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Volontari per lo sviluppo

Date post: 23-Mar-2016
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marzo-aprile 2011
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ITALIA NUCLEARE? A chi conviene l’energia atomica V p S L’Aquila due anni dopo Congo: guerra di genere Coworking: le nuove frontiere del lavoro Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. post. DL. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1 CNS/CBPA/TORINO - marzo-aprile 2011- anno XXVII Volontari per lo sviluppo La rivista di chi abita il mondo
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Page 1: Volontari per lo sviluppo

ITALIA NUCLEARE?A chi conviene l’energia atomica VpS

L’Aquila due anni dopo Congo: guerra di genere Coworking: le nuove frontiere del lavoro Po

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Volontari per lo sviluppoLa rivista di chi abita il mondo

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Le ong nel Mediterraneo I primi mesi del 2011 saranno ricordati come quelli della liberazione dei popoli arabi della sponda

sud del Mediterraneo dai regimi che li hanno tenuti soggiogati per un intero lustro. Con la rapidità di

un virus i sistemi dittatoriali del Maghreb sono stati invasi da un soffio di libertà ed

emancipazione paragonabile a quello che nell’89 ha portato al crollo del muro di Berlino e dei

regimi comunisti dell’Est Europa. Un paragone che speriamo favorisca nella classe politica e nella

cittadinanza italiane atteggiamenti di accoglienza analoghi a quelli dei cittadini tedeschi nel farsi

carico della ricostruzione democratica post riunificazione.

Ma torniamo all’altra riva del Mare Nostrum per onorare le vittime e gli eroi delle popolazioni civili

locali che hanno pagato con un prezzo altissimo la follia, la vanagloria e il delirio di onnipotenza di

leader scellerati. Al di là delle cifre sulle vittime dei moti, dall’Egitto alla Libia, che forse non saranno

mai appurate, resta lo scandalo di come ancor oggi si debba ricorrere ad azioni cruente per sman-

tellare l’intricata rete di relazioni, connivenze e affari internazionali che consentono a

dittatori e rais di perseguire folli logiche di potere.

C’è una questione importante: le decisioni delle istituzioni multilaterali e le loro reazioni di fronte ai

fatti del Nordafrica. Ritengo positiva ed energica la reazione della comunità internazionale e delle

sue istituzioni. Dapprima essa ha “scaricato” i leader, sino a rinnegare le precedenti innegabili collu-

sioni e gli intrallazzi con essi intrattenuti. Un contesto inedito che ha consentito al Consiglio di

sicurezza Onu di adottare una risoluzione sanzionatoria in tempi rapidi nei confronti

di Gheddafi. Ben sapendo come il potere sanzionatorio sia di fatto l’unico concesso agli organi

decisionali del Palazzo di Vetro - privi di leve militari, economiche e legislative che gli Stati membri si

guardano bene dal cedere - restano forti preoccupazioni sulla reale efficacia delle sanzioni.

Le esperienze del passato, da Haiti al Salvador, dalle Filippine alla Birmania, dal Centrafrica allo Zaire,

dimostrano come esse vadano più a colpire le popolazioni che non i leader antidemocratici che

spesso si rifugiano da governi amici e trincerano le loro ingenti fortune dietro l’omertà dei paradisi

fiscali. O addirittura fanno affari proprio grazie a embarghi e sanzioni della comunità internazionale,

che favoriscono mercato nero e traffici illeciti. Sanzioni ed embarghi sono strumenti di pressione

utili, a patto che si abbinino ad azioni di sostegno concreto, interventi umanitari e di coo-

perazione efficaci. Azioni che non possono realizzarsi se non attivando la comunità non governa-

tiva internazionale. A differenza dei governi e delle istituzioni intergovernative, le ong sono libere

di intervenire in favore delle popolazioni civili bypassando i circuiti governativi locali e

attivando le reti di partenariato che esse hanno tessuto, non di rado nella clandestinità, con

realtà di società civile locali. Stanziamenti pubblici adeguati, azioni sinergiche tra governi e ong,

complementarietà di intervento e sussidiarietà di azione porterebbero a un intervento efficace sia

per l’applicazione degli strumenti sanzionatori; sia per il sostegno alle popolazioni civili locali; sia

infine per avviare strategie di cooperazione allo sviluppo che, soprattutto nei contesti non democra-

tici, richiedono il rafforzamento, il consolidamento e lo sdoganamento delle organizzazioni di socie-

tà civile.

editoriale di Sergio Marelli - Segretario Generale Focsiv

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IN PRIMO PIANO8 QUEL CHE RESTA DELL’AQUILAL’impegno della società civile a 2 anni dal sisma

VOCI DAL SUD16 LA GUERRA DEI BAMBINIGiovani protagonisti dell’Intifada kashmira

19 L’ARTE DEL MASINKOIl violino etiope, “strumento” di sopravvivenza

COOPERAZIONE38 GIOVANI EUROPEI PER IL MONDO15 anni di Sve, palestra di cittadinanza attiva

IL PERSONAGGIO41 L’ULTIMO PRESIDENTEAdlan Mukhamedov, leader a rischio di un’ong cecena

PERCORSI PIONIERI45 COWORKING: DI NECESSITA’ VIRTU’Le nuove frontiere del “lavoro in comune”

PERCORSI CREATIVI51 LA CARICA DELL’ECO FASHIONCome abbigliarsi in modo alternativo e sostenibile

PERCORSI MIGRANTI54 DO YOU SPEAK ITALIAN?La bufala dei test d’italiano per stranieri

VpSn.02/2011

Reportage e notizie daicinque continenti,

progetti di solidarietà,proposte di turismoalternativo, consumocritico e molto altro

volontariperlosviluppo.it

Page 5: Volontari per lo sviluppo

PERCORSI DI RICERCA54 L’ERA DELLA MIGRAZIONEProtagoniste le nuove famiglie transnazionali

Rubriche6 @ Volontari13 Da non perdere14 Mondo news44 Osservatorio cooperazione48 Altroturismo50 Attivati57 Il mondo in pellicola58 Multimedia60 Cose buone dal mondo62 L’esperto risponde

Un sito VpS tutto nuovo

VpSLarivistadichiabitailmondo

Nonostante alcuni ritardi sui tempi previsti è attivo da febbraio il sito VpS tutto rinnovato. Quando

sei on line la prima regola è che non fai in tempo a iniziare una cosa che è già vecchia. E’ l’anima

della rete, dove niente è stabile ma tutto in continuo cambiamento. Così anche noi, inghiottiti dal

magma del cyber-spazio, cambiamo, evolviamo, inventiamo. Questo è il nuovo sito VpS, ampiamente

rivisto nei contenuti e nella forma con l’obiettivo prioritario di essere molto più interattivo del prece-

dente, che pure ha sempre avuto un gran numero di visitatori. Avrete quindi tutti la possibilità di

inserire i vostri commenti, link e post. Di seguire i nostri blog e quelli dei vari esperti nostri amici, di

proporre il vostro o di mandarci notizie nell’apposito form. Ma anche solo di leggere (speriamo!)

cose sempre più interessanti perché arricchite dal contributo di molti, sul mondo della solidarietà

internazionale e più in generale sul mondo, i consumi, le scelte di vita.

Venite subito a trovarci allora su www.volontariperlosviluppo.it

Reportage

Dossier

22 Stupri di guerra

29 SCACCO NUCLEARE

In Congo le milizie si accaniscono contro le donne

I retroscena del dibattito in vista del referendum

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Macerie. Disgregazione. Disagio. Ma soprattutto ricostruzione e cambiamento, a partire dal tessuto sociale. Sono queste leparole che più si ripetono nei discorsi degli aquilani impegnati nelle associazioni di volontariato che ci hanno raccontatoquesti due anni nella città colpita dal terremoto il 6 aprile 2009. Una tragedia che ha fermato in parte l’economia del terri-torio, con un livello di occupazione sceso dal 71% al 65% (dati della ricerca Microdis-L’Aquila 2011) togliendo la casa a 65mila persone (le case distrutte sono 23 mila) e provocando 308 vittime. Ma la scossa non ha frenato l’intraprendenza dellasocietà civile, dei cittadini che ancora a febbraio di quest’anno si sono ritrovati con le carriole nel centro storico del capo-luogo abruzzese per denunciare l’immobilismo delle istituzioni e attirare l’attenzione sul loro bisogno di tornare alla pro-pria città.

