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RICCARDO MOTTA CARLO VIDUSSO. L’ATTIVITÀ DIDATTICA E ARTISTICA
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RICCARDO MOTTA

CARLO VIDUSSO.

L’ATTIVITÀ DIDATTICA E ARTISTICA

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CARLO VIDUSSO.L’ATTIVITÀ DIDATTICA E ARTISTICA*

Premessa

A distanza di quattro anni dalla morte di Carlo Vidusso avvenuta aMilano il 7 agosto 1978, la Rai – dietro suggerimento del noto pianista emusicologo Riccardo Risaliti1 – decise di riversarne su microsolco le re-gistrazioni, conservate nei propri archivi, e rimaste sconosciute al grandepubblico. Il tutto, come avverte giustamente Risaliti, «non tanto per unbisogno repertoriale della discografia, ma per documentare con quel pocoche resta delle innumerevoli esecuzioni effettuate da Vidusso, la porta-ta storica di quel pianismo». Distribuito in esemplari limitati, l’albumOmaggio a Vidusso rendeva giustizia – almeno in parte – a quest’artistacosì importante, la cui figura resta ancora non pienamente valorizzata.

Il prezioso documento discografico era accompagnato da alcuni scritti,a firma di allievi ed estimatori del Maestro, che intendevano testimoniarecosì il loro personale affetto nei confronti dell’artista scomparso2.

* Il presente saggio ha origine in un seminario dallo stesso titolo da me tenuto al ConservatorioArcangelo Corelli di Messina nel giorno 30 marzo 2001. Ringrazio sentitamente la Signora StellaVidusso Kuo Tseng-Me, vedova del Maestro, per l’affettuosità e disponibilità sempre mostratami, eper avermi gentilmente concesso l’autorizzazione a pubblicare ampi estratti dai manoscritti di CarloVidusso e dalle partiture da lui diteggiate.

1 RICCARDO RISALITI, recensione a Omaggio a Carlo Vidusso, cofanetto di LP edito dalla FonitCetra-Archivio RAI, LAR 24, in «Musica», n. 468 (1983).

2 Cfr. gli interventi di Maurizio Pollini, Piero Rattalino, Alberto Mozzati, Giorgio Vidusso,Marcello Abbado, nella presentazione all’Omaggio a Carlo Vidusso, LP (2), Fonit Cetra-ArchivioRAI, LAR 24.

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Maurizio Pollini, l’allievo più prestigioso, sintetizzò solo in pocherighe il lungo e proficuo rapporto didattico che intercorse con il Maestro.

Piero Rattalino, allievo di Vidusso e poi suo collega al Conservato-rio di Milano, ne sottolineò l’acume didattico e la vivacità dell’ingegno,non senza, tuttavia, rimarcarne gli aspetti grotteschi e maniacali.

Giorgio Vidusso e Marcello Abbado, entrambi allievi di Vidusso,espressero senza mezzi termini l’ammirazione per il loro Maestro. Asso-lutamente toccante lo scritto di Alberto Mozzati3, che, riviveva le emo-zioni suscitate da un giovanissimo Vidusso alle prese, in concerto, nellaSala Puccini del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, con pezziquali la Fantasia cromatica e fuga di Bach la Sonata in Si bemolle mi-nore di Chopin e la Parafrasi sul Rigoletto di Liszt. Mozzati mettevasoprattutto in luce – circostanza che trova adeguata sottolineatura nellealtre descrizioni – l’enorme talento e la singolarità d’artista.

Ma la documentazione discografica, gli scritti dei musicisti che hoprima citato non fanno pienamente luce sul personaggio. A me sembra,infatti, che l’attività didattica ed artistica di Vidusso siano poco note eche riflessioni, ed ulteriori approfondimenti, trovino piena legittimazio-ne considerato lo spessore artistico del pianista scomparso. Pertanto lemotivazioni che mi hanno indotto ad occuparmi di questo musicistatraggono le mosse, oltre che da personali ragioni affettive, anche dallanecessità di chiarire alcuni aspetti della sua complessa personalità.

Cenni biografici e la carriera artistica e didattica

L’attività artistica e didattica di Vidusso copre un arco di tempo chedecorre dalla fine degli anni Venti fino al 1976/77, anni, questi ultimiin cui egli, sofferente e provato a causa di una grave forma di tumore,meditò di abbandonare completamente l’insegnamento.

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3 Alberto Mozzati (1917-1982), pianista e didatta, amico e collega di Vidusso al Conservatoriodi Milano.

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Si spense a Milano il 7 agosto 1978.Tuttavia i primordi dell’attività concertistica si possono fare risalire al

1922, anno in cui, tornato dal Cile, dopo aver conseguito il diploma alConservatorio di Buenos Aires ed essersi affermato quale fanciullo prodi-gio, venne a stabilirsi in Italia, nella sua Trieste, dove tenne un concerto.

I genitori, triestini, si erano trasferiti nel lontano Cile per motivi dilavoro; a Talcahuano il 10 febbraio 1911 ebbe i natali Carlo Vidusso.Successivamente allo scopo di consentire al promettentissimo figlio diseguire degli studi più severi ed offrirgli prospettive di carriera migliori,i genitori decisero di rientrare in patria. Per Carlo, infatti, che intanto aBuenos Aires aveva studiato con Ernesto Drangosch4, bisognava trova-re un maestro adeguato al suo talento ed alle sue potenzialità veramenterilevanti. Si rivolsero all’illustre Alfredo Casella5 che, in quegli anni,teneva una cattedra di pianoforte presso il Conservatorio di Santa Ceci-lia a Roma.

Nella locandina del concerto di Trieste (30 ottobre 1922, si veda laFig. 1) è dato adeguato risalto alla notizia che il concerto è da solo pre-parato, e che il pianista undicenne darà, in questa occasione, «l’addioalla sua Trieste per recarsi a Roma, onde irrobustire e perfezionare lebelle doti artistiche della sua anima» (si allude all’imminente audizionecon il Maestro Alfredo Casella).

Purtroppo tale incontro non ebbe un esito positivo, in quanto Ca-sella, pur essendo colpito dall’enorme talento di questo ragazzino, manello stesso tempo infastidito dalla sua sicurezza musicale, decise dinon occuparsene6.

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4 Ernesto Drangosch, pianista, direttore d’orchestra, pedagogo nato a Buenos Aires nel 1822 emorto nel 1925. Studiò a Berlino dove ebbe modo di entrare in relazione con personaggi quali MaxBruch, Joseph Joachim, Ferruccio Busoni, Ignacy Paderewski, Arturo Toscanini, Artur Rubinstein;quest’ultimo lo ricorda nella sua autobiografia.

5 Alfredo Casella (1883-1947), compositore, pianista e didatta.6 Questa circostanza mi è stata riferita personalmente da Vidusso nella sua abitazione di via

Marocco 20 a Milano. Essa tuttavia è confortata dal riscontro documentale dell’annuncio delconcerto, che però accenna al solo viaggio a Roma.

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Fig. 1

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I Vidusso contattarono, allora, Giovanni Anfossi7, professore al Con-servatorio Giuseppe Verdi di Milano e che fu anche maestro di ArturoBenedetti Michelangeli. In quel conservatorio studiò, sino al settimoanno, composizione con Renzo Bossi e Giulio Cesare Paribeni.

Conseguì il diploma di pianoforte nel 1931 pur avendo già acquisitoil massimo titolo, a soli nove anni, al Conservatorio di Buenos Aires.

A Milano, dove si era stabilito, Vidusso, del tutto casualmente, entròin contatto con un ricco mecenate che, sinceramente interessato all’av-venire di questo ragazzino di dodici anni, gli propose di allietare – dietrocompenso – i nebbiosi pomeriggi lombardi con delle esecuzioni alpianoforte; anzi con dei veri e propri concerti, a patto che i programmi,proposti a scadenza settimanale, fossero sempre diversi.

È evidente che il giovane pianista, legittimamente desideroso di gua-dagnare, ogni settimana una piccola somma di denaro, accolse con entu-siasmo la proposta dell’illustre personaggio – di cui è rimasto sconosciutoil nome – e si buttò a capofitto nello studio di programmi sempre diversi.

I concerti, o intrattenimenti, avvenivano nella patrizia casa di questonobiluomo che radunava amici e musicofili. Il Maestro Piero Rattalino,in un’occasione d’incontro, mi ha anche riferito che il padre di Vidussocercò, attraverso taluni innocenti espedienti, di far apparire il figlio,durante le esibizioni, (non solo, ovviamente, nella casa del mecenate)sempre in età infantile, per dare maggiore risalto alla sua precocità dipianista. Lo vestiva con pantaloni corti, e, con commovente attenzione,radeva l’incipiente peluria delle gambe dell’attonito adolescente. Devoa questo punto precisare che la circostanza con lo sconosciuto benefat-tore non credo abbia alcun riscontro documentale; mi è stata raccontatadal Maestro – unitamente alle sue scelte di repertorio effettuate perquelle occasioni – nella sua casa di Via Marocco 20, a Milano, nel 1974.Egli mi confessò di aver tratto beneficio da queste esibizioni perché locostrinsero a studiare ed a costruirsi il repertorio.

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7 Giovanni Maria Anfossi (1864-1946), pianista e compositore, allievo di Giuseppe Martucci.

