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 · Web viewdel 1930. La giurisprudenza, nel dare applicazione all' art. 2059 c.c., si consolidò...

Date post: 18-Feb-2020
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CIVILE 2 Di seguito: - Schema di svolgimento del parere - Schema di svolgimento dell’atto - Schema lezione su danno non patrimoniale e pronunce più rilevanti in questa materia (questa parte della dispensa non va studiata necessariamente - si tratta di una lettura facoltativa). Tra gli allegati: - Mio articolo su art. 7 Legge Gelli - Bianco SCHEMA DI SVOLGIMENTO PARERE Questioni: Il caso proposto richiede di valutare se e a che titolo Tizio, in proprio e in qualità di esercente la responsabilità genitoriale su Tizietto, possa far valere le proprie ragioni nei confronti della struttura sanitaria e del medico operante presso la stessa, alla luce della perdita della signora Caia. Parte teorica (max 1,5 facciate) Giova premettere che … Nozione di inadempimento; analisi del combinato disposto di cui agli artt. 1218 e 1176 c.c.; riparto degli oneri probatori ex art. 2697 c.c.; cenni al 1228 c.c. sul quale vi soffermerete meglio dopo (quindi per es. “Come si vedrà meglio successivamente, il debitore risponde ai sensi dell’art. 1228 c.c. dei fatti dannosi
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CIVILE 2

Di seguito:

- Schema di svolgimento del parere- Schema di svolgimento dell’atto- Schema lezione su danno non patrimoniale e pronunce più rilevanti in questa materia

(questa parte della dispensa non va studiata necessariamente - si tratta di una lettura facoltativa).

Tra gli allegati:

- Mio articolo su art. 7 Legge Gelli - Bianco

SCHEMA DI SVOLGIMENTO PARERE

Questioni:

Il caso proposto richiede di valutare se e a che titolo Tizio, in proprio e in qualità di esercente la responsabilità genitoriale su Tizietto, possa far valere le proprie ragioni nei confronti della struttura sanitaria e del medico operante presso la stessa, alla luce della perdita della signora Caia.

Parte teorica (max 1,5 facciate)

Giova premettere che …

Nozione di inadempimento; analisi del combinato disposto di cui agli artt. 1218 e 1176 c.c.; riparto degli oneri probatori ex art. 2697 c.c.; cenni al 1228 c.c. sul quale vi soffermerete meglio dopo (quindi per es. “Come si vedrà meglio successivamente, il debitore risponde ai sensi dell’art. 1228 c.c. dei fatti dannosi commessi dagli ausiliari di cui si avvalga nell’adempimento dell’obbligazione)”; cenni al risarcimento del danno da inadempimento (artt. 1223 s.s. c.c.). Si veda il Torrente

Soluzioni e parte argomentativa

1 Impostare il tutto distinguendo tra la posizione della struttura e quella del medico

- Per la prima analisi della figura del contratto di spedalità e riferimento al contratto con effetti protettivi nei confronti dei terzi.

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In particolare: analisi dell’art. 1228 c.c. alla luce delle particolarità del caso concreto: la struttura è tenuta ex art. 1228 c.c. per il fatto del medico anche se scelto accuratamente dal momento che la richiamata disposizione prevede una responsabilità oggettiva per fatto altrui, che prescinde dalla culpa in vigilando o in eligendo.

Ancora in particolare: riferimento al contratto con effetti protettivi nei confronti dei terzi dunque al fatto che Tizio e Tizietto protranno far valere la responsabilità da inadempimento della struttura e non saranno onerati dell’azione in via extracontrattuale

- Per il secondo analisi dell’art. 7 comma III Legge n. 24 del 2017 c.d. Gelli Bianco applicabile al caso concreto

Dunque: Differenza di disciplina in base al differente titolo in base al quale sono chiamati a rispondere il medico e la struttura: cambia il riparto dei carichi probatori dal momento che si presume la responsabilità (non la colpa che è irrilevante ex art. 1228 c.c.) in capo alla struttura ex art. 1228 c.c.; va invece provata ex art. 2043 c.c. la colpa del medico.

2 Riferimenti al caso concreto:

Rispetto alla struttura occorrerà provare il contratto di spedalità che risulta perfezionato alla luce dell’ingresso nell’ente.

Rispetto al medico occorrerà provare la colpa dello stesso.

La consulenza tecnica – che nel caso concreto pare non solo deducente ma anche percipiente – potrà essere utilizzata per sostenere in giudizio non solo la colpa del medico e il nesso causale tra l’errata manovra e la perdita di Caia ma anche, correlativamente, la responsabilità della struttura ex art. 1228 c.c.

3 SUI DANNI distinguere perbene tra:

danno iure proprio: è quello da perdita del rapporto parentale ex artt. 2, 29, 30, 31 Cost. in combinato disposto con l’art. 2059 c.c. richiamare sempre la storica pronuncia a Sezioni Unite del 2008 in materia di danno non patrimoniale

danno iure hereditatis: dare conto delle Sezioni Unite contrarie alla risarcibilità del danno tanatologico. Il parere è pro veritate non si può omettere un dato del genere!!!

4 Riferimento alla responsabilità solidale ex art. 2055 c.c. OGNI VOLTA CHE CHIEDETE IL RISARCIMENTO DEL DANNO A PIU’ SOGGETTI DOVETE RICORDARE LA REGOLA DI CUI AL 2055 c.c.

CONCLUSIONI

Differenti link introduttivi:

In conclusione,

Alla luce di tutto quanto considerato,

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Si possono rassegnare le seguenti conclusioni:

… pare ragionevole ritenere che Tizio, in proprio e in qualità di esercente la responsabilità genitoriale nell’interesse del figlio Tizietto, possa ottenere il risarcimento danno iure proprio subito a fronte della perdita, rispettivamente, della moglie e della madre ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 2, 29, 30 e 31 Cost. e 2059 c.c., per lesione del rapporto parentale. Invece, in base all’indirizzo accolto dalla pronuncia a Sezioni Unite della Cassazione (Cass. S.U. n. … del …), non sarebbe configurabile la risarcibilità da perdita della vita – c.d. danno tanatologico -. Le suddette pretese potranno essere fatte valere nei confronti tanto della struttura, responsabile ex art. 1228 c.c. alla luce del contratto di spedalità concluso con Caia e produttivo di effetti protettivi nei loro confronti, quanto del medico, responsabile ai sensi dell’art. 2043 c.c., alla luce dell’art. 7 Legge Gelli – Bianco, applicabile ratione temporis al caso concreto.

SCHEMA DI SVOLGIMENTO DELL’ATTO

(fa riferimento all’atto svolto da Marta Petrucci al quale ho apportato alcune modifiche)

N.B. le parti in grassetto servono solo a catturare l’attenzione su punti più rilevanti. Invece all’esame non vanno messe enfasi (grassetto, sottolineature…).

N.B. 1: come vedete qui viene chiesto il danno biologico non solo quello da lesione del rapporto parentale. Andava bene chiedere anche solo quest’ultimo, anzi in genere in casi analoghi si chiede solo quest’ultimo come ho chiarito a lezione.