Relazioni sociali, cosa rimaneUn bisogno che Annamaria De Luca, presidente e socia fondatrice dell’associazione Il Sicomoro, bottega del circuito equo-solidale che nel sisma ha perso la sua storica sede in città, definisce come «vitale». «Bisognerebbe venire a vedere come ilsisma ci ha lasciato. Non si può esprimere con poche parole una situazione di così ampio dolore», ci racconta. «Non siparla d’altro qui all’Aquila, la gente ha bisogno di ritrovare la propria identità, è proprio questo che è venuto a mancare,oltre ai postumi anche a livello fisico di tantissime persone. A due anni dal terremoto c’è tanto lavoro da fare». I dati della ricerca Microdis-L’Aquila, condotta da un pool di ricercatori delle Università di Firenze, Ancona e L’Aquila, con-fermano il persistere di uno stato di disagio a due anni dal sisma: il 43% dei terremotati ha sofferto o soffre di stress, e trale donne la cifra arriva al 66%. In aumento anche depressione e senso di isolamento ed emarginazione, così come il con-sumo di alcol e droghe. Uno scenario con cui siamo abituati a confrontarci quando parliamo di emergenza umanitaria nelSud del mondo, non nel nostro paese. E tra le associazioni che per prime sono intervenute a sostegno delle vittime del ter-remoto c’è stata proprio un’organizzazione specializzata in progetti d’emergenza, Save the children Italia: «Questa è statala prima emergenza nazionale per Save the children Italia. Abbiamo avuto un training on the job da parte di specialisti del-l’emergenza di Stc International, con un lavoro sul campo», conferma Alessia Sartarelli, coordinatrice dei progetti educativiper Save the children Italia in Abruzzo. «Abbiamo subito attivato degli spazi a misura di bambino per accogliere ragazzi diogni età, dai più piccoli agli adolescenti. Nel mare blu delle tende della Protezione civile c’era la nostra tenda bianca con illogo di Stc, dove abbiamo proposto per sei mesi attività per trascorrere il tempo, con modalità interattiva, sempre conside-rando il fatto che i ragazzi erano vittime di un terremoto, con un’attenzione al loro andamento emotivo».

Due anni dopo: la denuncia«Noi di Save the children siamo stati nelle tendopoli fino alla loro chiusura», continua Sartarelli. «Da quel momento lapopolazione è stata spalmata nelle abitazioni del progetto Case, nei moduli provvisori e in quelle più lontane e nei paesinipiù lontani. Noi abbiamo a che fare con una popolazione sconvolta, devastata, che deve riappropriarsi di tutto. I ragazzihanno dovuto abituarsi a nuove abitazioni, tutte le scuole hanno una nuova sede dentro i Musp, Moduli ad Uso ScolasticoProvvisorio, che sono prefabbricati (per “saltare” la fase container)».

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Quel che resta dell’Aquiladi Donata Columbro

308 vittime, 65 mila persone senza casa e un livello di occupazione sceso dal 71% al65%. Questa la pesante eredità del terremoto che il 6 aprile 2009 ha colpito la cittàdell’Aquila. Dove, nonostante le difficoltà, la società civile continua a protestare senzasosta per denunciare l’immobilismo delle istituzioni e attirare l’attenzione sul bisogno ditornare alla propria città.

In primo piano

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Il futuro del territorio potrebbe tornare in mano agli aquilani se passerà in parlamento la propostadi una legge di iniziativa popolare, per cui si stanno oggi raccogliendo le firme.

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Secondo la ricerca Microdis oggi il 68% dei cittadini si dichiara insoddisfatto della propria sistemazione. E un rapporto diSave the children presentato a Roma il 16 febbraio conferma il persistere di un disagio psichico e sociale nei minori resi-denti all‘Aquila: “Tutto è provvisorio, da quando è andata via la protezione civile il 30 gennaio 2011 l’amministrazione deveprendere in mano la situazione», dice Sartarelli, «Il passaggio di consegne è stato dato alla Regione. La ricostruzione èferma, non ci sono le macerie ma ci sono i puntellamenti. Adesso che la gestione non è più della Protezione Civile, la per-cezione è quella di immobilismo».Il senso di isolamento è alto. «Uno dei rammarichi più grandi è che è stata completamente trascurata la ricostruzionesociale e culturale della nostra città», racconta con commozione Alfredo Fegatelli, segretario Fiom-Cgil provincialeall’Aquila, «io ho due figli, di 17 e 8 anni, immagino che quando diranno “ci vediamo ai Quattro Cantoni” intenderanno ilcentro commerciale appena costruito, e non più il punto storico d’incontro delle giovani generazioni aquilane».«A noi è sembrato che tutto, fin dall’inizio, fosse organizzato per tenere separate le persone e impedire di comunicare, diorganizzarsi. Suddivisi tra le case, gli alberghi, per gli aquilani incontrarsi, unirsi per far valere i propri diritti è difficile.Questa politica ha sfaldato la comunità». A fare questa denuncia è Alessandro Tettamanti Trionfi, referente ufficio stampadel Comitato 3.32, uno dei primi comitati cittadini spontanei nato dopo il sisma, «per poter risponder alle immediatenecessità dei cittadini tra le quali il bisogno di informazione sulle decisioni di amministrazione del territorio post-terremo-to». «Il tessuto sociale è sfilacciato», continua Annamaria De Luca, de Il Sicomoro, che come altri suoi concittadini soffre laradicale trasformazione del proprio territorio e la perdita dei punti di riferimento quotidiani, a partire dalla mancanza diluoghi di ritrovo o di luoghi legati alla memoria della città, come il centro storico, chiuso dentro i confini invalicabili della

Tutto è stato organizzato per tenere separate le persone: suddivisi tra case e hotel,per gli aquilani è molto difficile incontrarsi per far valere i propri diritti

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11In primo piano

“zona rossa”. Il centro della città è rimasto disabitato e considerato inagibile fino alla prima protesta del “movimento dellecarriole”, il 10 febbraio 2011, quando un centinaio di aquilani ha rotto il divieto per portare via le macerie da uno spazioche sembrava consacrato al monumento della tragedia. «C’è stata una grande speculazione, un grande disordine e unadisattenzione da parte delle istituzioni. Il Presidente del Consiglio sembrava il Messia che arrivava a salvarci e questo puòaver reso più deboli le istituzioni che non sono state in grado di prendere subito in mano la situazione in maniera piùseria», afferma De Luca.

Riflettori puntatiRiportare l’attenzione sulla città duramente colpita dal sisma del 6 aprile 2009 e riaffermare i diritti delle popolazioni col-pite è stata la prima delle azioni congiunte da parte del mondo del volontariato aquilano. Nel luglio dello scorso anno, adodici mesi dal G8 dell’Aquila, è tornata in Abruzzo anche la Focsiv insieme all’Aifo (Associazione Italiana “Amici di RaoulFollereau”) per un gesto simbolico teso a richiamare l’attenzione sulle promesse del governo riguardo al territorio: «A più diun anno di distanza dal terremoto», ha dichiarato il Segretario Generale Sergio Marelli in occasione dell’evento, «tra impe-gni non mantenuti e agevolazioni che sono venute meno o che rischiano di essere tali questo governo ancora una voltarende manifesta l’inaffidabilità sugli impegni assunti». «La giornata è stata un’occasione di sensibilizzazione sugli argomenti della solidarietà internazionale, per sottolineare itratti comuni esistenti tra una città terremotata e le regioni più povere del pianeta nei termini di disinteresse e pocavolontà di chi ha le responsabilità politiche nel decidere circa le sfide e le urgenze sia locali che globali», dice Simona Del

In apertura: un cittadino aquilano davanti alle transenne che chiudono l'area interdetta al passaggio pubblico a causa dei gravi danni prodotti

dal terremoto. Sotto: proteste per la riapertura del centro storico. Ancora sotto: una squadra della Protezione Civile nelle tendopoli e il Palazzo

del Governo in piazza della Repubblica a L'Aquila completamente distrutto dal sisma.

