. Le diede un lungo ed appassionato bacio in bocca, mandando in visibilio il foltissimo pubblico presente. Il Cagliari non solo risolse la sua gra-ve crisi finanziaria, ma addirittura ot-tenne la sospirata promozione in serie

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di Giampaolo Lallai

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anche quasimodo si tuffò al poetto...eppoi quegli scandaliIl mare azzurro di Cagliari ha sempre esercitato, anche nel pas-

sato, un irresistibile richiamo per tutti, compresi i personaggi illustri. Basterebbe citare l’esempio dell’allora diciannovenne, ma già noto, Gabriele D’Annunzio che, insieme a Scarfoglio ed

a Pascarella, scrittori affermati, si recò, nel 1882, ai bagni Devoto di Giorgino per incontrare le nobildonne cagliaritane e leggere loro ver-si e brani nella rotonda appositamente trasformata in palcoscenico. Non si lasciò sfuggire l’occasione per una rinfrescante e ristoratrice nuotata di cui serbò un ricordo indelebile per parecchio tempo e non solo parlando con gli amici.

Qualche anno dopo, sempre a Giorgi-no, venne inaugurato il nuovo stabi-limento Carboni che, oltre ad offrire servizi di ottima qualità, presentava la vera novità di un teatro all’aperto per gli spettacoli di varietà e di prosa. Tra le prime ad esibirsi fu la bellissima diva del cafè-chantant Nella Regini. Le immagini dell’epoca la ritraggono ac-canto alla sua chitarra e con l’imman-

QUANDO NEGLI STABILIMENTI BALNEARIUOMINI E DONNE ANDAVANO SEPARATI

anche quasimodo si tuffò al poetto...eppoi quegli scandali

cabile sigaretta tra le dita. Il notevole successo riscosso tra i cagliaritani, non solo per le sue straordinarie doti vocali ma anche per le audaci in-terpretazioni sceniche, suscitò, però, la forte gelosia di mogli e fidanzate non proprio gentili nei loro apprezzamenti. Non videro l’ora che la Regini lasciasse la città ed il mare di cui si dichiarò innamorata. Prima dello scoppio della Grande Guerra recitarono a Giorgino anche attori molto famosi come Emma Gramatica, Nicola Maldacea, Tecla Sca-rano, Angelo Musco, i giovanissimi fratelli Titina, Eduardo e Peppino De Filippo, Antonio Gandusio che percorse in barca il tratto sino a Villasi-mius, non essendo stata ancora costruita l’apposita strada.

Ma forse l’amore più spontaneo per il nostro mare lo manifestò a più ri-prese la celebre stella dello spettacolo Anna Fougez, in quel momento fulgi-da primadonna del varietà e sensibile interprete della canzone napoletana nei principali teatri italiani ed esteri. Ebbe, tra l’altro, una notorietà preco-ce perché, a soli quindici anni, calcava già le scene in coppia nientemeno che con Petrolini. Fu lei a creare per prima le coreografie con le piume di struzzo, con le fontane d’argento e soprattutto con le scale per il suo ingresso trion-fale che in seguito vennero adottate come componente permanente dal-la “divina” Wanda Osiris. Divenne la sciantosa per antonomasia, ma anche l’espressione più alta dell’eleganza e del lusso. Legò il suo nome a motivi di enorme successo come Abat jour, Vi-pera, Addio mia bella signora, Perché piangi Pierrot.Quando giunse a Cagliari per la pri-ma volta le piacque subito tutto: non solo la città ed il suo mare, ma anche i cagliaritani e persino la squadra di calcio rossoblu che allora non navi-gava certo in buone acque: nella sta-gione 1930-31 era in serie C e ad un passo dal fallimento per un bilancio in rosso…profondo. La Fouget prese subito a cuore la sorte del Cagliari al quale dedicò ben due serate tenutesi all’Eden Park ed al Lido del Poetto, de-volvendo gli incassi, pari a trecento-mila lire (una cifra favolosa per allora), al ripianamento dei debiti. Lo spetta-colo al Poetto ebbe per protagonista il

giocatore del Cagliari Marcialis, noto Canciofa s’arrogadori, che, invitato sul palcoscenico dalla stessa Fouget, non si perse in eccessivi formalismi. Le diede un lungo ed appassionato bacio in bocca, mandando in visibilio il foltissimo pubblico presente. Il Cagliari non solo risolse la sua gra-ve crisi finanziaria, ma addirittura ot-tenne la sospirata promozione in serie

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B, vincendo per 2-1 la decisiva partita con la Salernitana. I tifosi fecero festa per diversi giorni, cantando in coro anche le canzoni della Fouget. Quan-do, poi, nell’estate successiva, la sou-brette tornò a Cagliari per la stagione all’Arena del Lido, fu accolta con ec-cezionale entusiasmo dai cagliaritani che la ribattezzarono amichevolmente Anna Fogatza o, con più semplicità, Fogatzedda. La Fouget volle anzitutto correre a ri-tuffarsi nel suo mare preferito e poi studiò come predisporre la scena. Si presentò alla ribalta in una pomposa scenografia rossoblu e cantò un moti-vo nuovo, pieno di ironia nei confronti di Mussolini e di tifo travolgente per il Cagliari che le altre squadre “fa fox-trottar”. Fogatzedda diventò l’incon-trastata Mascotte rossoblu e l’idolo dell’intera città. Il ricordo della Fouget si inserisce bene nella stagione balneare cagliari-tana di quest’anno che ha particolari sfumature rossoblu, considerato che anche al Poetto, tra un tuffo e l’altro, molto spesso le chiacchiere portano allo scudetto vinto dal grande Cagliari di quarant’anni fa. Un altro personaggio che ha lasciato traccia di sé a Cagliari è stata l’attri-ce Tina Di Lorenzo, di rara bellezza, tant’è che D’Annunzio la definì “una grande signora bella come il più bel raggio di sole della Sicilia”. Era già molto famosa quale primadonna della Stabile del Teatro Manzoni di Milano, quando, nel 1911, non resistette al fascino del mare cagliaritano e, forse vinta dalla giornata particolarmente afosa, tra una recita e l’altra al “Diur-no” di viale Regina Margherita, si tuffò nelle acque di Giorgino, senza curar-si affatto della rigida distinzione allo-ra vigente tra il recinto riservato alle donne e quello per gli uomini. Anzi, con una nuotata veloce e molto fluida, puntò decisamente verso quest’ultimo reparto mischiandosi in piena libertà tra gli uomini.Ne nacque un grande scandalo e in città se ne parlò per parecchio tempo. La notizia venne ripresa anche dalla stampa nazionale, buona parte della quale si schierò in difesa della brava attrice inneggiando alla donna nuota-trice dopo quella ciclista e schermitri-ce. I tempi, tanto per intenderci, erano quelli dell’avventura africana in Libia tra le note di “Tripoli, bel suol d’amo-re”: la gente aveva l’esigenza di cerca-re di sdrammatizzare ad ogni costo la

dura vita quotidiana. Perciò anche la sorprendente iniziativa balneare cagliaritana di Tina Di Lorenzo diede lo spunto per un’illusione di facile evasione da un mondo con nuvole sem-pre più cupi all’orizzonte.Qualche tempo dopo, però, per l’esattezza nella stagione bal-neare 1913, il Prefetto di Cagliari, ritenne opportuno ribadire, a scanso di equivoci, la sempre netta separazione tra uomini e donne. Precisò, nel dettaglio: “A tutela della pubblica decenza e del buon costume, in tutto lo spazio marino assegnato per i bagni ad uso dei clienti dello stabilimento, va rigorosamen-te mantenuta la separazione dei due sessi”. E proseguì: “Se poi taluni non volendo attenersi alle direttive prescritte all’in-terno dello stabilimento, e bramassero bagnarsi altrove sulla

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spiaggia, potranno pure farlo. Ma sempre tenendo conto che gli uomini dovranno recarsi sul lato destro boreale e le donne sul lato sinistro australe. Gli uni e gli altri sono autorizzati a muoversi separatamente, seguendo le distanze stabilite dagli appositi cartelli indicatori”. L’incarico di fare osservare le di-sposizioni fu affidato a is pulimas più intransigenti nel sepa-rare is ominis de una parti e is feminas de s’atra.E pensare che lo stabilimento di Giorgino, pur mantenendo rigida la distinzione tra uomini e donne, rappresentò, tutta-via, già un notevole passo in avanti rispetto a quello prece-dente di Sa Perdixedda. Qui i bagnanti non si vedevano tra di loro neppure da lontano, in quanto l’immersione in mare avveniva stando all’interno delle singole cabine. A Giorgino,

invece, per bagnarsi ci si recava in riva al mare. Finalmente, insomma, si prendeva an-che il sole.Il costume da bagno maschile consisteva in una maglia di cotone che copriva quasi l’intero corpo, dalla base del collo fino alle ginocchia. In genere si trattava di una maglia a maniche corte abbondante e mai aderente, perché giu-dicata troppo sconveniente. Le donne, inve-ce, avevano una specie di tunica di tela nera, inizialmente a maniche lunghe, con sotto dei mutandoni che arrivavano sino alle caviglie con appositi legaccini-guarnizioni. Chi osa-

