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2. Le Scienze biologiche Ernesto Capanna Per meglio comprende la portata, e il significato dei mutamenti avvenuti nell’orientamento delle discipline biologiche nella costituzione della nuova Facoltà di scienze, s’è ritenuto necessario premettere quale fosse lo stato dell’insegnamento di quelle discipline nel quinquennio che precedette la presa di Roma, e con essa il compimento dell’Unità d’Italia. La transizione degli insegnamenti biologici, dall’Archiginnasio alla Regia Università fu, infatti, caratterizzato dal passaggio da un orientamento naturalistico e statico, improntato a un’interpretazione dei fenomeni naturali in termini di filosofia vitalista, ad un approccio dinamico e sperimentale nella didattica e nella ricerca. Aspetto fondamentale di questo cambiamento fu la riforma dell’insegnamento della Fisiologia, che venne allora intesa come lettura dei processi biologici in ordine alle leggi della Chimica e della Fisica. L’inserimento di docenti tratti dalle più prestigiose scuole germaniche (Franz Böll e Jacob Moleschott) fu elemento dominante di questa trasformazione. La transizione culminò (1896) con un’aperta adesione a posizioni di evoluzionismo darwiniano in Zoologia (Francesco Gasco e Battista Grassi) e in Antropologia (Giuseppe Sergi).
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2. Le Scienze biologiche

Ernesto Capanna

Per meglio comprende la portata, e il significato dei mutamenti avvenuti nell’orientamento delle discipline biologiche nella costituzione della nuova Facoltà di scienze, s’è ritenuto necessario premettere quale fosse lo stato dell’insegnamento di quelle discipline nel quinquennio che precedette la presa di Roma, e con essa il compimento dell’Unità d’Italia. La transizione degli insegnamenti biologici, dall’Archiginnasio alla Regia Università fu, infatti, caratterizzato dal passaggio da un orientamento naturalistico e statico, improntato a un’interpretazione dei fenomeni naturali in termini di filosofia vitalista, ad un approccio dinamico e sperimentale nella didattica e nella ricerca. Aspetto fondamentale di questo cambiamento fu la riforma dell’insegnamento della Fisiologia, che venne allora intesa come lettura dei processi biologici in ordine alle leggi della Chimica e della Fisica. L’inserimento di docenti tratti dalle più prestigiose scuole germaniche (Franz Böll e Jacob Moleschott) fu elemento dominante di questa trasformazione. La transizione culminò (1896) con un’aperta adesione a posizioni di evoluzionismo darwiniano in Zoologia (Francesco Gasco e Battista Grassi) e in Antropologia (Giuseppe Sergi).

2.1. Il romano Pontificio ArchiginnasioNegli anni attorno ai quali si completava l’unità nazionale,

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quelli che gli storici del Risorgimento chiamano Anni della preparazione, nel mondo delle scienze naturali, e soprattutto in quella che oggi chiamiamo Biologia, si andava compiendo un processo di transizione da un orientamento naturalistico, descrittivo e statico, ad un approccio dinamico e sperimentale (Fantini, 1988). Già tratteggiato sul declinare del ‘700, quest’ultimo rappresentò la vera innovazione: in luogo di descrivere le cose di natura, ivi compresi i processi biologici, si preferiva, infatti, ricercare le cause di esse. All’inizio del XIX secolo, però, col nascente positivismo di August Comte (1798-1857) le cause delle cose vennero collocate nelle cose stesse, nell’ambito dei processi chimico-fisici, e generano quel contrasto di pensiero tra immanenza e trascendenza, tra vitalismo e meccanicismo, dei quali i due modi di fare scienza erano espressione.

Di questo processo innovativo nel modo di fare scienza poterono trarre beneficio gli scienziati italiani attraverso i contatti internazionali che si ebbero durante le Riunioni degli Scienziati Italiani, promosse dal principe di Musignano (Carlo Luciano Bonaparte, 1804-1856), che si tennero, dal 1839 al 1847, nelle diverse città degli stati preunitari (Bartoccini e Verdini, 1952; Capanna, 2011). A questi convegni intervennero, infatti, anche prestigiosi rappresentanti della scienza europea, soprattutto francesi e germanici ed in minor misura britannici, che già da tempo perseguivano quell’atteggiamento innovativo sperimentalista. Da questi convegni, però, furono esclusi, da un preciso e rigoroso divieto, gli scienziati delle università del Patrimonio di San Pietro. Il Segretario di Stato, il cardinale Luigi Lambruschini (1776-1854) inviò, infatti, a tutti gli arcicancellieri dei Pontifici Archiginnasi una lettera ove si richiedeva di «[…] impedire che i sudditi pontifici prendano parte a tale riunione, non solo con l’andarvi, ma eziandio con l’avere con essa corrispondenza», pena la dimissione da ogni incarico negli stabilimenti scientifici pontifici, università, orti botanici e simili. Questo avverso atteggiamento era motivato dal timore che quelle riunioni fossero intese a «[…] effettuare l’opera disegnata della così detta filosofia, e dell’empietà

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della libertà italiana». L’effetto di tale esclusione ebbe riflessi importanti nello sviluppo scientifico dell’Archiginnasio romano che per quanto riguarda le scienze della natura, perdurò in un atteggiamento meramente descrittivo. I due atteggiamenti, naturalistico e sperimentalista, seppur differenziati nel modo di accostarsi ai problemi naturali, non sono, nella prassi, antitetici e, di conseguenza, le scienze biologiche ebbero un non minore sviluppo nella pontificia università romana.

Con la promulgazione della costituzione apostolica Quod Divina Sapientia1 emanata il 28 agosto 1824 da papa Leone XII (Annibale Sermattei della Ghenga, 1760-1829), le scienze naturali erano attribuite al Collegio Medico-chirurgico; “collegio” era denominazione che nella struttura universitaria dello Stato Pontificio corrispondeva alla Facoltà. Le Matematiche e la Fisica erano attribuite al Collegio Filosofico-matematico (Venzo, 2009). Così inserita nel Collegio medico le scienze biologiche risentivano dell’influsso statico e conservatore, legato ancora alla grande tradizione della scuola medica romana del XVII secolo: Marcello Malpighi (1628-1694), Giorgio Baglivi (1668-1707), Giovanni Maria Lancisi (1654-1720).

2.1.1. La Zoologia e la FisiologiaForse ancor più della Botanica, la Zoologia, e con essa

l’insieme della biologia animale, subì le conseguenze dell’inserimento nel Collegio medico. Vale la pena ricordare che in quel collegio si collocava anche l’insegnamento della Veterinaria, istituita da Pio VII (Barnaba Chiaramonti, 1742-1823) nel 1806 col breve Inter multiplices curas; sebbene tale insegnamento non avrà seguito nella storia della nuova

1 Questa costituzione apostolica è nota con le sole tre parole iniziali, ma è utile proseguire la lettura per ben intendere le motivazioni che la riforma universitaria si proponeva: «Quod Divina Sapientia omnes docet, omnibusque in Salutis via procedentibus his verbis proponit [...]». La traduzione è esplicita: «Poiché la Divina Sapienza insegna a tutti, e propone per tutti di procedere attraverso le sue parole sulla via della salvezza[...]».

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regia università romana, ebbe, tuttavia, grande importanza nell’organizzazione della Zoologia e della Comparativa Anatomia, e nella fondazione del Museo di Zoologia e Zootomia (Giuseppini e Capanna, 2010).

