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Lug / Ago 2005 Viste 3
Romano Mazzucco
L’autunno, che in Giappone con i suoi
colori assume spesso aspetti poetici,
inizia all’insegna delle scienze e della
tecnologia, come si potrà notare dalla
nostra copertina. E anche anche la
Camera ricomincia le sue attività.
La Camera di Commercio Italiana in Giappone partecipa al Bio Japan
2005 dal 7 al 9 settembre con una sua nuova associata, la Areta
International, un’azienda italiana specializzata nel settore biofarmaci.
A settembre sono inoltre previsti alcuni appuntamenti importanti che
qui voglio ricordare: il primo è il seminario “L’uomo e il robot,
l’approccio italiano e giapponese” organizzato dall’Ambasciata
d’Italia in collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e
la Waseda University di Tokyo, legato all’importantissima collaborazione
tra le due università. Per quanto riguarda la ricerca nel campo della
robotica, troverete una presentazione alle pagine 14 e 15.
Il secondo importante appuntamento si terrà invece a Kyoto
dall’11 settembre e si tratta del Science and Technology in Society
Forum, un convegno che mira ad approfondire e discutere le con-
troversie della scienza e della tecnologia nel XXI secolo. Maggiori
informazioni le potrete trovare a pagina 13.
Ma l’attività della nostra Camera non si esaurisce qui. Come avrete
notato dalla terza di copertina, abbiamo inserito l’annuncio del
nostro Gala annuale in programma per il 22 novembre, il
tradizionale appuntamento autunnale della Camera di Commercio
Italiana con i soci e con la comunità d’affari giapponese interessata
al nostro Paese. Sin dalla prima edizione del 1999 il Gala Dinner ha
sempre avuto un semplice obiettivo: quello di dare alla comunità
italiana in Giappone e alla comunità giapponese interessata
all’Italia, un’occasione di incontro, dove potersi promuovere, socia-
lizzare e passare una serata in allegria. E nello stesso tempo,
mostrare ai media e agli opinion maker giapponesi le ricchezze
dell’Italia in tutti i settori: aziende, prodotti, persone e luoghi, in
quello che potremmo definire un country marketing vero e proprio.
Tutto ciò potrà essere realizzato solo con l’aiuto dei nostri soci
perciò vi invito sin d’ora a darci una mano per il successo di questa
importante manifestazione.
Vorrei inoltre congratularmi con il dr. Umberto Donati ed il suo
intero staff per il grande successo riportato dal Padiglione Italia ad
Aichi. Dopo Italia in Giappone nel 2001, un’altra grande, difficile
scommessa vinta alla grande.
Infine vorrei cogliere l’occasione per ringraziare tutti coloro che
stanno collaborando alla realizzazione di questa rivista. Noterete
che le pagine di pubblicità stanno pian piano aumentando e
questo ci riempie di orgoglio perché dimostra apprezzamento e
fiducia nel nostro lavoro. Vi annuncio inoltre sin d’ora che stiamo
preparando un numero speciale, previsto per gennaio, dedicato
all’immagine dell’Italia in Giappone, così come risulterà da un
grande sondaggio svolto da un’agenzia specializzata. Vi invito
quindi a continuare a sostenerci in modo da poter aumentare la
tiratura, migliorare la distribuzione, rafforzare l’immagine di una
rivista che riflette quella dell’Italia e che per noi sta diventando,
anche grazie ai numerosi attestati di stima, un vero e proprio fiore
all’occhiello. Sappiate infine che la nostra porta resta sempre aperta
a qualsiasi suggerimento costruttivo ed offerta di collaborazione da
parte vostra. Per farlo, mandate un e-mail all'attenzione del
Segretario Generale o al nostro Direttore Editoriale, Pio d’Emilia.
Buon lavoro.
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Lug / Ago 2005 Viste 5
Pio d'Emilia
Come si evince dalla nostra copertinaquesto numero di Viste ha per temascienze e biotecnologie e nasce dall’e-sigenza di esplorare, e promuovere,quei settori nei quali l’Italia, pur eccel-
lendo, non gode della fama e dell’immagine che si merita.Quando si parla di Italia ai nostri amici giapponesi vengono inmente subito l’arte, il lifestyle, la moda, il cibo e il vino. Ma l’Italianon è solo questo: ci sono altri campi di eccellenza, forse menonoti ma non per questo meno importanti. Il successo delPadiglione Italia all’Expo di Aichi (il più visitato tra quelli stranieri)ha mostrato con grande efficacia come cultura e ricerca dell’ec-cellenza siano una costante della nostra storia. Un messaggioche milioni di giapponesi hanno certamente recepito, restandoammaliati dalla bellezza del Satiro Danzante ma anche dai gran-di successi dell’alta tecnologia e della ricerca italiane. Secondo il19° Rapporto annuale mondiale di biotecnologia di Ernst &Young, Beyond Borders - Global Biotechnology Report 2005,pubblicato recentemente, circa 30 anni dopo che la prima azien-da di biotecnologia iniziasse la sua attività, il settore sta raggiun-gendo un nuovo livello di maturità e globalizzazione. Sostenutedall’appoggio dei governi e dal capitale privato, le aziende che sioccupano di biotecnologia nel mondo stanno trasformando unascienza relativamente nuova in proposte sempre più concreteper il miglioramento della nostra vita. Il grande valore aggiuntodistribuito a pazienti e azionisti sono la misura del successo di
questa scienza.Gli Stati Uniti, ovviamente, rimangono i leader della biotec-nologia globale con un margine ancora molto significativo. Equesto per tre motivi: 1) le società americane hanno raccoltol’80% del capitale di rischio; 2) il 78% del fatturato mondialedella biotecnologia è prodotto dagli USA; 3) più del 50% delleaziende del settore sono ancora localizzate in America. E l’Italia el’Europa che fanno? Come il Giappone, si stanno dando moltoda fare, anche se denunciano un forte ritardo e debbono supe-rare (almeno nel caso europeo) ancora molti impedimenti di tipolegislativo. Tuttavia, dopo un periodo negativo nel 2003, il fat-turato del 2004 appare in forte ripresa ed il settore, grazie ainumerosi aumenti di capitali, denuncia grande vitalità. IlGiappone, dopo aver concluso il XX secolo in netto ritardorispetto all’Occidente nello sviluppo dell’industia biotecnologica,è oggi consapevole della grande importanza strategica del set-tore e ha avviato una serie di politiche atte a recupare in fretta iltempo perduto. E sebbene medicina e cura della salute sianostati punti chiave, il Governo sta ora promuovendo le inno-vazioni biotecnologiche in agricoltura, produzione energetica etutela dell’ambiente.
La Camera di Commercio Italiana in Giappone partecipa al BioJapan 2005 (7 al 9 settembre) con una sua nuova associata, laAreta International, un’azienda italiana specializzata nel settoredei biofarmaci, che ha deciso di provare ad entrare nel mercatogiapponese con i suoi prodotti.
BioitalyE
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ICCJ Consiglio Direttivo2005
Presidente OnorarioMario BOVAAmbasciatore d’Italia in Giappone
PresidenteRomano MAZZUCCOR&M Japan & Co.
Vice PresidenteMaurizio FASCEa. hartrodt (Japan) Co. Ltd
ConsiglieriEgidio Del VECCHIODel Vecchio ConsultingElio ORSARAKioi CorporationGlauco G. POMPILIOEureco Ltd.Roberto RIGHIPirelli Japan K.K.Adriano VILLAPavia e AnsaldoRenzo VILLAStudio Villa
ICCJEnokizaka Building 3F, 1-12-12 Akasaka Minato-Ku,107-0052 TokyoTel + 81.3.3560.1100Fax +81.3.3560.1105E-mail: [email protected]
BIOPLAST s.r.l. è costantemente impegnatanella adozione di procedure di lavorazioneorientate al raggiungimento dei più alti standarddi qualità nello spirito delle norme EN ISO 9000facendo ogni sforzo per soddisfare la clientelaper quanto riguarda: .Qualità
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.Supporto tecnicotutti aspetti che hanno sempre contraddistintola propria trentennale attività.
BIOPLAST s.r.l.Via Longare,11 36040 TORRI DI QUARTESOLO (Vicenza) ItalyTel. ++39 0444.580.082 r.a. Telefax ++39 0444.581.851E-mail: [email protected] www.bioplast.com
Segretario GeneraleAlessandro BORELLI
Che tipo di società è Areta International?
Areta è un’azienda che produce conto terzi lotti ad hoc di biofar-
maci (cellule per la terapia cellulare, anticorpi e proteine ricombi-
nanti) per gli studi clinici e preclinici.
Potrebbe descrivere in breve la storia dell’azienda?
