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Vijñānabhairava...Il Vijñ nabhairava è un antico testo del-la dottrina metafisica, fiorita nel K...

Date post: 30-Jul-2020
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VIJÑĀNABHAIRAVA
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Il Vijñ nabhairava è un antico testo del-la dottrina metafisica, fiorita nel K m r intorno al 700 d.C., basata sulle scritture tradizionali ( aiv gama) e nota come Trika aiva. Si riallaccia alla Tradizione unica

universale, che trasmette con un suo linguag-gio originale e particolarmente efficace.

Del Vijñ nabhairava non si conoscono con certezza né l’epoca della compilazione né l’ autore, ma i primi riferimenti mostrano che un testo con questo titolo era già noto nell’VIII secolo. Tale fu la sua importanza in ambito dottrinario e filosofico, da esser ritenuto di valenza accostabile a quella di opere della ruti e considerato alla stregua di una Upani ad.

Bhairava rappresenta il Divino per ec-cellenza, il Principio supremo (Parama i-va) di là da ogni determinazione e privo di relazione diretta con tutto, ma dal quale di-scende e attinge esistenza e conoscenza; è il Sostrato assoluto, il Fondamento metafisi-co della totalità attuale e potenziale, al di là del manifestato e del non-manifestato.

Il nome Bhairava significa ‘Colui che terrorizza urlando’, per cui si riferisce al-l’Ente di natura benigna ( iva) visto però sotto una forma spaventosa (Rudra).

Il termine Vijñ nabhairava è composto da due parole: vijñ na, che esprime ‘chiara conoscenza’, ‘consapevolezza’, e bhaira-va, che vuol dire ‘terrifico’; il testo, il cui titolo significa “Bhairava in quanto Co-scienza”, ovvero “La Divina Consapevo-lezza”, fornisce la istruzione pratica per realizzare il Principio metafisico Bhairava come pura e assoluta Coscienza non-duale, della quale ogni piano o sfera di esistenza fino all’ente-forma è un riflesso.

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A differenza di insegnamenti in cui la percezione della realtà è raggiunta in modo graduale, le scuole shivaite prospettano una illuminazione spontanea, una esperienza istantanea e totale, in cui l’approccio sfocia direttamente nella presa di coscienza del Principio supremo. Il Vijñ nabhairava elen-ca un centinaio di meditazioni identificative (bh van ) che portano a risolvere la mente nella pura Consapevolezza, cioè nella natu-ra di Bhairava.

Il testo è scritto nella tradizionale forma di un ipotetico dialogo realizzativo svolgen-tesi tra il Principio simbolicamente perso-nificato e la sua stessa akti sotto la sem-bianza della Dev .

Per recepire ed attuare il suo contenuto è necessaria da parte del discepolo una chiara propensione, una potente istanza rea-lizzativa e un’autentica e completa quali-ficazione, come è altresì indispensabile la totale assenza di preconcetti, distrazioni, pensiero incontrollato o inclinazione alla proiezione immaginativa; inoltre è presup-posto essenziale anche il conoscere a fondo la dottrina inerente.

La realizzazione della natura di Bhaira-va, lo svelamento della suprema Identità, è il raggiungimento definitivo, senza possi-bilità di recesso, dello scopo ultimo della esistenza umana, la concretizzazione della più alta possibilità realizzativa concessa al l’essere cosciente.

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68,80 mm

VIJÑĀNABHAIRAVA

Il Vijñ nabhairava è un antico testo del-la dottrina metafisica, fiorita nel K m r intorno al 700 d.C., basata sulle scritture tradizionali ( aiv gama) e nota come Trika aiva. Si riallaccia alla Tradizione unica

universale, che trasmette con un suo linguag-gio originale e particolarmente efficace.

Del Vijñ nabhairava non si conoscono con certezza né l’epoca della compilazione né l’ autore, ma i primi riferimenti mostrano che un testo con questo titolo era già noto nell’VIII secolo. Tale fu la sua importanza in ambito dottrinario e filosofico, da esser ritenuto di valenza accostabile a quella di opere della ruti e considerato alla stregua di una Upani ad.

Bhairava rappresenta il Divino per ec-cellenza, il Principio supremo (Parama i-va) di là da ogni determinazione e privo di relazione diretta con tutto, ma dal quale di-scende e attinge esistenza e conoscenza; è il Sostrato assoluto, il Fondamento metafisi-co della totalità attuale e potenziale, al di là del manifestato e del non-manifestato.

Il nome Bhairava significa ‘Colui che terrorizza urlando’, per cui si riferisce al-l’Ente di natura benigna ( iva) visto però sotto una forma spaventosa (Rudra).

Il termine Vijñ nabhairava è composto da due parole: vijñ na, che esprime ‘chiara conoscenza’, ‘consapevolezza’, e bhaira-va, che vuol dire ‘terrifico’; il testo, il cui titolo significa “Bhairava in quanto Co-scienza”, ovvero “La Divina Consapevo-lezza”, fornisce la istruzione pratica per realizzare il Principio metafisico Bhairava come pura e assoluta Coscienza non-duale, della quale ogni piano o sfera di esistenza fino all’ente-forma è un riflesso.

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A differenza di insegnamenti in cui la percezione della realtà è raggiunta in modo graduale, le scuole shivaite prospettano una illuminazione spontanea, una esperienza istantanea e totale, in cui l’approccio sfocia direttamente nella presa di coscienza del Principio supremo. Il Vijñ nabhairava elen-ca un centinaio di meditazioni identificative (bh van ) che portano a risolvere la mente nella pura Consapevolezza, cioè nella natu-ra di Bhairava.

Il testo è scritto nella tradizionale forma di un ipotetico dialogo realizzativo svolgen-tesi tra il Principio simbolicamente perso-nificato e la sua stessa akti sotto la sem-bianza della Dev .

Per recepire ed attuare il suo contenuto è necessaria da parte del discepolo una chia-ra propensione, una potente istanza realiz-zativa e un’autentica e completa qualifica-zione, come è altresì indispensabile la totale assenza di preconcetti, distrazioni, pensiero incontrollato o inclinazione alla proiezione immaginativa; inoltre è presupposto essen-ziale anche il conoscere a fondo la dottrina inerente.

La realizzazione della natura di Bhaira-va, lo svelamento della suprema Identità, è il raggiungimento definitivo, senza possi-bilità di recesso, dello scopo ultimo della esistenza umana, la concretizzazione della più alta possibilità realizzativa concessa al l’essere cosciente.

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Questa seconda edizione si avvale di una più rifinita veste grafica e di lievi mo-difiche testuali finalizzate a una migliore comprensione dei contenuti esposti.

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VIJÑĀNABHAIRAVA

Vijñånabhairava

––––––––––– 11 –––––––––––Testi della Conoscenza Tradizionale

© 2018 Kevalasa§ghaTuti i diriti riservati

Prima edizione: marzo 2018Seconda edizione: otobre 2019

Stampato a Rietida LA TIPOGRAFICA ARTIGIANAVia Poggio Mirteto, 402100 Rieti

Il presente volume è stato compostocon il caratere “Adri”

VIJÑÅNABHAIRAVA

Traduzione dal Sanscrito, presentazione e notea cura di

Kevalasa§gha

«Qello, la cui natura è Coscienza, è [presente] in tuti icorpi (enti), ma non vi è [per Lui] alcuna diferenza, innessun luogo. E così, contemplando la totalità in quan-to consustanziata di tale [Coscienza], l’essere umanodiviene vitorioso sulla esistenza [relativa]»

Vijñånabhairava: 100

INDICE

Avvertenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 10

Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . » 13

Vijñånabhairava

Testo italiano . . . . . . . . . . . . . . . . . » 41

Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 165

Testo sanscrito . . . . . . . . . . . . . . . . » 173

AVVERTENZE

Al testo italiano

Per una migliore intelligibilità del testo sono stati posti:

– tra parentesi quadre [ ] parole o frasi integrative o sotintese,fonti di citazioni o passi non menzionati;

– tra parentesi tonde ( ) l’originale sanscrito di parole o frasi, lefonti delle citazioni o le parti mancanti di queste, i riferimenti aiVersi, ulteriori chiarimenti al conceto espresso;

– tra virgolete basse « » le citazioni trate da fonti scrituralirintracciate o meno;

– tra virgolete alte “ ” parti del singolo verso, termini o frasi par-ticolari, espressioni di rilievo;

– tra virgolete semplici ‘ ’ alcune parole o espressioni notevoli,locuzioni esemplifcative, frasi in discorso direto e asserzioni dot-trinali di importanza rilevante;

– in corsivo i termini sanscriti trasliterati, a eccezione di nomipropri di luogo o di persona, e i termini italiani di interesse dotri-nario; sono resi con parole unite da tratino termini non perfeta-mente traducibili alla letera con un solo vocabolo;

– nella forma tematica i termini sanscriti se sono sostantivi oaggetivi, o in quella radicale se si trata di verbi; tutavia, qualorasia preferibile ai fni della comprensione, sostantivi e/o aggetivipossono trovarsi nella forma declinata, i verbi in quella coniugata.

Inoltre:

– il Maiuscolo e il minuscolo seguono l’impiego convenzionale,mentre un medesimo termine può trovarsi maiuscolo o minuscolose indica rispetivamente una Forma divina o un oggeto;

– si considera il genere italiano dei vari termini sanscriti impie-gati nella lingua originale, a eccezione di quelli entrati diversamen-te nell’uso corrente; sempre per consuetudine i nomi delle Upani-≤ad compaiono separati (es. Kena Upani≤ad e non Kenopani≤ad)

– per le parole sanscrite è stata adotata la divisione sillabica;

– eventuali diferenze tra passi e/o fonti scriturali sono impu-tabili a una disomogeneità nelle relative redazioni.

Al testo sanscrito

– Le citazioni da fonti scriturali note o meno sono state ripor-tate tra virgolete alte “ ”; la numerica multipla relativa alle succes-sive partizioni è stata separata da punti come nell’originale;

– La trasliterazione segue i criteri comunemente adotati man-tenendo l’unione grafca delle parole come nel testo originale deva-någarı e la divisione sillabica;

– L’anusvåra, quando non trasliterato come µ, è stato taloratrasformato nella corrispondente nasale pronunciata.

Avvertenze 11

PRESENTAZIONE

Lo Shivaismo dell’antico Kå©mır costituisce una dotrinaautonoma di chiara matrice metafsica basata sulle scrituretradizionali (©aivågama) e si riallaccia alla Tradizione unicauniversale, che trasmete con un suo linguaggio originale eparticolarmente efcace. Fiorente già dal secolo VIII, vide ilsuo apice nell’XI.

Il Vijñånabhairava è un antico testo inserito in tale tradi-zione scriturale, più precisamente appartenente a quella cor-rente nota come Trika Âaiva, lo ‘Shivaismo della Triade’, chefu una delle scuole più rappresentative – alcuni lo identifca-no con il complesso delle dotrine shivaite – codifcata e sin-tetizzata da Abhinavagupta, vissuto a cavallo tra il X e l’XIsecolo, in opere come il monumentale Tantråloka (“Luce suiTantra”) e altre.

Abhinavagupta, appresi i fondamenti della visione da Âa-mbhunåtha, discepolo di un certo Sumati giunto presumibil-mente da una regione sudorientale (Pañcåb o Himacal), trassela sintesi della dotrina ispirandosi all’insieme dei preceti dicaratere flosofco, ascetico e ritualistico formanti l’Anutara-trikakaula, “Il compendio [degli insegnamenti] del SupremoTrika”, ragione per la quale gli si suole atribuire l’ordinamen-to dell’intero sistema di concezioni noto come Trika.

Secondo questa visione la totalità della esistenza, pur pre-sentandosi soto una evidente complessità, scaturisce da unaindivisibile ed eterna unità, ma può essere compresa ed inve-stigata in base a ‘triadi’, diverse a seconda della prospetivache si esamina, di fatori complementari e interagenti.

Si trata della triplice rifrazione di una unica Divinità ma-nifestantesi soto una forma di volta in volta ripartita in treenti: questi corrispondono in generale a Âiva, alla sua Âakti oenergia manifestante, e a loka, il mondo delle forme-entità;oppure, secondo un’altra visuale, a Pati, il Signore dell’uni-verso, a pa©u, l’anima individuale, e a på©a, il legame che trat-tiene quest’ultima vincolata al mondo della percezione-espe-rienza impedendole di ‘vedere’ diretamente la realtà unica; siconsiderano poi anche altre triadi, sempre in accordo conquesta modalità di concezione, come quella inerente alla Âakti(suprema, suprema-non suprema e non-suprema), ecc.

Del Vijñånabhairava non si conoscono con certezza né l’e-poca della compilazione né l’autore, ma i primi riferimentimostrano che un testo con questo titolo era già noto nell’VIIIsecolo.

Tale fu la sua importanza, in ambito dotrinario e flosof-co, da esser ritenuto di valenza accostabile a quella di operedella Âruti e considerato alla stregua di una Upani≤ad; lo stes-so Abhinavagupta lo defnisce Âivavijñånopani≤ad, “La Upani-≤ad della Conoscenza di Âiva”, e, riferendosi alla sua anticaprovenienza, lo cita come Rudrayåmalatantrasåra, cioè “La es-senza del Tantra relativo alla divina coppia Âiva-Yåmala”, unantico testo andato perduto, di cui pare sia stato un capitolo.

Il nome Tantra indica una antica Sacra Scritura, ma è an-che un nome generico per scriti specifci appartenenti a di-verse dotrine o correnti di pensiero che si possono ritenere‘testi tecnici’ nella misura in cui forniscono le diretive prati-che per porre in ato le implicanze di una data teoria flosofcao visione metafsica.

I Tantra in generale contengono argomenti vari: da prati-che rituali (kriyå) a formule sacre (mantra), da diagrammi mi-stici (yantra) a sigilli gestuali (mudrå) quali pose o simbolioperativi, da posture (åsana) da assumere in meditazione, oate a facilitare alcune discipline ascetiche, ad esercizi yoga

La Divina Consapevolezza14

(prå~åyåma, ecc.) fno a vere e proprie iniziazioni (dık\å), pernon parlare di pratiche particolari volte a destare e controlla-re potenti energie psicofsiche e, data la loro delicatezza e pe-ricolosità, mantenute segrete.

Si trata dunque di un panorama assai vario e complessodi cui talvolta, per lo studioso occidentale, è arduo trarre unasintesi che ne possa agevolare la comprensione. Sui Tantra so-no sorte perciò anche molte opinioni errate, generate dallaignoranza dei princìpi a cui atingono e alimentate da precon-ceti o interpretazioni fantasiose, contaminate o tendenziose.

Il termine Vijñånabhairava è composto da due parole: vi-jñåna, che signifca ‘chiara conoscenza’ o ‘conoscenza discri-minante’ e, per estensione, ‘consapevolezza’, e bhairava, chevuol dire ‘terrifco’, ‘colui che incute timore’.

Il nome Bhairava, derivante dalla unione delle sillabe bhı eru – variate, per un processo di aumentazione (v®ddhi), da bhıin bhai, e da ru in rav – leteralmente signifca ‘Colui che ter-rorizza (bhı) urlando (ru)’, per cui si riferisce all’Ente di natu-ra benigna (Âiva) visto però soto una forma spaventosa (Ru-dra).

Bhairava è Âiva-Rudra e unisce in sé, non solo come deno-minazione ma sopratuto come Principio, le proprietà appa-rentemente opposte espresse dai due appellativi di Âiva e diRudra: Rudra, l’Urlante, inerisce al suo aspeto terrifcante,quale distrutore di ogni forma-entità e quindi dello stessouniverso; Âiva, il Benigno, è la terza Persona della Trim¥rti erappresenta il Principio trasformatore, Colui che porta al di làdella forma, dunque che risolve la apparenza formale scio-gliendo la forma imprigionante e concedendo nel contempo lalibertà all’ente consapevole.

Bhairava rappresenta così il Divino per eccellenza, il Prin-cipio supremo di là da ogni determinazione e privo di relazio-ne direta con tuto, ma donde tuto discende e da cui tuto at-tinge esistenza e conoscenza; il Sostrato assoluto, Fondamen-

Presentazione 15

to metafsico della totalità atuale e potenziale, oltre l’esisten-te e il non-esistente. È il Non-essere, quale puro e assoluto Es-sere senza dualità, se considerato in sé stesso, o il ricetacolo(causa) della infnita possibilità, se considerato dalla visualedella manifestazione (efeto).

Filosofcamente è lo stato supremo in cui ogni moto puòavvenire, il campo in cui può manifestarsi qualsiasi potenzia-lità conoscitiva o espressiva; l’Essere reale e privo di determi-nazione ativa – ma in cui questa, con il conseguente sviluppomanifesto, è compresa in una infnita possibilità – e che rima-ne eternamente identico a sé stesso; la manifestazione ha ori-gine da una prima, apparente qualifcazione di deto Princi-pio, delle potenzialità della quale rappresenta lo sviluppo.

Qesti due aspeti di Bhairava – il trascendente e il qualif-cato-manifestato – corrispondono rispetivamente a Parama-©iva (nirguãa) e a Âivabindu (saguãa), laddove il secondo, in sénon-reale, è sovrapposto al primo, reale.

Vi è una corrispondenza con la dotrina della Non-dualità(advaita) predicata dalle Upani≤ad che anche la nomenclaturaconferma.

Infati, in riferimento all’Assoluto si trova sia Bhairava,sia Parama©iva o semplicemente Âiva, ma anche Brahman, oåtman; in riferimento all’ente individuato sia jıva ma anchepa©u, puru\a, a~upuru\a e così via. Va inoltre notato che neivari Testi non solo il nome Âiva, ma anche Bhairava – comeaccade per åtman – è applicato al Principio indiferentementenei suoi vari piani o livelli, sia per il Principio inqualifcato,sia per il suo aspeto inferiore qualifcato (Âivabindu) o perquello polarmente scisso e complementare alla sua capacitàmanifestante (Âiva-Âakti).

Tale consuetudine riposa sul fato che Bhairava-Parama-©iva è la Realtà unica, assoluta e inqualifcata e che ogni a-speto secondario, qualifcato o contingente è un rifesso ap-parente di quella, da cui non si discosta nella essenza.

La Divina Consapevolezza16

Parama©iva – Bhairava = Brahman nirguãa Âiva Bindu – Bhairava = Brahman saguãa

Bhairava Bhairavı Âiva Âakti (Pa©upati)

pa©u....på©a....loka jıva...måyå..jagat

Secondo K≤emaråja, in base alla etimologia tradizionale(nirukti), il nome Bhairava nasce dalla fusione di tre sillabe:bha+ra+va. La sillaba bha allude al termine bharaãa, che deri-va dalla radice verbale bh®, ‘portare, sostenere, nutrire, cre-scere’, e allude a una funzione di ‘sostentamento’; si riferiscequindi alla sua pervasione vivifcante dell’universo; la sillabara indica ravaãa, il fragore della distruzione che annuncia ilriassorbimento; la sillaba va richiama vamana ovvero la pro-manazione dell’universo, la sua manifestazione.

Una interpretazione analoga la fornisce anche Abhinava-gupta quando associa a Bhairava il ruolo di Creatore univer-sale (sra≤†®), la natura di Onniforme (vi©var¥pa), in quantopermea e vitalizza ogni forma-entità, e quella della perfetaPacifcazione (pra©ama) che segue alla dissoluzione fnale, inquanto nella famma della sua immensa Consapevolezza (ma-håbodha) tuto va a dissolversi.

Interpretando l’appellativo Rudra come derivante da sama-starugdråvin, e quindi composto dalle particelle radicali ruk(con elisione della consonante sorda k) e dra, che signifcanorispetivamente ‘male’ e ‘soluzione’, Rudra, e quindi Bhairava,è ‘Colui che distrugge tuto il male’.

Presentazione 17

Bhairava-Âiva, considerato nel suo aspeto qualifcato,compendia i tre aspeti del Divino universale – e non soloquello ©ivaico dissolutore – e costituisce, come unità, la sinte-si della Trim¥rti, in quanto raccoglie le tre fasi di proiezione,conservazione e dissoluzione sia in relazione alla totalità del-l’universo sia in rapporto a qualsiasi forma che possa emerge-re e manifestarsi come entità individuata.

Il titolo Vijñånabhairava signifca: «Bhairava come Consa-pevolezza», cioè «La Coscienza che è Bhairava». In realtà ilnome completo dell’opera è Vijñånabhairavatantra: «Metodoper [realizzare lo stato di] Bhairava come Coscienza», cioè latrascendente, Divina Consapevolezza che il ricercatore devesvelare in sé stesso e in cui si deve reintegrare e risolvere.

È dunque un testo che fornisce la istruzione per realizzareil Principio metafsico come pura e assoluta Coscienza non-duale, della quale ogni piano o sfera di esistenza fno all’ente-forma è un rifesso.

Ed è solo riconoscendo la natura coscienziale bhairavicadel tuto, anche di sé stesso, che l’ente può elevarsi dalla con-dizione individuata, limitata e confituale, a quella divina ori-ginaria e recuperare la propria assolutezza e infnitezza.

«Qello, la cui natura è Coscienza, è [presente] in tuti icorpi (enti), ma non vi è [per Lui] alcuna diferenza, innessun luogo. E così, contemplando la totalità in quantoconsustanziata di tale [Coscienza], l’essere umano divienevitorioso sulla esistenza [relativa]»

Vijñånabhairava: 100

Il Vijñånabhairava può defnirsi un manuale di praticheascetiche conformi agli Âaivågama. Come altri testi del mede-simo orientamento, anch’esso tralascia quello che è l’aspetomeramente dotrinario o teoretico per impartire diretamenteuna istruzione (upade©a) pratica, esponendola con un linguag-

La Divina Consapevolezza18

gio specifco, comprensibile corretamente solo se si è a cono-scenza dei fondamenti e della terminologia.

A diferenza di insegnamenti in cui la percezione dellarealtà è raggiunta in modo graduale, le scuole shivaite pro-spetano una illuminazione spontanea, una esperienza – secosì è lecito chiamarla – istantanea e totale, in cui l’approcciosfocia diretamente nella presa di coscienza del Principio su-premo. Come si può constatare anche in altri testi shivaitiquali lo Âivas¥tra, il Pratyabhijñåh®daya, la Spandakårikå e si-mili, la realizzazione di Bhairava-Âiva deve trovare compi-mento in una poderosa irruzione di divina Consapevolezza,un intenso e inarrestabile profuvio di Coscienza, un improv-viso prorompere della luce della conoscenza di Bhairava cherisolve nell’istante atemporale qualsiasi condizione limitanteponendo l’ente in una completa e defnitiva identità con ilPrincipio. Qesto a condizione, naturalmente, che il terrenomentale sia stato prima opportunamente preparato.

La dotrina metafsica degli Âaivågama, sebbene sostan-zialmente simile al Vedånta Advaita, mostra alcune peculiari-tà che la caraterizzano fortemente.

Per lo Shivaismo kå©mıro, si è deto, la realtà è Parama©i-va-Bhairava, la cui natura è Coscienza pura, assoluta, autoesi-stente e infnita; l’anima individuale ha la stessa natura e l’u-niverso è una promanazione di Âiva, atraverso il suo ‘poteremanifestante’ soto l’aspeto della Âakti, rifesso dinamico diÂiva stesso. Ogni cosa appare e scompare sullo sfondo reale,permanente e immutabile di Bhairava la cui essenza pervadeogni ente e si rivela come la scintilla di autocoscienza intornoalla quale si condensano e prendono forma i vari veicoli vita-lizzati dalla sua Âakti.

Il Trika defnisce la serie dei tatva – entità in sé non-realiessendo princìpi o piani secondari o derivati – con lo scopo difacilitare la comprensione del processo universale in manieragraduale.

Presentazione 19

ParamaŸiva-Bhairava

Âiva (Bindu)

Âiva Âakti

Âuddhatatva Âaktitatva

ÂuddhåŸuddhatatva

AŸuddhatatva

Mala(pÿthivımayå√ƒa)

Per la spiegazione detagliata dei princìpi-tatva e lo sche-ma completo si rimanda alla Introduzione allo Âivas¥tra.

La visione Âaiva potrebbe essere sintetizzata in questi ter-mini: Bhairava, pura Coscienza, è reale; il mondo di percezio-ne, proiezione della sua energia-capacità, è irreale; l’ente indi-viduato è un raggio di Bhairava; ogni istruzione tende a ri-portare tale raggio alla Fonte, ogni barlume nella SupremaLuce.

L’insegnamento del Vijnånabhairava – e delle scuole Âai-va in generale – si basa sul principio fondante dello Shivai-smo riassumibile in una sorta di equazione coscienza-energia,perché considera l’energia (©akti) una manifestazione dellacoscienza (cit). Tale asserzione sotende una identità di naturasempre in ato, per quanto velata dalla ignoranza, per cui puòessere svelata o realizzata in qualsiasi momento esistenziale.

La Divina Consapevolezza20

Sostanzialmente non vi è opposizione tra Âaiva e Vedånta,perché in entrambi si aferma la Non-dualità del Principio su-premo, mentre può presentare divergenze quello che è l’acco-stamento operativo.

Sebbene ambedue le concezioni considerino reale solo ilPrincipio supremo e non-reale il mondo fenomenico separata-mente da quello, il Vedånta insegna prima la discriminazionedel reale, l’åtman, dal non-reale, poi la integrazione di questaapparenza vista come concretizzazione di una possibilità; laprospetiva Âaiva pone invece l’accento sul riconoscimentodell’universo quale espressione della Âakti, la energia spiri-tuale connaturata a Âiva, in simultaneità con la sua assimila-zione a sé stessi, cioè l’autoidentifcazione con Âiva.

Si può dire che gli Âaivågama hanno adotato lo Yoga co-me modalità operativa di ridirezionamento delle energie indi-viduali, ma in una forma particolare in cui la mèta non è l’iso-lamento del jıva-a~upuru≤a dalla måyå del Vedånta o dallaPrak®ti del Såµkhya, ma la fusione dell’ente individuato conBhairava e la percezione del tuto come estrinsecazione dellasua divina energia.

Benché la Âakti possa corrispondere in un certo senso allamåyå del Vedånta, vi è una certa diferenza. Infati, mentrequesta possiede un potere ‘proietivo-velante’ e si identifcacon la ignoranza che ne è il necessario presupposto – è quindiqualcosa da rimuovere onde poter discernere il Reale soto-stante – quella costituisce un ulteriore aspeto del Principiostesso o, più esatamente, un suo ‘rifesso ativo’; per cui la sideve assimilare coscienzialmente, fno ad identifcarvisi per-ché, come si aferma nel testo, è una ‘porta di accesso’ a Âiva.Molte delle meditazioni qui proposte fanno leva proprio sutale possibilità.

La conoscenza prospetata dagli Âaivågama non intima ilrigeto dell’universo, ma raccomanda la propria assimilazionealla sua Fonte. Il Vijñånabhairava espone le modalità per arri-

Presentazione 21

vare senza mediatori di sorta a questa immediata integrazionee autosoluzione in Âiva.

Il testo, contenente una istruzione specifca di profondaportata, è scrito nella tradizionale forma di un ipotetico dia-logo realizzativo svolgentesi tra Bhairava stesso, il Principiosimbolicamente personifcato, e la sua propria Âakti, soto lasembianza della Devı, deta anche Bhairavı, ‘Colei che appar-tiene a Bhairava’.

Alla interrogazione di questa: «Qal è, in realtà, la [tua]natura, o Deva?» (Vi. Bhai.: 2), Bhairava risponde: «Qestoche tu hai chiesto è l’essenza dei Tantra.» (ib. 7).

Le Scriture indicano tale Realtà suprema come mèta uma-na per eccellenza (puru\årtha) e, in relazione al fato che lasua natura ultima non può essere oggeto di descrizione, raf-gurazione o culto oggetivato, Bhairava aggiunge:

«Tuto ciò che viene dichiarato essere la forma-naturacomposita di Bhairava deve essere riconosciuto nella suainsostanzialità. paragonabile all’apparire del sogno.»

Vijñånabhairava: 8-9

Ogni sua rappresentazione ad uso del culto dualistico e ri-tualistico, o anche come forma terrifcante in ossequio alladenominazione, è puramente simbolica:

«Infati queste [defnizioni relative e formali di Bhairava]che possono spaventare i fanciulli [sono state formulate]per coloro dall’intelleto non risvegliato.»

Vijñånabhairava: 13

La realtà ultima non può essere oggeto di descrizione nédi concetualizzazione perché non solo la espressione verbale,ma anche la stessa eventuale nozione concetuale sono pro-doto mentale, sostanzialmente irreale:

La Divina Consapevolezza22

«Dalla [prospetiva della] suprema realtà, tale [stato-natu-ra di Bhairava] non è suscetibile di essere enunciato.»

Vijñånabhairava: 14

La natura propria (svar¥pa) di Bhairava resta al di là dituto ciò che è qualifcazione, classifcazione e limitazione equindi della stessa specifcabilità. Nella Realtà-Bhairava insu-scetibile di formulazione verbale o concetuale è solo il densoSilenzio della Coscienza onnicomprensiva, il vuoto di oggetisaturato dalla Pienezza onnipervasiva del Soggeto.

Due sono gli aspeti di Bhairava evidenziati nelle Scritu-re: prakå©a e vimar©a. Il termine prakå©a designa lo ‘splendo-re’ della coscienza, e vimar©a la ‘espressione di potenzialità’.

Il primo, che diremo ‘statico’, inerisce alla sua natura diEssere in quanto è, per cui, associato anche alla Coscienza, im-plica costanza, invarianza, eterna immutabilità e sotende laautoluminosità, l’autorifulgenza quale essenza del sempre pre-sente Testimone della totalità atuale e potenziale, efetuale ecausale, manifesta e immanifesta. I termini positivi con cuiviene indicato questo aspeto di Bhairava sono: saµvit, saµ-jñåna, vijñåna, bodha, mahåbodha, cit, caitanya, cetanå e altriaventi un uguale o analogo signifcato.

L’altro è quello che si potrebbe defnire il suo aspeto ‘di-namico’, espressivo, proietivo, promanante e formante, ine-rente cioè alla sua intrinseca ‘capacità’ (©akti) di esprimersisia nella manifestazione, dall’infmo ente all’universo, sia at-traverso la conoscenza distintiva (jñåna), la volontà (icchå) el’azione (kriyå).

Si può associare prakå©a alla Coscienza direta e vimar©aalla Coscienza rifessa, che dà forma alla totalità atraverso unvario rifetersi (vimar©ana). In Bhairava, prakå©a e vimar©a,Bhairava-Ÿiva e Bhairavı-Ÿakti sono fusi in unità non-duale.

Dunque, quando è associato, pur rimanendo sempre unità,alla Âakti Bhairavı, Bhairava corrisponde al Brahman saguãa,

Presentazione 23

l’Unità principiale universale contraddistinta dalla facoltà discissione polare (Âiva-Âakti) e, a valle di questa, di indefnitapossibilità di suddivisione-moltiplicazione negli enti manife-stati sui vari piani. Ma al di là di tuto questo – che rappre-senta lo sviluppo di una possibilità di qualifcazione, al paridel sogno che può sorgere, nel sonno, da una esperienza diveglia – resta il solo Reale in assoluto che è Bhairava in quan-to Parama©iva, corrispondente al vedantico Brahman nirguãa.

Entrambi gli aspeti accennati – prakå©a e vimar©a – im-plicano una natura di ‘autoincondizionatezza’ (svåtantrya) siain relazione al ruolo conoscitivo, in quanto la coscienza non ètoccata da eventuali contenuti-modifcazioni, sia in rapporto aquello espressivo, dato che la divina potenzialità manifestantenon altera la conoscenza.

Tra i termini negativi con cui ci si riferisce a Bhairava, sin-golare importanza ha il ‘Vuoto’ (©¥nya). È bene chiarire il suosenso autentico onde evitare fraintendimenti.

Tale termine non va qui inteso come negazione della esi-tenza in antitesi alla totalità, ma in riferimento alla impossibi-lità di oggetivare e conseguentemente conoscere Bhairava inun modo ordinario o duale.

In genere anche lo stato di unità indistinta (pråjña) dellacondizione di sonno profondo (su≤upti) è assimilato a un vuo-to, mancando l’oggeto di conoscenza e quindi la relativa e-sperienza. In tale stato il Soggeto, pur non potendo esserepercepito cognitivamente, non è tutavia assente, al pari diuna sorgente luminosa in uno spazio privo di oggeti in gradodi rifeterne la luce.

Pertanto per il Trika Âaiva, come per il Vedånta Advaita, lo©¥nya di su≤upti si identifca con la måyå nel suo stato germi-nale; ma mentre questa unità-vuoto di contenuti è assenza diconoscenza – e non del Conoscitore – il Vuoto con cui si desi-gna Bhairava è Pienezza perfeta (p¥rãa) in quanto inclusivodi una infnita capacità in rapporto alla possibilità di determi-

La Divina Consapevolezza24

nazione; e questo Vuoto-Bhairava si identifca con il Conosci-tore, la natura del quale è la pura Conoscenza autoesistente.

Volendo distinguere tale Vuoto ultimo o supremo da ana-loghi stati inferiori, ci si riferisce allora a Bhairava come al‘Vuoto oltre il vuoto’ (©¥nyåti©¥nya); e poiché nella Non-dua-lità vi è una infnita possibilità di emergenza della Unità, siassocia a Â¥nya il termine P¥rãa (Pienezza) fornendo così unaaccezione positiva del vuoto.

Âivabindu, Âiva nel suo aspeto qualifcato (saguãa), recan-te cioè il seme causale della manifestazione, è l’atuazione diuna di queste possibilità comprese in Parama©iva nirgu~a.

Il potere intrinseco, sviluppantesi come energia manife-stante, che Bhairava esplica una volta qualifcato e rifratodualmente, è dunque la Âakti, la Parå Devı, la Suprema Divini-tà di indole femminile.

Nella Âakti è insita la capacità espressiva di Bhairava chesi palesa a partire dal piano in cui Qello appare Unità quali-fcata (Âivabindu), come Punto principiale (bindu) suscetibiledi scissione polare nella diade Âiva-Âakti, poli dalla interazio-ne dei quali scaturisce la manifestazione universale.

Bhairava-Âivabindu, nel momento in cui sembra esprimer-si, si rifrange in Bhairava-Âiva e Bhairavı-Âakti mentre, a unlivello superiore, resta immutato nel suo aspeto qualifcato(saguãa) e, al di là anche di questo, permane come Bhairavainqualifcato (nirguãa).

Come la luce bianca, rifrangendosi in un prisma, si scom-pone nei colori dell’iride, ma questi non potrebbero sussistereseparatamente l’uno dall’altro né dalla loro origine unitaria,lo stesso è per Bhairava-Âivabindu (unità) e per la coppia Bhai-rava-Bhairavı considerati sia nel loro apparente polarismoche per l’efeto fnale universale.

Dunque Bhairava è la sola Realtà, tuto il resto è un suo ri-fesso secondo una scala di princìpi progressivamente cristal-lizzati fno alla ‘solidità’ della forma-entità ultima.

Presentazione 25

La ©akti Bhairavı rivela la natura di Bhairava come la lucequella del sole e, pur apparendo polari e complementari, in Âi-vabindu i due aspeti si integrano in una indivisibile Unità.

«Come tra la ©akti e colui che possiede la ©akti è semprestabilita un’assenza di distinzione, così la suprema Âakti,poiché possiede le proprietà che sono la natura di Qello,[è sempre priva di distinzione] dal supremo åtman»

Vijñånabhairava: 18

La Bhairavı è deta Âaivı mukhå, ‘porta di accesso a Âiva’,perché Âiva e Âakti sono uno: lo yogin aderisce alla ©akti perintegrarla con la controparte shivaica, quindi arrivare a Âiva-bindu che ne è la fonte, la natura e l’altra faccia, e infne tra-scenderlo e risolversi in Bhairava-Parama©iva.

Come accennato, non vi è diferenza sostanziale tra consa-pevolezza ed energia (Âiva e Âakti) – questa è aspeto di quel-la, quella il fondamento del tuto – e poiché neanche tra i varipiani dell’Essere, da Bhairava all’ultimo ente formale, vi è di-scontinuità, si può, qualora la consapevolezza, sciolta da ogniimpedimento, lo consenta, risalire dalla entità costituita allaFonte trascendente, superando di colpo anche l’abisso dell’as-senza di rapporto del Principio metafsico con il tuto: è que-sta l’essenza della istruzione racchiusa nel Vijñånabhairava.

Tornando al dualismo Âiva-Âakti, esso vige su un piano in-feriore rispeto a quello della unità causale; non è reale in as-soluto, ma solo in relazione alla manifestazione, e la polaritàsi insegna per mostrare come Bhairava ‘agisca-senza-agire’:

«La capacità di bruciare non viene considerata separatadal fuoco. Qesta [distinzione tra la Âakti e Âiva è] soltan-to preparatoria nell’introdurre alla realizzazione della co-noscenza»

Vijñånabhairava: 19

La Divina Consapevolezza26

Tornando al principio qualifcato Âivabindu, una volta cheappare scisso in Âiva e Âakti, al polo Âiva si associa prakå©a, losplendore della coscienza, l’autoluminosità della conoscenzaautoesistente, alla Âakti il vimar©a, la capacità dinamica dimanifestazione.

In Âivabindu, Bhairava-prakå©a e Bhairavı-vimar©a, Âiva eÂakti, si fondono, mentre in Bhairava-Parama©iva, sempre aldi là di ogni qualifcazione, è solo la Coscienza che illuminaogni essere dal fondo nascosto fno alla foggia esteriore.

Considerando la molteplicità di aspeti della Realtà indef-nibile, dalla totale trascendenza alla presenza intima nell’enteindividuato, dalla pienezza di possibilità al vuoto di qualità, sisuole riferirsi a Bhairava come al ‘cuore’ (h®daya) dell’enteconscio, alla intima natura propria (svar¥pa) di ogni essere,alla sua intrinseca natura di immortalità (am®ta), alla sua es-senza per eccellenza (tatva) o, in relazione al tuto, alla Gran-de Esistenza (mahåsatå) consustanziata di vuoto-pienezza(©¥nya-p¥rãa).

Il Vijñånabhairava conduce a risolvere la mente nella pu-ra Consapevolezza – la natura di Bhairava – e ciò viene ote-nuto in vari modi, per vie diverse e con diferenti strumenti oaccorgimenti.

Ognuno può trovarvi la forma contemplativa più confa-cente, adotarla e, senza rivolgersi ad altro, dedicarsi alla suacostante e assidua applicazione.

Le 112 potenti, efcaci e singolari forme di meditazione iviinsegnate sono assimilabili a concentrazioni di stampo yoga –il termine con cui vengono indicate è appunto dhåra~å, la‘concentrazione’, il sesto membro (a√ga) del Råja Yoga – tuteegualmente risolutive nei confronti di un mentale intorbiditoe appesantito da contenuti estranei e concepite allo scopo dimetere l’individuo in una particolare condizione di recetivi-tà, idonea per realizzare in maniera immediata la sua più pro-fonda e autentica natura trascendente.

Presentazione 27

Laddove il termine dhåra~å implica un impegno delibera-to nel concentrare la mente su un dato oggeto, qui assumeun signifcato più consono alla sua etimologia di ‘atingimen-to’ e ‘mantenimento’ di una specifca condizione di consape-volezza, elevandosi al di sopra del mero esercizio di concen-trazione della focale mentale visualizzante; diremo, anzi, cheil suo scopo è esatamente l’opposto.

Infati, molte delle dhåra~å mirano a riassorbire o ad arre-stare, alcune sia pure per un atimo, il processo ideativo men-tale, il fusso percetivo o quello emergente dal subcosciente,ecc. e a trovare quel varco, quello spiraglio libero da forme-proiezioni ecc. nel quale intravedere la propria natura e fs-sarla stabilmente.

Altre dhåra~å si avvalgono della ‘scossa’ emotiva indotada particolari situazioni per penetrare la strutura proietivacristallizzata, scioglierla e trasmutarne la energia condensatain consapevolezza libera.

Anche la fugace sensazione di appagamento prodota daalcune esperienze può essere impiegata come mezzo per sve-lare in noi stessi la connaturata beatitudine di Bhairava, es-sendo in fondo un rifesso di questa propagantesi a livelli in-feriori della manifestazione.

Un elemento costantemente presente è il conceto di rias-sorbimento (laya), di soluzione in relazione all’intero proces-so mentale e allo stesso senso di autoindividuazione.

La mente è un tramite tra la corporeità, fnita e limitata, el’åtman, infnito e illimitato; da un lato proieta la dupliceidea di schiavitù e liberazione, cioè il divenire quale evidenzapercetiva e il suo superamento, dall’altro porta alla intuizio-ne dell’Essere in sé e per sé oltre la percezione ordinaria.

Qando la mente si protende verso la sfera corporea, ci siidentifca ftiziamente, ma solidalmente, al veicolo immagi-nando di seguirne le sorti di morte e rinascita ininterrota-mente reiterate; se invece, operando un rientro in sé stessa, si

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distoglie dalla proietività e dalla percetività e si volge al Sédissolvendo ogni concretizzazione formale-oggetuale, ci si ri-solve nella Coscienza di Bhairava, senza inizio e senza fne.

Allora, con la intera sovrastrutura mentale risolta nellapura Consapevolezza, si svela lo stato di trascendenza dellamente (unmanå), la condizione naturale che sovrasta l’ordina-rio piano della conoscenza (unmanı avasthå): è il processo ca-tartico in cui dal cita, la sfera della mente satura di forme cri-stallizzate (ideazioni, percezioni, proiezioni, emozioni, ecc.),passando per citi, la coscienza dinamica veicolo della divinaÂakti, si approda al puro cit, Coscienza assoluta, sostrato deltuto. È il ‘grande risveglio’ (mahodaya) a Ciò che è e grazie acui il tuto può essere.