Dopo la dinastia di Luigi Metaxà (1778-1842) e suo figlio primogenito Telemaco (1803-1851), che tennero l’insegnamento di Zoologia e Anatomia Comparativa, alla morte di quest’ultimo l’insegnamento fu ripartito in Zoologia, affidato a Vincenzo Diorio (1823-1876) e Anatomia comparata attribuito a Giuseppe Ponzi (1805-1885) che lo tenne dal 1851 al 1862, quando per lui fu creata la cattedra speciale di Geologia. Quando il Ponzi passò alla Geologia, il Diorio tornò ad insegnare le due discipline accumunate sotto il composito titolo di Zoologia, Fisiologia e Comparativa Anatomia. Il suo textus che propose agli studenti per il corso aveva per titolo De apparatibus, functionibusquae organicae vitae inservientibus praeposita regni animali epitome2, dal quale ben s’intendono i contenuti e l’approccio naturalistico. Egli segue la tradizione consolidata nella zoologia dei Metaxà; Luigi Metaxà, richiesto di indicare a quale trattatistica gli studenti avrebbero dovuto far riferimento, indicò per la Zoologia l’Editio decima reformata, del 1758, del Systema Naturaedi Linneo e, per l’Anatomia comparata, le Leçons d’Anatomie Comparée , del 1805, di George Cuvier (1739-1832)3, entrambi classici di una visione fissista del mondo animale, e in netta opposizione al primo evoluzionismo lamarckiano (Jean-Baptiste Monet de Lamarck, 1744-1829). Il Diorio era un accademico importante, membro della Pontificia Accademia dei Nuovi Lincei; egli, malgrado la povertà dei suoi argomenti, entrò nella disputa sul nascente darwinismo con una poderosa memoria pubblicata negli atti della accademia pontificia del 1868 intitolata Sulla teoria dell’uomo scimmia. La tesi sostenuta era ovviamente antitetica a quella darwiniana.

2 Cfr. Kalendarium Archigymnasii Urbis Anno Scholastico 1866-67. Apud Jo. Olivieri, Romae, 1866, pag. 21.

3 Cfr. Archivio di Stato di Roma, Titolo Congregazione degli Studi, Busta 147, f. 919, doc 12.

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Ancor prima che gli fosse proposto di passare alla nuova regia università fu collocato a riposo su sua domanda il 23 novembre 1870, e per questo suo nobile gesto ebbe l’elogio del Pontefice.

Se in ambito naturalistico la fisiologia era trattata con la Zoologia e l’Anatomia comparata, in ambito medico si collocava un insegnamento distinto di Fisiologia umana attribuito a Socrates Cadet (1808-1879) che, contrariamente a quanto fece il suo collega Diorio, aderì al giuramento e conservò l’insegnamento nella nuova università romana. Il Cadet era personalità nota e stimata nell’ambiente romano; di lui si ricorda il generoso impegno nell’epidemia di colera del 1866 (Nuovi studi sul colera asiatico, Proposta per salvare l’Italia da nuove invasioni di peste colerica, e Attorno la cura, così preservativa come attuale, della peste bubbonica). Della Fisiologia in ambito della Facoltà di Medicina, dopo la riforma post unitaria si continuerà qui a trattare, perché ebbe interessanti riflessi sugli insegnamenti della Facoltà di Scienze.

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2.1.2. La BotanicaFin dai tempi di Dioscoride4 la Botanica era, per quanto

concerne l’uso dei semplici, Materia medica e con questo titolo Francesco Scalzi (1821-1890) teneva i suoi corsi nell’Ospedale di Santo Spirito in Sassia, che era la sede degli studi medici dell’Archiginnasio; egli adottava, quale textus del suo insegnamento, il poderoso trattato in tre volumi Materiae medicae compendium in usum auditorum Archigymnasii Romani5, di Giacomo Folchi (1789-1849), che fu suo maestro e predecessore nell’insegnamento. La tradizione della scuola romana di Materia medica godeva ottima fama, e lo Scalzi fu selezionato nel novero dei professori ai quali fu richiesto di passare nella nuova Regia Università; egli aderì al giuramento e seguitò a insegnare Materia Medica fino al 1890, data della sua morte.

Alla storia della Facoltà di Scienze interessa, però, l’altra Botanica, quella che si interessava alle piante per loro stesse, alla loro storia naturale, e non per i principi attivi che se ne potevano trarre. Una bella storia della Botanica a Roma, ricca di dati importanti sugli anni della transizione, ci è stata lasciata da Enrico Carano (1877-1943) che fu Professore ordinario alla Sapienza dal 1925 alla data della sua morte (Carano,1933).

L’insegnamento di Botanica, con preciso intendimento naturalistico, fu tenuto da Ernesto Mauri (1791-1836), e, con questo, la direzione del nuovo Orto Botanico che lui stesso inaugurò nel 1823. L’Orto botanico veniva così ad avere una più che decorosa sistemazione nei giardini di palazzo Salviati all’inizio della Longara, in un’area di pertinenza della Camera Apostolica, che Leone XII aveva ceduta in proprietà all’Archiginnasio con lo specifico obbligo alla conservazione e aumento dell’Orto botanico (Lanzara e Nocchi, 1984). La direzione dell’Orto rimase al Mauri fino al 1830, quando una grave infermità lo rese inabile, e fu sostituito da un fisiologo

4 Pediano Dioscoride di Anazarbe (ca. 40-90) De materia medica (Πεϱὶ ὕληϚ ἰατϱιϰῆϚ).

5 Cfr. Kalendarium Archigymnasii Urbis Anno Scholastico 1866-67. Op. cit. pag., 21.

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vegetale, Carlo Donarelli (1797-1851) e, infine, da Pietro Sanguinetti (1802-1868), che fu un eccellente ed apprezzato botanico. Egli fu dedito principalmente alla esplorazione e alla classificazione della flora spontanea nello Stato della Chiesa, studi che si concretarono in un grande trattato: «Centuriae tres romanae prodromo alter exhibens plantas vasculares circa Romam in cisapenninis pontificiae dictionis provinciis Umbria et Piceno sponte venientes (1864)» e nella costituzione di un erbario importante tuttora presente nel Museo-Erbario della Sapienza. Gli anni della direzione dell’Orto da parte del Sanguinetti videro l’inaugurazione di una grande serra, progettata dall’architetto Virginio Vespignani (1808–1882), riscaldata con una innovativa tecnica “a termosifone” (fig. 2.1).

Fig. 2.1. La serra fatta costruire da Pio IX nel 1853 su progetto dell’Architetto Virginio Vespignani. Incisione dall’Album di P. Cacchiatelli, G. Cleter, Le Scienze e le Arti sotto il pontificato di Pio IX, Roma [1860-1869]

Alla morte del Sanguinetti, Francesco Ladelci (1816-1890) assunse, dal 1868 al 1870, la direzione e proseguì l’opera del suo maestro col quale attivamente aveva collaborato nella costituzione del Museo Botanico, ricco di importanti raccolte erbarie e di collezioni di semi. Questo botanico romano viene considerato un pioniere della medicina omeopatica e, per esser seguace di tale eterodossa dottrina, nel 1870 fu posto a riposo per motivi politici, come dice Nicola Spano nella sua storia dell’Università di Roma (Spano, 1935). In realtà, il Ladelci sostiene una differente versione dei fatti; come lui stesso scrisse nelle sue memorie: «[…] per sostenere la

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dottrina di Hahnemann6, dai miei colleghi allopatici, componenti della commissione medica per la riforma della Romana Università, sono stato da questa espulso, ove occupavo la Cattedra di Botanica» (Lodispoto,1987).

Il Ladelci non nascondeva il suo pensiero vitalista, anche questo desunto dal pensiero omeopatico dell’Hahnemann; di lui infatti si ricorda uno scritto dall’esplicito titolo: «La vita delle piante e il materialismo moderno». Non meraviglia dunque che la sua personalità non fosse gradita ai riformatori della laica Regia Università.

Non deve, però, essere negato che la politica per l’insegnamento delle scienze della natura fosse fortemente sostenuta e valorizzata negli anni dei quali si è fin qui si trattato, sotto il pontificato di Pio VII (Barnaba Chiaramonti, 1742-1823) e Gregorio XVI (Bartolomeo Alberto Cappellari, 1765-1846) che Carlo Bonaparte (1832) definì “Promotor generosissimo delle utili scienze”, e poi Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti, (1792-1878). Sono questi gli anni nei quali Padre Gismondi (Carlo Giuseppe Gismondi,1762-1824) aveva fondato nel 1806, su mandato di papa Pio VII, il prestigioso Museo di Mineralogia e Storia Naturale, le cui collezioni sono, ancor oggi, il prezioso retaggio dei musei scientifici della Sapienza; sono gli anni dello sviluppo dei musei annessi ai gabinetti scientifici dell’Archiginnasio così ben descritti e illustrati nelle famose incisioni dell’album di Cacchiatelli e Cleter (1860-66).

