Date post: | 15-Feb-2019 |
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nessun giocatore voleva star fuori, tutti volevano giocare mentre io come
allenatore dovevo scegliere e scontentavo sempre qualcuno. Quante
notti ho passato in bianco per cercare di combinare la squadra: c’era
sempre qualche malcapazz!
Avete vinto qualche campionato?
Non prima della guerra, ma poi dopo la guerra la società è andata avan-
ti, abbiamo fatto lo squadrone. Abbiamo acquistato anche dei giocato-
ri, facevamo dei trucchi con i cartellini perché non si potevano usare gio-
catori non del paese: truccavamo i cartellini o iniziavamo la partita con
un giocatore ammesso e poi, nel dargli il cambio, utilizzavamo un gioca-
tore “straniero”, non di Cocquio.
Dopo la guerra avete ripreso senza problemi?
Un problema è stato rimettere in sesto il campo che era stato seminato
a frumento, ma poi come dicevo tutto è andato bene.
Può raccontarci qualche episodio?
Ho tanti ricordi: ricordo di quel giocatore, un portiere, che è saltato con
la lingua tra i denti. L’avversario gli ha dato un colpo, una ginocchiata, e
lui si è quasi del tutto tagliato la lingua, il dottor Beolchi ha dovuto ricu-
cirgliela.
Ricordo anche la battaglia che abbiamo fatto a Valle Olona, dopo una
partita: siamo andati a bere al Circolo di Biumo, passano delle signorine
e partono complimenti pesanti, così c’è stata una rissa e sono state delle
gran botte. È intervenuta la polizia e qualche giocatore è finito in guar-
dina; il nostro segretario politico è andato a Varese a parlare, si era sotto
il regime fascista e lui era un gerarca che contava; poi chi è stato incri-
minato, è stato rilasciato la sera, ma dovevamo pagare 50.000 lire (allo-
ra si prendevano 4000 lire all’anno, 330 lire al mese) come risarcimento
danni. Poi c’è stata l’ammnistia, in occasione del matrimonio del princi-
pino, nel 1930. Nel frattempo però uno che doveva andare a lavorare in
banca, si è trovato nei pasticci perché aveva la fedina penale sporca.
Ricorda la partita tra astemi e bevitori?
Mi sembra di ricordare, era il 1943, era una amichevole, tra i patiss e i
beoni. Nella foto non riconosco tutti perché molti sono milanesi sfollati
durante la guerra: anche loro partecipavano alla vita del paese.
È vero che lei metteva il pallone nel pozzo la sera prima delle partite che
1929,una formazione di S. Andreavincitrice a Biandronno.
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giocavate in casa?
Noi come squadra eravamo un po’ lenti anche perché come dicevo il ter-
reno era pesante, allora quando venivano squadre più veloci di noi io
mettevo il pallone tutta la notte nel pozzo per farlo diventare “gnucco”
e per recuperare un po’ di svantaggio.
Avevate molti tifosi?
Molti e molto appassionati, tra loro c’erano anche molte donne, faceva-
mo dei begli incassi. Ma questo dopo la guerra soprattutto.
C’erano i premi partita?
All’inizio a fine partita si andava a mangiare e a bere insieme dal
Gasparini, e questo era tutto e ci si divertiva. Dopo qualche soldo in più
c’è stato. Quando abbiamo vinto il campionato, nel 1950, siamo andati
in gita premio a Genova.
Siete stati là molti giorni?
Siamo andati e tornati in un giorno, io allora ero l’allenatore, era il perio-
do dello squadrone. Siamo andati con il pullman del Maretti e siccome
per farmi uno scherzo mi avevano nascosto i calzoni, ho preso una ten-
dina del pullmann e l’ho messa come un gonnellino per poter scendere,
così ho fatto lo scozzese a Genova! Ci siamo divertiti molto a girare per
la città e passando per i vicoli abbiamo staccato dalla corda tutti i cesti-
ni che le massaie facevano scendere dai piani alti per farci mettere la
spesa.
Dopo aver vinto il campionato siete passati di categoria?
Non avevamo soldi abbastanza e avevamo anche difficoltà per alcuni
giocatori a ottenere i brevetti. Per averli bisognava superare delle prove
atletiche, corsa, salto in alto, salto in lungo, e non tutti riuscivano a
superare le prove e ad avere il tesserino, anche se un nostro giocatore, il
Beverina, poi ha giocato in serie B.
Ha qualche altro ricordo di prima della guerra?
Nel 1932 sono stato a Roma per il campionato italiano Dopolavoro.
Facevamo le eliminatorie a Varese, alle Bettole, io il giorno delle elimina-
torie avevo mal di gola. La gara era sugli otto chilometri; partiamo e
primo arriva il Filippo Anessi, poi uno di Saronno, poi io e poi un altro di
Saronno. I primi quattro andavano a Roma, così nel ‘32 sono stato a
Roma per le gare.
L’allenatore Cardanial lavoro coi suoi ragazzi,
sullo sfondo la torre campanaria
di Caldana.