Iniziativa popolaredi Damiano Sabuzi Giuliani

Il futuro del territorio potrebbe tornare in mano agli aquilani se la campagna per una legge di iniziativa popolare sulla rico-struzione dopo l’emergenza lanciata il 20 novembre, in occasione della manifestazione nazionale “L’Aquila chiama Italia.Macerie di democrazia”, raggiungerà entro i primi giorni di aprile le 50 mila firme necessarie per presentare la legge inParlamento. “I cittadini dei Comuni colpiti dal terremoto del 6 aprile 2009, a 19 mesi dal sisma […] hanno individuato nello strumentodella proposta di legge di iniziativa popolare l’unica possibilità di vedere ricostruito il territorio colpito, e l’unica possibilitàdi essere partecipi della ricostruzione”.Con queste parole inizia la premessa alla proposta “per una legge di solidarietà nazionale per i territori colpiti da disastrinaturali”.Una proposta realizzata su piattaforma wiki, condivisa da tutti sulla base di discussioni, proposte e confronti. L’idea, partitadai cittadini aquilani, ha come fine ultimo di regolamentare il post-emergenza di tutti i disastri naturali che si potrebberoverificare sul territorio italiano. La proposta, costruita sull’esperienza delle persone che hanno vissuto e che stanno vivendosulla propria pelle la catastrofe, cerca di tenere conto di tutte le necessità e di dare risposte tempestive e concrete, a segui-to della catastrofe, sia nel breve che nel lungo periodo: dall’affidamento della gestione e il coordinamento delle operazioninecessarie post disastro naturale ai sindaci, presidenti di province e regioni, alle norme economico fiscali per permetterealle comunità colpite di poter ripristinare le attività economico-produttive (art.15).La raccolta firme, iniziata il 20 novembre 2010, è arrivata già a quota 20.000, ovvero poco meno della metà delle 50.000necessarie per poter presentare il progetto di legge al presidente della Camera dei deputati o al presidente del Senato dellarepubblica. Il testo completo della proposta di legge e ulteriori informazioni sull’iniziativa sono disponibili sul sito www.anno1.org

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Re, referente nazionale Aifo in Focsiv. A dicembre sono stati tre i giorni dedicati al mondo del volontariato con la manifestazione “Volontariamente… Fai la diffe-renza”. «Un evento importante quello di dicembre, perché abbiamo aperto l’Anno Europeo del Volontariato all’Aquila. Dalcuore del centro storico abbiamo presentato video e inchieste sulla situazione aquilana post-terremoto, soprattutto attra-verso gli occhi delle nuove generazioni, gli studenti delle superiori», racconta Roberto Museo, direttore di CsvNnet(Coordinamento Nazionale dei Centri servizio per il Volontariato in Italia). «Il volontariato aquilano è riuscito ad ottenere,per la prima volta dopo il terremoto, un consiglio congiunto, sia del consiglio provinciale che comunale, che ha approvatoall’unanimità la risoluzione del parlamento europeo sul contributo del volontariato. Su questo filone intendiamo prosegui-re nel lavoro di valorizzazione e di ruolo, in connessione con tutte le altre forze».

Ricominciare… in rete«L’Aquila è piena di comitati cittadini tutti con lo stesso obiettivo, quello di aiutare la gente a sentirsi più unita. Noi asso-ciazioni abbiamo un motivo in più per impegnarci ed è importante in queste situazioni saper cogliere delle opportunità»,afferma la presidente de Il Sicomoro. La bottega equosolidale è risorta dalle macerie solo pochi mesi fa, proprio grazie aisuoi clienti più affezionati, ai cittadini che hanno bussato alle porte dell’associazione e hanno chiesto che venisse ripristi-nato un punto dedicato all’economia solidale in città: «Per ora siamo in un container in uno spazio con altre 18 associa-zioni chiamato Piazza D’Arti. Ma abbiamo già idee su come allargare le nostre attività rispetto a prima del terremoto: vor-remmo occuparci di finanza etica, di turismo responsabile, creare un Gruppo di acquisto solidale, magari con uno sportel-lo. Se riusciamo potrà nascere una bella realtà sull’esempio della città dell’Altreconomia a Roma». Secondo un’analisi del Centro di Servizio di Volontariato dell’Aquila, le sedi delle associazioni andate distrutte durante ilterremoto sono il 70%. «Ecco perché abbiamo deciso di promuovere la realizzazione di una “casa del volontariato “, spiegaRoberto Museo, «la struttura di 1600 mq ospiterà una serie di spazi funzionali alle associazioni aquilane e sarà anche lanuova sede del nostro Csv. In più, offrirà a 10 associazioni una sede ufficiale dove si lavorerà in un’ottica di rete, non dicondominio.» La casa del volontariato sarà ultimata secondo le tempistiche indicate sul sito internet del progetto, nell’apri-le di quest’anno e lo scopo «non sarà solo dare una casa al volontariato, ma consentire di costruire reti e collegamenti sta-bili tra le diverse organizzazioni e anche con altri attori sociali per essere laboratorio di progettazione sociale per i nuovibisogni del territorio». E dove non intervengono le istituzioni o i finanziamenti ufficiali, si attivano i cittadini. Stanchi della lentezza burocraticadella ricostruzione, i giovani del Comitato 3.32 hanno deciso di riappropriarsi di alcuni luoghi importanti della loro cittàrimasti in disuso dopo il terremoto, benché recuperabili, come l’area ora denominata “CaseMatte”, situata nel complessodell’ex manicomio psichiatrico di ColleMaggio: «Abbiamo chiesto ufficialmente uno spazio per avere una sede nel comita-to, ma inizialmente non ci è stata data alcuna risposta. Allora abbiamo occupato CaseMatte con il progetto di renderlouno spazio di incontro aperto alla città. Il rischio è che questo spazio ci sia tolto dal momento che l’Asl ha scelto di ven-derlo a una gestione privata che può esporlo all’ennesima speculazione di privati». A sostenere i ragazzi del Comitato 3.32una parte delle istituzioni c’è, nella persona di Stefania Pezzopane, assessore comunale alla Cultura, che ha dichiarato dinon comprendere «l’accanimento contro questi ragazzi che lì, dal 6 aprile 2009, svolgono attività culturali e sociali chevedono un’ampia partecipazione della cittadinanza».Ciò che emerge dalle testimonianze dei volontari, dalle inchieste sulla ricostruzione, dai dati sulla fragile ripresa dell’eco-nomia del territorio, è che ci sia un “prima e un dopo” terremoto. Questo fatto non si può negare. Ma il “dopo” puòcomunque offrire un’opportunità inattesa per cambiare ciò che “prima” non piaceva di questa città: ne è convinta la presi-dente de Il Sicomoro: «la disgrazia è stata un’opportunità perché si potessero creare sinergie con le altre associazioni». Eper Alessandro, a nome dei i giovani di CaseMatte, è in corso «un progetto di vita che ci fa andare fino in fondo: rimanerein questa città e viverci meglio di prima».