Il 5 dicembre 1867, negli ultimi anni di un crepuscolo di una teocrazia più che millenaria, Pio IX, l’ultimo Papa-Re, inaugurava nell’Orto botanico ai Giardini Salviati alla Longara, un grande padiglione ove erano sontuosamente esposti i colossali scheletri del capodoglio spiaggiato sul litorale romano nei pressi della Torre di Palidoro, nel 1832, e della grande balenottera comune, riversatasi morta nei pressi di Santa Marinella nel 1866, ambedue elementi di grande attrazione, così come a quei tempi, ancor oggi nel nostro Museo di Anatomia Comparata (fig. 2.2). Sacchi 6 Christian Friedrich Samuel Hahnemann (1755 –1843) fondatore della medicina alternativa

nota come Omeopatia.

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Ladispoto (1983) ci fa sapere che la somma spesa per questa operazione museale, risultò essere, come da documenti d’archivio, di lire 18.987 e 95 centesimi. Non mi risulta che l’amministrazione della Regia Università, né dell’attuale Sapienza, abbiano mai impegnato per i loro musei una simile ingente quantità di danaro.

Forse tutto questo interesse era motivato dalla convinzione – ahimè fallace – che, per dirla con le parole del Canonico Audisio (Guglielmo Audisio, 1802-1882), professore nel Collegio Teologico dell’Archiginnasio dal 1851 al 1870 per Diritto della Natura e delle genti, che così si esprimeva: «[…] quanto più le scienze progrediscono, tanto rifulge il loro accordo colla storia delle vicende del globo narrate nelle Sacre Carte» (Capanna, 2011, pag. 61).

Fig. 2.2. Il padiglione dei Cetacei all’Orto Botanico a Palazzo Salviati, Incisione dall’Album di P. Cacchiatelli, G. Cleter, Le Scienze e le Arti sotto il pontificato di Pio IX, Roma [1860 -1869]

2.2. La Regia Università di RomaClito Carlucci (1810-1879) fu il primo rettore, a titolo

provvisorio per un biennio, della Regia Università, il primo

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laico a nomina regia dopo una lunga successione di ecclesiastici a nomina pontificia. Egli succedeva a Padre Mura (Leonardo Mura, in religione Bonfiglio, 1810-1882) che gli studenti dell’Archiginnasio romano chiamavano il gobbo, a causa di una vistosa gibbosità che egli, a stento, celava segreta sotto la coculla dell’abito monastico. Egli fu intransigente sia nella sua teologia neotomista – fu tra i teologi compilatori del Sillabo 7-, così come nel reprimere le intemperanze studentesche (Spano, 1935). Con la presa di Roma, si sottrasse con difficoltà dalle mani degli universitari romani che avrebbero voluto consegnarlo alla giustizia; grazie ad un lasciapassare luogotenenziale poté raggiungere la natia Sardegna. Il fatto sta a dimostrare come il trasferimento dei poteri non fosse stato poi troppo pacifico.

Non fu, però il Carlucci a gestire il rinnovamento del corpo docente, ben più autorevoli personalità tenevano le fila di questo delicato trapasso (Mottana e Doglioni, 2013): principalmente furono Quintino Sella (1827-1884) e il ministro Ruggiero Bonghi (1826-1895).

Un problema rilevante dell’organizzazione della nuova università, non fu solo quello di una docenza qualificata, ma pure quello logistico. Era infatti urgente trovare locali adeguati a fornire sede, non solo a luoghi per la didattica, ma soprattutto a laboratori dei quali necessitava un approccio sperimentalista, quale quello che si voleva fosse l’orientamento della Facoltà di Scienze. Bisogna però chiarire, per chi non è esperto nella toponomastica della Roma dei tempi di cui qui si tratta, alcuni nomi di vie e di luoghi ove ebbero sede gli stabilimenti scientifici, o gabinetti, come allora si diceva, dell’università di Roma, in cerca di nuovi spazi fuori della storica sede di Sant’Ivo alla Sapienza. Tra i numerosi conventi resi disponibili a seguito della confisca dei beni ecclesiali, Quintino Sella individuò una vasta area urbana, piantata a vigne ed orti, annessa al convento delle monache clarisse e alla chiesa di San Lorenzo in Panisperna, detta anche San Lorenzo in Formosa, poiché fu edificata nel IX secolo da Papa Formoso, sul luogo 7 Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores (1864)

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presunto del martirio del Santo. Questa era una vasta area, solitamente indicata come Vigne di San Lorenzo, delimitata a Sud da via Panisperna, da dove si accedeva ai nuovi Gabinetti di Chimica e di Fisica, ad Ovest da via Milano, con l’accesso per la Botanica, e chiusa ad Est dal complesso del convento di Sant’Antonio alle Quattro Fontane ove ebbero sede gli stabilimenti anatomici e fisiologici. All’epoca, infatti, via delle Quattro Fontane proseguiva, oltre via Nazionale, in quel tratto che dopo la morte del grande statista prese il nome di Via Depretis (Agostino Depretis, 1813-1887) (fig. 2.3). La rinomanza di quest’area, designata dal Sella a sede della Facoltà di Scienze, è legata all’Istituto di Fisica ove i ragazzi di via Panisperna compirono la prodigiosa avventura della Fisica nucleare, rinomanza che ha fatto sì che l’intero complesso di edifici universitari fosse indicato come via Panisperna, generando così qualche confusione. Il convento di Sant’Antonio fu demolito nel 1929 per far spazio alla piazza antistante il Ministero degli Interni.

Fig. 2.3. L’area delle “Vigne di San Lorenzo” nel 1894 in una Pianta della Città di Roma inclusa alla pag. 65 dell’opera di Gustavo Strafforello La Patria. Geografia dell’Italia. Vol. III, Provincia di Roma. UTET Torino 1894. 1- La Chiesa e Convento di San Lorenzo in Panis et Perna; 2- il R. Istituto Chimico-Fisico; 3- il Convento di Sant’Antonio alle Quattro Fontane; 4- il R. Istituto Botanico a via Milano.

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2.2.1. La BotanicaAl momento della presa di Roma, l’insegnamento della

Botanica e la direzione dell’Orto erano attribuiti a Francesco Ladelci, del quale s’è già detto; Ettore Rolli (1819-1879) teneva il corso subalterno di Botanica pratica e fu selezionato nel gruppo di docenti ai quali fu richiesto di prestare giuramento e passare alla nuova università. Egli aderì con entusiasmo, con la speranza che gli fosse attribuito l’insegnamento principale e la direzione dell’Orto, nella nuova laica realtà accademica. Non fu, però, così; la sua figura di scienziato, sebbene non di secondo piano, non piaceva al Sella che avrebbe voluto a Roma una persona di grande prestigio scientifico: il Rolli, al contrario, era ancora espressione di quell’approccio naturalistico, e floristico, che aveva caratterizzato la Botanica dell’Archiginnasio, e a lui fu conservato il corso di Botanica pratica. Il botanico designato a riportare la botanica romana ai fasti del Cesalpino e del Cesi, era, a giudizio del Sella, Giuseppe De Notaris (1805-1877). Senza dubbio il De Notaris era tra i più celebri botanici d’Europa e, come ci fa sapere Michele Lessona (1823-1894): «[…] riceveva nella sua modesta dimora i dotti più insigni che venivano a visitarlo da ogni parte del mondo» (Lessona 1884). La ricerca scientifica perseguita dal De Notaris riguardava quell’articolato e complesso mondo di organismi vegetali che venivano definite piante imperfette, le Crittogame, lo studio delle quali, a quei tempi, ma ancor oggi, forniva lo spunto per l’interpretazione dell’origine e dell’evoluzione del mondo vegetale. Giovanissimo, poco più che ventenne, il De Notaris si interessò ai muschi (Briophyta), ma i maggiori suoi successi nella ricerca vennero dagli studi sui licheni dei quali, proprio in quegli anni (1867), veniva scoperta la natura simbiotica da parte del botanico svizzero Simon Schwendener (1829-1919). Giuseppe De Notaris, dunque, era quel botanico d’avanguardia dedito alla ricerca sperimentalista di punta, che piaceva al Sella; non fu facile, però, convincerlo a lasciare l’università di Genova ove lavorava ormai da oltre trent’anni, ma nel 1872, per diretto interessamento del

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ministro Antonio Scialoja (1817-1877) fu chiamato a Roma. A far accettare al De Notaris il trasferimento a Roma, dovette aver un ruolo determinante la promessa di una imminente edificazione di un moderno Istituto botanico, e attorno ad esso di un nuovo Orto botanico, nell’area delle Vigne di San Lorenzo; per il momento gli furono riservati, nell’antico Convento di Sant’Antonio alle Quattro Fontane, tre stanze ove circondato dai suoi libri, dalle sue collezioni e dai suoi microscopi, continuò a lavorare fino agli ultimi giorni della sua vita. Non vide, però, realizzata la promessa che gli era stata fatta. Fu senatore del Regno e socio della Reale Accademia dei Lincei.