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B, vincendo per 2-1 la decisiva partita con la Salernitana. I tifosi fecero festa per diversi giorni, cantando in coro anche le canzoni della Fouget. Quan-do, poi, nell’estate successiva, la sou-brette tornò a Cagliari per la stagione all’Arena del Lido, fu accolta con ec-cezionale entusiasmo dai cagliaritani che la ribattezzarono amichevolmente Anna Fogatza o, con più semplicità, Fogatzedda. La Fouget volle anzitutto correre a ri-tuffarsi nel suo mare preferito e poi studiò come predisporre la scena. Si presentò alla ribalta in una pomposa scenografia rossoblu e cantò un moti-vo nuovo, pieno di ironia nei confronti di Mussolini e di tifo travolgente per il Cagliari che le altre squadre “fa fox-trottar”. Fogatzedda diventò l’incon-trastata Mascotte rossoblu e l’idolo dell’intera città. Il ricordo della Fouget si inserisce bene nella stagione balneare cagliari-tana di quest’anno che ha particolari sfumature rossoblu, considerato che anche al Poetto, tra un tuffo e l’altro, molto spesso le chiacchiere portano allo scudetto vinto dal grande Cagliari di quarant’anni fa. Un altro personaggio che ha lasciato traccia di sé a Cagliari è stata l’attri-ce Tina Di Lorenzo, di rara bellezza, tant’è che D’Annunzio la definì “una grande signora bella come il più bel raggio di sole della Sicilia”. Era già molto famosa quale primadonna della Stabile del Teatro Manzoni di Milano, quando, nel 1911, non resistette al fascino del mare cagliaritano e, forse vinta dalla giornata particolarmente afosa, tra una recita e l’altra al “Diur-no” di viale Regina Margherita, si tuffò nelle acque di Giorgino, senza curar-si affatto della rigida distinzione allo-ra vigente tra il recinto riservato alle donne e quello per gli uomini. Anzi, con una nuotata veloce e molto fluida, puntò decisamente verso quest’ultimo reparto mischiandosi in piena libertà tra gli uomini.Ne nacque un grande scandalo e in città se ne parlò per parecchio tempo. La notizia venne ripresa anche dalla stampa nazionale, buona parte della quale si schierò in difesa della brava attrice inneggiando alla donna nuota-trice dopo quella ciclista e schermitri-ce. I tempi, tanto per intenderci, erano quelli dell’avventura africana in Libia tra le note di “Tripoli, bel suol d’amo-re”: la gente aveva l’esigenza di cerca-re di sdrammatizzare ad ogni costo la

dura vita quotidiana. Perciò anche la sorprendente iniziativa balneare cagliaritana di Tina Di Lorenzo diede lo spunto per un’illusione di facile evasione da un mondo con nuvole sem-pre più cupi all’orizzonte.Qualche tempo dopo, però, per l’esattezza nella stagione bal-neare 1913, il Prefetto di Cagliari, ritenne opportuno ribadire, a scanso di equivoci, la sempre netta separazione tra uomini e donne. Precisò, nel dettaglio: “A tutela della pubblica decenza e del buon costume, in tutto lo spazio marino assegnato per i bagni ad uso dei clienti dello stabilimento, va rigorosamen-te mantenuta la separazione dei due sessi”. E proseguì: “Se poi taluni non volendo attenersi alle direttive prescritte all’in-terno dello stabilimento, e bramassero bagnarsi altrove sulla

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spiaggia, potranno pure farlo. Ma sempre tenendo conto che gli uomini dovranno recarsi sul lato destro boreale e le donne sul lato sinistro australe. Gli uni e gli altri sono autorizzati a muoversi separatamente, seguendo le distanze stabilite dagli appositi cartelli indicatori”. L’incarico di fare osservare le di-sposizioni fu affidato a is pulimas più intransigenti nel sepa-rare is ominis de una parti e is feminas de s’atra.E pensare che lo stabilimento di Giorgino, pur mantenendo rigida la distinzione tra uomini e donne, rappresentò, tutta-via, già un notevole passo in avanti rispetto a quello prece-dente di Sa Perdixedda. Qui i bagnanti non si vedevano tra di loro neppure da lontano, in quanto l’immersione in mare avveniva stando all’interno delle singole cabine. A Giorgino,

invece, per bagnarsi ci si recava in riva al mare. Finalmente, insomma, si prendeva an-che il sole.Il costume da bagno maschile consisteva in una maglia di cotone che copriva quasi l’intero corpo, dalla base del collo fino alle ginocchia. In genere si trattava di una maglia a maniche corte abbondante e mai aderente, perché giu-dicata troppo sconveniente. Le donne, inve-ce, avevano una specie di tunica di tela nera, inizialmente a maniche lunghe, con sotto dei mutandoni che arrivavano sino alle caviglie con appositi legaccini-guarnizioni. Chi osa-

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Grazia Deleddae il mare

L’immaginario letterario ha sempre collegato Grazia Deledda con la montagna o almeno con il territo-rio interno delle Barbagie, da Nuoro a Fonni, a Mamoiada.Invece Sangue sardo, il primo racconto che Grazia pubblicò a 17 anni, sulla rivista romana per signori-ne, “L’ultima moda”, nel giugno del 1888, si apre e si chiude davanti al mare: “Calava la sera, una sera pesante, afosa di luglio. Lontano dal mare fremente, tra le immense strisce di spuma d’argento a sfuma-tura di un verde oscurissimo, s’alzavano grandi massi di nebbia(…)”.In breve: Ela, diminutivo di Michela, è “una fanciulla sarda di quindici anni”. Ha molti tratti autobiogra-fici, come normale per le prime prove letterarie della nostra scrittrice. Anche Ela, come Grazia, è

di Neria De Giovanni

ESCLUSIVO

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va presentarsi in abbigliamento giu-dicato non pudico veniva tacciato di sbrigungiu o sbrigungia: le donne, in particolare, rischiavano di finire sui giornaletti umoristici, molto numero-si a Cagliari. Il più diffuso era Sali e Pibiri: ogni estate, riportava in prima pagina le bagnanti che mostravano polpacci o altro.È il Poetto a segnare, seppure lenta-mente, la svolta decisiva anche nel campo del costume da bagno. Alla fine della Grande Guerra muta in manie-ra abbastanza decisa la demarcazione tra decente ed indecente. Prevale un senso del pudore meno rigido e più ra-zionale che consente soprattutto alle donne di stare sulla spiaggia con mag-

giore libertà. Arriva anche a Cagliari la nuova moda continentale del costume da bagno, che dai mutandoni porterà prima al due pezzi e poi al topless. Il noto pittore cagliaritano Tarquinio Sini coglie subito la novità e ironizza simpaticamente con il passato che tarda a scomparire del tutto. Molto si-gnificative, al riguardo, per la loro co-micità immediata, sono le sue signori-ne raffigurate mentre ballano il tango ed il fox-trot suonati dalle orchestrine del Lido, che frequentava volentieri con la cantante lirica Teresa Tanda, sua moglie. Tarquini destò l’ammira-zione dello stesso futuro Premio Nobel Salvatore Quasimodo, in quel tempo impiegato a Cagliari al Genio Civile e anch’egli amante del Poetto.

A partire dagli anni Venti, insomma, gli uomini cominciarono a fare i bagni a torso nudo e le donne a liberarsi pian piano delle magliette con le maniche e dei mutandoni sino alle caviglie. Quando a Cagliari arriva un’altra avvenente regina del cafè-chantant, Isa Bluette, la grande inter-prete, nel 1926, di Creola, i bagnanti del Poetto e del Lido in particolare, dove si esibisce, hanno una fisionomia ormai molto lontana da quella di Giorgino e piuttosto simile a quella dei giorni nostri. Frequentarono il Poetto anche Fregoli, l’abilissimo attore trasformista, e il maestro Pietro Mascagni quando fu scritturato dai fra-telli Boero per dirigere al Politeama Regina Margherita la sua Cavalleria Rusticana ed il Barbiere di Siviglia di Rossini. Tra concerti di musica classica, tanghi argentini, clowns, equilibristi, soubrettes e ballerine si esibirono l’attrice-soprano Nanda Primavera, il cantautore-attore Arman-do Gill ed il re dello stornello fiorentino Odoardo Spadaro; tornarono, inoltre, anche i tre fratelli De Filippo. Negli anni Trenta il cineteatro all’aperto del Lido si affermò come locale di spettacolo di prim’ordine che vide all’opera i maggiori attori del varietà nazionale e straniero: i popolarissimi fratelli De Rege, Guido e Giorgio,

quest’ultimo nel ruolo dello sciocco balbuziente poi ripreso in tempi più recenti da Walter Chiari in coppia con Carlo Campanini; Aldo Fabrizi e Nino Taranto (nel 1936); Totò (nel 1938); il comico Fanfulla (nel 1939) della cui rivista faceva parte il giovanissimo ballerino di tip tap Alberto Sordi; la Filodrammatica SES che fece debuttare il simpatico attore ca-gliaritano Gianni Agus.Quanta vita nelle spiagge cagliaritane del passato! Il raffronto con oggi non esiste, tanto più se ci limitiamo al solo ambiente naturale. A tale ri-guardo lo scrittore e giornalista Guido Piovene, corrispondente per molti anni da Londra e Parigi, osservò: “La grande bellezza di Cagliari è nella baia dai famosi tramonti. Dominata dalla Sella del Diavolo essa ricorda in proporzioni minori la baia di Rio de Janeiro, per le sue coste frastagliate dove si alternano immense dune di sabbia finissima…”. Un vento impe-tuoso sembra aver spazzato via tutto, sabbia bianca e finissima, casotti colorati, artisti famosi, serate socializzanti, canzoni romantiche, risate spontanee e tanta, tanta autentica cagliaritanità.

