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Voci da silenzi diversi - Carmelo Musumeci · 2016. 2. 14. · D ue giovani attrici scalze, vestite...

Date post: 15-Feb-2021
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D ue giovani attrici scalze, vestite da monache, invitano gli spet- tatori a entrare nella sala. «Pre- go, abbiamo un po’ di tempo», ripetono a mo’ di cantilena. Non siamo in un teatro. E gli spettatori non sono giunti dalle loro abitazioni, ma dalle celle circostanti. Siamo dentro la casa circondariale di Santa Maria Maggiore, il carcere maschile di Venezia. La sala della struttura penitenziaria per un giorno diventa palcoscenico di una singolare “prima”: va in scena Il si- lenzio, pièce teatrale della compagnia pugliese Teatro della fede. Vi si rappre- sentano la quotidianità, i pensieri, i sen- timenti delle donne che hanno scelto la vita monacale. La clausura, recitata da- vanti a chi è costretto a un’altra clausu- ra, stavolta forzata, punitiva. Due realtà lontanissime tra loro, che in comune hanno più aspetti: spazi angusti, regole e tempi precisi, dettati da altri, e il silen- zio, appunto, che può essere liberante, ma anche tormento notturno. L’incontro tra questi due mondi è sta- to pensato dal regista e fondatore della compagnia, Alfredo Traversa, che ha preso spunto dal libro Silenzio amico del giornalista Giampiero Beltotto: un’intervista alle monache trappiste dei monasteri di Valserena e Vitorchia- no e le risposte delle religiose al popolo della Rete, tramite un blog. «Ho portato in scena le parole di queste donne che prendono corpo grazie alle attrici», spie- ga il regista. Ne esce l’immagine di per- sone che, ben lungi dall’essere fuori dal mondo, delle “sepolte vive”, amano, sof- frono e gioiscono, pregano e lavorano. Le monache parlano senza falsi pudori ATTUALITÀ CARCERE E CLAUSURA Lo spettacolo Il silenzio in scena nella casa circondariale di Santa Maria Maggiore a Venezia. «Caro fratello detenuto», «Cara sorella religiosa»... Sono entrambi “dentro”, ma una per scelta e l’altro per costrizione. Eppure... di ALBERTO LAGGIA foto di ALBERTO BEVILACQUA Voci da silenzi diversi UNA SUORA E UN ERGASTOLANO SI SCRIVONO 71 famiglia cristiana n. 36/2013
Transcript
  • Due giovani attrici scalze, vestiteda monache, invitano gli spet-tatori a entrare nella sala. «Pre-go, abbiamo un po’ di tempo»,

    ripetono a mo’ di cantilena. Non siamoin un teatro. E gli spettatori non sonogiunti dalle loro abitazioni, ma dallecelle circostanti. Siamo dentro la casacircondariale di Santa Maria Maggiore,il carcere maschile di Venezia.

    La sala della struttura penitenziariaper un giorno diventa palcoscenico diuna singolare “prima”: va in scena Il si-lenzio, pièce teatrale della compagniapugliese Teatro della fede. Vi si rappre-sentano la quotidianità, i pensieri, i sen-timenti delle donne che hanno scelto lavita monacale. La clausura, recitata da-vanti a chi è costretto a un’altra clausu-ra, stavolta forzata, punitiva. Due realtàlontanissime tra loro, che in comunehanno più aspetti: spazi angusti, regolee tempi precisi, dettati da altri, e il silen-zio, appunto, che può essere liberante,ma anche tormento notturno.

    L’incontro tra questi due mondi è sta-to pensato dal regista e fondatore dellacompagnia, Alfredo Traversa, che hapreso spunto dal libro Silenzio amicodel giornalista Giampiero Beltotto:un’intervista alle monache trappistedei monasteri di Valserena e Vitorchia-no e le risposte delle religiose al popolodella Rete, tramite un blog. «Ho portatoin scena le parole di queste donne cheprendono corpo grazie alle attrici», spie-ga il regista. Ne esce l’immagine di per-sone che, ben lungi dall’essere fuori dalmondo, delle “sepolte vive”, amano, sof-frono e gioiscono, pregano e lavorano.Le monache parlano senza falsi pudori

    di amore, sessualità, Dio, maternità econtemplazione, scardinando luoghi co-muni. «Abbiamo voluto iniziare la tour-née dalle carceri, cercando un dialogotra chi vive in convento e chi è reclusoin prigione. Questo è il teatro civile cheprediligo», conclude il regista.