Per un breve periodo di sei anni, tra il 1877 e il 1883, la Botanica fu affidata a Nicola Antonio Pedicino (1839-1883) che interruppe la grande tradizione di studi sulle crittogame, dedicandosi, piuttosto, alla fisiologia e alla istologia vegetale. Alla sua prematura morte, fu chiamato Pietro Romualdo Pirotta (1853-1926) che riprese la tradizione crittamologica con degli studi fondamentali sulla peronospora della vite (Plasmopara viticola), argomento che al momento rivestiva in Italia, e in Europa, grande attualità per i danni alla viticoltura e, conseguentemente, all’intera industria vinicola. È interessante far notare come nella Facoltà di Scienze si creassero sinergie scientifiche su problemi concreti legati alla produzione agricola e industriale. Negli stessi anni nei quali il Pirotta aggrediva i problemi fitopatologici della coltura della vite dal lato botanico, il Grassi - del quale si dirà appresso – li aggrediva sul fronte zoologico, dell’entomologia agraria, con quegli studi epocali condotti con un gruppo di allievi, principalmente con Anna Foà (1886-1944), sul ciclo radicicolo della fillossera della vite (Daktulosphaira vitifoliae).

Nel delineare gli elementi importanti del rinnovamento della Facoltà di Scienze, il nome di Romualdo Pirotta si lega alla fondazione del nuovo Orto botanico nei giardini di Palazzo Riario-Corsini. Già il De Notaris era stato incaricato, come si disse, di organizzare un nuovo orto botanico a

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sostituire quello pontificio dei giardini Salviati, nell’area delle Vigne di San Lorenzo in via Panisperna, ma lo spazio a disposizione in quel sito era limitato. Vi fu attrezzato un modesto Orto, con accesso da via Milano, più che altro di servizio per le ricerche e le dimostrazioni tenute nel Gabinetto di Botanica. Restava, dunque il problema dell’istituzione di un nuovo grande Orto Botanico degno della Università della capitale del Regno. Non è facile trovare le vere ragioni che giustifichino la sostituzione dell’Orto dei giardini Salviati con una nuova struttura che, come si dirà sarebbe stata pressoché contigua ad essa. Con una buona dose di malevolenza, si potrebbe supporre che si volesse far scomparire una testimonianza inequivocabile dell’interesse e del progresso delle scienze naturali durante il periodo dell’aborrito oscurantismo pretesco, quale era l’Orto Salviati. Questo primo Orto botanico alla Longara, con le sue serre riscaldate, tecnologicamente innovative per quei tempi, e le notevoli collezioni erbarie e di semi, era, nell’opinione di illustri botanici che lo visitarono, direttori di orti botanici italiani (Giuseppe Meneghini, 1811-1889, Antonio Bertoloni, 1793-1869, Domenico Viviani, 1772-1840) e inglesi (Philip Barker Webb, 1793-1854; John Smith, 1798-1888), considerato tra i migliori d’Europa. Una sorta di damnatio memoriae, simile a quella messa in atto quando le collezioni del Museo di Padre Gismondi, e quelle Kircheriane, furono disperse nella ripartizione ai vari gabinetti scientifici della nuova Università (Capanna e Giuseppini, 2012).

Nel marzo del 1883, qualche mese prima che il Pirotta fosse chiamato a Roma, Quintino Sella aveva ottenuto dal governo italiano, per dare una sede adeguata al prestigio della Reale Accademia dei Lincei, l’acquisto dagli eredi Corsini, per la “modesta” somma di 2.400.000 lire, lo splendido seicentesco Palazzo Corsini alla Lungara, compreso l’annesso giardino, che, per oltre 14 ettari, si inerpicava sul colle del Gianicolo (Morghen, 1972). Il luogo ove costituire l’Orto botanico era dunque individuato. Il Pirotta si mise presto al lavoro e in pochi anni, dividendosi tra via Milano ove era stato edificato il bell’edificio per la

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Botanica, e via della Lungara, poté inaugurare il nuovo Orto botanico, esteso per 12 ettari sulle pendici del Gianicolo, in una fastosa cornice di una villa del più puro Barocco romano. I restanti due ettari furono ceduti al Comune di Roma per costituire il giardino del Gianicolo, dalla cui sommità il monumento all’Eroe di due mondi domina il panorama della Città.

2.2.2. La Zoologia e la FisiologiaCon le sue spontanee dimissioni il Diorio aveva lasciato

l’insegnamento e, conseguentemente, campo libero per la scelta di uno zoologo sperimentalista, come dal designato programma dei riformatori del nuovo Ateneo romano. La scelta cadde su Leone De Sanctis (1840-1901), un collaboratore di Paolo Panceri (1833-1877) che a Napoli dirigeva il Gabinetto di Zoologia Anatomia comparata. La ricerca scientifica del De Sanctis muoveva nel settore dell’anatomia microscopica e la fisiologia di Vertebrati, principalmente dei pesci. La biblioteca del mio vecchio Istituto di Anatomia Comparata di Roma possedeva le dispense utilizzate a Roma per il suo corso, che io ho potuto leggere e, a dire il vero, non vi ho trovato spunti di grande originalità. Nell’introdurre i contenuti del suo corso, e del ruolo della Anatomia comparata nell’ambito delle Scienze naturali, così si esprime: «[…] l’epoca moderna […] è quella in cui l’Anatomia Comparata assume una individuale fisionomia. È una autonomia tutta propria per opera di Giorgio Cuvier […] essendo le sue basi immutabili come le leggi della natura che Egli con il suo vigoroso intelletto seppe interpretare» (De Sanctis e Lucarelli, 1865). L’Anatomia Comparata era, per Leone De Sanctis, sempre ancorata al fissismo cuvieriano, nulla di diverso, dunque, da quanto veniva proposto agli studenti dell’Archiginnasio dal Metaxà e dal Diorio.

Nel suo periodo romano egli curò il trasferimento delle collezioni kircheriane al museo di Zoologia e Anatomia Comparata dell’Università8, e di lui si ricorda una memoria 8 ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO –EUR-. Fondo Archivio della direzione

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sullo spiaggiamento di un capodoglio in Adriatico (De Sanctis, 1881), e poco più. Fu eletto socio della Reale Accademia dei Lincei nel 1871, ma alla sua morte non fu ritenuto doveroso ricordarlo con un necrologio.