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Il 70% delle associazioni hanno avuto la sede distrutta: ma adesso sta per essereinaugurata la “casa del volontariato”, dove lavoreranno in rete

Page 11: Volontari per lo sviluppo

Sostegno a distan-zaIl XII convegno nazio-nale organizzato dalForum permanente peril Sostegno a distanzasi terrà il 27 e 28 apri-le a Livorno.Quest’anno il tema delForum si concentrasull’efficacia degliinterventi di sostegnoa distanza. L’eventosarà inoltre l’occasio-ne per lanciare leFeste dei Sostenitori,che si terranno aTorino, a Livorno e aRoma per diffondersipoi in altre città, conlo scopo di sottolinea-re e rafforzare i rap-porti con i sostenitori.Info: www.forumsad.it

Fundraisers infestaA Castrocaro Terme,dall’11 al 13 maggioprossimi, si svolgeràla quarta edizione delFestival del fundrai-sing: un appuntamen-to formativo e infor-mativo da non perdereper chi lavora o èvolontario nel no pro-fit. Il festival è rivoltoa tutte le figure pro-fessionali del fundrai-sing e del no profit,ma anche a personeche si vogliono occu-pare di comunicazio-ne, marketing, cam-paigning dentro leorganizzazioni no pro-fit e gli enti pubblici. Info: www.festivaldel-fundraising.it

Terra FuturaIl 20-22 maggio aFirenze torna TerraFutura. Tanti i conte-nuti: una rassegna diassociazioni e organiz-zazioni di no profit esocietà civile, impreseeticamente orientate,enti locali e istituzioni;opportunità di appro-fondimento nella riccaprogrammazione cul-turale tra workshop,convegni e seminari;laboratori e perfor-mance istruttive edivertenti. Tra le ini-ziative: la Borsa delleimprese responsabili,il premio Architetturae sostenibilità, TerraFutura per la scuola.Info:www.terrafutura.it

Pellegrini “respon-sabili”Il 1° maggio 2011 siterrà la terza giornatanazionale dei CamminiFrancigeni, organizza-ta dalla Rete dei cam-mini, associazione disecondo livello nataper promuovere e tute-lare il valore culturalee ambientale dei cam-mini di pellegrinaggioe per diffondere unacultura di mobilità“dolce” e sostenibile.Verranno organizzateiniziative in diversecittà italiane da partedei vari enti aderenti.Info: www.retecammi-nifrancigeni.eu

A Bologna l’associa-zione “Oltre” vi invitaa un gustoso appunta-mento. Domenica 17aprile si svolgeràinfatti la V edizionedel Gran festival inter-nazionale della zuppa.Il festival è nato comegara ludica di zuppein strada nel quartieremultietnicoWazemmes a Lille(Francia) per diffonde-re l’idea di condivisio-ne cittadina e mesco-lamento, “ricetta” cheè riuscita oltre leaspettative, al puntoda essere esportata inmolte città europee. Info: www.fest-festi-val.net

Da non perdere a cura di Elena Poletti

Cuciniamo il mondoProseguono fino a giugno i laboratori di cucina etnica proposti dall’associazioneCucimondo con le ong Ricerca e cooperazione e Sharing human life project e con ilcentro Il Fiume di Roma. Ogni sera un rappresentante di un paese diverso spiegacome preparare i piatti della propria regione, parla della cultura d’origine e dei moti-vi che l’hanno portato in Italia. Al termine di ogni serata si assaggiano i piatti prepa-rati e si ricevono dispense con ricette, approfondimenti storici e culturali, indirizziutili per fare la spesa. Prossimi incontri 8, 16 e 19 aprile, dedicati a Iran,Uzbekistan e Costa d’Avorio.Info: www.associazionecucimondo.org

Ricette & cultura

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Page 12: Volontari per lo sviluppo

STUPRI DI GUERRAdi Ugo Lucio Borga e Giampaolo Musumeci (*) da Goma foto: Ugo Lucio Borga

Reportage

Page 13: Volontari per lo sviluppo

Mantenere il controllo sui giacimenti minerari, e sopravvivere. Questi i motivi del conflitto che da 13 anniinsanguina la R. D. del Congo, contrapponendo l’esercito nazionale ad altri gruppi armati. Ma oggi il livel-lo dello scontro si è alzato, e gli stupri di massa sono diventati il nuovo linguaggio della politica.

Page 14: Volontari per lo sviluppo

C’è un grande albero della gomma, a Ruwungi. Segna il confine tra la foresta e il villaggio, e tra il gior-

no e la notte. All’imbrunire centinaia di donne si raccolgono ai suoi piedi, poi si incamminano in silen-

zio verso la giungla. Spariscono poco a poco, inghiottite dalle nuvole che presto si sciolgono in violenti

scrosci di pioggia. «Nessuno sa dov’è il luogo che hanno scelto per rifugiarsi» racconta il capo villaggio.

«Non si fidano più degli uomini. Di nessun uomo».

Bijou è una delle poche a non cercare rifugio tra l’oscurità degli alberi. Aspetta il ritorno di sua figlia,

forse viva forse no, affidata al conducente di uno dei rari veicoli che tentano ancora di percorrere la

pericolosissima strada per Goma. Sono trascorsi ormai mesi, da quel 30 luglio. Nessuna notizia.

«Quella notte sono arrivati una ventina di uomini armati» racconta. «Pensavamo fossero dell’esercito

congolese (Fardc), venuti a proteggerci dagli attacchi degli uomini della foresta (Fdlr, hutu rwandesi del

Fronte democratico di liberazione del Rwanda). Gli abbiamo portato del cibo, il comandante ha chiesto

che il capo villaggio lo raggiungesse nell’accampamento. L’hanno legato, picchiato, hanno preso tutti

gli uomini e li hanno tenuti in ostaggio. Poi è iniziata la caccia. Abbiamo sentito le prime urla arrivare

dalle case di paglia ai bordi del villaggio. Tutte le donne sono state stuprate. 256. Quando sono arrivati

mia figlia, di 9 anni, ha tentato di difendermi. L’hanno colpita alla testa, con il calcio di un fucile. Le vio-

lenze sono continuate 3 giorni. Da allora le donne si nascondono nella foresta».

Il conflitto, nel nord-est della Repubblica democratica del Congo, dura da oltre 13 anni. Ha provocato 6

milioni di vittime, per lo più civili. Nella regione operano circa 20 gruppi armati, tra cui Fdlr, Fardc,Cndp,

May May Checka, May May Apcls… oltre a gruppi autonomi di disertori e banditi comuni. Tutti usano

la stessa uniforme, le stesse armi, parlano swahili e kinyarwanda, combattono per gli stessi motivi:

mantenere il controllo dei ricchi giacimenti, e sopravvivere. Il ricorso allo stupro di massa come arma

di guerra lascia però supporre che il livello dello scontro si sia alzato.

LE FERITE APERTE DEL GENOCIDIOLa pista che da Nabiondo si snoda fino al cuore della foresta del Massisi è sbarrata da un check point

delle Fardc. Da qui in poi la zona è controllata dalle milizie May May del generale Janvier, che hanno

stretto un’alleanza con le Fdlr. Centinaia di uomini delle Fardc, comandati da ufficiali tutsi, lanciano

attacchi quotidiani. L’ordine è uno solo: scovare e distruggere le “forze negative”, gli hutu rwandesi

che sopravvivono nascosti nella giungla. Dal marzo 2009 a oggi tre operazioni militari su larga scala

sono state condotte insieme da commando dell’esercito congolese e ruandese con il supporto del-

l’aviazione della Monusco.

Monsieur Laforge, portavoce delle Fdlr, ci attende al villaggio di Maniema, a due giorni di marcia da

Nabiondo. Lo stato maggiore siede intorno a un braciere di carbone. Piove da giorni; i vestiti, stesi ad

asciugare sulle brande di bambù, sbuffano vapore. Attacchi sono stati registrati a est della nostra posi-

zione, i comandanti radunano le milizie alla luce delle lanterne, il trasferimento al fronte di un primo

contingente è previsto per la notte.