Nel 1996 ero responsabile di laboratorio presso il Centro Ricerche
Lepetit, parte di diverse società multinazionali di DOW Chemical, e
decisi di iniziare a sondare il mercato (europeo e statunitense) dei
servizi nell’ambito della biotecnologia.
Alla fine del 1999 fondai Areta International come spin-off dei
laboratori di biologia cellulare del Centro Ricerche Lepetit.
Nel 2000 Areta divenne operativa con un impianto ad alto conteni-
mento per colture cellulari in cellule di mammifero ed alla fine del-
l’anno ottenne la certificazione ISO 9001.
Nel 2001 l’azienda iniziò la produzione per conto terzi di lotti di vali-
dazione di anticorpi monoclonali, cellule umane per la terapia e pro-
teine ricombinanti.
Nel 2002 Areta raggiunse il punto di pareggio ed alla fine del 2003
ottenne la certificazione ISO 9001:2000.
Nel 2004 l’azienda è stata autorizzata dal Ministero della Salute
Italiano a produrre in condizioni GMP lotti di cellule per la terapia
cellulare per studi clinici di fase I e II e nel 2005 sta estendendo l’au-
torizzazione GMP anche agli anticorpi monoclonali ed alle proteine
ricombinanti.
Com’è organizzata Areta?
Areta è organizzata in due divisioni: ARETA GMP (Terapeutici) ed
ARETA RESEARCH (R&S e Diagnostici).
Qual è il know how dell’azienda?
Il know how dell’azienda è rappresentato dai miei 15 anni di espe-
rienza presso i laboratori di biologia cellulare della Lepetit su:
- generazione e produzione di anticorpi monoclonali
- ELISA e resine d’immunoaffinità per i progetti pro-uPA, t-PA,
EPO, GCSF, gp-120, REV, gag e beta-amiloide
- produzione di proteine ricombinanti (u-pa, pro-upa, ga-epo,
gcsf) per uso terapeutico per tutti i centri globali delle società
multinazionali di DOW Chemical.
…e la tecnologia?
La piattaforma biotecnologica di ARETA RESEARCH comprende lo
sviluppo di particolari metodi per:
- la generazione, la produzione e la purificazione di anticorpi
monoclonali
- la messa a punto di ELISA
- i test basati sulle cellule.
La piattaforma di ARETA GMP comprende l’ottimizzazione del pro-
cesso di produzione, il miglioramento della produttività del ceppo e
l’adattamento a terreno senza siero, la scelta del bioreattore più
Intervista alla dr.ssa Maria Luisa Nolli, C.E.O. di Areta International
adatto, la messa a punto dei metodi di purificazione, la messa a
punto di test analitici, la produzione di lotti per gli studi clinici e pre-
clinici, la messa a punto – in accordo con il cliente – di piani di pro-
duzione di bulk farmaceutici e dell’allestimento delle forme
galeniche nonché, ove richiesto, il trasferimento tecnologico al
cliente.
Qual è l’approccio che Areta utilizza per lo sviluppo di biofar-
maci?
Areta può strutturare il programma di produzione secondo le reali
necessità del cliente. Questo approccio evita una produzione quan-
titativamente troppo consistente durante le fasi iniziali del progetto
(cosa che può dare luogo, per il nostro cliente, a forti perdite sia in
termini di prodotto che in termini meramente economici) attraverso
la corretta applicazione dello sviluppo di processo con l’obiettivo di
costruire un processo robusto per le fasi più avanzate nel lungo per-
corso necessario a che un farmaco divenga un prodotto.
Per quanto riguarda la terapia cellulare, quali sono i settori
verso cui Areta ha focalizzato la propria attività?
All’interno dei laboratori di Areta si espandono cellule potenzial-
mente utilizzabili per diversi tipi di terapie: antitumorale, per patolo-
gie del sistema nervoso centrale e cardiovascolare nonché per
malattie metaboliche rare. In quest’ottica Areta è parte integrante
del percorso di sviluppo clinico di potenziali biofarmaci in quanto
offre loro un prodotto in completa osservanza delle normative
GMP.
L’azienda inoltre è partner di numerosi Istituti di Ricerca sia pubblici
che privati nell’ambito di progetti che hanno ottenuto finanziamenti
sia da parte del Ministero della Salute Italiano che della Comunità
Europea, soprattutto per quanto riguarda le cellule staminali.
La terapia cellulare è il futuro dell’industria farmaceutica ed il
grande interesse rivolto alle staminali si basa anche su questa con-
vinzione.
A questo proposito di cosa occupa Areta?
Nell’ambito delle colture cellulari Areta garantisce lo studio e l’e-
spansione sia di linee cellulari stabilizzate che di altri tipi di cellule
non stabilizzate quali, ad esempio, cellule staminali adulte.
Per quanto riguarda le prime, per Abiogen Pharma di Pisa che ha
iniziato le fasi I e II degli studi clinici in Italia utilizzando cellule per il
trattamento della carcinogenesi peritoneale, Areta ha provveduto
alla loro produzione ed alla messa a punto della loro industrializ-
zazione.
Per quanto attiene invece alle cellule staminali adulte, tra l’azienda e
diversi Istituti di Ricerca esistono già protocolli d’intesa per l’e-
spansione di cellule staminali adulte sia per la rigenerazione ossea
che per il trattamento dell’ischemia del miocardio.
E per quanto riguarda l'allotrapianto?
Questo discorso è molto interessante.
Infatti la produzione di cellule staminali è di per se un processo
lungo e laborioso cosicché il loro utilizzo per trapianto autologo,
cioè per un singolo paziente, risulta limitante quanto a potenzialità
di utilizzo e quindi, in qualche misura, antieconomica.
In quest’ottica, riuscire ad ottenere cellule staminali compatibili con
più individui le renderebbe accessibili ad un comparto più esteso
della popolazione e ne faciliterebbe la diffusione. Per questo moti-
vo stiamo studiando protocolli di cellule staminali adulte per allo-
trapianti e stiamo mettendo a punto nuovi protocolli per ottimizzare
la loro espansione in attesa di poterle fornire per le prime sperimen-
tazioni.
Avete in mente di introdurre anche innovazioni di processo?
In realtà, per quanto attiene la fase di espansione cellulare, Areta
utilizza bioreattori ad alto rapporto superficie/volume, sterili, facili
da usare, modulari, progettati per cellule che crescono in adesione.
Ma recentemente abbiamo dimostrato che questo tipo di bioreattori
può essere utilizzato con successo anche per l’espansione di cellule
in sospensione. Questo tipo di bioreattore è estremamente adatto
al nostro impianto GMP in quanto evita la cross contaminazione e la
convalida delle operazioni di bonifica mentre la sua modularità ci
consente un notevole risparmio sia in termini economici che in ter-
mini di spazio. Per queste ragioni Areta sta collaborando con
un’azienda leader nel settore per mettere a punto nuovi prototipi di
bioreattore in grado di adattarsi sempre meglio al nostro schema
d’impianto.
Inte
rvista
Biotecnologia in Italia: l'esperienzadi Areta International
Lug / Ago 2005 Viste 76 Lug / Ago 2005 Viste
di Renzo Villa
La dr.ssa MariaLuisa Nolli, C.E.O diAreta International.
Dottore commercialista, Consigliere della Camera di Commercio Italiana in Giappone
ARETA INTERNATIONAL s.r.l.via R. Lepetit, 3421040 Gerenzano (VA)ItalyTel.: +39 02 96489264Fax: +39 02 96489260E-mail: [email protected]
Lug / Ago 2005 Viste 1110 Lug / Ago 2005 Viste
Come sei arrivato in Giappone?
Sono arrivato in Giappone 10 anni fa, dopo la laurea in biologia con
specializzazione in biochimica conseguita all’Università di Trieste. A
23 anni, ho cominciato a lavorare all’università ed in un’azienda e
mi sono occupato di biotecnologie cercando di barcamenarmi per il
reperimento di fondi per la ricerca. Fra i 24 e i 29 anni ho cercato di
creare il mio campo di ricerca ma ad un certo punto mi sono reso
conto che in Italia non esistevano le possibilità di svilupparlo, nell'ac-
cademia non c'era la possibilità di assunzione e quindi ho deciso di
andarmene all'estero. Pensavo di andare negli Stati Uniti ma ad un
congresso in Germania ho incontrato quello che sarebbe diventato
il mio capo, il dr. Hayashizaki del RIKEN. Il timing è stato perfetto: io
volevo sviluppare tecnologia per il sequenziamento dell’analisi del
genoma e lui era stato appena nominato responsabile della ricerca
sul genoma presso il RIKEN Institute: trasferirmi in Giappone è stata
una scelta naturale.