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Grazia Deleddae il mare

L’immaginario letterario ha sempre collegato Grazia Deledda con la montagna o almeno con il territo-rio interno delle Barbagie, da Nuoro a Fonni, a Mamoiada.Invece Sangue sardo, il primo racconto che Grazia pubblicò a 17 anni, sulla rivista romana per signori-ne, “L’ultima moda”, nel giugno del 1888, si apre e si chiude davanti al mare: “Calava la sera, una sera pesante, afosa di luglio. Lontano dal mare fremente, tra le immense strisce di spuma d’argento a sfuma-tura di un verde oscurissimo, s’alzavano grandi massi di nebbia(…)”.In breve: Ela, diminutivo di Michela, è “una fanciulla sarda di quindici anni”. Ha molti tratti autobiogra-fici, come normale per le prime prove letterarie della nostra scrittrice. Anche Ela, come Grazia, è

di Neria De Giovanni

ESCLUSIVO

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va presentarsi in abbigliamento giu-dicato non pudico veniva tacciato di sbrigungiu o sbrigungia: le donne, in particolare, rischiavano di finire sui giornaletti umoristici, molto numero-si a Cagliari. Il più diffuso era Sali e Pibiri: ogni estate, riportava in prima pagina le bagnanti che mostravano polpacci o altro.È il Poetto a segnare, seppure lenta-mente, la svolta decisiva anche nel campo del costume da bagno. Alla fine della Grande Guerra muta in manie-ra abbastanza decisa la demarcazione tra decente ed indecente. Prevale un senso del pudore meno rigido e più ra-zionale che consente soprattutto alle donne di stare sulla spiaggia con mag-

giore libertà. Arriva anche a Cagliari la nuova moda continentale del costume da bagno, che dai mutandoni porterà prima al due pezzi e poi al topless. Il noto pittore cagliaritano Tarquinio Sini coglie subito la novità e ironizza simpaticamente con il passato che tarda a scomparire del tutto. Molto si-gnificative, al riguardo, per la loro co-micità immediata, sono le sue signori-ne raffigurate mentre ballano il tango ed il fox-trot suonati dalle orchestrine del Lido, che frequentava volentieri con la cantante lirica Teresa Tanda, sua moglie. Tarquini destò l’ammira-zione dello stesso futuro Premio Nobel Salvatore Quasimodo, in quel tempo impiegato a Cagliari al Genio Civile e anch’egli amante del Poetto.

A partire dagli anni Venti, insomma, gli uomini cominciarono a fare i bagni a torso nudo e le donne a liberarsi pian piano delle magliette con le maniche e dei mutandoni sino alle caviglie. Quando a Cagliari arriva un’altra avvenente regina del cafè-chantant, Isa Bluette, la grande inter-prete, nel 1926, di Creola, i bagnanti del Poetto e del Lido in particolare, dove si esibisce, hanno una fisionomia ormai molto lontana da quella di Giorgino e piuttosto simile a quella dei giorni nostri. Frequentarono il Poetto anche Fregoli, l’abilissimo attore trasformista, e il maestro Pietro Mascagni quando fu scritturato dai fra-telli Boero per dirigere al Politeama Regina Margherita la sua Cavalleria Rusticana ed il Barbiere di Siviglia di Rossini. Tra concerti di musica classica, tanghi argentini, clowns, equilibristi, soubrettes e ballerine si esibirono l’attrice-soprano Nanda Primavera, il cantautore-attore Arman-do Gill ed il re dello stornello fiorentino Odoardo Spadaro; tornarono, inoltre, anche i tre fratelli De Filippo. Negli anni Trenta il cineteatro all’aperto del Lido si affermò come locale di spettacolo di prim’ordine che vide all’opera i maggiori attori del varietà nazionale e straniero: i popolarissimi fratelli De Rege, Guido e Giorgio,

quest’ultimo nel ruolo dello sciocco balbuziente poi ripreso in tempi più recenti da Walter Chiari in coppia con Carlo Campanini; Aldo Fabrizi e Nino Taranto (nel 1936); Totò (nel 1938); il comico Fanfulla (nel 1939) della cui rivista faceva parte il giovanissimo ballerino di tip tap Alberto Sordi; la Filodrammatica SES che fece debuttare il simpatico attore ca-gliaritano Gianni Agus.Quanta vita nelle spiagge cagliaritane del passato! Il raffronto con oggi non esiste, tanto più se ci limitiamo al solo ambiente naturale. A tale ri-guardo lo scrittore e giornalista Guido Piovene, corrispondente per molti anni da Londra e Parigi, osservò: “La grande bellezza di Cagliari è nella baia dai famosi tramonti. Dominata dalla Sella del Diavolo essa ricorda in proporzioni minori la baia di Rio de Janeiro, per le sue coste frastagliate dove si alternano immense dune di sabbia finissima…”. Un vento impe-tuoso sembra aver spazzato via tutto, sabbia bianca e finissima, casotti colorati, artisti famosi, serate socializzanti, canzoni romantiche, risate spontanee e tanta, tanta autentica cagliaritanità.

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una accanita lettrice di “romanzi moderni” e si innamora di Lorenzo, un amico del fratello. Di questo amore adolescenziale si parla pure nel postumo Cosima che, essendo autobiografico, garantisce che un tale incontro ci sia stato ve-ramente. E’ luglio e la famiglia di Ela si reca in un paese sulla costa nord della Sardegna. Proprio da-vanti al mare Ela giura di vendicarsi di Loren-zo che non ricambia il suo amore: “E una notte oscura e nebbiosa di luglio la vedemmo, fra gli scogli neri della costa orientale della Sarde-gna, emettere un giuramento fra il muggito del-le onde del Mediterraneo”.Lorenzo ha scelto Maria, la sorella maggiore che: “non vedeva al di là dei lavori domestici.

Era capace di rimanere un anno leggendo un ro-manzo di Scott, facendoselo spiegare da Ela”, ma si sa, certi uomini preferiscono la buona cu-cina alla cultura! Passano cinque anni e Lorenzo diventato avvo-cato si accinge a sposare Maria. Ritorna luglio: Ela incontra Lorenzo sugli scogli davanti al mare e dopo avergli chiesto di allontanarsi dalla Sardegna senza Maria, al suo diniego lo pugnala al cuore. E poi: “Ela strisciò sugli scogli e sparve tra la nebbia e le ombre vaganti delle macchie di lentischio. Si udì un galoppo su nella montagna. Un lampo guizzò nel mare, mentre in cima dei monti grigi, velati, apparve un cavallo nero, su cui era se-duta un’amazzone pure nera che sparve dietro

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la montagna. Dove andava?, che avvenne di Ela? Mistero!”.Certamente la trama risente delle letture tar-doromantiche care alla Deledda, come a tutte le ragazze della sua età. Ma è indubbio che il mare di Orosei (dove è ambientata la festa della Madonna del rimedio in Canne al vento) o di Dorgali, abbia affascinato Grazia, montana per nascita nuorese.La sua vita le avrebbe preservato altre frequen-tazioni marine.Infatti dopo il matrimonio col funzionario ministe-riale Palmiro Madesani e il trasferimento a Roma, Grazia Deledda conobbe il mare di Anzio e Viareg-gio dove si recava con i figli piccoli per le vacanze estive. Ma ben presto volle fuggire dalla Versilia diventata troppo mondana e chiassosa per lei; si recò così a Cervia vicino cui abitavano amici scrit-tori come Marino Moretti. Proprio a Cervia, nella riviera romagnola, Grazia comprò il “villino co-lor biscotto” con i soldi del Nobel; Cervia fu la

prima città in Italia che le dedicò una piazza, il lungomare e una splendida statua, oltre aver-gli conferito la cittadinnaza onoraria.Se Sangue sardo è il primo racconto di Grazia Deledda, ancora debole, ma con una ambienta-zione marina indiscutibile, l’attaccamento di Grazia Deledda al mare è confernato da uno degli ultimi romanzi, tra i più autobiografici, Il paese del vento. Scritto in prima persona, cosa rarissima per i romanzi della Deledda, racconta il viaggio di nozze di una coppia che per tratti caratteriali si rispecchia in Grazia e Palmiro. Il Paese del titolo è Cervia descrit-ta nella bellezza delle sue spiegge. Anche in questa storia compare un amore adolescen-ziale della protagonista, Gabriele, amico del fratello e conosciuto in Sardegna. Gabriele alias Lorenzo? Infondo qualcuno sostiene che gli scrittori scrivano sempre la stessa storia.

Grazia Deledda con Marino Moretti.

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una accanita lettrice di “romanzi moderni” e si innamora di Lorenzo, un amico del fratello. Di questo amore adolescenziale si parla pure nel postumo Cosima che, essendo autobiografico, garantisce che un tale incontro ci sia stato ve-ramente. E’ luglio e la famiglia di Ela si reca in un paese sulla costa nord della Sardegna. Proprio da-vanti al mare Ela giura di vendicarsi di Loren-zo che non ricambia il suo amore: “E una notte oscura e nebbiosa di luglio la vedemmo, fra gli scogli neri della costa orientale della Sarde-gna, emettere un giuramento fra il muggito del-le onde del Mediterraneo”.Lorenzo ha scelto Maria, la sorella maggiore che: “non vedeva al di là dei lavori domestici.