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La carriera concertistica proseguì con alti e bassi (parallelamente aquella didattica) e si svolse dagli inizi degli anni Trenta fino al 1950,anno in cui – di fatto – smise di dare concerti. L’interruzione dell’attivitàconcertistica sarebbe da imputare ad una difficoltà d’articolazione delterzo dito della mano destra; malanno certamente curabile ma che fornìal nostro l’input per abbandonare la carriera concertistica, almeno dasolista. Per qualche anno, ancora, collabora con I Virtuosi di Roma(dove faceva il continuo); poi rinuncia definitivamente a presentarsi inpubblico, anche in complessi da camera. Sembra che proprio in occa-sione di questi concerti con I Virtuosi di Roma, per superare la «noia»di un accompagnamento privo di quelle difficoltà di meccanismo chegli erano tanto care, si impegnasse a suonare omettendo di usare, adesempio, il quarto dito, od il terzo, allo scopo, ovviamente, di crearsi unostacolo esecutivo e quindi un’occasione di interesse.

Comunque i momenti salienti della sua carriera artistica possonocosì sintetizzarsi. Viene scelto da Ildebrando Pizzetti per la prima as-soluta alla Scala di Milano dei Canti di una stagione alta (direttorelo stesso Pizzetti) e all’Augusteo di Roma sotto la direzione di Ber-nardino Molinari (1933), debutta alla Società del Quartetto di Milanonel 1934 con un programma che specificherò, nei dettagli, in seguitoquando mi soffermerò sul repertorio di Vidusso. L’inizio delle inte-grali in concerto decorre dal 1940, unitamente all’esecuzione alla Sca-la del Secondo Concerto di Bramhs, per pianoforte, e la Petite messesolennelle di Rossini (con Gino Gorini e Herbert Von Karajan alla di-rezione).

Ripetute le presenze in Sicilia: prima a Palermo, al Teatro Biondonel 1937 e a Messina, dove figura in cartellone con recitals solistici, nel1939, 1942, 1950 e con il trio nel 1941. Vidusso, infatti, nel 1936aveva iniziato un sodalizio artistico con Michelangelo Abbado (padredi Claudio e Marcello) e Gilberto Crepax (sostituito poi da BenedettoMazzacurati), dando vita ad una celebre formazione cameristica. Nel1950, in occasione dell’anno bachiano esegue il Clavicembalo bentemperato in tre serate in molte città italiane ed a Milano (Politecnico e

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Teatro nuovo). A coronamento di una breve ma intensa carriera stannole sue registrazioni radiofoniche (effettuate negli anni 1950/51/52) ri-versate su microsolco.

Gli incontri

Gli anni dell’adolescenza e giovinezza di Vidusso furono costellati dauna serie di incontri – taluni proficui altri meno – con pianisti, direttorid’orchestra, compositori. Particolarmente significativo fu quello conWilhelm Backhaus perchè rimonta agli anni adolescenziali. Egli ebbe laventura di assistere ad un concerto del celebre pianista tedesco – alloramolto giovane – quando, ancora ragazzino, si trovava a Buenos Aires, (do-ve, come ho avuto modo di dire si era recato per studiare con Drangosch).Non so se dopo il concerto il giovane, ma precoce spettatore, ebbe l’ardiredi avvicinarsi a quello che sarebbe diventato un suo idolo. Fatto sta chel’ammirazione e lo stupore che colsero Vidusso di fronte al «tecnicoBackhaus» e alla sua leggendaria precisione, non lo abbandonarono mai. Ilpianista tedesco, tuttavia era antitetico a Vidusso, anche se le scelte reper-toriali di Backhaus – che agli inizi della carriera si proponeva come auten-tico virtuoso – erano talvolta coincidenti. Nei suoi recitals figuravano leVariazioni su un tema di Paganini di Brahms, gli Studi op. 10 e 25 di Cho-pin (per molti anni nel repertorio di Vidusso) e alcune trascrizioni Strauss-Elver che costituivano anche i cavalli di battaglia del pianista italiano.Questi ascoltò, ancora Backhaus a Milano, alla Società del Quartetto, esat-tamente il 6 marzo del 1927 alle ore 15, e registrò l’evento – per lui memo-rabile – alla fine del manoscritto del Preludio in Do maggiore del SecondoVolume del Clavicembalo ben temperato da lui più volte diteggiata. Il pro-gramma del concerto milanese, oggi, farebbe storcere il naso a molti criticie filologi in quanto era d’impostazione miscellanea. Esso conteneva:

— J. S. Bach: dal Primo Volume del Clavicembalo ben temperato: Pre-ludio e fuga in Do maggiore – Dal Secondo Volume: Preludio e fugain Do maggiore

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— L. v. Beethoven: Sonata Patetica in Do minore op. 13

— R. Schumann: Studi sinfonici op. 13

— S. Rachmaninov: 3 Preludi

— F. Chopin: 5 Studi e Scherzo in Si bemolle minore op. 31

Il commento di Vidusso, scritto di suo pugno – assieme alla detta-gliata indicazione del programma nel foglio manoscritto è: «concertoindimenticabile».

Egli incontrò pure Walter Gieseking negli studi RAI di Milano allor-quando, nei primi anni Cinquanta, procedette alla registrazione dell’inte-grale di Iberia di Albéniz. In questa occasione ebbe modo di chiedere algrande pianista tedesco consigli circa l’esecuzione di un celebre quantoscomodissimo passo di Fête-Dieu. Ma un evento altrettanto importantefu un concerto del grande Dinu Lipatti che il giovane Carlo ascoltò aMilano, per la prima volta, con la Partita in Si bemolle maggiore di Bach(che, per inciso, aveva eseguito poco prima anche Gieseking).

Egli mi disse che anche questo concerto – che era da collocarsi traquelli memorabili – gli tolse molte, ma molte ore di sonno.

Un altro importante incontro fu quello con Moritz Rosenthal8, grandevirtuoso polacco, che ascoltò Vidusso e scrisse, di suo pugno, un giudi-zio entusiastico su di lui. Purtroppo questo documento, che insieme adaltre preziose testimonianze era in possesso della madre del Maestro,è andato perduto. Fu ascoltato da Arturo Toscanini il quale, alla finedell’esecuzione batté la mano sulla gamba del brillante e promettentepianista dicendo entusiasticamente: «Bravo!» (questa importante circo-stanza mi è stata riferita dalla gentilissima Signora Stella, vedova delMaestro). Fu ingaggiato da Ildebrando Pizzetti per la prima esecuzionedei Canti della stagione alta, che eseguì alla Scala. Ma l’episodio piùsignificativo e singolare fu quello occorso a Vidusso quando incontròArtur Schnabel. Il grande pianista austriaco soggiornava per molti mesi

8 Moritz Rosenthal (1862-1946), pianista e virtuoso polacco particolarmente versato nel reper-torio romantico.

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a Tremezzo, sul lago di Como. Vidusso era desideroso di studiare conSchnabel, pianista di tradizione classica, ma più fantasioso di Backhaus.Si fece ascoltare e Schnabel si dichiarò dispostissimo ad aiutarlo. Pur-troppo la richiesta del pianista tedesco si rivelò imponente: ben cin-quanta lire a lezione! Vidusso non essendo in grado di sostenere il pesodi quest’onere economico rinunciò a studiare con Schnabel. Sfumatal’occasione di proseguire il proprio percorso artistico con una celebritàdel concertismo internazionale il giovane Carlo lavorò da solo e «creb-be» autonomamente.

Da quanto ho riferito credo che si possa facilmente arguire qualedovesse essere la personalità artistica di Vidusso se musicisti, per naturanon inclini a giudizi lusinghieri nei confronti di colleghi e giovanipianisti, esprimevano valutazioni così entusiastiche nei suoi confronti.Di contro – riflettendo ancora sull’interesse che egli suscitava – apparestrano che con nessuno degli artisti con cui egli ha avuto le occasionid’incontro che ho appena citato, abbia cercato d’impostare una più assi-dua frequentazione, una collaborazione più ampia, uno scambievolerapporto didattico o professionale.

Anche l’ostacolo delle famose cinquanta lire a lezione – che, beninteso,agli inizi degli anni Trenta erano una cifra ragguardevole – poteva facil-mente essere aggirato solo se avesse avuto una profonda motivazione a«lavorare» con l’artista austriaco. Probabilmente egli cercava solo deicontatti, delle conferme al proprio talento e non una guida che lo sostenesselungo il cammino del proprio progredire. Certamente c’è anche da ag-giungere che la sua personalità musicale – pur in fase di crescente forma-zione – era restia ad accettare «manipolazioni» esterne, in quanto, le suescelte artistiche e culturali, nelle linee fondamentali, erano già consolidate.

Si consideri che Vidusso, nel periodo in cui facciamo riferimento– anni Trenta – aveva già debuttato alla Scala di Milano, era vincitorenel 1933 a soli ventidue anni – per concorso – della cattedra di pia-noforte al Liceo Musicale di Padova, aveva partecipato, ricevendouna targa, alla più importante competizione pianistica del momento: ilConcorso Chopin di Varsavia.

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Ciò nonostante sembrava un artista combattuto tra la necessità didare un orientamento diverso al suo formidabile pianismo (da qui, for-se, la richiesta didattica rivolta a Schnabel, avvantaggiandosi, così, diuna prospettiva culturale che – alimentandosi solo del suo pur ecce-zionale virtuosismo – non lo avrebbe mai pienamente soddisfatto) e latendenza, legittima per chi è tanto dotato, di sbrogliarsela da solo e nonavere accanto nessuno. Sorge anche spontaneo il sospetto che Vidusso,in fondo, non avesse quest’ansia di approfondimento introspettivo versoi fatti della cultura. Mero sospetto, perché si collocò invece, tra gli anniQuaranta-Cinquanta, come autentico pionere attraverso un’operazioneculturale coraggiosa, che, ancora oggi, trova ostacoli ad affermarsi.Altamente meritoria nella sua carriera artistica è stata, di fatti, l’intui-zione di proporre le esecuzioni «integrali».