N.B. 2: come detto a lezione, DOVETE PREPARARVI ALMENO SU DUE ATTI (CIOE’ DUE MATERIE) E PER FARE CIO’DOVETE ASCOLTARE LE LEZIONI SUGLI ATTI, STUDIARE I FORMULARI CARICATI, STUDIARE I MIGLIORI ELABORATI, STUDIARE LE DISPENSE

Consiglio a chi vuole esercitarsi anche con l’atto di civile di stamparlo e studiarlo insieme al materiale sugli atti che già trovate.

TRIBUNALE DI …

ATTO DI CITAZIONE

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Per il signor Tizio (C.F. ……………………………..) nato a ………………….. il ………..

residente in …………………… via ……………………. n……………. in proprio e in

qualità di esercente la responsabilità genitoriale sul figlio minore Tizietto

(C.F……………………………) nato a ………………… il ……………….. elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’avv. Ludovico Angeletti (C.F………………………) con

studio in ………………. via ………………. n…… che lo rappresenta e difende in forza

del mandato in calce al presente atto e che dichiara, ai sensi dell’articolo 176 c.p.c., di voler

ricevere le comunicazioni di rito presso il numero FAX ……………………. o indirizzo di

posta elettronica certificata …………[email protected]

- Attore -

Contro

L’Azienda Sanitaria Locale (P.IVA…………….) con sede in …………… via……………

n……. in persona del direttore pro tempore.

- Convenuta -

E contro

Il dottor ………………… (C.F…………………) nato a ………………. il ……………… e

residente in ……………… via…………….. n…………. in qualità di chirurgo e medico

curante della defunta signora Caia.

- Convenuto –

BREVI PREMESSE IN FATTO

In data 10.01.2018 la signora Caia, moglie del signor Tizio e madre di Tizietto, si è recata

presso la ormai fidata struttura sanitaria Sant’Agnese in quanto lamentava dei forti dolori

all’addome.

Giunta presso l’ospedale, le è stata diagnosticata un’appendicite acuta (doc. 1 foglio di

accettazione e ricovero), pertanto è stata ricoverata ed immediatamente sottoposta ad un

intervento chirurgico, eseguito dal dottor …

Tuttavia, tale intervento ha cagionato la morte della moglie del signor Tizio (doc. 2 –

certificato di morte), il quale per lungo tempo non si è dato pace per la prematura

scomparsa della consorte, che, fino a quel giorno, aveva sempre goduto di ottima salute

(doc. 3 – cartella clinica).

Invero, la signora Caia non era affetta da alcuna patologia ed anzi, si sottoponeva

annualmente ad esami del sangue di controllo (doc. 4) e svolgeva una vita attiva ed

equilibrata.

Giova sin d’ora rilevare come dalla perizia medico-legale svolta dal Professor Di Lascio,

che qui si allega (doc. 5) è emerso incontrovertibilmente che la morte della signora Caia è

stata causata “secondo il più probabile che non” (cfr. pg. …. doc. 5) da una manovra errata

del chirurgo, dottor .., che ha reciso un organo vitale.

Come verrà meglio precisato nel prosieguo del presente atto, la prematura scomparsa della

signora Caia ha gettato i familiari, odierni attori, in uno stato di estremo sconforto, tant’è

vero che ad oggi sia il signor Tizio, che il figlio Tizietto sono in cura presso la psicologa e

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psicoterapeuta Dott.ssa ……………… e non sono ancora riusciti a tornare alle loro

quotidiane attività (doc …).

Da ultimo, si fa presente che in data …/…/…. è stato inutilmente esperito tentativo di

mediazione obbligatoria nella presente materia ai sensi del D.lgs. 28/2010 come risulta dal

verbale che si allega al presente atto (doc. 6).

Tanto premesso in fatto, si espone quanto segue

IN DIRITTO

1. SULLA RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE DELL’AZIENDA SANITARIA

SANT’AGNESE AI SENSI DEGLI ARTICOLI 1218 E 1228 C.C.: CONTRATTO DI

SPEDALITÀ

In primo luogo, giova premettere brevi cenni sugli elementi costitutivi la responsabilità per

inadempimento, disciplinata dagli articoli 1218ss c.c.

Altro possibile modo di introdurre la parte teorica nell’atto:

Al fine di dar conto della fondatezza della domanda proposta, giova premettere brevi ceni

su …

Come detto a lezione la parte teorica nell’atto deve essere ancora più essenziale

rispetto al parere. Per la parte teorica richiesta dalla traccia in esame vi rimando alla

lezione e al Torrente.

Fermo quanto sopra, come si è già avuto modo di precisare nelle premesse in fatto, il giorno

10.01.2018 la signora Caia, sottopostasi ad un intervento chirurgico di appendicectomia, ha

perso la vita a causa di una manovra errata del dottor …, odierno convenuto.

Quanto appena detto trova puntuale conferma nella perizia medico legale svolta dal

Professor Di Lascio (cfr. all. 5), che quindi costituisce prova incontrovertibile del nesso di

causalità tra la morte della paziente e l’operazione eseguita dal medico.

Pertanto, questa difesa ritiene che la Struttura Sanitaria Sant’Agnese dovrà rispondere, per

la morte della signora Caia, consorte del signor Tizio e madre di Tizietto, a titolo di

responsabilità contrattuale, ai sensi degli articoli 1218 e1228 c.c.

Invero, in relazione alla posizione giuridica dell’azienda ospedaliera, si ritiene che una

volta che il paziente entra nella struttura si perfeziona un contratto c.d. “di ospedalità” in

forza del quale l’azienda non è tenuta solo a prestazioni “alberghiere” in senso lato, ma è

tenuta a compiere quanto necessario a rendere efficace il trattamento medico ospedaliero.

Si tratta di un contratto atipico, meritevole di tutela, in virtù del quale il paziente si obbliga

a pagare un corrispettivo, attraverso il sistema sanitario nazionale, e la struttura si obbliga

ad un facere, quindi a garantire il buon esito del trattamento.

Ciò anche alla luce del dovere di diligenza di cui all’articolo 1176, co 2, c.c.

Come è noto, la struttura sanitaria è chiamata a rispondere non solo ex art. 1218 c.c. per

fatto proprio ma anche ex art. 1228 c.c. per fatto degli ausiliari di cui si sia avvalsa

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nell’adempimento dell’obbligazione. In relazione a tale responsabilità per fatto altrui giova

sottolineare che si tratta di responsabilità oggettiva, rispetto alla quale è del tutto irrilevante

la culpa in diligendo o in vigilando del debitore (l’indirizzo è consolidato in giurisprudenza:

si veda tra le molte altre Cass. n. del …). Ciò è del resto conforme al principio “cuius

commoda eius et incommoda” sotteso alla responsabilità del debitore per fatto altrui.

Dunque, la struttura non potrà invocare, per esonerarsi da responsabilità, la mancanza di

accuratezza nella selezione del personale dal momento che si è assunta il rischio che il

proprio ausiliario causasse – come purtroppo è accaduto – un danno a terzi.