Era capace di rimanere un anno leggendo un ro-manzo di Scott, facendoselo spiegare da Ela”, ma si sa, certi uomini preferiscono la buona cu-cina alla cultura! Passano cinque anni e Lorenzo diventato avvo-cato si accinge a sposare Maria. Ritorna luglio: Ela incontra Lorenzo sugli scogli davanti al mare e dopo avergli chiesto di allontanarsi dalla Sardegna senza Maria, al suo diniego lo pugnala al cuore. E poi: “Ela strisciò sugli scogli e sparve tra la nebbia e le ombre vaganti delle macchie di lentischio. Si udì un galoppo su nella montagna. Un lampo guizzò nel mare, mentre in cima dei monti grigi, velati, apparve un cavallo nero, su cui era se-duta un’amazzone pure nera che sparve dietro

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la montagna. Dove andava?, che avvenne di Ela? Mistero!”.Certamente la trama risente delle letture tar-doromantiche care alla Deledda, come a tutte le ragazze della sua età. Ma è indubbio che il mare di Orosei (dove è ambientata la festa della Madonna del rimedio in Canne al vento) o di Dorgali, abbia affascinato Grazia, montana per nascita nuorese.La sua vita le avrebbe preservato altre frequen-tazioni marine.Infatti dopo il matrimonio col funzionario ministe-riale Palmiro Madesani e il trasferimento a Roma, Grazia Deledda conobbe il mare di Anzio e Viareg-gio dove si recava con i figli piccoli per le vacanze estive. Ma ben presto volle fuggire dalla Versilia diventata troppo mondana e chiassosa per lei; si recò così a Cervia vicino cui abitavano amici scrit-tori come Marino Moretti. Proprio a Cervia, nella riviera romagnola, Grazia comprò il “villino co-lor biscotto” con i soldi del Nobel; Cervia fu la

prima città in Italia che le dedicò una piazza, il lungomare e una splendida statua, oltre aver-gli conferito la cittadinnaza onoraria.Se Sangue sardo è il primo racconto di Grazia Deledda, ancora debole, ma con una ambienta-zione marina indiscutibile, l’attaccamento di Grazia Deledda al mare è confernato da uno degli ultimi romanzi, tra i più autobiografici, Il paese del vento. Scritto in prima persona, cosa rarissima per i romanzi della Deledda, racconta il viaggio di nozze di una coppia che per tratti caratteriali si rispecchia in Grazia e Palmiro. Il Paese del titolo è Cervia descrit-ta nella bellezza delle sue spiegge. Anche in questa storia compare un amore adolescen-ziale della protagonista, Gabriele, amico del fratello e conosciuto in Sardegna. Gabriele alias Lorenzo? Infondo qualcuno sostiene che gli scrittori scrivano sempre la stessa storia.

Grazia Deledda con Marino Moretti.

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Le cinque opere serigrafiche a colori, che compongono la cartella “VILLASIMIUS” (in tutto si tratta di sei tavole) sono state eseguite su lucidi originali dall’Autore e tirate a mano in Cagliari presso la Stamperia Seristudio di Edoardo Asturaro su carta Fabriano.

Tiratura in cento esemplari in numeri arabi parzialmente colorati dall’Autore, numerati da 1/100 a 100/100; cinquanta esemplari in numeri romani eseguiti per l’Hotel STELLA MARIS di Villasimius, numerati da I/L a L/L.A tiratura ultimata i telai sono stati resi inutilizzabili alla presenza dell’autore.

IME

di Angelo Liberati

TUTO

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Le cinque opere serigrafiche a colori, che compongono la cartella “VILLASIMIUS” (in tutto si tratta di sei tavole) sono state eseguite su lucidi originali dall’Autore e tirate a mano in Cagliari presso la Stamperia Seristudio di Edoardo Asturaro su carta Fabriano.

Tiratura in cento esemplari in numeri arabi parzialmente colorati dall’Autore, numerati da 1/100 a 100/100; cinquanta esemplari in numeri romani eseguiti per l’Hotel STELLA MARIS di Villasimius, numerati da I/L a L/L.A tiratura ultimata i telai sono stati resi inutilizzabili alla presenza dell’autore.

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di Francesco Alziator*foto di Roberto Ferrante

A LA MARINAc’è tutta la città

I GRANDI SCRITTORI DEL FRONTE MARE

La Marina non è soltanto un quartiere, ma piuttosto una visione della vita tutta particolare. Anche se non vuole uscire dai limiti del vecchio trapezio, ogni abitante può trovare tutto nel suo quartiere.

All’infuori di un cimitero per seppellire, la Marina ha tutto: alberghi, cinema, negozi di lusso e bancarelle, industrie e manifatture, giardini e terrazze e perfi no i più bei topi di tutta la città.Topi audaci e saettanti, grassi e prelatizi nell’incedere, arruffati e lisci come siluri ingrassati di fresco. Topi e Bagarozzi sono la fauna stanziale del quartiere. Come i topi, i bagarozzi (che la gente chiama piuttosto prettas) sono di più specie: neri, con rifl essi d’onice o con trasparenze da cellofan, biondi, elegante prodotto d’importazione che ricorda le cabine dei vecchi piroscafi , affusolati, con lunghissime, vibratili, tenui antenne.Nessuno, alla Marina, si preoccupa dei topi o dei bagarozzi. Sono di casa e, forse, se scomparissero del tutto, si fi nirebbe col rimpiangerli. Proprio come quel soldato che, (dopo essere stato disinfestato col D.D.T. dalle legioni di pidocchi che lo martirizzavano) guardando sconsolato l’infermiere disse “Ed ora, come faro a passare il tempo?”. La Marina è un sentimento, uno stato d’animo al quale si perviene attraverso chissà quale ignota iniziazione. Conosco decine e decine di Napoletani e di Siciliani che fanno parte della Marina; ci sono Cinesi che ne fanno parte, ma migliaia di Cagliaritani di vecchio ceppo che l’attraversano centinaia di volte all’anno

ne restano affatto estranei.Alla Marina la gente non è espansiva come in Villanova, né litigiosa come a Stampace, le case sono a fi anco a fi anco come in Castello, eppure ognuno fa per sé. Alla Marina forse sarà un effetto dell’aria fortemente iodata, nessuno sta con le mani in mano; gli uomini hanno tutti un lavoro, qualunque esso sia:banchiere o fattorino, lustrascarpe o imbroglione, cosa faccia non importa; una cosa è certa: nessuno si gratta. Le donne hanno cento risorse, impagliano sedie, fanno le commesse o le dattilografe, riparano o tessono reti e soprattutto stendono biancheria e innaffi ano fi ori. E’ incredibile la quantità di biancheria stesa che impavesa da un balcone all’altro le strette vie del quartiere, biancheria femminile nera, rosa, orlata e peccaminosa che pare uscita da una vetrina di Rue de la Paix, mutandoni e braghe di tela, camisacci da marinaio, panni di bambino, lunghi interminabili festoni di pannizzus alla moda di cinquant’anni fa. Ogni giorno il gran pavese dei panni stesi fa festa al vento di mare o di terra. A levar gli

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occhi in alto dalle vie povere di cielo si scopre l’incantesimo dei balconi fioriti di ferro battuto. Napoli, Barcellona, Palma, Siviglia non ne hanno di migliori. Il ferro perde ogni rigidità metallica, si fa nastro, vilucchio di pianta, ha flessuosità di carta ritagliata, s’attorce in spire barocche, si compone in simmetrie neoclassiche, fluttua in ondeggiamenti liberty, ha sapori e climi d’Arcadia, prelude Churriguera o Valadier. Ognuno di questi balconi dovrebbe essere schedato e studiato e la burocrazia che qualche volta riesce perfino ad essere utile, dovrebbe tutelare questo incomparabile patrimonio cittadino che attende ancora il suo studio, ma ebbe già in Valere il suo poeta. Oltre la biancheria, i balconi e le donne che hanno fama di essere le più smaliziate e le meno sentimentalmente aggredibili di tutta la città, la Marina ha i suoi odori. Le vie strette e le case alte fanno in modo che nessuna parte della città, neppure il Castello che ha una topografia simile, ma è più battuto dai venti, abbia odori così caratteristici e così intensi come la Marina. Dove? Se non qui, si sente così forte l’odore di vino delle bettole, il profumo delle spareddas o delle carinas che indorano nelle graticole, i fiumi corposi e voluttuosi dei longus arrosto?Decine e decine di odori, diversi per ogni via e ad ogni ora del giorno, stanziano come cortine fumogene sul quartiere. Al primo mattino le vie sanno di letto e di pavimenti umidi, più tardi di canestre di pesce e di alghe, poi di arrosto e di fritto ed infine di sole e di silenzio. C’è proprio anche un odore di sole e di silenzio, che è quello stesso che ha la pelle al mare e la spiaggia al meriggio. La Marina è il più sudicio, il peggio illuminato, il più arretrato ed irrazionale quartiere della città, eppure è quello che meglio la esprime, quello che la gente più ama e meno vuole lasciare, sia che viva in una stamberga di due metri d’altezza, con il soffitto di travi di ginepro, o in un elegante appartamento sulla Via Roma con l’aria condizionata.La Marina è un modo di vivere, una filosofia dell’esistenza che vince i secoli. Per questo, a sera, quando nelle bettole degli altri quartieri gli ubriachi litigano, quelli della Marina cantano.

*Francesco Alziator da “L’elefante sulla Torre”

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“I l 27, verso est, fu avvi-stata un’isola, qualche miglia sotto il vento del-la goletta, e la sua con-

dizione permetteva di credere, a meno che la sua origine non fosse recente, che appartenesse alla punta setten-trionale della Sardegna. La Dobyrna si avvicinò all’isola.” È Jules Verne a parlare di Sardegna nel suo Hector Servadac. Il romanziere di Ventimila Leghe sotto i mari e di tanto altro, in-serisce l’isola nel viaggio fantastico del capitano Hector che decide di andare alla ricerca del mondo perduto, dopo essersi reso conto che una immen-sa cometa, urtando contro la terra e trascinando con sé alcuni lembi del pianeta, ne ha stravolto i confi ni e perturbato l’ordine. Partito dall’Alge-ria, il capitano Servadac e il suo equi-paggio incominciano a navigare lungo il Mediterraneo fi no a che non appro-dano a La Maddalena. “La scialuppa fu calata in mare. Qualche istante dopo, il conte Timascheff e il capitano Servadac sbarcarono su una pianura verdeggiante … tutto appare spoglio e solitario: qualche cespuglio di mirto e di lentischio, che prevalevano su tre o quattro vecchi olivi.” Il mistero per-mane. Verne non svela subito qual è l’isola dell’approdo. Ed in effetti, du-rante tutto il corso della narrazione, dominano l’indefi nito e l’antico, tutti elementi che contribuiscono a creare quell’atmosfera di vago ed indistin-to che stimola il sogno e la fantasia e genera, dunque, il romantico. Poi, lentamente, crescono la sospensione dell’animo e del respiro. Lo scrittore sembra voler escludere la presenza di esseri viventi, creando il vuoto attorno ai viaggiatori. Al primo impatto, l’iso-la appare disabitata “sembrava che fosse abbandonata da ogni creatura vivente.” Ma un rumore che diventa

