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VII Incontro di Studio di Analitica Rimini 2009 - gatm.it · Il Nuper rosarum flores di Dufay e la...

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VII Incontro di Studio di Analitica Rimini 2009 Seconda Sessione Tra Rinascimento e Barocco: interpretazione, forma e linguaggio Emanuele Gasparini Tra Musica e Architettura. Il Nuper rosarum flores di Dufay e la brunelleschiana cupola di Santa Maria del Fiore. Stato attuale delle conoscenze sull’argomento : La recente pubblicazione sulla rivista Musica/Realtà (n.88 marzo 2009), l’ultima pubblicazione uscita in ordine al suddetto argomento, vuole porre una nuova questione di indagine prima mai considerata, neppure dagli studi fondamentali che hanno dato il via a questo dibattito accademico [Warren(1973), Wright(1994)]. Contenuti principali della comunicazione e obiettivi della ricerca, con eventuale divisione in parti e apporti del proprio contributo rispetto allo stato attuale delle conoscenze : L’indagine affronta un argomento che da circa trent’anni è oggetto di studio della musicologia e si propone di sbilanciare maggiormente l’analisi a favore dell’aspetto storico architettonico che spesso ha sofferto di una certa carenza. Partendo dai fondamentali scritti di Warren, Wright e Trachtenberg, l’autore propone una nuova interpretazione per legare assieme i due eventi, architettonico e musicale, protagonisti dell’evento in questione. La lettura dell’Apocalisse da un lato, l’iconografia e l’ambiente culturale dall’altro, possono forse restituirci una nuova chiave di lettura per decifrare i rapporti numerici – quindi armonici – che sarebbero sottesi alle due costruzioni, musicale e architettonica. Divisione in parti : 1) Analisi della struttura architettonica e dei suoi rapporti “armonici”; 2) Analisi del mottetto Nuper rosarum flores di Dufay e dei rapporti numerici armonici in esso sottesi; 3) Legame e interpretazione tra i rapporti armonici dell’architettura e della musica analizzate; 4) Conclusioni. Bibliografia essenziale ARGAN G.C., Brunelleschi, Mondadori, Milano 1955. ATLAS A.W., Gematria, Marriage Numbers, and Golden Sections in Dufay’s «Resvellies vous», in “Acta Musicologica”, LIX, 1987.
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VII Incontro di Studio di Analitica Rimini 2009

Seconda Sessione Tra Rinascimento e Barocco: interpretazione, forma e

linguaggio Emanuele Gasparini Tra Musica e Architettura. Il Nuper rosarum flores di Dufay e la brunelleschiana cupola di Santa Maria del Fiore. Stato attuale delle conoscenze sull’argomento: La recente pubblicazione sulla rivista Musica/Realtà (n.88 marzo 2009), l’ultima pubblicazione uscita in ordine al suddetto argomento, vuole porre una nuova questione di indagine prima mai considerata, neppure dagli studi fondamentali che hanno dato il via a questo dibattito accademico [Warren(1973), Wright(1994)]. Contenuti principali della comunicazione e obiettivi della ricerca, con eventuale divisione in parti e apporti del proprio contributo rispetto allo stato attuale delle conoscenze: L’indagine affronta un argomento che da circa trent’anni è oggetto di studio della musicologia e si propone di sbilanciare maggiormente l’analisi a favore dell’aspetto storico architettonico che spesso ha sofferto di una certa carenza. Partendo dai fondamentali scritti di Warren, Wright e Trachtenberg, l’autore propone una nuova interpretazione per legare assieme i due eventi, architettonico e musicale, protagonisti dell’evento in questione. La lettura dell’Apocalisse da un lato, l’iconografia e l’ambiente culturale dall’altro, possono forse restituirci una nuova chiave di lettura per decifrare i rapporti numerici – quindi armonici – che sarebbero sottesi alle due costruzioni, musicale e architettonica. Divisione in parti: 1) Analisi della struttura architettonica e dei suoi rapporti “armonici”; 2) Analisi del mottetto Nuper rosarum flores di Dufay e dei rapporti numerici armonici in esso sottesi; 3) Legame e interpretazione tra i rapporti armonici dell’architettura e della musica analizzate; 4) Conclusioni. Bibliografia essenziale ARGAN G.C., Brunelleschi, Mondadori, Milano 1955. ATLAS A.W., Gematria, Marriage Numbers, and Golden Sections in Dufay’s «Resvellies vous», in “Acta Musicologica”, LIX, 1987.

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XVI, 1953. WRIGHT C., Dufay’s Nuper rosarum flores, King Solomon’s Temple, and the Veneration of the Virgin, in “JAMS”, XLVII, 1994.

*** Simone Ciolfi I recitativi delle Cantate di Alessandro Scarlatti: aspetti formali e funzionali I recitativi delle Cantate di Alessandro Scarlatti, già dai contemporanei additati a esempio di musica ricercata e curiosa, non sono mai stati oggetto di uno studio musicologico specifico quanto le arie che li affiancano. Descritti spesso come mera successione di triadi, i recitativi mutuano invece dalla teoria musicale dell’epoca e, nello specifico, dalle ‘regole’ del partimento, Lezzioni dello stesso Scarlatti in primis, strategie musicali che ne animano l’armonia e la natura musicale. In base a questi elementi è possibile scandire con più precisione la materia e conferire alle parti un senso direzionale più certo. In tale musica, priva di unità tonale, affidare gradi melodici al basso aiuta a individuarne il ruolo e l’effetto. Pur in un sistema fatto di unità semantiche che corrispondono generalmente a un verso, il pensiero contrappuntistico anima il rapporto tra linea vocale e basso, rapporto che genera una varietà di schemi che vestono la declamazione del testo, materiale che va ad ampliare le brevi casistiche reperibili nella trattatistica dell’epoca (Fux, Mattheson e altri). Vengono inoltre discusse le caratteristiche de alcuni testi-campione di cantate. La natura formale e il contenuto espressivo, gli aspetti ricorrenti, il grado di teatralità o introspezione, lavorano in stretta connessione con la musica. Lo studio tenta di collocare queste unità semantiche in un discorso ‘retorico’ musicale che è stato individuato in tre fasi: esordio, narrazione ed epilogo, mirando a far chiarezza in un’apparente intercambiabilità delle unità narrative. Il punto di partenza ne è la fase cadenzale, facilmente individuabile, dalla quale si parte per sondare i momenti precedenti. Oltre all’individuazione delle unità sopradette, notevole importanza è stata data anche alle modalità con le quali esse vengono collegate, spesso con l’intenzione di generare un senso di apertura protratta, una delle priorità della musica recitativa, che trova nell’uso parziale della Regola dell’ottava e delle norme del partimento una strategia che la avvicina all’improvvisazione e gli fa assumere a tratti natura quasi espressionista.

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Fabrizio Ammetto Analisi formale e armonico-strutturale dei concerti per due violini di Vivaldi In Europa il più importante compositore di concerti per due violini è senza dubbio Vivaldi, con poco meno di una trentina di lavori scritti lungo quasi il suo intero arco creativo: questo nutrito corpus offre numerosi spunti di analisi. Tutti i concerti per due violini vivaldiani sono articolati in tre movimenti, ma accanto alla classica tripartizione Allegro-Largo-Allegro in alcuni lavori si riscontrano anche differenziazioni agogiche verso il veloce o il lento che dimostrerebbero una nuova flessibilità propria del tardo periodo di attività di Vivaldi. Sebbene il Nostro costruisca i suoi doppi concerti in tonalità che impiegano fino a un massimo di tre alterazioni, secondo una prassi piuttosto comune per l’epoca, la varietà del tono utilizzato in numerosi movimenti centrali è invece senz’altro sorprendente, soprattutto se paragonata alle pratiche di Bach o di Händel che, accanto a impostazioni monotonali, adottano quasi esclusivamente la relativa minore o maggiore. La forma maggiormente utilizzata da Vivaldi nella costruzione dei movimenti veloci (e occasionalmente dei movimenti centrali) nei suoi concerti per due violini è quella ‘con ritornello’, mentre i tempi lenti sono costruiti anche secondo altre forme: come movimento di sonata per due solisti e basso continuo (a sezione unica, o bipartito e ritornellato), o come episodio solistico all’interno di due interventi orchestrali posti all’inizio e alla fine del movimento. Nei movimenti veloci costruiti secondo la ‘forma con ritornello’ le tonalità esplorate ‒ oltre al tono d’impianto ‒ sono normalmente altre due o tre (raramente quattro), ma la varietà delle sequenze armoniche impiegate è senz’altro straordinaria. Due elementi strutturali, degni di analisi, presenti nei movimenti costruiti nella forma con ritornello (ma non solo) – e che attestano un’evoluzione stilistica nei processi compositivi di Vivaldi – sono la ripresa integrale o abbreviata del primo “Tutti” a conclusione del movimento e, soprattutto, il rapporto delle proporzioni tra i ritornelli orchestrali e gli episodi solistici. Per la costruzione dei “Tutti” orchestrali nei concerti per due violini, Vivaldi adotta in un quarto dei casi una scrittura imitativo-contrappuntistica, derivata dall’esperienza del “concerto di gruppo” senza solisti. La varietà delle soluzioni impiegate va dalle semplici entrate successive a canone delle quattro voci (tutte alla tonica), a fugati, a vere e proprie esposizioni di fuga. In alcuni doppi concerti Vivaldi costruisce il primo episodio solistico utilizzando il materiale melodico dell’incipit del ritornello orchestrale; altrove stabilisce un legame melodico – seppur non sempre propriamente letterale – tra il “Tutti” iniziale e il primo “Solo”,

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o comunque ne sottolinea un’affinità semplicemente ritmica. Un’altra tecnica compositiva impiegata dal Nostro per rafforzare l’unità strutturale del brano è la ripresa dell’incipit del primo episodio solistico nell’ultimo “Solo” del movimento. E anche in numerosi movimenti centrali si incontra la ripresa abbreviata dell’incipit iniziale, esposta secondo diverse combinazioni. A livello di scrittura adottata dai due solisti nel combinare le rispettive linee melodiche, i concerti vivaldiani mostrano un panorama quanto mai ampio per varietà e originalità: si incontrano procedimenti per moti paralleli o contrari (quest’ultimo, probabilmente, un’innovazione di Vivaldi), dialoghi alternati, imitazioni in contrappunto, melodia accompagnata. In quattro concerti si incontra poi una particolare forma di combinazione delle linee melodiche dei due solisti, che potremmo chiamare “arpeggio accompagnato” (anche in questo caso probabilmente un’invenzione vivaldiana). L’accompagnamento degli episodi solistici è piuttosto variegato: dal solo basso continuo all’alternanza con le sezioni unite di violini e viole all’unisono; dalle sole sezioni dei violini all’unisono alla sola sezione delle viole; dall’intera compagine orchestrale all’unisono a sostegni armonici a due o a tre parti reali, ecc. È difficile ipotizzare un’evoluzione stilistica nella pratica vivaldiana di scrivere gli accompagnamenti “senza basso”, sebbene nelle sue composizioni (e non solo strumentali) composte fino agli anni Venti sia ravvisabile una certa tendenza che predilige quasi sempre una sola linea melodica o tre distinte, ma quasi mai due linee separate. Bibliografia Michael Talbot, The Concerto Allegro in the Early Eighteenth Century, «Music & Letters», LII, 1971, pp. 8-18 e 159-172. Peter Ryom, Verzeichnis der Werke Antonio Vivaldi: kleine Ausgabe, Leipzig, Deutscher Verlag für Musik, 1974, 19792. Karl Heller, Tendenzen der Tempo-Differenzierung im Orchester-Allegro Vivaldis, in Die Blasinstrumente und ihre Verwendung sowie zu Fragen des Tempos in der ersten Hälfte des 18. Jahrhunderts: Konferenzbericht der 4. Wissenschaftlichen Arbeitstagung Blankenburg/Harz, 26.-27. Juni 1976, a cura di Eitelfriedrich Thom, Magdeburg, Rat des Bezirks e Leipzig, Zentralhaus für Kulturarbeit, 1977, pp. 79-84. Peter Ryom, Les Manuscrits de Vivaldi, København, Antonio Vivaldi Archives, 1977. Peter Ryom, Répertoire des œuvres d’Antonio Vivaldi. Les compositions instrumentales, København, Engstrøm & Sødring, 1986. Peter Ryom, Vivaldis koncerter, København, Engstrøm & Sødring, 1994. Jutta Stüber, Tonart und Stimmung in Streichsatz, in Stimmungen im 17. und 18. Jahrhundert: Vielfalt oder Konfusion? 15. Musikinstrumentenbau-Symposium in Michaelstein am 11. und 12. November 1994 (= Michaelsteiner Konferenzberichte, 52), a cura di Günter Fleischhauer, Monika Lustig, Wolfgang Ruf e Frieder Zschoch, Michaelstein, Stiftung Kloster Michaelstein, 1994, pp. 112-118. Michael Talbot, The Finale in Western Instrumental Music, Oxford, Oxford

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University Press, 2001. Fabrizio Ammetto, Le Sonate per violino di Antonio Vivaldi. Fonti e cronologia, aspetti di evoluzione formale e stilistica, tesi di biennio sperimentale di II livello in discipline musicali (indirizzo interpretativo-compositivo in Violino), Conservatorio di musica dell’Aquila, a.a. 2005-2006. Peter Ryom, Antonio Vivaldi. Thematisch-systematisch Verzeichnis seiner Werke (RV), Wiesbaden [etc.], Breitkopf & Härtel, 2007. Bella Brover-Lubovsky, Tonal Space in the Music of Antonio Vivaldi, Bloomington (Ind.), Indiana University Press, 2008. Michael Talbot, Vivaldi and Fugue, Firenze, Olschki («Quaderni vivaldiani», XV), Firenze, Olschki, 2009. Fabrizio Ammetto, I concerti di Vivaldi «con» (o «per»?) due violini «obligati» (o «principali»?), in Vivaldi, passato e futuro, Atti del Convegno internazionale di studi (Venezia, 13-16 giugno 2007), a cura di Michael Talbot e Francesco Fanna, pubblicazione online nel sito dell’Istituto Italiano Antonio Vivaldi di Venezia, 2009 (di imminente pubblicazione).