Non è facile, né possibile, arguire quanto gli esigenti riformatori della nuova Sapienza fossero soddisfatti di questa scelta caduta su di una personalità non di grande rilevanza internazionale, come da loro auspicato. Fatto sta, che un primo ritocco alla situazione della Zoologia e Anatomia Comparata venne operato nel 1873. Il nome della cattedra in questione si ricorderà era, fin dai tempi dell’Archiginnasio, di Zoologia, Anatomia e Fisiologia Comparate; alla data sopra citata la cattedra fu sdoppiata e, ciascuna di esse, rinominata: Zoologia e Zootomia, che continuò ad essere tenuta dal De Sanctis, e Fisiologia e Anatomia comparate. Su quest’ultima fu chiamato il fisiologo tedesco Franz Christian Böll (1849-1879) (fig. 2.4), giovane, ma già affermato come personalità della nascente neurofisiologia; rampollo di una genealogia di sapienti (il nonno, Franz Christian, 1775-1819, fu teologo evangelico, e il padre Franz,1805-1879, un apprezzato storico) studiò medicina ad Heidelberg, a Bonn, e a Berlino ove sotto la guida di Emil Heinrich du Bois-Reymond (1818-1896), che con il nostro Carlo Matteucci (1811-1868) è considerato uno dei padri della Neurofisiologia (Moruzzi, 1964), si dedicò a questi pionieristici studi e, come Privat Dozent, insegnò Istologia a Berlino. Malato di tubercolosi, egli cercò un sito che godesse di un tiepido sole del Mediterraneo, per cui si presentò al concorso per la cattedra di Anatomia e Fisiologia Comparate di Genova. Guido Baccelli (1830-1816), che al momento era Presidente del Consiglio Superiore di Sanità, grazie alla sua esperienza

Centrale Antichità e Belle Arti. 1860-1890. Busta 316, Fasc. 23. Oggetti di Storia Naturale consegnati all’Università, 1875 sf 5. Roma Museo Kirkeriano (sic! per Kircheriano). Contiene 14 documenti recanti i Verbali di consegna, e gli Elenchi degli oggetti kircheriani persi in carico dai direttori dei vari Musei della R. Università di Roma. Il Documento 7 (Catalogo delle Collezioni Zoologiche del Museo Kirkeriano trasportati nel museo zoologico della R. Università di Roma) reca la data15 febbraio 1875, e la firma per accettazione di Leone De Sanctis.

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di clinico medico, individuò subito il valore di questo giovane fisiologo tedesco e lo propose per la cattedra romana. Per lui fu allestito il Gabinetto di Fisiologia e Anatomia Comparata nel complesso degli edifici del convento di Sant’Antonio alle Quattro Fontane, che anche negli anni successivi restò la sede storica della Anatomia comparata romana. Tra le mura del convento sottratto alle preghiere dei monaci, il giovane fisiologo tedesco, ormai cittadino italiano col nome di Francesco Boll, compì un’importante scoperta: partendo dalle osservazioni di Max Schultze (1825-1874), che era stato suo maestro a Bonn, osservò in rane allevate al buio, ed esposte poi alla luce, la decolorazione della “porpora retinica” (rodopsina), e propose l’ipotesi, poi ampiamente confermata, che la visione fosse basata sulla foto-decomposizione di questo pigmento (Boll, 1876). Purtroppo pochi anni più tardi Francesco Boll moriva; il tiepido sole di Roma, e il vento di Ponente che a sera recava in città l’aria salubre del mare, non l’aveva potuto salvare dal mal sottile.

Fig. 2.4. Ritratto di Franz Christian Böll (fonte Wikipedia)

L’attribuzione al Böll dell’insegnamento della Fisiologia in Facoltà di Scienze costituiva, in realtà, parte di un più ampio disegno volto alla promozione di quelle discipline che costituivano in quegli anni la punta avanzata della ricerca sperimentalista in Biologia. S’era fatto cenno, concludendo la storia della Biologia nell’Archiginnasio, che il professore Socrate Cadet, titolare della Fisiologia Umana, aveva aderito al giuramento di fedeltà al Re ed aveva conservato l’insegnamento. Come avvenne per Ettore Rolli, anche il

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Cadet non si configurava nell’opinione di molti come docente all’altezza del progetto di un grande ateneo per la Capitale del Regno. Così negli anni accademici a partire dal 1873-74 presero vita, oltre a quello di Fisiologia comparata affidato al Böll, altri due gabinetti, quello Fisiologico, in Facoltà di Medicina, alla direzione del quale fu chiamato nel 1878 il famoso fisiologo olandese Moleschott (Jacobus Albertus Willebrordus Moleschott, 1822-1893) (fig. 2.5) e quello di Fisiologia sperimentale, che a partire dal 1881 diverrà, in Facoltà di Scienze di Istologia e Fisiologia generale, affidato alla direzione di Aliprando Moriggia (1830-1906) e, come vicedirettore, Giuseppe Magini (1851-1916).

Fig. 2.5. Ritratto di Jacob Moleschott (fonte Wikipedia)

L’indicazione a favore di Moleschott fu fatta da Stanislao Cannizzaro (1826-1910), ancor prima che fosse chiamato a tenere la direzione dell’Istituto chimico, ma costantemente sollecitato a esprimere pareri sulla composizione della docenza nella progettata Facoltà di Scienze. Ci si potrebbe chiedere quale competenza avrebbe potuto vantare il chimico Cannizzaro sulla Fisiologia. Forse a molti non è noto che Stanislao Cannizzaro ebbe un giovanile esordio come

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fisiologo. Nella famosa Riunione degli Scienziati Italiani del 1845, che si tenne a Napoli, e ove affluirono numerosissimi scienziati sudditi del Borbone, provenienti dalle università di qua e di là del Faro, come si usava dire, partecipò, come registra l’estensore degli atti il signor Cannizzaro Stanislao di Palermo, non ancora ventenne, che presentò, nella sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia Comparate, una relazione intitolata: «Osservazioni sopra la teoria di Weber sulla contrazione muscolare»; l’audacia, direi quasi temerarietà, del giovane Stanislao sta nel fatto che la sua relazione fu detta a seguire la presentazione di Ernst Heinrich Weber (1795-1878) che, come leggiamo negli Atti: «[…] in perspicua latinità discorre della contrattilità muscolare e della influenza del par-vago sul cuore, diversa da quella del gran simpatico, frutto di esperienze da lui stesso fatte in compagnia del chiarissimo suo fratello Eduardo (Wilhelm Eduard Weber,1804-1891)»9.Erano le epocali esperienze che portarono i fratelli Weber - un medico e un fisico - alla scoperta dell’azione antagonista dei due sistemi del Simpatico. Eppure Cannizzaro puntualmente obbiettò, precisò alcuni fatti, pur in generale accordo con quanto il grande fisiologo di Lipsia aveva detto. Il segretario della sezione, che ne curava la compilazione negli atti (Anastasio Cocco, 1799-1854), ci fa sapere che la relazione di Cannizzaro fu apprezzata più dai Fisici che non dagli Anatomisti, circostanza che ci fa capire che già in quegli anni giovanili egli comprendeva bene su quali linee doveva muovere la Fisiologia. Di qui la stima che Cannizzaro aveva di Moleschott, che si muoveva alla analisi dei processi biologici sulla base delle leggi della Fisica.

Moleschott, infatti, un po’ come fece Cannizzaro, iniziò giovanissimo, a soli 22 anni, non ancora laureato, proprio in polemica con uno dei mostri sacri della chimica dei suoi tempi, Justus von Liebig (1803-1883). Ad Heidelberg si laureò sotto la guida di Jacob Henle (Friedrik Gustav Jacob

9 ATTI della Settima adunanza degli scienziati Italiani tenuta in Napoli dal 20 settembre al 10 ottobre 1845, Parte Prima, Tipografia del Fibreno Napoli 1846, pag. 710.

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Henle, 1809-1885), der halte Jacob come era affettuosamente chiamato dai suoi allievi. Maturava in quegli anni il suo pensiero filosofico e il suo atteggiamento nella ricerca scientifica che lui stesso definiva “materialistico e socialistico” (Moleschott, 1894), posizioni che non lo aiutarono nella carriera accademica nelle università tedesche, nonostante la stima che aveva di lui il mondo scientifico, chiaramente ormai orientato in una visione positivistica dei fenomeni biologici. Così egli giustificava quella sua definizione di considerare la fisiologia: «[…] Socialistico perché soltanto se prospera l’operaio, può prosperare il lavoro; Materialistico perché se cibo e bevanda forniscono la materia che in noi si scompone e si muove, che in noi pensa e sente […]». Non è molto diverso questo suo pensare che la materialità dell’alimento si scompone e, nel cervello, diviene pensiero, da quello di Carl Vogt (1817-1895) che, con le dimostrazione di una precisa e precoce prelocalizzazione dei diversi futuri organi già nella blastula, apriva la strada alla meccanica dello sviluppo di Whilelm Roux (1850-1924); sosteneva infatti, il Vogt, che il pensiero era un prodotto del cervello così come l’urina lo era dei reni.