La ricerca sul genoma era una tua vecchia fissazione?
Si, in Italia il mio professore, Claudio Schneider, aveva contribuito a
far partire, o meglio provato a far partire il progetto Genoma
Italiano, che per mille problemi non era mai riuscito a decollare, io
però avevo già cominciato a sviluppare alcune tecnologie e avevo
già scritto 3 o 4 pubblicazioni, ero quindi abbastanza competente in
questo campo. A quel punto non mi rimaneva altro da fare che
trasferirmi all’estero per proseguire le mie ricerche. E poi ho incon-
trato il dr. Hayashizaki.
Sei arrivato in Giappone come borsista e poi?
Due anni dopo si è aperta una posizione presso il Riken e sono stato
assunto come coordinatore del team che si occupa di identificare le
parti codificanti del genoma (in termine tecnico, scoprire le sequen-
ze degli mRNA), sono a tutti gli effetti un dipendente statale dal
momento che il Riken è finanziato dal governo giapponese. E per
ottenere tutto questo non ho avuto bisogno di raccomandazioni!
D’altro canto ho dovuto imparare il giapponese poiché lavoravo
con tecnici che non parlavano una parola di inglese. Ma è stato
divertente.
Puoi spiegare a un profano di estrazione umanistica, quale il
sottoscritto, cos’è esattamente il genoma e perché è impor-
tante la sua mappatura?
Il genoma è come un libro di istruzioni di un organismo, ovvero un
codice, un programma. Come codice, però va decodificato: è come
se ad un lunghissimo testo ci togliessimo spazi e punteggiatura e
facessimo un’unica lunghissima parola: immagina decine di milioni
di lettere una attaccata all’altra, non esistono gli spazi non esiste la
punteggiatura, quindi mappare il genoma significa mettere la pun-
teggiatura, separare le parole, creare frasi di senso compiuto per
arrivare a comprendere come funziona tutto l’organismo e se
c’è qualche problema intervenire ed in futuro ripararlo.
Perché il topo?
Perché il topo ha caratteristiche simili a quelle dell’uomo a livello di
geni, mappare il genoma del topo significa arrivare a rendere leggi-
bile la parola lunghissima di cui parlavo poc’anzi e, dal momento
che il 99% dei geni di topo e dei geni di uomo sono più o meno gli
stessi, mi aiuta a comprendere quella dell’uomo. Facendo un altro
paragone linguistico è come se il genoma del topo fosse scritto in
Colloquio con Piero Carninci, ricercatore italiano presso il RIKEN Genome Science Laboratory di Wako
italiano e quello dell’uomo in spagnolo: allineare sequenze di parole
nelle due lingue, dal momento che ci sono moltissime parole simili
che hanno lo stesso significato, aiuta la comprensione.
Quindi il tuo lavoro in questi 10 anni di ricerca è consistito nel
mappare il genoma del topo?
In realtà il mio lavoro è stato quello di sviluppare tecnologie per
capire la punteggiatura, il DNA è un codice che viene trascritto in
RNA. Le mie tecnologie sono servite a creare delle biblioteche di
questi RNA per analizzarli, per capire dove sono i geni e che pro-
teine generano. Inoltre abbiamo anche scoperto che certi RNA fun-
zionano come tali piuttosto che codificare per proteine, ed abbiamo
aperto il campo dei non-protein-coding RNA.
Quali sono le applicazioni di queste ricerche?
Ad esempio, a livello di diagnostica si acquisisce la capacità di indi-
viduare più velocemente e più precisamente malattie, tumori e
realizzare farmaci per curarli. Inoltre, queste ricerce sono essenziali
per sviluppare nuovi farmaci.
Quando sei stato premiato con il Biotec Award nel 2001, il
Ministro Sirchia pronunciò una filippica sulla situazione della
ricerca in Italia nella quale sosteneva senza mezzi termini che
l’Italia è un Paese ignorante. È cambiato qualcosa?
In Italia la ricerca è vista più come un costo che come un investi-
mento. Premesso che sono via da molto tempo, per quella che è la
mia esperienza e di alcuni colleghi con i quali sono in contatto, in
Italia in questo momento ci sono rimasti dei veri e propri eroi che
per passione e pur di restare nel nostro Belpaese combattono tutti i
giorni con la mancanza di mezzi, dovendo fare più politica che ricer-
ca. Anche l'erogazione di fondi sembra seguire logiche più di parti-
to che di validità di ricerca. Insomma siamo molto indietro rispetto
agli Stati Uniti e al Giappone che investono rispettivamente il
2.69% e il 2.98% del PIL (l’Italia è al quart’ultimo posto in Europa
con un investimento in attività di ricerca e sviluppo del 1.03% del
PIL contro il 3.85% della Svezia, il 2.32% della Germania, il 2.20%
della Francia e l’1.18% del Regno Unito).
Gli Stati Uniti a livello di biotecnologie occupano una
posizione dominante, leggevo nel rapporto annuale di
biotecnologia mondiale appena pubblicato da Ernst & Young
(Beyond Borders) che dice che più dell’80% delle aziende del
settore sono americane, quali sono, secondo te, le possibilità
per le aziende italiane?
In Italia c’è un po’ di movimento, ci sono delle piccole aziende valide
che si stanno affermando e ci sono anche dei finanziamenti per
ricerche già in corso di sviluppo, ma non per degli start up. Se tu hai
una buona idea di ricerca che ti può portare a dei risultati concreti
in termini anche di business, per esempio per la creazione di un far-
maco, in Italia in questo momento è impossibile avere un finanzia-
mento per far partire il progetto. Negli USA e in Giappone invece ci
sono molte aziende disposte a rischiare. Un esempio concreto? Il
mio capo qui al RIKEN, ha una piccola azienda privata ed ha presen-
tato il suo progetto alla Mitsubishi Chemical che senza batter ciglio
gli ha messo in mano 20 milioni di dollari per partire.
Il problema principale per l’Italia è che manca un piano a tutti i
livelli finalizzato alla ricerca, non c’è una strategia di spin-off, non ci
sono patent attorney, uffici di licensing o uffici brevetti presso le
università. Non c’è esperienza di venture business, né persone in
grado di insegnarlo. Insomma bisognerebbe prendere il modello
americano ed applicarlo a tutto il sistema universitario italiano dalla
base ai vertici.
Progetti futuri?
Continuare il mio lavoro qui in Giappone (dove tra l’altro sto com-
prando casa) e dove mi trovo assai bene.
Inte
rvista
“L’Italia vede la ricerca come un costo non come un investimento”di Alessandro Borelli
Piero Carninci ripreso nel suolaboratorio presso il RIKENGenome Science Laboratory diWako.
Lug / Ago 2005 Viste 13
Il progresso esplosivo di scienza e tecnologia fino al XX secolo ha appor-
tato prosperità ed ha arricchito la qualità della vita per molto del genere
umano.
Tuttavia, l’avanzamento di questo progresso fa emergere un’impor-
tante controversia morale, sulla sicurezza e sull’ambiente: le possibili
applicazioni negative stanno minacciando il futuro del genere umano.
Dato che il progresso nella scienza e tecnologia si suppone che acceleri
e sarà indispensabile per lo sviluppo del XXI secolo, il buonsenso deve
essere utilizzato per tenerlo sotto un adeguato controllo.
Devono essere date delle opportunità, ma i rischi devono essere con-
trollati. Salute e molti altri aspetti dell’umano benessere dipendono dal
continuo progresso della scienza e tecnologia.
Allo stesso tempo, i benefici non stanno raggiungendo la maggior
parte dell’umanità. Le barriere che stanno ostacolando le opportunità di
usare la scienza e la tecnologia per risolvere i problemi del mondo
devono essere abbattute.
È arrivato il tempo non solo per i gli studenti ed i ricercatori, ma anche
per i Governi, per i business leader e i media leader di tutto il mondo di
incontrarsi e discutere le controversie della scienza e tecnologia nel XXI
secolo.
Il forum “Scienza e Tecnologia nella Società”
mira a fornire una nuova tecnica per aprire una
discussione su base informale e costituire un
network umano capace, in tempo, di risolvere i nuovi
generi di problemi che derivano dalle applicazioni della
scienza e della tecnologia. Il forum vuole inoltre esplorare le
opportunità che emergono e spiegare come rimuovere
le barriere usando queste scienze per risolvere i problemi
dell’umanità.
I membri del forum sono invitati a partecipare, non come
rappresentanti dei loro paesi o organizzazioni, ma come individui espri-
mendo il loro proprio punto di vista. Questo forum non è necessaria-
mente una piattaforma per specialisti per infondere unilateralmente le
loro conoscenze, ma piuttosto un’opportunità per un reale dialogo fra
pari. I partecipanti possono inoltre intraprendere attività di cross-border
per la costituzione di valori condivisi e promesse per il futuro.