In un momento storico in cui – fatta eccezione per Arthur Schnabelche presentò già dalla fine degli anni Venti l’integrale delle Sonatedi Schubert e di pianisti, quali Backhaus, che eseguivano l’intero ciclodelle Sonate di Beethoven, l’idea di eseguire integralmente un corpusdi composizioni concepite sin dall’origine come un tutt’uno (Studiop. 10 e 25 di Chopin, Clavicembalo ben temperato, Studi trascenden-tali e Studi da concerto di Listz, Iberia di Albéniz, Goyescas di Gra-nados, ecc.) non era pienamente penetrata nelle coscienze degli artistie degli ascoltatori. Il pianista italiano, forte dei potenti mezzi stru-mentali di cui disponeva e con un atteggiamento indagatore ed analiti-co da autentico studioso, eseguì, i due volumi del Clavicembalo bentemperato di Bach e fu tra i primi pianisti ad affrontare l’esecuzionedegli Studi trascendentali di Listz oltre ai Grandi studi da Paganinie agli Studi da concerto, degli Studi e dei Preludi di Chopin, di Iberiae di Goyescas ecc.

Considerato però che proprio sul Clavicembalo ben temperato Vi-dusso effettuò quella che a me sembra la revisione più significativa edanalitica da lui mai realizzata, sarebbe stato proprio interessante cono-scere l’esecuzione di quest’opera alla luce di tutto l’imponente lavoropreparatorio che egli aveva organizzato.

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La carriera didattica

La carriera didattica si svolse parallelamente a quella concertisticasino all’inizio degli anni Cinquanta. Essa lo vide impegnato, nell’inse-gnamento, come primo incarico, presso il Liceo Musicale di Padova(1933). Il Liceo Musicale di Padova aveva infatti bandito il concorsoper una cattedra di pianoforte, tra i numerosi concorrenti vi erano Vi-dusso e Vincenzo Vitale9.

I due si conoscevano già, e, ovviamente, come avviene tra personedi grande levatura, si stimavano reciprocamente, pur sostenendo meto-dologie didattiche diverse.

Il concorso prevedeva, oltre all’esecuzione d’importanti composi-zioni scelte tra il repertorio romantico, classico, moderno anche l’ese-cuzione di un Preludio e fuga di Bach, estratto ventiquattro ore primatra tutti i 48 del Clavicembalo ben temperato che il candidato era obbli-gato a presentare. Vidusso, pur dotato di una strabiliante capacitàd’assimilazione, non aveva ancora maturato l’idea di eseguire a memoria– come fece in seguito – tutti i 48 Preludi e fughe di Bach. Pertanto puravendoli studiati (o quasi) tutti, conosceva a memoria bene solo il XXIdel Primo Volume. La fortuna volle che al momento dell’estrazione fossesorteggiato proprio il numero ventuno. Vista la fortuità del caso a luiestremamente favorevole chiese ed ottenne dalla commissione il per-messo di eseguire il pezzo seduta stante senza attendere le quarantottoore. L’esecuzione sbalordì la commissione che trasse «l’erronea» con-clusione che il candidato avesse in repertorio, a memoria, l’intero Clavi-cembalo ben temperato. Quando furono rese note le graduatorie finali,Vidusso si trovò a precedere – per pochi centesimi di punto – il suoillustre antagonista Vincenzo Vitale, e vinse la cattedra. Ma l’antefattoegualmente significativo come l’intera circostanza, fu che prima che lacommissione si pronunciasse e formulasse la graduatoria, i due si erano

9 Vincenzo Vitale (1908-1984), pianista e didatta napoletano, caposcuola ed arguto saggista.

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incontrati, e Carlo aveva mostrato riconoscenza al suo amico e collegaper averlo indotto ad estrarre il Preludio e fuga. Infatti, in coscienza,non si era sentito proprio soddisfatto dell’esecuzione dei pezzi dellaprova precedente, ed aveva deciso di ritirarsi dal concorso. Era statoproprio Vitale a convincerlo a desistere da questo proposito incorag-giandolo a continuare con la fortunata conclusione che abbiamo visto.

Egli fu sempre grato al suo collega ed amico per il sostegno rice-vuto; di ciò ne rimane traccia nel Preludio XXI del Clavicembalo, piùvolte diteggiato, dove si legge: «devo la mia carriera didattica a questopreludio e fuga»10.

Proseguì l’insegnamento presso il Liceo Musicale di Verona (1937)e quindi al Conservatorio di Bologna. Da Bologna, (dove subentròad Arturo Benedetti Michelangeli) al Conservatorio di Parma (1939) esuccessivamente a Milano (1951), dove vi rimase sino al 1977.

Tra i suoi allievi sono almeno da ricordare: Marcello Abbado, MariaRosa Bodini, Elisabetta Capurso, Leonardo Leonardi, Sergio Marzorati,Piero Rattalino, Maria Gloria Tanara. È invece infondata la notizia, ripor-tata su alcuni dizionari, che cita il compianto Dino Ciani come allievo diVidusso. A Milano ebbe come allievo privato Maurizio Pollini.

Il rapporto tra i due, per le informazioni di cui dispongo, (attintequeste dalle conversazioni che spontaneamente nascevano durante leore di lezione che il Maestro, generosamente, mi impartiva presso la suaabitazione di Via Marocco 20 a Milano ed al Conservatorio «G. Verdi»),credo non sia stato tra i più idilliaci. Si raccontano vari aneddoti a ri-guardo, ma vorrei qui riportarne uno, che costituisce veritiera circostan-za, perché raccontatomi direttamente dal Maestro nel 1974. Premettoche il sodalizio artistico didattico tra i due si consolidò all’insegna degliStudi op. 10 e 25 di Chopin. Pollini pare avesse proprio iniziato dalQuarto Studio dell’op. 10 su suggerimento del suo Maestro. Questi

10 L’episodio cui faccio riferimento mi è stato riferito direttamente da Vidusso e confermatodal Maestro Vitale a Napoli nella sua casa di Via Mergellina. La coincidenza dei due racconti misembra la prova migliore della veridicità della circostanza.

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poteva proporre ogni sorta di diteggiatura al suo dotatissimo allievo che,sia pure, talvolta, riottosamente, alla fine le accettava. In occasione diuna lezione proprio su questo studio, Vidusso impose la propria diteg-giatura alla battuta 32 coincidentemente con quanto è generalmenteconsigliato: un giustificatissimo scambio di dito nella percussione ripe-tuta del Do diesis alla mano sinistra.

Pollini non accolse di buon grado questo suggerimento e continuò aribattere il Do diesis con lo stesso dito (cosa che gli riusciva agevolmen-te). Il suo maestro, che in quanto a diteggiatura era inflessibile, poseun aut-aut: «o cambi diteggiatura o ti indico la porta». L’atteggiamentoostinato di Pollini fece sì che Vidusso dovette veramente indicare al suopupillo la strada per imboccare alla svelta l’uscio di casa. Tuttavia, purconvinto di avere coerentemente agito, si pentì di essere stato così rigi-do, e si rammaricò per aver perso il miglior allievo che avesse mai avuto.

Fortuna volle che il pentimento colse anche il giovanissimo Mauri-zio che bussò alla porta del suo precettore e si sottopose nuovamentealle sue «amorevoli» cure.

Vidusso non ebbe una carriera di respiro veramente internazionale,anche se suonò all’estero in numerose occasioni. Partecipò assieme alpianista Nunzio Montanari11, al Concorso Chopin di Varsavia dove rice-vette una menzione premiata con una targa. Allo stesso concorso vi tornòquale giurato quando, dopo la vittoria di Maurizio Pollini, nell’edizionedel 1960, crebbe la sua notorietà internazionale di prestigioso didatta.

Il suo repertorio era assolutamente imponente. Come ho già avuto mo-do di dire, egli aveva potuto costituirsi questo bagaglio già in giovane età,attraverso quella curiosa esperienza «para-professionale» del mecenate.

Ovviamente in tutto ciò era stato favorito dal suo talento e dalla suavivacissima capacità di apprendimento.

Questo repertorio includeva molte Sonate di Beethoven, tra cui leopp. 110 e 111, quasi tutto Chopin, molti pezzi di Listz tra cui la Sonata

11 Nunzio Montanari, pianista e didatta, professore di pianoforte al Conservatorio di Bolzano,fu il pianista del Trio di Trieste prima di Dario De Rosa e successivamente del Trio di Bolzano.

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in si minore, gli Studi trascendentali e i Grandi studi da Paganini, laParafrasi sul Rigoletto (di cui dà notizia Mozzati), il Carnaval, gli StudiSinfonici, e la Sonata in Sol minore di Schumann che fu un suo cavallodi battaglia (a questo proposito mi pare opportuno segnalare che Vidus-so eseguiva, al posto del tradizionale «Presto» che costituisce il terzomovimento della sonata, il «Presto passionato» di cui esiste una versio-ne per pianoforte e orchestra e che raramente viene incluso nell’opera).

Ricordo che egli stesso però mi disse che non proponeva di frequentein concerto il Carnaval, gli Studi Sinfonici e la Sonata in Si minore12,perché non fu mai completamente soddisfatto del modo in cui li eseguiva.

Aveva in repertorio un nutritissimo numero di concerti per pianofortee orchestra; il Primo di Mendelssohn, il Primo di Chopin, il Secondo diBrahms, il Primo Concerto e il Totentanz di Liszt, il Concerto di Schumanne quello di Grieg, il Secondo di Saint-Saëns, il Primo di Cajkovskij,Notti nei giardini di Spagna di De Falla, il Concerto di Margola.