Rudolf Kölliker (1817-1905), però, volle Moleschott con lui al Politecnico di Zurigo ad insegnare Fisiologia. L’amicizia con Francesco De Sanctis (1817-1883), nata in un incontro al Politecnico di Zurigo, lo condusse in Italia; quando il De Sanctis divenne ministro della Pubblica Istruzione con il primo governo Cavour (1861) lo chiamò ad insegnare Fisiologia nell’università di Torino, non senza proteste e serie difficoltà nell’ambiente accademico torinese, a motivo di quella sua conclamata notorietà di materialista, e anche per una non elegante dismissione del Professor Secondo Berruti (1796-1870) che già teneva, con successo, quell’insegnamento.

Simili contrasti ed avversità suscitò il suo trasferimento per chiara fama a Roma nel 1878, ma già nella sua prolusione d’apertura dell’anno accademico emerse il fascino della sua personalità scientifica e filosofica, tanto che

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un giovane cronista della Tribuna, Gabriele D’Annunzio, ne rimase affascinato e vi dedicò un’entusiastica cronaca. Questa sua scienza e dottrina il Moleschott elargì nelle sue lezioni fino al 1892 quando, raggiunti i limiti d’età cessò dall’insegnamento con una memorabile lezione di commiato nella quale citò Charles Darwin come il maggiore protagonista della scienza del XIX secolo. Tornò alla professione medica, che era stata quella di suo padre; morì nel 1893 per un’infezione contratta da un suo paziente.

Aliprando Moriggia, piemontese, era nato a Pallanza, studiò a Torino ed era già assistente di Fisiologia col Berruti quando Moleschott giunse a Torino. Egli conservò il posto di assistente col nuovo direttore, e ne seguì l’impostazione positivista nelle sua linee di ricerca. Moriggia precedette di qualche anno, dal 1874 al 1878, la chiamata a Roma del suo maestro, quasi a tenergli in caldo il posto. A Roma egli si indirizzò all’analisi della componente materiale dei processi fisiologici, cellule e tessuti, in quella scienza emergente, l’Istologia, che, ad opera di Helmholtz (Hermann Ludwig Ferdinand von Helmhotz, 1821-1894), si andava connotando come parte integrante della Fisiologia, ed elemento di connessione con la Patologia generale. Già nell’anno accademico 1864-65 gli era stato affidato a Torino il corso di Istologia normale, così nel 1881, dopo essere stato vicedirettore dell’Istituto Fisiologico (una retrocessone temporanea, e forse programmata in precedenza) gli fu attribuito il compito di organizzare, e dirigere, un gabinetto di Fisiologia in Facoltà di Scienze con il titolo di Istologia e Fisiologia generale. In pratica, si veniva a ricostruire a Roma il gruppo torinese di Fisiologia; convivevano, infatti, nelle stanze del convento di Sant’Antonio alle Quattro Fontane, contigui tra loro, i due “stabilimenti”, quello Fisiologico in Facoltà di Medicina di Moleschott e, in Facoltà di Scienze, quello di Istologia e Fisiologia generale di Aliprando Moriggia, entrambi collocati al famoso numero civico 92 di via De Pretis, ove ebbe anche sede l’istituto anatomico di Francesco Todaro (1839-1918).

A Roma il Moriggia scoprì un giovane medico toscano, di

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Torrita di Siena, laureato però a Roma, allievo tra gli altri di Guido Baccelli, Giuseppe Magini, che diverrà suo assistente e poi vicedirettore dell’istituto di Istologia e Fisiologia generale e, infine, suo successore nella direzione quando, nel 1890 il Moriggia fu costretto per una grave malattia cardiaca, a chiedere un congedo dall’insegnamento di quattro anni e, nel 1894, a lasciare definitivamente la cattedra universitaria. Non doveva poi essere così grave quella cardiopatia, se il Moriggia moriva nel 1906, sedici anni dopo, a Pallanza dove era nato.

Il Magini, a mio giudizio, superò il suo maestro, come avverte il monito che generazioni di studenti della nostra Facoltà hanno letto nell’aula grande di Chimica: «Tristo è quel discepolo», esortano le parole di Leonardo da Vinci, «che non sopravanza il suo Maestro». Il Moriggia lo istradò nella Istologia del sistema nervoso, ma presto Giuseppe Magini si mosse in settori suoi propri; nell’elettrofisiologia (Magini 1885) con l’induzione sperimentale dell'eccitazione in tronchi nervosi con correnti elettriche, e nell’istologia e nella citologia del sistema nervoso, con lo studio dei rapporti tra la neuroglia e le cellule nervose; padrone di una tecnica microscopica raffinatissima – insegnò per vari anni anche Tecnica Istologica - descrisse strutture citologiche e tissutali fino ad allora ignote, quali i “corpi di Nissl” nei motoneuroni delle corna anteriori del midollo (Magini, 1890 a e b), analizzò nello sviluppo embrionale umano il differenziamento di neuroni e di cellule gliali ed ependimali (Magini, 1888), solo per citare un esempio delle sue scoperte precorritrici di successive conferme da parte di autori che non sempre hanno riconosciuto la priorità del Magini. Forse potrà sembrare limitativo ricordare il Magini per la sua raffinata tecnica istologica, ma ai tempi del Moriggia e del Magini, furono le capacità tecniche di questi pionieri dell’istologia, e ovviamente l’intelligenza nel desumere il significato delle perfette immagini microscopiche che erano capaci di ottenere, che determinarono il grande progresso della biologia cellulare nella seconda metà del XIX secolo. La stessa cosa si sarebbe ripetuta nella seconda metà del XX

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secolo con l’introduzione del microscopio elettronico in biologia.

2.2.3. L’Anatomia comparata e la ZoologiaCome si ricorderà, a partire dal 1873 con Franz Böll,

l’Anatomia Comparata fu sottratta al De Sanctis che rimase titolare di Zoologia e zootomia. Questa denominazione “zootomica” rappresenta una pesante regressione culturale anche rispetto a quanto si insegnava nell’Archiginnasio; come ciascuno sa, l’Anatomia comparata è disciplina di sintesi, che ricerca le cause della forma animale, mentre la Zootomia è mera pratica dissettoria. Nel 1884 l’attività del De Sanctis è ulteriormente delimitata, viene infatti chiamato, a ricoprire la cattedra di Zoologia, Antonio Carruccio (1837-1923). Laureato in medicina all’università di Cagliari, egli esercitò la professione medica, ma nel 1867 prese ad interessarsi all’entomologia ed iniziò la sua fortunata carriera come professore di Zoologia e Anatomia comparata, prima a Firenze come aiuto, e poi a Modena come ordinario; qui organizzò un bel museo di Zoologia. Egli comprendeva l’importante ruolo che rivestono i musei zoologici per il progresso della zoologia sistematica, ragione per cui si recò in Inghilterra a visitare i musei zoologici in quel paese. Il Carruccio fu chiamato a Roma con il preciso compito di organizzare anche nell’università della capitale del regno, un museo zoologico degno di tale ruolo, ed attuò puntualmente tale mandato. Le collezioni del museo zoologico romano si accrebbero velocemente raggiungendo numeri di esemplari assai ragguardevoli, sia per l’attività di ricerca di Carruccio e dei suoi allievi, ma soprattutto per l’acquisto da privati di collezioni importanti; acquisizioni notevoli di materiale zoologico pervennero dal Ministero della Marina, che raccoglieva il frutto delle spedizioni di ricerca organizzate dal nuovo Stato Italiano che vagheggiava un suo futuro coloniale. Gran copia di questo materiale zoologico giunse da quello raccolto durante la spedizione intorno al globo della Pirocorvetta Caracciolo, tra il 1881 e il 1884, condotta dall’ammiraglio Carlo de Amezaga (1835-1899) (De

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Amezaga, 1886). Anche i Savoia contribuirono al potenziamento del museo zoologico romano con il dono della collezione di Moncalieri, ricca di rari esemplari esotici (Marangoni e Gippoliti, 2011). Il Museo zoologico rimase ancora nell’antica sede di Sant’Ivo alla Sapienza ove occupava tre saloni per oltre 300 metri quadrati. Anche per la Zoologia, e il suo museo, si era programmata una sede nell’area delle Vigne di San Lorenzo, ove già erano stati trasferiti i grandi scheletri dei cetacei quando il padiglione ai giardini Salviati fu demolito (Giuseppini e Capanna, 2010), ma nel 1920 fu preferito collocarlo nell’ambito del complesso del Giardino Zoologico a Villa Umberto (Marangoni, 2009). La Zoologia del Carruccio aveva, pur sempre, un’impostazione naturalistica, ma il suo pensiero muoveva in una visione evoluzionistica darwiniana.