Science and Technology in Society: Lights and Shadows— For a Sustainable Future —Venue: Kyoto International Conference Hall
Sep. 11 2005 (Sun.)16:30 - 18:30
102A1 Sustainability - Energy and Environment102B1 Life Sciences102C1 IT’s Impact on Human Society102D1 Capacity Building: Conditions for Knowledge-based
Society102E1 Science and Technology for Human Security102F1 New Frontiers Opened by Science and Technology
Sep. 12 2005 (Mon.) 10:00 - 12:00
201A2 Plenary Session201B2 Life Sciences: Ethical Aspects of Stem Cells and
Regenerative Medicine201C2 IT’s Impact on Human Society: Interoperatibility201D2 Capacity Building: Science Education and
Communication201E2 Science and Technology for Human Security:
Infectious Diseases201F2 New Frontiers Opened in NT
13:30 - 15:30 203A3 Sustainability - Energy and Environment:
Long-term Energy Paths203B3 Life Sciences: New Applications of Genomics to
Agriculture203C3 IT’s Impact on Human Society: Digital Archiving203D3 Capacity Building: University Reform203E3 Science and Technology for Human Security: Reducing
the Vulnerability of Critical Infrastructures203F3 New Frontiers Opened in IT
16:00 - 18:00 204A4 Sustainability - Energy and Environment:
Strategies for Efficient and Renewable Energy Use204B4 Life Sciences: Translation of Science to the Marketplace
- The Development of Medicine for Global Health204C4 IT’s Impact on Human Society: Security / Privacy204D4 Capacity Building: Intellectual Property Rights204E4 Science and Technology for Human Security:
Fighting against Natural Disasters204F4 New Frontiers Opened in Manufacturing
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“Lights and Shadows”Scienza e tecnologia nella società
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14 Lug / Ago 2005 Viste Lug / Ago 2005 Viste 15
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Il laboratorio congiunto per la ricerca in robotica umanoide e per-
sonale “RoboCasa” è stato avviato nel Marzo 2003 a Tokyo con il
supporto del Ministero degli Affari Esteri, Direzione Generale per la
Promozione e Cooperazione Culturale, all’interno del 7° Programma
Esecutivo di Cooperazione Internazionale fra Italia e Giappone
(2002-2006). L’iniziativa proposta si colloca nell’ambito della ormai
ventennale collaborazione tra la Scuola Superiore Sant’Anna (SSSA) e
la Waseda University di Tokyo, con particolare riferimento alla
cooperazione tra i rispettivi ARTS Lab (Advanced Robotics
Technology and Systems Laboratory) e HRI (Humanoid Robotics
Institute) nel settore della robotica umanoide e personale. Le varie
attività sono seguite e supportate anche dall’Ambasciata d’Italia a
Tokyo con la collaborazione di altri enti italiani in Giappone, quali
l’Istituto Italiano di Cultura e l’Istituto nazionale per il Commercio
Estero.
Obiettivo strategico di RoboCasa è la creazione di un solido legame
tra Italia e Giappone attraverso la realizzazione di un network tra le
università, i centri di ricerca e le piccole e medie imprese ad alta tec-
nologia dei due Paesi (e, per estensione, in Europa e in Asia), nei
campi della robotica avanzata (robotica umanoide, bio-robotica,
neuro-robotica, robotica riabilitativa e personale), tecnologie
mediche e biomediche, e relative tecnologie biomeccatroniche.
Questo obiettivo viene perseguito operando su tre differenti livelli:
. Ricerca di eccellenza;
. Educazione e formazione;
. Intensificazione delle relazioni
industriali tra i due Paesi, specialmente
tra le piccole e medie imprese ad alta
tecnologia.
Nel corso del 2005, come proseguimento del lavoro svolto negli
anni precedenti, le attività di ricerca di RoboCasa si sono concen-
trate su temi a carattere sia scientifico-tecnologico che economico.
Il tema scientifico-tecnologico prevede lo studio e lo sviluppo di alcu-
ni moduli fondamentali per l’analisi delle interazioni fra uomo e
robot, quali, ad esempio, un sistema vestibolare artificiale, sensori
per la misura del movimento e di parametri fisiologici (es. l’elettrocar-
diogramma, l’elettromiogramma, la sudorazione e la respirazione) e
l’analisi dell’efficacia della trasmissione delle emozioni dal robot
all’osservatore. Lo sviluppo e l’utilizzo di questi moduli permette una
migliore comprensione dei meccanismi alla base del funzionamento
del corpo umano. I risultati di questi studi possono inoltre essere
applicati alla realizzazione di diversi dispositivi, quali ad esempio
interfacce per la teleoperazione del robot in ambienti ostili all’uomo,
sistemi per la riabilitazione per pazienti disabili e robot di servizio per
pazienti anziani e disabili con una migliore capacità di interazione
uomo-macchina. Come piattaforma per gli esperimenti viene utiliz-
zato principalmente il robot umanoide WE-4RII (Waseda Eye #4
Refined II), soprannominato “Eye-chan”, il quale è in grado di intera-
gire con le persone e con l’ambiente circostante replicando le
emozioni base dell’animo umano (felicità, sorpresa, rabbia, paura,
tristezza, disgusto).
Per quanto invece riguarda il tema economico, sono state
attivate alcune nuove linee di ricerca in collaborazione
tra il Dipartimento di Economia della SSSA, il
Campus Biomedico di Roma e due gruppi di economia e management
della Waseda University. Obiettivi di queste nuove linee di ricerca
sono l’analisi dello stile di vita delle persone anziane (attività e
relazioni sociali), l’analisi della struttura, delle dinamiche e delle
potenzialità del mercato dei dispositivi biomedici per assistenza
personale (con particolare attenzione alle piccole spin-off ad alta
tecnologia) e lo studio comparato delle metodologie e delle tecniche
di valutazione delle tecnologie biomedicali e principalmente delle
applicazioni per assistenza personale.
La puntuale conoscenza delle caratteristiche e delle modalità di fun-
zionamento del mercato biomedicale, in Italia e in Giappone, e la
comprensione delle differenze/analogie nelle tecniche di valutazione
economica delle tecnologie, costituiscono al tempo stesso il presup-
posto ed un valido strumento per ampliare e sistemizzare il program-
ma di internazionalizzazione del sistema delle piccole e medie im-
prese nonché di promozione della cooperazione tra aziende italiane
e giapponesi.
Le aree di ricerca di RoboCasa sono strategicamente molto impor-
tanti in considerazione del fatto che una possibile soluzione al pro-
blema dell’invecchiamento delle società tecnologicamente avanzate
è rappresentata dallo sviluppo di robot e dispositivi robotici personali,
dotati non solo di capacità tecniche adeguate, ma anche in grado di
integrarsi e di interagire in modo naturale sia con le persone che con
l’ambiente circostante. Si stima infatti che nel 2050 ci saranno, in
Giappone e Italia, oltre il 30% di persone “over 65” ed esse avranno
bisogno di aiuti e supporti di varia natura, mentre si ridurrà sempre
più la popolazione giovane in grado di garantire loro l’assistenza ne-
cessaria.
Le ricadute di queste ricerche, come testimoniato dalla disponibilità
di nuovi prodotti già presenti sul mercato giapponese, stanno apren-
do nuovi mercati nei settori dell’automazione industriale, della robo-
tica di servizio, dei sistemi per la neuro-riabilitazione motoria, degli
ausilii e dei servizi per l’assistenza ospedaliera e domiciliare alle
persone anziane. Secondo le stime della Robotics Society of
Japan, infatti, mentre il mercato della robotica industriale
tradizionale è pressoché saturo, la robotica per applicazioni
domestiche, per applicazioni mediche e assistenziali, per il
settore pubblico e quella per le bio-industrie avranno, nei
prossimi anni, un mercato in consistente crescita.
Seminario 2005 Italia – Giappone
L’uomo e il robotL’approccio italiano e giapponese
Con il supporto scientifico e tecnico della Scuola Superiore Sant’Anna diPisa (Italia), e la Waseda University, Tokyo (Japan).In seguito al successo del Seminario 2001 Italia – Giappone “UMANOIDI– Un approccio tecno-ontologico” e del Seminario 2003 Italia –Giappone “Ricerca sugli umanoidi, servizi e aiuto dei Robots in Italia eGiappone”, il seminario 2005 Italia – Giappone è mirato a presentareuna generale descrizione della robotica nei due paesi, coinvolgendo igoverni, le università, i centri di ricerca e le industrie. Il tema principaledel seminario sarà la relazione tra gli umani ed i robots, con una partico-lare attenzione ai problemi della società anziana, con un focus sulle tec-nologie e i servizi a lei dedicate.La collaborazione del laboratorio “RoboCasa”, per le ricerche in roboticaumanoide e dell’individuo della Scuola Superiore Sant’Anna e la WasedaUniversity, sarà presentata come un’iniziativa di successo di collaborazioneItalia – Giappone e come un’opportunità per ulteriori cooperazioni tra igruppi di ricerca giapponesi e italiani/europei.Un selezionato numero di relatori, sia italiani che giapponesi, presenteràle conquiste delle recenti ricerche in Italia e Giappone e animerà tavolerotonde di collaborazioni internazionali per la ricerca, l’educazione e loscambio di tecnologie.