Come si vede, era un repertorio di derivazione classica, che guarda-va più al tardo Ottocento che al Novecento, anche se Vidusso fu tra iprimi a concepire e a realizzare l’integrale di Albéniz (Iberia) e di Gra-nados (Goyescas).

Ne costituisce un esempio il programma che egli eseguì per la So-cietà del Quartetto di Milano, che cito a memoria avendo avuto mododi leggerlo in casa Vidusso:

— J. S. Bach: Preludio e fuga per organo in Re maggiore— D. Scarlatti: 4 Sonate— J. Brahms: Intermezzo e Variazioni su un tema di Paganini (I e II

fascicolo)— F. Chopin: Ballata op. 23 e 3 Studi (op. 10 n. 3, op. 25 nn. 6 e 11)— F. Liszt: Studio in Fa minore e Rapsodia ungherese n. 6— S. Prokof’ev: Toccata op. 11

12 Carnaval e Studi Sinfonici di Schumann, Sonata in Si minore di Liszt.

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È un tipico programma da grande virtuoso in cui prevale quel carat-tere miscellaneo che oggi susciterebbe le critiche di quei «puristi» chenon considerano che il pubblico, se pure interessato ai programmi mo-nografici, non disdegnerebbe ogni tanto un recital maggiormente varie-gato e articolato.

Purtroppo ogni altra documentazione è andata non solo perduta, maaddirittura distrutta da lui stesso che, alla morte della madre, bruciòtutto quanto riguardava la sua attività artistica, (così è andata al rogoanche la famosa «lettera testimonianza» che Moritz Rosenthal scrisseper Vidusso dopo averlo ascoltato ancora ragazzino).

Era uno strumentista più incline ad un pianismo brillante (e le suequalità tecniche glielo consentivano) che ad uno coloristico ed intro-spettivo, come dimostrano anche le sue incisioni discografiche.

Purtroppo gli unici documenti sonori che di lui restano sono quelliriversati su disco dalla RAI, che aveva nel suo archivio importanti regi-strazioni. Alludo all’Invito alla Danza di Weber-Tausig, agli Studi daConcerto e ai Grandi studi da Paganini di Liszt, a Iberia (Libro III eIV) di Albéniz, a Goyescas di Granados, a Milhaud ed al Primo Concer-to di Liszt. È chiaro che tutto ciò non basta a caratterizzare un artista,ma è pur sempre utile per darci un’idea delle sue tendenze culturali edestetiche. Restando in tema di registrazioni discografiche vale la penadi accennare al «giallo Vidusso» e cioè alle registrazioni su microsolcoattribuite a Vidusso e da lui stesso mai riconosciute.

Durante gli anni Cinquanta e Sessanta, probabilmente a ragione degliscarsi controlli che venivano effettuati, nacque un’intensa attività dipirateria discografica principalmente ad opera di due case che avevanosede in Inghilterra: Allegro Royale e Royale. Ma anche altre case discogra-fiche furono coinvolte: Allegro Elite, King, Vanity, Halo, Grammophonee Concertone. Sostanzialmente questa attività si svolse su due diversifronti. Uno tendente ad attribuire a pianisti sconosciuti esecuzioni tratteda registrazioni live di grandi pianisti (come Kempff e Backhaus). Nelcaso nostro, la casa inglese sfruttò il suo nome chiamandolo, in alcunicasi, Conni Vidusso e presentandolo come «a quite well- known italian

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pianist» (un pianista italiano abbastanza famoso) per alcune incisioni suLP. Ma in seguito Rattalino attestò che questi non aveva mai riconosciutocome sue quelle incisioni13. Si trattava del Concerto di Schumann, delPrimo di Mendelssohn, del Concerto op. 11 di Chopin, del ConcertoKV 414 e del Doppio Concerto KV 365 di Mozart. Nei dischi figuravanoanche incisioni di singoli pezzi pianistici.

Il metodo di lavoro

Vidusso era un pianista dotato di una diabolica ed incredibile facili-tà di lettura. La veridicità di alcune circostanze accorsegli, veridicitàattestata da testimonianze di persone non sospette (Mozzati, Rattalino,Vitale) è di difficile accettazione soprattutto, ove si pensi, alla spettaco-larità degli avvenimenti.

Il suo metodo di lavoro allora, viene letto ed interpretato come unanaturale conseguenza di questa sua enorme versatilità strumentale. Adesempio Rattalino sostiene che Vidusso, proprio perché provvisto dipotenti mezzi, dopo aver letto un pezzo (ovviamente egli apparteneva aquella «fortunata» categoria di strumentisti per i quali la differenza trala «prima lettura» e l’«esecuzione» non è poi così marcata) e dopo aver-lo suonato, lo metteva da canto perché si annoiava; per crearsi un nuovointeresse lo riditeggiava con un criterio che ai più sembrava assolu-tamente paradossale14. Non istintivamente rivolto all’introspezione,del brano ne mutava solo l’elemento estrinseco, reinventandolo digital-mente, rinnovando, così, di volta in volta, il proprio interesse.

La convinzione, invece, che io ho personalmente maturato, sullascorta dell’applicazione pratica di questo sistema, prima come allievo

13 Cfr. ERNST A. LUMPE, Pseudonymous Performers on Early LP Records, in «ARSC Journal»,Vol. 21 n. 2, (aggiornato 11/1/99) <http://www.hensteeth.com/lumpe01.html> (ultima consultazio-ne 19/12/2000).

14 Cfr. PIERO RATTALINO, Da Clementi a Pollini. 200 anni con i grandi pianisti, Ricordi-GiuntiMartello, Milano/Firenze, 1983, p. 446.

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di Vidusso poi come docente, è che le sue diteggiature si ispirasseroad una logica sotterranea che obbedisce a tre fondamentali principi:

• adottare una diteggiatura che coinvolga tutte le dita;

• applicare una diteggiatura che dia assoluta prensilità;

• diteggiare in modo da ottenere un legato di tipo organistico.

Tipico di Vidusso era apporre ad ogni nota un numero corrisponden-te alle cinque dita della mano. Tuttavia ammetteva anche il sei, il sette,l’otto, il nove ed, eccezionalmente il dieci.

Il sei indicava le tre dita 5.4.3 assieme, con in mezzo il pollice,quando la sonorità doveva essere piena e corposa; il sette le stesse tredita in posizione traversa per le ottave sonore sui tasti neri; l’otto ilpollice che tiene assieme due tasti; il nove l’indice rovesciato per i suonida prendersi leggerissimamente; il dieci il pugno chiuso sui tasti.

Anche se questo era un lavoro che lo annoiava moltissimo, indicavail pedale in maniera alquanto particolareggiata. Le sue indicazioni dipedale erano talmente circostanziate che segnalava i casi in cui il pedaledoveva essere abbassato ma non rialzato interamente, bensì per metà,un quarto, un ottavo.

Segnava, inoltre, con due stanghette più scure ricalcate su quelle giàstampate, tutti gli accorpamenti di battute che egli riteneva avessero,nel loro insieme, senso compiuto.

Il significato da attribuire a quest’operazione è piuttosto incertoanche se, penso, che Vidusso volesse sottolineare gli incisi ed eviden-ziare, così, la simmetricità o meno di una frase. Ciò di cui andava, poi,particolarmente orgoglioso era quello di superare talune difficoltàpianistiche praticando i suoi famosi aggiusti: dividendo un passaggiotra mano sinistra e mano destra (come soluzione più agevole) quandoesso è affidato, tanto per citare un caso frequente, ad una sola mano.

Personalmente mi sembra di poter rinvenire nella diteggiatura vi-dussiana due nuclei generatori. Uno di tipo «ideologico» l’altro di tipo«strettamente pianistico».

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Il primo si riscontra nella chiara linea di tendenza volta ad esaltarel’impianto polifonico anche a costo di qualche sforzo digitale. La rego-la assoluta da rispettare è quella di non lasciare mai una nota se prima,essa, non abbia completamente concluso la sua risonanza. È chiaro chetutto ciò impone un’inusuale perizia per le soluzioni maggiormenterispettose del legato assoluto.

Il secondo si manifesta nel principio dello «scambio» o sostituzionedel dito. Emblematica in tal senso mi sembra l’analisi del Primo Prelu-dio e fuga del Clavicembalo ben temperato, opera, verso la quale, haprofuso significativi sforzi quale interprete e quale didatta. Ho più volteaccennato alle sue celebrate esecuzioni del Clavicembalo ben tempera-to, ma ugualmente pregevole è la sua revisione del Clavicembalo, maiandata in stampa15, che, a mio avviso, potrebbe costituire una possibilechiave di lettura della sua metodologia d’insegnamento.

Il suo sistema didattico prevedeva anche l’uso sistematico del metro-nomo e l’adozione di un criterio meccanico per l’apprendimento dei pezzida mandare a memoria. Quell’oggetto era onnipresente e risponde al veroche egli ne possedesse una quantità enorme. Ogni pezzo, anche quelliintrinsicamente refrattari alle imposizioni del tic-tac, veniva lavoratocon il metronomo secondo una gradualità numerica che veniva sancitadallo scorrere della tacca lungo l’asta di esso. Queste «scalate» eranouna prassi consolidata che non consentiva margini di autonomia alcuna.

Altrettanto singolare mi sembra il procedimento che egli utilizzava,(senza tuttavia imporlo a differenza di quanto faceva con le diteggiature),per l’apprendimento mnemonico dei brani. Devo dire a tal proposito chesecondo alcuni la memoria di Vidusso non era pari alle altre sue qualità(lettura, capacità d’apprendimento, capacità tecnica); tuttavia egli adotta-va un metodo che consentiva una rapida ed efficace memorizzazione.