*** Duilio D’Alfonso La fuga per organo BWV 542 di J. S. Bach: dal soggetto alla forma, in prospettiva schenkeriana Nonostante i vari riferimenti, negli scritti di Schenker, alle fughe di Bach, e qualche analisi schenkeriana di alcune fughe del Wohltemperierte Klavier, è opinione diffusa che l’analisi schenkeriana non sia agevolmente applicabile al “repertorio contrappuntistico” tonale e, a fortiori, a quello pre-tonale e modale. L’essenza della polifonia occidentale, tanto di quella tonale che di quella modale, consiste nella cosiddetta “indipendenza” delle voci, che sola garantisce l’autentica polivocità di una tessitura sonora, in cui ogni voce si sviluppa autonomamente, seppure “con il consenso di tutte le altre”. Ma appunto tale indipendenza, e conseguente perfetta equivalenza, delle voci si scontrerebbe con uno degli assunti fondamentali della teoria schenkeriana della musica tonale, in base al quale ogni brano musicale conforme alla regole della grammatica della tonalità presenta un livello profondo al quale consiste nel puro dispiegamento delle tensioni implicite nella triade di tonica. Tanto il concetto di “basso fondamentale”, quanto quello di “linea fondamentale” risulterebbero pertanto particolarmente ostici da applicare a una composizione polifonica, soprattutto se in rigoroso stile imitativo, quale la fuga. Come è possibile, ci si chiede, individuare la progressione di una linea profonda o di un basso fondamentale in una tessitura polifonica quale quella di una fuga, in cui ogni voce dialoga “alla pari” con ogni altra, in cui non esiste alcuna chiara differenziazione funzionale tra le voci? In questo intervento, attraverso la presentazione di una analisi completa, di orientamento schenkeriano, della fuga in sol min. per

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organo BWV 542 di Bach (a quattro voci), mi propongo di portare argomenti che suggeriscono una revisione di tale “received view”. Dall’analisi di questa fuga emergeranno due aspetti. Il primo è che nella fuga strumentale bachiana, grazie all’equilibrio tra contrappunto e armonia tonale, il senso dell’unità tonale, la forza unificante della triade di tonica sono pienamente realizzati. E se così è, deve esistere un qualche livello al quale la triade di tonica agisce come “forza coesiva” dell’intera composizione. Il secondo è che anche per la fuga si può (tentare di) delineare un rapporto “forma-contenuto tonale” (così come per la forma-sonata), ovvero un rapporto “tipico” tra il contenuto e le tensioni tonali interne all’ursatz e l’architettura formale complessiva della fuga. L’analisi schekeriana non può che procedere, nell’approccio alla partitura, secondo una metodologia “dal basso”, data-driven, per usare una formula presa in prestito dalle scienze cognitive. La presentazione dei risultati dell’analisi può invece essere invertita, i risultati possono cioè essere esposti dall’alto verso il basso, dall’assioma generale al brano musicale concreto. Nell’esporre i risultati principali della analisi della fuga bachiana, seguirò questo secondo modo di procedere. L’ipotesi analitica emersa dal progressivo lavoro di “eliminazione degli strati”, dal più superficiale della partitura musicale al livello profondo, è che la fuga, nel suo complesso, presenta una progressione lineare

fondamentale dal quinto grado della scala ( 1̂2̂3̂4̂5̂ !!!! ), la cui prima elaborazione è data dal sesto grado di volta del quinto (I livello medio, figura 1). L’espansione del primo livello medio, da cui si generano due grandi “blocchi tonali” coerenti, è ottenuta attraverso il prolungamento del quinto grado della urlinie che precede la volta, tramite una prima discesa dal quinto grado al primo (progressione lineare di quinta), con un trasferimento di registro, tra il terzo e il secondo grado (II livello medio, figura 2). Si crea così lo spazio per il “decorso tonale” della fuga, polarizzato attorno alla dominante nel primo blocco tonale (batt. 1-68) e alla tonica nel secondo (batt. 68-115), secondo il seguente schema:

I V� I III V� VII V I IV VI V I

V I Si procederà poi con la presentazione di altri due grafici del livello medio e di uno del livello esterno dell’intera fuga, per poi concentrarsi

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sul primo blocco (batt. 1 - 68), e in particolare sul gruppo costituito da esposizione + controesposizione (batt. 1 -32), che formalmente presenta la seguente articolazione: Sogg – Risp – Sogg – Risp - Div – Sogg – Risp – (breve giuntura) - Sogg Esposizione Controesposizione Si mostrerà come si tratti di un gruppo tonalmente coeso, che

comporta la discesa 3̂4̂5̂ !! della progressione lineare maggiore, che prolunga il quinto grado della urlinie. Una ulteriore “zoomata” sull’esposizione servirà per mettere in luce il modo in cui la coda svolge la sua funzione di “ponte strutturale” tra soggetto e controsoggetto, il cui contenuto tonale lineare le deriva “logicamente” dal ruolo di giuntura tonale che essa ricopre, nel condurre dalla tonica alla dominante (nella transizione dal soggetto alla risposta) e viceversa (risp - sogg). Si vedrà che è possibile tentare una generalizzazione, da questo caso particolare, su ruolo e contenuto tonale della coda, in relazione alla struttura tonale del soggetto, ipotizzando così una sorta di ursatz dell’esposizione di fuga (proponendo, cioè, un’ipotesi di rapporto tra contenuto tonale armonico-lineare e struttura formale per la fuga, così come vi è per la forma-sonata). Seguirà l’analisi armonico-tonale e sintagmatica del soggetto della fuga. Il carattere esemplare della architettura formale e tonale di questa fuga, l’esemplarità del rapporto tra struttura e contenuto tonale del soggetto e architettura formale e contenutistica della fuga nel suo insieme, l’esemplarità con cui la costruzione formale, tonale e motivica della fuga si radica nelle proprietà strutturali, tonali e motiviche del soggetto, l’intera fuga apparendo come il logico dispiegamento di tali proprietà, tutto ciò rende questa fuga particolarmente funzionale a un approccio analitico di tipo schenkeriano. L’obiettivo di questo lavoro non è comunque solo quello di presentare un’analisi schenkeriana di una fuga di Bach. Piuttosto, lo scopo è quello di proporre una riflessione sul rapporto tra forma e “struttura profonda” della fuga, in relazione anche alle proprietà formali e tonali del soggetto, al fine di valutare la possibilità di formulare ipotesi generali circa eventuali tipicità nei processi di dispiegamento della struttura profonda attraverso i moduli della architettura della fuga. Bibliografia essenziale William Renwick, Aspect of Structure in Bach’ F-Minor Fugue, WTC II, in

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“Structure and Meaning" in Tonal Music: A Festschrift for Carl Schachter (Harmonologia), Pendragon Press, 2006. Hans David, Arthur Mendel, The Bach Reader, NY, Norton, 1998. David Stern, Schenkerian theory and the analysis of Renaissance music, in Hedi Siegel (a c. di), “Schenker Studies”, Cambridge University Press, 1990. Saul Novack, Foregruond, Middlegruond, and background: their significance in the history of tonality, in Hedi Siegel, op. cit. Giancarlo Bizzi, Specchi invisibili dei suoni. La costruzione dei canoni: risposta a un'enigma, Edizioni Kappa.

Quarta Sessione

Ottocento strumentale: aspetti teorici, interpretativi e stilistici

Marco Targa La Sinfonia a teatro. Procedimenti sinfonici nelle opere degli autori della Giovane Scuola La musicologia si è solo di recente dedicata allo studio della morfologia dell’opera italiana del periodo a cavallo fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. A fronte della mole di studi analitici circa le strutture formali presenti nei melodrammi italiani di primo Ottocento, le ricerche dedicate alla catalogazione, descrizione e interpretazione critica dei principi formali alla base delle opere scritte dagli autori della cosiddetta Giovane Scuola sono apparse in quantità decisamente inferiore giungendo, di conseguenza, a risultati solo parziali. Le difficoltà in questo campo di analisi sono di vario ordine: l’opera di questo periodo vive all’insegna di una multiforme varietà di principi e di soluzioni formali (a volte disorientante per l’analista) che si miscelano o si giustappongono all’interno della stessa opera o atto o scena con estrema disinvoltura. Di conseguenza la questione spesso non è tanto quella di rinvenire le strutture di un particolare modello normativo emergenti da una convenzionalità determinata dal genere musicale di appartenenza, socialmente riconosciuto e condiviso (come avviene per la morfologia dell’opera di primo Ottocento, caratterizzata da un alto grado di convenzionalità), quanto quella di evidenziare il ricorrere di un certo modo di pensare la forma musicale, talora dai caratteri molto personali, legati forse più al singolo autore, alle sue “abitudini” compositive e solo in parte espressione di un sistema di norme condivise, in un periodo in cui l’emergere di un’estetica che esalta l’originalità inventiva del compositore comporta via via la completa destituzione del complesso di formule e codici convenzionali che aveva retto l’opera italiana del periodo precedente.

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Fra le varie tematiche che da questo tipo di indagine si potrebbero sviluppare, mi propongo di focalizzare l’attenzione sull’aspetto del cosiddetto “sinfonismo operistico”, categoria molto presente nel dibattito critico del periodo preso in esame e indubbiamente importante nella comprensione dell’architettura formale delle opere composte dai relativi autori. Il concetto di fusione tra i generi della sinfonia e dell’opera e il conseguente proposito di creare una forma operistica in cui il discorso musicale sia affidato ad un flusso orchestrale continuo, organizzato secondo criteri sinfonici è di origine wagneriana: un punto di partenza per inquadrare le problematiche ad esso connesso è sicuramente costituito dai contributi della letteratura analitica wagneriana sull’argomento, in particolare Newcomb [1981] e Abbate [1990]. In Italia, Virgilio Bernardoni si è occupato a più riprese di questa tematica in riferimento, invece, proprio agli autori della Giovane Scuola, mettendo in evidenza come le tendenze sinfoniche nell’opera fin de siècle si siano manifestate sotto differenti forme: l’utilizzo di stilemi strumentali desunti dalla tradizione del canone classico, la proliferazione di intermezzi sinfonici con chiara valenza drammatica inseriti all’interno dello svolgersi dell’opera, ampi segmenti dell’opera organizzati secondo una logica puramente orchestrale di tipo sinfonico che, in alcuni casi, arrivano a coprire l’arco di un intero atto (come nel primo atto di Manon Lescaut, del secondo atto di Bohème, del primo atto di Fedora, ecc.). Lo studio delle forme musicali nel campo dell’opera ha uno dei suoi punti di maggiore interesse nella valutazione dei rapporti che intercorrono fra la struttura musicale e quella che compete agli altri due codici espressivi che concorrono a formare il testo operistico complessivo e cioè l’espressione verbale e l’azione scenica. In questa prospettiva importanti sono i contributi forniti nel numero terzo della rivista «Studi pucciniani», nel quale vengono proposti, fra le altre cose, nuovi concetti analitici relativi al rapporto tra le componenti sinfoniche e la loro valenza drammatica, formulati espressamente in relazione al repertorio operistico in esame: in particolare mi riferisco ai saggi di Hübner e di Hepokoski. L’obiettivo della ricerca proposta è quello di approfondire questa tematica ampliandone la prospettiva comparatistica ad una più varia casistica di esempi, al fine di evidenziare quali siano i principi comuni ai vari autori e quali, invece, gli stilemi personali legati all’autore specifico. Il metodo adottato non potrà che avvalersi di un continuo intreccio tra le metodologie di analisi della forma musicale e le metodologie di analisi drammaturgica. In particolare, un nodo di problematiche interessanti risiede proprio nei rapporti di reciproca congiunzione/disgiunzione e di reciproca dipendenza/indipendenza che si possono instaurare tra il discorso sinfonico, già dotato di una sua forte coerenza formale interna, e lo svolgersi della scena drammatica ad esso sovrapposta, nonché dei principi che regolano la fusione di

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queste due componenti in un complesso unitario, con le relative conseguenze che la loro differente combinazione comporta sul piano del significato complessivo della scena. La ricerca intende, in definitiva, apportare un ulteriore tassello alla conoscenza degli sviluppi che l’opera italiana ha avuto a cavallo del Novecento, soprattutto nell’ambito dell’evoluzione delle forme musicali, e fornire nuovi riferimenti analitici utili alla comprensione e alla valutazione critica di un repertorio che ancora presenta ampi margini di indagine. Bibliografia Virgilio Bernardoni, Musiche in teatro, stereotipi strumentali nell’opera italiana di fine ottocento, in Nazionalismo e cosmopolitismo nell'opera fra '800 e '900: atti del 3. Convegno internazionale Ruggero Leoncavallo nel suo tempo, a cura di Lorenza Guiot e Jürgen Maehder, Milano, Casa musicale Sonzogno, 1998, pp. 119-139. Id., Il linguaggio musicale della “Fedora” di Umberto Giordano, in Ultimi splendori. Cilea, Giordano, Alfano, a cura di Johannes Streicher, Roma, ISMEZ, s.d. (ma 1999), pp. 347-61. James Hepokoski, Structure, Implication, and the End of Suor Angelica, in «Studi pucciniani» VI/3, 2004, p. 243-267. Steven Hübner, Thematic Recall in Late Nineteenth-Century Opera, in ID., pp. 79-104: 104. Anthony Newcomb, The Birth of Music out of the Spirit of Drama: An Essay in Wagnerian Formal Analysis in «19th-Century Music», Vol. 5, No. 1 (Summer, 1981), pp. 38-66. Carolyn Abbate, Opera as Symphony, a Wagnerian myth, in Carolyn Abbate e Roger Parker (a cura di), Analyzing Opera, Berkeley, University of California Press, 1990, pp. 92 – 124. Sieghart Döring, Il realismo musicale della Tosca, in Virgilio Bernardoni (a cura di), Puccini, Bologna, Il Mulino, 1996, pp. 33-77. Deborah E. Burton, An Analysis of Puccini's Tosca: a heuristic approach to the unifying elements of the opera, Ann Arbor, UMI, 1995. Jay Nicolaisen, Italian opera in transition, Ann Arbon, UMI, 1980. Riccardo Pecci, La Sinfonia è l’Opera: riflessioni su Puccini ‘l’attuale’ in Puccini, I atto, programma di sala, Lucca, Comitato di Celebrazioni pucciniane, 2005. Marcello Conati Il linguaggio musicale in Andrea Chénier di Umberto Giordano, in Ultimi splendori, cit., pp. 335 – 347. Paolo Fabbri, Istituzioni metriche e formali, in Storia dell’opera italiana, Torino, EDT, 1988, pp.165-233. Marco Beghelli, Morfologia dell’opera italiana da Rossigni a Puccini, in Enciclopedia della Musica, IV, a cura di Jean-Jacques Nattiez, Torino, Einaudi, 2004, pp. 894-921; Carl Dahlhaus What is a Musical Drama?, Cambridge Opera Journal, Vol. 1, n. 2 (Luglio, 1989), pp. 95-111. Norbert Christen, Giacomo Puccini: analytische Untersuchungen der Melodik, Harmonik und Instrumentation, Hamburg, Karl Dieter Wagner, 1978.