Italy-Japan 2005 Workshop
2001 2003
2005
La scommessa di RoboCasa, laboratorio congiunto italo - giapponese per la ricerca sulla robotica umanoide e personale
di Massimiliano Zecca
Tu chiamale se vuoi... emozioni
DISGUSTO
PACE!
FELICITA
SORPRESAPAURA
Il robot Eye-chan ospitedell'Ambasciatore Mario Bovaalla festa del 2 giugnoall'Ambasciata d'Italia a Tokyo.
TRISTEZZA
Ricercatore della Scuola Superiore Sant'Anna, borsista della Japan Society for the promotion of Science
Lug / Ago 2005 Viste 1716 Lug / Ago 2005 Viste
La bioindustria in Italia
L’industria italiana delle Scienze della Vita è la terza più grande in
Europa, in termini di fatturato e di addetti. Sebbene copra un
ampio campo di settori industriali, un’enfasi particolare è stata
riposta, in anni recenti, nello sviluppo delle biotecnologie. Di fatto,
l’industria biotecnologica è ormai diventata una delle forze trainan-
ti dell’economia italiana, con un fatturato annuo di circa 300
milioni di euro.
La robusta crescita della bioindustria in Italia può essere attribuita
alla sua base in R&S. In aggiunta alla consolidata tradizione nella
ricerca, in particolare nel settore farmaceutico, il Governo italiano
ha recentemente allocato 1,8 miliardi di euro per il sostegno delle
attività di R&S nelle Scienze della Vita e lanciato programmi di
ricerca strategica, con l’obiettivo in particolare delle biotecnologie.
Poiché gli investimenti in R&S sono in costante crescita, la produt-
tività del settore sta crescendo conseguentemente. Un’indagine
effettuata dalla Deloitte & Touche nel 2004 ha messo in evidenza
che la spesa in R&S per addetto nelle Scienze della Vita, ha rag-
giunto i 106.000 euro, di gran lunga di più che in Germania
(74.000 euro) e in Regno Unito (41.000 euro).
La ricerca nell’industria italiana delle Scienze della Vita è sostenuta
da una rete ramificata di centri specializzati. Istituzioni riconosciute
a livello internazionale come il CNR e l’ENEA, come le Università e
gli ospedali costituiscono una efficiente intelaiatura di riferimento
per gli operatori del settore.
Ci sono, inoltre, parchi scientifici specializzati, come i Parchi di
Milano, Torino, Trieste, Napoli e Cagliari, che offrono un’ampia
gamma di servizi per gli start-up e le nuove iniziative di investimen-
to. È da notare, infine, che Milano, Trieste e Cagliari sono stati
definiti “distretti biotecnologici” al fine di promuovere la specializ-
zazione industriale sia a livello locale che internazionale (il quarto
distretto sarà avviato in Puglia).
Per i settori ad alta intensità tecnologica, incluse le biotecnologie,
la collaborazione tra differenti soggetti – il mondo accademico,
l’industria o la Pubblica Amministrazione – è estremamente impor-
tante per favorirne lo sviluppo. Infatti, le realtà industriali biotech
emergono, spesso, come spin-off del lavoro di ricerca accademico
o della presenza industrale estera in Italia. Grazie alle politiche
regionali e centrali, alla presenza di reti di R&S e di bio-distretti,
secondo una recente indagine, il 60 per cento delle Università e
degli istituti di ricerca cooperano su base regolare con aziende
estere che operano in Italia. Ulteriori collaborazioni internazionali
sono attese attraverso l’attivazione di diverse iniziative finalizzate.
Il settore bioindustriale in Giappone
Il mercato delle biotecnologie in Giappone è stimato a 1.660 mil-
iardi di yen (dati 2003) pari a circa 13 miliardi di euro ed è consid-
erato il secondo più grande mercato del mondo, dopo quello
statunitense. Nel 2010 il mercato dovrebbe raggiungere i 25.000
miliardi di yen (ca. 185 miliardi di euro), a causa del costante invec-
chiamento della popolazione e di una maggiore coscienza sanitaria.
Dalla fine della bolla speculativa il Giappone sta verificando la limi-
tatezza competitiva dei suoi settori tradizionali; allo stesso tempo
drastici cambiamenti sono intervenuti nel sistema competitivo
internazionale. Questi due fattori, combinati, hanno spinto i leader
giapponesi a formulare strategie che favorissero il maturare di
nuove tecnologie come strumento per incrementare la competiti-
vità del Paese, che – storicamente – dipende sulle sue capacità
innovative, per sopravvivere. Tra tutte le alternative possibili, le
biotecnologie, assieme all’Information Technology, hanno con-
quistato il vertice delle priorità. Questo nuovo atteggiamento del
Governo giapponese è esemplificato nelle “Linee di indirizzo
strategico per le biotecnologie”, pubblicate nel 2002. Le Linee di
indirizzo evidenziano, in particolare, l’impegno governativo allo
sviluppo delle biotecnologie, concretizzatosi nel raddoppio dei
finanziamenti destinati alla R&S nel settore delle Scienze per la
Vita.
L’importanza che il Giappone riserva alle biotecnologie si evince
anche dal “Piano sui Distretti Industriali”, lanciato nell’aprile 2001
con lo scopo di rafforzare le capacità delle aree regionali a svilup-
pare nuove tecnologie e nuovi prodotti, e favorire la crescita delle
industrie esistenti e dei nuovi start-up. Dei 19 progetti di sviluppo
regionale, cinque (Hokkaido, Tohoku, Kanto, Chubu, Kinki) sono
focalizzati sulle biondustrie. Queste Regioni, sotto il coordinamento
delle strutture decentrate del METI, implementano varie politiche
che tendono a rivitalizzare le economie locali e a favorire la colla-
borazione industriale.
ICE
Scienze della vita: alla ricerca del tempo perduto
di Roberto PeloDirettore Ufficio di Tokyo Coordinatore Rete ICE in Giappone
BioJapan 2005 World Business Forum
BioJapan ha esordito nel 1986 come primo ed ampio bioforum
organizzato dal Giappone con caratteristiche e aspettative di carat-
tere internazionale. Dalla seconda edizione del 1988 il forum ha
assunto cadenza quadriennale fino al 2004. Tuttavia, considerando
il rapido sviluppo delle biotecnologie e la crescente e continua
domanda proveniente dal settore pubblico, dalle imprese e dal
mondo accademico, gli organizzatori hanno deciso di tenere la
manifestazione anche nel 2005.
BioJapan 2005 World Business Forum intende promuovere alleanze
tra i bio-distretti, non soltanto in Giappone ma anche a livello
mondiale, per accelerare l’applicazione dei risultati delle ricerche,
favorire accordi commerciali tra Università e una maggiore
flessibile interazione tra le risorse umane del settore. Essendo relati-
vamente nuova, la bioindustria non ha un mercato definito e con-
solidato e, pertanto, è ancora disponibile un ampio margine di
business matching tra i vari soggetti. Il Forum è disegnato per met-
tere a disposizione un punto di incontro e di confronto, e più di
trenta Agenzie di Promozione degli Investimenti internazionali
saranno presenti a questa edizione.
Il Desk per l’attrazione degli investimenti di ICE Tokyo parteciperà a
BioJapan per presentare il potenziale della bioindustria italiana alle
controparti giapponesi. Durante l’esposizione proporrà non solo un
quadro generale del settore in Italia e le sue linee di sviluppo, ma
anche specifiche opportunità di collaborazione, sulla base delle
informazioni della Banca Dati Biotech italiana, un vasto catalogo e,
insieme, piattaforma informativa supportata da InvestInItaly, che
consente agli operatori del settore di ricercare e identificare poten-
ziali partners italiani.
Italia e Giappone, pur partiti in ritardo, sono oggi all'avanguardia del settore.Essenziale la collaborazione tra distretti di R&S e mondo accademico
Lug / Ago 2005 Viste 1918 Lug / Ago 2005 Viste
Tutti gli indicatori attualmente a disposizione, sia quelli fondati sulle
statistiche delle partenze dal Giappone, sia quelli derivanti dalle rile-
vazioni presso i Paesi che ne raccolgono l’outbound, evidenziano che
il mercato dei viaggi all’estero è tuttora in corso di espansione.