È quindi una questione di ‘prospetiva’ da adotare, checomporta un radicale capovolgimento nella visione delle cosee di sé stessi, un profondo mutamento nel conoscere, sentireed essere; viceversa non vi è nulla da fare per acquisire qual-cosa o eliminare qualcos’altro, ma solo evocare quella potenteistanza per distaccarsi dalla esteriorità relazionante, penetrareall’interno e svelare la propria più profonda e intima naturaperennemente immutabile e priva di limite. Risolta, o riassor-bita, la mente nella Consapevolezza, anche la duplice immagi-ne di schiavitù-liberazione scompare lasciando il campo alVuoto-Pienezza di Bhairava.

Non mancano poi anche alcune dhåra~å intese a contem-plare diretamente la Realtà-Bhairava previo il suo riconosci-mento immediato nelle situazioni di volta in volta prospeta-te. Ogni dhåra~å induce un risveglio della intuizione, deter-minando la trasmutazione della consapevolezza dalla dimen-sione umana in quella divina fno all’adimensionalità metaf-sica di Bhairava.

Il signifcato del termine specifco usato per contemplazio-ne – bhåvanå, da bh¥: essere – è quello di una totale immede-simazione, una identifcazione a livello di esistenza e, quindi,

Presentazione 29

di coscienza. Praticare una bhåvanå vuol dire atingere unaprofondità e una intensità di consapevolezza tali che la distin-zione soggeto-oggeto, con il loro rapporto, scompare per la-sciare il posto alla evidenza della unicità della natura essen-ziale. È il signifcato più autentico del termine samådhi, nelsenso, secondo il tradizionale nirukta, di un consapevole recu-pero di una identità (sama) trascendente (adhi, al di sopra).

Le contemplazioni esposte non consistono in una visualiz-zazione mentale, o nella proiezione di una immagine, ma so-no sostanzialmente riconducibili a un preciso ato coscienzialein grado di innescare quell’impulso stimolatore nei confrontidella intuizione superconsapevole (buddhi) sì da concretizzar-si nella presa di consapevolezza inerente.

Qesto vale anche per le posizioni (åsana), che possonofavorire la concentrazione, e per le pratiche di controllo (mu-drå) di corpo, organi o energie sotili connesse al fusso delrespiro, le quali debbono agire più nell’iperfsico che non nelpiano fsico da cui prendono forma. Vi sono infati alcunedhåra~å che necessitano del ricorso a mudrå apparentementeesteriori ma sopratuto di ordine mentale (bhairavı mudrå).

Si è deto che il Vijñånabhairava è un testo Yoga. Tale ter-mine va inteso nel suo duplice signifcato di ‘unione’ dell’ani-ma individuale con il Principio divino, e di ‘mezzo’ (upåya)per realizzare tale unione-integrazione.

Il Vijñånabhairava riporta una istruzione prevalentementesotile e penetrante, per recepire ed atuare la quale è neces-saria da parte del discepolo una chiara propensione, una po-tente istanza realizzativa e un’autentica e completa qualifca-zione, come è altresì indispensabile la totale assenza di pre-conceti, distrazioni, pensiero incontrollato o inclinazione allaproiezione immaginativa. Inoltre è presupposto essenziale an-che il conoscere a fondo la dotrina inerente.

Nel Vijñånabhairava sono menzionati sia mezzi canonicitradizionali dello yoga – come i già accennati åsana, mudrå,

La Divina Consapevolezza30

prå~åyåma, ecc. – sia mezzi speciali – quali il japa, i mantra,ecc. – sia mezzi del tuto eccezionali – come ad esempio la os-servazione di particolari oggeti fsici come il buio, un abisso,alte montagne, od oggeti sotili, come lo stato mentale cheprecede la caduta nel sonno, il ‘vaso-senza-vasi’, ecc. o, anco-ra, lo stabilirsi in singolari condizioni istantanee ate a susci-tare il senso del vuoto di contenuti-oggeti grazie a cui si au-tosvela la Pienezza del Soggeto eternamente presente, e cosìvia. Ma ogni dhåra~å, insieme con la condizione mentale incui viene efetuata, deve poter contare sul supporto dellafede (bhakti) nella istruzione e nei Maestri e nella conoscenza(jñåna) da questi concessa e svelata.

Ogni forma è indipendente e concepita per adatarsi allaparticolare natura e indole del discepolo. Individuata quellaideale, il ricercatore deve impegnarsi in essa soltanto, comeviene specifcato nello stesso testo.

Tra le diverse contemplazioni (upåya) si distinguono mez-zi di natura individuale (å~avopåya), cioè basati sulla corpo-reità o sulla mente, ecc. o che da tali piani prendono avvio;mezzi di natura sotile-energetica (©åktopåya), quando fannoleva sulla energia vitale (pråãa©akti) o su quella potenzialitàenergetico-coscienziale deta ‘serpentina’, la ‘arrotolata’ (ku-~ƒalini©akti); e mezzi di natura divina (©åmbhavopåya), cioèscaturienti diretamente dalla natura di Âambhu, il Benevolo,altro epiteto per Bhairava. Infne viene deta ‘priva di mezzi’(anupåya) quella forma di contemplazione direta, in genereconferita diretamente dal guru solo al discepolo veramentepronto al compimento fnale.

Per quanto la realizzazione sia al di là delle dimensionispazio-tempo-causali e non costituisca un efeto, un prodotoo qualcosa da acquisire, ma sia istantanea e totale, tutavianecessita di un’adeguata preparazione mentale, intelletuale espirituale, che si potrebbe riassumere in una sorta di processorisolutivo.

Presentazione 31

Tale processo presenta aspeti ben defniti che, inversa-mente, possono rappresentare una conferma dello stadio rag-giunto: la completa interiorizzazione di ogni passo, con laconseguente predisposizione all’assorbimento in Bhairava; ilpassaggio da una fase dinamica di proietività mentale (vika-lpåvasthå) – anche quale efeto inerziale di contenuti pre-gressi in via di rimozione-soluzione – a uno stato naturale espontaneo di assenza di proiezione (nirvikalpåvasthå); il supe-ramento dei limiti ftiziamente imposti dalla idea di autoin-dividuazione, concretantisi nel ruolo del fatore egoico (il sen-so dell’io, l’ahaµkåra), prodoto della Prak®ti, nell’atingimen-to, sia pur se inizialmente occasionale, instabile o saltuarioma poi sempre più stabile, della consapevolezza di quello chepotrebbe defnirsi l’Io assoluto, reale, dalla natura di Pienezza(p¥r~åhaµtå) e di infnitezza (anantåhaµtå); quindi la defni-tiva e irreversibile soluzione dell’intero complesso mentale,cioè del cita, anche in relazione alla sfera universale, nel pu-ro cit, Coscienza assoluta e non-duale.

È utile un cenno alle basi su cui si fondano alcune delledhåra~å elencate.

La individualità è solo uno stato tra indefniti possibili al-l’interno della unità della manifestazione, e tale stato, rifet-tendo nella sfera individuale l’unità di quella universale, pre-senta una coesione essenziale tra i suoi diversi costituenti; ta-le intima coesione risponde a quell’armonia-equilibrio versocui occorre rivolgere la propria atenzione e, inoltre, permetedi otenere un esito in una parte operando in un’altra, come sipuò constatare in alcune delle meditazioni enunciate.

Riguardo alla dimensione energetica, va ricordato che laenergia vitale (pråãa) costituisce un intermediario tra la men-te e il corpo, tra la sfera puramente mentale e la sfera dellacorporeità, tra il piano sotile e quello grossolano e come vei-colo è in grado di trasferire potenzialità da un piano all’altro;d’altra parte la ©akti individuale è parte di quella universale.

La Divina Consapevolezza32

Il collegamento mente-corpo permete di operare il con-trollo della mente tramite quello del pråãa, otenuto, quest’ul-timo, atraverso quello del respiro (prå~åyåma), le cui fasiverranno atentamente considerate più avanti, nel corso del-l’opera. La connessione energetico-pranica tra mente e corpoderiva dal fato che la stessa energia vitale è una modifcazio-ne (vikåra) della coscienza (saµvit), per cui ne mantiene lanatura essenziale.

Si è deto che il pråãa è l’energia vitale che si manifestanelle fasi del respiro; da qui il controllo del respiro, operatoopportunamente e nel rispeto di precisi detami, porta aquello sulla energia vitale, questo al dominio della mente equest’ultimo a quello dello stato della consapevolezza.

In relazione alle fasi alterne del respiro si menziona piùvolte il dvåda©ånta. Qesto termine ha molti signifcati e si ri-ferisce a cose diverse.

Leteralmente è ‘ciò che si completa ai dodici’ e di normadesigna una zona, un punto focale del veicolo sotile, distantedodici dita da un dato centro (cakra). A seconda del punto dipartenza e della direzione, il dvåda©ånta corrisponde a siti dif-ferenti: salendo dall’ombelico (nabhi) individua il cuore (h®d),ovvero l’anåhatacakra; ascendendo dal cuore indica la gola oil centro energetico colà situato (vi©uddhacakra); procedendodalla gola verso l’alto indica il centro simbolicamente rafgu-rato tra le sopracciglia (åjñåcakra) e in realtà individuabile al-la radice interna del naso; se si parte dal centro tra le soprac-ciglia procedendo lungo la fronte e la calota cranica corri-sponde alla sommità del capo (brahmarandhra, sahasråraca-kra); infne, procedendo frontalmente a partire dal naso, indi-vidua un punto nello spazio dinanzi al peto in cui tradizio-nalmente si aferma generarsi il fusso del respiro. Di quale sitrata verrà precisato ogni volta che si renderà necessario.

Riguardo alle fasi del respiro, la inspirazione è associata alfusso discendente (apåna) e la espirazione a quello ascenden-

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te (pråãa). Come qualsiasi movimento alternato, la loro oscil-lazione si compie tra due punti fermi, di arrivo e di partenzaallo stesso tempo, di soluzione e di origine in relazione ai duefussi. Tali punti sono l’uno il ‘cuore’ (h®d), quale rafgurazio-ne simbolica del centro interno, l’altro il dvåda©ånta, qualecentro esterno; a seconda della meditazione proposta, ci siconcentrerà o sui punti suddeti, o sui momenti di tempora-nea stasi del moto respiratorio in quelli.

Vi è poi ancora la considerazione del respiro, ma comespontanea produzione del duplice suono haµsa¢, simbolodell’åtman e quindi in grado di evocare la sua eterna e fulgidaConsapevolezza libera da ogni qualifcazione.

I due suoni (ha-inspirazione e sa-espirazione) sono ritenu-ti bıjamantra, semi coscienziali in grado di suscitare la consa-pevolezza della manifestazione come scaturiente da sé stessi(’haµ, suono simbolico per aham, ‘io’, seme di s®≤†i, la manife-stazione universale) e quella della totale soluzione (sa¢, suonosimbolico per sa¢, ‘Qello’, seme di saµhåra, il completo rias-sorbimento universale in Bhairava).

Così lo stesso naturale ato respiratorio, ripetuto decine dimigliaia di volte al dì, è una sorta di japa, che tuti gli essericompiono naturalmente ma che solo alcuni penetrano consa-pevolmente.

Rifessa nella sfera individuale, vijñåna è la coscienza nelsuo stato puro o nirvikalpa, priva cioè di quei contenuti men-tali che sono la percezione, la proiezione, la ideazione, la sug-gestione, l’emozione, come, altresì, immagini indefnite, ecc.

La percezione duale ordinaria, la cognizione della manife-stazione, la stessa proiezione ideativa è sempre sovrapposta avijñåna e nello stesso tempo di quella sostanziata come lo èuna modifcazione, come il fenomeno-onda è una modifca-zione temporanea del mare sostanziata da questo e sovrappo-sta alla sua natura, rivelantesi pienamente, questa, solo nellostato di quiete.

La Divina Consapevolezza34

La realizzazione di Bhairava è la eliminazione nella mentedi qualsiasi forma-entità ivi sovrapposta, con la conseguenzadi portare alla luce la sua reale essenza bhairavica smorzandoall’origine qualsiasi movimento che tale contenuto possa pri-ma o poi impulsare.

Il Vijñånabhairava intende guidare il ricercatore all’auto-soluzione nel Vuoto-oltre-il vuoto (©¥nyåti©¥nya) con il risve-gliarlo alla natura di immediatezza di Bhairava ovvero la suacostante presenza in qualunque aspeto o stato dell’essere, co-me si aferma nel verso:

«La totalità rivela la conoscenza, l’åtman risplende atra-verso la totalità. Poiché la [loro] natura propria è unica, sidovrebbe considerare la conoscenza (il conoscitore) e ilconoscibile (il conosciuto) come uno»

Vijñånabhairava: 137

Qanto afermato rappresenta anche l’epilogo di ogni per-corso realizzativo: tuto è Conoscenza, la Coscienza di Bhaira-va che si presenta soto molteplice forma, ma restando essen-zialmente autoidentica. Qando e come si realizza o si svelaviene riassunto nel verso 138:

«Qando si ha il completo dissolvimento della quadrupli-ce entità costituita da mente empirica, intelleto, energia[vitale] e sé [individuato nel suo rifesso egoico], allora,mia cara, quella [Coscienza non-duale che resta] è la natu-ra di Bhairava».

Vijñånabhairava: 138

Il testo dichiara la efcacia, la totale capacità risolvente diogni singola meditazione per colui che è pienamente dotatodei requisiti:

Presentazione 35

«E [colui che è] assorto anche in una sola fra [tute] que-ste, diviene egli stesso Bhairava»

Vijñånabhairava: 140

La realizzazione della natura di Bhairava, lo svelamentodella suprema Identità, è il raggiungimento defnitivo, senzapossibilità di recesso, dello scopo ultimo della esistenza uma-na, la concretizzazione della più alta possibilità realizzativaconcessa all’essere cosciente.

Chi ha realizzato Bhairava è divenuto un “liberato in vita”(jıvanmukta), prosciolto da ogni legame karmico identifcati-vo sovrapposto in quanto si è risolto nella pura Consapevo-lezza non-duale, che irradia spontaneamente senza la benchéminima intenzionalità individuale:

«Costui, per quanto sia [ancora] in vita, è perfetamenteliberato; per quanto agisca, non è contaminato [dai frutidell’agire]»

Vijñånabhairava: 142

Benché venga visto in un corpo, non risiede nel corpo, maè il suo corpo che vive della inerzialità karmica acquisita inpassato che ora si esprime, ma senza legarlo, dentro la suaCoscienza infnita; benché si manifesti nel tempo e nello spa-zio, li trascende entrambi quali modifcazioni dimensionali in-terne alla mente; benché possa esprimere ati, non produceatività identifcata essendo, il suo agire, pura espressione diConsapevolezza, di là da ogni nesso causale.

Identico a Parama©iva è egli stesso il grande ‘Vuoto al dilà del vuoto’, essenza di ogni esistenza:

«Invero, la essenza del proprio åtman è per chiunque la[totale] autoincondizionatezza, la beatitudine e la [pura eassoluta] coscienza»

Vijñånabhairava: 152

La Divina Consapevolezza36

Solo questo Bhairava, il Reale assoluto, deve costituire lamèta ultima e unica del ricercatore della verità, e non quelloche si potrebbe immaginare da altre interpretazioni leterali,flosofche, mistiche, religiose, ecc.

A conclusione il testo ribadisce la natura di segretezza ditale insegnamento e la categorica necessità del possesso dellequalifcazioni per poterlo recepire e porre in ato:

«Così questa [conoscenza da Me] esposta, o Dea, è la piùelevata, [quella che conduce a realizzare] la suprema im-mortalità; e questa [conoscenza] non deve essere rivelata anessuno e in nessun tempo. [giammai] deve essere con-cessa [la conoscenza per realizzare] la suprema immortali-tà [a coloro che non sono qualifcati a recepirla]!»

Vijñånabhairava: 158, 162

Si è già ricordato che Abhinavagupta menziona il Vijñåna-bhairava come Ågama, Âivavijñånopani≤ad ed essenza del Ru-drayåmalatantra; anche Yogaråja lo cita come Âaivopani≤ad eK≤emaråja lo richiama più volte nel corso del suo commen-tario allo Âivas¥tra.

Nei 164 versi di metro anu≤†ubh (due emistichi di 16 silla-be ciascuno), i primi 6 contengono le domande poste dalla De-vı circa la natura di Bhairava; dal 7 al 21 vi è la descrizionedata da Bhairava della propria natura secondo le diverse an-golazioni; nei versi 22 e 23 la Devı chiede il modo in cui rea-lizzare tale natura; dal 24 al 138 Bhairava fornisce la rispostaprospetando le centododici dhåra~å; nei versi dal 139 al 141Bhairava traccia una conclusione e nei restanti la Devı, presoato della natura meramente apparente della intera manifesta-zione molteplice, in quanto procedente da una ftizia scissio-ne polare, causa della sua stessa separazione da Bhairava, siriunisce nuovamente a Qello, fondendosi con il Principio, dacui sembrava scaturita, in un defnitivo ‘abbraccio non-duale’.

Presentazione 37

Tra i commentari più rilevanti sull’opera compilati nelcorso del tempo, vanno annoverati: quello di K≤emaråja, com-posto nel X secolo e pervenuto incompleto; quello esteso nelXVII secolo da Bha††a Ånanda, ispirato alla dotrina di Âa√ka-ra; infne quello scrito da Âivopådhyåya nel XVIII secolo, an-ch’esso rivelante un notevole infusso da parte delle dotrineadvaita di estrazione shankariana.

Una prima menzione del Vijñånabhairava compare nell’A-dvayasaµpativårtika di Våmananåtha.

Per quanto siano esposte modalità concrete, il carateredel Vijñånabhairava rimane quello di una via direta, adata apochi, e povera, se non del tuto priva, di sostegni: il mezzocorporeo, energetico o mentale è solo un temporaneo suppor-to, da cui lanciare l’intuizione verso la realtà trascendente.

L’aspirante che, incoraggiato dalla apparente semplicitàdelle dhåra~å, intenda sperimentarne qualcuna, se imprepara-to o sprovvisto dei requisiti potrebbe o non ricavarne afatoalcun esito o, al peggio, subirne un dissesto psichico.

Per questo è indispensabile possedere un’adeguata predi-sposizione dell’intero composto psico-fsio-energetico e ope-rare solo soto la spinta di un’autentica istanza realizzativa,indota dalla maturità.

La maturità spirituale va di pari passo con la propensioneintelletuale – si parla della buddhi – e con la preparazionementale come riorganizzazione, direzionamento e trasforma-zione delle energie psichiche tale da coinvolgere la stessa per-sonalità, vale a dire l’intero sentire, conoscere ed essere, del-l’individuo.

Si dice che quegli che è pronto e maturo, può essere libe-rato all’istante; viceversa, operando sconsideratamente si puòrestarne inebetiti, come svegliandosi di soprassalto da un son-no profondo, senza percepire la portata di quanto messo inmovimento ed esponendosi con buona probabilità a qualcheprofondo scompenso.

La Divina Consapevolezza38

Qesto è il motivo per cui si raccomanda e impone la se-gretezza nei confronti di coloro che non sono qualifcati.

Le contemplazioni insegnate dal Vijñånabhairava, portan-do al di là della sfera mentale, determinano il risveglio allapiena consapevolezza della propria natura di Bhairava-Para-ma©iva, la Coscienza autoesistente che è dietro a ogni ente,essere, evento e stato, perennemente uguale a sé stessa, dallanatura di infnitezza-pienezza. Svelando questa Coscienza me-tafsica si supera di balzo qualunque limitazione sovrapposta,si ricompone qualsiasi antinomia dialetica, cessa ogni falsaidentifcazione condizionante.

Lo yogin che abbia realizzato Bhairava è totalmente pacif-cato e onnipresente non soltanto perché ha trasceso la triplicedimensionalità spazio-tempo-causale e risolto ogni impulsokarmico e ogni aspeto del suo proprio e dell’universale dha-rma, ma anche perché, compresa la totalità come espressionedi possibilità, riconosce che tuto è in lui, paragonabile a unbalenìo di sembianze formali indefnitamente evolventisi, illu-minate dalla Luce immobile della pura Coscienza.

Presentazione 39

VIJÑÅNABHAIRAVA

« La Divina Consapevolezza »

« La Divina Consapevolezza »

Ârı Devı disse:

1. ‘O Deva, io ho ascoltato tuto ciò che trae origine dallaunione di Rudra con [la sua controparte, la Âakti] Yåmala, cioèla [triplice] distinzione del Trika per intero, conformemente alleprincipali diramazioni [dotrinarie derivanti diretamente] dal-la essenza [di tute le Scriture che è il Trika]’.

Nella tradizione Trika Âaiva si aferma che tute le Scritu-re sacre (tantra) derivano dalla unione (sambhava) di Rudra edi Yåmala, la sua stessa Âakti simbolicamente rappresentatacome la divina consorte Parvatı.1

La Âakti di Âiva-Rudra è sia la ‘possibilità’, che include insé la stessa infnita ‘capacità’ di proietare, sostenere e rias-sorbire universi, enti ed eventi – per questo viene defnita etratata come una ‘energia’ – sia un ‘aspeto’ di Âiva stesso, dilà dalla ordinaria percepibilità, con il quale si identifca nellaessenza; la denominazione di Devı non è solo la forma gram-maticale relativa al genere femminile di deva, ma la stessamanifestazione di Âiva quale sua natura polare e coessenziale.

La ‘distinzione del Trika’ (trikabheda) è la triplice riparti-zione dei Princìpi universali defnita di volta in volta in rela-zione alla prospetiva flosofca. Così una terna è quella rap-presentata da Âiva, Âakti e nara, un’altra da Pati, på©a e pa©u,un’altra ancora è quella relativa alla stessa Âakti, come parå,paråparå e aparå e altre.2

Il Trika Âaiva è considerato la ‘essenza’ di tute le conce-zioni flosofco-metafsiche che, secondo la Tradizione, rap-presentano, con le loro dotrine operative, sue propaggini.3

2. ‘[Nonostante questo] ancor oggi il mio dubbio non è di-sperso, o supremo Signore. Qal è, in realtà, la [tua] natura, oDeva? Consiste nelle parti elementari [costitutive] dell’insiemedei suoni.’.

Le ‘parti elementari costitutive dell’insieme dei suoni’ (©a-bdarå©ikalå) formano quella che nello Shivaismo è chiamatamåt®kå, cioè la matrice dei fonemi, nei quali si esprime a livel-lo percepibile la Âakti nella manifestazione.

Tale insieme dei suoni (©abdarå©i), ordinato secondo i bennoti princìpi fonetici-organici, va dalla vocale semplice a allaconsonante composta k≤. Diversi testi Ÿaiva tratano appro-fonditamente la questione.4

Ogni parte costitutiva (kalå) divenuta fonema-letera rap-presenta una sorta di solidifcazione della energia vibraziona-le (spanda) corrispondente; è dunque un aspeto del vimar©adi Bhairava-Âiva. Tale potenzialità energetica-manifestante siproduce in cinque modalità distinte, che la tradizione annove-ra come: anutara, ånanda, icchå, jñåna e kriyå, che sono ap-punto i princìpi ultrasonori manifestantisi nelle letere-suonie che, secondo la genesi tradizionale, determinano anche laorigine dei princìpi costitutivi (tatva) dell’universo.

Ogni ente è defnito da un nome, e la serie delle letere-suoni che lo formano provengono dalla måt®kå e si relaziona-no con i tatva. Come?

Qalsiasi forma-entità (r¥pa), dal più piccolo ente sino al-l’universo composito nella sua integralità, è contraddistintada un nome (nåma). Anche nel Trika, nåma e r¥pa costituisco-no un tut’uno, insieme si originano e insieme si dissolvono.

I nomi sono combinazioni di letere e queste, nell’insiemeorganico dalla a alla k≤ che forma la matrice (måt®kå) dei suo-ni esprimibili come fonemi principiali qualifcati, sono le partielementari (kalå) costitutive dei suoni complessi dei nomi,delle parole, ecc.

La Divina Consapevolezza44 2

Il nome, quale insieme di letere-suoni, esprime sia la vi-brazione condensata irradiata dall’ente nel suo campo di esi-stenza, sia la confgurazione sonora della forma-entità, questatanto a livello grossolano, quanto nel piano sotile, o in quellocausale.

Pertanto il nome non solo indica l’ente, ma lo evoca perun principio di risonanza energetica. Tuto è vibrazione, e ilsuono – in senso lato – è il principio manifestante per eccel-lenza, che necessita del Silenzio quale campo ed essenza.

Dunque il nome appartiene al piano della Âakti e, confor-memente alla sonorità, prima causale poi sotile, delle singoleletere, dà luogo, nella concezione Âaiva, alla progressione deitatva, quindi agli artha, agli indriya e ai rispetivi oggeti fatidegli elementi grossolani o bh¥ta.

Si dice, per esempio, che la parola aham (io) comprenda laintera sequenza di letere-suoni – dalla prima letera (a) allapura risonanza (µ) – per cui simbolizza la totalità, nel suo du-plice aspeto efetuale e causale. Viceversa, la parola maha,data dalla serie inversa di singole letere, indica ‘il grande’, epuò riferirsi sia all’universo nella sua integralità, sia al Devache lo manifesta.

Poiché il nome-suono evoca la essenza per risonanza co-scienziale, la meditazione su aham porta alla presa di coscien-za della essenza ultima di tuto, vale a dire dell’Io non-dualeche, quale Coscienza assoluta, è lo stesso Parama©iva. Perciò,benché Qello sia unico e privo di dualità (a©abdabrahma),quando è manifesto è associato al suono (©abdabrahma).

Ora la Devı chiede se tale aspeto è diretamente Bhaira-va-Parama©iva.

3. ‘.oppure, secondo il Bhairava [Ågama], [si penetra] nellaforma (natura) di Bhairava, atraverso la nonuplice [modalitàmeditativa degli specifci mantra]? Ovvero è diferente dalla di-stinzione del Tri©ira? O, ancora, consiste della triplice Âakti?.’.

La Divina Consapevolezza 453

Le prime due domande del verso riguardano i particolarimantra della tradizione Âaiva.

La nonuplice modalità meditativa dei mantra si riferisce aipiani o sfere di esistenza ed espressione che si associano aitatva e che secondo la visione Trika sono: Âiva, Sadå©iva,Ù©vara, Vidyå, Måyå, Kalå, Niyati, Puru≤a e Prak®ti. Sono pos-sibili varianti insostanziali secondo le diverse correnti. Talienti sono fati oggeto di meditazione atraverso i rispetivibıjamantra, cioè i suoni elementari associati a ciascuno.5

Il Tri©irabhairava è un antico Tantra andato perduto in cuisi contemplava la triade: Âiva, Âakti e nara. La Devı chiede sela natura di Bhairava può essere còlta nella sintesi-unità deitre, simbolizzata dal tridente sau¢.6

L’ultima domanda riguarda la Âakti: la Devı chiede seBhairava deve essere identifcato alla triplice Âakti (parå, pa-råparå, aparå).

4. ‘.Oppure, ancora, è forse fata del nåda, o del bindu, o delcandrårdha, del nirodhika [ecc.]? O [consiste del potere che] è ilsuono muto racchiuso nei cakra? Ovvero consiste della naturapropria della Âakti?’.

Qi i mantra vengono considerati da una visuale diferen-te, cioè in sé stessi e nel loro rapportarsi ai cakra.

In generale il nåda è il suono in quanto ‘colui che espri-me’ (våcaka), presente quindi in tute le parole come cono-scenza ativa (vimar©a); con il termine bindu (punto) si indica‘quanto viene espresso’ (våcya), dunque l’ente in sé quale a-speto ‘formato’ della coscienza.

Ci troviamo ancora di fronte al riferimento all’impiego diun supporto di meditazione: meditando i bıja, il ‘suono defni-to’ (svara) della vocale che vi è contenuta si smorza nella ‘ri-sonanza sonora indefnita’ (anusvåra): la forma perde consi-stenza risolvendosi nella sua essenza.

La Divina Consapevolezza46 3

È forse questo – chiede la Devı – il modo per realizzareBhairava, cioè come essenza del suono dei bıjamantra relativiai cakra?

L’espressione “candrårdha e i nirodhika” sta per: l’ardha-candra, il nirodhika e gli altri. Nel suo manifestarsi, il bindu (ilPunto principiale, fonte di luce unica di coscienza) si rifrangenel nåda (suono interiore); la Âakti si presenta allora prima inuna forma ridota di mezzaluna (ardhacandra), quindi comenirodhika, termine che indica ‘ciò che ostruisce l'accesso’ de-gli aspiranti al nåda, e poi, ancora, come nadånta, ecc.7

Il suono muto (anacka) è il sofo o sibilo della ha senza lavocale e corrisponde al fusso ativatore o incrementante oall’impulso ascendente della ku~ƒalini©akti soto forma dellaenergia vitale (pråãa©akti). È deto anche anåhatanåda o ‘suo-no non-prodoto’ in quanto vibra da sé, risuonando sponta-neamente nell’haµsa.8

L’ultima domanda del verso concerne il solo aspeto ener-getico-manifestante o espressivo di Âiva.

5. ‘Ancora: la natura composita concerne la [tua Âakti] su-prema e la non-suprema, o [soltanto] la non-suprema? Se talquale [a quella non-suprema, cioè composita] fosse [anche lanatura] della [Âakti] suprema, [allora] quella [che è defnita lasua] natura di trascendenza verrebbe contraddeta’.

La Âakti suprema (parå) esprime il pieno ‘potere’ espressi-vo-manifestante di Parama©iva, per cui ne condivide la naturadi totale autoincondizionatezza (svåtantrya©akti) e trascen-denza (paratva). La natura composita (sakala) – intendendocon ciò non solo la molteplicità atuata, ma anche la unitàqualifcata pronta a rifrangersi – si manifesta laddove il Prin-cipio unitario e comprensivo di potenziale scissione si rifran-ge, per cui concerne la Âakti nei suoi aspeti di ‘suprema-non-suprema’ (paråparå) e ‘non-suprema’ (aparå), cioè nei piani in

La Divina Consapevolezza5 47

cui vige la ‘diferenza-non-diferenza’ (bhedåbheda) e dovesussiste la distinzione fnale tra gli enti (bheda); la naturacomposita riguarda perciò i piani causale (Âivabindu) ed efet-tuale (loka), mentre a livello di Parama©iva-Bhairava è la Non-dualità, perché la natura di trascendenza implica l’assenza didistinzione in sé e in rapporto ad altro, in quanto si è nel pia-no della assolutezza (kaivalya).

Ne consegue che le meditazioni su mantra ecc. riguardanosolo la Âakti nelle forme paråparå e aparå nei rispetivi piani.

6. ‘Infati [essa] non potrebbe coesistere con la diferenzia-zione delle letere (forme-colori) o con la diversità dei corpi. Latrascendenza [si manifesta] atraverso la integralità (indivisibi-lità o assenza di parti), [e] quella non potrebbe esistere in unanatura composita’.

La natura di trascendenza implica un essere al di là di tut-to ciò che è oggeto di distinzione, e questa si basa sulla appli-cazione di qualità e proprietà, come nel caso delle letere del-l’alfabeto, dei colori, ecc. o delle forme corporee. L’Ente total-mente trascendente è necessariamente privo di atributi. Lasua natura può essere espressa indiretamente come una per-feta integralità (ni≤kalatva), opposta dunque a una naturacomposita (sakalatva), e di per sé indivisibile e indefnibile,dal momento che ogni defnizione opera leteralmente una li-mitazione.

Il senso della domanda intende riassumere una serie di in-terrogativi: qual è la natura di Bhairava, l’Assoluto trascen-dente e inqualifcato, se possiamo conoscere come oggeto so-lo delle qualità o nature inferiori che, pur essendo da Qellorese possibili, non gli appartengono come tali?

Ogni entità composita appartiene alla sfera della måyå equesta è solo una possibilità, fnita e limitata, compresa nel-l’infnito e illimitato Bhairava.

La Divina Consapevolezza48 5

7. ‘Signore, concedimi la grazia: rescindi totalmente il [mio]dubbio!’.

Ârı Bhairava disse:

(Segue 7). ‘Bene! Bene! Qesto che tu hai chiesto è l’essenzadei Tantra, mia cara’.

La richiesta della Devı concerne dunque il Reale assoluto,essenza di tute le Scriture.

8. ‘È la più impenetrabile, mia cara, tutavia te [la] esporrò.Tuto ciò che viene dichiarato essere la forma-natura compositadi Bhairava.’.

9. ‘.ciò deve essere riconosciuto nella sua insostanzialità, odivina, come la rete di Âakra (Indra), afato paragonabile al-l’apparire del sogno e come la illusoria immagine della citadel-la dei Gandharva [nel cielo]’.

La natura composita appartiene alla manifestazione in at-to (piani sotile e grossolano), ma non alla sfera della unitàprincipiale indistinta (piano causale). Il Sostrato metafsico,poi, è evidentemente al di là non solo della molteplicità, equindi della dualità da cui quella discende, ma anche dellastessa unità quale possibilità emergente o apparentemente de-terminantesi. La presunta realtà della diferenziazione (nome-forma), come tuto ciò che ha natura di måyå, è proietata alpari della immaginaria citadella celeste dei Gandharva (miticimusici celesti), immagine priva bensì di sostanzialità ma sta-gliantesi su uno Sfondo reale, e per questo conoscibile.

10. ‘[L’aspeto diferenziato] è delineato unicamente a scopodella meditazione, per gli uomini dall’intelleto in errore, per

La Divina Consapevolezza 4910

coloro intenti a elogiare i riti e gli esseri inclini alla frammenta-rietà concetuale’.

La forma è suggerita per la meditazione a coloro che nonsono in grado di meditare diretamente sul Senza-forma.

11. ‘In realtà [Bhairava] non è quella nonuplice entità né laquantità delle letere (suoni); né il Deva è Colui dalle tre teste,né consiste della triplice Âakti.’.

12. ‘.né è fato del nåda o bindu, né del candrårdha o del ni-rodhika [ecc.], né è congiunto con il processo graduale [di pene-trazione e apertura] dei cakra e la [sua] natura propria non è laÂakti’.

In molti testi Bhairava viene descrito di volta in volta co-me qualcuno degli enti elencati, ma questo è solo a scopo di-datico e preliminare a un insegnamento più profondo.

13. ‘Infati queste [defnizioni relative e formali di Bhaira-va], che possono spaventare i fanciulli, [sono state formulate]per coloro dall’intelleto non risvegliato; tuto [questo] è statoproferito al fne della pratica [spirituale], come un dolciume[usato da parte] di una madre [per distogliere i fgli da altro]’.

Se l’aspeto formale-composito non risponde a realtà, co-me parlare della sua natura totalmente trascendente e priva diparti? Si prospeta la forma per indicare il Senza-forma.

14. ‘Dalla [prospetiva della] suprema realtà, quella [naturadi Bhairava] non può essere descrita né enunciata essendo af-francata dal rapporto con lo spazio e con il tempo e non essendocontraddistinta da una localizzazione defnita o da una [qual-siasi] designazione’.

La Divina Consapevolezza50 10

15. ‘Qella condizione la cui portata trascende la proiezionementale, che è la beatitudine di cui si ha la propria esperienza(consapevolezza) all’interno [di sé] e ha forma (natura) di pie-nezza, è la [Âakti] Bhairavı, in quanto propria dell’åtman qualeBhairava’.

Parrebbe impossibile sperimentare o meditare su ciò chenon ha atributi, ma la natura di Bhairava è la nostra stessaessenza più profonda.

La insuperabile difcoltà di darne una descrizione non im-plica la non-esistenza di Bhairava e quindi la impossibilità diconoscerlo. Qello non si può descrivere, infati, ma solo rea-lizzare: la natura di Bhairava non va ricercata all’esterno, per-ché possiamo, e dobbiamo, realizzarla nel nostro più profondoessere-conoscere come il nostro, proprio e unico åtman.

16. ‘Tale natura, in verità, deve essere conosciuta come privadi impurità e come colei che permea la totalità. Essendo così lasuprema realtà, chi dovrebbe essere adorato? E chi dovrebbe ve-nire ingraziato [con sacrifci, ecc.]?’.

Bhairava è la pura e assoluta Coscienza non-duale (adva-yacaitanya), onnicomprensiva e onnipervasiva in rapporto atuti gli stati, le condizioni, gli enti, le forme e il loro corsoesistenziale, che ne sono semplici modifcazioni sovrapposte.

Se la molteplicità appare e scompare in Bhairava privo disecondo, chi può adorare altri e tramite che cosa? chi può es-sere venerato? e da chi?

Tale domanda viene ripetuta a conclusione del testo, allor-ché la Essenza non-duale diventa una chiara evidenza.

Qando Parama©iva-Bhairava è realizzato come il proprioe unico åtman, la stessa nozione di distinzione tra deva e bhå-kta cessa di porsi e al suo posto è solo la consapevolezza dellaNon-dualità.

La Divina Consapevolezza 5116

17. ‘La natura di Bhairava, quale è proclamata in questomodo, quella è la suprema [sua natura], celebrata nella sua for-ma trascendente come la suprema Divinità’.

18. ‘Come tra la ©akti e colui che possiede la ©akti è semprestabilita un’assenza di distinzione, così la suprema Âakti, poichépossiede le proprietà che sono la natura di Qello, [è semprepriva di distinzione] dal supremo åtman (Bhairava)’.

19. ‘La capacità di bruciare non viene considerata separatadal fuoco. Qesta [distinzione tra la Âakti e Âiva è] soltanto pre-paratoria nell’introdurre alla realizzazione della conoscenza’.

La Âakti è la manifestazione della natura di Âiva, come lacapacità di bruciare è quella del fuoco. La distinzione tra entee proprietà è un accorgimento concetuale per rendere gra-duale la conoscenza di quello dalla comprensione di questa. Inrealtà la proprietà è connaturata all’ente, ne esprime la naturae non va vista come un atributo applicato e indipendente.

20. ‘Per colui che si è compenetrato dello stato [naturale]della Âakti, si ha la realizzazione consapevole (bhåvanå) permezzo dell’assenza di distinzione [tra Âakti e Âiva]: allora eglidiverrà della [medesima] natura di Âiva, [perché] qui (nelleScriture) [la Âakti] viene defnita [proprio] come la porta di ac-cesso a Âiva’.

Come il calore non è altro dal fuoco, o un raggio di lucesolare dal sole, la Âakti non è distinta da Âiva. E come la lucesolare, e quindi il sole, permete la visione delle cose, la Âaktidi Âiva – e quindi Âiva stesso in quanto Coscienza – consentela percezione dell’universo. E poiché la natura di Âiva si rifet-te in ogni essere, una volta compresa l’azione della sua Âaktinon si deve cercare una diferente capacità di conoscere per

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realizzare Âiva, perché la nostra intima coscienza è la suastessa natura. Anche lo Âivas¥tra conferma la necessità di ri-volgere ininterrotamente l’atenzione alla Âakti quale semedella manifestazione universale perché, per realizzare Âiva.

«[È necessaria] la [costante] atenzione al seme» Vasugupta, Âivas¥tra: 3.16

21. ‘Come grazie alla luce di una lampada e grazie ai raggidel sole si riconosce la ripartizione delle direzioni nello spazio,ecc., tal quale atraverso la Âakti [si realizza] Âiva, mia cara’.

La Âakti è l’apparenza dinamica di Âiva, il suo potere ati-vo-velante, come la måyå lo è per il Brahman. Âiva si manife-sta tramite la Âakti, con cui dà forma e vita al mondo.

Ârı Devı disse:

22. ‘O Dio degli dei, che impugni il tridente e hai un orna-mento fato a mo’ di teschio, [rivela a me quella naura trascen-dente] priva [della nozione] delle direzioni, dello spazio e deltempo ed esente da [qualsiasi possibilità di] descrizione’.

Il tridente (tri©¥la) che ricorre nel simbolismo shivaitarappresenta qui la triplice modalità espressiva – quindi shak-tica – di Âiva che si manifesta atraverso icchå, jñåna e kriyå.

Anche il teschio (kapåla) è un simbolo: Âiva lo regge inmano a rappresentare l’universo su cui esercita la sua naturadi svåtantrya e caitanya.

23. ‘Con quali mezzi può essere realizzato quello che è lostato naturale di Bhairava, avente natura di pienezza? In chesenso la suprema Devı (la Para©akti) è la porta di accesso perQello? Esponi [ciò] a me, o Bhairava, in modo tale che io pos-sa veramente comprendere’.

La Divina Consapevolezza 5323

Le due domande formano l’ossatura portante dell’interotesto. Il Vijñånabhairava esporrà più di cento forme di con-templazione per realizzare la natura di Bhairava, tra cui anchequelle che si avvalgono della natura della Âakti come mezzoper giungere a Âiva, descrivendole in detaglio e fornendo tut-ti i particolari tecnici necessari per porle in ato.

Ârı Bhairava disse:

24. ‘Invero la suprema [Devı, la Para©akti], consistente nella[capacità di] manifestazione (visarga), si esprime come il pråãa[procedente] verso l’alto e il jıva (l’apåna) procedente verso ilbasso. Grazie al mantenimento [della consapevolezza-atenzio-ne] nella duplice regione in cui si generano, [si suscita] uno sta-to di stabile pienezza’.

Con questo verso s’inizia la serie delle forme contemplati-ve che portano alla realizzazione di Bhairava.

Il sofo chiamato apåna è deto anche jıva in quanto èquello che, penetrando nel veicolo grossolano, sostiene pri-mariamente la vita corporea.

Il respiro, considerato integralmente nelle due fasi alterne,oscilla continuamente tra due punti, l’uno interno e l’altro e-sterno al corpo, che rappresentano una sorta di poli di sosta erigenerazione del sofo pranico. Del resto è facile osservareche qualsiasi fenomeno oscillatorio non è solo composto didue fasi inscindibili e complementari, ma si compie tra duepunti di apparente stallo, o assenza di movimento, nei quali ilmoto stesso inverte la propria direzione e quindi si manifestasoto un duplice nome-forma a seconda che vi pervenga o chene proceda. Nel veicolo individuato tale ‘duplice regione’ con-siste in quella bipolarità costituita da un lato dal centro delcorpo (il cuore, h®d) e dall’altro dal dvåda©ånta, che in questocaso è il punto posto a dodici dita di fronte al naso o al peto.