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Catello Gallotti La forma-sonata oggi: l’esposizione della sonata classica in due recenti teorie Negli ultimi vent’anni circa si è ripreso a scrivere molto sulla forma musicale – in particolare su quella classica – e da più punti di vista, segnando una netta inversione di tendenza rispetto allo scarso interesse che, agli inizi della seconda metà del ‘900, avevano manifestato teorici e storici della musica, soprattutto di lingua inglese, rispetto a quest’ambito di ricerca. Diversi autori hanno mostrato quanto le categorie formali abbiano ancora da dire, anche in prospettiva schenkeriana; inoltre, sono apparsi studi che, dando nuovo vigore alla tradizione della Formenlehre classica, stanno proponendo visione originali e significative, stimolando modi diversi di concepire la presenza di modelli formali convenzionali e spingendo la ricerca verso territori ancora poco esplorati. Tra i più recenti contributi alla teoria della forma classica, un grande interesse hanno suscitato la teoriadelle funzioni formali di William Caplin [1998] e la cosiddetta Sonata Theory di James Hepokoski e Warren Darcy [2006]. Caplin, ritenendo che la nostra percezione della forma musicale sia intimamente collegata alla ‘temporalità’, ha individuato una serie di funzioni attraverso le quali è possibile definire, sotto il profilo sintattico–temporale (come inizio, centro e fine), tutte le unità formali su larga, media e piccola scala di qualsiasi lavoro del periodo classico. Hepokoski e Darcy hanno elaborato un’ampia teoria la cui premessa fondamentale sta nell’idea che comprendere la forma significa ricostruire un processo dialogico tra un lavoro individuale e una serie di norme convenzionali di riferimento, derivate dall’osservazione diretta della musica (‘forma dialogica’). Nell’elaborare le loro rispettive teorie, gli autori si basano su elementi, tecniche e procedure differenti: Caplin considera centrali i processi armonico–tonali, la struttura di raggruppamento e il ruolo delle cadenze, mentre Hepokoski e Darcy si concentrano maggiormente sulla configurazione retorica complessiva, cioè su specifiche disposizioni di tessiture e moduli tematici, accentuando notevolmente gli aspetti ritmici, dinamici e di ‘punteggiatura’ della forma musicale. Queste diversità si riflettono significativamente anche sul modo in cui essi intendono la sezione espositiva di una forma–sonata, l’oggetto della mia indagine. Per Caplin, l’esposizione dispiega le funzioni formali di Tema principale (inizio), Transizione (centro), Tema o gruppo tematico subordinato (fine) e Sezione conclusiva, ed egli è portato ad individuare questa stessa sintassi di base in tutte le esposizioni. Al contrario, Hepokoski e Darcy postulano una fondamentale distinzione tra due formati espositivi: un’esposizione in

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due parti e un’esposizione continua. Questa distinzione è determinata da un forte evento retorico, la medial caesura (MC). La sua presenza configura un’esposizione in due parti, articolate rispettivamente in Tema primario-Transizione (P-TR) e in Tema secondario-Zona conclusiva (S–C); invece la sua assenza determina un’esposizione continua, caratterizzata clamorosamente dall’assenza di S. Nella mia relazione intendo operare un confronto tra queste due diverse concezioni dell’esposizione, con la convinzione che entrambe ci dicano cose molto significative sulla sua configurazione formale. Il mio intento è quello di coglierne, al di là delle evidenti differenze di idee e di metodo, i possibili tratti complementari o comuni, discutendone i presupposti fondamentali attraverso un riesame critico di alcuni esempi musicali. In particolare tenterò di mostrare quali sono i margini di applicabilità della Sonata Theory alla teoria della funzioni formali. Per questo motivo, dopo aver sintetizzato le direttrici principali di queste recenti teorie, mi soffermerò soprattutto sul concetto centrale di medial caesura, con i suoi quattro defaults armonici, e sulla funzione di tema subordinato di Caplin. Se la trattazione della cesura mediana è, a mio avviso, sostanzialmente integrabile nella teoria di Caplin, l’assenza di tema subordinato da un’esposizione continua sembra del tutto incompatibile con la sua descrizione della sintassi formale, dal momento che per il teorico canadese il tema subordinato è funzionalmente presente in ogni sezione espositiva. Ma si tratta davvero di termini irriducibili? Più semplicemente, è possibile – e se sì, in quale misura – salvaguardare la funzione di tema subordinato mantenendo nello stesso tempo valida l’idea di un’esposizione continua? Bibliografia essenziale Bergé P. (cur. 2009), Musical form, forms, Formenlehre, Leuven University Press, Leuven. Bonds M.E. (1991), The paradox of musical form, in Wordless rhetoric: Musical form and the metaphor of the oration, Harvard University Press, Cambridge Mass., 13-52. Caplin W.E. (1998), Classical form: A theory of formal functions for the instrumental music of Haydn, Mozart, and Beethoven, Oxford University Press, New York. Caplin W.E. (2005), North American approaches to musical form, «GMTH» 2/2. Caplin W.E. (2001), The classical sonata exposition: Cadential goals and form-functional plans, «Tijdschrift voor muziktheorie», 6/3. Caplin W.E. (2004), The classical cadence: Conceptions and misconceptions, «Journal of The American Musicological Society», 57/1, 51-118. Caplin W.E. (2009), What are formal functions?, in Bergé 2009, 21-40. Hepokoski J. (2002), Beyond the sonata principle, «Journal of The American

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Musicological Society», 55, 91-154. Hepokoski J. (2009), Sonata theory and dialogic form, in Bergè 2009, 71-89. Hepokoski J.- Darcy W. (1997), The medial caesura and its role in the eighteenth-century sonata exposition, «Music Theory Spectrum», 19/2, 115-154. Hepokoski J.- Darcy W. (2006), Elements of sonata theory: Norms, types, and deformations in the lateeighteenth-century sonata, Oxford University Press, New York. Schenker H. (1979), Free composition, Longman, New York. Webster J. (2009), Formenlehre in theory and practice, in Bergé 2009, 123-39. Webster J. (2001), voce Sonata form, in The new Grove, vol. XXIII, 687-701.

*** Gaia Varon Interprete e regista: dialogo fra sordi o felice convivenza? Due versioni video della Quinta di Beethoven dirette da Herbert von Karajan CONTESTO, PREMESSE E METODOLOGIA D'INDAGINE. Oggi l’esperienza musicale passa sempre più attraverso la fruizione di prodotti audiovisivi: dvd, reti tematiche, video reperibili su Youtube, diffusione di concerti in live streaming. L'accumulazione di registrazioni audiovisive costituisce di fatto un nuovo «repertorio», inteso, strictu sensu, come accumulazione di «reperti», oggetti sempre disponibili per il potenziale fruitore. La standardizzazione del formato materiale produce una sostanziale equiparazione di oggetti musicali in origine molto diversi fra loro. Il processo di mediatizzazione che dall'evento musicale conduce al prodotto audiovisivo è spesso ignorato, implicitamente considerato «trasparente». A fronte di un'abbondante riflessione sull'impatto della rimediazione - fra cui meritano di essere citati fra i contributi principali almeno i testi di Bolter e Grusin e Lev Manovich -, gli studi di parte musicologica sulla trasposizione audiovisiva di performance musicali sono ancora esigui e non sistematici. La comunicazione che qui si propone rappresenta una tappa di un progetto esteso, alcune riflessioni preliminari del quale sono state oggetto della relazione presentata al Quinto incontro di studio di Analitica (marzo 2007). Il progetto mira a far emergere i meccanismi costruttivi della trasposizione audiovisiva dell'esecuzione di un brano sinfonico e a mettere in luce la modificazione che questa comporta rispetto al piano della performance. Il primo obiettivo che la ricerca mira a produrre è una, sia pur parziale e provvisoria, catalogazione di tipologie di messa

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in video del repertorio sinfonico, in relazione ai meccanismi costruttivi e di funzionamento. Obiettivo secondario della ricerca è delineare, attraverso alcuni casi esemplari, una "storia" della trasposizione audiovisiva della Quinta Sinfonia dagli anni Cinquanta del secolo scorso ad oggi. Un terzo obiettivo del lavoro è verificare in quale misura quella porzione di repertorio consegnata all'audiovisivo possa essere oggetto di uno studio musicologico e servire, in particolare, come fonte per l'analisi e la storia dell'interpretazione. Il percorso di ricerca muove da alcuni assunti: che la «messa in video» di un'esecuzione musicale sia un atto autoriale che conduce a un oggetto nuovo, nel quale convivono tre piani autoriali, composizione, performance e messa in video; che sia possibile, legittimo e interessante ricostruire, a partire dalla versione audiovisiva, l'ideale intenzione della terza autorialità (sovrapartitura); che sia rilevante indagare quali relazioni questo terzo piano autoriale istituisca coi due sottostanti; che questo nuovo oggetto sia passibile di essere indagato come nuovo «testo»; che questo nuovo testo possa essere esaminato applicando a esso, con le dovute cautele e trasformazioni, strumenti di indagine già rivelatisi efficaci per i due piani sottostanti la messa in video, ovvero testo musicale in senso stretto e performance. CONTENUTI E ARTICOLAZIONE DELLA PRESENTAZIONE. La comunicazione presenta alcuni esiti di una prima verifica di un'ipotesi metodologica della ricerca nel suo complesso, ovvero che sia possibile analizzare la ripresa audiovisiva come strato a sé stante, una sorta di performance della performance, applicando ad essa procedimenti di analisi già usati per la performance in senso stretto (vedi in particolare gli studi di John Rink). Dopo un succinto inquadramento del quadro complessivo in cui il lavoro si inserisce, la presentazione verterà su un'analisi comparata di alcune versioni audiovisive della Quinta Sinfonia di Beethoven, e in particolare due con i Berliner Philharmoniker e la direzione di Herbert von Karajan, registrate rispettivamente l'una nel 1966 con la regia di Henri-Georges Clouzot, l'altra nel 1983 con regia dello stesso Karajan. Nella fase analitica, le singole porzioni di testo audiovisivo volta a volta indagate vengono smontate nei diversi strati, ciascuno dei quali viene segmentato analizzato separatamente; obiettivo dell'analisi così condotta è far emergere le gerarchie sottese nella «intuizione informata» - nei termini di John Rink – presente nei diversi livelli autoriali, dall'esecuzione musicale alla ripresa audiovisiva. La successiva comparazione fra gli esiti di queste separate disamine permette di verificare la presenza di coerenze di sistema innanzitutto entro ciascun livello autoriale e nella relazione fra i diversi piani autoriali di un prodotto audiovisivo. Il confronto fra le due versioni dirette da Karajan, ambedue senz'altro peculiari e atipiche rispetto alle prassi più convenzionali della

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trasposizione audiovisiva, è particolarmente interessante, poiché una scaturisce da un progetto ambizioso di connubio fra due autorialità forti, l'altra il caso del tutto anomalo della coincidenza perfetta fra i due piani autoriali. BIBLIOGRAFIA Bolter, Jay D., e Grusin, Richard 1999 Remediation. Understanding New Media, Cambridge, MIT Press (tr.it. Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, Milano, Guerini & Associati, 2002). Botstein, Leon 1994 « Music, Technology, and the Public», The Musical Quarterly, Vol. 78, No. 2 (Summer, 1994), pp. 177-188; 1995 «After Fifty Years: Thoughts on Music and the End of World War II», The Musical Quarterly, Vol. 79, No. 2 (Summer, 1995), pp. 225-230; 1997 «On Conducting», The Musical Quarterly, Vol. 81, No. 1 (Spring, 1997), pp.1-12 1999 «Musings on the History of Performance in the Twentieth Century», The Musical Quarterly, vol.83, No.1 (Spring 1999), pp.1-5. Brown, Clive 1999 Classical and Romantic Performing Practice 1750-1900, Oxford, Oxford University Press. Butt, John 2002 Playing with History, Cambridge, Cambridge University Press. Cook, Nicholas, and Everist, Mark (ed.) 2001a «Theorizing Musical Meaning», Music Theory Spectrum, Vol. 23, No. 2 (Autumn, 2001), pp. 170-195; 20012b Rethinking Music, Oxford, Oxford University Press. Escal, Françoise 1991 « Le corps social du musicien», International Review of the Aesthetics and Sociology of Music, Vol. 22, No. 2 (Dec., 1991), pp. 165-186. Giani, Maurizio 2001 « Lo sguardo di Euridice : alle origini del mito della Quinta», in Bini, A., e Grisley, R., Van Beethoven. Le Sinfonie e i Concerti per pianoforte, Milano, Skira, pp.103-118. Kivy, Peter 1997 Authenticities: Philosophical Reflections on Musical Performance, Ithaca & London, Cornell University Press. Levy, Janet M. 2001 «The Power of the Performer: Interpreting Beethoven», The Journal of Musicology, Vol. 18, No. 1, A Musicological Bouquet: Essays on Style, Sources, and Performance in Honor of Bathia Churgin. (Winter, 2001), pp. 31-55. Manovich L., 2001 Il linguaggio dei nuovi media, Milano, Olivares. Philip, Robert 2004 Performing Music in the Age of Recording, New Haven and London, Yale University Press. Réti, Rudolph 19782 The Thematic Process in Music, Westport, Conn., Greenwood Press.

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Rink, John (ed.) 1995 The Practice f Performance. Studies in Musical Interpretation, Cambridge, Cambridge University Press. 2001 Musical Performance. A Guide to Understanding, Cambridge, Cambridge University Press. Rosen, Charles 19973 The Classical Style, New York-London, Norton&Company Stenzl, Jürg 1995 «In Search of a History of Musical Interpretation», in The Musical Quarterly, LXXIX, n. 4, 1995, pp. 683-699. Taruskin, Richard 1995 Text and Act, Oxford, Oxford University Press. Tovey, Donald Francis 1944 Beethoven, London, Oxford University Press. Varon, Gaia V. 2009 «Suonala ancora, Web», in Drammaturgia multimediale: media e forme narrative nell'epoca della replicabilità digitale, a cura di Gianni Canova, Milano (in corso di pubblicazione). VIDEOGRAFIA Beethoven, Sinfonia n.5 in do min. op.67, NBC Symphony Orchestra, dir. Arturo Toscanini, New York, Carnegie Hall, 22 marzo 1952. Beethoven, Sinfonia n.5 in do min. op.67, Wiener Symphoniker, dir. Herbert von Karajan, regia di Georges Henry Clouzot, 1966. Beethoven, Sinfonia n.5 in do min. op.67, London Philharmonic Orchestra, dir. Leopold Stokowski, Croydon, Fairfield Hall, 8 sett.1969, BBC/Emi Classics. Beethoven, Sinfonia n.5 in do min. op.67, Wiener Philharmoniker, dir. Leonard Bernstein, Wien, Konzerthaus, settembre 1977, Unitel/Deutsche Grammophon Beethoven, Sinfonia n.5 in do min. op.67, Berliner Philharmoniker, dir. Herbert von Karajan, Berlin, Philharmonie, 8 dicembre 1983, regia di Herbert von Karajan. Beethoven, Sinfonia n.5 in do min. op.67, London Classical Players, dir. Roger Norrington, 1990, BBC/Scotland (with an Introduction by R.Norrington). Beethoven, Sinfonia n.5 in do min. op.67, Mahler Chamber Orchestra, dir. Daniel Harding, Ferrara, Teatro Comunale, 19 novembre 1999. Beethoven, Sinfonia n.5 in do min. op.67, Berliner Philharmoniker, dir. Claudio Abbado, Roma, Accademia di S.Cecilia, febbraio 2001, Rai/EuroArts Music International. Herbert von Karajan, Die Kunst des Dirigierens (estratto), Wiener Symphoniker, regia Henri Georges Clouzot, s.d. (1966?). The Making of the Symphonies (documentario), Chamber Orchestra of Europe, dir.N.Harnoncourt, regia P.Swann, Swann Ass.Prod./Channel Four Television/La Sept, 1990. The Art of Conducting. Great Conductors of the Past (documentario), regia di Gérard Caillat, Teldec, 1995.