certezza della presenza di qualcuno, riaccende la speranza “gli esplorato-ri stavano per abbandonarla quando dei belati colpirono le loro orecchie e, quasi subito, si accorsero di una ca-pra che saltellava tra le rocce.” Verne, tuttavia, sembra voler rafforzare l’im-magine solitaria dell’isola insistendo sull’unicità: una sola capra, una sola bambina che diventa l’unico tramite con l’ambiente. Si chiama Nina. “Nina puoi dirci dove ci troviamo?... A La Maddalena, è lì che stavo quando tutto è cambiato in un colpo solo.” L’autore continua sen-za darci alcuna notizia e sen-za dimostrare di avere alcuna conoscenza spe-cifi ca dell’isola, nessuna cogni-zione storica. Probabilmente, non è questo il suo scopo. Non è nei suoi interes-si dare certezze. Solo il toponimo e la collocazione geografi ca, nien-te altro. Tutto, compresa la vi-sita, dura un attimo e i per-sonaggi si muo-vono come se fossero in un mondo ovattato, quasi privo di suoni e colori: l’isola ha perso, come il resto dei luoghi visitati da Verne, i suoi confi ni e tutto è passato. Anche

Jules Verne a La Maddalena con Hector Servadac

Il romanzo della cometa che sconvolse il mondo

di Alessandra Deleuchi

Maddalena tra le tappe del viaggio di Hector. Ma è possibile che l’abbia costeggiata lo stesso scrittore che, quando acquistò un certo benessere economico, grazie alla vendita dei suoi romanzi, ebbe la possibilità di visitare i luoghi in cui li aveva e li avrebbe am-bientati, tradendo la promessa fatta in gioventù al padre, che non avrebbe più viaggiato se non in sogno. È diffi ci-le capire fi no a che punto Verne cono-scesse La Maddalena di cui individua perfettamente la posizione geografi ca, la fl ora e la fauna. Tuttavia, alcuni riferimenti biografi ci possono essere d’aiuto. Fu da sempre un grande viag-giatore. A soli undici anni, si era im-barcato come mozzo su una nave in partenza per le Indie, per portare una collana di corallo a sua cugina, ma fu riportato a casa dal padre al primo scalo. In seguito, compose dei raccon-ti avvalendosi probabilmente dell’aiu-to di uno dei suoi più cari amici, lo scrittore e famoso viaggiatore Jacques Arago che era solito raccontargli le sue avventure e fornirgli un accurata documentazione dei luoghi da lui vi-sitati. In seguito, Verne incominciò a navigare anche lungo il Mediterraneo. Forse sbarcò a La Maddalena o, pro-babilmente, la costeggiò, attirato da un’isola che aveva di recente ospita-to personaggi illustri da Napoleone, a Nelson, a Garibaldi, che aveva trasfe-rito su Caprera una fama che doveva fungere da probabile polo di attrazio-ne per La Maddalena. Tuttavia, intor-no alla prima metà dell’Ottocento non erano molti gli stranieri che si erano occupati della Sardegna. La Francia, per esempio, incominciò ad inserirla tra le sue tappe “obbligate” soltanto nel momento in cui l’isola, l’8 agosto del 1720, venne ceduta da Filippo V di Spagna al Regno sardo-piemonte-se, quando era re Vittorio Amedeo II. Il disinteresse era dovuto anche al fatto che la Corsica era un passaggio quasi obbligato per i viaggiatori diretti in una Sardegna che spesso fi nivano per trascurare, dal momento che la immaginavano assolutamente simi-le alla bella Cirno. La scelta di Verne per un’isola tanto sperduta e lonta-na come La Maddalena aveva colpi-to anche Leo Neppi Modona che nel suo Jules Verne a La Maddalena, La cometa che rapì l’isolotto, pubblicato sulla Nuova Sardegna del 4 agosto del 1976, si meravigliava e, contempora-neamente, giustifi cava la scelta del

Jules Verne

l’uso del tempo imperfetto lo sotto-linea “Maddalena era un’isola, si-tuata presso Caprera, a nord della Sardegna, scomparsa all’improvviso nell’immensa catastrofe.” Poi, come se niente fosse, subito dopo l’incontro, i viaggiatori riprendono la navigazione accompagnati da Nina rimasta sola ed in seguito adottata proprio da Hector. La visita dura il tempo di due pagine ma quanto basta, per destare una for-te curiosità e numerosi interrogativi. Non ci è dato sapere come e perchè Verne abbia voluto inserire anche La

romanziere, tenendo conto del conte-sto storico nel quale operava. Secondo Neppi Modona, profondo ricercatore e conoscitore dell’argomento, culmina-to nel saggio Viaggiatori in Sardegna, Verne, in qualche modo, intuiva e re-spirava il profumo dei cambiamenti che sarebbero avvenuti di lì a poco. Anzi, qualche critico lo descrive come capace di anticipare le grandi scoperte del secolo che, nei suoi romanzi, sono sempre presenti, come la mongolfi era di Cinq semaines en ballon e il sotto-marino del Nautilus. Forse, Verne, con Hector Servadac si era prefi ssato un

nuovo obiettivo e si era chiesto perché non tentare qualche cosa di straordi-nario come già aveva fatto con la luna e con il mare. È il momento della co-meta che cadendo spinge il protagoni-sta ad interrogarsi su come potrebbe essere il mondo intorno e che , tra le altre cose che accadono, lo porta ad approdare anche a La Maddalena. Un’isola quasi sconosciuta ai più.

Colonna Garibaldi Baia Trinità

Cala Gavetta

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“I l 27, verso est, fu avvi-stata un’isola, qualche miglia sotto il vento del-la goletta, e la sua con-

dizione permetteva di credere, a meno che la sua origine non fosse recente, che appartenesse alla punta setten-trionale della Sardegna. La Dobyrna si avvicinò all’isola.” È Jules Verne a parlare di Sardegna nel suo Hector Servadac. Il romanziere di Ventimila Leghe sotto i mari e di tanto altro, in-serisce l’isola nel viaggio fantastico del capitano Hector che decide di andare alla ricerca del mondo perduto, dopo essersi reso conto che una immen-sa cometa, urtando contro la terra e trascinando con sé alcuni lembi del pianeta, ne ha stravolto i confi ni e perturbato l’ordine. Partito dall’Alge-ria, il capitano Servadac e il suo equi-paggio incominciano a navigare lungo il Mediterraneo fi no a che non appro-dano a La Maddalena. “La scialuppa fu calata in mare. Qualche istante dopo, il conte Timascheff e il capitano Servadac sbarcarono su una pianura verdeggiante … tutto appare spoglio e solitario: qualche cespuglio di mirto e di lentischio, che prevalevano su tre o quattro vecchi olivi.” Il mistero per-mane. Verne non svela subito qual è l’isola dell’approdo. Ed in effetti, du-rante tutto il corso della narrazione, dominano l’indefi nito e l’antico, tutti elementi che contribuiscono a creare quell’atmosfera di vago ed indistin-to che stimola il sogno e la fantasia e genera, dunque, il romantico. Poi, lentamente, crescono la sospensione dell’animo e del respiro. Lo scrittore sembra voler escludere la presenza di esseri viventi, creando il vuoto attorno ai viaggiatori. Al primo impatto, l’iso-la appare disabitata “sembrava che fosse abbandonata da ogni creatura vivente.” Ma un rumore che diventa

certezza della presenza di qualcuno, riaccende la speranza “gli esplorato-ri stavano per abbandonarla quando dei belati colpirono le loro orecchie e, quasi subito, si accorsero di una ca-pra che saltellava tra le rocce.” Verne, tuttavia, sembra voler rafforzare l’im-magine solitaria dell’isola insistendo sull’unicità: una sola capra, una sola bambina che diventa l’unico tramite con l’ambiente. Si chiama Nina. “Nina puoi dirci dove ci troviamo?... A La Maddalena, è lì che stavo quando tutto è cambiato in un colpo solo.” L’autore continua sen-za darci alcuna notizia e sen-za dimostrare di avere alcuna conoscenza spe-cifi ca dell’isola, nessuna cogni-zione storica. Probabilmente, non è questo il suo scopo. Non è nei suoi interes-si dare certezze. Solo il toponimo e la collocazione geografi ca, nien-te altro. Tutto, compresa la vi-sita, dura un attimo e i per-sonaggi si muo-vono come se fossero in un mondo ovattato, quasi privo di suoni e colori: l’isola ha perso, come il resto dei luoghi visitati da Verne, i suoi confi ni e tutto è passato. Anche