La Divina Consapevolezza54 23

Nel dvåda©ånta si arresta il sofo esalante (pråãa), nel h®dsi arresta il sofo inalante (apåna). In tali punti in realtà il re-spiro non si ferma del tuto, ma permane in una momentaneafase di stasi energetica (vi©rånti), o di sospensione tempora-nea del fusso della ©akti, che tutavia rimane presente ma nonsi manifesta, per riemergere e produrre un altro ciclo e cosìvia senza interruzione.

È appunto su tale pausa spontanea, quale stato transitorioe inespresso, o statico, della ©akti, che si deve operare la con-centrazione della consapevolezza o, meglio, stabilizzare lacontemplazione consapevole, mantenendola (bharaãa) anchequando il fusso riprende il proprio ritmo. Dalla pratica conti-nuativa e progressivamente intensifcata di tale forma con-templativa si svela la consapevolezza-pienezza di Bhairava.

I due momenti statici del fusso pranico respiratorio sonoquelli naturali (il ventre e la cresta dell’onda, per dirla in ter-mini tecnici o grafci) e non provocati deliberatamente, e ilmeditare sulla ©akti in tali condizioni di inespressione com-porta la trascendenza graduale del piano grossolano e di quel-lo sotile – nei quali si manifesta rispetivamente il respiro f-sico e il fusso energetico – per approdare prima a quello cau-sale, donde tale oscillazione ciclica si origina, poi a quello del-la pura Realtà non-duale e invariante.

Il mantenere stabilmente la consapevolezza che si svelanei due poli tra cui oscilla il ciclo pranico-energetico anchequando il moto è ativo risolve la identifcazione mentale alcomposto fsico-denso e determina, con la conseguente solu-zione delle limitazioni proietate, la consapevolezza della pro-pria natura di Pienezza.

Da un punto di vista più stretamente aderente alla con-cezione Trika – in cui si contempla la triade: Âiva, Âakti e na-ra – le due fasi sono accompagnate rispetivamente dal suonoha quella inalante e dal suono sa quella esalante, mentre traloro si inserisce la risonanza µ; l’insieme forma la parola

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haµsa con la quale si dice che l’individuo mediti anche in-consapevolmente sul Divino in modo continuo.

Secondo la tradizione shivaita il suono ha indica la ©akti,la risonanza µ la individualità e il suono sa lo stesso Âiva.Così la ripetizione di ‘haµsa’ con il respiro è una continuaidentifcazione con Parama©iva-Bhairava, atraverso la ©akti,del jıva che si sintonizza e risolve in Qello.

25. ‘Dal non-ritorno indietro della coppia di sof [insieme],oppure del respiro [che va] all’interno (l’apåna) e di quello [cheva] all’esterno (il pråãa) [separatamente], così dalla [stessa]Bhairavı (la Âakti) viene resa manifesta la Bhairavi, [cioè] lanatura essenziale di Bhairava’.

La breve sospensione spontanea del moto del pråãa neldvåda©ånta è conosciuto come båhyakumbhaka, quella dell’a-påna nel h®d come antarkumbhaka. Entrambe, nella tradizio-ne che investiga il respiro come fonte di atingimento e con-trollo della energia vitale, vengono defnite come kevalaku-mbhaka, ossia ritenzione spontanea – cioè isolata da unosforzo deliberato – per diferenziarle dalle medesime fasi pro-vocate o indote volontariamente (sahitakumbhaka) con l’e-sercizio del controllo del respiro (prå~åyåma).9

Concentrandosi sulle due pause, sia unitamente che sepa-ratamente, la mente si ritira all’interno, introvertendosi, e lepause stesse si dilatano fno a che l’impulso che determina ilmoto oscillatorio del respiro viene a riassorbirsi e a cessare,per cui pråãa e apåna giacciono come assimilati e uniformati;a quel punto si atinge la ‘condizione di centralità intermedia’(madhyada©å) e si dischiude la centrale su≤umnå nåƒı, quellaatraverso cui si ha l’ascesa della ridestata ku~ƒalini©akti ver-so il sahasråracakra, il cakra nel quale si compie la unionedella ©akti individuale, a quel punto universalizzata grazie auna espansione totale, con Âiva.

La Divina Consapevolezza56 24

Si trata di un mezzo di natura individuale (åãavopåya) inquanto necessita della meditazione sui due momenti di arre-sto o ritenzione spontanea del respiro.

26. ‘Qando si trova espansa nel mezzo atraverso quelloche è lo stato di nirvikalpa, [per cui] non va all’esterno e non vaall’interno, la Âakti, soto forma del sofo vitale, è la [stessa]natura di Bhairava’.

Mente ed energia vitale sono stretamente correlate; tra-mite l’una si può agire sull’altra; inoltre occupano una dimen-sione mediana tra la sfera veicolare densa e il puro åtman.Qindi possono costituire un ‘ponte’, un varco di accesso.

La funzionalità della mente, nel suo stato ordinario, è ca-raterizzata da una variegata atività di percezione, elabora-zione, proiezione, immaginazione e ritenzione mnemonica,nonché esumazione di contenuti e quindi dalla formazione –nel senso lato di plasmazione formale – di entità ideative divario genere. Il termine che descrive questa complessa ativitàè vikalpa, generalmente inteso come atività mentale proieti-va. Il controllo, il decremento, il riassorbimento e la soluzionedi tale atività portano a uno stato di ‘assenza di atività men-tale’ (nirvikalpa). Grazie ad esso – corrisponde al nirvikalpa-samådhi dello Yoga – il fusso della Âakti esprimentesi atra-verso quello del respiro cessa di manifestarsi e, quando è at-tinta e stabilizzata una condizione di assenza di atività men-tale (nirvikalpabhåva), la stessa Âakti, non più oscillante insie-me con il sofo tra l’esterno e l’interno, quando si trova percosì dire come ‘espansa nel mezzo’ (madhye vikåsite), vale adire difondentesi nell’intero composto grossolano-sotile del-l’individuo, si identifca, nella sua immobilità onnipervasiva,alla stessa Consapevolezza priva di limite: in altre parole, sisvela essere identica a Âiva stesso. Infati la Âakti non è distin-ta da Âiva, essendo un suo rifesso dinamico nel piano sotile-

La Divina Consapevolezza 5726

energetico capace di indurre atività sia in questo che in quel-lo fsico-grossolano.

Mentre nel verso precedente la contemplazione sui duemomenti di pausa induceva la presa di consapevolezza diBhairava, nel presente questa è svelata atraverso la sospen-sione dell’atività mentale grazie a cui si arresta il moto vibra-torio-oscillatorio del fusso energetico. In altri termini, la viadi mezzo (madhyada©å) è dischiusa dalla contemplazione pri-va di contenuto.

Qando la mente viene fermata, in concomitanza con ciòsi ferma anche il respiro; e, quando la mente, immobile, cessadi esistere come tale e si rivela pura Coscienza – cioè Bhaira-va-Parama©iva – anche la Âakti giace in uno stato di quiete,non irradiando né vibrando. Le due condizioni vanno di paripasso, l’una essendo speculare dell’altra.

Âivopådhyåya aferma che il nirvikalpabhåva è indotodalla Bhairavı mudrå in cui, sebbene i sensi siano esteriorizza-ti, la consapevolezza è rivolta all’interno verso la ‘vibrazioneprimaria’ (spanda) che costituisce il primo e più intimo impul-so della consapevolezza, dal quale prende avvio la intera ati-vità della mente e dei sensi. Qando la consapevolezza è por-tata e stabilizzata là, il nirvikalpabhåva si instaura in manieranaturale. Poiché nello stato di nirvikalpa qualsiasi identifca-zione viene meno e si è in identità, ancorché virtuale, conBhairava, si dice che la contemplazione qui suggerita trasmu-ta da mezzo individuale (åãavopåya) in mezzo di natura divi-na (©åmbhavopåya); pertanto questa modalità, qualora si di-sponga dei necessari requisiti, può essere adotata per con-templare Bhairava diretamente.

27. ‘Qalora [la Âakti], allorché è stata esalata [con il respi-ro uscente] oppure allorché è stata inalata [con il respiro en-trante], venga ritenuta [rispetivamente nel dvåda©ånta o nelh®d], al termine di tale [pratica] quella [Âakti] è denominata

La Divina Consapevolezza58 26

‘Pacifcata’: grazie alla Âakti [pacifcata] si manifesta Il Pacif-cato [per eccellenza, Bhairava]’.

Il verso presenta una variante rispeto alla meditazionedescrita nel verso 25 ed è un altro mezzo basato sulla condi-zione individuale.

Con la concentrazione sulla fase di ritenzione (kumbhaka)sia esterna, nel dvåda©ånta, dopo lo svuotamento (recaka) at-traverso la esalazione del sofo ascendente o uscente (pråãa),sia interna, nel h®d, dopo il riempimento (p¥raka) atraversola inalazione del sofo discendente o entrante (apåna), ossiacon la concentrazione nei momenti di pausa, le fasi di movi-mento alterno vengono a perdere capacità identifcativa etrainante nei confronti del mentale. In tale condizione si diceche la distinzione tra i due sof scompare lasciando splende-re, immobile, la sola energia vitale (pråãa©akti) quale rifessocoscienziale. Così, producendo una sorta di assimilazione deidue moti opposti, e quindi un relativo arresto della loro oscil-lazione, la Âakti cui sono associati si libera dal moto ativo ediviene per così dire ‘pacifcata’ (©åntå), ossia placata o sopitamanifestando mera quiete o potenzialità in seme.

Grazie a tale stato di quiete o atività-movimento solo po-tenziale, essendo identifcata con la pura Consapevolezza, laÂakti diviene capace di svelare Colui che è il Pacifcato per ec-cellenza, ossia Bhairava, quale Testimone cosciente, per natu-ra avulso da qualsiasi moto, atuale o potenziale, ma in cuiogni motilità può esprimersi.

28. ‘Si mediti su colei (la Âakti) dall’apparenza luminosa co-me [quella di] un raggio di sole che, [risalendo fulmineamente]dalla radice (il m¥lådhåracakra), diviene [via via] più sotiledel sotile e alla fne si risolve nel luogo che dista dodici [ditadal centro degli occhi: il Brahmarandhra]: [allora] si ha lo sve-larsi di Bhairava’.

La Divina Consapevolezza 5928

‘Colei dall’apparenza luminosa come [quella di] un raggiodi sole’ (kira~åbhåså) è la Âakti che, nel suo rifesso individua-to, simbolizzato da una posa o un ateggiamento di sembianzaserpentina, dimora, come assopita e ravvolta su se stessa intre spire e mezza, nel m¥lådhåracakra, il cakra alla base, allaradice della colonna.

Il ‘luogo che dista dodici [dita]’ dal centro degli occhi(bhr¥madhya) è stavolta il brahmarandhra, che racchiude ilsahasråracakra, il ‘cakra dai mille raggi’, l’ultimo, quello som-mitale, la ‘corona’ che illumina la intera strutura sotile.

Opportunamente risvegliata, la ku~ƒalini©akti risale lungola su≤umnå nåƒı dischiudendo progressivamente ogni cakra lacui apertura determina l’atingimento di uno stato di coscien-za superiore. Qi invece si allude a una risalita repentina, ful-minea – quale guizzo serpentino, da cui il simbolismo ineren-te: ku~ƒalinı signifca, appunto, ‘arrotolata’ – con cui la Âaktiraggiunge il sahasråracakra nel brahmarandhra e lì stesso,improvvisa e veloce come un lampo, si dissolve nello splendo-re (prakå©a) della Coscienza di Bhairava.

L’apertura o penetrazione dei vari cakra in modo progres-sivo (krama) determina stati di coscienza via via superiori,più espansi e comprensivi, ma sempre contenuti nella sferadella individualità veicolare. Invece la dischiusura del saha-sråracakra, atraverso una ascesa direta, immediata (akrama)della ku~ƒalinı, libera all’istante l’essere dalla costringente i-dentifcazione individuale: è la ©akti-energia, fatore legante,che si risolve in Bhairava-Coscienza, assoluto inqualifcato.10

Sebbene la Âakti si presenti inizialmente soto un aspetoindividuato, la sua trasmutazione nella natura di Bhairava fasì che tale contemplazione riassuma in sé, in maniera sinteti-ca e istantanea, le varie tipologie di mezzi, dall’individuale al-l’energetico al divino. Del resto la distinzione è solo formale,mentre la considerazione sul tipo di mezzo non risponde auna vuota classifcazione ‘scientifca’, ma può essere di aiuto

La Divina Consapevolezza60 28

per atingere la giusta posizione mentale nell’immergersi nel-la relativa contemplazione.

La stessa disposizione dei cakra lungo la su≤umnå che se-gue il meruda~ƒa (il pilastro sotile su cui si erge la spina dor-sale), con la rispetiva natura di ciascuno, mostra una gradua-le trasformazione della entità coscienziale dalla mera identif-cazione individuale (m¥lådhåracakra) alla perfeta identità conil Principio (sahasråracakra) e, quindi, della stessa natura delmezzo contemplativo, da quella individuale (åãava) a quelladivina (©åmbava) passando per la intera gamma di quella ener-getica (©åkta) che collega, unisce e fonde i due estremi.

Anche in questa duplice ‘linea’ non vi è soluzione di con-tinuità perché il piano inferiore rifete il superiore e tuti i li-velli si originano dal Divino, quale unitario trascendente (Âi-vabindu), come suoni armonici da un tono fondamentale: al dilà di quelli e di questo è solo il Silenzio onnicomprensivo del-la pura Coscienza oltre la dualità (Bhairava-Parama©iva).

29. ‘[Si contempli] colei dalla natura di folgore allorché risa-le di passo in passo [penetrando e dischiudendo] ogni singolocakra verso l’alto fno al triplice pugno (il dvåda©ånta qualebrahmarandhra) fno a quando, al termine [di ciò], si ha lo sve-larsi del Grande (Bhairava)’.

Il ‘triplice pugno’ (mu≤†itraya), misura equivalente alle do-dici dita, è ancora il brahmarandhra-sahasråracakra.

Qesto verso si riferisce all’ascesa graduale della ku~ƒali-ni©akti fno al suo dissolversi nel dvåda©ånta, alla conclusionedi tale processo, quando, come prima, la energia individuata,una volta dilatatasi nella Âakti universale, si risolve nella Co-scienza assoluta sciogliendo il legame identifcativo.

30. ‘Penetrato adeguatamente [con la meditazione] il dode-cuplice ordinato insieme atraverso le dodici letere [corrispon-

La Divina Consapevolezza 6130

denti], procedendo dal grossolano verso il sotile e afrancandosiprogressivamente da ogni stato superiore [raggiunto], alla fne[il meditante] è [identifcato con] Âiva’.

Il ‘dodecuplice ordinato insieme’ (kramadvåda©aka) com-prende i sete cakra principali più altri cinque. È chiamato an-che dvåda©asthåna ed è l’insieme formato dai dodici stati del-la ©akti nella sua risalita. È ordinato in quanto la loro succes-sione – e quindi la loro penetrazione – sotostà a una precisasequenza, alla quale è associata la serie delle vocali, della riso-nanza e della emissione aspirata, che fungono anche da sup-porto meditativo come bıjamantra.

Tali centri-stati energetici sono, dal basso:

1) il janmågra, corrispondente allo svådhi≤†hånacakra, as-sociato alla letera a;

2) il m¥la, cioè il m¥lådhåracakra, con la letera å;3) il kanda, nell’addome, la cui letera-bıja è i;4) il nåbhi, corrispondente al ma~ipuracakra, letera ı;5) il h®daya o h®d, ossia l’anåhatacakra, con la letera u;6) il ka~†ha, cioè il vi©uddhacakra, con la letera ¥;7) il tålu, sopra il palato, associato alla vocale lunga e;8 ) il bhr¥mådhya, alla radice del naso, cioè l’åjñåcakra,

associato al ditongo ai;9) il lalå†a, il cakra sito al centro del cranio dietro la fronte,

associato alla vocale lunga o;10) il brahmarandhra, ossia il sahasråracakra, associato al

ditongo au;11) lo ©akticakra, al di là della localizzazione del preceden-

te, associato alla risonanza µ;12) il vyåpinıcakra, il ‘cakra della onnipervadente’, asso-

ciato alla aspirazione ¢.

La Divina Consapevolezza62 30

I primi quatro cakra sono assimilati a uno stato inferiore(apara) della ©akti, caraterizzato dalla diferenziazione (bhe-da); i successivi quatro a uno stato intermedio della ©akti, dipassaggio tra il superiore e l’inferiore (paråpara), in cui si hala diferenza-non-diferenza (bhedåbheda) in relazione alla for-ma; i successivi tre sono relativi allo stato supremo (para) nelquale non vi è più diferenziazione (abheda) né nella ©akti insé né in rapporto a Âiva-Bhairava.

Nello ©aktisthåna la energia si libera dalla identifcazioneindividuale e si universalizza; e nel vyåpinısthåna la ©akti sirisolve defnitivamente nel puro cit che è Bhairava, o Parama-©iva.

31. ‘Avendo infranto il [limite costituito dal] m¥rdhånta,[non appena sia stato] saturato istantaneamente con quella[stessa energia vitale], per mezzo del ponte costituito [dalla pra-tica interiore riconoscibile] dall’accigliamento, avendo [quindi]reso la mente priva di [qualsiasi] proiezione ideativa, [quandola consapevolezza del meditante] è interamente al di sopra [deldvåda©ånta, allora] si ha il sorgere della onnipresenza’.

Il sostantivo m¥rdhånta (let. ‘parte terminale della testa’)è un altro nome per il brahmarandhra o per il dvåda©ånta, in-teso quest’ultimo come distanza curvilinea estesa lungo laparte anteriore della testa, e non frontalmente in una altezzaintermedia tra naso e peto (come quella relativa ai versi 24-27), e culminante alla sommità del capo. I tre nomi si riferi-scono tuti al sahasråracakra, il cakra ivi situato.

Il testo allude alla tecnica interiore (tantra) consistentenell’instaurare una poderosa, incomparabile concentrazioneconvergente univocamente in tale cakra allo scopo di convo-gliare in esso, in maniera istantanea (å©u), la intera ©akti del-l’individuo, e trasmutare tale energia, inizialmente distribuitanella sfera corporea sotile soto forma di energia pranica

La Divina Consapevolezza 6331

(pråãa©akti), in energia coscienziale (cicchakti), vale a dire inmera consapevolezza libera, non più racchiusa in una dimen-sionalità fnita per quanto in forma sotile.

È la pratica psicofsica di concentrazione energetica-co-scienziale, riconoscibile esteriormente dall’aggrotarsi dellesopracciglia (bhr¥k\epa), che costituisce una sorta di ‘ponte’(setu) per il superamento della limitazione veicolare rappre-sentata dal cakra fnale.

La coscienza, a seguito di tale dhåra~å, non essendo piùidentifcata alla condizione energetica individuale, si innalzaspontaneamente e integralmente al di sopra del vertice apica-le e, in tale espansione illimitata, emerge la percezione consa-pevole della propria natura di onnipresenza, di identità conBhairava. Si trata di una tecnica tantrica, adata solo al disce-polo qualifcato e pronto, il cui mentale, cioè, sia stato primacompletamente purifcato e liberato da qualsiasi contenuto(saµskåra, vasanå) sia pur potenziale. I detagli di questa pra-tica sono serbati rigorosamente e rivelati soltanto quando sia-no accertate, senza dubbio alcuno, le condizioni che garanti-scono un esito sicuro e privo di rischi. Val la pena ricordare,infati, che qualsiasi pratica inerente al controllo della ©akti,ovvero del pråãa, e al suo direzionamento e incanalamento,qualora non preceduta da un’adeguata preparazione e da unaistruzione valida, può essere causa di gravi scompensi energe-tici e organici che possono intaccare, talora in modo irrepara-bile, l’equilibrio psicofsico dell’individuo.

32. ‘Per colui che mediti sul quintuplice vuoto, atraverso icerchi aventi i molteplici colori delle penne caudali di un pavo-ne, si invererà la entrata nel cuore, cioè nel Vuoto senza supe-riore’.

Il ‘quintuplice vuoto’ (©¥nyapañcaka) indica la mancanzadi reale sostanzialità degli oggeti dei sensi – vale a dire: spa-

La Divina Consapevolezza64 31

zio, aria, fuoco, acqua e terra – e, quindi, anche delle rispeti-ve essenze sotili (tanmåtra), rappresentate dai ‘cerchi’ (ma-~ƒala) variopinti, simili alle penne di un pavone: in altre pa-role, la intera oggetività, sotile e grossolana, caraterizzatadalle qualità essenziali.

Colui che contempli compiutamente tali enti consapevoledella loro vacuità rientra in sé stesso, nel proprio ‘cuore’ – ilcentro spirituale dell’essere – il quale, come Coscienza asso-luta, è identico a Bhairava.

È deto essere il ‘Vuoto senza superiore’ (anutara©¥nya)non perché sia vacuità o mera non-esistenza, ma perché, tra-scendendo ogni atributo ed essendo al di là delle categorieconcetuali, è impossibile a descriversi. Anche lo stato di son-no profondo (su≤upti), al pari della intensa concentrazionesull’autocoscienza, individuale (jıva) e universale (Ù©vara), de-terminando una condizione di ‘unità indistinta’, viene consi-derato un vuoto, data la assenza di qualsiasi contenuto cono-scibile o sperimentabile come oggeto; si trata, però, di unvuoto non assoluto e non ultimativo, per vari motivi. Innanzi-tuto perché suscetibile di qualifcazione con la emergenza diuna qualsivoglia oggetività che si potrebbe defnire inizial-mente puntiforme, indefnitamente sotile ma in grado di am-plifcarsi e moltiplicarsi (dualità, molteplicità) ponendo così lebasi per una conoscenza-esperienza duale; poi perché sovrap-posto, quale unità, al vero e unico Vuoto – la Non-dualità incui è trascesa e assente la stessa potenzialità di qualifcazione– che, pertanto, viene defnito Vuoto-senza-superiore; infneperché solo dallo Â¥nyåti©¥nya non è possibile un ritorno allaordinaria condizione di consapevolezza, mentre dall’altro siretrocede, per quanto alleggeriti nei contenuti mentali.

In realtà Bhairava è assimilato a quel Vuoto ma, per quan-to deto in precedenza, va ricordato che tale Vuoto integrale,quale appare in relazione alle categorie mentali, è anche laPienezza perfeta in quanto sede di infnita possibilità, per

La Divina Consapevolezza 6532

quanto giaccia ivi inespressa, quale essenza e campo di ogniqualifcazione e di ogni manifestazione universale.

33. ‘[Concentrandosi] esatamente secondo un simile proce-dimento, dovunque sia la consapevolezza, sia essa nel vuoto, siain un muro, o su un altro [oggeto] o su una persona competen-te, l’assorbimento in sé stessi [come åtman-Bhairava] è il Benemigliore’.

La contemplazione atuata ‘esatamente secondo un simileprocedimento’ (ıd®≤ena krameãaiva) allude a una progressivaelevazione della natura dell’oggeto – analogamente a quantosuggerito nel verso 30 in relazione ai cakra – ma stavolta diri-gendo la consapevolezza verso oggetività o entità formali, in-terne o esterne.

Qalsiasi cosa si contempli, sia all’interno che all’esterno,sia inerte che consapevole – come una persona qualifcata, unMaestro, o qualcuno dal mentale altamente purifcato – rico-nosciuta la natura di vacuità di tale forma separatamente dal-la Coscienza, questa, palesandosi via via in ogni entità inquanto priva di alterità, e dunque al di là di ogni distinzioneformale, si ripiega su sé stessa svelandosi come Realtà auto-esistente e concedendo così al meditante il più alto fruto: larealizzazione di Bhairava come il proprio åtman.

34. ‘Posata la mente (la consapevolezza) all’interno della te-sta, permanendo stabilmente con gli occhi chiusi, dalla fssitàdella mente [raggiunta] in modo graduale, si conseguirà il Finesupremo’.

L’‘interno della testa’ (kapålåntar) è il ‘centro’ del capo,quindi designa l’åjñåcakra, il polo centrale dell’autocoscienzasoggetiva determinata. Il verso suggerisce la concentrazionedella consapevolezza nell’åjñåcakra come mezzo che, consen-

La Divina Consapevolezza66 32

tendo alla mente di raggiungere in modo graduale uno statodi stabile fssità (dårƒhya) atraverso il richiamo, il riassorbi-mento e la devitalizzazione di ogni contenuto proietivo epercetivo, con il sotrarre a questi la consapevolezza che lisostiene, porta a svelare la Coscienza integrale e priva didualità.

Secondo un nirukta tradizionalmente ammesso nello shi-vaismo e citato nell’opera Tantrako©a, il termine kapåla è for-mato dalla unione di ka, indicante la Âakti suprema, e påla,inteso come il Protetore, dunque Âiva. In tale interpretazioneil verso viene a signifcare: “Posata la consapevolezza sulla u-nione di Âiva con la Âakti, restando con gli occhi chiusi”, valea dire con l’intero sistema sensorio ritirato dalla percezione e-steriore e rivolto all’interno, “dalla fssità della mente [rag-giunta] in modo graduale” – data la natura assai mobile dellamente è necessario uno sforzo deliberato onde mantenerlaferma fno a quando può contemplare stabilmente senza oscil-lazioni di sorta – “si comprenderà in modo naturale Ciò che èsommamente da comprendersi”, cioè si realizzerà Bhairavacome Qello che deve essere realizzato sopra ogni cosa, ilquale, appunto, si svela integrando la dualità Âiva-Âakti e tra-scendendo lo stesso stato di Âivabindu.

35. ‘La nåƒı mediana (la su≤umnå) è situata al centro [tra ledue laterali, la ıƒå e la pi√galå] ed ha la parvenza sotile e rilu-cente di una fbra di loto. Meditata come lo spazio interiore, at-traverso tale Forma divina il Deva (Bhairava) si manifesta’.

La su≤umnå è la nåƒı mediana situata tra le due nåƒı late-rali, a sinistra la ıƒå, il cui fusso energetico è simbolicamenteassimilato alla Luna, e a destra la pi√galå, il cui fusso è assi-milato al Sole. Contemplando la su≤umnå in quanto identif-cata ad una spazialità vuota interiore, ovvero meditando su diessa nello spazio interiore – anche questo senso è ammissi-

La Divina Consapevolezza 6735

bile – le due correnti laterali si unifcano in essa perdendo in-dividualità e distinzione e la Âakti, risalendo lungo la su≤u-mnå soto forma del fusso energetico ascendente (udåna) epenetrando e dischiudendo i successivi cakra, si assorbe inf-ne nel sahasråracakra creando la unione (yoga) con Âiva: intale riunifcazione di coscienza risplende Bhairava.

Nella Spandakårikå si descrive la diferenza di esito in re-lazione a questa forma:

«Qando la [corrente pranica assimilata alla] Luna e il[fusso pranico assimilato al] Sole sono stati perfetamenteriassorbiti in quel grande Spazio, allora lo stolto [giacerà]come profondamente addormentato, [mentre] il perfetorisvegliato diverrà illimitato»

Vasugupta, Spandakårikå: 1.25

È evidente che anche questa forma contemplativa necessi-ta di un’adeguata predisposizione spirituale, dovendo la con-sapevolezza essere in grado di sostenere tale immediata e ino-stacolata espansione onnicomprensiva e lontana da appoggi.

36. ‘Tramite la percezione [quando è] bloccata con l’armadelle mani, dalla dischiusura [del cakra situato] al centro dellesopracciglia [otenuta] dalla ostruzione degli accessi [sensoria-li], quando il bindu è percepito, nell’assorbimento graduale alsuo interno si ha la [realizzazione della] suprema natura per-manente [di Bhairava]’.

Il verso allude a una mudrå, una pratica di controllo sulcorpo per esercitare indiretamente quello sulla ©akti. In talemudrå le aperture sensoriali della testa sono chiuse con en-trambe le mani: i pollici sulle orecchie, gli indici sugli occhi, imedi sulle narici e anulari e mignoli sulle labbra.11 Ostruendogli accessi sensoriali, la consapevolezza non si disperde all’e-

La Divina Consapevolezza68 35

sterno e, concentrandola nell’åjñåcakra, richiama lì stesso la©akti. Atraverso tale pratica, continuata senza interruzione econ crescente intensità, si può essere in grado di percepire lostesso åjñåcakra come un punto luminoso (bindu o vindu).

Alcuni interpreti forniscono una diversa sequenzialità nel-le fasi di questa dhåra~å, che comunque portano al medesimorisultato: la soluzione della Âakti in Âiva con la conseguentepresa di coscienza di Parama©iva-Bhairava.12

Dunque nell’åjñåcakra si deve convogliare la consapevo-lezza-energia fn quando il punto luminoso si espande fno albrahmarandhra-sahasråracakra risolvendosi così nella Supre-ma Luce: allora la contemplazione trasmuta in uno stato diidentità coscienziale illimitata e tale è la ‘suprema natura per-manente’ (paramå sthiti), il più alto stato che lo yogin può at-tingere: la natura di Bhairava. Anche da una prospetiva sim-bolica si può dire che il punto si è risolto nello spazio infnito,il jıva nell’åtman.

È ovvio che l’intero processo deve essere sostenuto dallaconsapevolezza e non dalla mera proiezione immaginativa, inquanto la funzione mentale deve essere resa inativa sin dal-l’inizio e non racchiudere contenuti pronti a emergere assor-bendo o deviando la ©akti.

37. ‘Per colui che medita sul bindu, dalla forma di tilakaquale minuscola scintilla scaturita da una sollecitazione all’in-terno della sede, sia [che il bindu venga visualizzato] sulla som-mità del capo sia nel cuore, al completarsi dell’assorbimento[del bindu], si ha l’assorbimento [defnitivo in Bhairava]’.

La ‘sollecitazione all’interno della sede’ (dhåmånta¢k\o-bha) è la ‘scossa’ indota nella sfera sotile dalla concentrazio-ne della ©akti che segue a quella della coscienza e che si mani-festa come uno scintillìo puntiforme nei punti di convergenzameditativa, simile a quello provocato nella sfera fsica-corpo-

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rea per esempio con una pressione sul bulbo oculare, o allefaville che sprizzano da una famma che va estinguendosi.

L’oggeto che funge da supporto in questa dhåra~å è ap-punto il bindu, un punto luminoso simile al tilak, il segnopuntiforme tracciato tra le sopracciglia e portato da alcuni de-voti. Dunque, si trata ancora di una meditazione incentratasul bindu inizialmente percepito nell’åjñåcakra, ma visualiz-zato, poi, sia nel sahasråracakra sia nell’anåhatacakra.

La contemplazione così mantenuta porta ad assimilare la©akti correlata alla proietività mentale e, quando tale assorbi-mento è completato (layånte), determina la soluzione dellastessa centralità individuale nella Coscienza di Bhairava.

38. ‘Qegli profondamente immerso nel Brahman con-suo-no, [ma] che è suono non-prodoto, [percepibile solo] nell’udito[da parte] di qualcuno qualifcato, ininterroto e travolgente co-me fume impetuoso, consegue il supremo Brahman’.

Colui che è ‘profondamente immerso’ (ni≤~åta) nel Bra-hman con-suono ovvero nella contemplazione del Brahmancon atributi, l’Essere qualifcato, per esempio grazie alla me-ditazione sulla sillaba om nel suo aspeto sonoro, è come im-pregnato egli stesso di quel suono, è interamente avvolto dal-la sua aura, è nello stato di risonanza coscienziale con quello.

Non è un suono fsico in quanto essenzialmente esente daproduzione, dunque spontaneo, autoproducentesi, percepibilesolo da un udito rivolto all’iperfsico, dotato di siddhi acquisi-te con lo yoga o iniziato al trascendente dalla istruzione di unMaestro.

Inoltre è un suono continuo, incessante, perenne e, essen-do di per sé ‘travolgente come fume impetuoso’, essendo ap-punto il suono-vibrazione (spanda) che accompagna e sostan-zia la ©akti – e nella sfera individuale percepibile internamen-te non appena la ku~ƒalinı ©akti inizia a salire, determinando

La Divina Consapevolezza70 37

tuta una serie di sonorità carateristiche, dal rombo di tuono,alla campana, al fauto, alla vi~å, a un debole scampanellìo si-no a una sorta di ronzio sommesso – è in grado di trascinare,innalzandolo, colui che vi si sintonizzi coscienzialmente fno arisolversi nel Silenzio della pura Coscienza di Bhairava, lad-dove lo yogin realizza il Brahman senza-suono.13

39. ‘O Bhairavı, dalla [correta] pronuncia del praãava, ecc.al termine del prolungarsi [del suo suono], dalla meditazionesul vuoto, grazie alla suprema Âakti che è [Colei in cui si espri-me] il Vuoto, [il meditante] giungerà al Vuoto’.

Il praãava è la Sacra Sillaba om. Ha una duplice natura:om sonoro e om silenzioso. Il primo esprime simbolicamentel’Essere qualifcato e la sua manifestazione, il secondo l’Esse-re non-qualifcato, l’Assoluto, Bhairava o Parama©iva nirguãa.

L’om sonoro consta di tre letere-misure (måtra) – la a, lau e la m – che indicano rispetivamente il piano grossolano,quello sotile e quello causale. Le prime due misure, unite nelditongo o, esprimono l’efeto, la m la causa; o, da un’altravisuale, la o la dualità e la m la unità principiale; o ancora,l’om sonoro la sovrapposizione, l’om silenzioso il Sostrato.

La emissione sonora del praãava costituisce, se associataalla consapevolezza di ciò che le sue misure rappresentano,un potente mezzo di trascendenza, innalzando la coscienzadel meditante dalla sfera fsica densa fno in quella iperfsica eipersotile e oltre. È dunque un suono-simbolo che dirige lacoscienza dal manifestato al non-manifestato e, come suonoche si spegne nel non-suono, dal qualifcato nell’Inqualifcato.

Alcuni associano i suoni-vibrazioni ai vari cakra, o aglistati identifcativi che in essi si dischiudono.

Poiché ogni piano porta in espressione una potenzialità diquello superiore – l’efeto è l’atuazione di una possibilità traquelle indefnitamente contenute nella causa – procedendo

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dal grossolano al sotile e al causale si ha una progressivaespansione della consapevolezza in tale insieme di possibilitàvia via crescente. È quanto determinato da una ‘correta pro-nuncia’ (samuccåra), in cui ogni misura viene prolungata ri-speto alla precedente. La misura m è quella in cui il risuonaresi prolunga maggiormente (pluta) dovendo riassorbirsi la in-tera possibilità espressa.14

Al suo termine, quindi all’esaurirsi del suo risuonare, ver-bale o mentale ma sempre pervaso dalla consapevolezza, diri-gendo questa nel ‘vuoto’, nella Unità indistinta della sferacausale universale – si è già deto che quello della Unità prin-cipiale è un vuoto in quanto manca qualsiasi relazionabilitàduale, ed è relativo, in quanto associato a quella data Unità –lo yogin, tramite quella stessa consapevolezza priva di solu-zione di continuità, trascende anche tale sfera e, atraverso laParå Âakti, ossia la stessa energia coscienziale shivaica nel suostato puro ed esente da espressione formale e informale, e-stingue la intera sonorità nella silenziosa, infnita, limpida epura spazialità coscienziale di Bhairava, l’Assoluto inqualif-cato privo di dualità, il grande Vuoto (©¥nya) al di là di tutociò che è condizione, conceto o defnizione, oltre il vuoto del-la stessa unità, ma comprensivo di una infnita possibilità.15

40. ‘L’uomo che mediti consapevolmente anche sulla singolaletera [del praãava] dall’inizio alla fne, divenuto egli [stesso]il Vuoto atraverso la [Âakti] identifcata con il Vuoto, assumeràla natura del Vuoto’.

La Âakti del Vuoto è la più elevata, la prima a manifestarsida Âivabindu: è dunque a livello causale (vuoto-unità). Le altredue forme della Âakti si esprimono come paråparå a livellodel sotile, e come aparå in quello grossolano.

La meditazione pervasa dalla consapevolezza (anubhåva),ancorché condota sulla singola misura, dal momento in cui il

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suo suono ha inizio fno al suo smorzarsi, porta, grazie alla ri-svegliata Âakti del Vuoto (Ÿ¥nyå), alla totale trascendenza diogni limitazione.

Il Vuoto-Bhairava, essendo la realtà assoluta al di là di tut-to, può essere realizzato – sussistendo la giusta posizione co-scienziale – a partire da qualsiasi condizione o sfera di esi-stenza-identifcazione, e quindi meditando su qualsiasi lete-ra-misura.16

41. ‘Qegli dalla consapevolezza non rivolta ad altro [con-centrandosi] sui prolungati suoni di strumenti musicali comequelli a corda o altri fno allo smorzarsi, dalla persistenza inin-terrota [di tali sonorità] diverrà [egli stesso] della natura delsupremo Spazio (Bhairava)’.

Il suono, per la sua stessa natura vibratoria, è in grado dipenetrare nella mente, uniformandone lo stato vibratorio, esaturare la coscienza di chi lo ascolta. Il suo veicolo è lo spa-zio, il più sotile degli elementi. Come entità consistente di vi-brazione e quale modifcazione sovrapposta al silenzio, il suo-no esteriore risuona nella mente di colui che lo ascolta rifet-tendosi nella corrispondente entità interiore sotile. Se lo yo-gin non rivolge l’atenzione ad altro e si concentra sul suonocontemplandolo nel suo originarsi, sostenersi e riassorbirsinel silenzio, diviene in grado di prendere consapevolezza delsilenzio come suo sostrato. Qando compie ciò a livello di co-scienza, egli svela il Silenzio metafsico, sostrato di ogni pos-sibile sonorità-esistenza, e diviene egli stesso della natura delsupremo Spazio.17

42. ‘Invero, dalla pronuncia dell’intero pi~ƒamantra, conuna successione dalle letere grossolane fno all’ardha [-candra],[poi] al bindu, [quindi] al nådånta [ecc.], per fnire allo ©¥nya,[lo yogin] diverrà Âiva (Bhairava)’.

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Il pi~ƒamantra è un particolare modo di tratare i mantraatraverso la loro scomposizione nelle singole letere o sillabeadotata per talune forme di meditazione, specie in riferimen-to al Ku~ƒaliniyoga.

Il termine pi~ƒa – let. ‘particella’ – si riferisce agli ele-menti costitutivi minimi di un mantra. Così un pi~ƒamantra èun mantra scomposto nelle letere o sillabe costituenti, cia-scuna delle quali viene meditata separatamente ma concate-natamente alle altre in una successione senza soluzione dicontinuità. La sua correta pronuncia (uccåra), che ovviamen-te non è solo verbale, subisce una trasmutazione, accompa-gnata dalla consapevolezza, dalla sfera grossolana verso quel-la sotile fno in quella puramente coscienziale. Così la medi-tazione di un pi~ƒamantra costituisce un potente mezzo ca-tartico in quanto innalza la consapevolezza dal piano efetua-le, prima grossolano e poi sotile, in quello causale ed oltre.

La sillaba om, scomposta nelle misure a, u e m, può essereconsiderata un pi~ƒamantra.

Le letere di un mantra terminano sempre con la risonan-za (anunåsika) indicata da una mezza luna (ardhacandra) sor-montata da un punto (bindu). La tradizione individua precisipunti del veicolo grossolano nei quali convergere la consape-volezza al fne di meditare le letere nel corrispondente corposotile. La successione indicata, dalle letere grossolane all’a-rdhacandra, al bindu, al nadånta per fnire allo Â¥nya, passan-do per le sonorità dete: nirodhinı, vyåpinı, samanå, unmanå,implica una graduale diluizione o assotigliamento della riso-nanza – e quindi una intensifcazione ed una espansione dellaconsapevolezza corrispondente – fno alla soluzione nella i-dentità con Bhairava. In altre parole, nell’impiego dei pi~ƒa-mantra, si passa da una pronuncia fsica a una sonorità sotilesempre più tenue e coscienzialmente elevata.

Considerati nella loro costituzione elementare, anche ma-ntra come la sillaba om o altri possono essere impiegati come

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pi~ƒamantra. In tal caso ci si soferma a meditare sulle singoleletere costitutive secondo un preciso ordine sequenziale an-che relativo alla loro proiezione nei diversi distreti del veico-lo sotile rappresentati talora da particolari cakra, meditazio-ne nella quale la parte o letera precedente si risolve nellasuccessiva e così via fno alla completa estinzione.

Così, ad esempio, meditando in tal modo sulla sillaba omscomposta nelle sue misure-måtrå, la letera a viene contem-plata nel plesso solare (ma~ipuracakra), la u nel ‘cuore’, a li-vello dell’anåhatacakra, la m nella zona altopalatale della boc-ca, il bindu al centro tra le sopracciglia a livello dell’åjñåca-kra, l’ardhacandra nella parte centrale della fronte, la nirodhi-nı nella parte alta della zona frontale, il nåda nella parte altadella testa, il nadånta nel brahmarandhra dunque a livello delsahasråracakra, la Âakti in tuta la superfcie della pelle, lavyåpinı alla sorgente della ©ikhå, cioè alla radice del ciufo dicapelli alla sutura sommitale, la samanå nella ©ikhå, la unma-nå al suo vertice: al di là è la pura e infnita spazialità coscien-ziale di Parama©iva-Bhairava nella quale lo yogin si immergee risolve.18

43. ‘Colui che, privo di qualsiasi proiezione mentale, con-templi nel proprio corpo la pura spazialità (viyat) simultanea-mente in tute le direzioni, per costui si realizzerà [la identitàcon] la intera pura Spazialità (Bhairava)’.

Se si permane stabilmente in assenza di proietività men-tale (nirvikalpamanå) contemplando nel proprio corpo la puraestensione spaziale indefnita (viyat) in una simultaneità (yu-gapad) onnidirezionale, si realizza la propria soluzione nellaSpazialità coscienziale infnita che è Bhairava, la Non-dualitàin cui può balenare qualsiasi Unità ontologica con la manife-stazione corrispondente; cioè la identifcazione con il Vuotoche è oltre il vuoto e in cui si estingue qualsiasi vuoto.