Si tratta del secondo anno consecutivo di crescita, dopo la crisi
generalizzata del 2003. Il numero dei viaggi verso l'estero è stato
pari, nel corso del 2004, a 16,6 milioni e l'andamento in corso
rende ragionevole la possibilità di raggiungere, o quanto meno
accostare, a fine 2005 il numero complessivo di 17,5 milioni.
L’ulteriore crescita dell'outbound, nel corso del 2005, è alimentata in
modo molto differenziato dalle varie destinazioni estere, secondo i
dati fino ad ora raccolti dal Japan Tourist Board ed aggiornati ad
aprile 2005, in quanto:
a) le maggiori destinazioni asiatiche, con la sola eccezione della
Thailandia, continuano nella loro crescita impetuosa: la Cina ha
totalizzato 901.089 arrivi nel periodo gennaio/aprile 2005
(+37,04% rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno), la
Corea del Sud 649.032 (+25,40%), Hong Kong 403.008
(+43,97%) e Taiwan 363.344 (+49,58%);
b) il mercato nordamericano è in via di stabilizzazione: gli Stati Uniti
hanno totalizzato solo un +2,67%, malgrado l’ “effetto-traino” di
Hawaii e Guam.
Non considerando le destinazioni “minori”, che cosa sta succedendo
all’Europa? Si deve ammettere che complessivamente il mercato
europeo è quello che mostra le maggiori difficoltà, in quanto al costo
elevato del biglietto aereo si sommano quelli dei costi interni, per
effetto della sopravvalutazione dell'euro e della eccessiva dinamica dei
prezzi alberghieri ed extraalberghieri. Non sono ancora pervenuti i
dati dei maggiori competitori europei, salvo quello della Spagna che
con 178.737 arrivi ha registrato un significativo declino congiunturale
(-19,95%). L’Europa è quindi sostanzialmente in “ripresa debole".
E noi? L'Italia mantiene saldamente la prima posizione come Paese
europeo più visitato ed amato e ciò, almeno in parte, si riflette sull’an-
damento delle prenotazioni. In base alle nostre ultime rilevazioni, la
crescita nel primo quadrimestre dell'anno (che può essere affidabil-
mente proiettata su tutto il 2005) dovrebbe essere compresa tra il 3%
ed il 4%. La vendita del prodotto turistico italiano è stata particolar-
mente favorevole per gli operatori giapponesi medio-piccoli che, per
la ridotta burocratizzazione delle strutture interne, riescono ad aderire
con più facilità ai trend del mercato che richiedono nuove destinazioni
o nuove forme di turismo (itinerari alternativi alle grandi città, turismo
verde ed agriturismo, turismo enogastronomico, ecc.).
Le prime indicazioni sul movimento turistico in uscita dal Giappone
sono, al momento attuale, sufficientemente confortanti per il nostro
prodotto turistico: malgrado il “peso” degli aspetti strutturali e
finanziari non ancora risolti, gli arrivi dei turisti giapponesi nel nostro
Paese registrano ancora una crescita, sia pure numericamente limita-
ta.
Ovviamente, ciò non deve suonare come una giustificazione di un
“laissez-faire” al mercato, che continuerebbe a premiare il nostro
prodotto turistico pur nelle attuali difficoltà strutturali e congiunturali;
al contrario, la circostanza che la nostra crescita sia limitata rispetto
alla più spiccata ripresa del mercato turistico giapponese nel suo com-
plesso deve, piuttosto, preoccuparci per il rischio di perdere rilevanti
opportunità di sviluppo per le nostre risorse nazionali.
C’è da dire che, per quanto riguarda l’Italia, essa sembra aver partico-
larmente beneficiato di alcuni trends registrati nel corso del 2004 ed
ulteriormente rafforzatisi nel corso di quest’anno.
La JTB ha individuato due particolari segmenti di consumatori turistici:
il “gruppo L”, composto da persone che viaggiano all’estero in media
una volta ogni tre anni, e meno di 10 volte in tutta la loro vita, ed il
“gruppo H”, i cui componenti vanno oltreconfine quasi una volta
all’anno e comunque hanno nel loro “bagaglio” più di 20 viaggi
all’estero.
Il gruppo H, rispetto all’intero outbound giapponese, è quello che ha
registrato e sta registrando la crescita più ampia e rapida (nel 2004
+39% rispetto al 2003), soprattutto nella fascia di età oltre i cinquan-
ta anni, che in un solo anno è aumentato da 3 milioni ad oltre 4
milioni. Il gruppo L è stato caratterizzato da una crescita notevol-
mente più ridotta, anche se ancora significativa: +9,8% nel 2004
rispetto al 2003.
Questi due gruppi di consumatori hanno sostenuto e stanno soste-
nendo la nostra ripresa: tra di essi particolarmente decisivo risulta l’ap-
porto, nel segmento L, dei first-timers di età superiore ai 50 anni, in
cui l’Italia risulta essere fortemente più attrattiva di ogni altra desti-
nazione europea, pur a fronte della forte capacità di “assorbimento”
dei flussi turistici giapponesi da parte dei Paesi asiatici. Infatti questi
ultimi, che generalmente “pescavano” tra i “repeaters”, stanno
assorbendo oltre il 60% di tutto il segmento dei viaggiatori “first
time”.
Un’altra parte di consumatori sta sostenendo il discreto andamento
della nostra offerta. Si tratta degli “ohitorisama”, cioè di coloro che
viaggiano da soli per propria scelta personale. Erano nel 1997 il 9,7%
dell’intero mercato “outbound”; nel 2002 sono saliti al 13,2% e nel
2003 al 17%. Quest’anno si prevede che supereranno, e non di
poco, il 20% di tutti i viaggi all’estero.
La maggior parte degli “ohitorisama” è compresa nelle fasce di età
tra i 30 ed i 50 anni e, tra essi, prevale il sesso femminile. Molti di essi
sono infatti donne in carriera, di alto successo, sia nubili che sposate,
che preferiscono viaggiare da sole come una forma di “auto-rigene-
razione”dai quotidiani impegni di lavoro e per non interferire con le
preferenze ed i piani del proprio gruppo familiare. Si tratta di una sorta
di “comunità diffusa”, che ha dato origine anche ad un sito web,
http://ohitorisama.net/ohitorisama/index.jsp, che consolida e divulga
l’atteggiamento culturale delle donne “do-it-alone”.
EN
IT
E la nave va (per ora) di Carlo Antonio Colaneri Direttore ENIT, Tokyo
Questi segmenti di mercato ci premiano in modo particolare: ciò non
è una sorpesa, ma è particolarmente rilevante, ed in parte inattesa,
l’entità della loro crescita negli ultimi 18 mesi. Il loro sviluppo va visto
nell’ambito di una più ampia “individualizzazione” della società giap-
ponese, che alimenta esigenza di auto-affermazione soddisfatta
soprattutto tramite le esperienze di viaggio.
Già da tempo si è notato che queste esigenze trovano uno sbocco del
tutto naturale verso l’Italia, la cui varietà di culture, di tradizioni e di
patrimoni storici ed artistici difficilmente può essere uguagliata dalla
concorrenza. Ma nondimeno è necessario attivare opportune inizia-
tive promozionali per corrispondere agli attuali “trends” del mercato
giapponese.
Non è un caso, ad esempio, che lo scorso mese di giugno la JATA
(Japan Association of Travel Agents) abbia preso atto della crescente
individualizzazione del mondo del consumo ed ha deciso di trasfor-
mare il proprio website, a partire dalla fine di settembre 2005, in
modo da renderlo interattivo con gli utenti, includendo delle sezioni
per la prenotazione e la vendita online, sia per il B2B che per il B2C.
Occorre quindi non perdere tempo ed attuare, non appena i finanzia-
menti saranno disponibili, una strategia di comunicazione e commer-
cializzazione tramite il web che già costituisce il fulcro del Piano di
promozione per l’anno 2006 definito insieme con l’Ambasciata
d’Italia a Tokyo. E massimo risalto dovrebbe essere dato all’offerta on-
line dei nostri prodotti turistici direttamente ai consumatori giappone-
si, in modo da aggirare almeno parzialmente il predominio degli opera-
tori giapponesi e la loro “cautela” nell’introdurre nuovi prodotti.
In attesa del mega-sito di promozione e vendita dell’Italia turistica, in
via di progettazione e che sarà visibile all’indirizzo www.italia.it, la
Japan-to-Italy Travel Chamber, un’associazione di 81 operatori giap-
ponesi che opera in stretta sintonia con l’Ufficio ENIT di Tokyo, sta
pianificando un proprio sito destinato alla presentazione ottimale,
direttamente alla clientela, dei prodotti italiani trattati dagli associati.