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Elisabetta Piras Pensiero implicito e pensiero esplicito nell’esecuzione musicale di giovani pianisti Stato attuale delle conoscenze sull’argomento: Partendo dalla concezione di esecuzione musicale come forma concreta di pensiero musicale (Clarke 2002), lo sforzo intellettuale che ne sta alla base ha dato vita all’annosa questione di quale sia l’analisi musicale operata dal musicista per realizzare le sue scelte interpretative. Tra le principali correnti di pensiero si riscontrano quelle propense ad affermare che si tratti di un’operazione intuitiva ed implicita, spesso in relazione con conoscenze pregresse ed esperienza esecutiva (Meyer, 1973), oppure che si tratti –o sia necessiaria- una scrupolosa analisi di tutti i parametri riscontrabili, per cogliere appieno le possibilità interpretative (Berry, 1986; Narmour, 1988), o ancora che esista una mediazione tra questi due esterni in una “intuizione informata” (Rink, 2002; Rink, 2007), per cui l’intuito guida l’esecuzione secondo gli elementi desunti dall’analisi operata su più livelli. CONTENUTI PRINCIPALI DELLA COMUNICAZIONE E OBIETTIVI DELLA RICERCA, CON EVENTUALE DIVISIONE IN PARTI: In questa sede si vuole proporre l’analisi delle esecuzioni di due brani musicali, di sei giovani pianisti (da 10 a 14 anni). I brani musicali oggetto dell’analisi sono Study for the left hand, dal Volume I di For Children di Béla Bartók, e Erster Verlust da Album für Jugend Op. 68 di Robert Schumann, e presentano caratteristiche strutturali e tecniche molto diverse. L’obiettivo principale della ricerca è di rilevare quanto le scelte esecutive dei giovani pianisti sono guidate –sotto l’aspetto analitico- da un pensiero implicito, e quanto da un pensiero esplicito, quindi, in qualche modo, anche consapevole. La comunicazione sarà, quindi, divisa in 4 parti: 1) Introduzione esplicativa sulla problematica dell’analisi dell’esecuzione; 2) Presentazione del protocollo: soggetti, materiali, procedura, metodo analitico; 3) Risultati; 4) Conclusioni. METODO ANALITICO IMPIEGATO: Le esecuzioni sono analizzate sulla base di semplici software di rilevazione parametrica. L’analisi di riferimento per il raccordo tra gli elementi riscontrabili è affine a quella indicata come “analisi precedente a una data esecuzione” da J. Rink (2007). Lo studioso la ipotizza come lavoro preliminare allo studio di un brano, da parte di un pianista professionista, quindi presumibilmente consapevole sia degli aspetti analitici sia di quelli tecnico-esecutivi. I temi di maggiore interesse di questo tipo di analisi

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sono: le articolazioni formali e armoniche; le variazioni di tempo; le dinamiche; profilo melodico e suoi elementi costitutivi; impianto ritmico. Questo tipo di analisi non apporta sostanziali innovazioni rispetto alle usuali tecniche analitiche, ma tiene conto delle particolarità di scrittura in relazione alla tecnica esecutiva. APPORTI DEL PROPRIO CONTRIBUTO RISPETTO ALLO STATO ATTUALE DELLE CONOSCENZE: Sebbene esistano numerosi contributi autorevoli sia sugli aspetti cognitivi dell’esecuzione musicale, sia sull’analisi dell’esecuzione, l’attenzione è spesso rivolta a musicisti professionisti, comunque adulti, oppure a casi particolari di soggetti di età giovane, ma con caratteristiche particolari. La presente ricerca guarda invece a una fase di formazione dei musicisti. La fascia di età dei soggetti è stata infatti scelta perché nell’ambito di un percorso di studi pianistico “professionalizzante”, in genere, gli allievi sono impegnati a quest’epoca nella preparazione del primo importante traguardo a livello esecutivo, corrispondente all’esame del quinto anno del Conservatorio; oltre ciò, in queste età è individuata la seconda delle tre fasi di sviluppo del pianismo concertistico [Sosniak 1985; Sloboda 1994] in cui ha luogo un incremento delle ore di studio, il metodo di studio diventa più autonomo e sistematico, si frequentano lezioni con insegnanti esperti, e comincia a prendere forma un maggiore affinamento delle capacità tecniche e una maggiore consapevolezza delle qualità espressive della musica, sebbene ancora non sia formalizzato l’apprendimento dell’analisi. Senza pretese di esaustività, si propone quindi un’applicazione interdisciplinare degli strumenti dell’analisi musicale, e delle discipline di area psico-pedagogica con riferimento allo strumento musicale. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Baroni M. (2004), La forma musicale dal punto di vista analitico, in R. Deriu (cur.), Capire la forma. Idee per una didattica del discorso musicale, EDT, Torino, pp. 9-31 Berry W. (1986), Form in music, Prentice-Hall, Englewood Cliffs Clarke E. (2002), Understanding the psychology of performance, in J. Rink (cur.), Musical performance: A guide to understanding, Cambridge University Press, Cambridge, pp.5-72 Meyer L.B. (1973), Explaining music, University of Chicago Press, Chicago Narmour E. (1988), On the relationship of analytical theory to performance and interpretation, in E. Narmour (cur.), Explorations in music, the arts and ideas, Pendragon Press, Stuyvesant, pp. 317-340 Rink J. (2007), Le analisi dei musicologi e le analisi degli esecutori. Paragoni possibili e forse utili, «Rivista di Analisi e Teoria Musicale», 2007/2, pp.7-29 Sloboda J.A. (1994), Music performance: Expression and the development of excellence, in R. Aiello, J.A. Sloboda (cur.), Musical perceptions, Oxford University Press, New York, pp.152-169 Sosniak L.A. (1985), Phase of learning, in B.S. Bloom (cur.), Developing talent in young people, Ballantine, New York, pp.409-438 Tafuri J. - McPherson G.E. (a cura di, 2007), Orientamenti per la didattica

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strumentale: dalla ricerca all’insegnamento, LIM, Lucca Rink J. (a cura di, 2002), Musical performance. A guide to understanding, Cambridge University Press, Cambridge-

Quinta sessione Il Novecento popolare e di tradizione orale

Emilio Capalbo Concezione modulare e sue evoluzioni nella popular music

Sin dalle sue origini la musica folk afroamericana mise in

evidenza delle peculiarità che la rendevano profondamente differente da qualunque altro stile musicale allora diffuso nei futuri Stati Uniti. Come ben noto tali differenze riguardavano vari ambiti, da quello dell’emissione vocale a quello della natura dei testi, dalle connotazioni ritmiche al materiale “scalare” usato; ma è sempre stato poco studiato un aspetto che si è rivelato strutturante e decisivo nello sviluppo di tutta la popular music in qualche misura debitrice a tale matrice “nera”, ovvero quello della concezione modulare, istintiva per gli schiavi in quanto in qualche modo insita nella musica popolare africana che essi, seppure progressivamente e inevitabilmente contaminata, riproponevano. E’ noto anche che uno degli esiti più macroscopici della commistione tra la musica popolare afroamericana e quella “bianca”, in gran parte derivata dalla tradizione europea sia popolare che colta, sia stato quello della “regolarizzazione” metrica del blues, che ebbe poi tra gli esiti più evidenti la standardizzazione della nota struttura delle 12 misure, ormai considerata tipica del blues stesso. Tale struttura è stata fonte costante d’ispirazione per decine di generazioni di musicisti; ma si sa che la parabola del rock, dal rhythm and blues ai giorni nostri, ha visto la frequente sostituzione della struttura originaria con altre, spesso più simili a quelle classiche occidentali (8 o 16 battute), e a volte anche asimmetriche. Ciò a cui raramente si è dato peso è come queste strutture siano debitrici in misura simile sia alla fraseologia musicale della musica europea (anche in questo caso sia popolare che colta) che appunto a quella del blues. Le 12 battute erano organizzate in maniera che possiamo definire appunto “modulare”: 3 moduli da 4 battute ciascuno, imperniati sui 3 accordi cui nella musica tonale si attribuiscono caratteristiche funzionali chiare e forti, ossia tonica, sottodominante e dominante; e su questa base procedevano, oltre che l’ambito armonico, anche quello melodico e quello ritmico. Per quel che riguarda quest’ultimo il “modulo” si è evoluto nella “pattern”, base di lavoro di ogni sezione ritmica che approcci un brano rock o pop di qualsivoglia genere o stile. Dal punto di vista melodico le strutture

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figlie dirette del blues sono rimaste monotematiche e quasi mai modulanti (eccezion fatta nella musica pop per la cosiddetta “modulazione del camionista”, con la trasposizione del chorus un semitono sopra), e pressoché sempre modulari; quelle derivate dalle strutture di 8 o 16 battute (a loro volta figlie delle 12 tramite processi di compressione o dilatazione dei moduli) hanno piegato verso una forma bipartita o tripartita di tipo strofico (strofa-ritornello + bridge). La concezione modulare trova applicazione anche nelle strutture armoniche e nella loro evoluzione; esse appaiono di norma organizzate secondo dei clichet comunemente noti come “giri armonici”, in sé spesso non distanti dai normali concatenamenti che si studiano in qualunque manuale di armonia classica, anche se sovente le logiche centrifughe rispetto alla tonalità innestate dal blues creano delle anomalie rispetto agli standard dell’armonia sette/ottocentesca. Con grande frequenza tuttavia le strutture armoniche risultano essere imperniate su micro-moduli quali i riff, che per prassi esecutiva soprattutto chitarristica (in particolare quella dei power chords) diventano allo stesso tempo giri armonici e quindi strutturalmente rilevanti anche a livelli superiori, o costruite a partire da semplici pattern, modulari per definizione, in grado comunque di sorreggere l’intero impianto formale; e a livelli ancora superiori appaiono come risultanti dalla stratificazione di moduli (pattern ritmiche, riff, concatenamenti armonici) spesso tra loro intercambiabili o comunque ricomponibili all’occorrenza. La forza dell’ostinata iterazione ritmica, melodica e armonica, che da decenni è l’ingrediente irrinunciabile della maggior parte della popular music, e che di fatto è ottenuta tramite l’enfatizzazione a vari livelli di strutture modulari, appare il grimaldello principale con cui vengono colpiti i canali percettivi degli ascoltatori di oggi; strutturalmente appare affascinante e al contempo utile da approfondire in modo analitico e teorico notare in quali modi i moduli siano stati e tuttora siano organizzati per produrre il risultato artistico finale. Il saggio che presenterò intende ricostruire nelle sue linee fondamentali i risultati cui tale ricerca mi ha condotto finora, nonché mostrare i prossimi obiettivi della ricerca stessa.

*** Marco Francesco Lutzu La riscoperta di una polifonia di tradizione orale : il caso di Nughedu San Nicolò BREVE DESCRIZIONE DELL’ARGOMENTO E DEGLI OBIETTIVI DELLA RICERCA. Nughedu San Nicolò è un piccolo centro di circa mille abitanti situato nella Sardegna settentrionale. A partire dal 1994 un gruppo di giovani del paese si sono attivamente impegnati per recuperare la tradizione di canto polifonico ormai in disuso da alcuni decenni. Tale polifonia, denominata a cuncordu, è attualmente diffusa

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in circa quindici paesi della Sardegna centro settentrionale, connessa perlopiù ai sodalizi confraternali, legata principalmente alla celebrazione dei riti della Settimana Santa e trasmessa esclusivamente per via orale. Il recupero della tradizione di canto nughedese è passata attraverso alcune tappe significative: il ritrovamento di vecchi quadernetti che riportavano i testi di alcuni canti, la registrazione di vecchi confratelli che ricordavano alcuni dei profili melodici, le lezioni informali prese dai cantori di un paese vicino ecc. Oggi, a distanza di quindici anni, a Nughedu il canto a cuncordu è nuovamente funzionale e la polifonia di cantori e confratelli è un’immancabile elemento sonoro in occasione di matrimoni e funerali, di feste patronali e, soprattutto, della Settimana Santa. Basato su una ricerca sul campo che porto avanti dal 2004, lo studio della realtà nughedese si rivela assai interessante sotto diversi aspetti, sia di natura antropologica che di natura strettamente musicologica. Dopo una breve descrizione delle modalità di recupero del canto e degli attuali contesti esecutivi, focalizzerò il mio intervento su aspetti strettamente analitici relativi ai sei principali brani che compongono il repertorio. Basandomi sulle metodologie di analisi della polifonia di tradizione orale sarda proposte da Bernard Lortat-Jacob (1996) e Ignazio Macchiarella (2008), proporrò un’analisi delle macroforme, delle configurazione accordali, dei movimenti delle parti e dell’organizzazione del tempo evidenziando le specificità della tradizione di canto nughedese a confronto col più ampio fenomeno del canto a cuncordu della Sardegna. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE BERNARD LORTAT-JACOB, Canti di passione , Libreria Musicale Italiana, Lucca 1996. MARCO LUTZU (a cura di), Sa passione. La riscoperta del canto a Nughedu San Nicolò, Live Studio, Cagliari 2009. IGNAZIO MACCHIARELLA, Il falsobordone fra tradizione orale e tradizione scritta, Libreria Musicale, Lucca 1995. IGNAZIO MACCHIARELLA (a cura di), L'analisi nell'etnomusicologia, «Bollettino di Analisi e Teoria Musicale — Monografie G.A.T.M.», 2000, VII/1. IGNAZIO MACCHIARELLA, Cantare a cuncordu. Uno studio a più voci, Nota, Udine 2008.