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44. ‘Colui che mediti simultaneamente sul vuoto alla som-mità e sul vuoto alla base, grazie alla Âakti indipendente dalcorpo, diverrà quegli la cui mente è il Vuoto’.

Il ‘vuoto alla sommità’ (p®≤†ha©¥nya) è riferito al brahma-randhra, il ‘vuoto alla base’ (m¥la©¥nya) al m¥lådhåracakra.

Ogni cakra è un centro di energia, di coscienza dinamica. Icakra sono interconnessi e formano un tut’uno, una scala vi-bratoria in cui la energia coscienziale, soto forma della ©akti,scorre vibrando tonalità scalari, da quelle gravi a quelle iper-sotili, diremo pregne di qualità, dalle tamasiche a quelle sat-tviche. Ogni tonalità condiziona l’essere che, consciamente omeno, vi si identifca vibrando coscienzialmente quella parti-colare modalità, determinandone percezione e atività.

D’altro canto, ogni vibrazione presuppone un campo equesto è unico per tuta la gamma tonale espressa dal vibrarecomposito della ©akti.

La penetrazione consapevole dei cakra iniziale e termina-le, con la sopravvenuta chiara percezione del Vuoto nel qualevibrano, porta alla loro trascendenza e integrale soluzione.

La ‘Âakti indipendente dal corpo’ è quella universale, dacui atinge energia quella individuale, e ‘quegli la cui mente èil Vuoto’ (©¥nyamanas) è colui la cui coscienza, ritiratasi daogni proiezione e percezione e liberata altresì dalla risonanzavibratoria dei cakra nonché espansa nel puro campo della Co-scienza, si è risolta in Bhairava-Â¥nya.

45. ‘Colui che mediti in modo duraturo (sthiram) simulta-neamente sul vuoto alla sommità, sul vuoto alla base e sul vuo-to nel cuore, in virtù dell’assenza di proiezione mentale, graziea ciò [si porterà] al di sopra di ogni proiezione mentale’.

Rispeto alla precedente dhåra~å qui si aggiunge anche laregione centrale. Si trata dunque di dirigere la consapevolez-

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za in modo continuativo, persistente e intenso sui cakra estre-mi (sahasråra, m¥lådhåra) e su quello centrale (anåhata), cheè una sorta di baricentro energetico per la intera struturasotile, e ivi contemplare il Vuoto nel quale esprimono, vi-brando, la loro energia.

Lo stato ‘al di sopra di ogni proiezione mentale‘ (nirvika-lpodaya) è Bhairava quale Coscienza priva di modifcazioni.

Secondo alcuni interpreti il vuoto alla sommità, al centro ealla base simbolizza rispetivamente il soggeto conoscitore, laconoscenza e l’oggeto del conoscere: al di là della forma, chedistinguendoli ne stabilisce il rispetivo ruolo, è la Coscienza,priva di distinzioni e di contenuti, che li pervade tuti.

46. ‘Qegli che [anche] per un solo istante percepisca distin-tamente una parte del corpo esatamente come fosse vacuità,senza proietare alcuna ideazione, [rimanendo] privo di proie-zione mentale, [diverrà] dotato di una natura propria priva diproiezione mentale (identico a Bhairava)’.

La contemplazione coscienziale del vuoto porta ad identi-fcarsi con il Vuoto e a risolversi in Qello.

Il testo suggerisce di meditare anche su una sola parte delproprio corpo, dunque su un oggeto-forma, come fosse unvuoto e senza proietare ideazione (nirvikalpam): è l’ato diporsi deliberatamente in una condizione di nirvikalpa o as-senza di proiezione. Se si è in grado di permanervi stabilmen-te, tale condizione si trasmuta in stato e questo, una volta ri-solte le inerzialità pregresse latenti, si svela come natura.

‘Ato – stato – natura’: la componente individuale si estin-gue gradatamente lasciando svelarsi il nirvikalpa, ossia il Vuotodi proiezioni, ecc., come la Coscienza pura di Bhairava.

47. ‘O tu dallo sguardo di gazzella, [se lo yogin non è in gra-do di meditare sul vuoto diretamente, allora] percepisca distin-

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tamente la intera sostanza costitutiva che forma il corpo inquanto pervasa dalla pura spazialità (viyat); grazie a ciò la suameditazione diverrà stabile’.

Contemplare la intera ‘sostanza costitutiva’ (dravya) si-gnifca considerare, e riconoscere, ogni aspeto della struturaveicolare – dalla impalcatura scheletrica alla massa muscolareal complesso degli organi e delle sostanze interne, ecc. – comevacuità, cioè entità priva di esistenza reale autonoma ma esi-stente in funzione del rifesso di coscienza che la vitalizza e dicui esprime le potenzialità in via di espressione.

Qando la contemplazione diviene ‘stabile’ (sthira) si ri-solve nella pura Consapevolezza in cui inerzialità e potenzia-lità sono assenti in quanto estinte completamente.

48. ‘Si consideri la divisione della pelle in relazione al corpo[rispeto allo spazio esterno] come costituente un muro; pensan-do: ‘non vi è nulla all’interno di ciò’ si diverrà colui che conosce[tuto] ciò che si deve conoscere’.

Il conoscere ordinario si limita all’aspeto forma con cuiindividua un ente; è una conoscenza di superfcie nel sensoleterale del termine, laddove la forma dell’ente – inscindibil-mente unita al suo nome – sembra creare, appunto con la suasuperfcie, una divisione tra interno ed esterno. Si può direche, nel campo della conoscenza della corporeità oggetuale èproprio tale aspeto di superfcie che defnisce la forma.

A tale forma si atribuisce un nome, per cui l’ente in gene-rale viene individuato e contraddistinto da nome e forma (nå-ma, r¥pa). Il Vedånta aferma che al di là della non-reale di-stinzione in nåma-r¥pa vi è il reale sostrato di Essere-Co-scienza-Beatitudine assoluti, la Non-dualità del sat-cit-ånanda(saccidånanda). La distinzione – e quindi la molteplicità – ècreata proprio dalla sovrapposizione di nåma-r¥pa, perché

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ogni forma che appare atira a sé un nome, anzi, in un certosenso, è il nome a creare la immagine mentale della forma.

Ora, contemplando sia all’interno della mera forma, comeal suo esterno, il vuoto – vale a dire la insostanzialità, la non-aseità della forma – la forma-superfcie per così dire collassanella consapevolezza e l’ente, caraterizzato da nome e forma,cessa di porsi come entità reale in quanto oggeto di percezio-ne scomparendo alla vista interiore.

Qando tale forma meditativa viene applicata a sé stessi,considerando vuoto lo spazio racchiuso dalla superfcie veico-lare costituita dalla pelle, questa stessa cessa di porsi comeuna divisione e, dissolta la stessa distinzione interno-esterno,la consapevolezza si espande identifcandosi con la infnitaspazialità inqualifcata della Coscienza di Bhairava: il contem-plante, risoltosi in essa, è divenuto ‘colui che conosce tutociò che si deve conoscere’ (adhyayabhåj), vale a dire che hapreso piena consapevolezza della propria e unica Essenza:non vi è altro da conoscere che sia reale.

Qesta potente dhåra~å suggerisce dunque il distacco dal-la percezione del corpo, con la cessazione della sensazione diesistenza individuale separata dal tuto. Qando il duplicevuoto così meditato si è afermato, non vi è più un oggeto dimeditazione: lo yogin prende consapevolezza della propriaonnipervasività (vyåpti) e quindi della propria identità conBhairava.

49. ‘Colui i cui sensi sono raccolti nello spazio all’interno delcuore, che penetra al centro del doppio emisfero del loto [nelcuore], che non è consapevole di alcun altro [ente], o deliziosa,conseguirà il Bene supremo’.

Il ‘cuore’ (h®d) è il centro spirituale dell’essere, ove dimorala consapevolezza dell’åtman, che vi si rifete come l’autoco-scienza del jıva.

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È simbolicamente rappresentato da un fore di loto a duepetali che si presentano come due ciotole accoppiate a forma-re una sorta di sfera; senza recare alcun altro pensiero, lo yo-gin deve penetrarvi con la concentrazione, immergendosi, i-nabissandosi nella Consapevolezza adimensionale che vi ri-splende fno a identifcarvisi totalmente.

50. ‘Dall’assorbimento della mente nel dvåda©ånta del pro-prio corpo in maniera totale, per colui dall’intelleto saldo simanifesta la natura della realtà divenuta stabile’.

La ferma, prolungata e totale concentrazione nel dvåda©å-nta, cioè nel brahmarandhra, ponte tra lo stato individuale ela natura sovraindividuale, determina, per colui il cui intellet-to sia saldo in tale proposito, la percezione della natura dellarealtà, che gli si presenta a mano a mano sempre più stabileed evidente.

Si dice che lo yogin che intende realizzare l’åtman deve di-morare costantemente con ‘la coscienza al di sopra della te-sta’: è là che la individuazione, con la conseguente limitazioneveicolare grossolana e sotile, si assotiglia, perde consistenzae si scioglie completamente nella Coscienza assoluta.

51. ‘In qualunque modo e dovunque si diriga la mente [por-tata] nel dvåda©ånta, [operando così] continuamente, in [pochi]giorni, grazie alla modifcazione [mentale ormai] dissolta, si di-verrà di natura inefabile’.

Qalunque sia il dvåda©ånta nel quale concentrare la con-sapevolezza – sia quello corrispondente al brahmarandhra (¥-rdhvadvåda©ånta), sia quello esterno (båhyadvåda©ånta) difronte al naso, sia quello interno (antaradvåda©ånta) al centrodel corpo (nel cuore, h®d), sia quello identifcato con la su≤u-mnå nåƒı (madhyadvåda©ånta), ecc. – e in qualsiasi modo si

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operi, persistendo così istante per istante (pratik≤aãam), l’in-sieme delle modifcazioni mentali ative, inerziali e potenziali,andrà a dissolversi (k≤ıãav®ti) e lo yogin svelerà in sé stessola inefabilità (vailak≤a~ya) che è propria solo della naturasuprema e incomparabile di Bhairava.

52. ‘[Lo yogin] mediti intensamente [così]: ‘il mio propriocorpo è arso dal Kålågni innalzantesi dalla punta del piede de-stro’. Allora, al compiersi [di ciò], diverrà lo splendore di Colui[che è per natura totalmente] pacifcato’.

Kålågni – let. ‘il Fuoco del Tempo’ – è un epiteto di Âiva-Rudra quale Distrutore universale; ma il suo è anche un Fuo-co che purifca, trasforma e risolve.

La visualizzazione del Fuoco shivaico che sale dal piede adivorare la intera corporeità grossolana e sotile – sede di im-purità, azione identifcata, proiezioni consolidate e condizio-nanti – determina la totale purifcazione del veicolo. Qandoil processo si è compiuto, la consapevolezza del meditante, li-berata dal carico karmico e da qualsiasi moto atuale e poten-ziale, si svela immobile, pura e luminosa, identica a Colui cheper natura è totalmente pacifcato (©ånta).

53. ‘Così stesso, avendo meditato sull’intero universo inquanto arso [dal fuoco Kålågni], per l’uomo che immagini [ciò]con la consapevolezza non rivolta ad altro si invera [quello cheè] il supremo stato per l’essere umano’.

Il ‘supremo stato per l’essere umano’ (pumbhåva parama)è la identità con Bhairava. Ardendo la totalità e la intera pos-sibilità, quali oggeto di conoscenza, con il Fuoco della Cono-scenza, il meditante si realizza in quanto Coscienza-senza-se-condo, svelando la propria natura di Bhairava quale Soggetoultimo e illimitato per il quale tuto è oggeto di conoscenza.

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54. ‘Meditando sul luogo di assorbimento [nel quale vengonofati convergere] quelli che sono i tatva, sia quelli sotili siaquelli più sotili, in relazione al proprio corpo ma anche in rap-porto all’universo, alla fne si manifesta la suprema [Âakti]’.

Il riassorbimento dell’efeto nella causa, procedendo dalbasso verso l’alto, dal grossolano al sotile e oltre, è una diret-tiva dei tantra nota come åtmavyåpti, ‘riassorbimento nell’å-tman’, in cui i princìpi costitutivi vengono risolti nelle rispet-tive cause fno alla Causa prima, oltre la quale è solo la Realtàeterna, incausata e incausante: Bhairava.19

Il ‘luogo di assorbimento’ (nilaya) è in realtà un luogo pri-vo di collocazione: è la Consapevolezza stessa, testimone delladimensionalità e della stessa forma – e quindi distinta da loro– focalizzata nell’autocoscienza. Qale centro di percezione edi conoscenza è il punto in cui ricondurre e risolvere i tatva ela loro stessa fonte.

Qando il processo, applicato a sé e all’universo, si è inte-gralmente compiuto, si prende chiara consapevolezza dellamanifestazione come espressione della Âakti di Âiva; trascen-dendo tale diade principiale e persino l’aspeto qualifcato (Âi-vabindu) da cui si origina, si realizza per identità Parama©ivanirguãa, ossia Bhairava, quale Sostrato ultimo di ogni possibi-lità principiale.

55. ‘Avendo [dapprincipio] meditato sulla ©akti [prima] den-sa e [poi] sotile, essendo [quindi] penetrato nella regione deldvåda©ånta, meditando [infne diretamente] nel cuore [spiri-tuale], il liberato raggiungerà l’autoincondizionatezza’.

La meditazione sulla ©akti prima ‘densa’ (pınå) e poi ‘soti-le’ (durbalå) indica simbolicamente il controllo della ©akti in-dividuale con il prå~åyåma. Con tale mezzo, atraverso il con-trollo del respiro fsico si ha quello sul fusso energetico soti-

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le e, quindi, sul mentale.20 Si rammenta che l’insieme dei vei-coli (ko©a) è un complesso armonico che sotende una unitàcausale; per questo l’azione sull’uno otiene efeti sull’altro esul tuto.

La penetrazione nella ‘regione del dvåda©ånta’ suggerisceuna concentrazione nei vari plessi interni che portano talenome operata esclusivamente a livello coscienziale, dall’infe-riore al superiore, avendo trasceso il controllo pranico delibe-rato in quanto, una volta conferito l’impulso, la ©akti circola evibra autonomamente.21

Infne la consapevolezza portata diretamente nel ‘cuorespirituale’, centro dell’essere, riassume la intera entità indivi-duale, la personalità veicolare nella pura autocoscienza, liberada qualsiasi gravame e legame, con la conseguente irreversi-bile soluzione nella Coscienza assoluta, in cui l’essere – iden-tico a Bhairava – svela la propria natura di autoincondiziona-tezza (svåtantrya).

56. ‘Si mediti sull’intero [universo] soto l’aspeto dei [vari]mondi fno ai piani di esistenza, [procedendo] per gradi dalgrossolano al sotile [poi] verso il supremo Stato fnché, al ter-mine, si ha la dissoluzione della mente [nella pura Coscienza]’.

Analogamente al verso 54, anche qui viene proposto unprocesso a ritroso di riassorbimento coscienziale dell’efetonella causa fno a pervenire alla realtà ultima. Diversamentedal precedente, però, qui l’operazione è macroscopica, inquanto condota cominciando dai mondi (bhuvana) per por-tarla sui piani di esistenza (adhvan) e oltre.

Nella visione Trika Âaiva, a seguito della apparente quali-fcazione principiale di Parama©iva (il Brahman nirguãa delVedånta) in Âivabindu (il Brahman saguãa), ovvero la sua pri-ma determinazione come Essere qualifcato universale, il‘punto’ principiale che traccerà ogni confgurazione geome-

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trica, avviene una sorta di ‘polarizzazione’ nella quale si dife-renziano i princìpi Âiva e Âakti, aspeti l’uno della Coscienzal’altro della Energia manifestante o Capacità espressiva, co-munque vitalizzata dall’altro ‘polo’. Qesta scissione – an-ch’essa apparente in quanto i princìpi rimangono interrelati,complementari e interagenti – si pone sul piano non-manife-stato della pura essenzialità in cui Âiva, sintesi di Coscienza ePotenzialità, quindi Unità, ancorché qualifcata, esprime lapropria divina Autoincondizionatezza (svåtantrya). È dunqueil piano della Coscienzialità autonoma (svatantraciti) e dellaEnergia autosufciente (svatantra©akti).

Da questo livello essenziale, nel quale non si può ancoraparlare di esistenza né tantomeno di manifestazione, ma solodi Essere nella sua duplice polarità o potenzialità pronta adatuarsi, comincia ad emergere, ancora per scissione o pola-rizzazione successiva, la intera manifestazione universale.

Mentre i trentasei princìpi del Trika Âaiva riassumono lagenesi delle entità essenziali (tatva) con le condizioni checomportano, la visione soto questa prospetiva è rivolta inve-ce alla descrizione della diade Âiva-Âakti nel suo rifetersi at-traverso i vari piani di esistenza che dalla sua posizione prin-cipiale scaturiscono.

Occorre premetere che, pur essendo Âiva niente altro cheCoscienza assoluta (cit, caitanya), nel ‘momento’ in cui si po-larizza in Âiva e Âakti paiono diferenziarsi due aspeti distinti:quello shivaico della coscienzialità e quello shaktico della e-spressività, l’uno associato a un aspeto o ruolo soggetivo,l’altra a quello oggetivo, senza dimenticare, però, la loro in-controvertibile complementarietà data la provenienza da unaunica Fonte superiore, pari a quella che, nella veste della co-noscenza, pone in rapporto il conoscitore con il conosciuto.

La loro progressiva polarizzazione atraverso piani via viapiù densi dà luogo alla gradazione dei piani di esistenza nei li-velli causale, sotile e grossolano. Tali livelli, assimilati a sfere

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o corsi di esistenza (adhvan), corrispondono ai già citati piani:para (o abheda) , paråpara (o bhedåbheda) e apara (o bheda).Dato che la diade coscienza-energia, o in altri termini sogget-to-oggeto, conoscitore-conosciuto, si manifesta su tre piani,si ha un totale di sei corsi (≤aƒadhvåni).

Secondo la terminologia Trika, il conoscitore, che ha con-sapevolezza del conoscibile, è anche colui che lo defnisce (vå-caka); il conosciuto, o conoscibile, è ciò che è suscetibile divenir defnito (våcya); soto un altro aspeto, si può parlare disoggeto (gråhaka) e di oggeto (gråhya), o, in senso lato, diconceto – o parola-suono – defnente (©abda) ed ente defnito(artha).

La prima apparente scissione, che avviene a livello dellapara©akti o paravåk, e quindi nel piano causale della unità in-distinta e dell’assenza di diferenziazione (abheda), dà luogo aidue poli potenziali, deti il soggetivo o shivaico (varãa) el’oggetivo o shaktico (kalå), designanti rispetivamente la‘proprietà’ e la ‘funzione’ corrispondente, il primo riferito alsuono (©abda) e il secondo all’ente (artha). In questo adhvan,deto para (superiore), i due aspeti non sono separati se nonsolo allo stato virtuale, perché la loro separazione cominciasoltanto dal livello successivo che ne è efeto.

Qesto secondo adhvan, intermedio tra il superiore e l’in-feriore, è deto paråpara e in esso vige una sorta di potenzialediferenziazione, defnita bhedåbheda, in quanto sussiste an-cora una certa assenza di distinzione nella pur emergente di-versifcazione. È il livello denominato s¥k≤ma (sotile), in cui idue poli sono chiamati mantra quello relativo all’aspeto shi-vaico e tatva quello relativo all’aspeto shaktico. Qi il ruolomantra si riferisce all’insieme dei suoni formanti la struturacoscienziale e tatva indica il principio sotile costitutivo.

Qesto livello dà luogo come efeto all’ultimo adhvan,quello deto sth¥la (grossolano) in quanto relativo al pianoempirico percepibile atraverso i sensi ed è perciò il piano

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apara (inferiore) in cui regna efetivamente la diferenziazio-ne (bheda) tra gli enti formati. Qi i due aspeti sono defnitipada quello del conoscitore e bhuvana quello del conosciuto,dove il secondo indica propriamente il mondo, l’universo nel-la sua totalità, e il primo designa la immagine concetualizza-ta che la mente ne fornisce a livello razionale-sensoriale.

Nella visione Trika l’insieme dei tre livelli di soggetivitàfa capo a un ordine temporale (kålådhvan), quello dei tre li-velli della oggetività a un ordine spaziale (de©ådhvan).

Ogni livello superiore è causa di quello inferiore, per cui è‘pervasivo’ (vyåpaka) rispeto all’inferiore mentre questo ne è‘pervaso’ (vyåpya). Tradizionalmente il rapporto causale tra ivari adhvan – e in generale la relazione causa-efeto (kåryakå-raãasambhava) – è defnito dalla espressione vyåpyavyåpaka(rapporto tra l’elemento pervasivo e quello pervaso).

La meditazione qui proposta è una contemplazione ativain quanto si deve risolvere dapprima lo sth¥lådhvan nel s¥-k≤mådhvan, questo nel parådhvan, questo nella para©akti os-sia nella svåtantrya©akti propria della diade principiale Âiva-Âakti, quindi questa stessa nel puro Âivabindu, il Punto princi-piale della qualifcazione o prima determinazione dell’Asso-luto, per approdare alla soluzione fnale nella pura Coscienza(cinmåtra), o pura Consapevolezza (vijnåna) di Bhairava, cioèParama©iva.

Si tenga presente che ogniqualvolta ci si trova di fronte aun processo regressivo da efeto a causa, il primo rappresen-ta una delle indefnite possibilità insite nella seconda e chequesta, come causa, si pone come l’unità che si rifrange inde-fnitamente nella molteplicità dell’efeto; poiché questa plura-lità non può prodursi e manifestarsi in simultaneità, ne con-segue che l’efeto, commisuratamente al piano a cui appar-tiene, contiene in sé uno sviluppo continuo esprimentesi indivenire, ossia in un processo di trasformazione. Tale proces-so, che nei livelli più bassi si produce nelle dimensioni spazio-

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temporali, mano mano che ci si innalza trova graduale sintesinei livelli superiori, dove la simultaneità è la espressione diuna condizione adimensionale. Qesto va tenuto in conside-razione data la natura pretamente coscienziale di tale medi-tazione (bhåvanå).

Altro fatore importante è che ogni diade esprime una po-larità conoscitiva (soggeto-oggeto), per cui la soluzione diun piano nel superiore presuppone la sintesi coscienziale deidue poli cognitivi (conoscitore-conosciuto) nella coscienzache li pervade entrambi e che si presenta in loro in un certogrado di proietività formale. Ascendendo verso i livelli supe-riori tale stato di apparente condensazione-cristallizzazioneva perdendo in grado di intensità per guadagnare in quello dilibertà fno alla soluzione ultima dello Âivabindu, Autoco-scienza universale, in Parama©iva quale Coscienza assoluta,‘campo‘ della possibilità di qualifcazione al di là di questa.

Il processo catartico della integrazione-trascendenza deipiani grossolano, sotile e causale e della loro soluzione nel-l’Assoluto inqualifcato atraverso il procedimento dei livelli èassimilabile alla meditazione progressiva sulle misure (måtra)della sillaba om, quando si risolve la a nella u, la u nella m einfne la m nel Silenzio di Turıya.

57. ‘Meditando integralmente, fno ai suoi limiti, con il pro-cesso [risolutivo] dei livelli esistenziali, sulla essenza di questointero universo avente la natura di Âiva, [si invererà] il granderisveglio’.

Qi il testo propone una contemplazione ativa e allo stes-so tempo sintetica. Nel verso precedente il processo contem-plativo-risolvente era graduale, snodandosi in una risalita cheatraversa e supera i vari piani secondo la sequenza grossola-no-sotile-causale e quindi li sintetizza unitariamente per tra-scendere infne anche tale unità e approdare alla Non-dualità

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del supremo Âiva. In questo invece la contemplazione vertesulla totalità della espressione universale, dalla qualifcazioneprincipiale fno agli enti ultimi, con l’intento di risolvere com-piutamente tale immagine, ma operando ‘integralmente fnoai suoi limiti’ (paryante\u samantatas) e facendo ancora ricor-so al ‘processo [risolutivo] dei livelli esistenziali’ (adhvapra-kriyå). Si trata dunque di porre in ato una sintesi coscienzia-le istantanea e immediata, assimilabile a quello che è un veroe proprio riconoscimento.

Considerando che i tre livelli-adhvan sono duplicementescissi in gråhaka e gråhya, simbolicamente assimilabili a sog-geto e oggeto, e che si sovrappongono, dal basso verso l’al-to, secondo le diadi: pada-bhuvana, mantra-tatva e varãa-ka-lå, ne consegue che la contemplazione suggerita riconosce insimultaneità tuti questi aspeti nella loro doppia disposizio-ne, verticale e orizzontale, come espressione armonica di unsuono-©abda fondamentale qual è Âiva nel suo aspeto Bindu;infne, ridoto il tuto al punto unitario, riconosce anche talepossibilità atuata come compresa nella infnita Possibilità in-sita nella pura realtà metafsica di Bhairava-Parama©iva, laquale è anteriore, concomitante e posteriore a qualsiasi emer-genza manifestante.

Qesta contemplazione simultanea su tuti i sei adhvanpuò essere assimilata alla meditazione sull’om sonoro nellasua integralità allorché il suono va estinguendosi e risolven-dosi nell’om silenzioso. È la soluzione dell’universo quale ap-parenza di Âiva non distinta da Âiva stesso, cioè della manife-stazione nella realtà shivaica (©aivatatva), della intera possi-bilità di måyå nella evidenza di Bhairava. E il ‘grande risve-glio’ (mahodaya) che ne è il fruto è anche il sommo Bene: laliberazione.

58. ‘O grande Dea, si mediti intensamente su questo univer-so in quanto consistente di vacuità e colà stesso sia dissolta la

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mente: da ciò [si avrà] un’alta qualifcazione per l’assorbimento(laya) in Qello (Bhairava)’.

Riconoscere la totalità universale in quanto ‘consistente divacuità’ (©¥nyabh¥ta) non signifca negarle in assoluto e apriori una esistenza indiscutibile, essendo oggeto di percezio-ne, ma vederla come l’apparenza non autonoma di qualcosache è al di là della manifestazione, un Sostrato inefabile e au-toesistente su cui si staglia e da cui trae la propria ragiond’essere.

Ogni meditazione sul vuoto deve essere interpretata inquesto senso. Lo ©¥nya del Trika Âaiva descrive solo la impos-sibilità di conferire atributi o proprietà ate a fssare Bhaira-va: l’Assoluto non può essere defnito o raggiunto tramite ilrelativo. Anche le Upani≤ad indicano il Brahman atraverso lanegazione di ogni concetualità con la nota espressione “netineti” (‘non è così, non è così’, B®hadåra~yaka Up.. 2.3.6).

La contemplazione coscienziale del Senza-atributi rendela coscienza del contemplante priva di contenuti e quindi i-dentica a Bhairava, nel quale diviene in grado di assorbirsicompletamente.

59. ‘Si fssi la visione all’interno [dello spazio vuoto] di unrecipiente come un vaso o altro tralasciando la [nozione della]separazione [dallo spazio esterno costituita dalla forma dell’og-geto stesso]: raggiunto immediatamente dopo di ciò l’assorbi-mento in tale [spazio che trascende la separazione], dall’assor-bimento in esso si diverrà identifcati con Qello (il Vuoto-Â¥-nya che è Bhairava)’.

La ‘visione’ (d®≤†i) è qui essenzialmente coscienziale, perquanto preparata da una visualizzazione accompagnata dallaconsapevolezza. La ‘separazione’ (bhiti) è quella dello spaziointerno al recipiente dallo spazio esterno, distinzione la cui

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nozione è indota dalla forma dell’oggeto. È quindi una pro-iezione o modifcazione sovrapposta da rimuovere.

Lo spazio è piutosto da intendersi come la pura spazialitàpriva di qualità e contenuti quale idoneo simbolo del Vuoto,sul quale sintonizzare la propria consapevolezza fno alla i-dentifcazione risolvente.

60. ‘Si fssi la visione in uno spazio [vuoto di enti] come unazona montana priva di alberi, un muro o altro; nella condizionedi totale dissolvimento del mentale [che si genera] comincia apalesarsi la soluzione della modifcazione [mentale]’.

La contemplazione di un ambito vuoto, benché questo ap-partenga a un piano fsico, induce una espansione illimitatadella consapevolezza; ciò determina un duplice esito: da unlato la devitalizzazione dei contenuti mentali, dall’altro l’auto-riconoscimento coscienziale della propria natura infnita.

Nella prassi meditativa del Trika Âaiva è abbastanza co-mune la contemplazione del vuoto praticata in varie maniereovvero con diversi spunti o elementi simbolici su cui basarsi.Laddove la meditazione ordinaria su enti, simboli, ecc. poneun rapporto soggeto-oggeto, la contemplazione del vuotosotrae alla mente qualsiasi sorta di supporto rendendo lastessa consapevolezza ‘priva di sostegno’ (nirålambacetanå),cioè, in defnitiva, identica a Bhairava.

È evidente che il vuoto in questione è solo la totale assen-za di contenuti o modi oggetivi e concetualizzabili e non lanon-esistenza in assoluto, cosa che costituirebbe una contrad-dizione in termini. Il Vuoto spesso richiamato alla contempla-zione (©¥nyabhåvanå) rifete la natura di Bhairava priva diqualsiasi atributo-proprietà e di per sé Pienezza senza limite:qualunque sia la modalità adotata, contemplare coscienzial-mente il Vuoto è immergersi, sprofondare e risolversi nellaCoscienza senza dualità di Bhairava-Parama©iva nirguãa.

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61. ‘Meditando sulla cognizione di due oggeti insieme, sicerchi di dimorare [coscienzialmente] nel mezzo e, avendo ab-bandonato la coppia simultaneamente, nel mezzo si svela larealtà’.

La mente in modo ripetuto secerne pensieri o aderisce allepercezioni esteriori; ciò può avvenire sia in un intervallo tem-porale sia in simultaneità. Qalora si riesca a portare e stabi-lizzare l’atenzione nel mezzo tra due proiezioni ideative, odue immagini di percezione, dapprima ativate e quindi la-sciate spegnersi spontaneamente, si svela, in modo analogo aun improvviso spalancarsi (unme≤a) della vista spirituale inte-riore, la natura di Bhairava come la Consapevolezza priva disoluzione di continuità che pervade a un tempo qualunquecontenuto, atuale e potenziale, come anche la stessa assenzadi contenuti mentali.

«Come il flo, benché nascosto dalle perle, è ben visibiletra una perla e l’altra, così la pura Coscienza, celata dallemodifcazioni della mente, si svela nella sua purezza trauna modifcazione e l’altra»

Âa√kara, Laghuvåkyav®ti: 10

62. ‘Qando l’oggeto è stato abbandonato e la mente è trat-tenuta e non tende più verso un altro oggeto, allora, grazie auna condizione centrale, rispeto a loro germoglia una estremaconsapevolezza (atibhåvanå)’.

Qando la mente si ritrae dalla proiezione di una idea, odalla cognizione concernente un dato oggeto e ancora non siprotende verso una ulteriore proiezione, se si riesce a trate-nere stabilmente la coscienza ferma e libera da contenuti, siapur potenziali e in cerca di aforamento, dunque equidistanteda ogni possibilità formante, essa si svela immediatamente

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nella sua natura di infnita estensione-intensità. Anche Âa-√kara, nell’opera citata, accenna a una meditazione simile,ponendo l’accento sull’intervallo temporale libero dalla proie-zione mentale.

«La pura Coscienza priva di modifcazioni si svela chiara-mente laddove la modifcazione precedente si è estinta,mentre ancora non sorge quella susseguente. Coloro cheaspirano alla realizzazione del Brahman devono praticarela soppressione delle modifcazioni della mente in modograduale ma con intensa applicazione, a cominciare da unmomento-intervallo ed estendendola a due, tre e così via»

Âa√kara, Laghuvåkyav®ti: 11-12

Identico conceto, esteso però alla generalità delle condi-zioni, viene espresso da Gauƒapåda nella sua Kårikå alla Må-~ƒ¥kya Upani≤ad:

«Qando la mente non si dissolve [nel sonno profondo] enon si disperde più [tra gli oggeti, ecc.], [quando] è privadi futuazione e non ha [alcuna] immagine rifessa [di og-geti, ecc.], allora essa si realizza come il Brahman»

Gauƒapåda, Må~ƒ¥kyakårikå: 3.46

Si può fare un esempio. Malgrado si immagini una pausadi silenzio come una interruzione tra due suoni, in realtà sonoi suoni ad essere sovrapposti al silenzio. E mentre i suoni dif-feriscono ed esprimono una indefnitezza che si manifesta inuno sviluppo diveniente – la composizione musicale che, ap-punto, si svolge nel tempo – il silenzio che presuppongono èsempre uguale ed identico a sé stesso; per cui quelli si rivela-no semplici possibilità atuate e, come tali, non-reali, mentrequesto è reale. L’ascolto della pausa tra due suoni porta al ri-

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conoscimento del silenzio quale base necessaria e reale diogni possibile sonorità: questa è accidentale e sovrapposta,quello costante e invariabile; irreale l’una, reale l’altro.

Così, la contemplazione del vuoto mediano tra due conte-nuti, sia omogenei che eterogenei, è la porta di accesso al lorosostrato. La presa di contato con la Coscienza priva di modi-fcazioni che emerge tra una modifcazione e l’altra porta a ri-conoscere la sua presenza costante anche nelle modifcazionistesse, determinando la stabilizzazione della coscienza nellasua natura di continuità onnipervasiva.

63. ‘Invero, qualora si riconosca appieno il [proprio] corpoovvero l’universo in quanto consustanziato di coscienza, in si-multaneità con una [condizione della] mente priva di proiezio-ni, si ha il supremo risveglio’.

La ‘mente priva di proiezioni’ (nirvikalpamanas) è condi-zione indispensabile per operare la presa di consapevolezzadella totalità, dal proprio veicolo individuale alla stessa mani-festazione universale, riconosciuta pervasa ed essenziata dallaCoscienza. Tratandosi di un completo riconoscimento (pari-bhåvanå), il fruto del supremo risveglio (paramodaya) ne sca-turisce in maniera naturale e immediata, senza tempi o fasiintermedie, e completo nella sua portata.

64. ‘Dalla fusione dei due sof vitali (esalante ed inalante,pråãa ed apåna), all’interno o all’esterno, alla fne lo yogin [di-viene] un ricetacolo idoneo per il sorgere della consapevolezzadella natura di identità (samatva)’.

I due sof vitali principali sono il pråãa e l’apåna, l’unoascendente o esalante e l’altro discendente o inalante. Essi simanifestano in un fusso oscillatorio ininterroto; il movimen-to alternato o ciclico è la loro stessa qualità essenziale.

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Si è deto che il pråãa si origina nel centro energetico si-tuato nel h®d, dove si estingue l’apåna, mentre l’apåna nascenel dvåda©ånta esteriore, nel quale si estingue il pråãa. Cosìh®d e dvåda©ånta sono i punti estremi tra i quali si snoda ilmoto ondulatorio del sofo vitale che, pur essendo unico,prende i due nomi a seconda della regione di scaturigine, del-la conseguente direzione e del punto di riposo.

Poiché essi sono polarmente opposti e complementari, nediscende che la loro ‘fusione’ (sa√gha††a), cioè la rispetiva as-similazione, porta a un loro momentaneo arresto, alla soluzio-ne del loro impulso oscillatorio energetico. In altre parole, nelloro fermarsi i due sof divengono per così dire uguali, iden-ticamente nulli in quanto la energia vitale che trasferisconoesiste – come in ogni fenomeno prakritico – solo nel movi-mento.

Dunque, dal loro arresto o fusione, cioè dalla loro sosta –che comunque sussiste anche in via naturale nei due puntiestremi per un tempo minimo, al pari di qualsiasi oscillazione– qualora prolungata intenzionalmente, lo yogin che manten-ga desta la consapevolezza al di là del loro fuire anche in talesospensione, diviene ‘ricetacolo idoneo’ (bhåjana), vale a direparticolarmente qualifcato al manifestarsi in lui della chiaraConsapevolezza della identità (samatvavijñåna), cioè della pro-pria natura di Bhairava quale Coscienza assoluta e immobile,sulla quale si staglia e sovrappone ogni possibilità di movi-mento vibratorio periodico.

65. ‘Qalora si contempli allo stesso tempo l’intero universoovvero il proprio corpo in quanto ricolmo della beatitudine delSé, [allora] solo atraverso la propria ambrosia si diviene consu-stanziati della suprema beatitudine’.

La ‘beatitudine del Sé’ (svånanda) è quella coessenziale al-l’åtman, il quale è Essere-Coscienza-Beatitudine assoluti (sat-

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cit-ånanda), e non quella, per quanto intensa possa essere, dinatura empirica, prodota da esperienza, proiezione, ecc.

La divina ‘ambrosia’ è la Consapevolezza dell’åtman che,eterna come suggerisce il nome (am®ta), fuisce scorrendo dal-la intuizione intelletuale e difondendosi a permeare integral-mente e istantaneamente la totalità, pervadendola dal compo-sto veicolare individuato fno alla intera manifestazione uni-versale.

Contemplando insieme il proprio corpo e l’universo comesaturi della medesima divina Beatitudine priva di dualità, laseparazione indota dalla forma corporea svanisce dando al-l’essere la consapevolezza istantanea del tuto, senza soluzio-ne di continuità.22 Qella stessa Beatitudine incausata vienesperimentata nella contemplazione profonda come la essenzadi sé e di tute le cose:

«La felicità nella contemplazione è la beatitudine nelmondo»

Vasugupta, Âivas¥tra: 1.18

66. ‘O tu dallo sguardo di gazzella, con l’impiego di un in-cantesimo, sorge afato immediatamente una grande felicità:atraverso quella si manifesta la realtà’.

Qi il testo fornisce un esempio trato dalla esperienzaquotidiana. Qando si assiste a uno spetacolo di illusionismo,può accadere che la suggestione suscitata dall’illusionista at-traverso gestualità, formule, immagini o efeti improvvisi einusitati, possa carpire l’atenzione dell’astante a tal punto daproietarla, sia pur per pochi istanti, fuori dal piano della e-sperienza ordinaria. Il senso di meraviglia che insorge puòdistaccarlo totalmente dalla identifcazione con il veicolo, lacondizione, ecc. ed innalzare la sua coscienza in stati supe-riori: se lo yogin riesce a fssare il proprio stato coscienziale in

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una condizione analoga di stupore o incanto, in cui la mentecessa momentaneamente di scindersi nella diade soggeto-og-geto e resta in unità con il contesto, può intuire e stabilizzarela Consapevolezza nella sua natura non-duale.

Vasugupta, nello Âivas¥tra, parla dei progressivi dischiudi-menti intuitivi (unme≤a) che accompagnano gli stadi dello yo-ga come stati permeati di ‘meraviglia’ (vismaya), alludendo alfato che ogni slancio coscienziale implica necessariamenteun distacco dalla abituale sfera cognitiva con la straordinaria,inefabile espansione che ne consegue.

67. ‘Rafrenando tuto il fusso [sensoriale], dal graduale mo-to ascendente della energia del pråãa si manifesta un sommopiacere, [come] quando si ha il contato con una fla di formiche[che salgono lungo il proprio dorso]’.

L’ascesa graduale della ©akti lungo la su≤umnå nåƒı puòessere accompagnata da una sensazione somigliante a un for-micolìo, crescente in intensità e velocità e talora avvertito vi-sualmente in modo simile a uno scintillìo interno, che sfocianel dvåda©ånta superiore, ossia nel sahasråracakra, dal qualesi irradia rifulgendo. In questo, che resta comunque un sem-plice fenomeno psichico avente luogo nella sfera sotile e do-vuto a una variazione energetica – con cui si verifca una par-ziale integrazione-soluzione della ©akti nel cit – si ha paralle-lamente una dilatazione della consapevolezza, che supera ilconfne meramente corporeo e induce nel meditante la espan-sione della Coscienza non più tratenuta da modifcazioni cri-stallizzate. Se il mentale è stato adeguatamente purifcato e loyogin sa cogliere l’atimo e stabilirsi in tale fase coscienziale,atinge facilmente lo stato di Bhairava.

68. ‘Si diriga la mente, [allorché è] invero sostanziata di feli-cità, ovvero la pienezza del sofo vitale [con la ritenzione] iso-

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lata, in mezzo tra vahni e vi≤a: [allora] ci si congiunge con labeatitudine [interiore che è l’essenza di quella] della unione ses-suale’.

Tra la mente (cita) e l’energia vitale (©akti) soto forma disofo (våyu) vi è una streta relazione. L’Ha†ha Yoga insegnail controllo della mente tramite quello del respiro e il prå~å-yåma è un mezzo riportato in ogni disciplina yoga come po-tente strumento per direzionare energie, risolvere cristallizza-zioni e acquisire il dominio sulla ©akti.

Si è visto il moto alterno del sofo, la funzione diversifca-ta delle sue due fasi speculari; si è altresì presa consapevolez-za dei centri di origine e cessazione dei rispetivi sof e quin-di dei punti di arresto del fusso. Si è anche accennato allafase di ritenzione (kumbhaka) quale arresto intenzionale delrespiro, che può avvenire all’interno o all’esterno, con il con-trollo della energia inerente.

Qi si fa menzione dell’arresto spontaneo, quello naturale,isolato (kevala) dalle altre fasi e dalla deliberazione cosciente.Esso viene assimilato alla mente quando questa è satura digioia (sukhamaya) e tratato pariteticamente. Il verso suggeri-sce di dirigere la mente piena di felicità, o il sofo vitale trate-nuto, nel mezzo tra vahni e vi≤a. Bisogna comprendere benegli enti in questione con le rispetive nature e funzioni.

Il termine vahni designa in genere un particolare fuoco in-terno, ma qui è associato a una fase di contrazione (sa√koca)in quanto riferito alla tendenza discendente del pråãa, quindidella ©akti da quello recata, che va a raccogliersi nel m¥lådhå-racakra, dove per così dire si concentra nella ku~ƒalinı ©aktigiacente in basso (adha¢ku~ƒalinı).