Negli annuari dell’Università, Leone De Sanctis compare come titolare dell’insegnamento di Anatomia comparata fino all’anno accademico 1886-87. L’Anatomia comparata, però, era di fatto insegnata dal prof. Gasco (Francesco Giuseppe Gasco, 1842-1894) (fig. 2.6). Costui si era laureato nel 1864 in Scienze Naturali nella Facoltà di Scienze di Torino, da poco istituita dalla legge Casati, interrompendo, così, la tradizione di zoologi laureati in medicina. Nominato professore di Storia naturale nel Regio Liceo Principe Umberto di Napoli, si trasferì in quella città e frequentò il museo e il gabinetto di zoologia che erano diretti dal Panceri, che lo considerava il più brillante dei suoi allievi. Quando Leone De Sanctis nel 1871 si trasferì a Roma, il Gasco ne prese il posto, e con il Panceri partecipò alle due spedizioni scientifiche nell’Alto Egitto, esperienza che ne consolidò la preparazione di zoologo. Durante uno di questi viaggi in Egitto, incontrò e strinse un’amicizia, che durò negli anni, con Ernst Haeckel (1834-1919), che lo convinse all’evoluzionismo darwiniano, del quale il Gasco fu tra i più tenaci sostenitori in Italia. Divenuto professore di Zoologia e Anatomia comparata a Genova vi rimase fino a che fu comandato a Roma per l’Anno Accademico 1884-85 a tenere i corsi dei quali formalmente era titolare il De Sanctis. In questa condizione

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2. Le Scienze biologiche 79

di Professore Comandato rimase per cinque anni fino al 1889 quando divenne ordinario di Anatomia Comparata. Interessante è sottolineare l’importanza che il Gasco attribuiva all’analisi dei processi di sviluppo nei vertebrati, che gli consentì di tenere per vari anni anche il corso di Embriologia. Nel 1886, sebbene fosse ancora nel ruolo dei professori comandati, gli fu affidato il discorso di apertura dell’anno accademico, compito generalmente attribuito a un importante professore ordinario. Il titolo di quella prolusione fu: «Influenza della Biologia sul pensiero moderno». Fu la prima volta che all’Università di Roma, in un solenne consesso, quale la cerimonia di apertura dell’Anno Accademico, si parlò di Evoluzionismo darwiniano. Il coinvolgimento del Gasco per i problemi dell’insegnamento universitario fu rilevante; eletto al Parlamento nelle legislature XVII e XVIII prese posizione a favore di una riforma universitaria nella quale fosse fondamentale l’assoluta libertà di studio e di insegnamento. Moriva a Roma, a soli 52 anni, nel pieno della sua attività di docente e di ricercatore.

Fig. 2.6. Ritratto di Francesco Giuseppe Gasco. In L. Camerano: Francesco Gasco. Cenni biografici. Boll. Mus. Zool. Anat. comp. R. Univ. Torino, 9: 1-8, 1894.

Con la morte di Francesco Gasco si aprì la possibilità di dare alla Facoltà di Scienze un docente di grande fama internazionale e la scelta cadde su Giovanni Battista Grassi (1854-1925). Senza tema di eccedere nel giudizio, si può

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affermare che Battista Grassi (Fig. 2.7) sia stato il maggior zoologo italiano dell’epoca post-darwiniana; egli fu un vero Re Mida della Zoologia, capace di trasformare in oro ogni questione zoologica da lui toccata (Capanna, 1996). Solo per citarne qualcuna, i cicli dei parassiti umani (Ancylostoma duodenale, Hymenolepis nana), i Chetognati come phylum a sé stante, le caste della società delle termiti, i rapporti evolutivi tra miriapodi ed insetti, la scoperta di un nuovo ordine di Aracnidi, i Palpigradi (Eukoenenia mirabilis), le migrazioni e la metamorfosi dei Murenoidi, il ciclo della fillosera della vite (Daktulosphaira vitifoliae). Senza dubbio furono i suoi studi sull’insetto vettore del plasmodio della malaria quelli che ne hanno reso famoso il nome; egli individuò con precisione “zoologica” in Anopheles claviger (sin. A. maculipennis) tale vettore, e aprì la via per combattere la malaria.

Fig. 2.7. Ritratto di Battista Grassi (Museo di Anatomia Comparata).

Il Grassi era cresciuto nella grande scuola biologica dell’Università di Pavia ove, ancora studente, pubblicò le sue osservazioni sugli elminti parassiti dell’uomo, ma l’impronta fondamentale della sua preparazione di anatomista ed evoluzionista gli venne dal suo soggiorno a Heidelberg, nel laboratorio di Karl Gegenbaur (1825-1903), il primo a dare,

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nel suo celebre trattato Untersuchungen zur vergleichenden Anatomie der Wirbeltiere(1864), edito solo cinque anni dopo la pubblicazione di Origin of species, una lettura darwiniana della Anatomia comparata. Analogamente si formò all’ oceanografia biologica con Nikolaus Kleinenberg (1842-1897) e con Otto Bütschli (1848-1920) alla protistologia. La sua struttura di biologo fu, di conseguenza, profondamente germanica. A soli 29 anni il Grassi divenne professore di Zoologia e Anatomia comparata nell’Università di Catania, ove sviluppò importanti ricerche che gli procurarono fama internazionale. Nel1896 la Royal Society of London gli conferì la Darwin medal che premiava il maggior zoologo evoluzionista del momento. In una lettera (fig. 2.8), conservata nell’Archivio Grassi (Capanna e Mazzina, 1998), Sir Edvin Ray Lankester (1847-1929), Presidente della Royal Society, nel comunicargli la nomination, faceva notare che prima di lui il premio era stato conferito a Alfred Russel Wallace (1823-1913) a Thomas Henry Huxley (1825-1895), il mastino di Darwin, e al grande botanico Joseph Dalton Hooker (1817-1911), amico e biografo di Darwin10.

L’Accademia dei Lincei lo aveva eletto Socio corrispondente fin dal 1887. Sull’onda di questa chiara fama internazionale, nel 1895 fu chiamato a ricoprire la cattedra di Anatomia comparata a Roma. Iniziò qui la fruttuosa collaborazione con la scuola malariologica romana (Amico Bignami, patologo, 1862-1929 e Giuseppe Bastianelli, clinico, 1862-1959) che portò il gruppo all’identificazione del vettore del plasmodio della malaria (Capanna, 2008). Questa benemerenza scientifica gli valse la nomina a Senatore del

10 ARCHIVIO GRASSI, B. 4 (Corrispondenza) f. 11, “[…] You will I hope be pleased to hear that I have proposed you as the recipient of the Darwin medal of the Royal Society for the year1896. […] The medal carries with it a prize of £ 100. The only previous recipients are Wallace, Hooker and Huxley. It was felt by the Council that the time is arrived to bestow the medal, as originally intended, on those naturalists who are still in active work and especially doing work which has important and direct bearing on Mr. Darwin’s own investigations & theories. Your work on Termites completed with that on the leptocephali –not to mention your other researches- was regarded as giving you a strong claim to the award of the medal.”

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Regno, ma non il Nobel, del quale fu insignito, nel 1902, un maggiore dell’Imperial medical service, Ronald Ross (1857-1932).