Deve anche aggiungersi che il contratto di spedalità stipulato con la defunta rientra

nell’ambito dei contratti con effetti protettivi nei confronti dei terzi legati da un

particolare rapporto ad uno dei contraenti. La struttura sanitaria non si è obbligata soltanto a

curare l’assistita ma, alla luce del principio generale di buona fede oggettiva (art. 1375 c.c.),

è sorto anche l’obbligo protettivo nei confronti del marito e del figlio, il cui interesse alla

conservazione del rapporto parentale è stato sottoposto a rischio alla luce dell’instaurarsi

della relazione contrattuale.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che … (tra le molte altre si

veda …)

Pertanto, gli odierni assistiti fanno valere, a titolo contrattuale, il diritto di credito sorto alla

luce del contratto di spedalità stipulato tra struttura e assistita, irrimediabilmente leso alla

luce degli errori commessi dal dottor. …

2. SULLA RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE DEL DOTTOR……. AI

SENSI DELL’ARTICOLO 2043 C.C.

Rispetto, invece, alla responsabilità del dottor.., la scrivente difesa ritiene che egli dovrà

rispondere a titolo di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.

Invero, la Legge 24/2017 all’art. 7 comma III ha espressamente superato la figura del

contatto sociale qualificato per sottoporre il medico operante nell’ambito di una struttura

alla disciplina dell’illecito extracontrattuale.

Orbene, da ciò consegue che il danneggiato sia tenuto a provare la sussistenza del danno di

cui chiede ristoro, il fatto illecito compiuto dal danneggiante, la sussistenza del nesso

causale tra la condotta dell’agente e l’evento dannoso, nonché la colpa dell’autore del fatto.

Nel caso di specie, risulta del tutto evidente come la prova risulti raggiunta con riguardo

alla totalità dei summenzionati aspetti.

In particolare se il danno si identifica nel decesso della signora Caia (cfr. doc. 2), in

relazione al nesso di causalità e alla colpa del medico risulta dirimente la statuizione del

CTU, il professor Di Lascio, secondo cui “[…] la morte della signora Caia è stata causata,

secondo il più probabile che non, dalla manovra errata che ha reciso un organo vitale […]”

(cfr. all. A).

Dunque, non residuano dubbi in merito alla sussistenza sia di un fatto illecito, da

identificarsi nella manovra errata del dottor ..., sia del nesso di causalità tra fatto ed evento,

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dal momento che la morte della signora Caia è dipesa, si ripete, “secondo il più probabile

che non” dall’errata manovra del chirurgo.

Infine, rispetto al profilo della colpa, la CTU medico-legale svolta dal professor Di Lascio

individua, nella condotta del dottor ………. la violazione del dovere di diligenza imposto ai

professionisti, dal momento che il chirurgo, realizzando una manovra errata, non ha

adoperato la prudenza e la perizia necessarie al fine di garantire il buon esito

dell’operazione chirurgica.

Pertanto, alla luce di tutto quanto sopra esposto, provato ed argomentato, il convenuto

dottor ... dovrà rispondere per la morte della signora Caia a titolo di responsabilità

extracontrattuale ex art. 2043 c.c.

3. SUL DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL DANNO IURE PROPRIO DA

PERDITA PARENTALE: DANNO PATRIMONIALE E NON PATRIMONIALE

Appurata la sussistenza del diritto al risarcimento del danno nell’an, occorre ora soffermarsi

sulle tipologie di danno subito dagli odierni attori.

Al riguardo, viene innanzitutto in rilievo il danno iure proprio da perdita parentale

risarcibile alla luce della lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., in base al

riconoscimento dei diritti inviolabili dell’individuo quale membro di un nucleo familiare

(artt. 2, 29, 30 e 31 Cost.).

Sul punto giova richiamare l’insegnamento della storica pronuncia a Sezioni Unite del 2008

per la quale la locuzione “nei solo casi previsti dalla legge” di cui all’art. 2059 c.c. si

riferisce non solo ai casi previsti dalla legge ordinaria ma anche a quelli in cui è la Carta

Costituzionale a tutelare un diritto fondamentale (Cass. S.U. n. ….)

Nel caso concreto la prematura, nonché traumatica, morte della signora Caia ha causato nel

figlio e nel marito forti sofferenze, gettando entrambi in uno stato di sconforto e

depressione che li hanno costretti a sottoporsi a frequenti sedute di psicoterapia presso lo

studio della Dottoressa ………………… (cfr. doc. 6).

Giova specificare che ad oggi, gli attori assumono altresì svariati medicinali contro l’ansia e

la depressione (cfr. doc. 5).

Non solo.

L’accaduto ha totalmente sconvolto la vita del signor Tizio e del figlio.

Infatti, il signor Tizio ha dovuto ridurre il proprio orario di lavoro, trovandosi anche

costretto ad assentarsi di frequente (cfr. doc. 7) e ciò per la necessità di dedicarsi alle cure

del proprio unico figlio, data la mancanza della madre, che prima del decesso era la figura

genitoriale che più si occupava della cura di Tizietto, della casa e delle faccende

domestiche.

Inoltre, lo stato di sconforto e malessere in cui si è trovato Tizietto, lo ha portato ad isolarsi,

a cessare ogni frequentazione dei propri amici e a non riuscire a recarsi serenamente presso

la propria scuola.

Alla luce di tutto quanto sopra esposto, appare evidente come il decesso prematuro della

signora Caia, abbia determinando in primo luogo un danno non patrimoniale morale ed

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esistenziale, degenerato in un danno biologico, dato dal trauma psicofisico e dalla

diagnosticata depressione (cfr. doc. 6).

In secondo luogo, non potrà che ravvisarsi altresì, nel caso de quo, un ingente danno

patrimoniale, dato non solo dalle spese per l’acquisto dei medicinali antidepressivi e per le

sedute di psicoterapia (danno emergente cfr. docc. 5-6), ma anche dai pregiudizi reddituali

ed economici, quindi perdita di chance lavorative subiti dal signor Tizio (lucro cessante cfr.

doc. 7).

Ai fini della quantificazione dell’entità del risarcimento, si precisa che, sebbene il danno

iure proprio da perdita parentale, come voce di danno, deve ritenersi comprensiva di tutte le

sofferenze morali ed esistenziali sofferte dai parenti della vittima, le diverse voci di danno

(morale ed esistenziale) potranno essere prese in considerazione ai fini delle eventuali

personalizzazioni.

Pertanto, alla luce di tutto quanto sopra esposto, si chiede a codesto Ill.mo Giudice di

quantificare il danno risarcibile con riferimento alle Tabelle del Tribunale di Milano ai

sensi dell’art. 1226 c.c., modulando la somma ottenuta, tenendo conto dello stretto grado di

parentela tra gli odierni attori e la vittima (marito e figlio), della convivenza di questi ultimi

con la signora Caia, nonché della giovane età di Tizietto, quindicenne rimasto orfano di

madre.