Il termine vi≤a, qui impiegato nel senso derivato di unadifusione onnipenetrante (da vi©: pervadere, entrare, da cui,ad esempio, Vi≤~u: l’Onnipervadente), è correlato alla fase diespansione (vikåsa), ovvero alla direzione ascendente dell’apå-

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na, quindi della ©akti da quello recata, che viene atrata nelsahasråracakra, verso il quale tende la ku~ƒalinı ©akti quandoè rivolta verso l’alto (¥rdhvak¥~ƒalinı).

I due cakra terminali rappresentano gli estremi della loca-lizzazione della ©akti e, in base alla reciproca proporzione dipresenza energetica quali poli di raccolta e di atrazione dellamedesima, appaiono indicativi dello stato di coscienza corri-spondente. Qando la pråãa©akti viene concentrata e stabiliz-zata al centro, nel mezzo tra i due poli, creando un momenta-neo equilibrio tra loro e quindi tra la tendenza contraente equella espandente, la ku~ƒalinı può venire risvegliata e, tro-vando la nåƒı libera da coagulazioni ostacolanti, saeta lungola su≤umnå conferendo allo yogin una intensa esperienza dibeatitudine-pienezza.

Inoltre, si parla di contrazione in relazione a un moto di-reto verso il basso e di espansione in relazione a un moto di-reto verso l’alto, perché nel suo discendere va a raccogliersistaticamente nel m¥lådhåracakra, mentre nel suo ascenderela ku~ƒalinı ©akti, penetrando e dischiudendo successivamen-te i vari cakra, determina una progressiva dilatazione dellaconsapevolezza, che culmina nella espansione infnita quandoperviene alla fusione con Âiva nel brahmarandhra.

Qando, grazie alla ritenzione interna (antarkumbhaka),verifcantesi a seguito di uno stato di quiete-appagamentomentale e quindi spontanea o indipendente (kevalakumbhaka)da uno sforzo intenzionale, il sofo è come immobilizzato nel-la sua pienezza (våyup¥rãa) al centro, nel ‘mezzo tra vahni evi≤a’, dunque nella zona centrale tra ¥rdhva e adhas, cioè e-quidistante dal m¥lådhåracakra e dal sahasråracakra e quindiarrestato nel suo movimento nella zona mediana dove invecedi norma sarebbe massimo – a diferenza della momentaneaduplice stasi agli estremi di cui si è deto prima, dove la ener-gia dinamica è pressoché nulla – ovvero quando colà vienedireta la mente pregna di felicità, la ku~ƒalinı ©akti pronta a

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ridestarsi non incontra ostacoli e, saturando la su≤umnå, risa-lendola e dischiudendo i cakra-stati di consapevolezza, infon-de nel meditante quella piena, interiore e profonda esperienzadi beatitudine, simile a quella, limitata, esteriore e sensoriale,di una unione sessuale (smarånanda) ma incomparabilmentesuperiore in intensità e profondità, data dal trasmutarsi dellastessa ©akti in cit o cetanå, cioè dal risolversi della energia inconsapevolezza.

In fondo tratenere al centro la mente-cita o il sofo-våyuè la stessa cosa in quanto la energia che l’una o l’altro rac-chiude si muta ugualmente in coscienza libera. Il respiro è unmezzo esterno, la mente uno interno: a livello energetico inte-ragiscono e si equivalgono.

Il paragone con l’accoppiamento esteriore ha lo scopo difar comprendere la potenza della meditazione indicata ed haun valore simbolico tratandosi di una trasmutazione energe-tica-coscienziale esclusivamente interiore.

69. ‘La felicità che trova espletazione nella penetrazione del-la donna a seguito di una completa eccitazione data dall’accop-piamento con la donna, quella felicità, che è [propria] della na-tura del Brahman, viene deta appartenere a sé stessi [come å-tman]’.

In questo verso viene indicato l’accoppiamento sessualecome espressione simbolica della unione con la Âakti. Il sim-bolismo nella Tradizione è fatore comune che si rifete an-che a livello della terminologia: ©akti è sì energia, capacità e-spressiva, ma anche la immagine trasposta della fgura fem-minile, sia in relazione alla funzione di stimolo dell’impulsocreativo-espressivo del polo maschile, il fatore ativo, sia nel-la propria capacità riprodutiva-manifestante come polo fem-minile o fatore passivo-recetivo e, in pari tempo, ativatore.Le due polarità sono complementari e rifetono nel piano em-

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pirico la diade Âiva-Âakti, analoga alla Puru≤a-Prak®ti del Såµ-khya. Il ricongiungimento dei due poli porta alla integrazionedel piano in cui vige la loro distinzione e alla trascendenzadello stesso per accedere a uno superiore, ove regna l’unità.

Nei Tantra in generale, e qui in particolare, la unione ses-suale simbolizza la fusione dell’elemento shivaico-coscienzia-le con quello shaktico-energetico o manifestante, cioè con ladivina Âakti, quindi il proprio assorbimento in essa, atraversouna serie di stadi che vanno dalla elevazione del mentale chesi proieta a livelli superiori fno alla completa soluzione del-l’autocoscienza, perfetamente purifcata, nella Coscienza as-soluta.

In riferimento alla contemplazione qui suggerita, la fusio-ne di due termini porta al riassorbimento della relazione dua-le che tra loro intercorre e quindi della tensione inerente; percui, cessato l’impedimento di una potenzialità che tende a e-sprimersi, la vera natura può allora aforare.

La esperienza di appagamento che si prova all’esaurimen-to di una tensione variamente generatasi tra due polarità op-poste non dipende da queste né dalla loro singola natura, madalla immagine che si proieta sul loro rapporto e legata alpiano della forma in cui sussiste la loro distinzione; pertantoappartiene allo Sperimentatore interno, avulso da ogni condi-zione duale e quindi anche da qualsiasi dinamismo tensione-distensione.

Come nell’accoppiamento sessuale, la ordinaria percezio-ne si annulla totalmente in tale esperienza sensoriale di unità,capace di distogliere da qualsiasi altra percezione esterna ointerna, così quando la mente è fusa e dissolta nella divinaÂakti, perduta la nozione della dualità, si sperimenta la gioiache scaturisce dalla consapevolezza della Unità trascendente.

I testi accennano alla unione sessuale unicamente per illu-strare la immersione nel Divino, e non per annuire ad indul-gere nella esperienza inerente a fni pseudorealizzativi.

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In generale il superamento del piano della dualità è un fat-tore imprescindibile per lo svelarsi di una beatitudine supe-riore che, quale aspeto proprio della Realtà, esiste autonoma-mente, per quanto nella comune esperienza – qualora si su-peri la cognizione e la sfera della dualità – si palesa soto laparvenza di un contenuto individuale. In verità è la stessabeatitudine (ånanda) coessenziale all’åtman quella che emer-ge quando siano verifcate le condizioni opportune.

70. ‘Dal ricordo del godimento di una donna atraverso baci,abbracci appassionati e carezze serbato nella memoria scaturiràun fusso di beatitudine, o Signora dei deva, anche in assenzadella donna (per cui inerisce a sé stessi in quanto åtman)’.

Poiché la gioia che si sperimenta al ricordo di una espe-rienza piacevole non dipende da ciò che è esperito, eventual-mente non presente, essa inerisce invece a sé stessi, appar-tiene al jıva quale rifesso dell’åtman, dal quale gli proviene: èla nostra stessa più profonda e vera natura, che afora in datecircostanze favorevoli.

Qesta intima beatitudine, che ci si presenta talora comefelicità prodota dall’esterno, deve essere piutosto ricercataall’interno e contemplata intensamente in sé stessa fno allacompleta identifcazione della propria consapevolezza con laparånanda, la suprema Beatitudine della divina Coscienza diBhairava. Anche le Upani≤ad lo afermano:

«.invero, non è per amore verso tuto, mia cara, che tutoè caro, ma è per amore del Sé che tuto è caro. Mia dileta,è il Sé, in verità, ciò che deve essere realizzato: è ciò delquale si deve ascoltare, è ciò sul quale si deve rifetere, èciò sul quale si deve meditare profondamente»

B®hadåra~yaka Upani≤ad: 2.4.5

La Divina Consapevolezza 10170 71

71. ‘Meditando sulla beatitudine sorta quando si è sperimen-tata una grande felicità o allorché si è visto [di nuovo] un fa-migliare dopo lungo tempo, colui la cui mente è assorta in tale[consapevolezza] diviene assorbito in quella’.

72. ‘Si mediti sulla piena condizione [creata] dalla espansio-ne della gioia del gusto [che scaturisce] dal piacere prodoto dalmangiare e dal bere: da ciò sorgerà una grande beatitudine’.

Qalunque sia la causa esterna o interna che stimola ilsorgere della beatitudine, per quanto questa possa essere in-dota, limitata o relazionata, essendo un contenuto di cono-scenza appartiene alla Conoscenza stessa, non come atributoftizio ma quale natura coessenziale ad essa.

D’altronde un contenuto conoscitivo o empirico non puòrisuonare la nota della beatitudine se questa non fosse giàconnaturata al Testimone. La Âruti aferma che al di là delcangiante ed efmero mondo di percezione, in cui la distin-zione è determinata dalla molteplicità di nåma e r¥pa, il nomee la forma degli enti, vi è un solo åtman non-duale, la cui na-tura è sat-cit-ånanda, Essere-Coscienza-Beatitudine assoluti.

Qalsiasi esperienza fugace di beatitudine-pienezza dovu-ta a cause esteriori può essere presa a supporto contemplativoper svelare la Beatitudine-Pienezza interiore e autoesistentedi cui è rifesso.

73. ‘Per lo yogin identifcato con la ineguagliabile felicitàdata dal godimento di oggeti come canti o altro, con l’essereconsustanziato di ciò, dall’innalzamento della mente [si avrà]la [realizzazione della] identità con quella [beatitudine conna-turata a Bhairava]’.

Il meditante che è divenuto unità (ekatåtman) con la beati-tudine suscitata dal contato con dati oggeti di esperienza,

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può, se la sua mente riesce ad elevarsi libera da gravamiideativi, ecc., realizzare l’unità con la divina Beatitudine.

Anche la gioia empirica, rifesso della Beatitudine divina,presenta una gradazione, da quella meramente sensoriale aquella mentale, estetica, intelletuale, ecc.; lo yogin deve con-centrare la propria atenzione su gradi via via più sotili edelevati onde approdare a quella illimitata, autoesistente e libe-ra da qualifcazioni propria solo dello stato di Bhairava.

74. ‘In qualunque cosa la mente provi soddisfazione, colàstesso si concentri la mente: in quella e in quella [altra] cosa sisvelerà la vera natura della suprema Beatitudine’.

In questi versi si esorta a meditare sulla sorgente di quellabeatitudine che si sprigiona dall’interno in concomitanza conqualche particolare esperienza esteriore. Anche l’appagamen-to sensoriale si fonda su quella intima gioia coessenziale al-l’Essere. Ma mentre l’esperienza dell’oggeto piacevole puòoccorrere o meno, quella Pienezza, una volta còlta alla sua ra-dice, compresa nella sua origine, si svela eterna e reale inquanto consustanziale alla natura di Bhairava rifessa in noi.

È la trasmutazione catartica della gioia empirica sensoria-le in quella divina che ne è la Fonte.

L’esperienza di piacevolezza presenta una gradazione, dalgodimento grossolano sensoriale a quello più sotile estetico,gradazione lungo la quale si deve portare la percezione af-nando opportunamente la sensibilità interiore fno alla diretapresa di consapevolezza della Beatitudine suprema, scissa daogni causalità, autoesistente e infnita.

75. ‘Qella condizione, in cui, quando il sonno non è ancorasopraggiunto, la sfera [della oggetività] esterna è scomparsa [dapercezione sensoriale e proiezione onirica], deve essere raggiuntadalla mente: [allora] la suprema Divinità si manifesta’.

La Divina Consapevolezza75 103

I tre stati di sonno profondo, sogno e veglia sono modif-cazioni successivamente sovrapposte al Qarto, Turıya, chenel passare dall’uno all’altro presentano un’apparente discon-tinuità – rappresentano piani coscienziali distinti – mentre ilQarto li pervade e sostanzia con continuità. Sono in relazio-ne con l’unità indistinta (sonno profondo) e con la dualità (in-terna nel sogno ed esterna nella veglia). Qando si lascia ilpiano della dualità (veglia e sogno, associati rispetivamentealla percezione sensoriale e alla proiezione mentale) e si è sulpunto di cadere in quello della unità (sonno profondo), nelquale scompare il fatore egoico con la relativa esperienza-ricordo ma non la consapevolezza, là si svela Turıya, il Sostra-to comune. In altre parole, se in tale delicata, sotile e inde-scrivibile transizione da una condizione di percezione esternae proiezione interna, a una priva di percezione e proiezione sirimane consapevoli, contemplando tale passaggio, allo yoginsi svela la Coscienza non-duale di Bhairava come Lo Stato as-soluto sulla cui continuità si ergono i tre stati relativi.

76. ‘Nello spazio reso [apparentemente] multicolore dalla lu-ce del sole, di lampade o altro, si deve fondare la [propria] per-cezione (consapevolezza): colà stesso si manifesta la natura delproprio åtman’.

Lo spazio fsico è reso apparentemente multicolore essen-do riempito dalla percezione della moltitudine delle forme-co-lori degli oggeti, a sua volta resa possibile dalla luce, la cuinatura è unica qualunque ne sia la fonte. Lo stesso è per lospazio mentale, saturato dalla forma percetiva-proietiva de-gli enti illuminati dalla coscienza. Contemplare la luce inte-riore dentro sé stessi, ovvero la spazialità priva di oggeti-for-me, signifca portare l’atenzione univoca sulla Coscienza insé, astrata da qualsiasi oggetività rifetente, che si svelaquale Soggetività permanente, assoluta e infnita.

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77. ‘Nel tempo della visione [spirituale dell’universo], si ma-nifesta il supremo conseguimento come [le mudrå] kara√ki~ı,krodhanå, bhairavı, lelihanå e khecarı’.

La mudrå (let. ‘sigillo’, ‘blocco’) è una particolare posturadi una parte del corpo, sia esterna sia interna (ad es. le mani,la lingua, ecc.), talora comportante anche un particolare at-teggiamento della mente, che, controllando il fusso-equilibrioenergetico o promuovendone l’atingimento e stabilizzandouna data condizione di meditazione, determina uno stato sin-golarmente favorevole alla presa di consapevolezza, da cui ilnome (mud: gioia, mudrå: apportatrice di gioia).

Le mudrå qui elencate sono di ordine mentale e vengonomenzionate più come rivelatrici di uno stato superiore atintoche non come mezzi per raggiungerlo.

La espressione: ‘tempo della visione’ (d®≤†ikåla) si riferisceal momento nel quale, durante la contemplazione, si prendeconsapevolezza della totalità, manifesta e non-manifesta.

La kara√ki~ı mudrå consiste in quella naturale disposizio-ne della mente grazie a cui si percepisce la moltitudine deglienti e il mondo intero come un insieme di scheletri. La kro-dhanå allude a uno stato di acutizzazione percetiva in cui iventiquatro tatva costitutivi della manifestazione a livelloprakritico vengono, con un mirato e possente sforzo mentale,sublimati concetualmente nei mantra e ridoti alla loro es-senza. Nella condizione corrispondente alla bhairavı, rafgu-rata da uno sguardo atento e fsso, si percepisce all’interno eall’esterno di sé la realtà Bhairava anche ad occhi aperti. Lalelihånå esprime la disposizione della mente in cui lo yoginavverte chiaramente la coscienza ‘Io’ quale essenza dell’uni-verso, dilatata illimitatamente fno a comprendere la totalità ea superarla. La khecarı mudrå è il traguardo fnale in cui l’au-tocoscienza dello yogin si è risolta compiutamente nella Co-scienza priva di dualità di Parama©iva-Bhairava: il suo nome

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indica Colei capace di librarsi autonomamente, cioè muoversiliberamente (carı) nel cielo infnito (khe) della pura Consape-volezza priva di limite.

«Qando sorge la Conoscenza connaturata alla propriaessenza [si realizza] la condizione di Âiva [denominata]Khecarı»

Vasugupta, Âivas¥tra: 2.5

Le mudrå descrite, corrispondenti a successivi stati di co-scienza atinti con la contemplazione, mostrano il grado dimaturità spirituale raggiunto.

78. ‘Postosi a sedere su un seggio morbido [ivi appoggiando-si] su una sola natica, con le mani e i piedi privi di sostegno,con il mantenersi in tale [postura] la [sua] intuizione (mati) di-verrà eccelsa e piena’.

Lo yoga consiglia sempre che «La posizione [deve essere]stabile e comoda» (Yogas¥tra: 2.46), afnché non distragga lamente con il disturbare il corpo. Con mani e piedi lasciatipenzolare, la postura è alquanto rilassante, adata all’astrazio-ne dalla corporeità e dal composito movimento dei fussi e-nergetici. Si dice che in tale condizione i guãa dell’atività di-namica (rajas) e della passività statica (tamas) si ritirino e la-scino il campo a quello della pura luminosità-equilibrio (sa-tva), creando la condizione opportuna per la contemplazione.

Qando i fatori di disturbo, esterni e interni, sono messi atacere, la consapevolezza (mati), stimolata dalla intuizione su-perconscia (buddhi) e libera da impedimenti, si innalza a unostato trascendente, supremo (parå) palesandosi come Pienez-za integrale (p¥r~å) e onnicomprensiva. Se si sa rimanere intale eccelsa, inefabile altezza metafsica, si svela allora in mo-do immediato la propria natura di identità con Bhairava.

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79. ‘Sedendo comodamente, ponendo le braccia a formare unmezzo arco [al di sopra del capo] e dirigendo la mente nellospazio all’interno [dell’arco], dall’assorbimento in tale [posturameditativa, lo yogin] raggiunge la pacifcazione’.

Qesta singolare ed efcace postura dall’aspeto simboli-co, oltre ad essere gradevole, placando la motilità mentale, fa-vorisce uno spontaneo raccoglimento.

L’arco sovrastante il capo funge da supporto esteriore perconcentrare la percezione consapevole nella regione espansadel brahmarandhra, in cui si compie la fusione Âiva-Âakti edove, alla totale pacifcazione (©ama) del mentale che ne con-segue, la Consapevolezza si svela spontaneamente come Bhai-rava, unitaria e onnicomprensiva.

80. ‘Poggiando la percezione visiva [mantenuta] stabile suun oggeto [anche se] di natura grossolana e avendo reso lamente priva di supporto, presto [lo yogin] realizza Âiva’.

La percezione visiva esteriore, mantenuta fssa su un og-geto sia pure fsico, favorisce l’incanalarsi della consapevo-lezza. Se si resta anche privi di proiezione concetuale, ideati-va, ecc., cioè senza supporti (nirådhåra), impedendo altresì aicontenuti subconsci di emergere, la mente, fermata nella suaatività, cessa di esistere come tale e, assorbita nel silenzio, sirisolve in Parama©iva.

81. ‘Ponendo la consapevolezza al centro della bocca spalan-cata quando la lingua è [girata all’indietro] al centro [del pala-to], operando la pronuncia mentale di ‘ha’, da ciò ci si dissolvenella pace’.

Si accenna a una forma di mudrå, anch’essa nota comekhecarı, con la quale sostenere la contemplazione.

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La retrofessione della lingua (jihvåbandha), con la conver-genza dello sguardo al centro delle sopracciglia, costituisceuna tipica pratica yoga che, portando nel contempo una in-tensa atenzione al centro del capo e, quindi, nell’åjñåcakra,permete una potente concentrazione della consapevolezza.

Si è deto che il pråãa, atraverso le fasi alterne del respi-ro, produce il suono haµsa¢ in modo naturale e continuativo.Nella suddeta mudrå la fase espiratoria legata al suono sa èinterdeta, per cui rimane solo la possibilità inerente al suonoha, corrispondente alla fase inspiratoria, da prodursi però soloa livello mentale, data la impossibilità, in tale mudrå, di emet-terlo fsicamente. Ciò determina un afusso energetico so-vrabbondante che con la concomitante concentrazione – pre-via, naturalmente, un’adeguata purifcazione mentale – inne-sca nella ©akti un deciso moto ascendente lungo la su≤umnåcon la conseguente trasmutazione della corrispondente ener-gia nella pura Consapevolezza e il dissolvimento della mentenella suprema Pace.

82. ‘Rimanendo stabilmente in postura su un giaciglio mor-bido e contemplando acutamente il proprio corpo come [se fos-se] privo di sostegno, quando la mente è dissolta, istantanea-mente si diverrà con il contenuto mentale [anch’esso] dissolto’.

Pur sedendo su un seggio confortevole, lo yogin dovrebbevisualizzare il proprio corpo come se fosse sospeso nel vuotoprivo di sostegni. Protraendo tale contemplazione, il contenu-to mentale cosciente verrà mano mano a disperdersi e, nelmedesimo istante in cui la mente, resa immobile, sarà comescomparsa, risulterà dissolto sia il contenuto mentale ativo almomento (proiezioni, percezioni, ideazioni, ecc.), sia quelloformato dalle vecchie impressioni latenti (våsanå) immagazzi-nate in ere indefnite e pronte ad esprimersi in semi ativi(saµskåra) capaci di condizionare il sentire e l’agire dell’esse-

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re; il liberare la mente dal contenuto, ossia fermarne l’atività,ne determina la trasparenza e la perdita di limitazione, essen-do risolta nella Consapevolezza.

83. ‘Anche per quegli che stia in una posizione dondolante,ovvero a causa di un [intenzionale] lento oscillare del corpo,quando si ha una condizione in cui il mentale è perfetamenteacquietato, o Dea, [costui] sperimenterà un divino profuvio [diconsapevolezza]’.

Il dondolìo del corpo, sia dovuto a una condizione passivacome il venire trasportati su un mezzo mobile o come lo staresu un sedile in groppa a un animale, ecc., sia prodoto volon-tariamente e in modo lento, induce una particolare sensazio-ne di gradevolezza nella quale la mente viene gradatamentead assorbirsi, ritirandosi dalla percetività sensoriale esterioree dalla proietività interna e immergendosi in modo naturalenella propria intima fonte. In questa introversione lo yoginpuò esperire un profondo senso di pace e di beatitudine chesfocia in un ‘divino profuvio’ (divyaugha) di Coscienza river-santesi dall’Alto.

Qesto sublime fusso di Consapevolezza trascendente, ra-diante, che rischiara integralmente il composto individuato ela totalità esterna sciogliendo le cristallizzazioni mentali, è unefuvio di luminosa Pienezza che si spande dalle sfere supe-riori grazie alla dischiusura dei divini accessi sovramentalidella intuizione superconscia (buddhi).

Al riguardo le Scriture descrivono anche altri due tipi diquesto fusso: quello che promana dai Realizzati (siddhaugha)e quello, iniziatorio, proveniente dai Maestri (månavaugha).

84. ‘Resa ininterrota la visione [allorché si sta] osservando ilcielo terso, [e rimanendo] sé stessi completamente immobili, daquel medesimo istante, o Dea, si oterrà la natura di Bhairava’.

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La visione esteriore ininterrota, con lo sguardo fsso, acu-to e non disturbato ad esempio dal batito delle palpebre, sim-bolizza – e induce – un fusso di consapevolezza continuo, in-tenso e costante che, con il mantenersi completamente immo-bili, assolutamente stabili (stabdha), determina il venir menosia, dapprincipio, della sensazione della propria corporeità,sia, in seguito, della stessa veicolarità mentale. Qando lamente, placata e priva di qualsiasi moto, cessa di vibrare pro-ducendo ideazioni o altro, da quello stesso istante la vastitàdel cielo immobile infonde nel meditante la intuizione dell’In-fnito, con il quale si identifca coscienzialmente.

85. ‘Si mediti sull’intero spazio celeste dissolto nella [pro-pria] testa come Bhairava. Con ciò la totalità si assorbirà com-pletamente nella realtà che è la luce quale natura di Bhairava’.

Anche questa è una potente ed efcace visualizzazioneche, accompagnata dalla consapevolezza, ativa una risolven-te espansione coscienziale.

Contemplare la spazialità fsica illimitata come simboleg-giante Bhairava, e nello stesso tempo identica a Qello, e ve-derla riassorbire nel proprio campo mentale, ancorché defni-to dalla estensione del capo, porta a riconoscere chiaramentela totalità in quanto rivelata e pervasa dalla suprema Lucedella Coscienza.

86. ‘Conoscendo vi©va (lo stato di veglia), in cui [tuto] ciòche è conosciuto esprime la dualità [esteriore], e gli altri [stati] –[ossia quello di sogno in cui si ha] la visione [all’interno] diquanto è [stato percepito nella veglia] all’esterno e, ancora, [lostato di sonno profondo che è] la oscurità – come aventi la[medesima] natura di Bhairava [cioè modifcazioni del Qarto-Turıya a Qello sovrapposte, si diviene] pienamente dotati diinfnito splendore’.

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Qesta dhåra~å costituisce una direta presa di coscienza.Qando si riconosce appieno che sia lo stato di veglia (vi©va,jågrat), in cui vi è una dualità esteriore, sia lo stato di sogno(svapna, taijasa), in cui vi è una dualità interiore, sia lo statodi sonno profondo (su≤upti, pråjña), in cui vi è solo unità indi-stinta, sono tuti modifcazioni vibratorie (spandavikåra) dellapura Coscienza che è Bhairava stesso l’una all’altra sovrappo-ste, si realizza immediatamente il Qarto-Turıya che è il loroSostrato eterno, immodifcabile e autorifulgente.

La dotrina Spanda dello Âaiva sostiene che i vari stati suc-cessivamente sovrapposti, dal sonno profondo alla veglia, nonsono che vibrazioni della Coscienza su piani o toni via via in-feriori e che Bhairava-Parama©iva si svela essere il loro So-strato, e la loro natura ultima, allorché il campo coscienziale èreso totalmente privo di movimento-vibrazione.

87. ‘Così stesso, quando viene la quindicina scura (di lunacalante), meditando a lungo sulla natura della oscurità durantela note profonda, [lo yogin] giungerà alla natura di Bhairava’.

Si allude alla contemplazione ad occhi aperti della oscuritàesteriore in una buia note senza luna o nel periodo di lunacalante; l’assenza di oggeti percepibili richiama l’unità indi-stinta. Qando il meditante riesce a contemplare come ogget-to e altro da sé tale unità, si innalza alla sfera della Non-duali-tà che è la natura stessa di Bhairava.

La contemplazione della oscurità esteriore (båhyatimira-bhåvanå) come possibilità atuata si trasmuta nella Consape-volezza della Non-dualità interiore (antarådvaitacetanå) comeRealtà assoluta su cui quella può ergersi.

88. ‘Ancora così, meditando dapprima sulla profonda oscuri-tà [che si sperimenta] non appena si chiudono le palpebre equindi sulla natura di Bhairava quando si sono riaperti [gli oc-chi], si diverrà sostanziati di tale [natura]’.

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La contemplazione della oscurità può avvenire anche inassenza del buio noturno semplicemente chiudendo gli occhi.È il momento dell’assenza del percepito che lascia splendere ilsolo Percipiente. Se si realizza la identità coscienziale in talestato riconoscendosene sostrato, si parla di ‘contemplazionead occhi chiusi’ (nimılanasamådhi).

Se, una volta stabilizzata tale consapevolezza interiore, siriaprono gli occhi e si tenta di mantenerla anche a contatocon l’esteriore, cioè in presenza del percepito, e dunque sem-pre con il Percipiente che resta vigile e inalterato, allora siparla di ‘contemplazione ad occhi aperti’ (unmılanasamådhi).

Qando, poi, la presenza del Percipiente rimane costantead occhi chiusi e ad occhi aperti senza soluzione di continui-tà, quando cioè la percezione, recando o meno dei contenuti,non tocca lo stato interno del meditante, allora egli realizza laCoscienza trascendente dualità e unità, la quale è il sostratodella percezione e dell’assenza di percezione.

È un altro modo di tratare la contemplazione in relazioneagli stati di coscienza menzionati nel verso 86.

89. ‘Per colui che sia penetrato nel vuoto non-duale a motivodell’essere impedito [nella sua specifca funzione percetiva] daparte anche di un [solo] suo organo sensoriale, [impedimento]dovuto a una [deliberata o incidentale] soppressione, lì stessol’åtman si svela’.

Qando la funzionalità di un organo subisce una sospen-sione, per cause esterne o per volontà del meditante, esso nonentra in contato con il rispetivo oggeto e ne risulta un vuo-to di percezione. Se lo yogin si immerge, per così dire, in que-sto ‘vuoto non-duale’ (advaya©¥nya), così defnito in quanto èvenuto meno il rapporto dualistico soggeto-oggeto, ma restapresente a se stesso, si autosvela come il Testimone: l’åtmandi pura Coscienza.

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90. ‘Per colui che reciti sommessamente la letera ‘a’ senza ilpunto [della risonanza] e senza la emissione [dell’aspirazionefnale] scaturisce improvvisamente, o Dea, un immenso profu-vio di conoscenza che è Parame©vara (Bhairava)’.

Qi il ‘punto’ (bindu) indica la ‘risonanza conforme’ (anu-svåra), mentre la ‘emissione’ (visarga) la ‘aspirazione fnale’;la a con il bindu diviene aµ, con il visarga a¢.

I due suoni, aµ e a¢, esprimono rispetivamente la fase diinspirazione o riempimento (aµ=p¥raka) e quella di espira-zione o svuotamento (a¢=recaka), a loro volta corrispondentirispetivamente al sofo entrante o discendente (apåna) e aquello uscente o ascendente (pråãa). Si torni ai nn. 24-27 e 64.

La pronuncia di a senza µ e senza ¢ indica la intonazionedi tale vocale non accompagnata né dalla inalazione del respi-ro né dalla sua esalazione; si intende dunque che la a deve ve-nir pronunciata solo mentalmente e nello stato di ritenzione(kumbhaka) del respiro. Poiché non si specifca se tale fase èesterna (båhyakumbhaka), ossia susseguente alla espirazione,o interna (antarkumbhaka), ossia susseguente alla inspirazio-ne, ne discende che non si trata di una ritenzione accompa-gnata dalle altre fasi e con quelle relazionata (sahitakumbha-ka), ma di una fase di ritenzione spontanea, non deliberata,dunque isolata dalle altre fasi (kevalakumbhaka), di duratanon defnita prima e derivante come spontanea conseguenzadella concentrazione e della pacifcazione della mente.

Tale stadio di quiete energetica, implicante l’assenza diqualsiasi moto del sofo vitale, determina anche la momenta-nea cessazione dell’atività della mente.

La contemplazione del suono sotile a è motivata da unaserie di ragioni di diversa portata e relative a diferenti piani.

Innanzituto, nella genesi fonetica delle letere-suoni (va-rãa), la a è il primo suono prodoto, formantesi al centro delcorpo, a livello dell’anåhatacakra, e conseguentemente la pri-

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ma letera dell’alfabeto, sorgente, serbatoio e luogo di riassor-bimento di tute le altre. Infati, nella simbologia della sillabaom (aum), la a sintetizza la totalità manifesta nel piano fsico-grossolano e quindi il corrispondente stato di coscienza co-mune a tuti gli esseri (vai©vånara).

Come oggeto di meditazione è il suono onnicomprensivoche, assimilando le letere-suoni successive, riassorbe il men-tale e ne convoglia la potenzialità energetica, altrimenti ten-dente a proietare indefnite immagini e semi dualistici, nellapura Consapevolezza.

Se associata alla aspirazione-ha e alla risonanza-µ, la let-tera a forma il pronome aham, “io”, che, al di là della contin-gente autoidentifcazione veicolare, è l’aspeto cosciente indi-viduale e quindi il centro dell’autocoscienza e nel contempo ilflo di continuità della Consapevolezza: l’åtman, infati, è l’Ionon-duale (advayåham) quale Sostrato reale della totalità at-tuale e potenziale che si rifete in ogni essere individuato.

Infne simboleggia il Senza-superiore (anutara), cioè l’As-soluto metafsico rappresentato da Parama©iva-Bhairava nelquale ogni dualità o contrapposizione, anche quella tra realtàe apparenza, è semplicemente non-esistente (advaita).

91. ‘[O Dea], fssa la consapevolezza sulla fne della emissio-ne (l’aspirazione fnale) di una letera accompagnata dalla e-missione [della aspirazione fnale]: con la mente priva di sup-porto si sperimenterà concretamente il Brahman eterno’.

La ‘aspirazione fnale’, o ‘emissione’ (visarga) è la breveaspirazione (¢) in fne di parola, talora posta a sostituire, perle note regole fonetiche del Sanscrito, la s-fnale.

Simbolicamente, come rivela il nome (visarga=emissione),rappresenta la potenzialità manifestante di Âiva, il suo poterecreativo, sintesi della capacità espressiva, vera e propria ener-gia (Âakti), tramite cui proieta la manifestazione universale.

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È grazie al visarga di Âivabindu – l’atualizzazione del po-tere espressivo dell’Essere qualifcato o universale – che ilmondo emerge alla manifestazione o, come si aferma negliÅgama Âaiva, alla percezione.

Concentrando l’atenzione sulla fne del visarga, sulla ces-sazione o estinzione di tale emissione sonora, e mantenendola mente priva di qualsiasi sostegno di meditazione, si porta laconsapevolezza al riassorbimento della totalità manifesta equindi alla assimilazione della Âakti in Âiva, ovvero alla lorofusione-unione, e, di conseguenza, all’autoassorbimento nelSilenzio della pura Coscienza di Parama©iva.

92. ‘Si mediti sul proprio åtman in quanto avente la naturadi spazio illimitato in tute le direzioni: allora la consapevolez-za (citi) priva di supporto mostrerà la propria natura qualeenergia (©akti)’.

Visualizzare il proprio Sé in quanto identico a uno Spaziopuro, senza oggeti e ‘illimitato in tute le direzioni’ (digbhira-nåv®ta) induce una espansione parimenti priva di limite dellaintuizione superconscia (buddhi); se si mantiene l’atenzionedesta, concentrata e libera da qualsiasi contenuto, si autosve-lerà, nella sua Autoessenza comprensiva di infnita Possibilità(Âakti), la Consapevolezza quale natura di Parama©iva.

93. ‘Dopo aver dapprima punto alcune membra con oggetiappuntiti come aghi, ecc., quindi, unifcata (concentrata) laconsapevolezza proprio lì, [colà stesso si dischiuderà] un incon-taminato accesso a Bhairava’.

Qalunque evento che nel piano empirico coinvolga po-tentemente l’atenzione può indurre una profonda concentra-zione mentale, anche il ricorso al procurarsi una moderatasoferenza.

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I Tantra assimilano infati il piacere e il dolore fsici a con-dizioni capaci di atirare completamente l’atenzione consape-vole, anche se per un tempo oltremodo breve, determinandola sua ‘unifcazione’ (yukta). Pertanto, una volta unifcata, laconsapevolezza viene a costituire un ‘incontaminato accesso’(nirmalå gati) per realizzare Bhairava, in quanto distaccata daeventuali contenuti distraenti, formali o no che siano.

In fondo Bhairava è Coscienza e, dove questa si manifestapura, Qello si rivela diretamente e può essere realizzato ap-pieno, svelandosi come l’aria che circola liberamente in as-senza di ostruzioni, o lo spazio che riempie qualunque forma.

94. ‘Si mediti così: ‘Dentro di me non vi è [alcuna] funzioneinterna come la mente, ecc.’: grazie all’assenza di contenutimentali, si diverrà liberi da [qualsiasi] proiezione-ideazione’.

Il testo propone un potente autoriconoscimento: ricono-scendo che nel proprio essere non esiste realmente alcuna co-sa come una reale funzione mentale – come manas, ahaµkå-ra, cita e buddhi – che la mente stessa, nella sua integralità,non è se non un insieme di moti proietivi-ideativi e che talientità sono solo modifcazioni dinamiche della sostanza men-tale (citav®ti), la mente stessa, arrestando la propria ativitàautocreatrice, cessa di esistere in quanto tale svelandosi comepura Consapevolezza. Al riguardo Pa†añjali dice:

«Lo yoga è la soppressione delle modifcazioni mentali.[Qando ciò è atuato] allora per il Veggente si ha unacondizione stabile nella propria natura»

Pa†añjali, Yogas¥tra: 1.2-3)

Riconoscere la non-realtà delle funzioni mentali, e quindidella mente, signifca prendere coscienza del Sostrato reale sucui tute loro si basano e da cui sono pervase e sostanziate.

La Divina Consapevolezza116 93

95. ‘Considerando la natura dei princìpi manifestanti (ta-tva) così: ‘La måyå è per defnizione totalmente ingannevole; èaccertato che è colei che determina la limitazione’, ecc., non siresta separati [a lungo dalla realtà unica che è Bhairava]’.

La måyå è la immensa Possibilità che coloro che ne sonocondizionati concepiscono come insita in Parama©iva. Infatiessa condiziona l’essere innanzituto individuandolo, confe-rendo cioè al rifesso di coscienza la convinzione di una esi-stenza separata, quindi agendo su quelle che sono le espres-sioni del suo stesso essere quali: la conoscenza empirica e ingenerale (vidyå), il senso della limitazione formale (kalå), l’at-tività relazionata (kriyå), il desiderio (råga), il tempo (kåla) eil principio di irreversibilità nella determinazione causale de-gli eventi (niyati). Qesti aspeti costituiscono altretanti velioscuranti (kañcuka) per l’essere assoggetato al suo potere.

Essa è inindagabile – non ha causa perché causa a sé stes-sa, non ha inizio né fne perché sostanzialmente irreale – mapuò essere rimossa, essendo una sovrapposizione (adhyåro-pa), o risolta, essendo una modifcazione (vikåra).

Su che cosa si basa quale modifcazione sovrapposta?Ovviamente sulla pura Consapevolezza. L’ignoranza, in-

fati, non è un vuoto-nulla – il vuoto non può essere sostegnoad alcunché, il nulla non può venire modifcato–; essa è unamodifcazione sovrapposta, ulteriormente modifcabile, al So-strato di pura Coscienza; è l’unità – radice della molteplicitàindefnita e diveniente – sovrapposta alla Non-dualità.

Riconoscere la måyå nella sua natura, quale oggeto irrea-le, porta immediatamente alla propria autoidentifcazione conil Soggeto reale.23

96. ‘Osservando un desiderio nell’istante in cui è apparso,[lo] si porti ad acquietamento: proprio là dove è sorto, lì stessoci si assorba’.

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Il rifesso infnitesimo e puntiforme qual è l’autocoscienzadel jıva rappresenta non solo la fonte donde scaturiscono tutii moti individuali concernenti desiderio, azione, conoscenza,esperienza, ecc., ma anche il passaggio obbligato per trascen-dere la condizione individuale. Ricondurre l’impulso al puntodi origine signifca annullarne le potenzialità distraenti e i-dentifcanti prima che si concretizzino nell’ato inerente, inte-grando l’intero campo di possibilità relative e ponendosi nellacondizione otimale per passare dalla identifcazione con l’au-tocoscienza puntiforme alla identità con la infnitezza adi-mensionale della Coscienza di Bhairava.

97. ‘Qando per me non è sorta [alcuna] volontà né cogni-zione, allora (in tale condizione) chi sono [io] davvero? In realtàio sono così [qual è la Coscienza]’. Assorbìti in tale [evidenza],si diviene con la mente (consapevolezza) ciò [stesso]’.

Il contenuto mentale crea una ftizia identità per l’indivi-dualità: è come se il ruolo desse vita al soggeto. In realtà, pe-rò, la qualità (guãa) è anche limitazione (bandha). Ma un enteindividuato che venga privato delle qualità cessa forse di esi-stere o, piutosto, cessano le limitazioni acquisite?

Una mente priva di contenuti appare all’individuo comeun vuoto, difcile da sostenere consciamente e privo di valen-za; perciò il non-conoscitore, identifcato agli atributi avven-tizi – spesso afezionato a loro – ne subisce lo sviluppo condi-zionante. Per il conoscitore, invece, conscio di essere il loroTestimone, distinto sia dalle qualità che dalla loro natura – econsapevole di essere anche in loro assenza – quello statonon è vacuità ma Pienezza-Libertà, per cui, trascesi gli atri-buti, si riconosce privo per natura di sovrapposizioni limitan-ti. Qando la mente viene svuotata dei contenuti, atuali e po-tenziali, resta la Coscienza libera da limitazioni, condiziona-menti e false identifcazioni, cioè identica a Parama©iva.

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98. ‘Ma se un desiderio, o una cognizione, è apparso, [vi] sifondi l’atenzione: quegli che, con la consapevolezza priva di[qualsiasi] altro [contenuto], abbia l’intelleto [fssato su taledesiderio o cognizione] in quanto [aspeto dell’] åtman, da ciò[conseguirà] la realizzazione della autentica realtà’.

Sorto il desiderio verso un oggeto, ci si distacchi dallaforma-immagine di questo e si contempli solo il desiderioquale energia. Il moto di desiderio e la conoscenza empirica,ecc. si riferiscono a un oggeto. La immagine dell’oggeto, ca-pace di produrre impulso al moto acquisitivo o di distacco, èuna forma assunta dalla coscienza. Se, eliminata la immaginedell’oggeto, si diviene consapevoli del desiderio in sé o dellaconoscenza in sé quali aspeti della capacità manifestante diÂiva, ovvero della sua energia-Âakti, il potere proietivo-ve-lante della mente si riassorbe all’istante e, in assenza di idea-zioni capaci di suscitare moti o relazioni, si realizza immedia-tamente la Consapevolezza pura.

L’oggeto-forma esiste nella sfera della molteplicità appa-rente; scomparso l’oggeto, e quindi la molteplicità, resta lacapacità manifestante-impulsante (Âakti) nella sua natura diunità. Riconoscere questa quale aspeto di Parama©iva signif-ca riassorbire la sua Unità-potenzialità nella sua essenza; do-po di ciò resta solo la Non-dualità di Bhairava.