Nel frattempo, con il “mare” del turismo, nazionale ed inter-
nazionale, in forte moto ondoso, qui in Giappone la nostra nave va,
anche se la velocità di crociera, una volta realizzati i progetti in corso,
potrebbe essere molto più elevata.
Anche se con una crescita di presenze limitata, l’Italia resta il Paese europeo più visitato ed amato.
Lug / Ago 2005 Viste 2120 Lug / Ago 2005 Viste
I l 24 marzo 2005 è stato ricevuto dalla nostra Camera di
Commercio il prof. Roberto Panizza, ordinario di Economia
Internazionale presso l’Università di Torino. La Camera è stata lusin-
gata di poter ospitare, come relatore, un professore che ha tenuto
corsi di economia presso le prestigiose Harvard University e New
York University.
Oggetto della conferenza, il processo di globalizzazione dell’econo-
mia. L’argomento ha dato la possibilità di affrontare uno dei temi
chiave dell’economia classica: il commercio internazionale, uno
degli elementi fondamentali del lascito di Ricardo.
Il ritorno all’economia politica classica non è stato asettico. Tutti noi
ascoltatori ci siamo trovati inseriti in un contesto in cui l’analisi eco-
nomica non è tanto l’analisi astratta di fenomeni che gli economisti
intendono spiegare a posteriori, ma è, invece, dibattito relativo alle
quote distributive del reddito nazionale tra fattori di produzione.
Il prof. Panizza, secondo un approccio che privilegia l’analisi eco-
nomica aggregata, ha voluto imputare la bassa crescita europea ad
una distribuzione non “efficiente” del prodotto interno lordo.
L’inefficienza non sarebbe di natura produttiva, in quanto i salari, in
Europa, sarebbero in linea con i livelli di equilibrio di mercato, forse
addirittura troppo alti, secondo alcuni osservatori.
L’inefficienza sottolineata dal prof. Panizza farebbe riferimento
all’aspetto distributivo. In particolare, i soli meccanismi
di mercato determinerebbero salari di equilibro troppo
bassi rispetto alla capacità produttiva dell’economia.
Se i redditi delle famiglie fossero costituiti solo da salari
di equilibrio, la domanda aggregata sarebbe troppo
bassa e l’economia non conseguirebbe l’equilibrio di
piena occupazione.
Fin qui il prof. Panizza ci ha ricordato la tesi keinesiana
dell’equilibrio di sottocupazione. Tuttavia, una delle
proposte di tale scuola intesa a conseguire la piena
occupazione si basa sulla possibilità di aumentare l’oc-
cupazione abbassando i salari reali e introducendo nel
sistema economico un po’ di inflazione.
Il prof. Panizza, invece, non considera i salari reali trop-
po alti, ma, anzi, troppo bassi. Come risolvere il proble-
ma? È necessario analizzare la storia economica degli
Stati Uniti nel corso degli anni novanta. Agli inizi della
presidenza Clinton, Clinton e Greenspan avrebbero
elaborato una strategia volta, non già ad aumentare i
salari reali, ma i redditi disponibili delle famiglie, in
modo da far crescere la domanda aggregata di consumi privati.
Greenspan avrebbe proposto una politica monetaria espansiva, in
grado di determinare guadagni in conto capitale sulle attività
finanziarie detenute dalle famiglie americane. Queste attività erano
soprattutto le quote di fondi pensione, investiti principalmente in
azioni quotate a New York.
La possibilità data ai risparmiatori di poter estrarre una parte dei
guadagni in conto capitale dai fondi pensione avrebbe determinato
un aumento del reddito disponibile delle famiglie e un aumento
della domanda di beni di consumo privati. In proposito, il prof.
Panizza ha voluto sottolineare che la crescita elevata registrata negli
Stati Uniti nel corso degli anni novanta è stata registrata soprattutto
nel settore della cosiddetta old economy e non tanto in quello della
new economy.
Una politica economica che stimoli la crescita deve, pertanto, basar-
si su tre fattori:
Una distribuzione ampia di attività finanziarie presso le famiglie;
Una politica monetaria ed economica volta a mantenere bassi i
tassi di interesse;
Una politica economica che controlli l’inflazione, in quanto una
ripresa delle aspettative inflazionistiche non potrebbe che deter-
minare aumenti dei tassi di interesse nominali e reali.
È necessario, tuttavia, tornare al punto di partenza ricardiano.
Nei modelli di economia politica classica la ripartizione tra
salari e interessi era considerata indipendente dal mercato e deter-
minata solo sulla base della forza contrattuale delle parti sociali.
Sulla base di questa intuizione, e per non abbandonare le contrat-
tazioni al solo arbitrio delle controparti, il prof. Panizza propone un
approccio distributivo che vada al di là dei modelli che si limitano a
considerare la produttività in valore del lavoro per determinare il
salario di equilibrio.
Al contrario, pur considerando gli aspetti di equilibrio microeco-
nomico, cui sono soggette le imprese, il prof. Panizza sostiene che
vi devono essere altri soggetti economici in grado di effettuare
un’ottimale redistribuzione del reddito. L’ottimalità della
distribuzione sarebbe determinata dal conseguimento del
più elevato tasso di crescita dell’economia.
Nel corso della conferenza, il prof. Panizza ha
anche trattato, in modo non convenzionale, altri
aspetti relativi all’andamento dell’economia mon-
diale. In particolare, il professore ha voluto sotto-
lineare che la struttura della corporate governance
e della trasparenza che le scuole di management
r ichiedono al le imprese, non sempre
favoriscono la crescita delle produttività delle
imprese stesse. La comunicazione al mercato di
risultati trimestrali è un esempio di cattiva gestione
dell’informazione distribuita agli investitori. Il pro-
fessore, infatti, ritiene che difficilmente i direttori
generali comunichino al mercato risultati delu-
denti. Ne segue che le informazioni economiche
diffuse siano poco affidabili e diano luogo a
scandali simili a quelli registrati negli Stati Uniti
agli inizi degli anni duemila.
“I salari? Semmai sono troppo bassi”Secondo il prof. Panizza, la scarsa crescita in Europa non è di natura produttiva. Piuttosto, dipende dalla non efficiente distribuzione del PIL. I salari non c’entrano.
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Delegato Banca d’Italia, Tokyo di Pietro Ginefra
Il prof. Roberto Panizza durante l'incontro con i soci della Camera diCommercio Italiana in Giappone
Lug / Ago 2005 Viste 23
Il Japan bashing (“dàgli al Giappone”) è un’attività
popolare e a volte anche redditizia. Ci sono esperti,
a volte improvvisati, che sulla sistematica
demolizione del “miracolo giapponese” hanno
costruito brillanti carriere universitarie (è
vero anche il contrario, ovviamente). Ma la maggior
parte dei libri, dai manualetti di Jon Woronoff e Boy
De Mente ai sofisticati saggi di Alex Kerr e Ian Buruma
hanno un elemento in comune. Dopo aver
denunciato – non sempre obiettivamente – vizi e
misfatti della Giappone Spa, ti lasciano con l’a-
maro in bocca, delusi e depressi. Con la voglia di andarsene.
Carl Kay e Tim Clark vanno invece oltre la critica, pur feroce.
Propongono soluzioni. E offrono ottimi suggerimenti a chi, senza
cadere nei rischi della tatamizzazione, continua ad amare, rispettare
e credere nel Giappone. Ma la lettura di Saying Yes to Japan, è con-
sigliabile non solo agli imprenditori stranieri che già operano, tra mille
difficoltà, nel Sol Levante. Lo è ancor di più per tutti coloro – il
numero è pericolosamente in aumento – contaminati dalla nuova
febbre dell’oro, convinti che sia la Cina il paese dove andare ed inve-
stire. Una lettura anche superficiale di questo libro aiuta a compren-
dere – grazie ad una casistica impeccabile – quante
opportunità vi siano ancora in Giappone, paese
che rappresenta pur sempre ancora la seconda
potenza economica del mondo e che (oggi) offre certamente mag-
giori garanzie di concorrenza e rispetto delle regole della tanto
apprezzata Cina.
L’aspetto più interessante è che i due autori – che non sono solo
scrittori, sono essi stessi imprenditori di successo – non affrontano il
solito tema dell’import/export, dell’industria manifatturiera e/o di
trasformazione. Parlano del settore terziario. Settore del quale, dopo
una spietata quanto rigorosa radiografia, spiegano l’enorme poten-
ziale.