    Abbiamo chiesto a una monaca diclausura di Valserena e a un detenutocondannato a ergastolo ostativo (quel-lo senza benefici, che condanna a unamorte lenta) di raccontarsi, di gettareun ponte sul vuoto che separa prigionee convento. La lettera di Carmelo Mu-sumeci è un manifesto contro l’ergasto-lo; quella di suor Francesca un ponterealizzato col solo mattone che può reg-gere la tensione di un arco così esteso:la preghiera. Alberto Laggia

    XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX

    TITOLOXXXXXXXXXX

    Sorella Francesca,anzitutto mi presento: sono perlegge un cattivo e colpevole per

    sempre. Non sono né morto né vivo. So-no “uomo ombra” (così si chiamano gliergastolani ostativi fra loro) prigionie-ro nell’Assassino dei Sogni di Padova(così i prigionieri chiamano il carcere)condannato alla “Pena di morte viva”(così è chiamato l’ergastolo ostativo,che esclude qualsiasi possibilità di mori-re un giorno da uomo libero).

    Sorella Francesca, la mia vita èun inferno perché per me nonci sono più speranza, futuroe compassione. Solo soffe-renza perché il tempo passae non abbiamo più nulla daaspettare. Siamo destinatiper tutta la vita a stare nell’om-bra e a morire di vecchiaia murativivi nelle nostre celle.

    Sorella Francesca, nel Medioevo ti am-mazzavano, ti cavavano gli occhi, ti taglia-vano un braccio, ma il dolore non dura-va per sempre. Ora invece l’ergastolo

    ostativo è nello stesso tempo una pena dimorte, una tortura e un dolore all’infini-to. Un vero e proprio incubo a occhi aper-ti, in cui non è possibile svegliarsi.

    Sorella Francesca, ho due figli, duenipotini e una compagna che mi stan-no aspettando da 22 anni inutilmente,perché di me avranno solo il cadavere.Per questo, a volte, la sera quando chiu-do gli occhi spero di non aprirli più. Eieri sera ho parlato tutta la notte con lamia ombra proiettata sul muro della cel-

    la. Lei si specchiava nel mio cuo-re. Io nei suoi occhi. Lei si senti-

    va me. E io mi sentivo lei. Aun tratto abbiamo fatto unprofondo respiro tutti e due.Poi ci siamo guardati negli

    occhi. E le ho sussurrato: «Èuna buona serata per morire».

    La mia ombra mi ha risposto:«Non è un buon posto». Le ho ripetuto:«Uno vale l’altro». Lei ha replicato: «Que-sto lo dici tu». Poi siamo scoppiati apiangere. E ci siamo abbracciati.

    Sorella Francesca, devi sapere che gli

    uomini ombra vivono al buio. E di Diopossono vedere solo la sua ombra. Perquesto ti chiedo di non pregare per me.Io non lo merito (e poi credo di non cre-dere). Ti chiedo di pregare per tutti gli uo-mini ombra, perché dopo vent’anni, o an-che trenta, molti di noi vivono ormai unavita vegetativa senza volontà, né deside-ri, né sogni. Sembriamo umani azzerati,non più figli di Dio, ma solo frutto dellamalvagità degli uomini che ci hanno con-dannati senza speranza a essere, e a rima-nere, cattivi e colpevoli per sempre.

    Sorella Francesca, puoi dire tu ai“buoni” che la migliore difesa control’odio è l’amore e la migliore vendetta èil perdono? Diglielo tu che dopo tantianni di carcere non si punisce più quel-la persona che ha commesso il crimine,ma si punisce un’altra persona che conquel crimine non c’entra più nulla.

    Sorella Francesca, mi ha fatto benescriverti, hai un bel nome che mi ricordasan Francesco. Un sorriso fra le sbarre. Carmelo Musumeci

    giugno 2013

    ATTUALITÀ CARCEREE CLAUSURA

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    Nome, xx anni

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    X

    Carissimo fratello carcerato,è con timore e tremore che mi ac-costo a te. Non so da che espe-

    rienza vieni, non so perché sei dove sei,non so come vivi questo tempo di priva-zione della cosa più grande e che fa lapersona umana immagine di Dio sullaterra: la libertà. Non voglio offendere iltuo dolore, né poco considerare il tuocammino, ma una parola di speranza edi amore vi potrà venire forse da perso-ne che hanno scelto liberamente, peramore, alcune limitazioni che voi vive-te per legge.