4. SUL DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL DANNO TANATOLOGICO IURE

HEREDITATIS

In relazione al danno da perdita della vita subito dalla Sig.ra Caia, la scrivente difesa è

consapevole dell’indirizzo negazionista accolto dalle Sezioni Unite della Cassazione (Cass.

S.U. 1535 del 2015) facendo leva sulla sopravvenuta assenza, con la morte, di un soggetto

da risarcire.

Nel caso concreto, può aggiungersi che la Sig.ra era in stato di incoscienza dunque non ha

avuto contezza della perdita della vita.

Ciononostante, vuole prospettarsi una interpretazione per quale la va riconosciuto in capo

alla Sig.ra un diritto di credito al risarcimento del danno nel quale sono subentrati, iure

hereditatis, gli odierni assistiti.

Ciò può infatti sostenersi, come aveva ritenuto una parte della giurisprudenza di legittimità

(si veda Cass. 1361 del 2013), sulla base del rilievo assunto dalla tutela della vita

nell’ambito dei diritti fondamentali: infatti, sarebbe paradossale riconoscere tutela

risarcitoria a diritti (per es. la salute o la reputazione) che presuppongono la vita del

soggetto e negarla invece a quest’ultima.

Pertanto, agli odierni attori, quali familiari della vittima, spetterà il risarcimento del danno

di cui si chiede la valutazione equitativa ex art. 1226 c.c.

Tutto ciò premesso il signor Tizio in proprio e in qualità di esercente la responsabilità

genitoriale sul figlio minore Tizietto, come sopra rappresentato, difeso e domiciliato

CITA

L’Azienda Sanitaria Locale (P.IVA ………………) con sede in ………..

via……………… in persona del suo legale rappresentante pro tempore e il dottor

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…………… (C.F. …………) residente in …………….. via………… n……….. in qualità

di chirurgo, a comparire avanti al Tribunale di ……….. all’udienza del ……………. ore di

rito, con l’invito a costituirsi in giudizio almeno venti giorni prima tale di udienza ai sensi e

nelle forme di cui all’articolo 166 c.p.c., prospettando tutte le difese e fornendo tutti i

documenti a sostegno, indicando i mezzi di prova, proponendo a pena di decadenza le

eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali, con l’avvertimento che in

mancanza di tempestiva e rituale costituzione nei termini indicati incorrerà nelle decadenze

di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c. ovvero che ivi, in contraddittorio o in sua legittima e

declaranda contumacia, si insisterà per sentir accogliere dall’Ill.mo Tribunale adito le

seguenti

CONCLUSIONI

Piaccia all’Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria e diversa istanza, eccezione e

deduzione, così

GIUDICARE

- Accertare e dichiarare la responsabilità contrattuale dell’Azienda Sanitaria

Sant’Agnese ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c., nonché la violazione degli articoli

1175 e 1176 c.c.

- Accertare e dichiarare la responsabilità extracontrattuale del dottor ………….. ai sensi

dell’articolo 2043 c.c.

- Per l’effetto, condannare l’azienda sanitaria ed il dott. ………………, in solido tra loro ex

art. 2055 c.c., al risarcimento, in favore degli attori, del danno: iure proprio da perdita

parentale da liquidarsi sulla base delle Tabelle del Tribunale di Milano nella somma di euro

… o in quella, maggiore o minore, ritenuta di giustizia, nonché patrimoniale liquidato nella

somma di euro …; iure hereditatis da perdita della vita della Sig.ra Caia, da liquidarsi in via

equitativa ex art. 1226 c.c.

In via istruttoria chiede ammettersi

- C.T.U. medico legale al fine di accertare: il nesso causale tra l'errata manovra compiuta

dal dott. ... e il decesso della Sig.ra; la macroscopica violazione delle regole cautelari.

- prova per testimoni sui seguenti capitoli:

a) “vero che la prematura morte della moglie ha portato il signor Tizio ed il figlio Tizietto

ad isolarsi e a cadere in un profondo stato depressivo”;

b) “vero che il signor Tizio ed il figlio Tizietto sono stati costretti a sottoporsi a svariati

mesi di sedute di psicoterapia e ad assumere medicinali antidepressivi”;

c) “vero che a seguito della morte della moglie il signor Tizio ha chiesto una riduzione del

proprio orario di lavoro”;

d) “vero che a seguito della morte della madre, Tizietto è stato molto assente da scuola”.

Si indicano come testimoni: la signora … (sorella del signor Tizio), la dottoressa ... (medico

psicoterapeuta che ha in cura il signor Tizio ed il figlio Tizietto), il signor … (datore di

lavoro del signor Tizio); la signora … (Preside dell’Istituto scolastico “………” frequentato

da Tizietto) la signora … (infermiera presso la Sant’Agnese).

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Con ogni più ampia riserva di eccepire, dedurre, produrre, indicare testi e formulare istanze

istruttorie ex art. 183, 6° co, n. 1-2-3 c.p.c.

Con vittoria di spese e compensi professionali.

Ai fini della normativa sul contributo unificato, si precisa che il valore della presente

controversia è pari a euro … e che il contributo unificato versato è pari ad euro …

Si depositano:

1) copia foglio di accettazione e ricovero della signora Caia del 10.01.2018;

2) copia certificato di morte della signora Caia;

3) cartella clinica della signora Caia;

4) copie referti esami del sangue dal …… al 2018 della signora Caia;

5) Perizia del Professor Di Lascio;

6) Verbale di mancato raggiungimento dell’accordo di mediazione obbligatoria.

7) prescrizione medicinali antidepressivi ed ansiolitici e relative fatture d’acquisto;

8) fatture delle sedute di psicoterapia presso lo studio della dott.ssa …;

9) certificati medici attestanti le assenze per malattia da lavoro del signor Tizio;

… li … (luogo e data)

Avv. Ludovico Angeletti (sottoscrizione dell’avvocato)

MANDATO

Il sottoscritto Tizio (C.F. ……………………………..) nato a ………………….. il ……….. residente

in …………………… via ……………………. n……………. in proprio e in qualità di esercente la

responsabilità genitoriale sul figlio minore Tizietto (C.F……………………………) nato a

………………… il ……………….. delega a rappresentarlo, assisterlo e difenderlo nel presente

giudizio, in ogni sua fase e grado anche d’appello, di opposizione e di esecuzione, conferendogli ogni

più ampia facoltà, compresa quella di formulare domande riconvenzionali, transigere, conciliare,

quietanzare, incassare, rinunciare agli atti, chiamare in causa terzi e farsi sostituire l’avv. Ludovico

Angeletti (C.F. ……………………….) con studio sito in ………………, via……………n………..

(………………@................pec.it) presso il quale elegge domicilio.

Il sottoscritto dichiara, inoltre, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 13 D.Lgs. 196/2003, di essere

edotto che i dati personali richiesti direttamente ovvero raccolti presso i terzi verranno utilizzati ai soli

fini del presente incarico e presta il consenso al loro trattamento. Prende altresì atto che il trattamento

dei dati personali avverrà mediante gli strumenti manuali, informatici e telematici con logiche

strettamente collegate alle finalità dell’incarico.