99. ‘La conoscenza [duale] è senza ragione, priva di suppor-to e intrinsecamente afeta da errore. In realtà questa [cono-scenza] non appartiene a nessuno. Meditando così, mia cara,[realizzerai] Âiva’.

La conoscenza ordinaria è un rapporto duale tra soggetoe oggeto, per cui comporta tre termini; conoscitore (jñåt®),conoscenza (jñåna) e conosciuto (jñåta). In realtà i tre sonomodifcazioni di una unica Conoscenza-Consapevolezza, ad

La Divina Consapevolezza 11999

essa sovrapposte, che si ergono su un substrato di ignoranza(ajñåna), a sua volta sovrapposto alla Conoscenza, e che siformano soto la pressione delle impressioni latenti (våsanå).

Preso ato della vera natura della conoscenza ordinaria,quale viene evidenziata dal verso, ci si ritrae dall’oggeto, cioèdal conosciuto esterno e interno, e, considerando anche chenon appartiene a sé stessi, si lascia cadere anche il soggetoftizio. Privata della limitante polarità soggeto-oggeto, laConoscenza si rivela, oltre tale rapporto, identica a Bhairava.

100. ‘Qello, la cui natura è Coscienza, è [presente] in tuti icorpi (enti), ma non vi è [per Lui] alcuna diferenza, in nessunluogo. E quindi, contemplando la totalità in quanto consustan-ziata di tale [Coscienza], l’essere umano diviene vitorioso sullaesistenza [relativa]’.

Qesta è una contemplazione sulla unitarietà della Consa-pevolezza-cit e sulla sua natura di onnipervasività. Non è lacoscienza a dimorare negli enti, ma la totalità degli enti a ma-nifestarsi e sussistere nella Coscienza.

Trascendendo questa nozione di distinzione erroneamenteindota dalla diferenza formale, si comprende chiaramente lanatura di Unità assoluta e non-duale di Bhairava-åtman.

Vasugupta esprime sinteticamente la natura dell’åtman u-nico rifetentesi in ogni essere individuato-jıva:

«L’åtman è [pura e assoluta] Coscienza»Vasugupta, Âivas¥tra: 1.1

D’altro canto, realizzando la Coscienza come Realtà unicae non-duale, cessa di apparire reale qualsiasi dato relativo, elo stesso divenire esistenziale, che costringe l’ente identifcatoalla forma a subire un corso condizionato dalla falsa naturamortale sovrapposta atraverso l’ignoranza, cessa di imporsicome una necessità inevitabile.

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Contemplando la totalità delle forme-entità in quantoconsustanziata dalla Coscienza unica, l’essere si libera dall’as-soggetamento al destino della forma-entità individuale riesu-mando la propria identità (samatå) con Parama©iva-Bhairava;in altre parole, riacquista la consapevolezza della propria Es-senza immortale riconoscendosi Testimone costante e inva-riabile di ogni forma-ente, di ogni dimensionalità spazio-tem-po-causale, di ogni qualifcazione universale e di ogni possibi-lità formale e informale.

101. ‘Rendendo la mente afato immobile allorché è [cadu-ta] nella portata di desiderio, rabbia, avidità, illusione, orgoglioe invidia, ciò che resta è la realtà’.

L’insorgere nella mente di un impulso denuncia la pre-senza di contenuti irrisolti che possono vitalizzarsi a contatocon la percezione esteriore o con la proiezione interiore.

Qando qualcuno di tali contenuti si ativa e diviene capa-ce di indurre uno stato d’animo particolare, occorre astrarse-ne e, arrestando il movimento della mente – quindi risolven-do la sua stessa essenza dinamica – concentrare l’atenzionefno a veder dissolversi la forma condizionante nella Consa-pevolezza che la sostanzia; scomparsa la sovrapposizionementale, resta il Sostrato coscienziale eternamente identico asé stesso. Del resto ogni impulso al movimento mentale, in-doto reativamente da qualche contenuto, percepito all’ester-no o all’interno, deve essere isolato dalla causa contingente evisto come espressione incolore della Âakti, coscientizzata daÂiva, ponendosi nella condizione di operare la fusione dei polie la loro soluzione in Bhairava.

102. ‘Per colui che vede l’universo come consistente di sugge-stione illusoria (indrajåla), o [come un insieme indefnitamente]disperso, o come una rafgurazione pitorica, o in movimento, eche medita su tuto [ciò], si ha il sorgere della felicità’.

La Divina Consapevolezza 121102

Riconoscere l’inconsistenza della manifestazione univer-sale, la dispersione nell’indefnito che obbliga a un continuomutamento-divenire, la natura proietiva del grossolano e delsotile, la profonda instabilità di qualsiasi forma-entità – in-somma la natura di evanescenza di qualsiasi apparenza co-gnitiva – vuol dire porsi naturalmente nella posizione delloSpetatore impassibile, dell’Osservatore essenziato di Consa-pevolezza che ha compreso la totalità come insostanziale at-tuazione di quella che è una semplice possibilità.

103. ‘Non si lasci cadere la mente nel dolore e neppure la sivolga verso il piacere, o Bhairavı, ma si conosca la realtà-essen-za che dimora nel mezzo’.

Piacere e dolore, atrazione e repulsione, desiderio e av-versione sono dualismi complementari che appartengono allasfera mentale, in particolare alla sua reatività; presuppongo-no quindi dei contenuti pregressi da risolvere o rimuovere.

Da parte sua la mente – l’organo interno (anta¢karaãa) –è solo un veicolo, di per sé inerte, inconsapevole ma coscien-tizzato dall’åtman; ad essa soltanto ineriscono le polarità, nonalla coscienza di cui è sostanziata.

Se si risponde a un moto reativo (saµskåra) se ne rinforzala causa nascosta (våsanå), prolungando una condizione di as-soggetamento alla espressione di tali energie inferiori e daldecorso obbligato.

Qalora invece si intenda afrancarsi da tali polarità alter-namente vincolanti, ci si ponga nel mezzo, in quella equidi-stanza dove regna l’equilibrio perfeto, la stabilità della meraConsapevolezza viste dalla quale si mostrano un semplice edefmero oggeto di per sé neutro.

104. ‘Eliminando l’atenzione verso il proprio stesso corpo emeditando, con una mente ferma e con una visione che non

La Divina Consapevolezza122 102

consideri [alcun] altro [oggeto]: ‘[Io] sono dappertuto’, si di-verrà felici’.

Preso ato che la totalità degli enti-forma è compresa nellaCoscienza, e non viceversa, ci si deve identifcare con essacontemplando la onnipresenza di sé stessi in quanto åtman.

Possiamo vedere, percepire, sperimentare e conoscere o-gni cosa esistente e possiamo altresì pensare anche l’inesi-stente proprio perché siamo Coscienza onnipervasiva, capacedi illimitata confgurazione e relazionabilità. Ma di là da qual-siasi rapporto duale vi è un unico e illimitato Sostrato non-duale perennemente autoidentico, che può svelarsi allorché cisi pone in equidistanza dai poli della conoscenza distintiva.

La Beatitudine, la Pace profonda appartiene solo a Qelloche è non-limitato, non-relazionato, non-condizionato e non-ostacolato da alcunché; in altri termini, a Colui che non ha se-condo. Preso ato della propria natura onnipresente, onniper-vadente e sempre esistente – tale in quanto pura Coscienza,testimone di tuto, della esistenza e della non-esistenza – nonpuò non instaurarsi la più autentica Gioia trascendente.

105. ‘[Tuto] ciò che è conoscenza, o impulso volitivo, ecc.,non si manifesta soltanto all’interno di me, [ma dappertuto] inquanto onnipresente, [dunque anche] in [enti come] un vaso oquant’altro. Meditando [così, lo yogin diviene] onnipresente’.

Qi la contemplazione suggerita viene spiegata in dueversi. Sia la conoscenza che l’azione o qualsiasi altro impulsonon appartengono solo all’essere umano ma anche a qualun-que altro ente – ovviamente nella adeguata forma – in quantosono modifcazioni della pura Coscienza. Dunque, a livello diessenza, posseggono una natura virtualmente onnipresente,che oltrepassa la mera forma limitata e svela una superioreunità aformale.

La Divina Consapevolezza 123105

Infati, la manifestazione ad opera della Âakti si esprimeatraverso una triplice modalità che comprende conoscenza(jñåna), volontà (icchå) e azione (kriyå). Poiché l’universo èmanifestato dalla Âakti, questi tre fatori sono presenti ovun-que, in qualunque ente, a vario grado di intensità e percepibi-lità. Nulla si sotrae alla triplice espressione shaktica, comeanche alla pervasione coscienziale shivaica: anche una pietra,ad esempio, entra nel campo della coscienza come contenutoconoscitivo, e come oggeto composito subisce una trasforma-zione che rispeta le leggi di natura del ciclo in ato.

Così, la comprensione della presenza indistinta della tri-plice modalità espressiva della Âakti in tute le cose, animate enon, porta alla soluzione della distinzione e alla presa di con-sapevolezza della Unità assoluta sotostante alla molteplicitàsovrapposta.

106. ‘La consapevolezza (saµviti) del soggeto e dell’oggetoè comune a tuti gli esseri corporei, ma da parte degli yogin vi èun particolare, continuo stato di atenzione alla relazione [sog-geto-oggeto]’.

Qalsiasi oggeto, onde essere conosciuto, deve entrare inrapporto con il soggeto; si è deto che anche un oggeto iner-te, entrando nel campo della coscienza come contenuto di co-noscenza, viene pervaso da quella Consapevolezza unica.

In generale, l’oggeto conosciuto, molteplice, presupponeil Soggeto conoscitore, unico, tale anche nei confronti deisoggeti individuati, conoscibili, appunto, come oggeti.

Così, volgendo costantemente l’atenzione consapevole al-la vera Soggetività trascendente, si rivela, evidente, l’unità-onnipresenza della Coscienza e si realizza la identità con Essa.

107. ‘Colui che percepisca la consapevolezza anche nel corpoaltrui come nel proprio, avendo abbandonato la dipendenza dalproprio corpo, in pochi giorni diverrà [onni-] pervadente’.

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Non è il corpo a racchiudere la Consapevolezza, ma questaa comprendere la totalità dei corpi, in tuti i piani, essendo, ilcorpo, oggeto di conoscenza. Essa non è limitata dal veicolo,su qualsiasi piano lo si consideri. In altre parole, per quantol’essere ordinario subisca una identifcazione passiva, la con-sapevolezza è indipendente dal corpo via via esperito, dal pia-no grossolano (veglia) a quello sotile (sogno) e al causale (son-no profondo), essendo Testimone comune dei tre stati.

Astraendosi dal triplice corpo e ponendosi nella Coscienzatestimone (il Qarto -Turıya) si consegue la consapevolezzapresente nella totalità delle forme-entità e su tuti i livelli del-l’essere; la propria natura di onnipresenza, quale Testimone-Bhairava, si manifesterà allora come chiara evidenza.

Medesimo risultato si otiene ponendosi dalla prospetivadella Realtà unica trascendente:

«Come si ha cognizione di tuto ciò che avviene in questo[proprio] corpo, quando esso è pervaso dalla propria con-sapevolezza, così, quando il proprio åtman è stabilito intale realtà (Parama©iva, supremo åtman), tale consapevo-lezza riempie la totalità»

Vasugupta, Spandakårikå: 3.7

108. ‘Avendo reso la mente priva di supporto [percetivo,proietivo, ideativo, rammemorativo, ecc.] non si proieti [piùalcuna] proiezione-ideazione: allora, o Tu dallo sguardo di gaz-zella, l’åtman [individuato] diverrà Bhairava nello stato del su-premo åtman’.

La contemplazione che il testo propone diviene semprepiù rarefata e la presa di coscienza mano mano più direta.

Eliminando qualsiasi supporto, esterno e interno, evitandoqualunque creazione immaginativa interiore e trascendendoogni qualifcazione della consapevolezza, persino quella rela-tiva alla identifcazione con l’autocoscienza – non solo nel-

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l’ordine individuale (jıva) ma anche in quello universale (Ù©va-ra) – ci si ritrova, o riconosce, Coscienza priva di dualità.

109. ‘Il supremo Signore è onnisciente, onniagente e [onni-]pervadente. Qello stesso sono Io, che ho la natura di Âiva. Dal-la costante fermezza [in tale convinzione] si diverrà Âiva’.

L’autoriconoscimento della propria natura shivaica, sep-pur inizialmente atuato solo a livello concetuale, rimuoveràgradualmente la sovrapposizione della condizione di jıva, contuto ciò che comporta, fno alla efetiva presa di consapevo-lezza della propria natura di Parama©iva.

«La conoscenza dell’åtman è [fruto di] rifessione intel-letiva»

Vasugupta, Âivas¥tra: 1.17

Dalla rifessione, alla meditazione alla consapevolezza vi èun flo di continuità che è della stessa natura di Bhairava.

110. ‘Come onde dal mare, famme dal fuoco o raggi dal so-le, da Me soltanto, Bhairava, queste onde dell’universo [proma-nano] variamente diferenziate’.

Qi il riconoscimento è direto alla totalità, manifesta enon, come promanante da sé stessi in quanto Bhairava.

L’intero universo, oggeto di conoscenza, è una immensaproiezione sostanziata dalla Coscienza unica del Soggeto: ciòcomporta una presa di consapevolezza integrale.

111. ‘Ruotando e ruotando vorticosamente con il corpo, all’e-saurimento della energia del sussulto [mentale] dovuto alla ca-duta a terra si svela compiutamente la suprema condizione’.

La Divina Consapevolezza126 108

In questo e in alcuni dei versi seguenti l’impulso alla presadi coscienza è da ricercarsi in condizioni particolari, istanta-nee, di natura singolare, in cui il processo cognitivo empiricoordinario subisce una sorta di ‘scossa’ (k≤obha) che, determi-nando un momentaneo arresto del normale fusso proietivo-percetivo, lascia intravedere il sempre presente Sostrato.

112. ‘Oppure, a motivo del dissolvimento della mente, siaper incapacità [della percezione sensoriale] in relazione agli og-geti che per l’ignoranza, al terminare della scossa dovuta al-l’assorbimento nella energia manifestatasi, [si svela] la naturadi Bhairava’.

Qesti ultimi due versi prendono in considerazione lacondizione della mente al cessare di uno stato temporaneo didisorientamento, indoto nel primo caso da una data azionenel piano fsico, nell’altro in quello sotile dalla impossibilità aconoscere qualcosa.

Qando lo stato di turbamento mentale viene a cessare, ela conseguente confusione a livello psicoenergetico si riassor-be, il mentale si presenta per un breve lasso di tempo total-mente pacifcato: è allora il momento opportuno, dato il bar-lume di Coscienza pura che viene a svelarsi, per cogliere estabilizzare la natura di Bhairava.

113. ‘Ascolta, o Dea: io [ti] esporrò appropriatamente questatradizione. L’assolutezza sorgerà immediatamente allorché gliocchi sono [mantenuti] totalmente fssi’.

Lo sguardo totalmente fsso e stabile (netrastabdhamåtra),con gli occhi spalancati, dunque con la facoltà visiva apparen-temente direta all’esterno, ma con la consapevolezza rivoltaall’interno, è un potente mezzo yoga. Il suo esercizio costanteporta al distacco dalla sensazione corporea, alla pacifcazione

La Divina Consapevolezza 127113

della mente, al risveglio dell’acume intuitivo e alla lucida per-cezione della Coscienza trascendente. Nel tempo porta al sa-mådhi ‘ad occhi aperti’ descrito nei testi yoga e distintamen-te riscontrato nei grandi Maestri realizzati.

Anche per questa modalità di contemplazione è sotintesa,come sempre, una elevata qualifcazione spirituale e la neces-saria purifcazione mentale (satva©uddhi).

La ‘assolutezza’ (kaivalya) qui menzionata è la stessa na-tura della Non-dualità.

Il Vijñånabhairava è un testo Trika Âaiva autenticamenteinserito nella Tradizione non-dualista, per cui il traguardo f-nale che indica – la identità con Bhairava ovvero la realizza-zione della Non-dualità – è il medesimo di qualunque altradotrina non-dualista come l’Advaita Vedånta o altre.

Mentre l’assolutezza afermata nel Såµkhya è lo stato di‘isolamento’ del Puru≤a dalla Prak®ti – il che implica il persi-stere di una certa dicotomia – il kaivalya dello Shivaismo, alpari di quello del Vedånta non-duale, corrisponde alla pienaed efetiva realizzazione della stessa Realtà metafsica sostra-to sia della totalità, in ato e in potenza, che della stessa inf-nita possibilità, per cui comprende sia il non-manifestato chela manifestazione nella sua integralità.

Ciò apparirà più evidente nella interpretazione del versosuccessivo.

114. ‘Invero, operando la contrazione delle orecchie e, afatougualmente, dell’apertura in basso, meditando sul [suono] mutoprivo di ostruzione, si entra nel Brahman eterno’.

La ‘contrazione’ (saµkoca) delle orecchie, indicative del-l’intero apparato sensoriale, sintetizza la ostruzione, otenutaper via fsica ma sopratuto psichica, della percezione este-riore atraverso i sensi; riferita all’apertura in basso sta a si-gnifcare il blocco di una possibile dispersione energetica, at-

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tuabile, ad esempio, atraverso la relativa mudrå. È analoga alritiro dei sensi dall’esterno (pratyåhåra) insegnata nel Råjayo-ga; nei Tantra shivaiti questa pratica è denominata bhairavımudrå.

Ponendo in ato tale stato di autocontrollo ci si isola dal-l’esterno fsicamente, energeticamente e psichicamente e lameditazione può avvenire in maniera profonda e indisturbataanche a livello sotile ed oltre.

Il suono muto, ‘privo di ostruzione’ (anackamahalam) è ilduplice suono non-udibile che comprende sia il visarga (¢=a¢)sia il bindu (µ=aµ) entrambi privati della vocale; si tratadunque di µ, la risonanza trascendente simbolizzante Âiva, edella aspirazione sorda ¢, simbolizzante la Âakti.

Senza la vocale a, nessuno dei due fonemi può essere pro-nunciato né tantomeno udito, per cui può essere solo fatooggeto di meditazione. Inoltre il suono intero ipersonoro, checomprende entrambi, cioè sia µ sia ¢, dunque sia Âiva che laÂakti, simbolizza il non-duale Parama©iva nirguãa, o Bhaira-va, la Coscienza metafsica simbolizzata nella dotrina tradi-zionale dall’om silenzioso (a©abdauµkåra).

In pratica, dunque, ritirando la percezione dall’esterno e i-nibendo qualsiasi processo mentale ideativo interno, la con-templazione identifcativa del suono inudibile, ovvero del Si-lenzio trascendente, saturo di Coscienza non-duale, determi-na il risveglio alla Realtà assoluta ed eterna.

115. ‘Restando immobili al di sopra di un pozzo o di altro[abisso], dalla ferma osservazione della profonda voragine [siavrà] distintamente e in maniera immediata il dissolvimentodella mente grazie a una consapevolezza priva di [qualsiasi]proiezione mentale’.

Si descrive un mezzo mentale indoto da una condizionepsicofsica insolita. Il senso di vuoto, di vertigine, di profondo

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smarrimento che può invadere l’osservatore che si trovi sul-l’orlo di un baratro o di fronte a un immenso spazio vuoto,annulla per qualche istante qualunque proietività della men-te. Se si mantiene atento lo sguardo interiore su tale singola-re condizione interna fssandovi stabilmente la Consapevolez-za, si riesuma la propria più profonda natura.

116. ‘Ovunque la mente si volga, sia all’esterno oppure an-che all’interno, là è la condizione naturale (avasthå) di Âiva invirtù della [sua] totale pervasività: dove [mai] potrebbe volgersi[la mente trovando altro da Âiva]?’.

Qi c’è la conferma dotrinaria che ogni oggeto di cono-scenza, sia interiore che esteriore, è un aspeto di Âiva. Ogniessere particolare, quale momento dell’Essere, anche nel suoapparente divenire nel progressivo manifestarsi delle qualità,è un aspeto della Coscienza.

Soto il proflo pratico questo verso è importante. La even-tuale – e normale – difcoltà dell’individuo a contemplarel’Assoluto inqualifcato, a immergersi nella pura Consapevo-lezza totalmente spoglio di atività mentale viene superata,aggirata dal riconoscere profondamente che qualsiasi conte-nuto psichico, relativo all’esterno o all’interno – forme ogget-tive, esperienze, emozioni, pensieri, ecc. – non è che una for-ma apparentemente assunta dalla Coscienza e quindi da Âiva.

Ciò determina lo spegnersi di ogni potenzialità ativa-reat-tiva nei confronti di tali contenuti e il naturale placarsi dellamente che si risolve spontaneamente nella pura Consapevo-lezza di Bhairava.

Colui che si imponga di continuo la consapevolezza dellapercezione di Parama©iva in ogni ente, in ogni forma, in ogniqualità e persino nel dinamismo dello svilupparsi ed espri-mersi di questa, emancipandosi nel contempo dal fusso coin-volgente degli eventi.

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«.riconoscendo l’intero universo [alla stregua di] un giuoco[divino] ed essendo costantemente identifcato a tale consa-pevolezza, diviene certamente un liberato in vita»

Vasugupta, Spandakårikå: 2.5

Così la meditazione può praticarsi anche su un qualsiasicontenuto di conoscenza che, onde essere tale, è pervaso dallaConsapevolezza unica.

117. ‘Dovunque la Coscienza assoluta dell’Onnipervadentesi manifesti atraverso un accesso sensoriale, poiché tale [acces-so] ha unicamente la natura di Qello, dall’assorbimento nellacoscienza si ha la [realizzazione della] identità con la Pienezza’.

La Coscienza assoluta (caitanya) di Parama©iva-Bhairavasatura la totalità delle forme, degli enti, dell’universo; è coes-senziale alla natura stessa dell’Essere inqualifcato e onniper-vadente (vibhu), e quindi di ogni aspeto dell’essere.

Il contenuto percetivo sensoriale, di norma ritenuto facol-tà del rispetivo organo, va visto, secondo questa dhåra~å, co-me aspeto ‘espressivo’, o shaktico, della Coscienza di Âiva.

In qualsiasi modalità, in ogni circostanza di tempo e luo-go, in qualsiasi condizione spazio-tempo-causale Essa si ma-nifesti, entrando soto tale aspeto particolare nella nostra co-gnizione come contenuto di conoscenza atraverso un qua-lunque accesso sensoriale, fsico o psichico che sia, ci si do-vrebbe immergere in tale percezione considerando che anchetale varco è un ulteriore aspeto o stato manifesto di quellamedesima coscienza.

Dall’interno di ogni essere Âiva irraggia un campo o sferadi esistenza, conoscenza ed esperienza commisurato alla con-sapevolezza di quello.

«Lo svegliato ha come secondo il [proprio] raggio»Vasugupta, Âivas¥tra: 3.8

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Qando la totalità esteriore e interiore è stata ricondotaalla Unità-senza-dualità della Coscienza shivaica, si sperimen-ta allora per identità la Beatitudine quale natura essenziale diPienezza (bhåritåtmatå) propria solo di Parama©iva.

118. ‘All’inizio e alla fne di uno starnuto, [o] quando si èimpauriti o [sprofondati] in un intenso dolore, [o] nel fuggir viada un campo di bataglia, [o] provando [un inateso] stupore oal sorgere e al placarsi della [sensazione di] fame: [in tali e si-mili altri casi si può cogliere in sé stessi] la [consapevolezza del-la] natura della [pura] esistenza come Brahman’.

Il testo prospeta altri casi in cui il normale processo men-tale di sovrapposizione della immagine al reale subisce un tem-poraneo arresto con conseguente dissolvimento dello schermovelante.

Sono gli stati di sorpresa, di parossismo del sovrafusso e-nergetico, di acuta e improvvisa sensazione di dolore, oppureall’acme di un profondo sospiro, o nello scansare tempestiva-mente un pericolo inaspetato o, ancora, al ristoro dalla seteo, ancora, al sorgere repentino, o all’acquietarsi, di qualsiasisituazione di incalzante necessità: tuti questi stati fulmineisogliono imprimere un potente scossone al complesso psichi-co dell’individuo la cui consapevolezza, ritirandosi dalla situa-zione esperita, si immerge profondamente in sé stessa, fno alfondo in cui palpita l’impulso cosciente che vitalizza il suostesso essere, quello che lo Shivaismo defnisce spanda, la vi-brazione primordiale, presentantesi talora come il già tratatosuono silenzioso.

Sono stati istantanei, rari, imprevedibili, ma da un certopunto di vista eccezionalmente preziosi; se si è spiritualmentematuri e pronti a riconoscerne la portata, si deve sapersi ag-ganciare e mantenere saldamente nella Consapevolezza chelasciano svelare.

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«Lo spanda [si svela in quanto] è stabilito in quello statoche si verifca quando si è oltremodo adirati, o perfeta-mente appagati, o profondamente immersi nell’investigare‘In che senso [io] agisco?’ o quando si fugge via [da ungrave pericolo]»

Vasugupta, Spandakårikå: 1.22

Il testo ci rivela dunque che la nostra Essenza viene allaluce anche in situazioni ordinarie, quando la combinazionemanasico-pranica, sollecitata da una eventualità esterna o in-terna, annulla per un istante il consueto fusso proietivo-so-vrappositivo: sta alla maturità, acutezza e prontezza del ricer-catore saper cogliere validamente questa opportunità.

119. ‘Alla vista di un luogo [visitato in passato], quandovengono rammemorate le cose [ivi esperite], si abbandoni lamente; reso il proprio corpo privo del supporto [mentale] emerge[quella consapevolezza di fondo che è] il Signore’.

Un altro metodo fa leva sulla rammemorazione legata allaesperienza trascorsa relativa a un dato oggeto, una situazio-ne, ecc. o meglio allo stato d’animo indoto da quella.

La rappresentazione ideativa di un dato oggeto, ecc. spe-rimentato in passato è legata alla memoria, questa alla espe-rienza particolare e quest’ultima basata sulla consapevolezza.

Atingendo nel serbatoio della memoria, si deve riportarealla superfcie un dato evento e, distaccandosi dalla sua parti-colare rafgurazione e nello stesso tempo dall’atuale senso diidentifcazione con il veicolo psicofsico, sede della esperienzae dell’immagazzinamento della congerie di impressioni ine-renti, cercare di esumare la consapevolezza della data espe-rienza nella sua natura di continuità extratemporale.

Isolandosi così dal ricetacolo delle våsanå costituito dallasubcoscienza cristallizzata (cita), questo viene automatica-

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mente a devitalizzarsi e a svuotarsi del contenuto e la mente,liberata da tali modifcazioni sommerse, prive ormai di iner-zialità propria, torna a splendere come pura Consapevolezza(cit). Anche questa dhåra~å implica il porre atenzione a unadata forma di conoscenza duale per retrocedere dall’oggetoconosciuto alla sua conoscenza, e da questa, astrata dallaparticolare forma, al Soggeto libero da identifcazione.

120. ‘O Dea, dopo aver fssato la percezione su un qualsiasioggeto, gradualmente si elimini la cognizione di quello unita alcontenuto mentale [inerente]: [così] si verifcherà lo stabilirsinel vuoto’.

Qi invece ci si immerge gradatamente nel ‘vuoto’ elimi-nando totalmente il conosciuto e la conoscenza relativa. Ov-viamente anche qui lo ©¥nya in questione si riferisce allamancanza di appoggi della Coscienza autoesistente.

L’aver ‘fssato la percezione’ (d®≤†iµ vinyasya) su un datooggeto implica un impulso conoscitivo coscientemente diret-to. Una volta stabilizzata la percezione dell’oggeto, si deveeliminarne la cognizione, ovvero la sua conoscenza particola-re (tajjñåna), contemplando l’oggeto stesso in quanto identi-co al vuoto, dunque quale forma insostanziale e priva di asei-tà, al che l’intero universo fenomenico viene automaticamen-te visto come vacuità; oppure mantenendo bensì la facoltàpercetiva esteriore rivolta all’esterno in maniera indefnitama immergendosi nella percezione interiore della Consapevo-lezza, per cui in efeti esternamente non si percepisce altroche un vuoto. La prima forma nei Tantra è deta Â¥nyabhå-vanå (Meditazione sul vuoto), la seconda è la già citata Bhai-ravı mudrå (v. 114, il Controllo di Bhairava).

121. ‘Qella [singolare] specie di intuizione (mati) che sorgedal prorompere della bhakti in colui che è totalmente distaccato

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è [deta] ©å√karı ©akti; contemplandola costantemente, da ciò[si diviene] Âiva’.

La realizzazione di Parama©iva necessita non solo dell’ac-quisizione concetuale della dotrina, ma anche della sua ap-plicazione pratica.

Qesto verso ne illustra una modalità.Il distacco (vairågya) dal fruto del proprio agire e dal pia-

cere della esperienza sensoria, unito alla devozione (bhakti)verso il Signore, non limitata alla preghiera o alla meditazio-ne o alla oferta foreale o di altro, ma consistente precipua-mente nella totale dedizione di sé (ı©varapranidhåna) con laconsacrazione al Divino del pensiero, della parola e dell’ope-rato propri, determina immancabilmente il risveglio di unaintuizione superiore (mati), vera e propria illuminazione to-talmente risolvente.

Qesta facoltà di riesumato acume spirituale, o intuizioneintelletuale (buddhi) ridestante la consapevolezza, viene sti-molata anche dal rigeto del senso dell’io e del mio e quindida un sincero ateggiamento di abnegazione e, poi, di comple-ta rinuncia (saµnyåsa).

Da tuto questo segue la perfeta purifcazione del mentale(satva©uddhi) che non oppone più nessun impedimento allameditazione.

Qesta intuizione-mati, che coesiste con la Suprema De-vozione (parabhakti) rivolta esclusivamente a Parama©iva, èsatura di quel ‘potere benefco’ che viene deto Âa√karı Ÿakti,la divina Energia pacifcatrice, una sorta di Grazia superiore(anugraha), capace di innescare un processo irreversibile ditotale trasmutazione nella consapevolezza dell’essere.

Il verso suggerisce di ‘contemplare continuamente’ (ni-tyaµ bhåvayet) tale intuizione, di meditare sempre, con co-stanza e intensità, su di essa fnché la mente e la stessa interapersonalità dello yogin si risolve in Parama©iva.

La Divina Consapevolezza 135121

122. ‘Allorché si sta percependo uno specifco oggeto, [si e-sperisce] la vacuità in relazione a tuti gli [altri] oggeti: medi-tando su quella stessa [vacuità] con la mente [vuota di contenu-ti], sebbene [l’oggeto] venga [ancora] percepito, [lo yogin] rag-giunge una perfeta pacifcazione’.

Qesta è un’altra singolare procedura per giungere alvuoto pur principiando da una percezione oggetuale.

Mentre nel verso 120 si è indicata la percezione di un datooggeto come punto di partenza, quindi il ritiro della coscien-za dalla forma-cognizione di quell’oggeto per portare l’aten-zione sul vuoto lasciato dall’assenza del medesimo e della suastessa impressione mentale, qui si prospeta la percezione diun dato oggeto per rendersi consapevoli del vuoto di perce-zione-conoscenza in relazione a tuto il resto: è su tale vacuitàche si deve concentrare l’atenzione. Contemplando all’inter-no di sé tale vuoto, nella mente, prima iperativa ora in via diacquietamento, non sorge più alcun’altra ideazione a disto-gliere dalla meditazione e comincia a trasparire la luce dellapura Consapevolezza. Anche qualora la immagine dell’ogget-to iniziale continui a persistere nella mente, questa divienemano mano inativa e si risolve nella pura Coscienza.

123. ‘Qella purifcazione che viene dichiarata [causa di]purezza dai mediocri conoscitori, in relazione alla [realizzazio-ne della] consapevolezza di Âambhu (Âiva) non è [causa di ve-ra] purezza: invero [essa] non è una [vera] purifcazione. Perciò[soltanto] colui che è privo di proiezioni-ideazioni mentali di-verrà felice’.

La ordinaria purifcazione rituale otenuta con lavacri, im-mersioni, aspersione con polveri, ecc. è limitata al piano fsicocorporeo e subordinata alla diferenziazione dei mezzi, del-l’oggeto, del fne, ecc.; invece per la metafsica Trika, e non

La Divina Consapevolezza136 122

solo quella, la vera purezza (©uci) è innanzituto quella dellamente, che si ha quando è stata liberata da tute le ideazionipercetive e proietive, da tute le immagini emergenti dallasubcoscienza e da tute le pulsioni individuali.

La prima può costituire un mezzo preliminare, ma solo laseconda apporta la vera Beatitudine permetendo l’emergeredella propria più profonda natura.24

124. ‘La realtà di Bhairava è dappertuto, percepibile anchenegli esseri ordinari. [Per colui, per il quale si ha la consapevoleevidenza che] ‘non vi è [alcun] altro [ente] separatamente daQello’, [vi è] la [realizzazione della] natura non-duale’.

Più che una contemplazione, qui il testo prospeta una e-videnza, una direta presa di consapevolezza.

Preso ato che la Coscienza di Bhairava è onnipresente,nel manifestato e nel non-manifestato, nelle dimensioni spa-zio-tempo-causali e al di là di esse, all’interno e all’esterno dituti gli enti senza soluzione di continuità, si riconosce cheanche negli esseri ordinari (såmånye≤u) privi di discrimina-zione essa traspare come coscienza di essere, dove prende for-ma nel senso dell’io, in base al quale ogni ente conscio pensa,sente, sperimenta e agisce. Ma mentre il non-conoscitore vi siidentifca sperimentando sia il suo apparire-scomparire che ilsuo relazionarsi al contesto, il conoscitore sa che tale ‘io’ ef-mero è un rifesso infnitesimo e incostante di quell’Io non-duale che è l’åtman, costantemente presente anche quandoquello è temporaneamente assente o inerte.

Qando nell’essere spiritualmente maturo la intuizioneintelletuale superconscia (buddhi) ha stabilito il contato di-reto con l’åtman non-duale, il fato che solo Qello è e chenon esiste alcun altro essere separatamente da Qello, divieneuna chiara evidenza e colui, il quale vi si appoggi, dappertuto‘vede’ unicamente Bhairava, all’interno e all’esterno di sé e

La Divina Consapevolezza 137124

dell’universo stesso, costantemente consapevole della propriabhairavica natura di Non-dualità.

125. ‘[Colui che] è il medesimo sia nei confronti del nemicoche verso l’amico, che è il medesimo sia nell’onore che nel diso-nore, conoscendo così, in virtù della natura di completa pienez-za del Brahman, diverrà felice [in eterno]’.

Preso ato della onnipervadenza del Brahman, il conosci-tore Lo realizza dappertuto, in ogni ente, essere, evento versocui mantiene naturalmente un costante senso di equanimità(samatå).

«In un bråhma~a pienamente dotato di conoscenza e u-miltà, in una vacca, in un elefante, in un cane e persino inuno Ÿvapåka i [veri] sapienti vedono il medesimo [e unicoBrahman]. [Colui.] che rimane uguale nell’onore e nel di-sonore, uguale dalla parte sia di amici che di nemici, cheabbandona completamente ogni iniziativa; egli è deto:‘colui che ha trasceso i gu~a’»

Bhagavadgıtå: 5.18, 14.25

In altre parole, avendo svelato la identità con la pura Co-scienza, diviene Testimone della totalità privo di cambiamen-to, sempre uguale in qualsiasi circostanza; così, avendo sciol-to i contenuti mentali pregressi ed essendo così divenuto e-sente da qualunque impulso reativo nei confronti di solleci-tazioni esterne, gusta la divina Beatitudine.

126. ‘Non nutra odio verso alcuno né alimenti ataccamentoverso qualcosa; quando si ha la totale emancipazione da atac-camento e avversione, nel mezzo prorompe il Brahman’.

Qi l’accento è posto sul raggiungimento della equidistan-za nei confronti di avversione e ataccamento.

La Divina Consapevolezza138 124

Non l’oggeto in quanto tale, la situazione o il contenutodi esperienza è da sé capace di suscitare atrazione o repul-sione, ma la reazione verso tali eventi innescata da parte diun contenuto subconscio, con il quale vi è una celata identi-fcazione. Considerato che anche questo è sostanziato di co-scienza, essendone una modifcazione, si comprende comepossa, una volta stimolato, condizionare l’essere e assorbire odeviare una congrua parte della sua potenzialità.

È dunque rispeto a tali contenuti sommersi che si deveoperare il distacco equidistante; allora ogni oggetività si rive-lerà inerte e incapace di evocare reazioni.

Qando si è stabilmente fondati nella neutralità in rappor-to alla eventuale acquisizione percetiva o proietiva dellamente, tale stato di quiete-atesa cosciente lascia emergere laDivina Consapevolezza.

127. ‘Qello, il quale non è conoscibile [con la mente], ilquale non è aferrabile [con i sensi], il quale è [per i sensi e lamente come] un vuoto e il quale permea [anche] la non-esisten-za, deve essere meditato come Bhairava. All’epilogo di tale [pre-sa di consapevolezza], si ha il compiersi del risveglio (bodha)’.

Bhairava, sostrato permanente e invariabile della totalità,è al di là dei tre piani di esistenza: è oltre il piano fsico-gros-solano, per cui non può essere aferrato da parte dei sensi (a-gråhya) come oggeto di conoscenza; è oltre il piano sotile,per cui non può essere còlto atraverso la mente (avedya); è aldi là di ciò che giace, non-manifestato, nella unità indistintapremanifesta; ma permea la totalità della esistenza sui tre pia-ni e persino la non-esistenza (abhåvaga) quale contenuto pro-ietivo della mente.

Qello che risponde a questa natura deve essere contem-plato come Bhairava, vale a dire riconosciuto Coscienza auto-esistente, assoluta e inqualifcata, ovunque prsente e al di là

La Divina Consapevolezza 139127

di qualsiasi diferenza in rapporto agli enti, ai piani, ai modi,insomma in rapporto a tuto ciò che può costituire oggeto didefnizione e concetualizzazione.

La percezione sensoria, come la proiezione immaginativa,si fonda sulla coscienza e questa, come tale, è una ed unica inogni cosa e in ogni piano; si può dire: in ogni possibilità.

«Qale distinzione in relazione all’essere vi è tra un foree un fore nel cielo? L’universo deve la vita al rifulgere diQello e il rifulgere è identico per tuto»

Âivopådhyåya, Mahårthamañjarı: 32

Qando, dopo perseverante meditazione, la intuizione diBhairava quale Coscienza reale raggiunge il culmine di inten-sità, se non trova impedimenti di natura proietiva autolimi-tante, si trasmuta istantaneamente in una presa di consapevo-lezza immediata, totale e defnitiva – lo Shivaismo parla di ‘ri-conoscimento direto’ (pratyabhijñå) – e per lo yogin si inve-ra, allora, un completo risveglio (bodha) alla propria vera Na-tura, che è la medesima del tuto, da cui non può più recedere.

Qello che per i sensi e la mente è un vuoto, per la Consa-pevolezza è la sua stessa essenza, incausata, eterna e infnita,cioè Pienezza senza limite. Al riguardo Utpaladeva aferma:

«Tale splendore è la Grande Esistenza (mahåsatå) nonqualifcata in relazione a spazio e tempo; e questa stessa,proclamata come Essenza, è il cuore del Supremo»

Utpaladeva, Ù©varapratyabhijñåkårikå: 1.14

Vale citare le parole della spiegazione in versi (viv®ti) diÂivopådhyåya a questo ©loka:

«[Ciò che è] oltre tuti i sostegni (ålambana) e le proprietà(dharma), oltre tuti i princìpi costitutivi (tatva) indistin-

La Divina Consapevolezza140 127

tamente e oltre tute le afizioni della mente (kle©å©aya) èil Vuoto (©¥nya): [ma Esso] non è un vuoto dalla prospet-tiva della Realtà suprema»

Occorre aggiungere, in sintonia con Abhinavagupta, chetale Grande Esistenza (mahåsatå) non si limita alla manife-stazione esperibile, che ne è un aspeto concretizzato in for-me-entità, ma è essenzialmente il puro e assoluto Essere in-qualifcato infnitamente esteso e comune a tuto (mahåsåmå-nya), sostrato del manifestato e del non-manifestato, dell’esi-stente e del non-esistente, della entità in ato e di quella inpotenza, del reale-concretizzato e del mero possibile.

Qesto Bhairava, in quanto cit-sat assoluto, totalmente pri-vo di qualsiasi atributo concepibile, deve saturare la contem-plazione, pertanto priva di sostegno, in cui la coscienza delmeditante deve assorbirsi, sprofondare e risolversi nella Co-scienza assoluta, liberando la evidenza della reale Identità.25

128. ‘Avendo trasmutato la mente nello spazio esterno, che èeterno, privo di sede, vuoto, pervadente, incontaminato da difet-ti, si penetrerà completamente nel Senza-spazio’.

La purezza, la estensione illimitata, la intrinseca assenzadi contaminazioni dello spazio fa sì che questo venga soventeimpiegato come ausilio nella concentrazione sulla assolutezzae incondizionatezza della Realtà.

La contemplazione direta del Senza-sostegno, infati, puòessere assai difcile da porre in ato per una mente avvezza afssare l’atenzione su un oggeto, per quanto di natura sotile.

Così nei sacri testi spesso viene impiegato lo spazio fsicoesterno (åkå©a) come immagine o simbolo del Vuoto, intesonel senso metafsico prima accennato.

La trasmutazione della mente (mana¢k®) nello spazio este-riore sta a signifcare una espansione senza limite e senza

La Divina Consapevolezza 141128

supporto da parte della coscienza, dunque la sua dilatazioneonnicomprensiva fno alla assimilazione con la Coscienza as-soluta di Bhairava.

Qesta contemplazione, da praticarsi solo quando il caricomentale è pressoché totalmente rimosso, porta ad identifcarsi– e quindi a realizzarlo compiutamente – con il Senza-spazio(niråkå©a), ossia Qello che trascende anche il conceto dellaestensione infnita in quanto al di là di qualsiasi defnizione,concezione e descrizione: è la pura Spazialità coscienziale in-qualifcata e metadimensionale nella quale può emergere ogniqualifcazione, manifestazione e oggetivazione; è il ‘Vuoto aldi là del vuoto’ (©¥nyåti©¥nya), analogo al conceto di Turıyå-tıta del Vedånta Advaita.