Pensiamo al settore immobiliare, a quello della sanità, dell’interme-
diazione finanziaria. Settori che in Giappone sono, per certi versi,
incredibilmente arretrati e dove, con un’adeguata conoscenza delle
leggi (e circolari…) che regolano l’esercizio delle relative attività è
possibile oggi sfruttare la sempre più crescente domanda di mag-
giore efficienza e trasparenza. Pensate agli ospedali e alle cliniche pri-
vate, dove la maggior parte dei medici si rifiuta di consegnare le
cartelle cliniche ai pazienti, onde evitare possibili diagnosi contrastan-
ti. Il libro racconta come un imprenditore gaijin ha costituito un
apprezzato centro di rating per le istituzioni sanitarie,
provocandone la progressiva “apertura” e
trasparenza nei confronti dell’utenza. Altro settore
passato al setaccio è quello immobiliare, dominato
dallo strapotere delle agenzie (spesso legate alla
yakuza) che approfittando della tradizionale igno-
ranza per le questioni legali dei giapponesi, nella fat-
tispecie, proprietari e inquilini, continua a man-
tenere artificialmente alto il mercato degli affitti. Nel
libro troverete ottimi consigli non solo su come trovare
casa sfuggendo al cappio del key money (il cosiddetto
reikin), ma anche, se ne avete voglia e coraggio, but-
tarvi nel business. Comprare una casa (e poi magari
ricederla) a Tokyo non è poi così difficile.
Nonostante la nuova “febbre dell’oro” in Cina,il Giappone offre ancora grandi opportunità di investimento. Soprattutto nel settore deiservizi, tra i più arretrati del mondo industrializzato. Un libro ci spiega il perché
Fate largo ai gaijin
di Pio d’Emilia
SAYING YES TO JAPANdi Tim Clark e Carl KayPaperback, Aprile 2005, 1.500
Re
cen
sion
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22 Lug / Ago 2005 Viste
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Lug / Ago 2005 Viste 25
Si è tenuto a Viterbo dal 18 al 22 luglio il VI Meeting dei Segretari ge-
nerali delle Camere di Commercio Italiane all’estero. Il tema del conve-
gno, che ha visto la partecipazione dei SG delle 71 Camere di
Commercio Italiane all’estero presenti in 46 paesi, era “La rete delle
Camere di Commercio Italiane all’estero: progettare e comunicare il
made in Italy”.
Il programma prevedeva nella giornata di lunedì 18 luglio il convegno
aperto al pubblico dal titolo “Il territorio come brand nelle politiche di
promozione del made in Italy”, svoltosi nel complesso monumentale
S. Carlo alla presenza di oltre 300 persone, tra Segretari Generali delle
Camere di Commercio Italiane all’estero,
imprenditori, esperti di commercio inter-
nazionale e rappresentanti istituzionali.
Ha aperto i lavori il Presidente Vicario di
Assocamerestero Edoardo Pollastri il quale ha
paragonato il sistema delle Camere di
Commercio ad una multinazionale che è pre-
sente in 46 paesi con 71 sedi, e che però a dif-
ferenza di una multinazionale deve fare i conti
con un sostegno finanziario da parte dello
Stato italiano di appena 10 milioni di euro
l’anno, meno di quanto una vera multi-
nazionale spenderebbe in campagne pubblici-
tarie. Pollastri inoltre ha sottolineato il fatto
che “per essere vincenti nei mercati esteri le
imprese devono essere capaci di fare si-
stema”, inoltre nel riconoscere la prevalenza e
la grande dinamicità delle piccole e medie
aziende nei processi di internazionalizzazione
ha, altresì, messo in guardia chi si avventura
nei “mercati esteri senza alcun coordinamen-
to e programmazione”.
Un'altra importante indicazione emersa dal
convegno riguarda la politica dei distretti. Secondo i Segretari delle
Camere di Commercio Italiane all’estero è indispensabile sostenere le
esperienze dei distretti, nonostante le difficoltà che alcuni settori stanno
attraversando. Infatti, gli accordi internazionali per commesse costitui-
scono il 38,5% delle aziende situate in un distretto, contro il 17,4%
delle aziende che sono fuori distretto.
La terza sollecitazione riguarda i consorzi per l’export. “Le imprese
devono consorziarsi perché devono mettere a fattore comune le loro
esperienze, così da ridurre i costi dell’internazionalizzazione”, ha detto il
Presidente di Federxport Gianfredo Comazzi. In effetti, da uno studio di
Assocamerestero, le aziende che fanno parte
dei consorzi monosettoriali e con una stabile
presenza all’estero hanno una dimensione di
21 addetti, contro i 27,4 delle imprese non
inserite nei consorzi, facendo così risparmiare
fortemente sul costo del lavoro. Fatto sta che
il 38% degli industriali che delocalizza lo fa
per risparmiare sulla manodopera.
Grande successo, giovedì 21 luglio, per la
giornata dedicata all’export degli operatori
economici della Tuscia, svoltasi a Viterbo nella
ex sede del Rettorato in via S. Giovanni
Decollato, nell’ambito del Meeting dei
Segretari Generali delle Camere di
Commercio Italiane all’estero.
Gli incontri one-to-one previsti sono stati oltre
400 e le aziende locali un centinaio così sud-
divise: 30% del comparto agroalimentare;
30% della ceramica artistica, ceramica indu-
striale e lavorazione pietre; 30% industria e
servizi vari; 10% tra associazioni di categoria
e servizi alle imprese, Aziende speciali per l’in-
ternazionalizzazione e Consorzi Export.
Rapporto dal VI Meeting dei Segretari Generali delle Camere di Commercio Italiane all’estero
di Alessandro Borelli
La nostra Azienda opera in Greve in Chianti, fra i famosi vigneti eduliveti del Chianti Classico, nel cuore della Toscana."Naturalis Officina Tuscia et Sapores" dal latino "Fabbrica dellaNatura, Toscana e Sapori", è il marchio col quale commercializziamoi nostri prodotti: è stato scelto perché la nostra politica è da semprequella di coltivare e tramandare il valore delle tradizioni storicheagricole, ecologiche e naturalmente gastronomiche della nostre terra.La nostra Azienda fa parte del Consorzio dell'Olio Toscano IGPIdentificazione Geografica Protetta e del Consorzio Chianti ClassicoDOP Denominazione di Origine Protetta, ed è certificataICEA/AIAB per la produzione e commercializzazione dell'OlioExtravergine di Oliva da Agricoltura Biologica.
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28 Lug / Ago 2005 Viste
Il 21 luglio scorso la Camera di Commercio Italiana in Giappone ha
avuto il piacere di ospitare ad un pranzo organizzato presso il Capitol
Tokyu Hotel, il presidente del Senato Marcello Pera, in visita ufficiale
in Giappone. Il presidente Pera ha avuto l’opportunità di incontrare
alcuni rappresentanti della comunità degli imprenditori italiani che
operano in Giappone. Durante la sua visita Pera ha incontrato inoltre
la signora Chikage Ogi, presidente della Camera dei Consiglieri, e
Yohei Kono, speaker della Camera dei Rappresentanti. Si è recato
poi ad Aichi dove ha inaugurato la mostra "Torino 2006: Winter
Olympic Games and More" allestita presso il Padiglione Italiano
all’Expo Universale, alla presenza del commissario generale del
Governo Italiano ad Aichi 2005 Umberto Donati, del direttore di
Agenzia Torino 2006 Domenico Arcidiacono e del vicepresidente del
Toroc Bruno Rambaudi. La mostra itinerante, in precedenza allestita
a Strasburgo, Pechino e Roma, si prefigge di sensibilizzare su temi
olimpici, quali sport, pace, tregua olimpica, fraternità e multietnicità,
rispetto delle regole, il pubblico, il mondo dello sport, i media, le
scuole e le università. Torino insieme a diverse località montane,
ospiterà dal 10 al 26 febbraio 2006 i XX Giochi Olimpici Invernali e
dal 9 al 19 marzo 2006 i IX Giochi Paralimpici Invernali.
Ultimo appuntamento della visita del presidente Pera all’Expo Dome
di Aichi, è stato la “prima” della Madama Butterfly della regista
Vivien Hewitt con le scenografie di Kan Yasuda in occasione del
“51/mo Festival Puccini”. In realtà si è trattato di una doppia
“prima“ poiché a 9.000 Km di distanza, a Torre del Lago, è andata
in scena la Bohème, regia di Maurizio Scaparro.
Il Presidente del Senato Marcello Pera in visita in Giappone
Un momento della Madama Butterfly rappresentata ad Aichi
Foto di Marco Jacomelli
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Il taglio del nastro all'avvio della mostra "Torino 2006: Winter Olympic Games andMore"
Foto di Marco Jacomelli