*** Giuseppe Massimo Rizzo Analisi delle interazioni musicali nella musica strumentale dell'isola di Veglia (Golfo del Quarnaro, Croazia) L'analisi della musica strumentale dell'isola di Veglia storicamente ha prevalentemente interessato la dimensione scalare della cosiddetta “scala istriana” (MATETIĆ-RONJGOV 1939; ŽGANEC 1963; BONIFAČIĆ 2001) in quanto i toni prodotti dai due strumenti che costituiscono il

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contesto esecutivo standard e privilegiato (una coppia di suonatori di sopele, oboi popolari non temperati di differente registro) sono da sempre considerati i piu` arcaici progenitori d'una diafonia ampiamente diffusa e contaminata da elementi sociomusicali urbani nell'ambito della penisola istriana meridionale e del litorale quarnerino. Gli aspetti formali - quali l'uso del moto contrario tra le due parti, l'andamento per seste non temperate e l'uso delle ottave nelle cadenze, l'analogia con i canti kanat e tararankanje (BONIFAČIĆ 1996; BOERSMAA E KOVAČIĆ 2006) e la differenziazione di generi e stili - sono stati approcciati, in alcuni casi analiticamente ma nella maggior parte dei casi soltanto descrittivamente, da studiosi che si sono soffermati prevalentemente su aspetti formali statici e non sulle processualita` dinamiche oppure hanno indagato precipue proprieta` antropologiche ed etnologiche sorvolando su questioni di forma musicale. Attraverso l'analisi musicale si cerchera`, invece, di penetrare all'interno delle dinamiche interattive che costrituiscono, di per se, all'occhio dell'analista, performance musicali formalmente variabili. In tal modo e` possibile comparare il travaso di melodie e stili da una localita` ad un'altra, la modificazione sincronica e diacronica di stili, l'invenzione e la "localizzazione" di repertori ed analizzarne le diverse strategie interattive musicali. I tentativi di codificazione del repertorio per sopele infatti non hanno affatto tenuto in considerazione l'aspetto dinamico della performance generando un corpus fisso, categorizzato in stili di danza, generi e differenti stili locali, collocando "brani" di "musica popolare" in una dimensione astorica ed al di fuori delle relazioni sociali. La concettualizzazione indigena del fare musica (ZEMP 1978,1979; FELD 1982; AMES-KING 1971; STONE 1982) e la pratica dialogica dell'esperienza sul campo (GALLINI E SATTA 2007) hanno fornito la base per la scelta dei criteri analitici. In questo senso gli strumenti 1) dell'analisi spettrale e scalare computerizzate, 2) della comparazione di performance di sopele trascritte attraverso segni gesturali su di un rigo musicale di sei linee e 3) della generazione di diagrammi di flusso che mostrano l'aspetto interattivo di queste musiche ed, infine, 4) la loro comparazione diacronica e sincronica, possono fornire un efficace sistema di comprensione delle pratiche musicali strumentali dell'isola di Veglia. L'analisi spettrale e scalare, innanzitutto, mostra che i comportamenti ritualistici (složit) che precedono una esecuzione di qualsivoglia genere o stile hanno una funzione negoziale timbrica e scalare (es.1) che tende a “mettere d'accordo” musicalmente i suonatori (oltre che avere altre funzioni ritualistiche). Le caratteristiche organologiche che sottostanno alla produzione timbrica e scalare in realta` non fanno altro che trasmettere generazionalmente una tendenziale "potenzialita`" scalare – e non una scala "determinata" e fissa come è stato invece evidenziato altrove - che è poi effettivamente negoziata

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sul campo dai suonatori di sopele (es.2); l'atto ritualistico che precede la performance, però, non "accorda" i toni dei due strumenti come farebbero i membri di un'orchestra tramite il diapason o di suonatori di popular music tramite un "tuner" ma, soffermandosi sulle relazioni di ottava, raggiunge il proprio scopo allorche` l'equilibrio di ottava permette ai suonatori di percepire il rafforzamento di alcuni armonici superiori comuni ai due strumenti. Si ha così una sensazione affettiva di "armonia", fra i due strumenti e suonatori, che innesca la performance effettiva e quindi l'interazione motivica e ritmica. L'uso di trascrizioni gesturali (es.3) invece che di trascrizioni diastematiche classiche nasce dall'esigenza di comparare frammenti melodici in un contesto di dimensioni scalari eterogenee le cui funzioni tonali non sono date dal costrutto scalare in sè ma dalla posizione che i toni occupano sullo strumento e dalla loro diteggiatura. Dalla comparazione di tali performance si comprende perche` musiche formalmente molto diverse siano indicate dai suonatori come "stesso brano”. Ciò accade in quanto siamo di fronte a forme musicali in cui – entro un frame astratto che potremmo indicare come “repertorio” di frasi e periodi - la proliferazione e giustapposizione motivica polivocale (cioè della tessitura verticale) segue regole interattive e di storia della relazione tra i suonatori: a seconda del grado di qualità della relazione tra i due suonatori si potranno inserire nuove melodie o costruirne di nuove ed essere più o meno sicuri di essere musicalmente "seguiti" (ed infatti i più bravi suonatori sono quelli che sono kumpanj). Mettere a punto diagrammi di flusso (es.4) che mostrano analiticamente l'interattivita` delle performance significa, dunque, mostrare questa relazione dinamica. Come dicevo all'inizio – invece – la relativamente ricca tradizione di studi che si e` occupata del fenomeno della diafonia istriana e dalla musica strumentale dell'isola di Veglia si è fermata a descrivere aspetti statici oppure ha del tutto sorvolato la questione soffermandosi sulla dimensione etnografica e/o simbolica. Nel mio internvento tento di inserire nel campo dell'analisi formale musicale le modalità processuali dell'interazione tra due persone/suonatori. Tale interazione, che non è necessariamente comunicativa (GOFFMAN 1969), si svolge privilegiando il canale sonoro e rapportando ascolto, comportamento gesturale, il campo delle concettualizzazioni e categorizzazioni diffuse del fare musica, ed il loro essere storia orale, in un processo il cui prodotto cristallizato esiste solo per l'analista ma le cui regole, invece, si attuano e perpetuano giorno dopo giorno nella comunità stessa. Bibliografia citata Ames, David W e King Anthony V. 1971 Glossary of Hausa Music and Its Social Contexts. Northwestern University Press, Evanston Illinois.

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Besić, Jerko 1976 "The tonal framework of folk music in Yugoslavia". The Folk Arts of Yugoslavia, DUTIFA, pp.194-207 1981 "Stilovi folklorne glazbe u Jugoslaviji". Zvuk 3: 33-50. Boersmaa, Paul e Kovačić, Gordana 2006 "Spectral characteristics of three styles of Croatian folk singing". Journal of the Acoustical Society of America, Vol. 119, No. 3, pp. 1805–1816 Bonifačić, Andrija 1971 "Narodno pjevanje na Otoku Krku u sklopu muzike Riječkog područja". Krčki Zbornik, Vol.2, pp. 303 - 353 Bonifačić, Ruža 1996 "Tarankanje. A Disappearing Music Tradition". Narodna Umjetnost vol.33/1, pp.149-170 - 2001 "O Problematici Takozvane "Istarske Ljestvice". Narodna Umjetnost, vol.38/2, pp.73-95 Feld, Steven 1982 Sounds and sentiments. Birds, Weepings, Poetics and Songs in Kaluli Expression. University ofPennsylvania Press, Philadelphia. Gallini, Clara e Satta, Gino 2007 Incontri Etnografici. Processi cognitivi e relazionali nella ricerca sul campo. Meltemi. Roma Goffman, Ervin 1969 L'interazione strategica. Il Mulino, Bologna. Matetić-Ronjgov, Ivan 1939 Čakavsko-primorska pijevanka, Ronjgi Prašelj, Dušan 2005 "Ivan Matetič-Ronjgov i Otok Krk". Krčki Festival 1935-2005, pp.45-46, Centar za Kulturu Grada Krka, Krk Stone, Ruth M. 1982 Let the Inside Be Sweet. The Interpretation of Music Event Among of Kpelle of Liberia. Indiana University Press, Blooington. Zemp, Hugo 1978 "'Are'are classification of Musical Type and Instruments”. Ethnomusicology, vol.22/1, pp.37-68. - 1979 "Aspects of 'Are'Are Musica Theory”. Ethnomusicology, vol. 23/1, pp.5-48 Žganec, Vinko 1963 “La gamme istrienne dans la musique populaire yougoslave". Studia Musicologica Academiae Scientiarum Hungaricae, T. 4, Fasc. 1/2, pp. 101- 128

*** Alessandro Bratus Scrittura e riscrittura nei Basement Tapes di Bob Dylan: Ode To Billie Joe di Bobbie Gentry e Clothesline Saga (Answer To Ode) I meccanismi alla base della composizione nella popular music,nonostante alcuni tentativi teorici come quelli di Allan Moore (1997, 2001), Richard Middleton (1994), Vincenzo Caporaletti (2005, 2007) e altri studiosi prevalentemente di area anglosassone, sono ancora al centro di un dibattito in corso. Spesso tali processi passano, in maniera più o meno diretta, dalla rielaborazione di influenze, generi, interpreti, o canzoni preesistenti. La difficoltà nel fare luce su questo fondamentale momento nella messa a punto di una canzone popular è spesso dovuta alla mancanza di fonti che testimonino parte della genesi della

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canzone, prima questa che venga fissata dalla pubblicazione ufficiale su disco. Partendo da questi presupposti, il paper presentato cercherà di mostrare come si comportino Bob Dylan e suoi musicisti nel ricavare una vera e propria canzone-risposta da una hit da classifica come Ode To Billie Joe di Bobbie Gentry, contemporanea ai Basement Tapes (1967). Questa trasformazione è funzionale alla creazione di un oggetto da tutti i punti di vista ‘nuovo’ e ‘originale’, che passa attraverso un processo non solamente di variazione su uno schema dato, ma di vera e propria composizione, capace di unire in un pensiero unitario i diversi livelli strutturali della canzone. Saranno discussi i molti elementi che le accomunano e che confermano un rapporto di discendenza diretta da una all’altra, mettendone in evidenza i motivi di vicinanza formale, espressiva, musicale. Clothesline Saga fornisce un caso palese di quelli che Richard Middleton ha chiamato fenomeni di autoriflessione, fondamentali in tutti i tipi di comunicazione in cui sia coinvolto «[…] un linguaggio che significa sè stesso.» (Middleton: 1994: 302. La citazione riportata da Richard Middleton è tratta da Jakobson (1960) Lo studioso inglese distingue diversi tipi di autoriflessione, che si organizzano in un processo di significazione in cui «[…] il principio interpretativo è interamente strutturale: il significato di particolari unità risiede non in che cosa sia la loro sostanza, ma nel loro rapporto (contrasto, equivalenza, proporzione, analogia, e così via).» (Middleton, 1994: 305). Interpretata in tale modo la popular music appare, allora, come un campo percorso da unità comunicative provviste di forti legami reciproci, che negoziano il loro significato in base ai rapporti e alle influenze del singolo numero musicale rispetto a un contesto più ampio, quindi essenzialmente in base a fenomeni di tipo stilistico e intertestuale. In questa situazione tentare di capire che tipo di connessione esista tra una determinata canzone e il suo modello non è solamente una questione interessante sotto il profilo analitico, ma diventa un elemento cruciale attraverso il quale investigare il significato di ogni manifestazione poetico-musicale; si potrà in questo modo inserirla in quella rete di riferimenti verbali e musicali dal quale procede la sua composizione, come rielaborazione di uno (o più) precedenti. Negli studi musicologici su un’altra tradizione non scritta contemporanea, il jazz, il concetto di autoriflessione è stato utilizzato soprattutto per lo studio dell’improvvisazione, come nei lavori di John Murphy (1990) o Ingrid Monson (1996). Tali operazioni partono proprio dal concetto di intertestualità o, più specificamente di intermusicalità, per spiegare come nella musica basata sull’estemporizzazione di strutture soggiacenti (i cosiddetti “standard”) i diversi pezzi si relazionino tra loro. Recuperare questo concetto più a largo raggio per lo studio della

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popular music, e in particolare per i Basement Tapes, sembra essere una strada utile da percorrere per avvicinarsi al significato delle registrazioni nel loro complesso, come repertorio che nasce in larga parte sulla base di procedimenti di selezione e ripresa di materiale preesistente. Bibliografia essenziale CAPORALETTI, VINCENZO 2005 I processi improvvisativi della musica. Un approccio globale, Lucca, LIM. 2007 Out-Bloody-Rageous (Soft Machine, "Third",1970). La logica dialettica della musica audiotattile, “Philomusica on-line”, numero speciale (Atti del Convegno internazionale "Composizione e sperimentazione nel rock britannico 1966-1976", a cura di Gianmario Borio e Serena Facci), disponibile all’indirizzo http://www.unipv.it/britishrock1966-1976/testiit/cap1it.htm MIDDLETON, RICHARD 1994 Studiare la popular music, Milano, Feltrinelli (ed. or. Studying Popular Music, Buckingham, Open University Press, 1990). MOORE, ALLAN 1997 Anachronism, Responsibility And Historical “Intension”, «Critical Musicology Journal», disponibile all’indirizzo: http://www.leeds.ac.uk/music/Info/critmus/articles/1997/03/01.html - 2001 Rock: The Primary Text. Developing A Musicology Of Rock, Aldershot, Ashgate. MONSON, INGRID 1996 Saying Something: Jazz Improvisation And Interaction, Chicago, The University of Chicago Press. MURPHY, JOHN P. 1990 Jazz Improvisation: The Joy Of Influence, «The Black Perspective In Music», 18/1-2, pp. 7-19.