Dichiara di essere stato informato della complessità del caso e di aver ricevuto, ai sensi della legge

124/2017, preventivo scritto che accetta. Sono inoltre stati resi noti gli estremi della polizza

assicurativa.

Dichiara altresì, ai sensi del D.lgs. 28/2010, di essere stato informato della possibilità di avvalersi del

procedimento di mediazione ivi previsto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20 dello

stesso decreto, conseguenti all’utilizzo della procedura di mediazione i cui atti, documenti e

provvedimenti sono esenti da imposta di bollo ed ogni altra spesa.

Il sottoscritto, infine, dichiarano di aver ricevuto, al momento del conferimento dell’incarico,

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dall’avvocato estensore del presente atto, l’informativa in forma epistolare, da loro controfirmata,

formulata ai sensi e per gli effetti dell’art. 2 , 7° comma del D.l. n. 132/2014, convertito nella l.

162/2014, in merito alla possibilità di ricorrere al procedimento di negoziazione assistita ivi previsto e

disciplinato, da esperirsi in alternativa a quello in sede giudiziaria e a quello di mediazione.

………….(luogo)……………..(data)

……………………(sottoscrizione dell’assistito)

La firma è autentica

Avv Ludovico Angeletti (sottoscrizione dell’avvocato)

RELATA DI NOTIFICA

Il sottoscritto avv Ludovico Angeletti, con studio in ……….., via…………………….., in base alla L.

53/1994 ed in virtù dell’autorizzazione del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di ……….. rilasciata il

…../…../…… ho notificato, per conto del signor Tizio in proprio e in qualità di esercente la

responsabilità genitoriale sul figlio minore Tizietto, l’atto suesteso a:

- Azienda Sanitaria Locale di … (P.IVA …………………..), con sede in ………,

via……………………, n…………………, in persona del legale rappresentante pro tempore;

- Dottor……………… (C.F. ……….……………….), residente in……………via ……. n.... in qualità

di medico e chirurgo della defunta signora Caia, moglie del signor Tizio e madre di Tizietto.

……………….(luogo)…………..(data)

Avv. Ludovico Angeletti (firma dell’avvocato)

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SCHEMA LEZIONE MAGISTRATURA SU DANNO NON PATRIMONIALE E a seguire PRONUNCE PIU’ RILEVANTI IN MATERIA compresa la storica pronuncia a Sezioni Unite del 2008

DISPENSA LEZIONE RISARCIMENTO DEL DANNO NON PATIRMONIALE

Di seguito lo SCHEMA DELLA LEZIONE e a seguire le seguenti pronunce (lettura facoltativa):

- Le due pronunce della Cassazione del 2018 (Cass. 2018 n. 7513 relatore Rossetti e n. 901 relatore Travaglino) dalle quali si desume chiaramente la nuova concezione del danno non patrimoniale

- Le Sezioni Unite di San Martino (n. 26972 del 2008)- Corte Costituzionale n. 184 del 1986

Abbiamo innanzitutto trattato della dicotomia tra danno evento e danno conseguenza (desumibile dal tenore letterale degli articoli 1223, 1227 e 2043 c.c.).

Ci siamo soffermati sulla disciplina relativa alla quantificazione del danno sia comune al danno da inadempimento e extracontrattuale (1223, 1226, 1227 alla luce dell’art. 2056 comma I c.c.) sia di quella relativa soltanto al primo (1225 c.c.) sia di quella relativa soltanto al secondo (2056 comma II, 2057 c.c. che però si ritiene applicabile anche in caso di danno da inadempimento).

Abbiamo chiarito che la distinzione tra danno patrimoniale e non patrimoniale attiene al danno conseguenza e non al danno evento.

DANNO NON PATRIMONIALE

c.c. ’42 2059 c.c. accoglie concezione pan - economica del diritto privato; in più si considera il solo valore produttivo dell’uomo; eccezione per i valori protetti dalla norma penale (art. 185 c.p.)

CRITICA art. 2 Cost. concezione personalistica del diritto privato ma in particolare la critica si appunta sul diritto alla salute 32 Cost.

Giurisprudenza di merito (Genova e Pisa negli anni ’70 sia pure in virtù di diversi percorsi interpretativi) risarcibilità ex art. 2043 c.c. del danno alla salute al di là delle conseguenze sulla capacità lavorativa e di guadagno del soggetto

Tra le pronunce più importanti a favore del danno non patrimoniale

Corte Cost. 1986 n. 184

- Il 2043 c.c. riguarda anche il danno alla salute- Il 2059 c.c. riguarda il solo danno morale soggettivo con funzione repressiva- Interpretazione costituzionalmente orientata del 2043 c.c. alla luce del 32 Cost., è norma in

bianco e secondaria rispetto alla lesione di interessi tutelati altrove- Il danno alla salute è danno evento che va provato quale evento naturalistico ma il danno

conseguenza è in re ipsa: va liquidato dal giudice in maniera che si auspica equilibrata- Invece i danni patrimoniali e morale soggettiva sono danno conseguenza

DANNO RELAZIONALE OGGI DEFINITO PIU’ SPESSO ESISTENZIALE

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Viene in un primo momento valorizzato quale aspetto consequenziale del danno alla salute: è l’aspetto dinamico – relazionale della lesione dell’integrità psico fisica che appunto si riverbera sul fare non patrimoniale del soggetto

Dottrina anni ’90 Cendon

Successivamente viene anche autonomizzato dal danno alla salute e posto in relazione alla lesione di altri diritti fondamentali (per es. conservazione del rapporto parentale 2, 29, 30 Cost.). Si dice risarcibile ex art. 2043 c.c. (continua la marginalizzazione del 2059 c.c.)

Cassazione n. 7713/2000, danno esistenziale subito dal figlio a fronte dei negati mezzi di assistenza da parte del padre “ impiegando il collegamento tra art. 2043 c.c., e norme della Costituzione (nella specie gli artt. 29 e 30), analogamente a quanto all'epoca avveniva per il danno biologico, ravvisò il fondamento della tutela nella lesione del diritto costituzionalmente protetto del figlio all'educazione ed all'istruzione, integrante danno-evento”

Da S.U. 2008 sentenze San Martino

3. Si pone ora la questione se, nell'ambito della tutela risarcitoria del danno non patrimoniale, possa inserirsi, come categoria autonoma, il c.d. danno esistenziale.

3.1. Secondo una tesi elaborata in dottrina nei primi anni '90 il danno esistenziale era inteso come pregiudizio non patrimoniale, distinto dal danno biologico (all'epoca risarcito nell'ambito dell'art. 2043 c.c., in collegamento con l'art. 32 Cost.), in assenza di lesione dell'integrità psicofisica, e dal c.d. danno morale soggettivo (unico danno non patrimoniale risarcibile, in presenza di reato, secondo la tradizionale lettura restrittiva dell'art. 2059 c.c., in collegamento all'art. 185 c.p.), in quanto non attinente alla sfera interiore del sentire, ma alla sfera del fare non reddituale del soggetto.