129. ‘Qalunque sia [l’oggeto] verso cui la mente si dirige,avendolo abbandonato completamente all’istante con quellastessa [mente], ed avendo [così] impedito [alla mente] di appog-giarvisi, grazie a ciò [la mente stessa] diverrà priva di movi-mento-atività’.

Un altro metodo per acquietare in profondità il mentaleconsiste nel riportare indietro la mente, ogni volta che essatende a dirigersi verso un dato oggeto, nel medesimo istantein cui ci si rende conto di ciò e nel mantenerla vigile ma sen-za appoggiarsi di nuovo a quello o ad altri oggeti.

Con questi due accorgimenti, applicati costantemente, ilmoto mentale viene a disativarsi e a perdere la sua stessa po-tenzialità, quella, cioè, nascente dalle impressioni latenti.

«Qalunque sia il motivo per cui la mente va errando va-cillante e instabile, tratenendola dal tale e dal talaltro [og-geto], si riconduca questa [mente] soto controllo soltan-to nell’åtman»

Bhagavadgıtå: 6.26

La Divina Consapevolezza142 128

Privata del movimento in ato e in potenza, la mente si ri-solve in Bhairava. Vale riportare il già citato passo aspar©a:

«Qando la mente non si dissolve [nel sonno profondo] enon si disperde più [tra gli oggeti, ecc.], [quando] è privadi futuazione e non ha [alcuna] immagine rifessa [di og-geti, ecc.], allora essa si realizza come il Brahman»

Gauƒapåda, Må~ƒ¥kyakårikå: 3.46

130. ‘[Bhairava] con il suo splendore fa risuonare tuto, è ilconferitore di tuto e onnipervadente in rapporto all’intero uni-verso. Così, dalla continua pronuncia della parola ‘Bhairava’ [sidiviene] Âiva’.

Secondo il Nirukti, il metodo di investigazione delle parolein base alla etimologia tradizionale, il termine bhairava risultadalla unione delle sillabe bhå, ai, ra e va; per le note regole delsandhi (fusione eufonica delle letere), bhå+ai = bhai.

La sillaba bhå indica lo splendore, la luce della Coscienza(cit); la sillaba ai si riferisce, secondo la tradizione Trika Âaiva,alla Âakti, il potere vitalizzante di Âiva; la sillaba ra designa ilsuono, la vibrazione manifestante; la sillaba va il richiudersisu se stesso, il suo smorzarsi o assorbirsi nel silenzio.

Secondo un’altra interpretazione tradizionale shivaita, lasillaba bhå, da bharaãa (l’ato di sostenere), simbolizza il po-tere di conservazione in esistenza dell’universo; la sillaba ra,da ravaãa (l’ato di eclissare), il riassorbimento dell’universo;la sillaba va, da vamana (l’ato di emetere), la proiezione del-l’universo.

Anche gli appellativi di ‘conferitore del tuto’ (sarvada) e‘onnipervadente’ (vyåpaka) sono in relazione con le due ulti-me sillabe di Bhairava: la sillaba ra è associata al termine sa-rvada, in quanto, come Conferitore del tuto, è Colui che elar-gisce ogni cosa (sarvaµ råti), simbolicamente espressiva della

La Divina Consapevolezza 143130

radice verbale rå (donare, concedere); la sillaba va, simbolica-mente espressiva della radice vå (sofare, difondersi ovun-que), è associata al termine vyåpaka, ‘onnipermeante’, in vir-tù della infnita estensione del suo essere.

La ‘continua pronuncia’ (santatoccåra), non limitata allasonorità verbale o alla proiezione mentale, ma essenzialmentecoscienziale, che i Tantra raccomandano di articolare visualiz-zando l’energia-©akti corrispondente salire dal h®daya al bra-hmarandhra, esprime il suono trascendente della parola Bhai-rava, suscetibile di dar luogo alla presa di consapevolezzadella Coscienza (saµvid) che rappresenta.

131. ‘[Anche] servendosi di asserzioni coscienziali [quali] ‘io[sono]’, ‘questo è mio’ e altre, la mente si dirige verso Qelloche è privo di supporto. Dallo stimolo alla meditazione su ciò,[si diviene infne perfetamente] pacifcati’.

Tra i piani dell’essere, e quindi della coscienza, non vi èsoluzione di continuità – altrove si parla di sutråtman, il ‘flodi continuità dell’åtman’ che pervade ogni stato – mentre lediverse stratifcazioni, per quanto creino un’apparente dife-renziazione, non sono che modifcazioni successive della me-desima e unica Essenza.

Sebbene Turıya permei simultaneamente i tre stati, checoesistono sovrapposti l’uno all’altro, dall’interno (sonno pro-fondo) all’esterno (veglia) – nella veglia l’essere è identifcatoa quello più esterno (dualità empirica), nel sogno si ritira daquella portandosi più internamente (dualità onirica) e nelsonno profondo si ritrae anche da questo giacendo ancora piùintimamente (unità indistinta) – la coscienza rifessa, che sipone su questi identifcandosi a un soggeto ftizio, non per-cepisce diretamente la realtà ma ne coglie una immagine viavia più falsata e alterata a seconda della ‘distanza’ dal centroreale.

La Divina Consapevolezza144 130

Tutavia anche quell’ultimo, esteriore rifesso cosciente,variabile e incostante, che è il senso dell’io trae dall’åtman lapropria consapevolezza e in Qello può essere ricondoto e ri-solto. Tale modifcazione, infati, ha sede nella mente e questanell’åtman, mentre Qello, sostegno a tuto, è ‘privo di sede’(nirådhåra) perché, come dice la Âruti, è ‘sostegno a sé stesso’.

Intuendo che in pensieri quali ‘io sono qui’, ‘io sono que-sto’, ‘questo è il mio corpo’, ecc., vi è comunque un sostratodi Coscienza reale, il ricercatore dotato di discernimento, in-tegrando la loro progressiva diferenziazione, deve seguirel’intimo impulso (preraãa) a cogliere diretamente in ciascunoil loro Nucleo privo di diferenziazione per contemplarlo co-stantemente, immergendosi e sciogliendosi in Esso.

132. ‘[Bhairava] è eterno, onnipresente, senza supporto, on-nipervadente e il Sovrano dell’universo: meditando ad ogni i-stante sulle [precedenti] parole conformemente al [loro] signif-cato, [si diviene] Colui che ha realizzato il [proprio] fne’.

Gli appellativi di Bhairava esprimono aspeti della sua na-tura e debbono costituire note di meditazione da risuonarecoscienzialmente, penetrando in profondità nel loro più au-tentico signifcato: comprenderli come simboli dischiude laporta alla intuizione e alla presa di consapevolezza della Real-tà. Colui che ha realizzato Bhairava ha conseguito il propriofne (k®tårtha), ha raggiunto lo scopo ultimo della esistenza: laidentità con la Essenza unica di tuto.

133. ‘Tuto questo [universo] esistente è privo di una [suaautonoma] natura reale, [quale] immagine suscitata da un illu-sionista. Qal è la vera natura della suggestione indota da unillusionista? Dalla fssità [in tale evidenza coscienziale] si pro-cede verso la [totale] pacifcazione’.

La Divina Consapevolezza 145133

Ogni proiezione, anche l’immagine evocata da un magonella mente delle persone, necessita di un sostrato di consape-volezza. L’universo fenomenico è una immensa proiezione di-veniente e inconsistente nel campo di una Coscienza priva didualità, permanente e immutabile. Riconosciuta la irrealtà delmondo non si può non vedere la Realtà su cui si staglia.

134. ‘Per l’åtman privo di cambiamento in che modo [può a-versi] una conoscenza [duale]? E in che modo [può aversi] unaatività? Tute le esistenze dipendono dalla conoscenza [assolu-ta e non-duale], per cui questo universo è un vuoto [se conside-rato a prescindere da quella]’.

La conoscenza e l’atività ordinarie presuppongono ladualità e quindi il cambiamento, ma nell’åtman non vi è nél’una né l’altro. Esistenza e conoscenza relative procedono esi fondano sull’Essere-Coscienza assoluti (sat-cit). Prescinden-do da questi l’universo composito non potrebbe manifestarsinemmeno per un solo istante.

135. ‘Per me non vi è schiavitù, per me non vi è liberazione.Qeste fonti di terrore sono [solo] per colui che è [già] aterrito[a causa dell’autoignoranza]. Qesto [universo mi si presenta]alla mente come l’immagine del sole sull’acqua’.

Il disordinato scintillìo dei rifessi del sole sull’acqua di-pende dal moto superfciale di questa, non dal sole immobilein cielo. I jıva, identifcandosi per inerzia karmica ai veicoli ealle condizioni, sperimentano passivamente un divenire tra-sformante che riguarda solo questi portando in sviluppo unaserie indefnita di qualità rigenerantisi atraverso la esperien-za. Il destino di caducità della forma aterrisce quegli che nel-la forma si autolimita, anche ancorandosi a qualità positive,ma non colui che della forma si è liberato riconoscendosene

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Essenza. Del resto, ogni polarità confituale esprime l’appar-tenenza al divenire-relativo, mentre nell’Assoluto-Bhairavanon vi è nulla di tuto ciò.26 Anche una Upani≤ad dice:

«Non sono il corpo: donde mai nascita e morte per me?Non sono l’energia vitale: donde mai fame e sete per me?Non sono la mente: donde mai dolore e illusione per me?Non sono il jıva: donde mai schiavitù o liberazione perme?»

Sarvasåra Upani≤ad: 5

136. ‘Tuto [quello che è] il contato con il piacere, con il do-lore, ecc. [avviene] atraverso l’accesso costituito dai sensi. Così,colui che, avendo abbandonato completamente i sensi, è stabili-to in sé stesso, dimora nel proprio åtman’.

Anche la mente è un veicolo, vitalizzato dalla Coscienza.Qalunque percezione sensoriale viene acquisita quando di-venta contenuto mentale; sensi e mente sono collegati e inter-relati; la mente percepisce quando è ativa; se inativa – comenel sonno profondo o in una intensa meditazione – non hapercezione, né esteriore né interiore.

Lo yogin, pur prendendo spunto dalla percezione sensoria-le, deve ritirarsi dalla periferia sensoria e dalla mente in cuiconverge la percezione e, una volta che è ‘stabilito in sé stes-so’ (svastha), immergersi, fondarsi e risolversi in quella Con-sapevolezza che risplende in ogni contenuto.

L’abbandono dei sensi, o il ritiro da loro, comprende siaquelli di azione (karmendriya) sia quelli di percezione (jñåne-ndriya) sia la mente stessa, quale organo interno (anta¢kara-ãa), con il quadruplice complesso delle sue facoltà: atuandoquesto, lo yogin si pone nella sua natura di autocoscienza riu-nifcata e temporaneamente slegata dall’azione di contenutisubconsci (våsanå), che comunque occorre eliminare devita-

La Divina Consapevolezza 147136

lizzandoli e risolvendoli nella coscienza sostanziante; se riescea stabilizzare questa condizione di sotile autoequilibrio estre-mamente delicata, può presto risolversi come jıva nell’åtman.27

137. ‘La totalità è rivelatrice della conoscenza, l’åtman è ilrivelatore atraverso la totalità. Poiché la [loro] natura propriaè unica, si dovrebbe considerare la conoscenza (il conoscitore) eil conoscibile (il conosciuto) come uno’.

Il conosciuto rivela il conoscitore, il conoscitore si rivelaatraverso il conosciuto. Può mai esservi un conosciuto in as-senza di un conoscitore? È evidente che il conosciuto è unostato, una modifcazione o un aspeto contingente del cono-scitore; e se tra loro, dalla visuale di måyå, vi è diferenza for-male, dal punto di vista della Realtà vi è identità essenziale.28

Il conosciuto e il conoscitore relativo sono uniti da quel f-lo di continuità che è la conoscenza, la quale è la stessa natu-ra dell’åtman, e della quale i due – soggeto e oggeto – sonogli estremi di una medesima onda-modifcazione (v®ti).

138. ‘Qando si ha il completo dissolvimento della quadru-plice entità costituita da mente empirica (manas), intelleto (bu-ddhi), energia [vitale, il prå~a] e sé [individuato nel suo rifessoegoico, l’ahaµkåra], allora, mia cara, quella [Coscienza non-duale che resta] è la natura di Bhairava’.

La mente individuale nel suo complesso è un insieme dimodifcazioni a vario grado dell’autocoscienza pura che è il jı-va e, quale organo interno (anta¢karaãa), è un composto vi-brante su diversi livelli: dalla energia (©akti) – sia allo statopotenziale che in quello ativo in forme-pensieri, volizioni,ecc. – alla mente empirica sensoriale (manas), dal senso del-l’io (ahaµkåra), quale rifesso momentaneo del jıva, all’intel-leto puro di matrice universale (buddhi), vi è tuta una serie

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di armoniche promananti dal suono fondamentale della puraautocoscienza del jıvåtman. Si trata di una quadruplice vibra-zione che può produrre sonorità di vario genere o ritirarsi espegnersi nel sempre presente Silenzio della Coscienza.

Conceto analogo viene enunciato anche nel Pratyabhijñå-h®dayam, sintetico testo dello Shivaismo Trika:

«Qando vi è la completa conoscenza di tale [quintuplicefunzione espressiva come spetante unicamente all’åtman],la stessa mente, per mezzo del suo volgersi all’interno, invirtù del sorgere di uno stato di [pura] consapevolezza, sisvela come Coscienza [assoluta]»

K≤emaråja, Pratyabhijnåh®dayam: 13

Anche Vasugupta conferma l’idea:

«[Soltanto] atraverso la consapevolezza si realizza la na-tura dell’Essere»

Vasugupta, Âivas¥tra: 3.12

Essere e Coscienza sono indissolubili, a qualunque livello,grado o rifesso. Assieme alla Beatitudine-Pienezza-Compiu-tezza rivelano gli aspeti di una natura unica, della reale Es-senza non-duale del tuto e di ogni cosa. Il Vedånta Advaita cirivela l’åtman in quanto Essere-Coscienza-Beatitudine assolu-ti (sat-cit-ånanda), dei quali ogni ente porta ed esprime un ri-fesso infnitesimo, e sui quali, atraverso la ignoranza pri-mordiale, è sovrapposta la apparente ma consistente moltepli-cità dei nomi e delle forme (nåma-r¥pa) degli enti.

La contemplazione indicata in questo verso è l’ultima e inun certo senso compendia le altre.

139. ‘O Dea, è stato [da Me] esposto un centinaio di istruzio-ni, più una dozzina, prive di moto [proietivo-identifcativo] co-

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noscendo le quali l’essere umano [diviene] un [autentico] cono-scitore’.

Una istruzione priva di moto (nistara√gopade©a) è uno sta-to contemplativo in cui non vengono sollecitate ad emergereonde-modifcazioni mentali (citav®ti).

A rigore non si potrebbe nemmeno parlare di meditazio-ne, avendo questa la sua ragion d’essere in un dato oggeto ebasandosi quindi su un rapporto duale. Tute le dhåra~å im-partite nel Vijñånabhairava, invece, hanno lo scopo di acquie-tare la mente, arrestarne il moto proietivo e risolverne la stes-sa potenzialità nella pura Coscienza; in altre parole, di portarel’autoconsapevolezza dello yogin, che come tale è unità, dauna condizione iniziale di predisposizione verso la scissione ela dualità, alla totale e defnitiva soluzione nella Non-dualità.

140. ‘E [colui che è] assorto anche in una sola fra [tute]queste, diviene egli stesso Bhairava. [Egli] può compiere ati[anche] con la [sola] parola [in quanto] è quegli che può sca-gliare sia una maledizione che [riversare] la grazia’.

Anche una sola tra tute queste forme di contemplazione,quella più confacente alla propria indole e al proprio stadio dimaturazione spirituale, può portare colui che vi si immergacompletamente divenendo uno con essa (yukta) alla realizza-zione di Bhairava. Egli ha trasceso la condizione individuale epersino quella universale, ha compreso il processo di måyå esi è stabilizzato, immedesimandovisi, nella natura stessa dellaRealtà. Ha dunque integrato in sé la diade Âiva-Âakti e rias-sorbito il Punto principiale di Âivabindu risolvendone la stessapossibilità e divenendo identico a Parama©iva.

Qal è, allora, il potere che può manifestare?Dire che potrebbe scagliare maledizioni o riversare grazia

con il solo ausilio della parola non si riferisce ovviamente a

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un ateggiamento volitivo-reativo di stampo individualistico,ma al fato che la sua volontà, che non incontra più alcun im-pedimento, è ato concretizzabile dal solo suono-vibrazione;al pari, cioè, di Âiva stesso.

141. ‘O Dea, egli procede verso la libertà dalla vecchiaia e laimmortalità, [diviene] dotato delle qualità (siddhi) come [il po-tere di rendersi] infnitamente piccolo, ecc., [diviene altresì] caroalle yoginı e il sovrano di tuti i melåpaka (coloro che uniscono,che congiungono)’.

Non più imprigionato dalla forma, egli è afrancato dall’i-nelutabile destino di distruzione di questa e, con la consape-volezza non ostacolata da alcunché, spontaneamente acquisi-sce tute le siddhi, i divini poteri;29 come Parama©iva, assurgeal supremo stato del Vuoto al di là del vuoto, palesandosi, agliocchi di chi ancora è soggiogato dalla apparenza, come sovra-no di tuti quegli esseri realizzati che sono i siddha, di tuti iprincìpi manifestanti che sono i deva e delle energie espressi-ve che sono le yoginı.30

142. ‘Costui, per quanto sia [ancora] in vita, è perfetamenteliberato; per quanto agisca, non è contaminato [dai fruti dell’a-gire]’.

Il corpo fsico del conoscitore può continuare il suo ciclodi esistenza, come la mente quello espressivo, in quanto vei-coli carichi di energia potenziale in via di esaurimento e resiunicamente strumento, ma la sua coscienza, disidentifcata daqualsiasi condizione – dal ruolo di soggeto pensante e agentealla intera veicolarità individuale, dalla sfera universale fnoalla stessa possibilità – riposa nella sua natura di assolutezza,non-dualità e autoincondizionatezza. Il suo eventuale agire, opensare – percepito tale dalla visuale dei non-conoscitori –

La Divina Consapevolezza 151142

non lo condiziona perché, afato privo di egoità, si manifestasolo come spontanea espressione di Divina Consapevolezza.

Ârı Devı disse:

(Segue 142). ‘Se questa è la natura della suprema [Âakti], oDeva e Grande Signore,.’

143. ‘.in riferimento alla consuetudine [rituale che è stata]così esposta [altrove], chi deve essere invocato? E quale la [ade-guata] invocazione (japa)? Chi deve essere meditato, o grandeMaestro? E chi venerato o ingraziato?’.

144. ‘Ovvero: a chi deve essere oferta la oblazione? Per chideve essere [celebrato] il sacrifcio? E in che modo?’.

Le questioni sorgono di conseguenza: se la suprema Âaktinon è altro che l’aspeto ativo della natura di Bhairava, ossiail potere relativo al concretizzarsi della possibilità di manife-stazione o di espressione insito nella assoluta, immutabile enon-duale Coscienza, non vi è un vero dualismo tra quella eColui che ne detiene il “potere”; e se la totalità, manifesta enon, viene a riassumersi prima nella diade Âiva-Âakti, efgiedella dualità primordiale, quindi nel bindu quale Unità princi-piale (Âiva saguãa) e infne a risolversi completamente nellaNon-dualità di Parama©iva, non si può più individuare alcunente divino da invocare, venerare o ingraziare tramite i pre-scriti sacrifci e, paradossalmente, nemmeno da prendere co-me oggeto di meditazione o semplicemente da contemplare.

Colui che La realizza nella propria intima coscienza, rico-nosce che la Realtà-Bhairava non può divenire oggeto di con-templazione, in quanto è la natura stessa del soggeto, di ognisoggeto; anzi, è il Soggeto per eccellenza, unico e privo disecondo, Testimone di quella totalità che non può venirne in

La Divina Consapevolezza152 142

alcun modo sostanzialmente separata in quanto ne palesa unapossibilità di apparenza.

Ârı Bhairava disse:

(Segue 144). ‘Qesta [molteplice] prescrizione di atività [e-lencata] qui è esteriore, [ed è ingiunta] solamente alle [coscien-ze] grossolane, o Tu dallo sguardo di gazzella’.

145. ‘Invero, qui (nella Scritura shivaita) il japa (ripetizionedi mantra) è quella meditazione (bhåvanå) sulla suprema Real-tà che viene praticata ripetutamente; quanto deve essere pro-nunciato sommessamente [in quanto] simile a un japa, è il suo-no che di per sé ha natura di mantra’.

Il termine japa designa di norma la ripetizione sommessadi un mantra, di un våkya, del nome di una divinità, ecc. Qiinvece si riferisce alla contemplazione della suprema Realtà(para bhåva) reiterata assiduamente, appunto alla maniera diun japa. Nella visione non-dualistica di Abhinavagupta il japaviene sublimato fno alla estrema possibilità:

«Il japa, allorché è privato dei conceti di esistenza e dinon-esistenza, è atestato come la [stessa] natura propriadi Qello»

Abhinavagupta, Tantråloka: 1.90

Colui che abbia atinto e stabilizzato questo stato supre-mo, di là da ogni contingenza e limitazione formale, viene vi-sto da Vasugupta come un tramite tra la Realtà e l’apparenza,un mezzo di connessione o di accesso al Divino trascendenteper l’essere ancora vincolato alle leggi del divenire e della for-ma, o alla stessa Realtà metafsica per colui che è distaccato.

La Divina Consapevolezza145 153

«[Per lui] il voto è l’esistenza del corpo. La ripetizione [deimantra, ecc.] è il [solo] parlare»

Vasugupta, Âivas¥tra: 3.27-28

Il suono avente natura di mantra è il duplice tono: so ’ham(o, inversamente, haµsa)31 associato alle fasi respiratorie e re-lativo quindi all’alterno ciclo del fusso energetico (pråãaŸa-kti), come descrito in una precedente dhåra~å, il quale è unasorta di mantra spontaneo e connaturato all’essere vivente.

146. ‘Invero [quando] l’intuizione consapevole (buddhi) èimmobile, senza cambiamenti e priva di supporto, [quella] è la[vera] meditazione. Invece la immaginazione di [Bhairava co-me avente] corpo, occhi, bocca, mani, ecc. non è [vera] medita-zione’.

La vera meditazione è quella in cui la mente è risolta nellasola Coscienza. Tute le dhåra~å esposte in quest’opera, perquanto alcune di loro prendano avvio da entità oggetive, ten-dono, per diverse vie, a questo fne.

D’altro canto, le immagini simboliche di Bhairava vengo-no prospetate come oggeto di meditazione alle menti che,non essendo ancora in grado di autorisolversi, necessitano diun supporto.

147. ‘La vera p¥jå non è [resa] con oferte foreali o altro, maquando la consapevolezza viene stabilizzata nel grande Spazio[coscienziale] privo di ideazioni: invero tale p¥jå è l’assorbi-mento [di sé nell’åtman] a seguito di una [totale] dedizione’.

Qalsiasi forma di adorazione, per quanto sincera e pro-fonda, presuppone un dualismo tra l’adoratore e la divinitànonché una molteplicità di altri fatori, sempre relativi e di

La Divina Consapevolezza154 145

natura duale, quali il modo, la circostanza, il mezzo, l’oferta,lo strumento, ecc.; tale essendo la sua natura, non può portareal di là di quella stessa sfera in cui vige.

La vera oferta (p¥jå) è invece il sacrifcio di sé in quantoindividuo nell’åtman, che si compie quando, annullati tuti imoti ideativi, proietivi, percetivi e acquisitivi della mente,questa, atinto lo stato di nirvikalpa, si autorisolve nel grandeSpazio (mahåvyoman) della Coscienza assoluta.

Nella sua monumentale opera “Luce sui Tantra” Abhina-vagupta scrive:

«Per defnizione la p¥jå è la riunifcazione persino delcomplesso della esistenza variamente diferenziata con laautonoma, incontaminata, infnita natura della Coscienzabhairavica»32

Abhinavagupta, Tantråloka: 4.121

Come spiega Jayaråtha nel suo commentario, la riunifca-zione della molteplicità nella natura unica di Bhairava deveconcernere anche la quantità dei contenuti di percezione og-getuale, diferenziati in funzione dei sensi, quali la forma, ilsapore, ecc., che devono essere integrati e risolti nella Pienez-za della suprema Coscienza (parasaµvid) non circoscrita nel-le dimensioni spaziali, temporali, ecc. e priva di qualsiasi so-vrapposizione limitante.

Anche la cognizione del proprio veicolo fsico, dice Abhi-navagupta in un altro verso, deve essere risolta nella Consa-pevolezza unitaria e priva di delimitazione, in una integrazio-ne totale che pone la coscienza, svelantesi nella sua natura diimponderabilità, diretamente nell’Assoluto.

Per questo sono necessarie una potente istanza di emanci-pazione dal formale-individuale e una profonda maturità spi-rituale che, sole, possono alimentare e sostenere la totale e ri-solutiva dedizione alla Realtà.

La Divina Consapevolezza 155147

148. ‘Qando [lo yogin] diviene stabilito [anche] in una soladelle contemplazioni [descrite] qui, quella forma di completez-za che si sviluppa giorno dopo giorno fno a una sconfnata pie-nezza è qui [defnita come] il totale appagamento [spirituale]’.

Ogni contemplazione descrita in questo contesto è unmezzo da sé sufciente per realizzare l’unione (yukti), ovverola fusione o integrazione di sé in Bhairava, cioè il recuperodella natura di unità del rifesso individuato nell’åtman supre-mo; è quindi un mezzo yoga a tuti gli efeti, e come tale vie-ne enunciata.

La particolare, intima ‘forma di completezza’ (bharitåkåra)che lo yogin sperimenta accrescersi quotidianamente va di pa-ri passo con il risveglio della consapevolezza della propria na-tura di onnicomprensività e porta a quella ‘sconfnata pienez-za’ (atyantap¥rãatå) che segue alla perfeta presa di coscienzadella propria identità con Parama©iva-Bhairava, traguardo f-nale che nella tradizione yoga è considerato essere il totaleappagamento spirituale, l’atuazione della propria fnalità esi-stenziale, il conseguimento della suprema Compiutezza.

149. ‘Qando nel fuoco, che è la sede del grande vuoto (l’uni-verso formale), gli elementi, i sensi, gli oggeti [sensoriali], ecc.vengono versati come oferta insieme con la mente con il cuc-chiaio della coscienza [individuata], quella è la [vera] oblazione’.

Il fuoco (vahni) è la rifulgente Coscienza di Bhairava; ilgrande vuoto (mahå©¥nya) è la manifestazione universale nel-la sua interezza, dal piano grossolano a quello causale: è unvuoto quanto a forma se separato dalla Consapevolezza che lopermea e vitalizza.

La vera oblazione spirituale (homa) consiste nel versare inquel fuoco risolutore, servendosi della intuizione superconsa-pevole (cetanå) adeguatamente risvegliata – è il flo che lega

La Divina Consapevolezza156 148

l’individuale all’universale, l’umano al Divino – come di unmestolo, i componenti dell’intero composto individuato – glielementi, grossolani e sotili, le facoltà sensorie e gli oggeti diconoscenza insieme alla mente e agli altri veicoli – è compie-re il più grande autosacrifcio, risolvere ogni cristallizzazioneimprigionante della mente (cita) nella pura Consapevolezzalibera (cit) svelandosi Bhairava-Parama©iva nirguãa.

150. ‘Qi [in questa visione ©aiva] il sacrifcio, o suprema Si-gnora, è l’appagamento spirituale qualifcato dalla beatitudine,perché distrutivo di tuti gli ati empi e protetivo nei confrontidi chiunque, o Pårvati’.

In base alla più alta dotrina shivaita anche il sacrifcio(yåga) viene reinterpretato in senso puramente spirituale-rea-lizzativo. Già in un precedente verso (148) si parla dell’appa-gamento spirituale come lo stato fnale di colui che ha portatoa compimento anche una sola delle contemplazioni elencate.Qi si aggiunge che tale pienezza di ordine coscienziale liberal’essere dai fruti di qualsiasi ato compiuto e lo salvaguardaper sempre.

151. ‘[Solo] quello che è il completo assorbimento nella Âaktidi Rudra è il [vero] luogo di pellegrinaggio: [tale] è la suprema[forma di] contemplazione. Altrimenti, quale [potrebbe mai es-sere] una [forma di] venerazione [appropriata] per quella realtà[non-duale]? E chi [mai potrebbe venire] ingraziato?’.

Un luogo di pellegrinaggio è sopratuto un sito di purif-cazione. Il termine k\etra che lo defnisce viene etimologica-mente spiegato come la fusione di due sillabe: k\a da k\apaãaovvero distruzione, in riferimento al carico karmico, e tra datråãa cioè protezione, riparo. Lo k\etra è il ‘campo’ di espe-rienza ma anche di preghiera, meditazione e sacrifcio, ecc. in

La Divina Consapevolezza 157151

cui l’essere dominato dal dualismo rituale si libera dell’opera-to legante e si guadagna la divina protezione.

Nella visione Âaiva lo k\etra per eccellenza è il proprio as-sorbimento nella Âakti di Âiva-Rudra, grazie a cui lo yogin, as-similandosi alla Âakti, si ritrova identico a Âiva, perché la Âa-kti non è che un aspeto di Âiva; e questa viene considerata lapiù alta forma di contemplazione (parå bhåvanå). Del resto,venuta meno ogni dualità al riunifcarsi della diade Âiva-Âaktiin Parama©iva-Bhairava, non si può più parlare di adorazionerituale né di sacrifcio verso qualche divinità.

La Realizzazione è un evento assolutamente personale,profondamente intimo, incondizionatamente autosoggetivo,ma dal quale, pur da un completo iniziale ‘isolamento’ dell’es-sere atraverso un deciso rientro e sprofondamento in sé stes-si, nella propria più nascosta e autentica natura, si esce percosì dire all’opposto, atuando una espansione infnita: graziea questa, atraverso la propria natura, in cui viene compreso,integrato e sintetizzato tuto, vengono trascese la totalità, laqualifcazione e la stessa possibilità di måyå risolvendole edautorisolvendosi defnitivamente nella Non-dualità.

152. ‘Invero, la essenza del proprio åtman è per chiunque la[totale] autoincondizionatezza, la beatitudine e la [pura e asso-luta] coscienza. L’assorbimento in tale natura propria del pro-prio åtman è defnito [essere il vero] bagno [rituale]’.

Il lavacro rituale (snåna) è ritenuto un potente mezzo dipurifcazione, ma anch’esso viene qui inteso in senso pura-mente spirituale.

Nei versi precedenti ogni pratica rituale è stata sublimatain ato coscienziale: il japa, da ripetizione sommessa di ma-ntra, è assurto al ruolo di contemplazione direta della supre-ma Realtà (145); il dhyåna, da meditazione intensa con ogget-

La Divina Consapevolezza158 151

to, è stato trasmutato nella intuizione superconsapevole diBhairava a prescindere da qualsiasi supporto (146); l’adora-zione rituale (p¥jå) è stata elevata alla soluzione della mentenel grande Spazio della pura Coscienza (147); l’appagamentospirituale (t®pti) ha lasciato il senso di un mero soddisfaci-mento mentale per innalzarsi alla sconfnata pienezza dellaConsapevolezza onnicomprensiva (148); la oblazione rituale(homa) è stata trasformata nella oferta dell’intero compostoindividuato nell’åtman; quindi il sacrifcio (yåga) purifcatoreè trasfgurato nella pienezza dell’appagamento spirituale checancella ogni impurità; infne lo stesso luogo di pellegrinag-gio (k\etra) è stato trasferito all’interno di sé, nel più intimorecesso in cui svelare la propria natura di Parama©iva.

In questo verso il bagno rituale viene innalzato dal pianodella mera corporeità a quello sublime della coscienza indivi-duale che si immerge nella Coscienza assoluta.

La vera impurità che occorre rimuovere, secondo Abhina-vagupta, sta nella falsa credenza che i tatva, e quindi l’interouniverso, compresa la propria sfera individuale oggetiva esoggetiva, siano un qualcosa di separato da Bhairava: la pu-rifcazione sta nell’eliminare questa idea sovrapposta.33

153. ‘Qelle stesse sostanze con le quali viene fata l’adora-zione o si intende ingraziare la suprema [Âakti] e il supremo[Bhairava] e quegli stesso che compie l’oferta di adorazione,tuto ciò è solamente uno: [perciò] in che modo [sarà mai possi-bile] un’adorazione?’.

Nella consapevolezza della Non-dualità la terna di fatorilegati all’ato sacrale – ingredienti, divinità e sacrifcante –cessa di porsi, per cui non può più prendersi in considerazio-ne alcuna forma rituale, né alcun ato individuale vòlto ad ot-tenere un risultato.

La Divina Consapevolezza 159153

154. ‘Il pråãa fuoriesce e il jıva (l’apåna) entra, in virtù del-la [loro intrinseca] natura e con un aspeto circolare, e [grazie aquesto] colei che è la suprema Divinità (la Ku~ƒalinı Âakti) siprotende allungandosi [verso l’alto]: essa, che è suprema e non-suprema, è il sommo sito sacrale (k≤etra)’.

155. ‘Conformandosi e stabilendosi in questa [contemplazio-ne], che è un [vero e proprio] rito sacrifcale permeato di grandebeatitudine, venendo ad essere completamente saturato dallasuprema Divinità (la Âakti), [lo yogin] realizzerà il supremoBhairava’.

156. ‘Con la forma [sonora] ‘sa¢’ [il respiro] procede all’e-sterno, con la forma [sonora] ‘ham’ rientra nuovamente; ‘haµ-sa¢, haµsa¢.’: così il jıva ripete continuamente questo mantra’.

157. ‘Il japa della Devı quale è stato spiegato, [ripetuto] perventunomilaseicento volte [ogni] giorno e note, è facile a com-piersi [per gli yogin], ma è difcile da efetuarsi da parte deglistolti’.

Lo spontaneo e alterno fusso respiratorio, oltre a risuona-re il mantra di autoidentifcazione con Bhairava (so ’haµ o’haµ sa¢), predispone l’intero complesso veicolare individua-le al prorompere della Âakti.

La forma non-suprema della Âakti è quella individuale, lasuprema è quella che si svela alla sua riunifcazione con Âiva.

L’aspeto circolare (ku†ila) del respiro si riferisce al ripro-dursi periodico e ritmico del fusso pranico. Tale continua o-scillazione energetica, risuonando, difondendo e amplifcan-do il suono mantrico, risveglia la Ku~ƒalinı ©akti e la stimolaad ascendere lungo la su≤umnå nåƒı fno a fondersi con Âivanel sahasråracakra.

La Divina Consapevolezza160 154

La meditazione sul mantra ‘haµsa¢’ può defnirsi unacontemplazione naturale e al tempo stesso dinamica: naturaleperché congenita nell’essere vivente, umano e non; dinamicaperché associata a un impulso energetico-coscienziale densodi potenzialità risolvente.

Lo yogin si fonda consapevolmente su tale oscillazione,immergendosi in essa e trascendendone l’aspeto esteriore;l’individuo ordinario vi annete solo la sopravvivenza del pro-prio veicolo fsico.

Sapendo la natura e la portata della Ku~ƒalinı, si com-prende di non doversi recare in nessun luogo sacro o sito dipellegrinaggio perché la ©akti, convogliando a sé la coscienzadello yogin che vi si identifca, costituisce essa stessa per lui ilsommo sito sacrale (parak\etra) nel quale purifcarsi, trasfor-marsi e risolversi.

158. ‘Così questa [conoscenza da Me] esposta, o Dea, è la piùelevata, [quella che conduce a realizzare] la suprema immorta-lità; e questa [conoscenza] non deve essere rivelata a nessuno ein nessun tempo.’.

159. ‘.[né] al discepolo di un’altra dotrina, [né] a quegli diindole maligna, [né] a colui incline alla violenza e [neanche] acolui che è privo di devozione verso i piedi del Maestro. Invece èper coloro la cui mente è esente da incertezza, per coloro cheposseggono autocontrollo (vıra), per coloro dall’animo elevato.’.

160. ‘.per coloro che sono devoti alla linea dei Maestri: [atuti costoro] deve essere donata senza incertezza. [Rinuncian-do] al villaggio, al regno, alla cità, alla regione, a fgli, mogliee famigliari.’.

161. ‘.rinunciando completamente a tuto ciò si può recepirequesto [insegnamento], o Tu dallo sguardo di gazzella: che cosa

La Divina Consapevolezza 161161

[si potrebbe mai guadagnare] da questi enti transeunti? O Dea,[soltanto] questo è il [vero] tesoro permanente!’.

162. ‘Anche i pråãa dovrebbero essere oferti in oblazione,ma [giammai] deve essere concessa [la conoscenza per realizza-re] la suprema immortalità [a coloro che non sono qualifcati arecepirla]!’.

Nel rispeto della più genuina tradizione shivaita, l’inse-gnamento segreto racchiuso in questi versi non deve essererivelato a discepoli che non ne siano autenticamente degni, aquelli che non hanno raggiunto la dovuta maturità spirituale,a coloro che non hanno maturato un’autentica istanza di co-noscenza, una volontà impersonale di realizzazione e un vigo-roso anelito di liberazione. D’altra parte, gli individui ancoralegati al proprio veicolo e al suo relazionarsi con gli altri vei-coli, con le situazioni del divenire-relativo, con i fruti dell’a-gire e quelli genericamente immeritevoli per via del loro ka-rman-dharma non possono recepire corretamente l’insegna-mento perché la loro stessa immedesimazione con ciò che nonsono porta immancabilmente a un’alterata interpretazione deicontenuti e a un travisamento dei presupposti e degli esiti.

Vi è da aggiungere che indecisione, opinioni futuanti econtrastanti, idee oscillanti e tentennamento denotano unapredisposizione carente, o parziale, e instabile, al pari dell’in-sano desiderio di esperienza verso stati inconsueti o superiori.

Viceversa colui che possiede autocontrollo è consideratoalla stregua di un ‘eroe’ (vıra), perché solo con un estremo at-to di vero coraggio interiore ha reciso tuti i dubbi ed è real-mente pronto al supremo balzo realizzativo avendo abbraccia-to la completa rinuncia a quello che riconosce di non essere.

A lui l’insegnamento è riservato, essendo in grado di com-prenderlo ed atuarlo; per costui soltanto si ha lo spontaneosvelarsi della essenza dei Tantra e.

La Divina Consapevolezza162 161

«Si ha la realizzazione della [propria] natura di autoindi-pendenza»

Vasugupta, Âıvas¥tra: 3.13

Ârı Devı disse:

(Segue 162). ‘O Dio degli dei, o Grande Deva! [Ora io] sonocompletamente soddisfata, o Propizio!’.

163. ‘Oggi ho appreso la essenza del Rudrayåmalatantra,34

ed oggi ho conosciuto il cuore di tute le varietà della Âakti’.35

164. Dopo aver parlato così, invero la Devı, colma di beati-tudine, restò stretamente unita a Âiva.

Qi si conclude il Vijñånabhairavatantra

La Âakti è riassorbita in Âiva, la Conoscenza manifestantenel Conoscitore. Dalla prospetiva metafsica, la Possibilità,manifestatasi appieno pur nella sua natura irreale, è rientratanella Realtà, da cui è emersa solo in apparenza.

La dualità polare Âiva-Âakti si è riunifcata nella universa-le Autocoscienza di Âivabindu, e questa, nel Silenzio della evi-denza realizzativa satura di pacata, infnita autoidentità, risol-ta nella non-nata e non-duale Coscienza di Parama©iva-Bhai-rava.

*

La Divina Consapevolezza 163164

NOTE

1 La parte rudrayåmalasambhavam potrebbe essere interpretataanche come: “.ciò che ha origine dal Rudrayåmala [Tantra]”, l’an-tico e perduto testo contenente l’essenza del Trika Âaiva.

2 Per una disamina più approfondita dei Princìpi del Trika Âaivasi rimanda alla Introduzione allo Âivas¥tra.

3 Vi è uno ©loka che sentenzia: “Lo Âaiva [dualistico-teistico] èsuperiore ai Veda e alle altre [Scriture ortodosse], il [sentiero det-to] Våma (la Via della Mano Sinistra) [è superiore] allo Âaiva, ma ilDak\iãa (la Via della Mano Destra) [lo è rispeto al Våma], il Kaulaè superiore al Dak\iãa e il Trika [Âaiva] è superiore al Kaula”. Cosìil Trika Âaiva rappresenta, per lo Shivaismo, la essenza ultima (såra)di tute le conoscenze tradizionali, le cui ramifcazioni diversifcatesono derivazioni secondarie che a quello debbono la loro ragiond’essere e in quello debbono essere ricondote.

4 La måt®kå viene discussa anche nello Âivas¥tra, a cui si riman-da per una migliore comprensione dell’argomento.

5 Tali suoni vengono tradizionalmente elencati in quest’ordine,corrispondente alle sfere suddete: ham, ram, k\am, mam, lam,vam, yam, ãam, ¥m o ~¥m. Alcuni sono i bıjamantra dei cakra.

6 Il fonema sillabico sau¢, deto il Tridente, è un importante bıja-mantra del Trika che sintetizza la totalità e funge da supporto di me-ditazione per realizzare Âiva. È chiamato anche parabıja (il Seme su-premo), h®dayabıja (il Seme del cuore) o prasådabıja (il Seme della

grazia). La letera s simbolizza nara, dunque il piano manifesto dellaindividuazione; il ditongo au simbolizza la Âakti e il visarga fnale ¢indica Âiva. Si contemplano anche diverse modalità di interpretazio-ne dei costituenti di sau¢ che li associano ai vari tatva.