«L’Fdlr è un movimento politico-militare nato per difendere gli hutu rwandesi rifugiatisi in RdC dopo gli

eventi del ‘94. Lotta perché sia fatta piena luce su quanto accadde durante il genocidio. Vi furono

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Il conflitto nel nord-est della R. D. Congo ha provocato 6 milioni di vittime: oggi nellazona “operano” 20 gruppi armati, più disertori e banditi comuni

Page 15: Volontari per lo sviluppo

25Reportage

Page 16: Volontari per lo sviluppo

26

Page 17: Volontari per lo sviluppo

responsabilità gravi da entrambe le parti. La comunità internazionale ha sposato finora la tesi del pre-

sidente Paul Kagame, attribuendo agli hutu rwandesi la colpa di tutto, per convenienza politica. Ma

qualcosa sta cambiando. Il rapporto Onu del 1° ottobre 2010, che accusa i tutsi rwandesi di aver com-

messo in RdC atti di genocidio nei nostri confronti dal ‘96, è un primo passo nella giusta direzione».

Secondo Laforge, le Fdlr con gli stupri di massa non c’entrano. Tali atti, e la loro attribuzione agli hutu

rwandesi, servirebbero a demonizzare un avversario che il governo di Kigali, ritenuto il vero mandante

delle operazioni militari in Congo, vuole cancellare.

Oggi, circa 80.000 hutu rwandesi si nascondono nelle zone più inaccessibili nel nord-est del Congo. La

mortalità infantile è elevatissima. Ogni tipo di assistenza medica o umanitaria è loro negata. Le condi-

zioni di questi profughi sono disperate. «Siamo disponibili a una soluzione politica del conflitto, che

preveda il rientro del nostro popolo nel paese d’origine ed elezioni libere e democratiche. In alternati-

va, continueremo la lotta armata per rovesciare il governo di Kigali».

L’AFFARE DELLE MINIEREWalikale, novembre 2010. Le voci di trattative tra il signore della guerra Checka e i vertici delle Fardc si

fanno più insistenti. Sono in molti a sostenere che gli stupri di massa siano stati usati come arma di

ricatto dallo stesso Checka, per convincere il governo di Kinshasa a cedere alle sue richieste. Che pre-

vedono la riapertura dei siti minerari e l’integrazione delle sue milizie May May nell’esercito. Lui ci gua-

dagnerebbe il grado di generale, e la possibilità di continuare a sfruttare in modo illecito i siti minerari

della regione. Non è il solo: interi reparti dell’esercito sono destinati dai comandanti all’estrazione e al

contrabbando di materie prime. Lo stesso Ministero della difesa ammette di non controllare gli ufficiali

del suo esercito, e di non saper stimare il numero dei componenti e dell’armamento delle forze arma-

te della regione.

Le condizioni di sicurezza sono proibitive. Stupri, rapimenti, omicidi, saccheggi sono all’ordine del gior-

no. Hiroute Sellassie, direttore della missione Onu nel nord Kivu, ammette il suo imbarazzo: «Abbiamo

smesso di fornire supporto aereo alle operazioni di terra delle forze militari congolesi. Benché sia

un’attività prevista dal consiglio di sicurezza nel quadro di normalizzazione dell’area, ci troviamo a

dare supporto a forze che sono una minaccia per la popolazione». Nonostante un sostanziale cambio

di strategia da parte dei vertici Monusco e un’azione più efficace sul territorio, la situazione sembra

destinata ad aggravarsi. Gli interessi economici alla base del conflitto congolese rappresentano un

ostacolo insuperabile. Nel 2000 diversi esperti internazionali, incaricati dall’Onu, hanno investigato sulla

natura economica della guerra in Congo. Nel rapporto, controfirmato nel 2001 da Kofi Annan, vi sono i

nomi di 85 multinazionali che hanno realizzato enormi profitti speculando sulla guerra. Tra queste, le

americane Cabot corporation, Eagle wings resources international, Trinitech international, Kemet elec-

tronics corporation, Om group, Vishay sprague. Il gruppo di esperti ha redatto e diffuso 3 successive

versioni del report.

Regolarmente censurate su pressione del governo Usa e dell’Oecd.

(*) in collaborazione con Eurac di Bruxelles

27Reportage

Nel 2000 un team dell’Onu ha investigato sulla natura economica della guerra inCongo: 85 multinazionali hanno realizzato enormi profitti grazie al conflitto

In apertura: una donna

vittima di violenza con il

suo bambino nella

regione di Goma. Pagina

successiva: la missione

Onu nel paese, e

l’arresto violento di una

ragazza. Spesso sono

proprio le forze militari

congolesi a compiere

maltrattamenti sulle

donne. Pagina a fianco:

popolazioni in fuga e

orfani di guerra. Sono

oltre 80 mila i profughi

nascosti nelle zone più

remote della foresta,

senza assistenza

sanitaria né alcun aiuto.

La mortalità infantile è

altissima

Page 18: Volontari per lo sviluppo
Page 19: Volontari per lo sviluppo

di Silvia Pochettino

Scacco nucleare Dossier

Page 20: Volontari per lo sviluppo

Per avere un effetto in termini di diminuzione di Co2 bisognerebbe costruire ogni 30 giorni 3nuove centrali nei prossimi 60 anni

Page 21: Volontari per lo sviluppo

31

«Essere ambientalisti e nuclearisti oggi non è una contraddizione. Anzi, è l’unica via» questa la posizione di Chicco Testa,

antinuclearista convertito, già presidente di Legambiente e oggi a capo del Forum nucleare italiano, associazione no pro-

fit nata ufficialmente per informare i nostri connazionali sui pro e contro dell’energia nucleare. L’acceso dibattito si è ria-

perto in Italia dopo la scelta del governo, nel 2008, di riconsiderare l’opzione nucleare prevedendo la costruzione di 10

centrali con l’obiettivo di arrivare a coprire con l’atomo il 25% della produzione totale di energia elettrica nazionale entro

il 2020. Intanto mentre scriviamo, il grave incidente alla centrale atomica di Fukushima tiene il mondo col fiato sospeso.

Tuttavia, secondo Chicco Testa, il ritorno all’atomo è inevitabile: «Ci sono tre miliardi di nuovi consumatori oggi sul pia-

neta, che vivono prevalentemente in Asia, e la richiesta di energia è enorme. Vi è poi un fattore strettamente ambienta-

le; 20 anni fa non avevamo coscienza del rischio collegato all’effetto serra. Oggi la fonte prevalente con cui si fa energia

elettrica nel mondo è ancora il carbone; si apre una nuova centrale ogni settimana, questo è un disastro assoluto per la

Co2, mentre il petrolio costa sempre più caro e si va esaurendo». Ma non si tratta di una scelta esclusiva, secondo Testa.

«E’ necessaria la cooperazione tra varie tecnologie e varie soluzioni. Dobbiamo investire moltissimo nelle energie rinnova-

bili e nel risparmio energetico, ma il nucleare deve sostituire il carbone e il petrolio». Che la posizione del Forum nuclea-

re non fosse neutrale è risultato chiaro già dal primo spot firmato Saatchi & Saatchi, dove nuclearisti e antinuclearisti gio-

cano a scacchi, diffuso su tutte le tv italiane dal 20 dicembre e bloccato il 23 febbraio dal Giurì, ossia l’organo di control-

lo dello Iap (Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria) perché considerato ingannevole. D’altra parte, come il sito VpS aveva

immediatamente denunciato, fondatrici del Forum sono risultate aziende direttamente coinvolte nel business nucleare

quali Westinghouse, Enel, Ansaldo Nucleare, Areva ed Edf. Costo dell’operazione d’immagine: 6 milioni di euro.