Esso consisteva nell’imparare, isolatamente, tutte le prime righe (dellaprima, seconda, terza e quarta pagina) le seconde, e così via dicendo.

15 Ms., collezione privata della Signora Stella Vidusso Kuo Tseng-Me.

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Era un sistema, come da lui stesso ammesso, assolutamente non rispet-toso della logica musicale ma sintomatico degli sforzi meccanici cuiegli si sottoponeva.

Alla fine eseguiva tutto il pezzo, così ricomposto nella sua conse-guenzialità discorsiva e temporale, corredato dal pedale, indicazionitimbriche e dinamiche.

Vidusso e il Clavicembalo ben temperato

I criteri metodologici e didattici che ho avuto modo di descriveretrovano piena applicazione nel Clavicembalo ben temperato di JohannSebastian Bach, opera che, come ho già detto, è stata oggetto di un’inte-ressante quanto approfondita revisione da parte di Carlo Vidusso.

Aggiungo che egli usava apporre direttamente sulla partitura, cioèsulla carta stampata, la sua diteggiatura, con una penna a sfera. Li-mitatamente ad alcune composizioni (Clavicembalo ben temperatodi Johann Sebastian Bach, Fantasia cromatica e fuga dello stesso au-tore, Corale del Preludio, corale e fuga di Caesar Franck) Vidussooperava una vera e propria trascrizione; ricopiava, cioè, l’intera com-posizione sulla carta da musica e annotava, sotto o sopra ogni nota, laditeggiatura.

Pertanto, quando parlo di «manoscritto», mi riferisco al risultato de-rivante da quest’ultima operazione. Ho scelto, come esemplificazione,il Primo Preludio e fuga di Johann Sebastian Bach, dal Primo Volumedel Clavicembalo ben temperato che è «manoscritto» nel senso pocoprima indicato.

Il Primo Preludio viene intanto trascritto integralmente senza alcunaindicazione dinamica o segni di fraseggio. La diteggiatura è alquantoregolare, anche perché l’andamento delle quartine di sedicesimi non offregrandi spunti per modifiche digitali sostanziali. Alla fine, esattamentenella penultima battuta, quando viene proposto il motivo del Preludiosull’accordo di settima di dominante, emerge chiaramente un tipo di

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numerica «vidussiana»: 1-2-3 5-2-1 4-2-1-5. In essa traspare il princi-pio della «diteggiatura a scambio» e dell’idea della «prensilità»:

Molto interessante mi sembra l’esame della Fuga. Innanzittutto Vi-dusso scriveva le fughe copiando ogni voce su un rigo diverso usandosolo le due chiavi di violino e basso. L’esecutore, pertanto, si trovavaa dover leggere una fuga riportata su tre, quattro, cinque pentagrammi,a seconda delle voci che caratterizzavano la sua struttura polifonica.Erano segnalate tutte le entrate dei soggetti, anche quelli per motocontrario. Alla fine della composizione egli riportava il numero com-plessivo delle entrate del soggetto, e, in qualche fuga, anche quelle delcontrosoggetto. Ad esempio: ventuno entrate, distinte per moto rettoo contrario. Le doppie stanghette segnalavano l’accorpamento di frasi obattute aventi un senso compiuto.

Il confronto tra la revisione di Vidusso e quella di un qualsiasi altrorevisore impone subito una considerazione che potrà apparire pleo-nastica, ma che è appropriata, sembra, ai fini della completezza dellatrattazione. Risulta intanto evidente che il modo di procedere del re-visore milanese è totalmente estraneo alla concezione, ad esempio, diAlfredo Casella.

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Es. 1: J. S. Bach, Preludio BWV 846, batt. 31-35, manoscritto di C. Vidusso.

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Casella ammette, com’era in uso nel periodo in cui procedette allasua revisione, segni di espressione, legature, indicazioni di dinamica, diagogica, e suggerimenti riguardanti le modalità esecutive16.

Anche Bruno Mugellini17 indica, come Casella, la dinamica e ilfraseggio, sia pure con un indirizzo musicale ed estetico oggi non piùproponibile18.

Invece nelle revisioni di Vidusso troviamo l’asettica trasposizionedel preludio e della fuga, che sono entrambi trascritti (come abbiamogià avuto modo di notare, la fuga nella struttura tridimensionale o qua-drimensionale risultante dalla collocazione delle voci su singoli penta-grammi, e il preludio, se di impianto polifonico, anch’esso riportato conle voci separate) senza alcun segno d’espressione. Ma è l’aspetto digitaleche qui interessa; a tal proposito è giusto sottolineare, a riprova dellaversatilità e dell’acume didattico del Maestro, che esistono ben due re-visioni di Vidusso del Clavicembalo ben temperato19.

Difatti egli, come era solito fare, tornava dopo alcuni anni a ridi-teggiare ciò che aveva già diteggiato, non apportando però sostanzialimodifiche.

Nella seconda revisione del Clavicembalo, inoltre, formulò un’altraipotesi, se così si può dire: poiché la lettura in partitura su tre e quattrorighi poteva risultare troppo difficile, egli, successivamente adottò, unaditeggiatura su due soli righi, per facilitare il compito dello studente.

Ho precisato che non si ravvisano segni di espressione o suggeri-menti circa le modalità esecutive. Tuttavia, dai miei personali ricordi,Vidusso, nei preludi che erano di andamento non dichiaratamente len-to, propendeva per un’interpretazione brillante, pianistica. Nelle fughe,

16 Cfr. JOHANN SEBASTIAN BACH, Il Clavicembalo ben temperato, revisione di Alfredo Casella,Curci, Milano, 1946.

17 Bruno Mugellini (1871-1912), pianista e didatta, allievo di Giuseppe Martucci.18 Cfr. JOHANN SEBASTIAN BACH, Il Clavicembalo ben temperato, revisione di Bruno Mugelli-

ni, Breitkopf und Härtel, Wiesbaden, (1908).19 Entrambi i manoscritti fanno parte della collezione privata della Signora Stella Vidusso Kuo

Tseng-Me.

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consigliava un andamento moderato, fatta eccezione per quelle in cuila brillantezza era intrinseca al carattere della composizione. In esseproponeva di differenziare timbricamente i divertimenti e auspicavache il soggetto fosse sempre messo ben in rilievo. In un’operazione cosìaccurata come quella effettuata da Vidusso (trascrizione del preludioe della fuga, divisione delle voci su singoli pentagrammi, numerazionedei soggetti e dei controsoggetti, sviluppo accurato, anche se talvoltaopinabile, degli abbellimenti) avrebbe giustamente trovato posto un’in-dicazione delle singole parti della fuga: esposizione, divertimenti, stret-ti, pedale.

Egli, inoltre, avrebbe potuto segnalare, proprio al fine di soddisfa-re per intero la «curiosità» dello studente o dell’esecutore, le rispostetonali o reali e ricavarne così una sorta di percentuale. Fare, cioè, unoscreening più approfondito, in senso strutturale, delle fughe bachiane.

Ma veniamo adesso al confronto tra il Preludio e fuga diteggiato daCasella e da Vidusso.

È subito evidente che la diteggiatura di Vidusso non è di tipo tra-dizionale:

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Es. 2: J. S. Bach, Fuga BWV 846, batt. 1-3, manoscritto di C. Vidusso.

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Preliminarmente vorrei mettere in risalto che, a differenza di quantosi riscontra in altre revisioni, il salto di quarta, tra il Re e il Sol alla batt. 2della Fuga, non risulta evidenziato con quella cesura che viene, per con-suetudine, posta tra le due note; ma già nel controsoggetto, troviamo unaditeggiatura non tradizionale: 4-1-2-3 4-1-3-4. Nella battuta successivaabbiamo 2-3-1-2. Comincia pertanto a delinearsi il principio secondo cuiuna nota, se prima è stata suonata con un dito, quando si presenta nelpezzo a breve distanza, deve essere marcata con un dito diverso. Nellafattispecie Fa-Mi-Fa-Re 2-3-1-2 (battuta 3) alla mano sinistra.

Il raffronto con Casella (Es. 4) non ci dice nulla in proposito; questorevisore, infatti, non segna alcuna numerica limitatamente alla terzamisura; ma proprio la mancanza di indicazioni di diteggiatura sta adimostrare che egli ritiene il passo, digitalmente scontato.

Nella batt. 4 al soprano troviamo il disegno a sedicesimi in cui(seconda e terza quartina) viene applicato lo stesso principio digitale, ecioè: 5-3-4-5 4-2-3-4:

Sarebbe stato molto più semplice, ed in linea con un’idea tradizio-nale della diteggiatura, applicare invece il tipo di numerica che indicaCasella: 5-2-3-4 5-2-3-4:

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Es. 3: J. S. Bach, Fuga BWV 846, batt. 4-6, manoscritto di C. Vidusso.

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Questo revisore adotta un principio che trae la sua origine dalla con-siderazione che il cervello rifiuta un numero eccessivo di informazioni, e,pertanto, è sempre meglio che passaggi simili vengano diteggiati con lastessa numerica. Vorrei far notare ancora quanto avviene alla successivabatt. 5 (Es. 3) dove, per legare organisticamente il soprano al contralto, Vi-dusso sceglie una soluzione che prevede il passaggio del quarto dito sotto ilterzo al soprano, mentre al contralto, conformemente ai suoi principi digi-tali, il sedicesimo che segue il Fa, già legato, viene preso con il secondodito invece che con il primo. L’entrata del soggetto al basso, entrata nume-rata col 4, è caratterizzata dalla successione 5-5-5-5. Questa sembra un’ap-parente contraddizione al principio, già esposto, dello scambio di dito. Male ragioni di questa singolare numerica risiedono nella necessità di marcareenergicamente il tema. Si tratta infatti della quarta entrata, di una fuga aquattro voci e tutte le prime entrate devono essere messe nel giusto risalto.