Sesta sessione

Avanguardie colte del Novecento Alfonso Alberti Ortografia e funzioni armoniche nella produzione atonale di Skrjabin Stato attuale delle conoscenze sull’argomento: Il problema è assolutamente decisivo per la comprensione della musica di Skrjabin. La questione è stata posto in ambito internazionale: un primo articolo, ad opera di George Perle, diede al problema una soluzione in sé coerente (ma sostanzialmente avulsa da altre caratteristiche della pagina musicale, perciò con un potere esplicativo molto limitato). Un secondo articolo di Cheong Wai-Ling dà invece una spiegazione dotata di potere esplicativo ben maggiore. Le conseguenze di questa nuova

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proposta analitica vengono però solamente additate, e non vengono trattate alcune notevoli conseguenze, cioè la possibilità di riflettere in maniera nuova sulla centripecità e gerarchizzazione della sintassi armonica di Skrjabin. Contributo allo stato attuale delle conoscenze sull’argomento: chiarificazione e integrazione delle soluzioni al problema ortografico. Proposta originale per la descrizione di una dialettica e di una gerarchizzazione a più livelli della sintassi armonica di Skrjabin. Metodo: indagine armonica funzionale, con supporto della pcs-theory. Sintesi dei contenuti della ricerca Il problema: Nella produzione atonale di Skrjabin, e in particolare nei suoi ultimi lavori, capita di trovare ortografie in apparenza stravaganti. La stessa classe di altezze può avere due ortografie diverse, anche se enarmonicamente equivalenti, a breve distanza l’una dall’altra. Intere sequenze melodiche possono trovarsi scritte (anche qualora non vengano trasposte) in due modi diversi nella stessa composizione. La soluzione di George Perle: Le ortografie sono cangianti perché fanno riferimento a sistemi ottatonici (o eptatonici derivati) in continuo cambiamento, e che danno coerenza a ogni punto della partitura. Perle ricostruisce i sistemi ottatonici skrjabiniani col criterio (semplice, ma limitante) di non avere mai due classi di altezze consecutive con lo stesso nome: mai mib-mi in successione, per esempio. Essendo i gradi di una scala ottotonica otto e i nomi delle note sette, una ripetizione deve comunque esserci, e si verifica fra il primo e l’ultimo grado della scala. Esempio: si-do-re-mib-fa-solb-lab-sibb. Il limite consiste nel fatto che, se è ora possibile spiegare il cambio di ortografia attraverso un cambio di scala ottatonica di riferimento non è possibile spiegare perché La soluzione di Cheong Wai-Ling (integrata da un’enfasi particolare sul concetto di funzione armonica): Skrjabin usa il sistema ottatonico che gli consente di scrivere l’accordo (in genere pseudo-dominantico) soggiacente nella maniera standard (che consenta cioè di non tradirne la funzione). Per esempio, se la sonorità di riferimento in un certo punto del brano è 0-4-10, occorre usare un sistema ottatonico che consenta di scrivere queste tre classi di altezze come do-mi-sib, e non certo come do-fab-sib. (Si impone, ovviamente, una riflessione su cosa sia “la” funzione di un oggetto neutro come 0-4-10, che in altri autori potrebbe configurarsi per esempio come sesta eccedente; in realtà il contesto locale, e

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anche l’evoluzione del linguaggio armonico skrjabiniano, sciolgono i principali equivoci possibili). Nei sistemi ottatonici di Wai-Ling la ripetizione del nome della nota avviene all’interno della scala ottatonica. Esempio: si-do-re-re#-mi#-fa#-sol#-la. Questo permette di avere la nota iniziale della scala coincidente con la fondamentale dell’accordo dominantico di riferimento (si-re#-la, per esempio), mettendo perciò in relazione l’ambito armonico funzionale e quello ortografico. Generalizzazione della regola: l’accordo può anche non essere dominantico. Si propongono esempi di accordi diversi che generano un sistema scalare e un’ortografia conseguente. Discussione delle eccezioni alla regola: Per esempio, una triade scritta come sovrapposizione di terza minore e terza maggiore e poi, qualche battuta dopo, in un contesto identico, la sua trasposizione scritta come seconda eccedente più quarta diminuita. Obiettivo vero e proprio della relazione, cioè analisi delle conseguenze di questo approccio: se è vero che a generare le scale (che a loro volta determinano le ortografie) sono degli accordi dotati di una certa funzione (e per non tradire ortograficamente questa funzione Skrjabin ha scelto una scala ottatonica piuttosto che un’altra), allora è da incoraggiare in maniera massiccia una riflessione sulla musica di Skrjabin che si basi sul concetto di funzione armonica. Cheong Wai-Ling mostra la parentela fra il cosiddetto accordo mistico e la scala ottatonica con uguale nota di riferimento. Si può andare ben oltre e mostrare come le funzioni dominantiche, dopo avere perso la necessità di risolvere sulla funzione di tonica, restino la funzione principe della musica di Skrjabin e si incarnino in vocaboli armonici morfologicamente affini e funzionalmente identici. La perduta dialettica fra dominante e tonica si realizza ora in tre modi diversi: - dialettica (lessicale) fra accordi dominantici e non dominantici (in genere aventi la triade minore come sottoinsieme) - dialettica (lessicale) fra diversi generi di sonorità dominantiche (0-2-4-6-9-10, 0-1-4-6-9-10, 0-2-6-9-10, ecc.) - dialettica (sintattica) fra dominanti costruite su diversi gradi (tutte da relazionale al suono di riferimento iniziale e finale, che in composizioni di piccole-medie dimensioni è sempre unico). Acquistano importanza i cicli di trasposizione (in primis quelli di terza minore, terza maggiore e seconda maggiore). In particolare, il discorso ortografico aiuta a chiarire come le trasposizioni a distanza di terza minore siano veramente un evento potenzialmente tensivo, nonostante il contenuto di classi di altezze non subisca cambiamenti (ma il loro uso sì).

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Riassumendo: si tratta di una proposta analitica che va nella direzione di un’interpretazione funzionale e gerarchizzata della sintassi armonica skrjabiniana; si è scelto il problema ortografico come via di approccio privilegiata. Bibliografia minima James M. Baker, Scriabin’s Implicit Tonality, «Music Theory Spectrum», II (primavera 1980), pp. 1-18. George Perle, Scriabin’s Self-Analyses, «Music Analysis», III/2 (luglio 1984), pp. 101-122. James M. Baker, The Music of Alezander Scriabin, Yale University Press, New Haven, 1986. Allen Forte, New Approaches to the Linear Analysis of Music, «Journal of the American Musicological Society», XLI/2 (estate 1988), pp. 315-348. Cheong Wai-Ling, Ortography in Scriabin’s Late Works, «Music Analysis», XII/1 (marzo 1993), pp. 47-69. Elliott Antokoletz, Transformations of a Special Non-Diatonic Mode in Twentieth-Century Music: Bartok, Stravisnky, Scriabin and Albrecht, «Music Analysis», XII/1 (marzo 1993), pp. 25-45. Clifton Callender, Voice-Leading Parsimony in the Music of Alexander Scriabin, «Journal of Music Theory », XLII/2 (autunno 1998), pp. 219-233. Susanna Garcia, Scriabin’s Symbolist Plot Archetype in the Late Piano Sonatas, «19th-Century Music», XXIII/3 (primavera 2000), pp. 273-300. Richard Bass, Half-diminished Functions and Transformations in Late Romantic Music, «Music Theory Spectrum», XXIII/1 (primavera 2001), pp. 41-60.

*** Patrizia Mazzina La musica gestuale di John Cage Stato attuale delle conoscenze sull’argomento: numerosi sono i lavori intorno all’opera e il pensiero di John Cage, in particolare, le riflessioni circa il rapporto che lega il compositore statunitense con il mondo orientale (PORZIO MICHELE, Metafisica del silenzio. John Cage, l’oriente e la nuova musica) e l’influenza che questa dimensione ebbe sulla concezione stessa del comporre attraverso l’utilizzo di pratiche aleatorie e dell’introduzione stessa del “caso” nell’ambito del processo compositivo. Insieme alle numerose ristampe delle diverse “conversazioni” con Jon Cage (CAGE JOHN, Per gli uccelli. Conversazione con Daniel Charles; R. KOSTELANETZ (a cura di), John Cage. Lettera ad uno sconosciuto) e gli scritti dello stesso compositore (CAGE JOHN, Silence. Lectures and Writings; CAGE JOHN, A Year from Monday). Non sono, inoltre, da dimenticare i diversi contributi di analisi e riflessioni emersi nell’ambito di giornate di studi come, ad esempio, quelle del Convegno di studi Riva

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del Garda, L’espressione si sviluppa in colui che la percepisce, incentrante, principalmente, sulla produzione caegiana a partire dal periodo cosiddetto “romantico”, sulle tecniche “aleatorie” ed elettroacustiche utilizzate e sperimentate dal compositore. Contenuti principali della comunicazione e obiettivi della ricerca: da una prima analisi complessiva del materiale bibliografico e discografico a disposizione, il presente progetto si propone di individuare le “categorie estetiche” che consentono di delineare una cosiddetta poetica del gesto nell’ambito di alcune partiture scelte tra le opere di John Cage (Water Music del 1952; Water Walk e Sound of Venice del 1959; Music Walk del 1958 e Theater Piece del 1960). Obiettivo della ricerca è individuare le strutture e le forme che consentono di definire un’opera musicale come opera gestuale e i diversi e molteplici scambi che la gestualità innesca tra la dimensione sonora e quella visiva (sia esso un gesto esecutivo-performativo o un gesto iconiconotazionale). Il gestualismo musicale si sviluppa, dunque, nell’opera di Cage, all’interno di due diversi e variegati livelli di percezione della comunicazione e della trasmissione: da un lato attraverso una gestualità performativa (attraverso il valore extramusicale innescato dalla consapevole “azione-gesto” dell’interprete sullo spettacolo complessivo oltre che sul risultato sonoro) e dall’altro attraverso una gestualità iconografica, dove lo spazio fisico della pagina e la stessa notazione tendono a “visualizzarsi” in vere e proprie partiture-immagini volte a conferire al segno un immediato valore visivo ed espressivo che supera i limiti delle tradizionali convenzioni semiografiche. Apporti del proprio contributo rispetto allo stato attuale delle conoscenze: il presente progetto si propone di approfondire, da una diversa prospettiva, il lavoro di John Cage: seguendo la strada del gestualismo (o poetica del gesto) si vuole sostanzialmente ripercorrere le tappe e i momenti in cui il linguaggio musicale, le convenzioni performative e notazionali subirono un totale stravolgimento attraverso un’osmosi costante tra la dimensione scenico-visiva, semiografica nonché sonora. Le partiture scelte appartengono tutte alla categoria della musica cosiddetta gestuale, oltre a costituire un corpus di opere strettamente legate tra loro come, del resto, lo stesso Cage ebbe modo di scriverci: «Prima di Theater Piece (1960) avevo fatto due pezzi per la televisione. Uno si chiamava Water Walk e l’altro Sound of Venice (1959). L’avevo chiamato Water Walk (1959) per via di Music Walk (1958); e Music

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Walk, penso che lei sarà d’accordo con me, è un lavoro teatrale. Prima di Music Walk c’era stato Water Music (1952). Questi titoli vorrebbero dimostrare che tutti questi lavori sono legati tra loro […]» (R. KOSTELANETZ (a cura di), John Cage. Lettera ad uno sconosciuto). Si propone, pertanto, come utile supporto alla ricostruzione di un profilo estetico più dettagliato della poetica del gesto caegiana, la lettura e l’analisi delle partiture delle opere selezionate, rispetto alla letteratura attualmente esistente. Bibliografia essenziale a) Opere di carattere storico-filosofico ADORNO THEODOR W., Musikalische Schriften I-III, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1959; tr. it. di Alessandro Arbo, Immagini dialettiche, Torino, Einaudi, 1978. ADORNO THEODOR W., Philosophie der neuen Musik, Tübingen, J. C. B. Mohr, 1949; tr. it. di Giacomo Manzoni, La filosofia della musica moderna, Torino, Einaudi, 1959. ADORNO THEODOR W., Ästhetische Theorie, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1970; tr. it. di Enrico De Angelis, Teoria estetica, Torino, Einaudi, 1977. BENJAMIN WALTER, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, in Schriften, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1955; tr. it. di Enrico Filippini, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Arte e società di massa, Torino, Einaudi, 2000. COOMARASWAMY ANANDA K., Tempo ed Eternità, Milano, Luni, 2003. DERRIDA JACQUES, L’écriture et la différence, Paris, Seuil, 1967; tr. it. di Gianni Pozzi, La scrittura e la differenza, Torino, Einaudi, 2002. ECO UMBERTO, La struttura assente, la ricerca semiotica e il metodo strutturale, Milano, Bompiani, 1998. ECO UMBERTO, Opera aperta, forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee, Bompiani, Milano, 2000. ECO UMBERTO, Semiotica e filosofia del linguaggio, Torino, Einaudi, 1997. JAMESON FREDERIC, Postmodernism, or, The Cultural Logic of Late Capitalism, Duke University Press, 1991; tr. it. di Massimiliano Manganelli, Postmodernismo, ovvero la logica culturale del tardo capitalismo, Roma, Fazi Editore, 2007. b) Musicologia: apparato teorico BOULEZ PIERRE, Relevés d’apprenti, Paris, Seuil, 1966, tr. it. di Luigi Bonino Savarino, Note di apprendistato, Torino, Einaudi, 1968 BOULEZ PIERRE, Par volontà et par hasard. Entretiens avec Célestin Deliège, Paris, Seuil, 1975; tr. it. di Paolo Gallarati, Per volontà e per caso, Torino, Einaudi, 1977 BOULEZ PIERRE, CAGE JOHN, Correspondance and Documents, Schott, Nuova edizione rivista da Robert Piencikowski, 2002; tr. it di W. Edwin Rosacco, Corrispondenza e documenti, Milano, Archinto, 2006. CAGE JOHN, Silence. Lectures and Writings by John Cage, Middletown, Conn., Westleyan University Press, 1961.