Tale figura di danno nasceva dal dichiarato intento di ampliare la tutela risarcitoria per i pregiudizi di natura non patrimoniale incidenti sulla persona, svincolandola dai limiti dell'art. 2059 c.c., e seguendo la via, già percorsa per il danno biologico, di operare nell'ambito dell'art. 2043 c.c., inteso come norma regolatrice del risarcimento non solo del danno patrimoniale, ma anche di quello non patrimoniale concernente la persona.

Si affermava che, nel caso in cui il fatto illecito limita le attività realizzatrici della persona umana, obbligandola ad adottare nella vita di tutti i giorni comportamenti diversi da quelli passati, si realizza un nuovo tipo di danno (rispetto al danno morale soggettivo ed al danno biologico) definito con l'espressione "danno esistenziale".

Il pregiudizio era individuato nella alterazione della vita di relazione, nella perdita della qualità della vita, nella compromissione della dimensione esistenziale della persona.

Pregiudizi diversi dal patimento intimo, costituente danno morale soggettivo, perchè non consistenti in una sofferenza, ma nel non poter più fare secondo i modi precedentemente adottati, e non integranti danno biologico, in assenza di lesione all'integrità psicofisica.

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I giudici di merito ne hanno abusato (pettinatura che si era afflosciata il giorno del matrimonio, interruzione dell’energia elettrica quindi perdita della possibilità di vedere la partita) da qui l’intervento delle S.U. del 2008

Al danno esistenziale era dato ampio spazio dai giudici di pace, in relazione alle più fantasiose, ed a volte risibili, prospettazioni di pregiudizi suscettivi di alterare il modo di esistere delle persone: la rottura del tacco di una scarpa da sposa, l'errato taglio di capelli, l'attesa stressante in aeroporto, il disservizio di un ufficio pubblico, l'invio di contravvenzioni illegittime, la morte dell'animale di affezione, il maltrattamento di animali, il mancato godimento della partita di calcio per televisione determinato dal black-out elettrico. In tal modo si risarcivano pregiudizi di dubbia serietà, a prescindere dall'individuazione dell'interesse leso, e quindi del requisito dell'ingiustizia.

Per un indirizzo (Scarano riv dir civ 2011) lo sconvolgimento della vita è sempre risarcibile per lesione del diritto all’esplicazione della personalità e alla qualità della vita (si pensi a perdita dell’animale o della cosa d’affezione). In questo senso sembra andare la giurisprudenza più recente in materia di danno da immissioni.

S.U. 2008 sulla scorta di Cass. e Corte Cost. 2003 che già avevano messo al centro il 2059 c.c. alla luce di una interpretazione basata sull’evoluzione giurisprudenziale e normativa

La sedes materiae per il risarcimento del danno non patrimoniale è l’art. 2059 c.c.

Sistema bipolare e rapporto tra 2043 e 2059 c.c.: fermi restando gli elementi strutturali del 2043 c.c., all’interno dei danni conseguenza vi sono quelli patrimoniali (2043 c.c.) e non patrimoniali (2059 c.c.)

Il 2059 c.c. è norma di rinvio o a leggi ordinarie o disposizioni costituzionali per il principio di necessaria tutela minima dei diritti fondamentali (salute, diritti familiari, reputazione, immagine, riservatezza, nome …). Il catalogo degli interessi rilevanti dipende dal momento storico di riferimento.

Danno non patrimoniale è tipico , torna ad essere atipico in caso di previsione legislativa ad hoc; patrimoniale è atipico

Unitarietà del danno non patrimoniale: le singole voci possono avere soltanto valore descrittivo

Superamento del danno morale quale danno autonomo in caso di coesistenza con il danno biologico: no sofferenza transeunte derivante da reato dal momento che la sofferenza potrebbe non essere transeunte

“descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sè considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento”

Se c’è danno biologico il morale è assorbito nel primo altrimenti c’è ma è riparatorio non sanzionatorio

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Danno esistenziale: in caso di reato viene in qualche modo assorbito dalla nuova concezione di danno morale non più transeunte e quasi negato quando si dice che non rileva quale non poter fare più ma quale sofferenza per non poter fare più

3.4.1. In presenza di reato, superato il tradizionale orientamento che limitava il risarcimento al solo danno morale soggettivo, identificato con il patema d'animo transeunte, ed affermata la risarcibilità del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, anche il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare (ma sarebbe meglio dire: nella sofferenza morale determinata dal non poter fare) è risarcibile.

Si ipotizza solo quale conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente protetto e quale voce del danno non patrimoniale che è UNITARIO

3.13. In conclusione, deve ribadirsi che il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata "danno esistenziale", perchè attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso l'individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario nè è necessitata dall'interpretazione costituzionale dell'art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione (principi enunciati dalle sentenze n. 15022/2005, n. 11761/2006, n. 23918/2006, che queste Sezioni unite fanno propri).

- PRINCIPIO DI TOLLERANZA EX ART. 2 COST accanto al PRINCIPIO DI INTEGRALE RISARCIMENTO DEL DANNO

Lesione seria e pregiudizio conseguenza grave

3.10. Il risarcimento di pretesi danni esistenziali è stato frequentemente richiesto ai giudici di pace ed ha dato luogo alla proliferazione delle c.d. liti bagatellari.

Con tale formula si individuano le cause risarcitorie in cui il danno consequenziale è futile o irrisorio, ovvero, pur essendo oggettivamente serio, è tuttavia, secondo la coscienza sociale, insignificante o irrilevante per il livello raggiunto.

In entrambi i casi deve sussistere la lesione dell'interesse in termini di ingiustizia costituzionalmente qualificata, restando diversamente esclusa in radice (al dei fuori dei casi previsti dalla legge) l'invocabilità dell'art. 2059 c.c..

La differenza tra i due casi è data dal fatto che nel primo, nell'ambito dell'area del danno-conseguenza del quale è richiesto il ristoro è allegato un pregiudizio esistenziale futile, non serio (non poter più urlare allo stadio, fumare o bere alcolici), mentre nel secondo è l'offesa arrecata che è priva di gravità, per non essere stato inciso il diritto oltre una soglia minima:

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come avviene nel caso del graffio superficiale dell'epidermide, del mal di testa per una sola mattinata conseguente ai fumi emessi da una fabbrica, dal disagio di poche ore cagionato dall'impossibilità di uscire di casa per l'esecuzione di lavori stradali di pari durata (in quest'ultimo caso non è leso un diritto inviolabile, non spettando tale rango al diritto alla libera circolazione di cui all'art. 16 Cost., che può essere limitato per varie ragioni).

SULLE DUPLICAZIONI RISARCITORIE

Si è già precisato che il danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie.

Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno.

E' compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione.

4.9. Viene in primo luogo in considerazione, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato, la sofferenza morale. Definitivamente accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale.

Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sè considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale.

Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente.

Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.

Egualmente determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poichè la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato.

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Possono costituire solo "voci" del danno biologico nel suo aspetto dinamico, nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il c.d. danno alla vita di relazione, i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell'integrità psicofisica, sicchè darebbe luogo a duplicazione la loro distinta riparazione.