    Le monache di clausura vivono inuno spazio fisicamente ristretto e nonescono dal monastero. La nostra giorna-ta è delimitata da un orario comunita-rio, che scandisce il nostro tempo, se-gnando il momento in cui ci raduniamoin chiesa per pregare insieme con il suo-no, sempre così bello per me, della cam-pana che diventa la voce del Signore cheraduna il suo gregge. Abbiamo scelto lapovertà di vita: non possediamo beni.Quelli che servono per la comunità sono

    amministrati dal monastero e provengo-no dal nostro lavoro, non da donazionio beneficenza. «Sono veri monaci quan-do vivono del lavoro delle loro mani», cidice san Paolo e ci ricorda la regola disan Benedetto che abbiamo scelto. Fac-ciamo tanti lavori, anche quelli umiliche nella nostra società ormai sono riser-vati agli immigrati, ai più poveri, comela coltivazione della terra. Viviamo così,perché il Signore ha vissuto così.

    Non abbiamo una famiglia. Abbiamoscelto il Signore: o meglio il Signoreha scelto noi, è lui la nostra famiglia;la nostra fecondità femminile, il desti-no sponsale che ogni donna sente nelprofondo dell’anima come proprio è oc-cupato dalla sua persona e da coloroche sono i suoi privilegiati, la sua Chie-sa, le sorelle con cui ci chiama, i suoi fra-telli nel mondo, quelli che come voiportano un pezzettino della sua croce.Abbiamo accettato di avere il cuore libe-ro da un amore particolare perché po-tesse dilatarsi a un amore universale.

    Siamo qui perché qui abbiamo intra-

    visto la possibilità di costruire un pezzodi mondo nuovo, aperto ad accoglierela misericordia di Dio, nelle condizioniumane povere come sono quelle di ungruppo di donne senza particolari mez-zi, salvo quelli di un progetto di frater-nità; un piccolo segno della redenzionedi Cristo. Quella che aspetta te per essercompiuta. Quella redenzione che è lasperanza di ogni uomo.

    Caro fratello carcerato, conosci già ilSignore? In questo spazio chiuso che èil monastero c’è la realtà della sua Chie-sa viva che trasforma un pezzo di terrain un angolo di cielo. I nostri mezzinon sono diversi da quelli che potresteavere voi: la parola di Dio, la solitudi-ne, il cuore abitato dalla preghiera. An-che lo spazio chiuso del tuo carcere puòdiventare uno spazio di cielo, se lasciche lì abiti il Signore. Tanti testimonidella fede hanno vissuto in carcere peressa. Anche la tua vita può trasformarsiin una grande testimonianza di fede. Tiauguro ciò con tutto il cuore. Suor Francesca

    CARMELO MUSUMECI, DAL CARCERE DI PADOVA

    Inquadra il codicecon il telefonino

    Inquadrail codice con

    il telefonino

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    di XXXXXXXX XXXXXXXX

    Lo spettacolo

    Il silenzio

    in scena

    nella casa

    circondariale

    di Santa Maria

    Maggiore

    a Venezia.

    Sommario dsf gsdf gsdf gsdfgsdf gsdf sgdf sgdf gsdf dfs sdf

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    di XXXXX XXXXXXX

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    Caro Carmelo, anche tu porti la Croce

    «Caro fratello detenuto»,«Cara sorella religiosa»...Sono entrambi “dentro”,ma una per scelta e l’altroper costrizione. Eppure...

    di ALBERTO LAGGIAfoto di ALBERTO BEVILACQUA

    SUOR FRANCESCA, DA UN CONVENTO DI CLAUSURA

    TITOLINOSU DUE RIGHETesto dfs dfgfsd gsdf

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    Suor Francesca, sono un uomo ombra

    Voci da silenzi diversi

    Testo introduzione sdf gfds gdf gfgdf gfsdgdfs gdf gsdf gfsd gsdf gdfs gfsd fsd sdgsdf sdfg gdf gfsd gdfs gdf gsdf gfsd gsdfgdf gfsd gdfs gdf gsdf gfsd gsdf gdfs gfsdfsd sd gsdf sdfg fds gdsf gsdf sdfggdfsgdf gfsd gdfs gdf gsdf gfsd gsdf gdfsgfsd fsd sd gsdf sdfg fds gdsf gsdf sdf ggfsd fsd sd gsdfgdf gfsd gdfs gdf gsdfgfsd gsdf gdfs gfsd fsd sd gsdf sdfg fdsgdsf gsdf sdf g sdfg fds gdsf gsdf sdf gfdsgdsf gsdf sdf gsd gdfs gdf gsdf gfsd gsdfgdfs gfsd fsd sd gsdf sdfg fds gdsf gdfgfsd gdfs gdf gsdf gfsd gsdf gdfs gfsd fsdsd gsdf sdfg fds gdsf gsdf sdf ggsdf sdf g