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CAGE JOHN, Pour les oisseaux. Entretiens avec Daniel Charles, Berlfond, 1977; tr. it. di Davide Bertotti, Per gli uccelli. Conversazione con Daniel Charles, Torino, Tipolito Subalpina, 1999. CAGE JOHN, KNOWLES ALISON (a cura di), Notation, New York, Something Else Press, 1969. KAGEL MAURICIO, tr. it. di Kristina Pietra, Parole sulla musica. Conversazioni, discorsi, saggi, radiogrammi, Macerata, Quodlibet, 2000. Terminologie der Musik im 20. Jahrhundert, hrsg. von Hans Heinrich Eggebrecht, Franz Steiner Verlag, Stuttgart, 1995, I und II Sonderband. c) Musicologia: apparato critico BALLARDINI FRANCO, CUTRONEO ALDO, NEGRI EMANUALA (a cura di), John Cage. L’espressione si sviluppa in colui che la percepisce, Atti del convegno di studî Riva del Garda, Auditorium del Conservatorio, 3-10 settembre 20002, Libreria Musicale Italiana, Lucca, 2003. BAYER FRANCIS, De Schönberg à Cage: Essai sur la notion d’espace sonore dans la musique contemporaine, Klincksieck, Parigi, 1987. BIANCHI RUGGERO, Autobiografia dell’avanguardia. Il teatro sperimentale americano alle soglie degli anni Ottanta, Torino, Tirrenia Stampatori, 1980. BORIO GIANMARIO, GENTILI CARLO (a cura di), Storia dei concetti musicali/I. Armonia, tempo, Roma, Carocci editore, 2007. BORIO GIANMARIO, GENTILI CARLO (a cura di), Storia dei concetti musicali/II. Espressione, forma, opera, Roma, Carocci editore, 2007. BORTOLOTTO MARIO, Fase seconda: Studi sulla nuova musica, Torino, Einaudi, 1969. CRESTI RENZO, Franco Donatoni. Studio monografico sulla musica e la poetica di Franco Donatoni in relazione alle problematiche filosofiche e musicali dagli anni ’50 ad oggi, Milano, Edizioni Suvini Zerboni, 1982. DAHLHAUS CARL, Schoenberg and the New Musik, Cambrige University Press, Cambrige, 1987. DICKINSON PETER, Cage Talk. Dialogues whit and about John Cage, USA, University of Rochester Press, 2006. DONORÀ LUIGI, Semiografia della nuova musica, Padova, Zanibon, 1977. EIMERT HERBERT, Das Lexikon der elektronischen Musik, Regensburg, 1973. EIMERT HERBERT, Lehrbuch der Zwölftonmusik, Wiesbaden, Breitkopf & Härtel, 1950-52; tr. it. di Massimo Donà, Milano, Carisch, 1954. FABBRI PAOLO, La svolta semiotica, Roma-Bari, Laterza, 1998. GENTILUCCI ARMANDO, Guida all’ascolto della musica contemporanea, Feltrinelli, Milano, 1969. GENTILUCCI ARMANDO, Oltre l’avanguardia. Un invito al molteplice, Fiesole, Discanto, 1979. JAMEAUX DOMINIQUE, Pierre Boulez, Paris, Fayard, 1984. KOSTELANETZ RICHARD (a cura di), Conversing with Cage, Published by arrangement with Limelight Editions; tr. it. di Franco Masotti, John Cage. Lettera a uno sconosciuto, Roma, Edizioni Socrates, 1996. KRAMER JONATHAN D., The Time of Music. New Meanings, new Temporalities, new Listening Strategies, New York, Schirmer, Books, 1988 MILA MASSIMO, L’esperienza musicale e l’estetica, Torino, Einaudi, 2001. NATTIEZ JEAN-JACQUES, Le combat de Chronos et d’Orphée, Paris, Christian Bourgois éditeur, 1993; tr. it. di Francesca Magnani, Il

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combattimento di Crono e Orfeo, Saggi di semiologia musicale applicata, Torino, Einaudi, 2004. NATTIEZ JEAN-JACQUES, Il discorso musicale, (ed. it. a cura di Rossana Dalmonte), Torino, Einaudi, 1987. PORZIO MICHELE, Metafisica del silenzio. John Cage, l’oriente e la nuova music VALLE ANDREA, La notazione musicale contemporanea, aspetti semiotici ed estetici, EDT, Torino, 2002. VLAD ROMAN, Storia della dodecafonia, Milano, Suvini Zerboni, 1958. a, Milano, Auditorium Edizioni, 1995. ZURLETTI SARA, Il concetto di materiale musicale in Th. W. Adorno, Napoli, Il Mulino, 2006. d) Dizionari ed enciclopedie AA.VV. [1968-9], Enciclopedia filosofica, 2a ed., 6 voll., Sansoni, Firenze. GIACON C. (a cura di) [1985], Dizionario dei filosofi del Novecento, Leo S. Olschki Editore. M. KELLY (a cura di) Encyclopedia of Aesthetics, , Oxford University Press, 1998. AA.VV, Dizionario di estetica e di linguistica generale, Milano, Pergamena, 1975. A. BASSO (a cura di), Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti, Torino, UTET, 1997. C. DAHLHAUS (Herausgegeben von), Pipers Enzyklopädie des Musiktheaters, München Zürich, Piper, 1997. J.J. NATTIEZ (a cura di), Enciclopedia della musica, Vol.I, Il Novecento, Torino, Einaudi, 2001. PERTHES NICOLAS, JENS RUCHATZ (a cura di), Gedächtnis und Erinnerung. Ein interdiszplinäres Lexikon, Reinbek bei Hamburg, Rowohlt, 2001. A. RIGANTI, G. FARINA (a cura di), Enciclopedia della musica, Milano, Garzanti, 1996. S. SADIE (edited by), The New Grove Dictionary of Opera, London, Macmillan Reference Limited, 1997.

*** Marco Marinoni - Simone Conforti Anthèmes 2 di Pierre Boulez: analisi parametrico-estesica e fattibilità dell’ambiente esecutivo elettroacustico. Lo studio in esame è incentrato sul brano Anthèmes 2 (1997) di Pierre Boulez, per violino e dispositivo elettronico. Il lavoro del compositore francese, di estrema rilevanza per ciò che concerne la storia della composizione legata all'uso delle nuove tecnologie, viene indagato secondo due differenti tipologie di osservazione, complementari ma diversamente focalizzate, situate in due zone autonome all’interno del presente contributo: 1. analisi musicale e tecnologica del brano (Marinoni); 2. studio dell'ambiente esecutivo elettroacustico (Conforti).

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L'argomento è stato sviluppato mediante uno studio della composizione nel suo insieme, a partire da un’approfondita analisi musicologica. La valutazione di fattibilità del sistema elettronico è stata attuata tramite esperimenti di ricostruzione dell'ambiente esecutivo. Le due parti di cui si compone questo contributo possono essere presentate separatamente oppure confluire in un unico intervento. 1. Analisi musicale e tecnologica del brano. L’analisi condotta sulla partitura è di impostazione parametrico-estesica, basata sui cambiamenti contrastivi, secondo la direzione indicata da Michel Imberty per cui il processo di segmentazione di un brano musicale viene strutturato a partire dalla percezione di cambiamenti qualitativi più o meno pregnanti nel flusso del tempo musicale. Il cambiamento contrastivo, per essere percepito, necessita che l’Io percepisca non solo gli stati A e B ma la transizione da A a B. Il passaggio costituisce la realtà percettiva della relazione tra le parti. B deve presentare una qualità diversa rispetto ad A. Il cambiamento introduce una discontinuità nel tessuto temporale attraverso due possibili modalità: gerarchia e giustapposizione. Attraverso la segmentazione in questo modo attuata, il brano viene descritto prima a livello della macro-forma, articolando una osservazione preliminare di tipo paradigmatico in cui la metodologia di osservazione varia flessibilmente a seconda dell’oggetto osservato; l’osservazione scende quindi al livello della micro-forma, con l’obiettivo di individuare le cellule tematiche strutturali e la ripartizione dei ruoli a livello morfo-sintattico. Parallelamente all’analisi dei materiali strumentali viene indagato il ruolo dell’elettronica, alla ricerca di congruenze o divergenze cui dare significato. Questa metodologia mista è coerente con quanto affermato da Boulez nello scritto “Le système et l’idée” riguardo all’importanza di osservare un brano anche in base a come esso viene percepito piuttosto che solamente per come esso è costruito. In questa sede non viene pertanto attuata una esplorazione di tipo seriale focalizzata principalmente sul parametro altezza, già esaurientemente portata a termine da Goldman nella sua tesi. Attraverso l’indagine dei rapporti gerarchici (asse sintagmatico) e delle relazioni orizzontali che interessano il decorso formale del brano (asse paradigmatico) vengono compiute inferenze qualitative circa le scelte operate dal compositore, integrando l’osservazione analitica con un intervento di tipo ermeneutico. Le scelte metodologiche attuate in questo studio riprendono e sviluppano quelle presentate nell’ articolo “Atomi distratti di Mario Garuti” di Marco Marinoni: in quello specifico caso, le dichiarazioni del compositore, appositamente intervistato, venivano utilizzate come linee guida per l’organizzazione dell’osservazione; diversamente, in questo lavoro, le parole di Boulez si configurano quale strumento di

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verifica e confronto post hoc. A tal proposito, parte delle dichiarazioni rilasciate da Boulez in occasione della prima esecuzione del brano (21 Ottobre 1997, IRCAM, Parigi) al filosofo e musicologo francese Peter Szendy sono state tradotte in italiano e saranno rese disponibili in appendice al testo dell’intervento. 2. Studio dell’ambiente esecutivo elettroacustico. La seconda parte di questo contributo è focalizzata sull'interesse destato dall’ inusuale sforzo, divulgativo ed editoriale, che ha riguardato la redazione di un manuale tecnico a corredo dell'opera. Tramite lo studio del testo in esame, di cui vengono attentamente valutati pregi e difetti, si giunge ad una disamina delle possibili strade da percorrere per la ricostruzione e la preservazione attraverso il tempo dell’ambiente elettroacustico del brano, nella sua doppia valenza di testo musicale e argomento di ricerca tecnologica. L’urgenza di individuare direzioni e modalità attuative praticabili per arginare la perdita d'informazione che colpisce le composizioni che fanno uso delle tecnologie elettroniche muove dalla necessità di formulare un linguaggio condiviso attraverso il quale recuperare i brani del recente passato e garantire sostegno a una prassi non ancora sufficientemente condivisa relativamente alle modalità di notazione della musica elettroacustica, come rileva anche Alvise Vidolin in un suo recente scritto. “Nell’affrontare questo repertorio musicale […], il regista del suono deve spesso ‘completare’ la partitura attuando scelte personali che cerchino di rendere al meglio l’idea compositiva e che siano coerenti con la prassi esecutiva del compositore-esecutore pervenuta il più delle volte per partecipazione diretta o per tradizione orale. Molto spesso si pone il problema di ‘trascrivere’ i dati prescrittivo-operativi della partitura per renderli compatibili con le tecnologie correnti” (VIDOLIN 2001). Nel caso di Anthèmes 2 il problema riguarda principalmente la scelta, da parte del compositore e dello staff di ricerca che si occupò della realizzazione dell’ambiente esecutivo della prima esecuzione, di includere nel manuale tecnico-operativo fornito con la partitura, tecnologie caratterizzate da rapida obsolescenza. Lo studio dell’ambiente elettroacustico di Anthèmes 2, relazionato al rapporto tra notazione delle informazioni tecniche e risultati realizzativi musicali, ha così permesso di sviluppare interessanti riflessioni a proposito del mezzo di trasmissione dell'informazione dominio-specifica, stimolando domande circa la validità del mezzo cartaceo in cui sono stati trascritti i procedimenti elettronici. La ricerca di documentazione e di fonti in grado di mettere in luce le caratteristiche di integrazione stretta tra analisi musicologica e rapporto con l'apparato tecnologico del brano in esame ha evidenziato la carenza di scritti a cui riferirsi per la trattazione di uno studio impostato secondo questi criteri, generando lo stimolo per la

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diffusione di una ricerca che ha l'obiettivo di andare a colmare tale mancanza di informazioni. Bibliografia P. BOULEZ, Anthèmes 2, per violino e dispositivo elettronico, Universal Edition, Wien 1997. HTTP://MUSTICA.IRCAM.FR/MUSTICA/RENDU/HTML/OEUVRE.PHP?ID=22 P. BOULEZ, Le système et l’idée, InHarmoniques nº 1, décembre 1986: le temps des mutations, Ircam – Centre Georges-Pompidou 1986. AA. VV., Il suono trasparente. Analisi di opere con live electronics, a cura di A. Cremaschi e F. Giomi, LIM, Lucca 2005. N. BERNARDINI, Live Electronics, in Nuova Atlantide: il Continente della Musica Elettronica 1900–1986, a cura di R. Doati e A. Vidolin, La Biennale di Venezia, Venezia 1986. N. BERNARDINI, A. VIDOLIN, Sustainable Live Electro-Acoustic Music, in Proceedings XV CIM, Salerno 2005. L. CAMILLERI, Musica senza notazione. Riflessioni sull’analisi della musica elettronica, in L’analisi musicale, a cura di M. Baroni e R. Dalmonte, Unicopli, Milano 1991. M. CHION, Vingt années de musique électro-acustique, «Musique en jeu», 8, 1972. L. DAHL, J. M. JOT, A reverberator based on absorbent all-pass filters, in Dafx 00, 2000. C. DALHAUS – H.H. EGGEBRECHT, Che cos’è la musica?, Il Mulino, Bologna 1988. H. DAVIES, Electronic instruments, in The New Grove Dictionary of Musical Intruments, Macmillan, Londra 1984. G. DELEUZE, Logica del senso, Feltrinelli, Milano 2005. A. DI SCIPIO, Riflessioni sull’analisi della musica elettroacustica e informatica, in Atti del XI Colloquio di Informatica Musicale, AIMI/DAMS, Bologna 1994. F. GIOMI, Studiare l'analisi. Indicazioni e riflessioni sui testi per lo studio della musica elettroacustica, «I Quaderni della Civica Scuola di Musica», 26, 1999. J. GOLDMAN. Understanding Pierre Boulez.s Anthèmes [1991]: ‘Creating a Labyrinth out of Another Labyrinth’, Faculty of Music, Université de Montréal 2001. M. IMBERTY, Le scritture del tempo, Ricordi, Milano 1990. M. MARINONI, Intension und Komplexitat in Mario Garutis Quantunque, in Musik & Aesthetik - Herausgegben von Ludwig Holtmeier, Richard Klein und Claus-Steffen Mahnkopf - 5. Jahrgang, Heft 18, April 2001 - Klett-Cotta Stuttgart 2001. M. MARINONI, Atomi distratti di Mario Garuti, in Atti del XVII Colloquio di Informatica Musicale, AIMI, Venezia 2008. K. STOCKHAUSEN, Electroacustic Performance Practice, in Perspectives of New Music, Vol. 34, No 1, pp 74-105, 1996. A. VIDOLIN, Suonare lo spazio elettroacustico, CSC – Centro di Sonologia Computazionale dell'Università di Padova, 2001. A. VIDOLIN (a cura di), Musica ed elaboratore. Orientamenti e prospettive, LIMB, Ed. «La Biennale di Venezia» 1980.

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A. VIDOLIN, Ambienti esecutivi, in I profili del suono, a cura di Tamburini e Bagella, Musica Verticale, Galzerano 1987. VIDOLIN A. (1996) Trasformazioni del continuo con tecniche discrete. I processi di elaborazione del suono in ‘Noms des Airs’ di Salvatore Sciarrino, «Quaderno SISSA, ILAS/LL-13, Trieste. A. VIDOLIN, Interpretazione musicale e signal processing, CSC – Centro di Sonologia Computazionale dell'Università di Padova.