Jules Verne a La Maddalena con Hector Servadac

Il romanzo della cometa che sconvolse il mondo

di Alessandra Deleuchi

Maddalena tra le tappe del viaggio di Hector. Ma è possibile che l’abbia costeggiata lo stesso scrittore che, quando acquistò un certo benessere economico, grazie alla vendita dei suoi romanzi, ebbe la possibilità di visitare i luoghi in cui li aveva e li avrebbe am-bientati, tradendo la promessa fatta in gioventù al padre, che non avrebbe più viaggiato se non in sogno. È diffi ci-le capire fi no a che punto Verne cono-scesse La Maddalena di cui individua perfettamente la posizione geografi ca, la fl ora e la fauna. Tuttavia, alcuni riferimenti biografi ci possono essere d’aiuto. Fu da sempre un grande viag-giatore. A soli undici anni, si era im-barcato come mozzo su una nave in partenza per le Indie, per portare una collana di corallo a sua cugina, ma fu riportato a casa dal padre al primo scalo. In seguito, compose dei raccon-ti avvalendosi probabilmente dell’aiu-to di uno dei suoi più cari amici, lo scrittore e famoso viaggiatore Jacques Arago che era solito raccontargli le sue avventure e fornirgli un accurata documentazione dei luoghi da lui vi-sitati. In seguito, Verne incominciò a navigare anche lungo il Mediterraneo. Forse sbarcò a La Maddalena o, pro-babilmente, la costeggiò, attirato da un’isola che aveva di recente ospita-to personaggi illustri da Napoleone, a Nelson, a Garibaldi, che aveva trasfe-rito su Caprera una fama che doveva fungere da probabile polo di attrazio-ne per La Maddalena. Tuttavia, intor-no alla prima metà dell’Ottocento non erano molti gli stranieri che si erano occupati della Sardegna. La Francia, per esempio, incominciò ad inserirla tra le sue tappe “obbligate” soltanto nel momento in cui l’isola, l’8 agosto del 1720, venne ceduta da Filippo V di Spagna al Regno sardo-piemonte-se, quando era re Vittorio Amedeo II. Il disinteresse era dovuto anche al fatto che la Corsica era un passaggio quasi obbligato per i viaggiatori diretti in una Sardegna che spesso fi nivano per trascurare, dal momento che la immaginavano assolutamente simi-le alla bella Cirno. La scelta di Verne per un’isola tanto sperduta e lonta-na come La Maddalena aveva colpi-to anche Leo Neppi Modona che nel suo Jules Verne a La Maddalena, La cometa che rapì l’isolotto, pubblicato sulla Nuova Sardegna del 4 agosto del 1976, si meravigliava e, contempora-neamente, giustifi cava la scelta del

Jules Verne

l’uso del tempo imperfetto lo sotto-linea “Maddalena era un’isola, si-tuata presso Caprera, a nord della Sardegna, scomparsa all’improvviso nell’immensa catastrofe.” Poi, come se niente fosse, subito dopo l’incontro, i viaggiatori riprendono la navigazione accompagnati da Nina rimasta sola ed in seguito adottata proprio da Hector. La visita dura il tempo di due pagine ma quanto basta, per destare una for-te curiosità e numerosi interrogativi. Non ci è dato sapere come e perchè Verne abbia voluto inserire anche La

romanziere, tenendo conto del conte-sto storico nel quale operava. Secondo Neppi Modona, profondo ricercatore e conoscitore dell’argomento, culmina-to nel saggio Viaggiatori in Sardegna, Verne, in qualche modo, intuiva e re-spirava il profumo dei cambiamenti che sarebbero avvenuti di lì a poco. Anzi, qualche critico lo descrive come capace di anticipare le grandi scoperte del secolo che, nei suoi romanzi, sono sempre presenti, come la mongolfi era di Cinq semaines en ballon e il sotto-marino del Nautilus. Forse, Verne, con Hector Servadac si era prefi ssato un

nuovo obiettivo e si era chiesto perché non tentare qualche cosa di straordi-nario come già aveva fatto con la luna e con il mare. È il momento della co-meta che cadendo spinge il protagoni-sta ad interrogarsi su come potrebbe essere il mondo intorno e che , tra le altre cose che accadono, lo porta ad approdare anche a La Maddalena. Un’isola quasi sconosciuta ai più.

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I MARINAIDEL FUMETTO

Il mare è da sempre il più grande scenario dell’avventu-ra. Prima dei territori inesplorati del selvaggio West, prima degli spazi siderali, la grande narrativa avventurosa si è legata al fascino irresistibile del mare, quello su cui naviga Ulisse che cerca di tornare alla sua Itaca, quello che cir-

conda l’isola nascosta ad ogni rotta, su cui naufraga Robinson Crousoe, quello su cui veleggia la nave che porta il giovane Jim Hawkins alla ricerca dell’Isola del Tesoro, quello che solca la ba-leniera Pequod al comando del capitano Achab, nell’incessante caccia a Moby Dick.Naturalmente anche gli eroi degli albi a fumetti, quei giornalet-ti che un tempo erano il territorio privilegiato dell’avventura a buon mercato, hanno percorso spesso il Mare. Basta frugare tra i ricordi e le immagini saltano fuori abbondan-ti. Ma ce n’è una che le sovrasta tutte: è una vignetta precisa,

quella che mostra una zattera che va alla deriva tra le onde del Pacifico. Sopra vi è legato un uomo, lo hanno gettato in mare al largo delle isole Salomone i marinai della sua barca, che si sono ammutinati.Quell’uomo si chiama Corto Maltese. Non è lui il prota-gonista di quella storia, (intitola Una ballata del Mare salato destinata a entrare nella leggenda), i personaggi principali, infatti, sono Cain e Pandora Groovesnore, ra-piti dal malvagio Rasputin. Me è di Corto Maltese che ci ricorderemo per sempre. Eppure per tutta la vicenda lui se ne sta sempre un po’ in disparte, attraversa gli avve-nimenti con discrezione, quasi con pudore, senza mai rubare la scena ai veri protagonisti, senza mai diventa-re più importante dei fatti in cui si imbatte. Un ruolo che ricorda certi personaggi che si incontrano nelle opere di Conrad (pensiamo a Marlowe, narratore-osservatore e allo stesso tempo coscienza dell’autore e del lettore), o di Melville (è Ismael o Achab il vero protagonista di Moby Dick?); o anche, se vogliamo, di Somerset Mau-gham, che è l’autore di un romanzo assolutamente “prattiano” come L’Angusta dimora.

IL GRANDE SCENARIO DELL’AVVENTURA: IL MARE

di Bepi Vigna

Un’altra immagine, un’altra vignetta: le onde che spazzano i ponti delle fragili galere che trasportano al di là del mare gli schia-vi strappati alle terre del Dahomey. Questa volta l’avventura marinara è ambientata alla fine del XVIII° secolo e s’intitola I passeggeri del Vento. L’autore è Francois Bourgeon, con Hugo Pratt, l’altro grande poeta del mare a fumetti. E’ nel fumetto franco-belga, che troviamo il maggior numero di eroi marinari. Non pos-siamo dimenticare che al fianco di Tintin, il più popolare eroe della Ligne Claire, c’è sempre il burbero Capitano Haddock e che le loro avventure si svolgono spesso per mare. Hergè era un genio ossessionato dalla do-cumentazione precisa e quando stava rea-lizzando la storia intitolata L’Île noire, si im-barcò per tre mesi su una nave per fare dei disegni che fossero fedeli alla realtà della vita di bordo.Un altro grande navigatore delle storie a fu-metti è stato Bernard Prince, un ex agente dell’Interpol (un’organizzazione che ha la-sciato per ragioni mai state spiegate) che un giorno eredita lo yacht “Cormorano”, con il quale naviga nei mari dell’Oriente e dell’America in compagnia del grosso e burbero Barney Jordan e del mozzo india-no Djinn. Con Bernard Prince, un grande sceneggiatore come Greg offrì a un giovane

Herman Huppen l’occasione di dimostrare tutta la sua maestria nel disegno.Una menzione merita anche Condor, di Au-theamn e Rousseau, comandante marsiglie-se di una nave mercantile, burbero come Haddock e romantico come Corto Maltese.E poi, come dimenticare le mille avventure salgariane, apparse anche a fumetti a par-tire dagli anni Trenta, o L’Isola del giovedi, di Caprioli?Ma il mare ha offerto spunti anche per fu-metti più divertenti che avventurosi, come quelli realizzati da Luciano Bottaro, creato-re già nel 1949 del bucaniere, Aroldo che con le sue esilaranti gesta, anticipava i per-sonaggi che sarebbero venuti dopo, come Tim, mozzo su una nave pirata, e soprattutto Pepito, il piccolo corsaro. Pepito, al comando di una ciurma scalci-nata, combatte contro Sua Ventripotenza Hernandez de la Banane, malvagio e ottuso tiranno della colonia spagnola di Las Ana-nas. Il nobile spagnolo, sempre impegnato a inventare nuove tasse per i suoi sudditi è spalleggiato dal professor Scartoff, uno strampalato inventore che presto ruberà la scena agli altri personaggiLa prima storia di Pepito appare nel 1952 su mensile “Cucciolo”, ma poi la serie è ri-presa dall’editore francese Sagédition, che a partire dal giugno 1954 vara un mensile dedicato al simpatico corsaro.

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I MARINAIDEL FUMETTO

Il mare è da sempre il più grande scenario dell’avventu-ra. Prima dei territori inesplorati del selvaggio West, prima degli spazi siderali, la grande narrativa avventurosa si è legata al fascino irresistibile del mare, quello su cui naviga Ulisse che cerca di tornare alla sua Itaca, quello che cir-

conda l’isola nascosta ad ogni rotta, su cui naufraga Robinson Crousoe, quello su cui veleggia la nave che porta il giovane Jim Hawkins alla ricerca dell’Isola del Tesoro, quello che solca la ba-leniera Pequod al comando del capitano Achab, nell’incessante caccia a Moby Dick.Naturalmente anche gli eroi degli albi a fumetti, quei giornalet-ti che un tempo erano il territorio privilegiato dell’avventura a buon mercato, hanno percorso spesso il Mare. Basta frugare tra i ricordi e le immagini saltano fuori abbondan-ti. Ma ce n’è una che le sovrasta tutte: è una vignetta precisa,

quella che mostra una zattera che va alla deriva tra le onde del Pacifico. Sopra vi è legato un uomo, lo hanno gettato in mare al largo delle isole Salomone i marinai della sua barca, che si sono ammutinati.Quell’uomo si chiama Corto Maltese. Non è lui il prota-gonista di quella storia, (intitola Una ballata del Mare salato destinata a entrare nella leggenda), i personaggi principali, infatti, sono Cain e Pandora Groovesnore, ra-piti dal malvagio Rasputin. Me è di Corto Maltese che ci ricorderemo per sempre. Eppure per tutta la vicenda lui se ne sta sempre un po’ in disparte, attraversa gli avve-nimenti con discrezione, quasi con pudore, senza mai rubare la scena ai veri protagonisti, senza mai diventa-re più importante dei fatti in cui si imbatte. Un ruolo che ricorda certi personaggi che si incontrano nelle opere di Conrad (pensiamo a Marlowe, narratore-osservatore e allo stesso tempo coscienza dell’autore e del lettore), o di Melville (è Ismael o Achab il vero protagonista di Moby Dick?); o anche, se vogliamo, di Somerset Mau-gham, che è l’autore di un romanzo assolutamente “prattiano” come L’Angusta dimora.