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    ATTUALITÀ XXXXXXXX

    UNA SUORA E UN ERGASTOLANO SI SCRIVONO

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    di XXXX XXXXXX - foto diXXXX XXXX

    Qui sopra, da sinistra: un tecnico dello spettacolo, le attrici Antonella Fanigliulo

    e Tiziana Risolo, lo scrittore Giampiero Beltotto, l’attore Tano Chiari e il regista

    Alfredo Traversa. A sinistra: un’altra scena dello spettacolo nel carcere di Venezia.

    ATTUALITÀ CARCEREE CLAUSURA

    71famiglia cristiana n. 36/2013

  • Due giovani attrici scalze, vestiteda monache, invitano gli spet-tatori a entrare nella sala. «Pre-go, abbiamo un po’ di tempo»,

    ripetono a mo’ di cantilena. Non siamoin un teatro. E gli spettatori non sonogiunti dalle loro abitazioni, ma dallecelle circostanti. Siamo dentro la casacircondariale di Santa Maria Maggiore,il carcere maschile di Venezia.

    La sala della struttura penitenziariaper un giorno diventa palcoscenico diuna singolare “prima”: va in scena Il si-lenzio, pièce teatrale della compagniapugliese Teatro della fede. Vi si rappre-sentano la quotidianità, i pensieri, i sen-timenti delle donne che hanno scelto lavita monacale. La clausura, recitata da-vanti a chi è costretto a un’altra clausu-ra, stavolta forzata, punitiva. Due realtàlontanissime tra loro, che in comunehanno più aspetti: spazi angusti, regolee tempi precisi, dettati da altri, e il silen-zio, appunto, che può essere liberante,ma anche tormento notturno.

    L’incontro tra questi due mondi è sta-to pensato dal regista e fondatore dellacompagnia, Alfredo Traversa, che hapreso spunto dal libro Silenzio amicodel giornalista Giampiero Beltotto:un’intervista alle monache trappistedei monasteri di Valserena e Vitorchia-no e le risposte delle religiose al popolodella Rete, tramite un blog. «Ho portatoin scena le parole di queste donne cheprendono corpo grazie alle attrici», spie-ga il regista. Ne esce l’immagine di per-sone che, ben lungi dall’essere fuori dalmondo, delle “sepolte vive”, amano, sof-frono e gioiscono, pregano e lavorano.Le monache parlano senza falsi pudori

    di amore, sessualità, Dio, maternità econtemplazione, scardinando luoghi co-muni. «Abbiamo voluto iniziare la tour-née dalle carceri, cercando un dialogotra chi vive in convento e chi è reclusoin prigione. Questo è il teatro civile cheprediligo», conclude il regista.

    Abbiamo chiesto a una monaca diclausura di Valserena e a un detenutocondannato a ergastolo ostativo (quel-lo senza benefici, che condanna a unamorte lenta) di raccontarsi, di gettareun ponte sul vuoto che separa prigionee convento. La lettera di Carmelo Mu-sumeci è un manifesto contro l’ergasto-lo; quella di suor Francesca un ponterealizzato col solo mattone che può reg-gere la tensione di un arco così esteso:la preghiera. Alberto Laggia

    XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX

    TITOLOXXXXXXXXXX

    Sorella Francesca,anzitutto mi presento: sono perlegge un cattivo e colpevole per

    sempre. Non sono né morto né vivo. So-no “uomo ombra” (così si chiamano gliergastolani ostativi fra loro) prigionie-ro nell’Assassino dei Sogni di Padova(così i prigionieri chiamano il carcere)condannato alla “Pena di morte viva”(così è chiamato l’ergastolo ostativo,che esclude qualsiasi possibilità di mori-re un giorno da uomo libero).

    Sorella Francesca, la mia vita èun inferno perché per me nonci sono più speranza, futuroe compassione. Solo soffe-renza perché il tempo passae non abbiamo più nulla daaspettare. Siamo destinatiper tutta la vita a stare nell’om-bra e a morire di vecchiaia murativivi nelle nostre celle.

    Sorella Francesca, nel Medioevo ti am-mazzavano, ti cavavano gli occhi, ti taglia-vano un braccio, ma il dolore non dura-va per sempre. Ora invece l’ergastolo

    ostativo è nello stesso tempo una pena dimorte, una tortura e un dolore all’infini-to. Un vero e proprio incubo a occhi aper-ti, in cui non è possibile svegliarsi.