2.2.4. AntropologiaL’Antropologia, come scienza moderna, nasceva attorno

alla prima metà del XIX secolo con due anime, quella etnografica come Antropologia culturale, e l’Antropologia fisica che, per dirla con le parole di Quatrefages (Jean-Louis Armand de Quatrefages de Breau, 1810-1892): «[…] è la storia naturale dell’uomo […] trattata come farebbe uno zoologo studiando un animale». La Facoltà di Lettere della Regia Università di Roma aveva già provveduto ad istituire nel 1877, su proposta del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, la prima cattedra di Paleo Etnologia alla quale fu chiamato Luigi Pigorini(1842-1925), al quale si doveva anche l’istituzione, nel 1876, del Museo Preistorico ed Etnografico di Roma, oggi a lui intitolato. La Facoltà di Scienze non poteva essere da meno, e nel 1884 creò la cattedra di Antropologia, e l’attribuì a Giuseppe Sergi (1841-1936) che già teneva questa cattedra nella Facoltà di lettere di Bologna. Personalità complessa quella del Sergi, come quella di molti pensatori dell’Ottocento positivista, capaci di affrontare i problemi scientifici da diversi punti di vista. Per Giuseppe Sergi il problema che profondamente motivava la sua ricerca era quella del “Posto dell’Uomo nella Natura”, per citare il titolo della famosa opera di Thomas Henry Huxley, e come costui voleva, collocato in una visione di evoluzionismo darwiniano. Il Sergi fu un autodidatta; interrotti gli studi giuridici universitari per unirsi ai Mille che erano sbarcati nella sua Sicilia, iniziò la carriera come professore di filosofia nei licei, e nel 1880 divenne professore di Antropologia in facoltà di Lettere a Bologna. Chiamato a Roma fu in grado di sviluppare la sua scuola che muoveva su due direttrici di ricerca, d’un lato lo studio di popolazioni umane italiane preistoriche, protostoriche e moderne, che diedero seguito a numerose pubblicazioni di grande successo, e dall’altro la Psicologia sperimentale. A partire dal

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2. Le Scienze biologiche 83

1887, il Gabinetto di Antropologia fu trasferito nella prestigiosa sede di via del Collegio Romano, e qui il Sergi iniziò ad organizzare un Museo di Antropologia, ricco di importanti collezioni antropologiche. Nello stesso edificio Luigi Pigorini aveva già allestito nel 1875 il suo Regio Museo Nazionale Preistorico Etnografico di Roma. Quella sede era stata opportunamente scelta dal Pigorini poiché egli ereditava le collezioni etnografiche che Attanasio Kircher (1602-1680) aveva radunato nella sua celeberrima Wunderkammer del Collegio Romano. Si venivano così a trovare, in una deliberata contiguità storica e culturale, quelle che qualche riga avanti avemmo a definire le due anime dell’antropologia, ma anche le sue antiche radici seicentesche.

Tuttavia non secondaria rispetto a quella dell’antropologo fisico, deve essere considerata l’attività scientifica del Sergi nella Psicologia sperimentale. Nella bibliografia degli anni della sua attività scientifica a Roma fanno spicco due opere che lo pongono in un ruolo di prestigio anche nella Pedagogia: Per l’educazione del carattere (Torino,1884) e Psicologia per le scuole (Milano, 1890). La grande pedagogista Maria Montessori (1870-1952) fu allieva del Sergi. La fama di Giuseppe Sergi, come antropologo e psicologo, fu grande nell’Europa scientifica a cavallo dei due secoli, tanto che nel 1906 gli fu affidata l’organizzazione a Roma del congresso internazionale di Psicologia. Il suo darwinismo e il suo positivismo sono evidenti nei suoi scritti, sia che egli abbia affrontato l’evoluzione del Soma così come quella della Psiche. Questa sua propensione evoluzionista e positivista si riflesse nella scelta del suo collaboratore Lamberto Monschen (1853-1932) austriaco per nascita (era nato in Trentino, a Levico quando si chiamava ancora Löweneck), ma italiano nella sua educazione all’Università di Padova, ove era stato assistente di Giovanni Canestrini (1835-1900) il traduttore delle opere di Charles Darwin ed il tenace divulgatore del pensiero darwinista in Italia.

Con il prestigioso inserimento nella facoltà di scienze romana di Battista Grassi, in poco più di venti anni, la

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metamorfosi della Biologia si era completata; da un complesso di insegnamenti del Collegio medico dell’Archiginnasio, tradizionalista ed ancorato ad una visione statica del mondo naturale, vitalista dei processi biologici e fissista in zoologia, si era schiusa -mi si permetta la metafora entomologica- una Facoltà che poneva le sue basi nel positivismo, nello sperimentalismo, e nell’ evoluzionismo darwiniano.

Alcuni docenti protagonisti di questa metamorfosi proseguiranno il loro insegnamento anche oltre la data del 1914, con la quale si chiude quell’arco di tempo che il nostro gruppo di studio si è proposto di analizzare. Così il Pirotta tenne la cattedra e la direzione del nuovo grande Orto botanico fino al 1925, il Carruccio il grande Museo di Zoologia fino al 1914; il Sergi insegnò Antropologia fino al 1916, e lo stesso Grassi moriva il 4 maggio del 1925 e non poté terminare il suo corso dell’Anno accademico 1924-25, che sarebbe stato l’ultimo prima del suo congedo. Anche Giuseppe Magini non poté completare gli anni del suo ruolo di insegnante; moriva nel 1916, a soli 64 anni.

L’eredità di Moleschott fu raccolta da Luigi Luciani (1840-1919) che molti considerano come il vero fondatore della scuola di Fisiologia nella Facoltà medica di Roma. La sua personalità di scienziato fu senza dubbio notevole, si occupò di fisiopatologia cardiaca e respiratoria in una linea rigorosamente positivista secondo la tradizione germanica. Egli, infatti, si formò a Lipsia, alla scuola del grande fisiologo Carl Friedrich Wilhelm (1816-1895), i cui studi posero nuove basi alla fisiologia del XX secolo, e del quale il Luciani si professava discepolo. Luigi Luciani fu accademico dei Lincei dal 1887 e Senatore del Regno.

2.3. ConclusioniPer concludere questa storia breve, che copre trent’anni

importanti della nascita di una nuova e moderna scuola biologica romana, si possono proporre due considerazioni; la prima riguarda gli stretti rapporti, quasi una figliolanza, con

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la scienza tedesca. Si sarà notato come siano stati inseriti nei ruoli della docenza universitaria personalità di spicco, tratte direttamente dalle grandi università di tradizione germanica, Franz Böll e Jacob Moleschott, quasi a contraddire il ritornello risorgimentale di Giuseppe Giusti “e non vogliam tedeschi”11. I biologi italiani che poi hanno seguito la strada della nuova biologia, si sono perfezionati tutti in sedi universitarie tedesche di grande tradizione, Heidelberg, Lipsia, Bonn e Berlino. Potremmo dire che la lingua latina, che aveva avuto dimora nell’Archiginnasio, fu sostituita dalla lingua tedesca nella nuova laica Facoltà di Scienze. Il tedesco fu a lungo la lingua dotta del mondo delle scienze biologiche.

Di qui la seconda considerazione: questo rinnovamento culturale fu progettato, e reso operativo, da personalità politiche istituzionali, ministri che hanno sapientemente operato in questo processo; ma deve essere sottolineato che essi, prima d’essere uomini della politica, erano autorità prestigiose nelle scienze, così come nelle lettere e nel diritto: geologo e mineralogista Quintino Sella, clinico medico ed igienista Guido Baccelli, linguista Ruggiero Bonghi, insigne storico della letteratura Francesco De Sanctis, giurista Antonio Scialoja. Ne abbiamo ricordato le scelte coraggiose ed efficaci. La costituzione di una Facoltà di Scienze che fosse degna della capitale del neonato Regno d’Italia, e simbolo della cultura laica e liberale, era opera difficile, scientifica ma anche politica, e doveva essere gestita in maniera scientifica e politica. La nuova Università romana doveva presentarsi al giudizio di paesi scientificamente progrediti d’Europa, e non poteva essere lasciata a giochi accademici.

Il rimpianto, che oggi si sente, è quello di una Italia liberale, ove la gestione della scienza era governata da Ministri della Pubblica Istruzione che erano soprattutto grandi uomini di cultura, e al Senato del Regno sedevano famosi scienziati, e uomini di grande cultura.

11 G. GIUSTI; Delenda Carthago (1846).

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2. Le Scienze biologiche 87

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2. Le Scienze biologiche 89

Fig. 2.8. Lettera di E. Ray Lankester a Battista Grassi nella quale gli comunica la nomination alla “Darwin Medal”. Archivio Grassi - B. 4 (Corrispondenza) f. 11. Datata Oxford July 15th, 1896.

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