In vista del referendumAl di là delle polemiche e delle azioni scorrette tuttavia le questioni restano aperte, soprattutto in vista del 12 giugno

prossimo, data in cui con buona probabilità i cittadini italiani si troveranno di nuovo a pronunciarsi sulla scelta nucleare

in un referendum, richiesto dall’Italia dei Valori, che ha ottenuto l’ok definitivo della Corte costituzionale il 12 gennaio

scorso. Diminuzione delle emissioni di anidride carbonica, possibilità di fronteggiare l’esaurimento del petrolio, maggiore

indipendenza energetica dell’Italia, vantaggi economici in bolletta sono i principali argomenti sostenuti dai fautori del

ritorno nucleare. Ma l’energia atomica oggi ha veramente queste caratteristiche? Può rispondere alle urgenze ambientali

e sociali del nostro paese? Se sì, in che modo? Se no, quali sono le alternative? Abbiamo raccolto i pareri di scienziati e

studiosi del settore per avere un quadro complessivo delle questioni in ballo. Su cui travolti da questioni economiche e

scandali politici, si gioca silenziosamente il nostro futuro.

Lotta alla Co2?Oggi nel mondo sono in funzione 438 centrali atomiche in 30 paesi, allo stato attuale «producono il 14% dell’energia elet-

trica mondiale» spiega sullo stesso Forum nucleare italiano Filippo Ranci, docente di Economia dell’energia e gestione dei

beni ambientali presso l’Università Cattolica di Milano e primo presidente dell’Autorità per l’energia elettrica.

«L’espansione della generazione nucleare è avvenuta tra il ‘70 e il ‘90; da allora, dopo gli incidenti di Three Miles Island e

di Chernobyl e sviluppata la tecnologia efficiente del ciclo combinato a gas, l’ondata delle costruzioni si è praticamente

Dossier

Scacco nucleareIl governo rilancia l’opzione nucleare, in Giappone avviene un grave incidente, e il dibattitoinfuria. A breve gli italiani si ritroveranno a votare un nuovo referendum. Cambiamenti clima-tici, risparmio, sicurezza, scorie: abbiamo raccolto pareri di scienziati del settore per avereun quadro complessivo delle questioni in ballo. Su cui si gioca il nostro futuro.

Page 22: Volontari per lo sviluppo

arrestata in tutto il mondo esclusa l’Asia. Ora sta riprendendo, per l’impetuoso sviluppo delle

nuove potenze industriali asiatiche (Corea, Cina, India) e l’impennata straordinaria, anche se

breve, del prezzo degli idrocarburi nel 2008-2009. Sono oggi in costruzione 57 reattori di cui 23

in Cina, 9 in Russia, 4 nei paesi orientali dell’Ue (Bulgaria e Slovacchia). I 372 Gw attuali di capa-

cità di generazione nucleare nel mondo potrebbero salire, secondo la previsione dell’Agenzia

internazionale dell’energia, a quasi 600 nel 2030. Ma anche in questo caso l’espansione della

generazione nucleare non terrà il passo con la crescita della domanda di energia elettrica e la

quota nucleare nel mondo è prevista scendere ulteriormente dal 14 verso il 10% al 2030». Questo

è un aspetto importante perché per avere un minimo impatto sul cambiamento climatico biso-

gnerebbe coprire almeno il 20% dell’energia mondiale con il nucleare, come chiarisce in una

recente conferenza a Palermo Jeremy Rifkin, presidente della Foundation on economic trends,

autore di oltre 15 saggi sulle questioni energetiche, tradotti in 20 lingue: «Per avere un effetto

in termini di Co2 bisognerebbe costruire ogni 30 giorni 3 nuove centrali nei prossimi 60 anni, ma

sarei sorpreso già se sostituissimo quelle obsolete. Stiamo parlando di investimenti di miliardi e

miliardi di dollari». E chiarisce poi che l’idea secondo cui l’energia nucleare non produrrebbe

32

L’Italia ha un’eccedenza di potenza elettrica installata rispetto alla domanda, l’acquistodi energia dalla Francia è un puro fattore di mercato

In apertura: centrali

nucleari francesi e il

famoso simbolo di

radioattività appeso a

un muro. Sotto: una

piastra di uranio

arricchito, la

lavorazione delle scorie

e un’immagine

dell’interno di un

reattore. Pagine

successive: ancora

centrali e la cartina

della concentrazione di

Cesio 137 sull’Europa

Page 23: Volontari per lo sviluppo

33Dossier

emissioni di Co2 è una chimera, se si considera l’intero ciclo produttivo, dall’estrazione dell’uranio

fino allo stoccaggio delle scorie.

Uranio già in deficitL’estrazione dell’uranio è infatti un’attività fortemente energivora, dell’uranio presente in natura

quello utilizzabile per la fissione nucleare è presente nella misura del 7 per mille e deve essere sot-

toposto ad arricchimento (vedi box). L’impianto di arricchimento di Paducah, nel Kentucky, ad

esempio, utilizza due centrali a carbone da 1.000 Mw; questo impianto e un altro a Portsmouth,

Ohio, rilasciano il 93% di tutto il gas clorofluorocarburo, cfc, emesso annualmente negli Usa,

anch’esso un gas serra, responsabile peraltro della distruzione della fascia di ozono stratosferico.

Inoltre, «stando agli studi dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica l’uranio comincerà a

scarseggiare dal 2025. Ci troviamo già di fronte a un deficit di questa materia prima, che è passa-

ta da 7 dollari a oncia a 70 dollari a oncia» sostiene Rifkin. Dato confermato da Ugo Bardi, presi-

dente Aspo Italia, associazione che studia l’esaurimento delle risorse: «A fronte delle 67 mila ton-

nellate di uranio richieste all’anno nel mondo sono estratte poco più di 40 mila tonnellate. Questo

deficit viene coperto recuperando l’uranio dallo smantellamento delle vecchie testate militari,

soprattutto in Russia. Esiste però la possibilità concreta che entro qualche anno ci si trovi in dif-

ficoltà a rifornire le centrali esistenti».

Netto Rifkin anche sul tema dell’indipendenza energetica: «L’indipendenza energetica la dà la

fonte, l’uranio. L’Italia ha l’uranio? No. E allora dove sta questa indipendenza energetica?». E non

Uranio: arricchimento e derivazioni militariPer ottenere un materiale fissile che sia adatto a scopi nucleari, cioèche emetta una quantità sufficiente di neutroni, è necessario aumen-tare la concentrazione dell’isotopo 235U rispetto al più comune emeno radioattivo 238U. La concentrazione di 235U deve passaredallo 0,71% a valori superiori al 3%. Il processo di arricchimentoproduce grandi quantità del cosiddetto uranio impoverito, ossia ura-nio cui manca la corrispondente quantità di 235U. Per dare un’ideadella tipica proporzione tra uranio arricchito e uranio impoverito, da100 kg di uranio metallico pronto per l’arricchimento si possono otte-nere al massimo 12,5 kg di uranio arricchito al 3,6% e 87,5 kg diuranio impoverito allo 0,3%. L’uranio impoverito ha importanti appli-cazioni militari; è un metallo molto denso e pesante, e proprio perquesto è utilizzato per rendere le corazzature dei carri armati partico-larmente resistenti e per costruire munizioni anticarro (al posto delpiù costoso e meno efficiente tungsteno). Essendo la produzione diuranio impoverito strettamente collegata al processo di arricchimen-to dell’uranio naturale, del quale costituisce un sottoprodotto, solo gliStati in grado di arricchire l’uranio possiedono notevoli quantità diuranio impoverito. L’Italia non possiede scorte di questo materiale.Altro sottoprodotto importante dell’uranio con valore militare è il plu-tonio 239, che è prodotto nelle reazioni nucleari e può essere utilizza-to per costruire ordigni nucleari o come combustibile nei reattorinucleari.