Proseguendo quest’analisi pongo a confronto la numerica propostada Vidusso con quella indicata da Alfredo Casella relativamente allabattuta 5 della medesima Fuga. Noteremo che la diteggiatura propostadal didatta triestino, naturalizzato milanese (Es. 3), è più rispettosa deltracciato polifonico rispetto a quella utilizzata dal suo collega, nonchémancato maestro (Es. 4). Prova ne è il secondo dito sotto la quartina disedicesimi del soprano Fa-Mi-Fa-Sol: autentica raffinatezza digitale che

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Es. 4: J. S. Bach, Fuga BWV 846, batt. 1-4, revisione di A. Casella.

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consente di ben legare la voce sottostante, il Re del tenore, con il Do deltenore alla mano destra20, alla battuta successiva.

Diversa, invece, la soluzione prospettata da Alessandro Longo21 chepropone di suonare il Fa del contralto con il pollice della destra, ed arri-vare al Si, affidato alla sinistra, con il quinto dito. Così si è ovviamentecostretti ad alzare la mano, respirando sull’entrata del tema al basso22:

Nella battuta 6 (Es. 3) troviamo un’applicazione della diteggiaturache prevede lo scavalcamento del quarto dito della mano destra sulquinto dito; procedimento, questo, di derivazione clavicembalistica edorganistica di cui Vidusso fa abbondantemente uso.

L’attenzione alla polifonia e, quindi, alla tenuta delle note, in Vidus-so era maniacale. L’esempio più clamoroso è rappresentato dalla battutanove nella quale il rispetto del valore del Do, croma, segnato, alla manosinistra con la diteggiatura del secondo dito, era assolutamente obbliga-toria ed oggetto di numerosi e rigorosi controlli:

20 Il lettore avrà certamente intuito che i numeri scritti sopra le note si riferiscono alla manodestra, quelli sotto alla mano sinistra. Ciò è importante perché non sono rari i casi in cui, una voce,o parte di essa, la cui esecuzione sembrerebbe affidata ad una mano, viene poi modificata proprioin ragione dell’apparizione della numerica sotto o sopra le dita.

21 Alessandro Longo (1864-1945), compositore, pianista e didatta, allievo di Beniamino Cesi.22 Personalmente preferisco quest’ultima soluzione, più consona al modello interpretativo

organistico bachiano, in cui le entrate dei soggetti vengono proposte, specie quando sono in levare(e la maggior parte dei soggetti bachiani sono in levare) con un leggero ritardo per conferire allatesta del tema maggiore autorevolezza.

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Es. 5: J. S. Bach, Fuga BWV 846, batt. 4-5, revisione di A. Longo.

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Alla battuta 13 riscontriamo una di quelle tipiche diteggiature, appa-rentemente scomode, ma efficaci. La simultaneità dell’esecuzione delledue voci soprano e contralto (questa voce procede per sedicesimi) impo-ne un ardito – ma efficace – allargamento della mano. La sinistra, poi, ècostretta a prodursi in una prodezza digitale (tale è per le mani non troppodotate) legando il Sol diesis al La. Nella medesima battuta ci imbattiamosu una risoluzione d’abbellimento nella quale, oltre ad evidenziarsi il fon-damentale criterio digitale di Vidusso – che era quello dello scambio deldito – la fioritura, strutturalmente, presenta uno sviluppo scolastico sulquale innestare successivamente, un’interpretazione più libera:

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Es. 6: J. S. Bach, Fuga BWV 846, batt. 7-9, manoscritto di C. Vidusso.

Es. 7: J. S. Bach, Fuga BWV 846, batt. 13-14, manoscritto di C. Vidusso.

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Gli esempi potrebbero essere ancora numerosi e le comparazioni,senza dubbio, illuminanti. Ma lo scopo precipuo di questa mia breveanalisi era quello di mettere nel giusto risalto l’applicazione pratica deiprincipi didattici di Vidusso (in particolare la diteggiatura) dai qualitraeva origine l’attività quasi quotidiana del suo insegnamento.

Le curiosità del Clavicembalo ben temperato

Il lavoro analitico che Vidusso ha svolto sul Clavicembalo ben tem-perato ha fatto emergere talune curiosità che svelano aspetti inediti edinteressanti di quest’opera.

Vidusso era piuttosto parco di osservazioni sulle partiture; costitui-scono delle eccezioni quelle riportate sul Concerto in Mi bemolle mag-giore di Liszt. Tuttavia nel Clavicembalo vi sono annotazioni, sparsequa e là, che denotano il suo carattere un po’ bizzarro ed originale, maanche altre che invece confermano la sua capacità di analisi e il suoprofondo spirito d’osservazione.

PRIMO VOLUME

Preludio XI: troviamo l’osservazione di «2 in 2»23;

Preludio XIV: Vidusso vede una citazione dal Rigoletto di Verdi24

che riporta a margine della partitura:

23 Vidusso accorpa le battute di due in due apponendo le sue famose stanghette.24 Atto II, Scena terza (numero 9 della partitura).

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Es. 8: J. S. Bach, Preludio BWV 859, batt. 1-2, diteggiatura di C. Vidusso.

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Preludio XV: c’è l’indicazione di 24/16 (mentre nel Preludio XXIdel Secondo Volume quella di 22/16);

Preludio XXI: «devo la mia carriera didattica a questo preludio»25;

Preludio XXIII: «il preludio e fuga iniziano con la stessa nota»;

Preludio XXIV: «preludio con i ritornelli»;

II VOLUME

Preludio IX: «tonalità di mi magg. che impone i ritornelli»26;Preludio XI: «anche questo preludio, come il precedente, è costi-

tuito da episodi di 2 in 2»;Preludio XII: «preludio con ritornello»;Preludio XVII «il tema della fuga è tratto, o quantomeno identico, ad

un frammento della fuga XII del primo volume»27.

La Sonata di Alban Berg

Dall’analisi della Prima Fuga del Clavicembalo ben temperatoemergono i principi fondamentali che animano la teoria digitale di Vi-dusso. Che questi siano i principi cardini del suo sistema lo dimostrala circostanza che un brano, dato alla luce, quasi trecento anni dopo lafuga bachiana, sia stato diteggiato applicando lo stesso criterio. Il riferi-mento è alla Sonata op. 1 di Alban Berg, che affascina per la sua inten-sità espressiva e la perfetta costruzione formale.

25 Si allude al concorso per la cattedra di pianoforte al Liceo Musicale di Padova, nel 1933.26 Alcune composizioni di Bach scritte nella tonalità di Mi maggiore figurano con i ritornelli

(Suite Francese in Mi maggiore n. 1, Invenzione a 2 voci in Mi maggiore n. 6, Preludio IX in Mimaggiore del Secondo Volume del Clavicembalo ben temperato). Vidusso, che amava il paradosso,trasse la conclusione che questa tonalità quasi imponesse i ritornelli.

27 Cfr. la testa del tema della Fuga XVII del Secondo Volume del Clavicembalo ben temperatodi Johann Sebastian Bach con la battuta 25 della Fuga XII del Primo Volume, in particolare il fram-mento affidato alla mano sinistra.

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Vista l’omogeneità che intercorre tra le sue composizioni – omoge-neità digitale, beninteso! – mi chiedo se sia possibile diteggiare Bergallo stesso modo di Bach.

Pur ammettendo che l’organizzazione digitale di una composizionesegua dei criteri rigidi, desunti aprioristicamente, è altrettanto vero chela pratica applicazione dovrebbe tener conto del contenuto musicale delpezzo, delle sue intrinseche caratteristiche. Accogliendo invece l’ideache la diteggiatura sia un fatto puramente meccanico e che, il revisore,non sia vincolato, nella sua opera di digitazione, al contenuto musicaledel brano ed allo stile, la diteggiatura, può essere codificata a priori edi criteri cui si ispira, possono essere applicati incondizionatamente.

L’accentuazione degli elementi extramusicali, ad esempio, è statouno dei punti saldi di una celebre scuola pianistica italiana; questa ave-va posto nel giusto rilievo il rapporto intercorrente tra azione muscolaree sonorità predisponendo le condizioni fisiologiche di base per ottenereun sano approccio alla tastiera. Ma essa si era spinta anche ad indivi-duare il tipo di attività muscolare necessaria per ottenere una determi-nata sonorità giungendo anche a sostenere che certi autori si suonanocol braccio, altri con le spalle, certi con le sole dita, ecc.; un brano ha,invece, una sua propria dimensione sonora, musicale, psicologica chesfugge, talvolta, alle codificazioni pianistiche.

Anche la diteggiatura dovrebbe pertanto tenere conto di alcuni aspetti,non eminentemente meccanici, ed armonizzarsi con essi. Il gesto pianisti-co, per esempio, in taluni non rari casi, rappresenta l’elemento di trainodell’esecuzione di un certo passaggio tecnico, di un disegno melodico edi un’accentuazione musicale e condiziona, ovviamente, la diteggiatura.A questo proposito devo precisare che alcuni celebri caposcuola italiani(Vincenzo Vitale, Alberto Mozzati, Antonio Trombone28, lo stesso Vidusso)hanno completamente azzerato il gesto come elemento di produzione

28 Antonio Trombone (1913-1985), pianista e didatta palermitano professore in quel Conser-vatorio per lunghissimi anni: è autore di un metodo per pianoforte (Il primo libro per lo studio delpianoforte) e varie raccolte di composizioni per principianti .