Certamente incluso nel danno biologico, se derivante da lesione dell'integrità psicofisica, è il pregiudizio da perdita o compromissione della sessualità, del quale non può, a pena di incorrere in duplicazione risarcitoria, darsi separato indennizzo (diversamente da quanto affermato dalla sentenza n. 2311/2007, che lo eleva a danno esistenziale autonomo).

RISARCIMENTO DEL DANNO NON PATRIMONIALE DA INADEMPIMENTO

SULLA PROVA

Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza (Cass. n. 8827 e n. 8828/2003; n. 16004/2003), che deve essere allegato e provato.

Per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la vigente normativa (D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139) richiede l'accertamento medico-legale. Si tratta del mezzo di indagine al quale correntemente si ricorre, ma la norma non lo eleva a strumento esclusivo e necessario. Così come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice potrà non disporre l'accertamento medico-legale, non solo nel caso in cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile (perchè deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni.

SISTEMA TABELLARE risponde al problema della determinazione del risarcimento del danno non patrimoniale (1223, 1226, 1227, 2056)

Nasce con riferimento al danno biologico come alternativa al metodo equitativo puro

Metodo pisano. Scienza medico legale: il danno alla salute è misurabile in termini di punti di invalidità da qui l’attribuzione di un valore economico, sulla base dei valori medi tratti dai precedenti giudiziari, ad ogni punto che in base al metodo del valore economico variabile (accolto dalle Tabelle Milanesi ) tiene conto a) dell’età del soggetto per l’aspettativa di vita in funzione decrescente b) della quantità di punti (crescita più che proporzionale) in funzione crescente

Oggi si sono affermate le tabelle Milanesi vincolanti ex art. 1226 c.c. (vizio di violazione di legge) principio uniformità di trattamento salva l’equità consentita dalla personalizzazione, prevedibilità decisione giudiziarie quindi parametro per la liquidazione stragiudiziale in base all’insegnamento della Corte Costituzionale del 1986 n. 184 (uniformità più elasticità).

“Va precisato che non si é inteso qui proporre un'assolutamente indifferenziata, per identiche lesioni, determinazione e liquidazione di danni: ed in proposito é da ricordare la recente

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giurisprudenza di merito che assume il predetto criterio liquidativo dover risultare rispondente da un lato ad un'uniformità pecuniaria di base (lo stesso tipo di lesione non può essere valutato in maniera del tutto diversa da soggetto a soggetto: é, infatti, la lesione, in sé e per sé considerata, che rileva, in quanto pregna del disvalore giuridico attribuito alla medesima dal divieto primario ex artt. 32 Cost. e 2043 c.c.) e dall'altro ad elasticità e flessibilità, per adeguare la liquidazione del caso di specie all'effettiva incidenza dell'accertata menomazione sulle attività della vita quotidiana, attraverso le quali, in concreto, si manifesta l'efficienza psico - fisica del soggetto danneggiato”.

Prima delle SU del 2008 il danno morale era liquidato a parte in misura variabile da 1 quarto e un mezzo e in più in sede di personalizzazione veniva liquidato l’esistenziale (fino al 30 per cento)

Dopo le SU del 2008 il danno morale è compreso nel biologico in via presuntiva rispetto ad un dato tipo di lesione tanto che i valori sono stati modificati per tenere conto delle somme liquidate a titolo di danno morale salva prova nella personalizzazione di una particolare sofferenza (per es. per modalità fatto lesivo)

Da alcuni mesi riguardano non più soltanto il danno biologico ma anche quello esistenziale da perdita o grave lesione del rapporto parentale, il danno terminale (confermato l’indirizzo per il quale il danno da perdita immediata della vita non è risarcibile), danno da premorienza, diffamazione a messo stampa o con altri mezzi di comunicazione di massa, liquidazione ex art. 96 comma III c.p.c.

Si fa riferimento al criterio dell’id quod plurumque accidit cioè ai valori generalmente liquidati a fronte di quelle lesioni.

Problemi:

l’elemento soggettivo rileva sul quantum risarcitorio?

Secondo l’indirizzo ormai tradizionale NO per tre argomenti

- Equiparazione del dolo alla colpa 2043 c.c.- Quindi principio di causalità delle attribuzioni patrimoniali- Si è passati dal principio “nessuna responsabilità senza colpa” al principio “nessuna

responsabilità senza danno”

Però le tabelle affermano che alla luce della presenza di un reato doloso cedono i limiti tabellari individuati. Replica alla critica: ciò non accade in funzione sanzionatoria ma riparatoria, perché quanto più e riprovevole la condotta dal danneggiante tanto più è maggiore la sofferenza che mi viene arrecata (danno morale).

ULTIMA TAPPA RELATIVA AL RISARCIMENTO DEL DANNO NON PATRIMONIALE

Riemersione di danno morale e danno esistenziale e distinzione tra danno morale e danno alla salute: sono due aspetti differenti del danno che invece le S.U. del 2008 avevano sovrapposto.

Egualmente determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poichè la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato.

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In altre parole per le SU del 2008 il danno morale qualora degenerato in patologia diveniva una voce del danno biologico dunque volevano evitarsi gli automatismi risarcitori per i quali automaticamente si aggiungeva una certa percentuale a titolo di danno morale in caso di lesione della salute

(peraltro stessa esigenza di evitare automatismi risarcitori era avvertita con riferimento al danno dinamico relazionale derivante dalla lesione della salute).

NUOVO INDIRIZZO

“Restano così efficacemente scolpiti i due aspetti essenziali della sofferenza: il dolore interiore, e/o la significativa alterazione della vita quotidiana. Danni diversi e perciò solo entrambi autonomamente risarcibili, ma se, e solo se, provati caso per caso, con tutti i mezzi di prova normativamente previsti (tra cui il notorio, le massime di esperienza, le presunzioni) al di là di sommarie quanto impredicabili generalizzazioni”

E se è lecito ipotizzare, come talvolta si è scritto, che la categoria del danno "esistenziale" risulti "indefinita e atipica", ciò appare la probabile conseguenza dell'essere la stessa dimensione della sofferenza umana, a sua volta, "indefinita e atipica". (Cass. 901 del 2018)

Fondamento normativo inconsapevole (perché il legislatore del ’42 relazione 803 non ci pensava) danno emergente e lucro cessante

Il nuovo indirizzo ( Cass. 901, 7513 e 13770 del 2018) supera le SU del 2008 almeno sotto tre versanti:

1 il danno morale non è compreso nel biologico

8) In presenza d'un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perchè non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sè, la paura, la disperazione).

2 il danno morale è dunque autonomamente risarcibile; va comunque provato

9) Ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (come è confermato, oggi, dal testo degli artt. 138 e 139 cod. ass., così come modificati della L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 17, nella parte in cui, sotto l'unitaria definizione di "danno non patrimoniale", distinguono il danno dinamico relazionale causato dalle lesioni da quello "morale").