IL GRANDE SCENARIO DELL’AVVENTURA: IL MARE

di Bepi Vigna

Un’altra immagine, un’altra vignetta: le onde che spazzano i ponti delle fragili galere che trasportano al di là del mare gli schia-vi strappati alle terre del Dahomey. Questa volta l’avventura marinara è ambientata alla fine del XVIII° secolo e s’intitola I passeggeri del Vento. L’autore è Francois Bourgeon, con Hugo Pratt, l’altro grande poeta del mare a fumetti. E’ nel fumetto franco-belga, che troviamo il maggior numero di eroi marinari. Non pos-siamo dimenticare che al fianco di Tintin, il più popolare eroe della Ligne Claire, c’è sempre il burbero Capitano Haddock e che le loro avventure si svolgono spesso per mare. Hergè era un genio ossessionato dalla do-cumentazione precisa e quando stava rea-lizzando la storia intitolata L’Île noire, si im-barcò per tre mesi su una nave per fare dei disegni che fossero fedeli alla realtà della vita di bordo.Un altro grande navigatore delle storie a fu-metti è stato Bernard Prince, un ex agente dell’Interpol (un’organizzazione che ha la-sciato per ragioni mai state spiegate) che un giorno eredita lo yacht “Cormorano”, con il quale naviga nei mari dell’Oriente e dell’America in compagnia del grosso e burbero Barney Jordan e del mozzo india-no Djinn. Con Bernard Prince, un grande sceneggiatore come Greg offrì a un giovane

Herman Huppen l’occasione di dimostrare tutta la sua maestria nel disegno.Una menzione merita anche Condor, di Au-theamn e Rousseau, comandante marsiglie-se di una nave mercantile, burbero come Haddock e romantico come Corto Maltese.E poi, come dimenticare le mille avventure salgariane, apparse anche a fumetti a par-tire dagli anni Trenta, o L’Isola del giovedi, di Caprioli?Ma il mare ha offerto spunti anche per fu-metti più divertenti che avventurosi, come quelli realizzati da Luciano Bottaro, creato-re già nel 1949 del bucaniere, Aroldo che con le sue esilaranti gesta, anticipava i per-sonaggi che sarebbero venuti dopo, come Tim, mozzo su una nave pirata, e soprattutto Pepito, il piccolo corsaro. Pepito, al comando di una ciurma scalci-nata, combatte contro Sua Ventripotenza Hernandez de la Banane, malvagio e ottuso tiranno della colonia spagnola di Las Ana-nas. Il nobile spagnolo, sempre impegnato a inventare nuove tasse per i suoi sudditi è spalleggiato dal professor Scartoff, uno strampalato inventore che presto ruberà la scena agli altri personaggiLa prima storia di Pepito appare nel 1952 su mensile “Cucciolo”, ma poi la serie è ri-presa dall’editore francese Sagédition, che a partire dal giugno 1954 vara un mensile dedicato al simpatico corsaro.

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Com’è profondo il mare

«Sapore di sale, sapore di mare/che hai sulla pelle, che hai sulle labbra/quando esci dall’acqua e ti vieni a sdraiare/vicino a me, vicino a me»… Chi non saprebbe continuare a cantare questa sto-rica canzone di Gino Paoli? E que-sta di Raimondo Vianello? «Con le pinne fucile ed occhiali/quando il mare e’una tavola blu»… Chi non conosce «Un’estate al mare/voglia di remare/fare il bagno al largo/per vedere da lontano gli ombrelloni-oni-oni» di Giuni Russo o Una Rotonda sul mare di Fred Bongusto? Sono molte le canzoni di quegli anni rimaste nella memoria degli italiani, in-scindibilmente legate all’estate e al mare. E non solo per coloro che quegli anni li hanno effettiva-mente vissuti, ma anche per i più giovani perché questi brani conti-nuano a fare da colonna sonora alle vacanze estive.Tutti ricordano a memoria le pa-role della La canzone del sole: «Ma ti ricordi le onde grandi e noi/gli spruzzi e le tue risa/cos’è rimasto in fondo agli occhi tuoi/la fiamma è spenta o è accesa?/O mare nero, o mare nero, o mare ne.../tu eri chiaro e trasparente come me...», e quelle di Io vorrei…Non vorrei…ma, se vuoi di Lucio Battisti: «Come può uno scoglio/arginare il mare?/Anche se non voglio,/torno già a volare .../Le distese azzurre/e le verdi terre», o quelle di E tu di Claudio Baglio-ni: «Accoccolati ad/ascoltare il mare/quanto tempo siamo stati/senza fiatare». E molti ricorderan-no anche un giovane Vasco Rossi cantare «Voglio andare al mare/quest’estate voglio proprio anda-re al mare»…

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Com’è profondo il mare

In effetti la parola mare è una delle più ricorrenti nei testi delle canzoni italiane, lo hanno notato i linguisti che si sono impegnati nello studio dell’italiano cantato e anche gli ascoltatori. Si può dire che il mare faccia parte dell’im-maginario “poetico” proprio degli italiani, sia perché vi-viamo in una penisola, sia perché si presta a sopportare il peso di tante interpretazioni: dal mare che bagna le spiagge assolate delle canzoni “estive”, a quello scuro e desolato nei paesaggi invernali, dal mare dei pescatori e dei marinai, dei grandi navigatori del passato, ai mari metaforici di lontananza, di amore, di solitudine.Il mare porta in sé o viene caricato di valenze diverse, che a volte accomunano anche testi di autori diversi. Il mare d’inverno, brano scritto da Enrico Ruggeri e cantato da Loredana Bertè, e la canzone di Luca Carboni Mare mare mare condividono per esempio il dialogo con il mare, che diventa interlocutore privilegiato proprio quando non è più distratto dai bagnanti che lo affollano durante la sta-gione estiva: «Mare mare, qui non viene mai nessuno a trascinarmi via./Mare mare, qui non viene mai nessuno a farci compagnia./Mare mare, non ti posso guardare così perché/questo vento agita anche me», canta la Bertè con la sua voce roca e «Mare mare mare, ma che voglia di arrivare lì/da te, da te, sto accelerando e adesso ormai ti prendo/Mare mare mare, sai che ognuno c’ha il suo mare dentro il cuore/e ogni tanto gli fa sentire l’onda...», canta Carboni. Aleggia in entrambi i brani quel vago sen-so di solitudine e desolazione che caratterizza il paesag-gio vacanziero durante l’inverno: la Bertè vede i colori da “film in bianco e nero”, i manifesti sbiaditi e il vento che spazza via gli ultimi ricordi dell’estate, mentre Carboni fi-nisce sul molo «a parlare all’infinito» e si sente solo.Solo come Il pescatore di Pierangelo Bertoli e tutti gli uo-mini che con il mare e del mare vivono, in un rapporto profondo e combattuto con la sua forza: «Pesca forza tira pescatore/pesca non ti fermare/poco pesce nella rete/lunghi giorni in mezzo al mare/mare che non t’ha mai dato tanto/mare che fa bestemmiare/che si placa e tace senza resa/e ti aspetta per ricominciare». Come i marinai della canzone Ma come fanno i marinai di Francesco De Gregori, figure quasi stereotipate di “veri uomini”, che tut-tavia nascondono anche loro, sotto la dura scorza dell’uo-mo di mare, un senso di vuoto e di solitudine: «Intorno al mondo senza amore/come un pacco postale/senza nes-suno che gli chiede come va/ […] /che cosa gliene frega/di trovarsi in mezzo al mare/a un mare che più passa il tempo/e più non sa di niente». Soli anche i grandi navi-gatori del passato, come il Cristoforo Colombo cantato da Francesco Guccini, che «non si era sentito mai solo come in quel momento», mentre naviga in un oceano di sogni, «ma ha imparato dal vivere in mare a non darsi per vinto;/andrà a sbattere in quell’orizzonte, se una terra non c’è».La canzone è colpita dal fascino che avvolge gli uomini di mare e chi il mare se lo porta dentro. La Gente di mare di Umberto Tozzi e Raf è abituata a convivere con l’orizzonte

di Lorelyse Pinna

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Com’è profondo il mare

«Sapore di sale, sapore di mare/che hai sulla pelle, che hai sulle labbra/quando esci dall’acqua e ti vieni a sdraiare/vicino a me, vicino a me»… Chi non saprebbe continuare a cantare questa sto-rica canzone di Gino Paoli? E que-sta di Raimondo Vianello? «Con le pinne fucile ed occhiali/quando il mare e’una tavola blu»… Chi non conosce «Un’estate al mare/voglia di remare/fare il bagno al largo/per vedere da lontano gli ombrelloni-oni-oni» di Giuni Russo o Una Rotonda sul mare di Fred Bongusto? Sono molte le canzoni di quegli anni rimaste nella memoria degli italiani, in-scindibilmente legate all’estate e al mare. E non solo per coloro che quegli anni li hanno effettiva-mente vissuti, ma anche per i più giovani perché questi brani conti-nuano a fare da colonna sonora alle vacanze estive.Tutti ricordano a memoria le pa-role della La canzone del sole: «Ma ti ricordi le onde grandi e noi/gli spruzzi e le tue risa/cos’è rimasto in fondo agli occhi tuoi/la fiamma è spenta o è accesa?/O mare nero, o mare nero, o mare ne.../tu eri chiaro e trasparente come me...», e quelle di Io vorrei…Non vorrei…ma, se vuoi di Lucio Battisti: «Come può uno scoglio/arginare il mare?/Anche se non voglio,/torno già a volare .../Le distese azzurre/e le verdi terre», o quelle di E tu di Claudio Baglio-ni: «Accoccolati ad/ascoltare il mare/quanto tempo siamo stati/senza fiatare». E molti ricorderan-no anche un giovane Vasco Rossi cantare «Voglio andare al mare/quest’estate voglio proprio anda-re al mare»…