*** Simonetta Sargenti Interazione spazio-suono e influenza fra tecnologia e scrittura strumentale nelle ultime opere di Luigi Nono. Nel xx secolo sono molti i compositori la cui poetica è rivolta prevalentemente all’approfondimento della dimensione timbrica. Tra questi Luigi Nono, particolarmente nell’ultimo decennio (1980-1990), ha lavorato in modo particolare sulle possibilità espressive del suono potenziate e amplificate dall’impiego della tecnologia. La presente ricerca è volta a definire i più significativi aspetti della poetica di Nono all’interno dell’interazione tra suono naturale ed elaborato dal vivo o registrato e le conseguenze di tale poetica sulla dimensione dell’opera musicale e sulla scrittura vocale e strumentale. Nelle ultime opere di Nono infatti, il timbro risulta essere una dimensione assai rilevante che influisce direttamente sulla concezione del tempo e della forma della composizione. Il modo di intendere il suono ha una profonda influenza anche sull’importanza dell’elemento spaziale, tanto che il suono si muove e si definisce in relazione ai diversi spazi di produzione e di ascolto e diventa possibile parlare di una vera e propria azione sonora, realizzata attraverso l’ interazione tra compositore ed esecutori. Questi aspetti dell’opera sono strettamente connessi anche all’uso delle tecnologie, soprattutto del live electronics . Ne consegue una nuova concezione degli strumenti e della voce che si rispecchia in modo evidente nella scrittura vocale e strumentale. La problematica del tempo e dello spazio in rapporto ad una possibile definizione di “azione sonora” è stata da me fin qui studiata basandomi sull’analisi di La lontananza nostalgica utopica futura, per violino e nastro del 1988. Attraverso questa analisi ho messo in rilievo le caratteristiche del ruolo dello strumento e di quello del suono registrato e l’importanza dell’interazione tra gli esecutori che ridefiniscono ogni volta la forma della composizione e le sue caratteristiche anche in rapporto al luogo dell’esecuzione. L’ influenza della tecnologia sulla scrittura strumentale è invece al centro dell’analisi di A Pierre dell’azzurro silenzio inquietum, del 1985, per flauto basso, clarinetto basso e live electronics, dove vi è il tentativo di rilevare alcuni caratteri salienti della scrittura strumentale, possibili solo in funzione della presenza della tecnologia

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stessa. Un’ulteriore approfondimento riguarda l’analisi di Io, frammento da Prometeo, un’opera che prevede l’impiego della voce, per confermare l’ipotesi dell’interazione esecutore-compositore e l’influenza della tecnologia sulla scrittura vocale. Analogamente, in A Pierre appaiono chiari i legami tra il procedimento della scrittura strumentale e il trattamento del suono dal vivo finalizzato ad un’azione sonora. Qui, il suono si modifica con l’elaborazione elettronica nel momento stesso in cui viene emesso e il procedimento con cui il pezzo è costruito prevede che gli strumenti eseguano una linea apparentemente assai semplice di suoni. Indagando il procedimento compositivo, che implica ancora una volta il forte coinvolgimento degli esecutori, sia strumentisti che registi del suono, si chiarisce il senso della drammaturgia del suono sottintesa alla composizione. La scrittura strumentale in A Pierre appare assai statica: la maggior parte delle note sono tenute e sembrerebbe non esserci movimento. Al contrario il movimento è proiettato all’interno del suono stesso in virtù delle sfumature dinamiche e dei diversi modi di attacco utilizzati. Ho rilevato raggruppando le dinamiche e i modi di attacco in schemi, con colori differenti, che vi sono delle ricorrenze di alcuni caratteri specifici del suono che dipendono proprio dalla presenza del trattamento del live electronics e non potrebbero essere tali diversamente. Il processo di composizione di questo brano è dunque stratificato in due livelli: una base strumentale con caratteristiche apparentemente semplici e statiche, e l’elaborazione con il live electronics. La scrittura strumentale sottende comunque, dietro questa semplicità apparente, quegli stessi caratteri di mobilità interna già osservati in La lontananza. La trasformazione dal vivo ha luogo sui vari parametri del suono. Viene proposta anche una breve analisi della realizzazione del live electronics. Indicazioni bibliografiche a) Partiture delle opere di Luigi Nono con live electronics, ed. Ricordi A Pierre, dell’azzurro silenzio inquietum, a più cori , per flauto contrabbasso in sol , clarinetto cb in sib e live el., 1985 La lontananza nostalgica , utopica, futura, madrigale per più caminantes con G. Kremer, per violino e nastro, 1988 Io, frammento di Prometeo per 3 soprani, piccolo coro, flauto basso, clarinetto contrabbasso e live electronics, 1981 Das atmende Klarsein per piccolo coro, flauto basso, live electronics e nastro magnetico, 1981 Omaggio a G.Kurtàg per contralto, basso tuba, flauto e live electronics, 1983 b) Scritti di Luigi Nono Nono, L., Scritti e colloqui a cura di A.I.De Benedictis e V. Rizzardi, 2001 c) Scritti su Luigi Nono N. Bernardini, Live electronics, in La nuova atlantide, 1986, p. 61

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AA.VV. Nono, a cura di E.Restagno, 1987 M.Cecchinato Ascoltare lo spazio. La poetica dello spazio in Luigi Nono attraverso la tecnica del live electronics in alcune opere degli anni ‘80, Tesi di laurea in Filosofia, Università di Padova, A.A. 1993-94 Feneyrou, L. Introduction à la pensée de Luigi Nono, Lille, Atelier National de Reproduction de Thèses de l’Université de Lille, 1997 AA.VV. La nuova ricerca sull’opera di Luigi Nono, a cura di G.Borio, G. Morelli e V. Rizzardi, 1999 Cescon, F. “Das atmende Klarsein“ di Luigi Nono. Indagine analitica e filologica sulla prima esperienza di Luigi Nono con il live-electronics, Tesi di Laurea, Luigi Nono e il suono elettronico, Teatro alla Scala, 2000Università di Venezia A.A. 2001-2002 S. Sargenti, Tempo, spazio, suono in la lontananza nostalgica utopica futura per violino e nastro di L.Nono, in De Musica, rivista online, gennaio 2008. S.Sargenti, Influenza della tecnologia sulla scrittura strumentale di Luigi Nono, EMS08 , 2008

*** Emiliano De Mutiis Livelli di lettura e pragmatiche interpretative in De Stijl (1985) di Louis Andriessen L’utilizzo di categorie e strumenti della teoria letteraria e della semiotica testuale in seno all’analisi musicale è una pratica piuttosto diffusa in musicologia, specie nei contributi più recenti. Questa tendenza si accentua se si vanno a considerare le pratiche analitiche riconducibili alla semiologia musicale. Il modello analitico «trans-strutturalista» che Jean-Jacques Nattiez definisce in Le combat de Chronos et d’Orphée, ad esempio, non solo risponde ad esigenze epistemologiche molto simili a quelle proprie della «pragmatica testuale» definita da Umberto Eco nel Lector in fabula, ma ne ricalca – seppur non dichiarandolo apertamente – molti degli assunti metodologici. Anche se a distanza di più di dieci anni l’uno dall’altro, i due studiosi si muovono verso uno scopo comune: integrare in un impianto teorico di matrice strutturalista considerazioni relative alle strategie di creazione e di ricezione di un’opera: il primo rivolgendosi al compositore e all’ascoltatore; il secondo all’autore e al lettore. Analizzando le due opere, appare evidente come il lettore descritto da Eco si comporti in modo molto simile dall’ascoltatore postulato da Nattiez nelle sue analisi estesiche: entrambi attuano una pragmatica interpretativa descrivibile e – seppur parzialmente – prevedibile, richiesta dal testo – attraverso espliciti segnali – e predisposta dall’autore-compositore: «nello stesso modo in cui, per Eco, il romanzo crea i propri lettori, l’opera musicale crea i propri ascoltatori. […] un’opera, a seconda del suo grado di complessità, è responsabile della molteplicità e della diversità delle strategie estesiche che mette in moto» [Nattiez].

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Tale pragmatica corrisponde ad una serie di azioni indispensabili per riempire gli «spazi vuoti» [Eco] lasciati dal testo, cogliendo ricorrenze, contrasti, variazioni, relazioni tra le parti e il tutto (semantica introversiva) e rapportando ciò che è proprio di quel dato testo ad una competenza di carattere generale o specifico (semantica estroversiva). Ciò conduce ad un comportamento, che può essere definito cooperativo, volto alla ricerca del senso dell’opera e descrivibile come una serie di individuazioni e riconoscimenti progressivi e concentrici; ma anche “a balzi”, tra i diversi piani significanti del testo musicale e non (discorsivo, narrativo, attanziale e ideologico), nella costante oscillazione tra un processo percepito e una conoscenza attualizzata (tra universo intro- ed estro-versivo). Applicando quindi esplicitamente la lente metodologica del Lector in fabula, corredata anche da altri e successivi assunti teorici di Eco, l’intevento mirerà a definire i livelli di lettura e le pragmatiche intepretative possibili della composizione De Stijl (1985) di Louis Andriessen, schiudendo inedite prospettive in merito ad essa. Vedremo quindi come, ad un primo livello di lettura, l’ascoltatore attuerà una pragmatica interpretativa a partire sia dai dati sonori percettivamente più evidenti (in virtù delle loro connotazioni culturali e grazie ai “comportamenti musicali” predisposti a tal fine), sia da quelli semiologicamente richiedenti un minor grado di competenza specialistica; incrociando questi dati con una serie di informazioni facilmente accessibili sull’opera (come le informazioni da “booklet di CD” o da “note di sala” riguardo il soggetto della composizione, la poetica del compositore, l’organico nonché il contenuto dei testi cantati), egli potrà accedere ad un primo livello di senso. Il confine (semiologico e percettivo) tra questo e il successivo è predisposto dal compositore in base alla sua idea del pubblico e stabilito dal musicologo per ogni analisi (facendo appello, ad es., a quella che Nattiez chiama «introspezione percettiva»). Proprio come il lettore descritto da Eco, tale ascoltatore attuerà una cooperazione interpretativa con la superficie sonora di De Stijl e le informazioni da esso possedute, muovendosi tra strutture attuanziali, ideologiche, discorsive e narrativo-formali e arrivando facilmente all’identificazione di importanti nodi di senso, come la tripartizione dell’opera, la fortissima caratterizzazione stilistica delle prime due parti (richiamanti mondi stilistici differenti e lontani nel tempo), l’evidente diminuzione di questa caratterizzazione nella terza parte e i legami tra tutto questo e i testi cantati. Ad un secondo livello di lettura, all’ascoltatore subentrerà un ascoltatore-musicologo, che scenderà a livelli di senso attualizzabili attraverso competenze specialistiche e analisi testuale. A questo secondo livello di lettura, la cooperazione intepretativa si servirà di una più approfondita indagine sulla poetica del compositore (attraverso interviste, scritti teorici, schizzi formali), di altre analisi musicologiche della stessa opera, nonché di una dettagliata analisi del

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testo musicale; si arriverà così ad evidenziare la presenza di relazioni armoniche, motiviche e testurali, di ricorrenti e geometrici rapporti formali, e a definire il ruolo strutturale di determinati «strati» ritmico-stilistici, mettendo in relazione aspetti narrativi (provenienti dal testo cantato) e parametri musicali (armonia, ritmo, durata). Le strutture attuanziali, ideologiche, discorsive e narrativo-formali assumeranno così una luce diversa che non andrà a smentire ma a completare e approfondire quella percepibile ad un primo livello. Alla fine del percorso analitico, si arriverà a delineare due ipotesi interpretative, distinte e complementari, entrambe riconducibili al forte legame che nella poetica di Andriessen sussiste tra il nome di una composizione e le strategie musicali attuate in essa: la prima – esplicitata sin dalle note di sala e nei booklet – che riferisce De Stijl al nome collettivo di un movimento artistico guidato da Piet Mondrian e che si sofferma sulle varie trasposizioni musicali di Andriessen di un quadro del pittore olandese; la seconda – inedita – che, rimandando De Stijl al suo significato letterale («lo stile»), si focalizza sul ruolo che il concetto di stile musicale ha sulle strategie di senso evidenziate, presentando De Stijl al contempo come musica sullo «stile» e come saggio sullo «stile» in musica. Bibliografia essenziale A.A.V.V. 1996 Andriessen (a cura di Enzo Restagno), EdT, Torino Andriessen, Louis 1994 “Conversazione tra Frans van Rossum, Sytze Smit e Louis Andriessen”, in A.A.V.V., Andriessen, (a cura di Enzo Restagno), cit. 1996 “Conversazione tra Enzo Restagno e Luois Andriessen”, in A.A.V.V., Andriessen, (a cura di Enzo Restagno), cit. 1996 “Lectures about ‘the genius’” in Paradiso, Amsterdam, 15 October 1996, in Louis Andriessen, The Art of Stealing time (2002) 1997 “Lecture” all’Università Cattolica Nijmegen, 9 April 1997 in The Art of Stealing time (2002) 1998 Lettera a Karin Melis, 25 April 1998 riportata in The Art of Stealing time (2002) 2000 “Lectures” tenuta durante un corso di composizione a Radziejowice (Polonia), in The Art of Stealing time (2002) 2002 “Lectures for Young Composers” in Maja Trochimczyk, The music of Louis Andriessen, Routledge, London 2002 2002 “Dialog 2: Fragments on Composing” in Maja Trochimczyk, The music of Louis Andriessen, cit. 2002 The Art of Stealing time, Arc Music, Lancs 2002 Andriessen, Louis – Schönberger, Elmer 1989 The Apollonian Clockwork. On Stravinsky, Oxford University Press, New York Collisani, Amalia 1998 Musica e simboli, Sellerio, Palermo Cook, Nicholas – Everist, Mark

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1999 Rethinking Music, Oxford University Press, Oxford Eco, Umberto 1979 Lector in fabula, Bompiani, Milano 2003 Sulla letteratura, Bompiani, Milano Everett, Yayoi Uno 2004 “Parody with an Ironic Edge: Dramatic Works by Kurt Weill, Peter Maxwell Davies, and Louis Andriessen”, in «Music Theory On Line», 10, 4, 2004 2006 The music of Louis Andriessen, Cambridge University Press Nattiez, Jean-Jacques 1987 Il discorso musicale, (ed. it. a cura di Rossana Dalmonte), Einaudi, Torino 1988 De la sémiologie à la musique, Université du Quebec a Montreal, Montreal; trad. it. Dalla semiologia alla musica, Sellerio, Palermo 1990. 1993 Le combat de Chronos et d’Orphée, Christian Bourgois, Paris; trad. it. Il combattimento di Crono e Orfeo, Einaudi, Torino 2004 2005 “Unità della musica… unità della musicologia? A mo’ di conclusione”, in Enciclopedia della musica (a cura di Jean-Jacques Nattiez), vol. V, L’unità della musica, Einaudi, Torino Schwarz, Robert 1996 Minimalists, Phaidon Press, London Shönberger, Elmer 1982 “Louis Andriessen sulla concezione di De Tijd” in A.A.V.V., Andriessen, (a cura di Enzo Restagno), cit. Trochimczyk, Maja 2002 The music of Louis Andriessen, Routledge, London Whittal, Arnold 1999 Musical composition in the twentieth century, Oxford University Press, New York


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