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Era la prima volta che andava a Roma?
Sì, allora non ci si spostava mica come ora! Avevo vent’anni e non ero
mai stato a Roma. Ho viaggiato in treno, siamo partiti alle due del
venerdì pomeriggio e siamo arrivati a Roma la mattina del sabato, abbia-
mo viaggiato di notte da Milano a Roma.
Eravate molto veloci, come vi allenavate?
Correvamo dopo il lavoro, a volte anche dopo il lavoro e dopo una par-
tita a calcio. D’estate io e il Filippin partecipavamo a tutte le gare e le vin-
cevamo tutte. Si guadagnavano quaranta, cinquanta franchi a gara.
Anche a Roma ho vinto, anche se la prima volta avevo delle scarpette
che erano come delle pantofole, e ho dovuto correre nella palta, e la
seconda volta, che mi ero fatto fare delle scarpe con i chiodi, mi hanno
fatto correre su strada!
Dunque è andato a Roma due volte a gareggiare?
Sono tornato nel 1935, ho vinto una medaglia che non ho più perché
l’ho data poi quando c’è stata la raccolta del metallo per la patria.
Vuole raccontarci qualcosa del paese, di come era prima e durante la
guerra?
C’era uno stabilimento, della SNIA, poi ha chiuso e ha riaperto come
meccanica, collegato alla prima guerra mondiale. Credo provassero il
funzionamento delle mitragliatrici.
C’erano reparti militari di stanza?
No, c’era qualche militare ma non reparti. Poi, durante la guerra, ci lavo-
ravano le donne, può darsi che facessero munizioni perché qui in zona
c’erano molte polveriere: a Varano ma anche più a sud.
Ricordo che quando ancora andavo a scuola, è esplosa una polveriera,
era il 1920 circa; lo scoppio ha fatto un grande rumore, un gran botto.
Poi le case lì vicino le hanno ricostruite di legno perché così se ci fosse
stata un’altra esplosione non sarebbero più crollate.
Quando lei ha fatto le elementari, in paese c’erano tutte le classi?
No, solo fino alla quarta, ma molti si fermavano prima, non arrivavano
sino in quarta.
Ricordo che a causa della rivalità tra Sant’Andrea, Caldana e Cocquio, io
avevo problemi a tornare da scuola, perché per una strada o per l’altra,
dovevo passare davanti ai “nemici”.
S. Andrea,la tifoseria della Promozione
negli anni d’oro.
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Era forte, questa rivalità?
Tra i Balit, quelli di Sant’Andrea, e i Burdun, quelli di Cocquio, si faceva
sempre a sassate, era quella, la mentalità.
Spero non finisse sempre a sassate! Facevate spesso degli scherzi?
Di tutti i tipi, anche perché le persone erano più semplici e a volte anche
non volendo finiva in burla, come quando ho visto uno che portava un
gran vaso di ciclamini, con grande attenzione e con grande fatica; allo-
ra gli ho detto: “Perché non lo porti all’incontrario, così fai meno fati-
ca?”. Lui ha rovesciato il vaso e il ciclamino è caduto, con tutta la terra,
giù. Siamo rimasti male in due!
Allora non erano scherzi preparati?
Succedeva, spesso per caso, senza grandi preparativi, come quando la
sera facevo finta di essere ubriaco e mi facevo sorreggere per tutta la
strada, poi quando ero vicino a casa, mi tiravo su e mi mettevo a ridere.
Una volta però per uno scherzo che ho fatto ci sono rimasto proprio
male.
Com’è andata?
C’era questo che era un mezzo barbone e tirava su qualche soldo lavo-
rando nei giardini. Era anche fifone e siccome per andare a lavorare nel
giardino del dottor Beolchi doveva passare davanti al cimitero, non vole-
va andare e per andare si faceva dare qualche soldo in più di mancia.
Una volta è riuscito a comprarsi delle belle scarpe marroni e le ha porta-
te a fare vedere alla Cooperativa. Per farlo un po’ spaventare, io le ho
prese, ho tirato su il coperchio della stufa, era inverno, e le tenevo sopra
il fuoco. Volevo solo farlo spaventare ma qualcuno mi ha dato un colpo
sulla mano e così le scarpe sono cadute nel fuoco! Quella volta ci sono
rimasto proprio male!
Questa è stata grossa!
Un’altra grossa burla è stata quando un burlone si è infilato nel confes-
sionale, al buio, per confessare le donne. Una volta dentro ha acceso la
lampadina per segnalare che nel confessionale c’era qualcuno, ma inve-
ce delle donne è entrato un suo amico. Lui dalla voce l’ha riconosciuto
e siccome sapeva che l’amico aveva una storia con una donna che non
era sua moglie, continuava a dire: “È tutto? Non c’è altro da confessa-
re?”, perché voleva fargli dire del tradimento, ma quello raccontava
tante cosette ma non quella, e lui allora: “È tutto?”.
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