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Com’è profondo il mare

In effetti la parola mare è una delle più ricorrenti nei testi delle canzoni italiane, lo hanno notato i linguisti che si sono impegnati nello studio dell’italiano cantato e anche gli ascoltatori. Si può dire che il mare faccia parte dell’im-maginario “poetico” proprio degli italiani, sia perché vi-viamo in una penisola, sia perché si presta a sopportare il peso di tante interpretazioni: dal mare che bagna le spiagge assolate delle canzoni “estive”, a quello scuro e desolato nei paesaggi invernali, dal mare dei pescatori e dei marinai, dei grandi navigatori del passato, ai mari metaforici di lontananza, di amore, di solitudine.Il mare porta in sé o viene caricato di valenze diverse, che a volte accomunano anche testi di autori diversi. Il mare d’inverno, brano scritto da Enrico Ruggeri e cantato da Loredana Bertè, e la canzone di Luca Carboni Mare mare mare condividono per esempio il dialogo con il mare, che diventa interlocutore privilegiato proprio quando non è più distratto dai bagnanti che lo affollano durante la sta-gione estiva: «Mare mare, qui non viene mai nessuno a trascinarmi via./Mare mare, qui non viene mai nessuno a farci compagnia./Mare mare, non ti posso guardare così perché/questo vento agita anche me», canta la Bertè con la sua voce roca e «Mare mare mare, ma che voglia di arrivare lì/da te, da te, sto accelerando e adesso ormai ti prendo/Mare mare mare, sai che ognuno c’ha il suo mare dentro il cuore/e ogni tanto gli fa sentire l’onda...», canta Carboni. Aleggia in entrambi i brani quel vago sen-so di solitudine e desolazione che caratterizza il paesag-gio vacanziero durante l’inverno: la Bertè vede i colori da “film in bianco e nero”, i manifesti sbiaditi e il vento che spazza via gli ultimi ricordi dell’estate, mentre Carboni fi-nisce sul molo «a parlare all’infinito» e si sente solo.Solo come Il pescatore di Pierangelo Bertoli e tutti gli uo-mini che con il mare e del mare vivono, in un rapporto profondo e combattuto con la sua forza: «Pesca forza tira pescatore/pesca non ti fermare/poco pesce nella rete/lunghi giorni in mezzo al mare/mare che non t’ha mai dato tanto/mare che fa bestemmiare/che si placa e tace senza resa/e ti aspetta per ricominciare». Come i marinai della canzone Ma come fanno i marinai di Francesco De Gregori, figure quasi stereotipate di “veri uomini”, che tut-tavia nascondono anche loro, sotto la dura scorza dell’uo-mo di mare, un senso di vuoto e di solitudine: «Intorno al mondo senza amore/come un pacco postale/senza nes-suno che gli chiede come va/ […] /che cosa gliene frega/di trovarsi in mezzo al mare/a un mare che più passa il tempo/e più non sa di niente». Soli anche i grandi navi-gatori del passato, come il Cristoforo Colombo cantato da Francesco Guccini, che «non si era sentito mai solo come in quel momento», mentre naviga in un oceano di sogni, «ma ha imparato dal vivere in mare a non darsi per vinto;/andrà a sbattere in quell’orizzonte, se una terra non c’è».La canzone è colpita dal fascino che avvolge gli uomini di mare e chi il mare se lo porta dentro. La Gente di mare di Umberto Tozzi e Raf è abituata a convivere con l’orizzonte

di Lorelyse Pinna

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infinito del mare, «quella idea di troppa libertà» che agli altri fa paura, ma che allo stesso tempo è il legame che la costringe: «Gente di mare che se ne va/dove gli pare, dove non sa/Gen-te che muore di nostalgia/ma quando torna dopo un giorno muore/per la voglia di andare via». Senso di libertà anche nel testo di Vento d’estate di Max Gazzè e Niccolò Fabi: “andare al mare” significa andare in vacanza, liberarsi e allora «Vento d’estate/io vado al mare, voi che fate?/Non mi aspettate/for-se mi perdo»…Il mare dà e toglie, il mare attrae e allo stesso tempo fa paura, il mare cura. Marco Masini lo invoca in Ci vorrebbe il mare per salvare un amore che sembra essersi dissolto: «Ci vorrebbe il mare con le sue tempeste/che battesse ancora forte sulle tue finestre» e dipinge una romantica immagine di amore “mari-no”: «Ci vorrebbe il mare dove naufragare/come quelle strane storie di delfini che/vanno a riva per morir vicini e non si sa perché». Si parla di un amore sicuramente dissolto in “A me ricordi il mare”, dove Daniele Silvestri e gli Otto Ohm ribaltano

quel suo legame con la libertà e con la vacanza: «Mi ricordi il mare/non per gli ombrelloni/per la fila in tangenziale», trasformando persino il movimento delle onde in una for-ma di indecisione: «A me ricordi il mare/e non per le vacan-ze/che abbiamo fatto insieme/Ma per il tuo ondeggiare/tra il gesto di chi afferra/e quello di chi si trattiene».Siamo giunti così molto lontano dal mare e dalle spiagge da cui siamo partiti e, dopo tanto navigare, chiudiamo con un’immersione. Com’è profondo il mare canta Lucio Dalla in quel famoso brano. L’uomo che pensa in modo indipen-dente è come un pesce, muto ed immerso: «e come pesce è difficile da bloccare,/perché lo protegge il mare./Com’è profondo il mare!». Un altro mare metaforico nasconde l’uomo ai tentativi di omologazione, perché «il pensiero, come l’oceano,/non lo puoi bloccare,/non lo puoi recinta-re./Così stanno bruciando il mare./Così stanno uccidendo il mare./Così stanno umiliando il mare./Così stanno pie-gando il mare». Così il cantautore ci invita a riflettere. E scusate se molti mari non sono stati solcati durante que-sto breve viaggio nella canzone italiana. Per continuare ad esplorarli non c’è bisogno della guida ma solo di un po’ di spirito d’avventura. E chissà che non vi si trovi qualche altro tesoro nascosto...

Alla scoperta di un'inedita Sardegna

CULTURA DELLA TAVOLA E TRADIZIONI POPOLARI. DAL 1984.

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infinito del mare, «quella idea di troppa libertà» che agli altri fa paura, ma che allo stesso tempo è il legame che la costringe: «Gente di mare che se ne va/dove gli pare, dove non sa/Gen-te che muore di nostalgia/ma quando torna dopo un giorno muore/per la voglia di andare via». Senso di libertà anche nel testo di Vento d’estate di Max Gazzè e Niccolò Fabi: “andare al mare” significa andare in vacanza, liberarsi e allora «Vento d’estate/io vado al mare, voi che fate?/Non mi aspettate/for-se mi perdo»…Il mare dà e toglie, il mare attrae e allo stesso tempo fa paura, il mare cura. Marco Masini lo invoca in Ci vorrebbe il mare per salvare un amore che sembra essersi dissolto: «Ci vorrebbe il mare con le sue tempeste/che battesse ancora forte sulle tue finestre» e dipinge una romantica immagine di amore “mari-no”: «Ci vorrebbe il mare dove naufragare/come quelle strane storie di delfini che/vanno a riva per morir vicini e non si sa perché». Si parla di un amore sicuramente dissolto in “A me ricordi il mare”, dove Daniele Silvestri e gli Otto Ohm ribaltano

quel suo legame con la libertà e con la vacanza: «Mi ricordi il mare/non per gli ombrelloni/per la fila in tangenziale», trasformando persino il movimento delle onde in una for-ma di indecisione: «A me ricordi il mare/e non per le vacan-ze/che abbiamo fatto insieme/Ma per il tuo ondeggiare/tra il gesto di chi afferra/e quello di chi si trattiene».Siamo giunti così molto lontano dal mare e dalle spiagge da cui siamo partiti e, dopo tanto navigare, chiudiamo con un’immersione. Com’è profondo il mare canta Lucio Dalla in quel famoso brano. L’uomo che pensa in modo indipen-dente è come un pesce, muto ed immerso: «e come pesce è difficile da bloccare,/perché lo protegge il mare./Com’è profondo il mare!». Un altro mare metaforico nasconde l’uomo ai tentativi di omologazione, perché «il pensiero, come l’oceano,/non lo puoi bloccare,/non lo puoi recinta-re./Così stanno bruciando il mare./Così stanno uccidendo il mare./Così stanno umiliando il mare./Così stanno pie-gando il mare». Così il cantautore ci invita a riflettere. E scusate se molti mari non sono stati solcati durante que-sto breve viaggio nella canzone italiana. Per continuare ad esplorarli non c’è bisogno della guida ma solo di un po’ di spirito d’avventura. E chissà che non vi si trovi qualche altro tesoro nascosto...

Alla scoperta di un'inedita Sardegna

CULTURA DELLA TAVOLA E TRADIZIONI POPOLARI. DAL 1984.

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