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della sonorità. Solo in alcuni rari casi hanno poi tentato di recuperarlo ocome elemento scenografico o espressivo (la pausa di gesto), ma maicome punto di forza della loro didattica. Per inciso dirò che analizzandoil modo di suonare di alcuni grandi pianisti di epoca non recente mi haparticolarmente colpito un filmato nel quale Josef Hofmann esegue ilcelebre Preludio in Do diesis minore di Rachmaninov. Chi conoscequesta esecuzione (avendo avuto modo di visionare una video-cassettache la riproduce)29 noterà che ci troviamo di fronte ad una gestualità ditipo muscolare e non meramente scenografica che mira non ad amma-liare lo spettatore bensì a favorire le condizioni muscolari per una resasonora ottimale dell’esecuzione.

Ritornando ancora sulla Sonata di Berg30 mi sembra di poter rinve-nire in essa la stessa struttura digitale (Es. 9) che ha animato la PrimaFuga di Bach: rispetto assoluto del dettato polifonico (a costo di qual-che affaticamento muscolare) ed esaltazione di quei materiali melodici(«residui motivici», come li chiama Adorno31) che costituiscono lacaratteristica strutturale e compositiva del lavoro di Berg.

La disamina specifica della partitura ci porterebbe ad una lunga analisi:valgano, tuttavia, a titolo d’esempio la battuta 1 nella quale, per consen-tire il legato alla voce superiore parte dell’accordo di terza è suonatocon la mano sinistra, e la battuta 4 dove l’attenzione di Vidusso ha peroggetto il dettato polifonico e l’incipiente poliritmia.

29 Cfr. The Golden Age of the Piano: Great Pianists of the 20th Century, Philips, VHS 070153-3, 1994.

30 La partitura della Sonata di Berg diteggiata da Vidusso fa parte della collezione privatadella Signora Stella Vidusso KuoTseng-Me.

31 Cfr. THEODOR WIESENGRUND ADORNO, Alban Berg, Il Maestro del minimo passaggio, a curadi Paolo Petazzi, Feltrinelli, Milano, 1983, p.61.

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Fantasia cromatica e fuga

Un’esperienza che, a parer mio, è interamente da percorrere, è quelladel Vidusso trascrittore. Vidusso, come più volte ho detto, era partico-larmente attratto da un certo tipo di ingegneria pianistica, affidare, cioè,alla mano destra ciò che era scritto per la sinistra, e, viceversa.

Tuttavia poco nota è la sua attività di trascrittore, di cui costituisceesempio la Fantasia cromatica e fuga di Johann Sebastian Bach. Questacomposizione pone all’esecutore complessi problemi stilistici ed interpre-tativi. Il più arduo risiede nella difficoltà di conciliare, già nella fantasial’aspetto improvvisativo con quello austeramente contrappuntistico.

Il brano, nella revisione di Carlo Vidusso (Es. 10), è tutto manoscritto(ovviamente mai andato in stampa)32; emerge palesemente il tentativo di

32 Il manoscritto fa parte della collezione privata della Signora Stella Vidusso Kuo Tseng-Me.

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Es. 9: A. Berg, Sonata op. 1, batt. 1-7, diteggiatura di C. Vidusso.

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armonizzare la sua innata tendenza a modificare, architettare, inventare,con il serio impegno di studioso attento a posporre ogni esigenza di pro-tagonismo alle regole che un’esegesi accurata ed onesta della partituraimpone. Ciò che all’inizio cogliamo è l’indicazione metronomica sugge-rita dal revisore. Essa, lungi dall’essere solo ed esclusivamente un’indi-cazione di velocità, è invece, espressione di una precisa idea musicale.Le scale ascendenti e discendenti devono essere proposte con autorevo-lezza, quasi un’improvvisazione estemporanea. L’indicazione metrono-mica posta all’inizio, 152 per la semiminima (lo stacco di tempo dellosviluppo, terza riga, invece è 100 per la semiminima) induce a ritenereche Vidusso abbia voluto esaltare il carattere enigmatico, come sead una domanda (dominante) seguisse una risposta (tonica). Dalla terzariga il tempo è, come ho accennato, relativamente mosso: 100 per lasemiminima. Si sviluppa così un disegno di terzine affidato alla manodestra e su di esse viene apposta una tipica diteggiatura a scambio; essaconferisce al passaggio brillantezza e aiuta a realizzare il «non legato».

Il resto della partitura vede il frequente uso del pollice sui tasti neri.La diteggiatura di Vidusso consente in questo pezzo un’esecuzioneenergica, drammatica, e ritengo che tutto ciò non sia casuale ma espres-sione implicita di una precisa idea estetica. Proseguendo in questa breveanalisi vorrei mettere in rilievo quanto avviene alla battuta 33 (Es. 11),dove, oltre ad imbatterci in una delle rarissime indicazioni che non ri-guardano la diteggiatura («con libertà di ritmo»), troviamo lo sviluppodegli accordi con figurazioni a terzine che a mio parere ne facilitano siala comprensione che l’esecuzione.

Nella medesima battuta fa capolino, come ho accennato, l’indica-zione con «libertà di ritmo». Il suggerimento è senza dubbio pleonasti-co, ma esprime il desiderio di trascendere il fatto puramente meccanicodigitale. Raramente, nelle sue revisioni, egli ha utilizzato considera-zioni di tipo espressivo: ciò appare curioso se si pensi a quale dovesseessere la sua conoscenza del repertorio pianistico (per averlo praticatodirettamente) e quali consigli esecutivi, espressivi avrebbe potuto se-gnalare in calce alla partitura. In linea con l’iniziale impegno program-

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Es. 10: J. S. Bach, Fantasia cromatica e fuga BWV 903, batt. 1-8, manoscritto di C. Vidusso.

Es. 11: J. S. Bach, Fantasia cromatica e fuga BWV 903, batt. 32-35, manoscritto di C. Vidusso.

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mato (conciliare il carattere improvvisativo con il rigore formale) nelrecitativo (Es. 12) Vidusso sviluppa tutti quanti gli abbellimenti allaluce dei suoi personali principi, ma li incasella in una trasposizionescolastica, metronomica, non in sintonia con il carattere di recitativostrumentale di questa sezione.

Troviamo, per chiarezza espositiva, il raddoppio di tutti i valori dellenote allo scopo di rendere più agevole la lettura dei sedicesimi. Consi-gliava, secondo una giusta prassi, di arpeggiare sempre gli accordi eccettoquelli dissonanti, nei confronti dei quali l’arpeggio mitigherebbe l’urto

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Es. 12: J. S. Bach, Fantasia cromatica e fuga BWV 903, batt. 47-55, manoscritto di C. Vidusso.

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causato dalla dissonanza. Nella Fuga, che è trascritta su tre pentagram-mi, esiste qualche rara osservazione, in particolare nella battuta 27 eseguenti, dove Vidusso consiglia di fare emergere la linea del contralto.

Le Variations seriéuses di Felix Mendelsshon-Bartholdy

La struttura polifonica, che Vidusso ha esaltato nel Clavicembaloben temperato di Bach, è egualmente presente in una composizione ro-mantica: le Variations seriéuses di Mendelsshonn33, opera nella quale,per quanto possibile, attraverso una diteggiatura che sottolinea il trac-ciato polifonico, egli tende a realizzare il legato assoluto (Es. 13).

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33 La partitura delle Variations seriéuses di Mendelssohn con le diteggiature di Vidusso faparte della collezione privata della Signora Stella Kuo Tseng-Me.

Es. 13: F. Mendelssohn, Variations seriéuses op. 54, batt. 1-18, diteggiatura di C. Vidusso.

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Gli aspetti relativi alla tecnica del legato sono stati approfonditi dastudiosi di cose pianistiche e da famosi didatti; Vidusso – e di ciò egline ha dato contezza nel Clavicembalo ben temperato – propende per il«legato di dito» che impone un uso molto parco del pedale e obbligaalla diteggiatura cosiddetta «a scambio».

La matrice di tutto ciò è di derivazione classica, di quell’orien-tamento cioè che privilegia l’attività del dito, in ogni suo aspetto, rele-gando ad un ruolo gregario il braccio, la spalla e l’avambraccio.

La valenza della tecnica del «legato di dito» è stata ampiamente rico-nosciuta da Chopin; egli pur ponendosi, di fronte ai suoi contemporanei,quale geniale innovatore sia sul piano esecutivo che su quello didattico(leggendaria era la sua meticolosità d’insegnante: incontentabile neldisegno di una frase, pretenzioso al massimo nella bellezza del suono)faceva uso del tradizionale legato di dito.

A ragione di ciò il compositore polacco non amava il Thalbergpianista, che invece otteneva il suono legato attraverso una particolarequanto moderna pedalizzazione.

La ragione storica, ovviamente, della diversa impostazione che Cho-pin e Thalberg avevano in ordine ad un aspetto così importante della tecni-ca pianistica è la seguente, a mio avviso. Chopin, per quanto possedesse unistinto didattico ardito e avveniristico (ricordiamo quanto egli stesso scrivenegli Appunti per un metodo)34 a proposito della diteggiatura, della po-sizione della mano, dell’avambraccio, rimane pur sempre ancorato allatradizione classica, che vede nella polifonia «l’humus» entro cui simuove l’estro compositivo; la sua didattica, pertanto, ne è condizionata.