7 Ossia, come: nadånta (estinzione del nåda), ©akti (godimentospirituale sotile ultracorporeo), vyåpinı (onnipervadenza), samanå(cessazione dei dualismi ed equalizzazione del tuto), unmanå (co-scienza desta che trascende la mente nella sua integralità, cioè lostato di Parama©iva, in cui Âiva e Âakti sono integrati e trascesi).

8 Dell’haµsa si parlerà a fondo più avanti, nei versi 24-27 e 64.

9 Nei testi yoga si insegnano decine di prå~åyåma diversi basatiin gran parte sul ritmo dei cicli respiratori otenuto quantifcando ladurata delle singole fasi. Tale pratica può durare tempi lunghissimied ha l’efeto primario di equilibrare le energie interne e la interaveicolarità sotile. Data la sua natura, stretamente connessa allacorporeità e richiedente un impegno non indiferente, esula dallatratazione che se ne può fare in questa sede e anche dalle fnalitàqui considerate. Qi verranno solo accennate quelle particolari for-me che infuiscono diretamente su quello che si defnisce una ‘rot-tura di livello’ dell’io e del suo potere identifcante e imprigionante.

10 La Âakti soto forma della Ku~ƒalinı racchiude un enorme po-tere che, se non controllato, può determinare, nella sua espressioneesplosiva, forti squilibri di ordine energetico e quindi psicofsico.Qalunque tecnica ata a risvegliare la Ku~ƒalini©akti dovrebbe es-sere appresa solo da Istrutori autenticamente allacciati alla Tradi-zione e unicamente se si è in possesso dei requisiti e di un indiscus-so dominio sul mentale. Una liberazione incontrollata di deta ener-gia, se non può essere incanalata e indirizzata adeguatamente, po-trebbe risultare pericolosa o altamente distrutiva in composti indi-viduati non pronti a tale ‘scossa’. Ecco perché la maggior parte del-le pratiche tantriche legate a tale risveglio è sempre stata mantenu-ta segreta e non difusa se non tramite un rapporto direto.

La Divina Consapevolezza166

11 Si trata della ≤a~mukhımudrå, adotata sia nella meditazionesia nel prå~åyåma in diverse forme di yoga. Si dice che praticando-la assiduamente si riesca a sentire il ‘suono’ del Brahman.

12 Alcuni sogliono interpretare il verso secondo una gradualità,in cui considerano cinque passi: ostruzione degli accessi sensoricon le dita delle mani soto controllo consapevole, concentrazionespontanea della ©akti nell’åjñåcakra, percezione sotile del luminosobindu in tale cakra da parte dello yogin, progressivo smorzarsi dellasua luce nella spazialità coscienziale illimitata ed indipendente dalveicolo, soluzione dell’autocoscienza individuata nella Coscienzainfnita di Bhairava quale suprema Luce inefabile.

13 La ©akti individuale, soto forma della energia vitale (pråãa-©akti) è un rifesso della Âakti universale. Qesta, come noto, ha trelivelli – la Âakti inferiore (aparå), legata alla manifestazione efet-tuale, la intermedia (paråparå), associata alla produzione e all’a-zione dei princìpi (tatva), e la superiore (parå), originante dallo Âi-vabindu e rivelantesi nella diade principiale Âiva-Âakti. Ogni formacontemplativa basata sulla ©akti intende identifcare quella indivi-duale con quella universale e portarla dal piano più basso a quellosupremo.

14 La m rappresenta anche la sintesi di quanto espresso dalle let-tere precedenti (a ed u) e, una volta realizzata coscienzialmente l’u-nità che sotende e riconosciuta nella sua natura di possibilità, si ri-solve in modo naturale nell’om silenzioso.

15 Âa√kara, nella sua breve opera intitolata “La Qintiplicazio-ne”, aferma: «Si deve risolvere la letera a nella letera u, la leterau nella letera m e la letera m nella sillaba intera om. Infne si deverisolvere la sillaba om proprio nell’‘Io’» (Pañcıkåraãam: 6).

16 La meditazione sulle singole misure-måtrå esposta nella Må-~ƒ¥kya Upani≤ad rivela un esito specifco per ogni letera, fno allarealizzazione del Brahman atraverso la meditazione sulla sillaba

Note 167

om senza-suono. Qella qui suggerita prende invece spunto dallasingola misura, ma non in quanto simbolo e sintesi di una condizio-ne, bensì come veicolo ato a trasferire la consapevolezza in unostato-natura di Vuoto trascendente – appunto Bhairava in quantoTurıya – atraverso la sua naturale estinzione nel Silenzio.

17 Tipico è l’impiego di strumenti come i cimbali o le ‘campanetibetane’ nella preghiera e nella meditazione buddhiste. Concen-trandosi ripetutamente e intensamente sul loro suono, seguendonela sonorità digradante e mantenendo desta e non distrata da ogget-ti interni o percezioni esterne la consapevolezza fno allo smorzarsidi questo nel silenzio, il meditante si ritrova perfetamente coscien-te nel Non-suono, identifcato a quella Coscienza non-duale assolu-ta, illimite e priva di contenuto.

18 Le tre letere-misure di om vengono pronunciate verbalmen-te, poi si passa alla meditazione su una sonorità progressivamentesempre più sotile sintonizzandosi sul rispetivo stato della coscien-za. Inoltre le fasi temporali dipendono dalla soluzione della prece-dente nella susseguente, ma a livello di unmanå si è al di là del fat-tore temporale.

19 Con questo procedimento a ritroso si scioglie, per così dire, lapercezione di ogni piano della manifestazione in quella del pianosuperiore e più sotile. Si rammenta che la manifestazione procededal causale al grossolano densifcando e solidifcando in certo sensoil principio originatore e perdendo nel contempo in grado di liber-tà. Risalendo con questo processo nella scala dei princìpi, la consa-pevolezza si espande ed universalizza. In pratica si riportano i ma-håbh¥ta nei tanmåtra, questi nell’ahaµkåra, questo nella buddhi,questa nella prak®ti fno ad arrivare al tatva Sadå©iva in cui si rea-lizza la Parå Devı.

20 La defnizione della ©akti prima come densa (pınå) e poi comesotile (durbalå) sta a indicare un esercizio del prå~åyåma che,prendendo avvio dal ritmare il respiro fsico – secondo fasi tempo-

La Divina Consapevolezza168

rali ben delineate nei vari tratati yoga, ma acquisibili solo atraver-so una istruzione direta – diventi poi sempre più sotile, svolgen-dosi pressoché unicamente, o prevalentemente, in un piano iperfsi-co o sotile-energetico. In efeti è solo in questa modalità interiore,o per lo meno quando è armonicamente associata a quella esteriore,che il controllo del respiro sortisce esito positivo e rilevabile.

21 Come noto vi sono quatro centri sotili interni chiamati dvå-da©ånta a prescindere da quello frontale esterno. La dhåra~å inquestione s’inizia a partire da quello più basso, a livello del peto,per giungere al sahasråracakra. Il ritorno al centro denominato h®dcrea una sorta di percorso che procede prima verso l’alto poi feteall’indietro per rientrare a livello dell’anåhatacakra, anche se in unpiano ancora superiore: infati a livello della pura autocoscienzasparisce la intera compagine veicolare grossolana e sotile e la pre-senza a livello causale può defnirsi, con un’analogia descritiva, co-me puntiforme. Mantenersi stabili in tale punto-condizione portapresto alla totale soluzione nella Coscienza senza-secondo.

22 Il testo riporta vå, ‘ovvero’, che secondo alcuni interpreti stain luogo di ca, ‘anche’, in modo da rendere plausibile l’uso dell’av-verbio yugapad: ‘simultaneamente’, ‘insieme’, ‘allo stesso tempo’.

23 Leggendo invece kalayannå p®thagbhavet, la frase fnale di-viene: “Considerando. si diviene isolati”, cioè ci si astrae dalla sfe-ra fenomenica universale e dalla stessa possibilità realizzando l’As-solutezza come Bhairava.

24 Una diferente letura della parte del verso, come na ©ucirnå-©ucis., darebbe: “non è [né] pura né impura.”, ossia del tuto inuti-le, vale a dire priva di fruto dal punto di vista realizzativo.

25 I kle©a, ossia le cause di afizione per l’essere individuato, so-no così elencate nello yoga: ignoranza di ordine flosofco-metafsi-co (avidyå), la nozione della propria esistenza come separata (ilsenso dell’ “io sono”, asmitå), la passione-ataccamento alla espe-

Note 169

rienza, alla condizione, ecc. (råga), l’avversione per ciò che producesoferenza (dve≤a), l’ataccamento alla vita alimentato da una sortadi tacito assenso al cadere, anzi allo sprofondare nella esperienzaindividuata terrena (abhinive©a).

26 Leggendo jıvasya in luogo di bhıtasya, come in alcune reda-zioni, il verso diventa: “Qeste fonti di terrore sono [solo] per iljıva.”.

27 Il ritiro della coscienza all’interno è il quinto membro (a√ga)del Råja Yoga (pratyåhåra), ma in tale disciplina si riferisce solo al-l’aspeto sensorio, quello cioè in grado di distrarre la mente dallaconcentrazione e dai successivi mezzi. Qi si riferisce invece a unritiro integrale, un distacco totale dalla sfera individuale, una com-pleta disidentifcazione da sé stessi e dal proprio ruolo ftizio. Gliorgani di azione sono quelli della prensione (le mani, hastau), quellidella deambulazione (i piedi, padau), quello della espressione ver-bale (la bocca, mukha), quello della generazione (©apa, yoni) e quel-lo della escrezione (utsarga); quelli di percezione sono le facoltàconnesse ai rispetivi sensi: la vista (cak\us), l’udito (©rotra), l’olfato(gandha), il gusto (rasa) e il tato (spar©a). Il complesso della facoltàmentali comprende: la mente sensoriale-razionale (manas), il sensodell’io (ahaµkåra), la memoria (cita) quale serbatoio delle impres-sioni subconscie (våsanå), e la intuizione intelletuale superiore(buddhi); quest’ultima è la sola facoltà di natura universale presentenell’individuo, tramite cui questi può accedere al trascendente conil creare un aggancio permanente con il Divino.

28 Altra redazione tradizionale shivaita del verso: jñånaµ prakå-©akaµ loke åtmå caiva prakå©aka¢ • anayorap®thagbhåvåjjñåne jñå-nı vibhåvyate ••, cioè: “La conoscenza è ciò che rivela [tuto] nelmondo, e lo stesso åtman è il rivelatore. Poiché tra i due non esisteseparazione, il conoscitore si rivela nella conoscenza”.

29 I ‘poteri’ sono le oto siddhi (a≤†asiddhi) che consistono nellacapacità acquisita, tramite dure pratiche ascetiche yoga o in modo

La Divina Consapevolezza170

spontaneo, di manipolare la propria forma a volontà e nel modif-carne le carateristiche in modo straordinario. Esse sono: la capaci-tà di rendersi infnitamente sotili (a~imå), l’acquisizione del domi-nio su tuto (ı©itva), il potere di diventare oltremodo leggeri e di le-vitare (laghimå), quello di divenire indefnitamente grandi (mahi-må), quello di esprimere la propria volontà in modo sovrannaturalee inostacolato (pråkåmya), il potere di entrare in possesso di tutociò che costituisce oggeto (pråpti), la facoltà di porre soto il pro-prio volere qualunque altro ente, conscio o meno, con il soggiogar-lo completamente (va©itva) e il dono della ubiquità (yatrakåmavå-sayitva) ovvero di trovarsi laddove si vuole. Come deto, apparten-gono alla pratica Yoga, ma possono comparire nel corso di qualun-que sådhanå a seguito del dominio sulla sfera elementale ed ener-getica. Esse, però concernono ancora la forma, la veicolarità e lasua relazione dimensionale con il contesto esistenziale, per cui ine-riscono a un piano relativo. È per questo che, laddove si parla ditrascendenza totale e di realizzazione della Verità ultima, le si ritie-ne prive di valore e di portata catartica venendo considerate addi-ritura ostacoli sul proprio cammino, nella misura in cui rappresen-tano un’atrativa condizionante per colui che le acquisisca.

30 I melåpaka sono ‘coloro che uniscono’, coloro che, realizzatala Realtà unica, non possono che mostrare al mondo la natura diunità del tuto per cui, con l’esempio del loro stesso vivere, eserci-tano una benefca azione di riunifcazione della coscienza di ogniessere.

31 Il pronome sa¢ (Qello), che per le note regole eufoniche (sa-ndhi) si muta in so se seguito dal pronome aham (io) – per cui si ha:so ’ham – possiede anche un’altra forma originaria che è sa e que-sta, non chiudendosi con l’aspirazione ¢ (che sostituisce la s fnale),non muta in so come il precedente. In tal caso la forma completadell’accostamento dei due pronomi diventa, nei due casi invertiti,sia sa ’ham sia haµsa. Alcuni esegeti sogliono allungare la a fnaleper contato direto con la a iniziale di aham otenendo nei due ca-si: såham e haµså. Come già spiegato in occasione dello ©loka ine-rente, il bisillabo esprime il mantra respiratorio che è ugualmente

Note 171

valido nei due versi, dato che il fusso respiratorio stesso con il qua-le lo si suole identifcare è un ciclo, per cui non possiede né un ini-zio né una fne e le due modalità sono perfetamente equivalenti.

32 Il testo è: p¥jå nåma vibhinnasya bhåvåughasyåpi saµgati¢ •svatantravimalånantabhairavıyacidåtmanå ••.

33 Cfr. Tantråloka: 4.118.

34 Soto la denominazione di Rudrayåmalatantra sono compresidiversi testi dotrinari che descrivono la unione della Âakti con Âi-va, alcuni dei quali non pervenuti, e non solo quello che si ritienecontenesse il Vijñånabhairava.

35 Le varietà della Âakti sono le suddivisioni (prabheda) soto lequali si manifesta: parå, paråparå e aparå (vedi Presentazione). Ilsenso è: conosciuta la propria natura, atraverso la comprensionedelle modalità di azione, espressione, ecc., la stessa Âakti cessa diporsi separatamente da Âiva e spontaneamente vi si ricongiungedeterminando la soluzione della manifestazione, cioè del mondo fe-nomenico percepito quale molteplicità da parte dello yogin, ovverodella dualità, atuale e potenziale (unità), nella Non-dualità.

La Divina Consapevolezza172

TESTO SANSCRITO

Ÿrı vijñånabhairavatantram ••

Ÿrı devyuvåca –

©rutaµ deva mayå sarvaµ rudrayåmalasaµbhavam •trikabhedama©e≤eãa såråtsåravibhåga©a¢ •• 1 ••

adyåpi na niv®to me saµ©aya¢ parame©vara •kiµ r¥paµ tatvato deva ©abdarå©ikalåmayam •• 2 ••

kiµ vå navåtmabhedena bhairave bhairavåk®tau •tri©irobhedabhinnaµ vå kiµ vå ©aktitrayåtmakan •• 3 ••

nådabindumayaµ våpi kiµ candrårdhanirodhikå¢ •cakrår¥ƒhamanackaµ vå kiµ vå ©aktisvar¥pakam •• 4 ••

paråparåyå¢ sakalamaparåyå©ca vå puna¢ •paråyå yadi tadvatsyåtparatvaµ tadvirudhyate •• 5 ••

nahi varãavibhedena dehabhedena vå bhavet •paratvaµ ni\kalatvena sakalatve na tadbhavet •• 6 ••

prasådaµ kuru me nåtha ni¢©e\aµ chindhi sa©ayam •

Ÿrı bhairava uvåca –

sådhu sådhu tvayå p®≤†aµ tantrasåramidaµ priye •• 7 ••

g¥hanıyatamaµ bhadre tathåpi kathayåmi te •yatkiñcitsakalaµ r¥paµ bhairavasya prakırtitam •• 8 ••

tadasåratayå devi vijñeyaµ ©akrajalavat •måyåsvapnopamaµ caiva gandharvanagarabhramam •• 9 ••

dhyånårthaµ bhråntabuddhınåµ kriyåƒambaravartinåm •kevalaµ var~itaµ puµsåµ vikalpanihatåtmanåm •• 10 ••

matvato na nåvåtmåsau ©abdarå©irna bhairava¢ •na cåsau tri©irå devo na ca ©aktitrayåtmaka¢ •• 11 ••

nådabindumayo våpi na candrårdhanirodhikå¢ •na cakrakramasambhinno na ca ©aktisvar¥paka¢ •• 12 ••

aprabuddhamatımåµ hi etå bålavibhı\ikå¢ •måt®modakavatsarvaµ prav®tyarthamudåh®tam •• 13 ••

dikkålakalanonmuktå de©odde©åvi©e\i~ı •vyapade\†uma©akyåsavakathyå paramårthata¢ •• 14 ••

anta¢ svånubhavånandå vikalponmuktagocarå •yåvasthå bharitåkårå bhairavı bhairavåtmana¢ •• 15 ••

tadvapustatvato jñeyaµ vimalaµ vi©vap¥raãam •evaµvidhe pare tatve ka¢ pujya¢ ka©ca t®pyati •• 16 ••

evaµvidhå bhairavasya yåvasthå parigıyate •så parå parar¥peãa parå devı prakırtitå •• 17 ••

©akti©aktimatoryadvadabheda¢ sarvadå sthita¢ •atastaddharmadharmitvåtparå©akti¢ paråtmana¢ •• 18 ••

na vahnerdåhikå ©aktirvyatiriktå vibhåvyate •kevalaµ jñånasatåyåµ prårambho ’yaµ prave©ane •• 19 ••

©aktyavasthåpravi\†asya nirvibhågena bhåvanå •tadåsau ©ivar¥pı syåcchaivı mukhamivocyate •• 20 ••

yathålokena dıpasya kiraãairbhåskarasya ca •jñåyate digvibhågådi tadvacchaktyå ©iva¢ priye •• 21 •

©rı devyuvåca –

devadeva tri©¥lå√ka kapålak®tabh¥≤a~a •digde©akåla©¥nyå ca vyapade©avivarjitå •• 22 ••

vijñånabhairavatantram176 10

yåvasthå bharitåkårå bhairavasyopalabhyate •kairupåyairmukhaµ tasya parå devı kathaµ bhavet •yathå samyagahaµ vedmi tathå me br¥hi bhairava •• 23 ••

©rı bhairava uvåca –

¥rdhve pråõo hyadho jıvo visargåtmå paroccaret •utpatidvitayasthåne bhara~ådbharitå sthiti¢ •• 24 ••

maruto ’ntarbahirvåpi viyadyugmånivartanåt •bhairavyå bhairavasyethaµ bhairavi vyajyate vapu¢ •• 25 ••

na vrajenna vi©ecchaktirmarudr¥på vikåsite •nirvikalpatayå madhye tayå bhairavar¥patå •• 26 ••

kumbhitå recitå våpi p¥ritå vå yadå bhavet •tadante ©åntanåmåsau ©aktyå ©ånta¢ prakå©åte •• 27 ••

å m¥låtkira~åbhåsåµ s¥k\måts¥k\mataråtmikam •cintayetåµ dvi\a†kånte ©åmyantıµ bhairavodaya¢ •• 28 ••

udgacchantıµ taƒidr¥påµ praticakraµ kramåtkramam •¥rdhvaµ mu\†itrayaµ yåvatåvadante mahodaya¢ •• 29 ••

kramadvåda©akaµ samyagdvåda©åk\arabheditam •sth¥las¥k\maparasthityå muktvå muktvåntata¢ ©iva¢ •• 30 ••

tayå p¥ryå©u m¥rdhåntaµ bha√ktvå bhr¥k\epasetunå •nirvikalpaµ mana¢ k®två sarvordhve sarvagodgama¢ •• 31 ••

©ikhipak\ai©citrar¥pairma~ƒalai¢ ©¥nyapañcakam •dhyåyato ’nutare ©¥nye prave©o h®daye bhavet •• 32 ••

ıd®©ena krameãaiva yatra kutråpi cintatå •©¥nye kuƒye pare påtre svayaµ lınå varapradå •• 33 ••

kapålåntarmano nyasya ti\†hanmılitalocana¢ •krameãa manaso dårƒhyållak\ayellak\yamutamam •• 34 ••

vijñånabhairavatantram 17734

madhyanåƒı madhyasaµsthå bisas¥tråbhar¥payå •dhyåtåntarvyomayå devyå tayå deva¢ prakå©åte •• 35 ••

kararuddhad®gastre~a bhr¥bhedåddvårarodhanåt •d®\†e bindau kramållıne tanmadhye paramå sthiti¢ •• 36 ••

dhåmånta¢k\obhasaµbh¥tas¥k\mågnitilakåk®tim •binduµ ©ikhånte h®daye layånte dhyåyato laya¢ •• 37 ••

anåhate påtrakar~e ’bhagna©abde sariddrute •©åbdabrahma~i ni\~åta¢ paraµ brahmådigacchati •• 38 ••

praãavådisamuccåråtplutånte ©¥nyabhåvanåt •©¥nyayå parayå ©aktyå ©¥nyatåmeti bhairavi •• 39 ••

yasya kasyåpi varãasya p¥rvåntådanubhåvayet •©¥nyayå ©¥nyabh¥to ’sau ©¥nyåkåra¢ pumånbhavet •• 40 ••

tantrådivådya©abde\u dırghe\u kramasaµsthite¢ •ananyacetå¢ pratyante paravyomavapurbhavet •• 41 ••

pi~ƒamantrasya sarvasya sth¥lavarãakrameãa tu •ardhendubindunådånta¢ ©¥nyoccårådbhavecchiva¢ •• 42 ••

nijadehe sarvadikkaµ yugapadbhåvayedviyat •nirvikalpamanåstasya viyatsarvaµ pravartate •• 43 ••

p®\†ha©¥nyaµ m¥la©¥nyaµ yugapadbhåvayecca ya¢ •©arıranirapek\i~yå ©aktyå ©¥nyamanå bhavet •• 44 ••

p®\†ha©¥nyaµ m¥la©¥nyaµ h®cch¥nyaµ bhåvayetsthiram •yugapannirvikalpatvånnirvikalpodayastata¢ •• 45 ••

tan¥de©e ©¥nyataiva k\aãamåtraµ vibhåvayet •nirvikalpaµ nirvikalpo nirvikalpasvar¥pabhåk •• 46 ••

sarvaµ dehagataµ dravyaµ viyadvyåptaµ m®gek\a~e •vibhåvayetatastasya bhåvanå så sthirå bhavet •• 47 ••

vijñånabhairavatantram178 35

dehåntare tvagvibhågaµ bhitibh¥taµ vicintayet •na kiñcidantare tasya dhyåyannadhyeyabhågbhavet •• 48 ••

h®dyåkå©e nilınåk\a¢ padmasampu†amadhyaga¢ •ananyacetå¢ subhage paraµ saubhågyamåpnuyåt •• 49 ••

sarvata¢ sva©arırasya dvåda©ånte manolayåt •d®ƒhabuddherd®dhıbh¥taµ tatvalak\yaµ pravartate •• 50 ••

yathå tathå yatra tatra dvåda©ånte mana¢ k\ipet •pratik\aãaµ k\ıãav®tervailak\a~yaµ dinairbhavet •• 51 ••

kålågninå kålapadåduthitena svakaµ puram •plu\†aµ vicintayedante ©åntåbhåsastadå bhavet •• 52 ••

evameva jagatsarvaµ dagdhaµ dhyåtvå vikalpata¢ •ananyacetasa¢ pumsa¢ pumbhåva¢ paramo bhavet •• 53 ••

svadehe jagato våpi s¥k\amas¥k\matarå~i ca •tatvåni yåni nilayaµ dhyåtvånte vyajyate parå •• 54 ••

pınåµ ca durbalåµ ©aktiµ dhyåtvå dvåda©agocare •pravi©ya h®daye dhyåyanmukta¢ svåtantryamåpnuyåt •• 55 ••

bhuvanådhvådir¥peãa cintayetkrama©o ’khilam •sth¥las¥k\maparasthityå yåvadante manolaya¢ •• 56 ••

asya sarvasya vi©vasya paryante\u samantata¢ •adhvaprakriyayå tatvaµ ©aivaµ dhyatvå mahodaya¢ •• 57 ••

vi©vametanmahådevi ©¥nyabh¥taµ vicintayet •tatraiva ca mano lınaµ tatastallayabhåjanam •• 58 ••

gha†ådibhåjane d®\†iµ bhitistyaktvå vinik\ipet •tallayaµ tatk\a~ådgatvå tallayåtanmayo bhavet •• 59 ••

nirv®k\agiribhityådide©e d®\†iµ vinik\ipet •vilıne månase bhåve v®tik\ıãa¢ prajåyate •• 60 ••

vijñånabhairavatantram 17960

ubhayorbhåvayorjñåne dhyåtvå madhyaµ samå©rayet •yugapacca dvayaµ tyaktvå madhye tatvaµ prakå©ate •• 61 ••

bhåve tyakte niruddhå cinnaiva bhåvåntaraµ vrajet •tadå tanmadhyabhåvena vikasatyatibhåvanå •• 62 ••

sarvaµ dehaµ cinmayaµ hi jagadvå paribhåvayet •yugapannirvikalpena manaså paramodaya¢ •• 63 ••

våyudvayasya saµgha††ådantarvå bahirantata¢ •yogı samatvavijñånasamudgamanabhåjanam •• 64 ••

sarvaµ jagatsvadehaµ vå svånandabharitaµ smaret •yugapatsvåm®tenaiva parånandamayo bhavet •• 65 ••

kuhanena prayogeãa sadya eva m®gek\a~e •samudeti mahånando yena tatvaµ prakå©ate •• 66 ••

sarvasrotonibandhena pråãa©aktyordhvayå ©anai¢ •pipılaspar©avelåyåµ prathate paramaµ sukham •• 67 ••

vahnervi\asya madhye tu citaµ sukhamayaµ k\ipet •kevalaµ våyup¥rãaµ vå smarånandena yujyate •• 68 ••

©aktisa√gamasaµk\ubdha©aktyåve©åvasånikam •yatsukhaµ brahmatatvasya tatsukhaµ svåkyamucyate •• 69 ••

lehanåmanthanåko†ai¢ strısukhasya bharåtsm®te¢ •©aktyabhåve ’pi deve©i bhavedånandasamplava¢ •• 70 ••

ånande mahati pråpte d®\†e vå båndhena ciråt •ånandamudgataµ dhyåtvå tallayastanmanå bhavet •• 71 ••

jagdhipånak®tollåsarasånandavij®mbha~åt •bhåvayedbharitåvasthåµ mahånandastato bhavet •• 72 ••

gıtådivi\ayåsvådåsamasaukhyaikatåtmana¢ •yoginastanmayatvena manor¥ƒhestadåtmatå •• 73 ••

vijñånabhairavatantram180 61

yatra yatra manastu\†irmanastatraiva dhårayet •tatra tatra parånandasvår¥paµ sampravartate •• 74 ••

anågatåyåµ nidråyåµ praãa\†e båhyagocare •såvasthå manaså gamyå parå devı prakå©ate •• 75 ••

tejaså s¥ryadıpåderåkå©e ©abalık®te •d®\†irnive©yå tatraiva svåtmar¥paµ prakå©åte •• 76 ••

kara√ki~yå krodhanayå bhairavyå lelihånayå •khecaryå d®\†ikåle ca paråvåpti¢ prakå©åte •• 77 ••

m®dvåsane sphijaikena hastapådau nirå©rayam •nidhåya tatprasa√gena parå p¥r~å matirbhavet •• 78 ••

upavi©yåsane samyagbåh¥ k®tvårdhakuñcitau •kak\avyomni mana¢ kurvañ©amamåyåti tallayåt •• 79 ••

sth¥lar¥pasya bhåvasya stabdhåµ d®\†iµ nipåtya ca •acireãa nirådhåraµ mana¢ k®två ©ivaµ vrajet •• 80 ••

madhyajihve sphåritåsye madhye nik\ipya cetanåm •hoccåraµ manaså kurvaµstata¢ ©ånte pralıyate •• 81 ••

åsane ©ayane sthitvå nirådhåraµ vibhåvayan •svadehaµ manasi k\i~e k\a~åtk\i~å©aye bhavet •• 82 ••

calåsane sthitasyåtha ©anairvå dehacålanåt •pra©ånte månase bhåve devi divyaughamåpnuyåt •• 83 ••

åkå©aµ vimalaµ pa©yank®två d®\†iµ nirantaråm •stabdhåtmå tatk\a~åddevi bhairavaµ vapuråpnuyåt •• 84 ••

lınaµ m¥rdhni viyatsarvaµ bhairavatvena bhåvayet •tatsarvaµ bhairavåkåratejastatvaµ samåvi©et •• 85 ••

kiñcijjñåtaµ dvaitadåyi båhyålokastama¢ puna¢ •vi©vådi bhairavaµ r¥paµ jñåtvånantaprakå©abh®t •• 86 ••

vijñånabhairavatantram 18186

evameva durni©åyåµ k®≤ãapak\ågame ciram •taimiraµ bhåvayanr¥paµ bhairavaµ r¥pame\yati •• 87 ••

evameva nimılyådau netre k®\~åbhamågrata¢ •prasårya bhairavaµ r¥paµ bhåvayaµ tanmayo bhavet •• 88 ••

yasya kasyendriyasyåpi vyåghåtåcca nirodhata¢ •pravi\†asyådvaye ©¥nye tatraivåtmå prakå©ate •• 89 ••

abindumavisargaµ ca akåraµ japato mahån •udeti devi sahaså jnånaugha¢ parame©vara¢ •• 90 ••

varãasya savisargasya visargåntaµ citiµ kuru •nirådhåreãa citena sp®©edbrahma sanåtanam •• 91 ••

vyomåkåraµ svamåtmånaµ dhyåyeddigbhiranåv®tam •nirå©rayå citi¢ ©akti¢ svar¥paµ dar©ayetadå •• 92 ••

kiñcida√gaµ vibhidyådau tık\ãas¥cyådinå tata¢ •tatraiva cetanåµ yuktvå bhairave nirmalå gati¢ •• 93 ••

citådyanta¢k®tirnåsti mamåntarbhåvayediti •vikalpånåmabhåvena vikalpairuñjhito bhavet •• 94 ••

måyå vimohinı nåma kalåyå¢ kalanaµ sthitam •ityådidharmaµ tatvånåµ kalayanna p®thagbhavet •• 95 ••

jhagitıcchåµ samutpannamavalokya ©amaµ nayet •yata eva samudbh¥tå tatastatraiva lıyate •• 96 ••

yadå mamecchå notpannå jñånaµ vå kastadasmi vai •tatvato ’haµ tathåbh¥tastallınastanmanå bhavet •• 97 ••

icchåyåmathavå jñåne jåte citaµ nive©ayet •åtmabuddhyånanyacetåstatastatvårthadar©anam •• 98 ••

nirnimitaµ bhavejjñånaµ nirådhåraµ bhramåtmakam •tatvata¢ kasyacinnaitadevaµbhåvı ©iva¢ priye •• 99 ••

vijñånabhairavatantram182 87

ciddharmå sarvadehe\u vi©e\o nåsti kutracit •ata©ca tanmayaµ sarvaµ bhåvayanbhavajijjana¢ •• 100 ••

kåmakrodhalobhamohamadamåtsaryagocare •buddhiµ nistimitåµ k®två tatatvamava©i\yate •• 101 ••

indrajålamayaµ vi©vaµ vyastaµ vå citrakarmavat •bhramadvå dhyåyata¢ sarvaµ pa©yata©ca sukhodgama¢ •• 102 ••

na citaµ nik\ipeddu¢khe na sukhe vå parik\ipet •bhairavi jñåyatåµ madhye kiµ tatvamava©i\yate •• 103 ••

vihåya nijadehåsthåµ sarvatråsmıti bhåvayan •d®ƒhena manaså d®\†yå nånyek\i~yå sukhı bhavet •• 104 ••

gha†ådau yacca vijñånamicchådyaµ vå mamåntare •naiva sarvagataµ jåtaµ bhåvayanniti sarvaga¢ •• 105 ••

gråhyagråhakasaµviti¢ såmånyå sarvadehinåm •yoginåµ tu vi©e\o ’sti sambandhe såvadhånatå •• 106 ••

svavadanya©arıre ’pi saµvitimanubhåvayet •apek\åµ sva©arırasya tyaktvå vyåpı dinairbhavet •• 107 ••

nirådhåraµ mana¢ k®två vikalpånna vikalpayet •tadåtmaparamåtmatve bhairavo m®galocane •• 108 ••

sarvajña¢ sarvakartå ca vyåpaka¢ parame©vara¢ •sa evåhaµ ©aivadharmo iti dårƒhyåcchivo bhavet •• 109 ••

jalasyevormayo vahnerjvålåbha√gya¢ prabhå rave¢ •mamaiva bhairavasyaitå vi©vabha√go vibheditå¢ •• 110 ••

bhråntvå bhråntvå ©arıreãa tvaritaµ bhuvi påtanåt •k\obha©aktiviråmeãa parå sañjåyate da©å •• 111 ••

ådhåre\vathavå ’©aktyå ’jñånåccitalayena ca •jåta©aktisamåve©ak\obhånte bhairavaµ vapu¢ •• 112 ••

vijñånabhairavatantram 183112

sampradåyamimaµ devi ©®~u samyagvadåmyaham •kaivalyaµ jåyate sadyo netrayo¢ stabdhamåtrayo¢ •• 113 ••

sa√kocaµ karãayo¢ k®två hyadhodvåre tathaiva ca •anackamahalaµ dhyåyanvi©edbahma sanåtanam •• 114 ••

k¥pådike mahågarte sthitvopari nirık\a~åt •avikalpamate¢ samyaksadya©citalaya¢ sphu†am •• 115 ••

yatra yatra mano yåti båhye våbhyantare ’pi vå •tatra tatra ©ivåvasthå vyåpakatvåtkva yåsyati •• 116 ••

yatra yatråk\amårgeãa caitanyaµ vyajyate vibho¢ •tasya tanmåtradharmitvåccillayådbharitåtmatå •• 117 ••

k\utådyante bhaye ©oke gahvare vå ra~åddrute •kut¥hale k\udhådyante brahmasatåmayı da©å •• 118 ••

vastu\u smaryamå~e\u d®\†e de©e manastyajet •sva©arıraµ nirådhåraµ k®två prasarati prabhu¢ •• 119 ••

kvacidvastuni vinyasya ©anaird®\†iµ nivartayet •tajjñånaµ citasahitaµ devi ©¥nyålayo bhavet •• 120 ••

bhaktyudrekådviraktasya yåd®©ı jåyate mati¢ •så ©akti¢ ©å√karı nityaµ bhavayetåµ tata¢ ©iva¢ •• 121 ••

vastvantare vedyamåne sarvavastu\u ©¥nyatå •tåmeva manaså dhyåtvå vidito ’pi pra©åmyati •• 122 ••

kiñcijjñairyå sm®tå ©uddhi¢ så ©uddhi¢ ©ambhudar©ane •na ©ucirhya©ucistasmånnirvikalpa¢ sukhı bhavet •• 123 ••

sarvatra bhairavo bhåva¢ såmånye\vapi gocara¢ •na ca tadvyatirekeãa paro ’stıtyadvayå gati¢ •• 124 ••

sama¢ ©atrau ca mitre ca samo månåvamånayo¢ •brahmaãa¢ parip¥rãatvåditi jñåtvå sukhı bhavet •• 125 ••

vijñånabhairavatantram184 113

na dve\aµ bhåvayetkvåpi na rågaµ bhåvayetkvacit •rågadve\avinirmuktau madhye brahma prasarpati •• 126 ••

yadavedyaµ yadagråhyaµ yacch¥nyaµ yadabhåvagam •tatsarvaµ bhairavaµ bhåvyaµ tadante bodhasambhava¢ •• 127 ••

nitye nirå©raye ©¥nye vyåpake kalanojjhite •båhyåkå©e mana¢ k®två niråkå©aµ samåvi©et •• 128 ••

yatra yatra mano yåti tatatenaiva tatk\aãam •parityajyånavasthityå nistara√gastato bhavet •• 129 ••

bhayå sarvaµ ravayati sarvado vyåpako ’khile •iti bhairava©abdasya santatoccåra~åcchiva¢ •• 130 ••

ahaµ mamedamityådi pratipatiprasa√gata¢ •nirådhåre mano yåti taddhyånaprera~åcchamı •• 131 ••

nityo vibhurnirådhåro vyåpaka©cåkhilådhipa¢ •©abdånpratik\aãaµ dhyåyank®tårtho ’rthånur¥pata¢ •• 132 ••

atatvamindrajålåbhamidaµ sarvamavasthitam •kiµ tatvamindrajålasya iti dårƒhyåcchamaµ vrajet •• 133 ••

åtmano nirvikårasya kva jñånaµ kva ca vå kriyå •jñånåyatå bahirbhåvå ata¢ ©¥nyamidaµ jagat •• 134 ••

na me bandho na mok\o me bhıtasyaitå vibhı\ikå¢ •pratibimbamidambuddherjale\viva vivasvata¢ •• 135 ••

indriyadvårakaµ sarvaµ sukhadu¢khådisa√gamam •itındriyå~i saµtyajya svastha¢ svåtmani vartate •• 136 ••

jñånaprakå©akaµ sarvaµ sarve~åtmå prakå©aka¢ •ekamekasvabhåvatvåjjñånaµ jñeyaµ vibhåvyate •• 137 ••

månasaµ cetanå ©aktiråtmå ceti catu\†ayam • yadå priye parik\ıãaµ tadå tadbhairavaµ vapu¢ •• 138 ••

vijñånabhairavatantram 185138

nistara√gopade©ånåµ ©atamuktaµ samåsata¢ •dvåda©åbhyadhikaµ devi yajjñåtvå jñånavijjana¢ •• 139 ••

atra caikatame yukto jåyate bhairava¢ svayam •våcå karoti karmå~i ©åpånugrahakåraka¢ •• 140 ••

ajaråmaratåmeti so ’~imådigu~ånvita¢ •yoginınåµ priyo devi sarvamelåpakådhipa¢ •• 141 ••

jıvannapi vimukto ’sau kurvannapi na lipyate •

©rı devyuvåca –

idaµ yadi vapurdeva paråyå©ca mahe©vara¢ •• 142 ••

evamuktavyavasthåyåµ japyate ko japa©ca ka¢ •dhyåyate ko mahånåtha p¥jyate ka©ca t®pyati •• 143 ••

h¥yate kasya vå homo yåga¢ kasya ca kiµ katham •

©rı bhairava uvåca –

e\åtra prakriyå båhyå sth¥le\veva m®gek\a~e •• 144 ••

bh¥yo bh¥ya¢ pare bhåve bhåvanå bhåvyate hi yå •japa¢ so ’tra svayaµ nådo mantråtmå japya ıd®©a¢ •• 145 ••

dhyånaµ hi ni©calå buddhirniråkårå nirå©rayå •na tu dhyånaµ ©arıråk\imukhahastådikalpanå •• 146 ••

p¥jå nåma na pu\pådyairyå mati¢ kriyate d®ƒhå •nirvikalpe mahåvyomni så p¥jå hyådarållaya¢ •• 147 ••

atraikatamayuktisthe yotpadyeta dinåddinam •bharitåkåratå såtra t®ptiratyantap¥rãatå •• 148 ••

vijñånabhairavatantram186 139

mahå©¥nyålaye vahnau bh¥tåk\avi\ayådikam •h¥yate manaså sårdhaµ sa homa©cetanåsrucå •• 149 ••

yågo ’tra parame©åni tu\†irånandalak\a~å •k\apa~åtsarvapåpånåµ trå~åtsarvasya pårvati •• 150 ••

rudra©aktisamåve©astatk\etraµ bhåvanå parå •anyathå tasya tatvasya kå p¥jå kå©ca t®pyati •• 151 ••

svatantrånandacinmåtrasåra¢ svåtmå hi sarvata¢ •åve©anaµ tatsvar¥pe svåtmana¢ snånamıritam •• 152 ••

yaireva p¥jyate dravyaistarpyate vå paråpara¢ •ya©caiva p¥jaka¢ sarva¢ sa evaika¢ kvå p¥janam •• 153 ••

vrajetpråõo vi©ejjıva icchayå ku†ilåk®ti¢ •dırghåtmå så mahådevı parak\etraµ paråparå •• 154 ••

asyåmanucaranti\†hanmahånandamaye ’dhvare •tayå devyå samåvi\†a¢ paraµ bhairavamåpnuyåt •• 155 ••

sakåreãa bahiryåti hakåreãa vi©etpuna¢ •haµsahaµsetyamuµ mantraµ jıvo japati nitya©a¢ •• 156 ••

\a†©atåni divå råtrau sahasrå~yekaviµ©ati¢ •japo devyå¢ samuddi\†a¢ sulabho durlabho jaƒai¢ •• 157 ••

ityetatkathitaµ devi paramåm®tamutamam •etacca naiva kasyåpi prakå©yaµ tu kadåcana •• 158 ••

para©i\ye khale kr¥re abhakte gurupådayo¢ •nirvikalpamatınåµ tu vırå~åmunnatåtmanåm •• 159 ••

bhaktånåµ guruvargasya dåtavyaµ nirvi©a√kayå •gråmo råjyaµ puraµ de©a¢ putradåraku†umbakam •• 160 ••

sarvametatparityajya gråhyametanm®gek\a~e •kimebhirasthitairdevi sthiraµ paramidaµ dhanam •• 161 ••

vijñånabhairavatantram 187161

prå~å api pradåtavyå na deyaµ paramåm®tam •

©rı devyuvåca –

devadeva mahådeva parit®ptåsmi ©a√kara •• 162 ••

rudrayåmalatantrasya såramadyåvadhåritam •sarva©aktiprabhedånåµ h®dayaµ jñåtamadya ca •• 163 ••

ityuktvånanditå devı ka~†he lagnå ©ivasya tu •• 164 ••

iti vijñånabhairavatantraµ samåptam ••

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–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Finito di stampare nel mese di ottobre 2019 da LA TIPOGRAFICA ARTIGIANA

Via Poggio Mirteto, 4 – 02100 Rieti


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