Page 24: Volontari per lo sviluppo

Radioattività e salute: gli studi sul Cesio 137 «Le tecnologie nucleari producono sostanze che prima non esistevano in natura, come il Cesio137, che danneggia gravemente la salute umana». A parlare è il professor Yuri Bandazhevskygià rettore, per 9 anni, dell’Istituto medico di Gomel, in Bielorussia, il più grande istituto diricerca medica nelle zone contaminate dal disastro nucleare di Chernobyl. A distanza di quasi25 anni dal disastro il professore pubblica in Italia il libro “Chernobyl 25 anni dopo: il cesioradioattivo e la riproduzione umana” dove, a seguito di dettagliati studi scientifici, afferma: «IlCs 137 è fonte di processi mutageni delle cellule somatiche, ovvero una delle cause principalidei tumori e di quelle sessuali, cioè una delle ragioni delle difficoltà riproduttive e delle malfor-mazioni neonatali, inoltre causa danni irreversibili a organi vitali quali cuore, fegato, reni». Il Cs137, radionuclide che dimezza la sua radioattività in 30 anni, e stato uno dei più diffusi daldisastro di Chernobyl. Ma non solo in Bielorussia; una recente ricerca del Criirad, Commissione

francese di ricerca e informazione sulla radioattività, illustra come in diverse zone delle nostre valli alpine ci siano significative concen-trazioni di questo radionuclide, con ogni probabilità diffuso dalla nube radioattiva conseguente a Chernobyl (vedi cartina). «Il Cesioviene incorporato progressivamente attraverso il cibo e l’acqua contaminata; in presenza di una concentrazione nel corpo umano di piùdi 50 Bq/kg (il becquerel è l’unita di misura della radioattività pari a una disintegrazione atomica al secondo, ndr) in una donna su sei,l’ovulazione è assente»; «tra il 2000 e il 2008 nella Repubblica Bielorussa il numero di bambini nati con difetti congeniti e anomaliedello sviluppo è quasi raddoppiata aumentando da 359,5 a 558,7 ogni 100 mila neonati (dati del Ministero della Salute)». L’insieme deidati che il professore riporta nelle 150 pagine di grafici lo spinge a definire “catastrofe demografica” quella che sta avvenendo inBielorussia, nel silenzio internazionale. «La riduzione della natalità e l’aumento della mortalità producono nel paese valori negativi incontinua crescita, - 4,9 nel ‘99, -5,5 nel 2002, -5,9 nel 2005». E questi dati non possono essere legati genericamente solo a una bassaqualità della vita, molti paesi sono più poveri della Bielorussia e non presentano patologie di questo tipo. «E’ necessario continuare astudiare a fondo le conseguenze sanitarie dell’incorporazione di elementi radioattivi che non esistevano in natura e i cui effetti a lungotermine, a tutt’oggi, non sono conosciuti» conclude Bandazhevsky

34

si tratta solo di procurarsi il metallo ma anche di provvedere al processo di arricchimento. In

Europa i paesi in grado di realizzarlo sono Francia, Inghilterra e Russia. L’Italia dipenderebbe sem-

pre da altri per la materia prima.

L’Italia può produrre l’energia che le serveIn realtà, scavando tra i dati, si scopre che il problema della dipendenza energetica dell’Italia è

assai diverso da come normalmente si pone, come spiega bene il professor Angelo Baracca, fisico

nucleare, nel suo libro “L’Italia torna al nucleare?” (Milano, Jaca Book, 2008). «In realtà l’Italia ha

un’eccedenza di potenza elettrica installata rispetto alla domanda superiore a tutti i paesi euro-

pei: nel 2008 la potenza installata era 96.670 Mw a fronte di 56.800 Mw di domanda, con un’ec-

cedenza del 41%. Ma il sistema elettrico italiano è inefficiente, da quando il settore è stato priva-

tizzato i costi dell’energia sono tra i più alti d’Europa, per cui conviene mantenere alcune centra-

li spente o a basso regime e comperare energia dall’estero».

Da parte sua la Francia, con la scelta di produrre il 78% dell’energia elettrica dal nucleare (ma tutti

i governi francesi si sono ben guardati dal privatizzare Edf, Electricité de France, precisa Baracca)

ha un sistema elettrico molto rigido: le centrali nucleari non si possono regolare per seguire la

Non esiste al mondo un solo deposito finale di scorie radioattive, che restano diffusein centinaia di depositi provvisori, spesso in condizioni di sicurezza discutibili

Page 25: Volontari per lo sviluppo

variazione della richiesta, per cui per coprire la domanda di picco la Francia produce in ore di mini-

mo un surplus di energia elettrica, che vende a prezzi molto bassi. «Stiamo parlando di meccani-

smi di mercato, non di capacità produttiva». E aggiunge Baracca: «Peraltro la Francia importa più

petrolio dell’Italia, e ha anzi i consumi di petrolio pro capite più alti d’Europa. Non c’è una relazio-

ne diretta tra nucleare e bolletta petrolifera».

Emergenza acqua e scoriePer Baracca e Rifkin il tema del nucleare “è puramente politico, non un’opzione industriale“.

E c’è un altro aspetto su cui Rifkin attira l’attenzione e di cui si parla molto poco: l’acqua.

«Non vi è sufficiente acqua per raffreddare gli impianti. Basti dire che la Francia, il paese più

nucleare del mondo, è costretta a impiegare il 40% delle risorse idriche che consuma per raf-

freddare le centrali». Cosa succederebbe alle risorse idriche mondiali se si costruissero dav-

vero centrali nucleari per raggiungere il fatidico 20% di produzione globale di energia?

La faccenda si fa sempre più complicata.

E poi, naturalmente, rimane aperta la questione più controversa e drammaticamente irrisol-

ta, quella delle scorie. «Il problema delle scorie è ineludibilmente legato alla fissione nuclea-

re» spiega Angelo Tartaglia, professore di Fisica alla facoltà di Ingegneria del Politecnico di

Torino. «I depositi finali di scorie avrebbero dovuto essere progettati e realizzati contestual-

mente alle centrali. Non averlo fatto è stata una scelta politica frutto di opportunismo o insi-

pienza». Invece oggi ci si trova in una situazione paradossale. Non esiste un solo deposito

35Dossier

Smantellamento delle centrali e traffico di scorieLa durata media di un impianto nucleare è di circa 60 anni e a oggi nel mondo è statasmantellata una sola centrale sperimentale negli Usa. Tuttavia sono decine gliimpianti obsoleti. Lo smantellamento della centrale di Sellafield in Inghilterra, adesempio, prevede investimenti di 90 miliardi di euro e un piano di gestione di 120anni. In Italia, per ora, la soluzione è stata semplicemente “tenerle lì”. Le centrali afine vita divengono scorie da smaltire senza che esista però al mondo un solo sitodefinitivo per lo smaltimento. Ha fatto recentemente notizia il rifiuto da parte dellaGermania di inviare, come previsto, 951 barre di combustibile esaurito in 18 containerall’impianto di trasformazione russo di Mayak nella regione di Chelyabinsk. Tale inviorientrava nel Global threat reduction initiative, accordo concepito nel 2004 tra Usa,Russia e Agenzia internazionale dell’energia atomica con lo scopo di creare un sistemadi “rimpatrio” del combustibile nucleare di uranio arricchito, di origine russa, dai reat-tori di tutto il mondo per il “riprocessamento”. Circa 17 paesi, tra cui la Germania,hanno inviato in Russia negli anni passati combustibile esaurito. Tuttavia Greenpeace,Bellona e numerose associazioni ambientaliste russe hanno dimostrato che l’impiantodi Mayak continua a scaricare rifiuti radioattivi nel fiume Techa e nel lago Karachai,considerate le zone più radioattive al mondo. Solo nel mese di novembre scorso, ladirezione del sito di Mayak ha annunciato di voler continuare a scaricare le scorie neibacini idrici fino al 2018. Circa 160 organizzazioni di tutto il mondo hanno promossoun appello al governo tedesco, chiedendo di rifiutarsi di inviare in Russia le scorie. Lenorme internazionali prevedono che chi produce rifiuti radioattivi rimane responsabilefino alla destinazione finale degli stessi. Ma di fatto non è così. La stessa Italia, adetta di Carlo Jean, ex presidente Sogin, ha inviato 63 tonnellate di scorie daBoscomarengo in Kazhakistan e lì ne ha perso le tracce.