Thalberg35 è invece propugnatore della differenziazione del «can-to», della «melodia», dal suo accompagnamento attraverso due diversiatteggiamenti muscolari del braccio. In sostanza egli era orientato verso

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34 Cfr. ALFRED CORTOT, Alcuni aspetti su Chopin, Curci, Milano, 1950, pp. 54-66. Nel decimofoglio del manoscritto di Chopin (trascritto a p. 63 del libro di Cortot) vi sono osservazioni sullaposizione della mano e sulla diseguale conformazione delle dita.

35 SIGMUND THALBERG, L’Arte del canto applicata al pianoforte, F.lli Bucca, Milano-Lucca, 1850.

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«la tecnica del peso del braccio», e, ovviamente, legava poco col ditoperché il tasto era tenuto in fondo dal peso del braccio e il dito fornivasolo il sostegno al braccio. A me pare che l’impostazione di Vidusso percome essa emerge dalle sue diteggiature, sia più vicina a Chopin chea Thalberg.

Ondine e XI Variazione degli Studi sinfonici

Un’ulteriore affermazione della tecnica del dito si rinviene in Ondi-ne di Ravel (Es. 14), tratto dalla suite Gaspard de la Nuit. Vidusso pro-pone un tipo di diteggiatura – ad esempio, nella seconda battuta, 3-4-3-35-3-3-5 3-4-3-3 5-3-3-5 – che se ad un tempo consente di eseguirechiaramente tutte le note di questa scomodissima quanto suggestivapagina, peraltro risulta prima facie, disagevole e non in sintonia conil carattere generale del pezzo che richiede un’esecuzione vaporosa edevanescente, cosa che questa numerica, più consona ad un’esecuzione«martellata», probabilmente forse non consente.

Le ragioni che a mio avviso hanno indotto il didatta milanese a«sposare» le ragioni del dito, risiedono nell’area culturale e didatticad’appartenenza. Il suo nucleo d’origine era, come ho avuto modo didire, sostanzialmente di derivazione classica (per Sâint-Säens il princi-pe dell’esecuzione è il dito). Non fu influenzato dalle teorie di Deppe36,di Breithaupt37, di Matthay38, che avevano avuto scarsa incidenza nelnostro paese; conosceva Attilio Brugnoli39, ma, sollecitato da me affin-ché esprimesse un giudizio intorno alle nuove teorie di Brugnoli elabo-rate nella Dinamica pianistica40, mi disse che aveva una grande paura

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36 LUDWIG DEPPE, Klavier Leherer, Lipsia, 1885.37 RUDOLF MARIA BREITHAUPT, Die naturliche Klaviertechinik, Lipsia, 1905.38 TOBIAS MATTHAY, L’arte del tocco, F.lli Bucca, Milano-Roma, 1911.39 Attilio Brugnoli (1880-1937), pianista e didatta.40 ATTILIO BRUGNOLI, Dinamica pianistica, Ricordi, Milano, 1942.

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Es. 14: M. Ravel, Ondine, batt. 1-9, diteggiature di C. Vidusso.

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di suonare. Implicitamente avvertiva l’inutilità di quanto elaborato daldidatta romano.

Se invece confrontiamo l’undicesima variazione degli Studi sinfoni-ci op. 13 di Schumann (Es. 15) notiamo una circostanza, a mio parere,degna di nota. In questa pagina, particolarmente nell’accompagnamen-to affidato alla sinistra, vista la diteggiatura che Vidusso ha applicato inOndine ci si aspetterebbe di trovare una consimile soluzione. Viceversaegli non appone una sostituzione di dito favorendo così, un’esecuzio-ne più suggestiva e persino impressionistica. Questa potrebbe essereuna contraddizione; ma il tutto va invece interpretato come il segnaledell’adattabilità delle rigide regole alle esigenze musicali che di volta involta sopravvengono.

Conclusioni e riflessioni

Heinrich Neuhaus, nel suo celebre libro L’arte del pianoforte41 sioccupa del problema della diteggiatura e fissa dei principi che cosìsintetizza:

• la diteggiatura deve sempre seguire il senso musicale;

• la diteggiatura può adattarsi alla mano;

• va sempre rispettata la diteggiatura autografa indicata dall’autore.

Regole importanti, poste da uno dei più accreditati didatti del mondo,che annoverava tra i suoi discepoli nientemeno che Emil Gilels, SviatoslavRichter e Radu Lupu (Neuhaus ammette, non senza civetteria, di avereavuto ben diciotto allievi vincitori di concorsi internazionali)42. E tuttaviatali principi pedagogici mi sembrano assolutamente antitetici a quelliche risultano dall’esame delle diteggiature di Vidusso.

41 HEINRICH NEUHAUS, L’arte del pianoforte, a cura di Valerij Voskobojnikov, Rusconi, Mila-no, 1985, pp. 195-201.

42 HEINRICH NEUHAUS, Riflessioni, memorie, diari, a cura di Valerij Voskobojnikov, Sellerio,Palermo, 2002, p. 64.

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Es. 15: R. Schumann, Studi sinfonici op. 13: Variazione XI, batt. 1-10, diteggiature di C. Vidusso.

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Il didatta milanese non sempre rispettava le diteggiature autografe ela sua intolleranza a mutare la numerica da lui stesso imposta, dimostraquanto il suo atteggiamento fosse contrastante con il secondo postulatodel didatta e pianista russo.

Di contro la diteggiatura ed il senso musicale dovrebbero percorrerestrade parallele; spesso, invece, quest’ultimo viene sacrificato all’inse-gna delle soluzioni pianistiche più agevoli.

Gli aggiusti poi, se non altro, provocando un mutamento del timbro,costituiscono una discutibile autonomia del revisore nei confronti dell’au-tore. Vediamo pertanto, come due grandi didatti, appartenenti a duescuole diverse, pur accomunati da un’indiscussa credibilità, professino,su questo argomento, idee contrastanti, quasi opposte. D’altro cantonon mi sembra che neppure nei vecchi e celebri trattati di pianoforte(Clementi, Hummel, Fétis, Adam, Czerny, Kalkbrenner ecc.) si trovinodei principi digitali che in qualche modo possano essere stati recepiti ofatti propri da Vidusso. Credo pertanto che l’attività di digitazione operatadal didatta milanese sia personalissima. Solo l’uso degli scavalcamentifarebbe pensare a Chopin (spesso confutato)43 e ai clavicembalisti.

Prima di concludere vorrei accennare alla sua attività compositiva especificatamente alla Danza Cilena44 che assieme alla Fantasia Cinese45

costituiscono le sue principali composizioni per pianoforte composte inetà giovanile. La Danza (Es. 16) è un lavoro di un precoce compositore-pianista; ciò si deduce dalla testimonianza di Mozzati46, che lo ascoltò daadolescente (i due erano quasi coetanei, essendo nato Mozzati nel 1917),durante un concerto tenuto da Vidusso al Conservatorio di Milano.

43 Ad es. nel Notturno op. 27 n. 1, Vidusso sostituisce alcune delle diteggiature originali diChopin con le proprie. La partitura del Notturno op. 27 n. 1 di Chopin diteggiata da Vidusso fa partedella collezione privata della Signora Stella Vidusso Kuo Tseng-Me.

44 CARLO VIDUSSO, Danza cilena, Edizioni Metron, Milano, 1945. (Edizioni Metron n. 622).45 CARLO VIDUSSO, Fantasia cinese, Guglielmo Zanibon, Padova, 1935.46 Cfr. l’intervento di Alberto Mozzati nella presentazione all’Omaggio a Carlo Vidusso, LP (2),

Fonit Cetra-Archivio RAI, LAR 24.

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Es. 16: C. Vidusso, Danza cilena, batt. 1-9.

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Ad un primo esame la composizione sembra riecheggiare l’impo-stazione formale di Alborada del Gracioso di Maurice Ravel dovetroviamo una danza, una parte melodica e quindi la ripresa.

Armonicamente presenta degli spunti interessanti ma ciò che piùcolpisce sono i frequenti riferimenti al pianismo di Liszt e Ravel attra-verso delle vere e proprie citazioni. Le indicazioni metronomiche sono,ovviamente, apposte dall’autore.

Appare tuttavia curioso che un virtuoso della statura di Vidussoabbia concepito una danza nella sua dimensione storica popolare, senzatrarre elementi per una sperimentazione pianistica del tutto originalee più consona al suo istinto pianistico principalmente rivolto agli aspettitecnico-meccanici della musica.

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Alla morte di Vidusso, la vedova, che è depositaria di tutte le com-posizioni da lui diteggiate, ha donato alla Biblioteca Civica Sormani diMilano (e non, come ci si sarebbe aspettati, alla biblioteca del Conser-vatorio dove pure il marito aveva insegnato per tanti anni) parte dellasua consistente e preziosa biblioteca musicale, che comprendeva parti-ture rare e più di novanta edizioni del Clavicembalo ben temperato.

Incamerata dalla Sormani come Fondo Vidusso, questa raccolta nonè stata ancora catalogata né sistemata (alcuni scatoloni sono depositatiin una sede distaccata) né è resa fruibile agli studiosi. In aggiunta laSormani ha regalato alle istituzioni che ne hanno fatto richiesta (biblio-teca del Conservatorio di Campobasso) alcune edizioni a stampa di par-titure ritenute doppioni, e che invece erano edizioni e revisioni diversedella stessa opera collezionate da Vidusso a scopi didattici.

In questo fondo si trovano le tre composizioni scritte e pubblicateda Vidusso: Intermezzo e Studio di fuga (1937), Fantasia cinese, Danzacilena.

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