    Sorella Francesca, ho due figli, duenipotini e una compagna che mi stan-no aspettando da 22 anni inutilmente,perché di me avranno solo il cadavere.Per questo, a volte, la sera quando chiu-do gli occhi spero di non aprirli più. Eieri sera ho parlato tutta la notte con lamia ombra proiettata sul muro della cel-

    la. Lei si specchiava nel mio cuo-re. Io nei suoi occhi. Lei si senti-

    va me. E io mi sentivo lei. Aun tratto abbiamo fatto unprofondo respiro tutti e due.Poi ci siamo guardati negli

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    La mia ombra mi ha risposto:«Non è un buon posto». Le ho ripetuto:«Uno vale l’altro». Lei ha replicato: «Que-sto lo dici tu». Poi siamo scoppiati apiangere. E ci siamo abbracciati.

    Sorella Francesca, devi sapere che gli

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    Sorella Francesca, puoi dire tu ai“buoni” che la migliore difesa control’odio è l’amore e la migliore vendetta èil perdono? Diglielo tu che dopo tantianni di carcere non si punisce più quel-la persona che ha commesso il crimine,ma si punisce un’altra persona che conquel crimine non c’entra più nulla.

    Sorella Francesca, mi ha fatto benescriverti, hai un bel nome che mi ricordasan Francesco. Un sorriso fra le sbarre. Carmelo Musumeci

    giugno 2013

    ATTUALITÀ CARCEREE CLAUSURA

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    amministrati dal monastero e provengo-no dal nostro lavoro, non da donazionio beneficenza. «Sono veri monaci quan-do vivono del lavoro delle loro mani», cidice san Paolo e ci ricorda la regola disan Benedetto che abbiamo scelto. Fac-ciamo tanti lavori, anche quelli umiliche nella nostra società ormai sono riser-vati agli immigrati, ai più poveri, comela coltivazione della terra. Viviamo così,perché il Signore ha vissuto così.

    Non abbiamo una famiglia. Abbiamoscelto il Signore: o meglio il Signoreha scelto noi, è lui la nostra famiglia;la nostra fecondità femminile, il desti-no sponsale che ogni donna sente nelprofondo dell’anima come proprio è oc-cupato dalla sua persona e da coloroche sono i suoi privilegiati, la sua Chie-sa, le sorelle con cui ci chiama, i suoi fra-telli nel mondo, quelli che come voiportano un pezzettino della sua croce.Abbiamo accettato di avere il cuore libe-ro da un amore particolare perché po-tesse dilatarsi a un amore universale.

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    Caro fratello carcerato, conosci già ilSignore? In questo spazio chiuso che èil monastero c’è la realtà della sua Chie-sa viva che trasforma un pezzo di terrain un angolo di cielo. I nostri mezzinon sono diversi da quelli che potresteavere voi: la parola di Dio, la solitudi-ne, il cuore abitato dalla preghiera. An-che lo spazio chiuso del tuo carcere puòdiventare uno spazio di cielo, se lasciche lì abiti il Signore. Tanti testimonidella fede hanno vissuto in carcere peressa. Anche la tua vita può trasformarsiin una grande testimonianza di fede. Tiauguro ciò con tutto il cuore. Suor Francesca

    CARMELO MUSUMECI, DAL CARCERE DI PADOVA

    Inquadra il codicecon il telefonino

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    Lo spettacolo

    Il silenzio

    in scena

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    Caro Carmelo, anche tu porti la Croce

    «Caro fratello detenuto»,«Cara sorella religiosa»...Sono entrambi “dentro”,ma una per scelta e l’altroper costrizione. Eppure...

    di ALBERTO LAGGIAfoto di ALBERTO BEVILACQUA

    SUOR FRANCESCA, DA UN CONVENTO DI CLAUSURA

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    Voci da silenzi diversi

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    ATTUALITÀ XXXXXXXX

    UNA SUORA E UN ERGASTOLANO SI SCRIVONO

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    di XXXX XXXXXX - foto diXXXX XXXX

    Qui sopra, da sinistra: un tecnico dello spettacolo, le attrici Antonella Fanigliulo

    e Tiziana Risolo, lo scrittore Giampiero Beltotto, l’attore Tano Chiari e il regista

    Alfredo Traversa. A sinistra: un’altra scena dello spettacolo nel carcere di Venezia.

    ATTUALITÀ CARCEREE CLAUSURA

    72famiglia cristiana n. 36/2013

    73famiglia cristiana n. 36/2013


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