In questa pagina: le

misurazioni di

incorporazione di Cesio

radioattivo nei bambini

della Bielorussia che si

nutrono di cibo e acqua

contaminata. Sotto il

cartello di pericolo

radioattività nei boschi

bielorussi (Foto: Paolo

Siccardi). Pagina

successiva: un

contatore geiger rileva

oggi la radioattività

presso Gomel, una delle

zone più contaminate

dal disastro di

Chernobyl (Foto: Paolo

Siccardi) e un deposito

di scorie nucleari

Page 26: Volontari per lo sviluppo

finale di scorie radioattive al mondo, che restano diffuse in centinaia di depositi provvisori,

spesso in condizioni di sicurezza discutibili. Solo in Italia, dove la storia dell’atomo ha avuto

una vita molto breve, «non essendoci un deposito nazionale le scorie nucleari sono disperse

in 140 depositi provvisori alcuni dei quali in condizioni di sicurezza molto labile» come

sostiene il generale Carlo Jean, già commissario per la sicurezza nucleare delle scorie della

Sogin (la Società nazionale di gestione degli impianti nucleari) intervistato su Rainews24.

Luoghi sicuri per un milione di anniD’altra parte diciamocelo, dove sistemare “in modo definitivo” materiali come il plutonio, con

una emivita (dimezzamento della radioattività, ndr) di circa 24.000 anni, che richiede un

periodo di isolamento dell’ordine di 240 mila anni? Come trovare una collocazione credibile

tenendo conto che il combustibile scaricato da un reattore di 2ª o 3ª generazione a uranio

mantiene complessivamente una pericolosità per un tempo dell’ordine del milione di anni?

(vedi box). «Stiamo parlando di tempi geologici» sottolinea il professor Tartaglia, «e non biso-

gna farsi fuorviare da categorie superficiali come i “deserti”. Va ricordato che 7.000 anni fa

il Sahara ospitava una copiosa vita animale e anche umana». Negli Stati Uniti, a marzo 2010,

36

La Francia, il paese più nucleare del pianeta, è costretta a impiegare il 40% dellerisorse idriche che consuma per raffreddare le centrali

Breve storia dell’atomo italicoLa storia dell’Italia nucleare inizia poco dopo la seconda guerra mondiale, quando ilnostro paese era stretto tra due morse: la ricostruzione post bellica e lo sviluppo eco-nomico. Già a metà degli anni ‘60, con l’entrata in funzione delle prime centrali(Latina, Garigliano e Trino Vercellese), l’Italia raggiunse il terzo posto nel mondo perla produzione di energia elettronucleare. Verso la fine del decennio entrò in funzioneanche Caorso, nei pressi di Piacenza. L’era d’oro del nucleare italiano durò sostan-zialmente pochi anni, in seguito a vicende politiche e giudiziarie l’Italia arrivò al 23°posto a metà degli anni ‘80. Ma la vicenda che portò alla crisi definitiva fu il disa-stro del 26 aprile 1986 a Chernobyl che liberò un’enorme quantità di radiazioni chesi diffusero su gran parte dell’Europa. L’opinione pubblica cominciò a guardare alnucleare con crescente preoccupazione, e vennero presentati tre quesiti referendari:il primo per l’abrogazione della possibilità del Cipe di determinare le aree suscettibilidi insediamenti nucleari; il secondo riguardava l’erogazione di contributi a favore dicomuni e regioni sedi di centrali elettriche alimentate con combustibili diversi dagliidrocarburi; il terzo si riferiva alla norma di legge riguardante la possibilità dell’Eneldi promuovere la costruzione all’estero di società e partecipazioni per la realizzazionedi impianti elettronucleari. L’8 novembre 1987 andò al votare il 65% degli Italianiaventi diritto di voto: l’80,6% dei votanti disse no alla localizzazione delle centralinucleari in Italia, il 79,7% disse no ai contributi a Regioni e Comuni per la localizza-zione delle centrali atomiche, il 71,9% disse no alla partecipazione a progetti di cen-trali elettronucleari all’estero. Tra il 1987 e il 1988 si “spensero” tutte le centrali,lasciando sul nostro territorio degli eco mostri inutilizzati, fatta eccezione per la cen-trale di Montalto di Castro che non venne mai alla luce come centrale nucleare, mafu riconvertita in centrale termoelettrica. (Damiano Sabuzi Giuliani)

Page 27: Volontari per lo sviluppo

il dipartimento per l’energia ha definitivamente detto no al decennale progetto di costruzio-

ne di un deposito geologico nel Nevada, a Yucca Mountain, per ospitare le scorie di tutti i

104 reattori americani, progetto per cui sono già stati spesi 10 miliardi di dollari. Il sito è

risultato inadatto, per cui si ricomincia a cercare una soluzione. E non sarà facile perché la

Corte Suprema Usa ha stabilito che il deposito dovrà garantire stabilità geologica per un

milione di anni. Come ha commentato il Segretario all’energia (e premio Nobel) Steven Chu:

«Quanto sicuri possiamo essere che non succederà niente per un milione di anni?».

37

Sotto: manifestazioni di

Greenpeace contro il

traffico illegale di scorie

nucleari

Dossier

Oggi nel mondo sono in funzione 438 centrali atomiche in 30 paesi; e sono in costru-zione altri 57 reattori

Ong e associazioni attive per il sì al referendumA seguito della legge 99/2009 per reintrodurre la produzione di energia nucleare inItalia, su iniziativa delle maggiori associazioni ambientaliste e della società civile,si è costituito il Comitato “Vota sì per fermare il nucleare” al referendum che sisvolgerà entro il 15 giugno. Il Comitato conta oltre 40 adesioni di enti e associa-zioni, tra cui Focsiv. Tre parole d’ordine “Inutile, rischioso e controproducente”Come si legge sul sito http://www.fermiamoilnucleare.it, il Comitato sostiene che“Siamo agli inizi di una vera e propria rivoluzione energetica, capace di contrasta-re i cambiamenti climatici, di innovare processi e prodotti dando risposte alla crisieconomica, di rendere protagonisti le comunità e i singoli nelle scelte per il futuro,di rendere meno dipendente il nostro paese dalle fonti energetiche estere e vor-remmo che questa prospettiva fosse sfruttata fino in fondo”. Le ragioni della scel-ta di aderire da parte delle ong le chiarisce Sergio Marelli, segretario generaleFocsiv: «La Focsiv da sempre è in prima fila nel richiamare i decisori della politicaalle loro responsabilità per il conseguimento del settimo Obiettivo del millennio,assicurare la sostenibilità ambientale. Come abbiamo sempre sostenuto, il cam-biamento climatico colpisce tutti, ma non allo stesso modo. Le popolazioni poveredei Sud del mondo subiscono le maggiori conseguenze e pagano il prezzo. Per que-sto siamo convinti si debba investire in soluzioni condivise, ad effetto immediatoe compatibili con l’ambiente, e non percorrere strade foriere di costi elevati, conse-guenze non equamente distribuite e risultati discutibili. Esistono alternative perottenere oggi una maggior autosufficienza energetica che non ricorrono al nuclea-re ed evitano di ingenerare problemi di smaltimento delle scorie tossiche spessoscaricate nei territori marginali al Nord come al Sud del mondo. Su queste credia-mo si debba puntare per un futuro più sicuro per tutti». (D.S.G.)


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