3 anche al di fuori della lesione dell’integrità psico fisica assume rilievo la distinzione tra danno morale e danno esistenziale

10) Il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di

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danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell'uno come nell'altro caso, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria.

“DECALOGO” SENTENZA 2018 N. 7513

5.10. I principi sin qui esposti possono riassumersi, per maggior chiarezza, nel modo che segue:

1) l'ordinamento prevede e disciplina soltanto due categorie di danni: quello patrimoniale e quello non patrimoniale.

2) Il danno non patrimoniale (come quello patrimoniale) costituisce una categoria giuridicamente (anche se non fenomeno logicamente) unitaria.

3) "Categoria unitaria" vuol dire che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regole e ad i medesimi criteri risarcitori (artt. 1223,1226,2056,2059 c.c.).

4) Nella liquidazione del danno non patrimoniale il giudice deve, da un lato, prendere in esame tutte le conseguenze dannose dell'illecito; e dall'altro evitare di attribuire nomi diversi a pregiudizi identici.

5) In sede istruttoria, il giudice deve procedere ad un articolato e approfondito accertamento, in concreto e non in astratto, dell'effettiva sussistenza dei pregiudizi affermati (o negati) dalle parti, all'uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, opportunamente accertando in special modo se, come e quanto sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita condotta prima del fatto illecito; utilizzando anche, ma senza rifugiarvisi aprioristicamente, il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, e senza procedere ad alcun automatismo risarcitorio.

6) In presenza d'un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l'attribuzione d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale).

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7) In presenza d'un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

8) In presenza d'un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perchè non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sè, la paura, la disperazione).

9) Ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (come è confermato, oggi, dal testo degli artt. 138 e 139 cod. ass., così come modificati della L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 17, nella parte in cui, sotto l'unitaria definizione di "danno non patrimoniale", distinguono il danno dinamico relazionale causato dalle lesioni da quello "morale").

10) Il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell'uno come nell'altro caso, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria.

Artt. 138 e 139 codice assicurazioni private risarcimento circolazione autoveicoli: importanti anche perché richiamate dall’art. 7 Legge Gelli Bianco

l. n. 124 del 2017 (legge sulla concorrenza)

modifica il 138 sulle lesioni di non lieve entità (da 10 a 100 punti)

- Pieno risarcimento - Tabella unica nazionale tenendo conto dei criteri ritenuti congrui dalla consolidata

giurisprudenza di legittimità- Il danno biologico coincide con il danno dinamico relazionale conseguente alla lesione

dell’integrità psico - fisica- Il danno morale deve essere liquidato in percentuale di quello biologico: questo per cass.

2018 significa che ne viene affermata l’autonomia; per altri (Castronovo) significa che è un segmento del danno biologico

- Aumento in caso di danno relazionale

Questa disposizione ci è utile per

- Definire danno biologico e danno relazionale (detto anche esistenziale)

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in quanto recepisce i risultati ormai definitivamente acquisiti di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.

Cass. 2015 e 2018 (su vecchio testo degli artt. 138 e 139) dicono, approfittando di una lacuna legislativa, che il danno morale (nelle sole macropermanenti cioè 138) è autonomamente risarcibile senza alcun tetto. Oggi con la novella del 2017 sembra essere stato recepito questo indirizzo

Art. 139 sulle lesioni di lieve entità (da 1 a 9 punti)

Corte Cost. 2014 in relazione al tetto previsto per il danno morale : aumento massimo del 20 per cento

Argomentazione: Interesse pubblico a non aumentare i premi assicurativi in un sistema di assicurazione obbligatoria bilaterale/ Certezza dell’indennizzo

- Cass. 2018 n. 7513 che accoglie il nuovo indirizzo in materia di danno non patrimoniale

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Presidente -

Dott. ROSSETTI Marco - rel. Consigliere -

5.4. Nel presente giudizio il giudice di primo grado ha:

(a) accertato in facto che la vittima dopo l'infortunio ed a causa dei postumi, quantificati dall'ausiliario nella misura del 38% della complessiva validità dell'individuo, smise "di frequentare gente, chiudendosi in casa", oltre a rinunciare alle attività di cura della vigna e dell'orto;

(b) qualificato questo pregiudizio come "danno dinamico-relazionale";

(c) ritenuto che esso imponesse un incremento del 25% della misura base del risarcimento del danno non patrimoniale, che sarebbe stata altrimenti liquidata.

5.5. Il giudice d'appello, invece, ha:

(a) non discusso in facto che la vittima avesse "smesso di frequentare gente, chiudendosi in casa", oltre che rinunciato alle altre attività svolte nel tempo libero;

(b) qualificato anch'egli questo pregiudizio come "danno dinamico-relazionale";

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(c) ritenuto che tale pregiudizio fosse "compreso nel danno biologico", e di conseguenza che la sua accertata esistenza non imponesse alcun incremento della misura base del risarcimento.

5.6. Per stabilire se la decisione d'appello sia effettivamente contraddittoria nella parte in cui ha da un lato accertato un pregiudizio d'un certo tipo (rinuncia alle frequentazioni ed alle attività del tempo libero), e dall'altro affermato essere il "danno dinamico-relazionale ricompreso nel danno biologico", questa Corte ritiene doverosa una premessa sulla nomenclatura degli istituti e delle categorie giuridiche in subiecta materia.

Nella materia del danno non patrimoniale, infatti, la legge contiene pochissime e non esaustive definizioni; quelle coniate dalla giurisprudenza di merito e dalla prassi sono usate spesso in modo polisemico; quelle proposte dall'accademia obbediscono spesso agli intenti della dottrina che le propugna.

Accade così che lemmi identici vengano utilizzati dai litiganti per esprimere concetti diversi, ed all'opposto che espressioni diverse vengano utilizzate per esprimere il medesimo significato.

Questo stato di cose ingenera somma confusione, ed impedisce altresì qualsiasi seria dialettica, dal momento che ogni discussione scientifica è impossibile in assenza d'un lessico condiviso.

L'esigenza del rigore linguistico come metodo indefettibile nella ricostruzione degli istituti è stata già segnalata dalle Sezioni Unite di questa Corte, allorchè hanno indicato, come precondizione necessaria per l'interpretazione della legge, la necessità di "sgombrare il campo di analisi da (...) espressioni sfuggenti ed abusate che hanno finito per divenire dei "mantra" ripetuti all'infinito senza una preventiva ricognizione e condivisione di significato (...), (che)resta oscuro e serve solo ad aumentare la confusione ed a favorire l'ambiguità concettuale nonchè la pigrizia esegetica" (sono parole di Sez. U, Sentenza n. 12310 del 15/06/2015).

Il vaglio del quinto motivo di ricorso esige dunque, preliminarmente, stabilire cosa debba rettamente intendersi per "danno dinamico-relazionale"; e, prima ancora, se esista in rerum natura un pregiudizio così definibile.

5.7. L'espressione "danno dinamico-relazionale" comparve per la prima volta nel D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13, il quale stabilì che oggetto dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro fosse l'indennizzo del danno biologico, e delegò il Ministro del lavoro ad approvare una "tabella delle menomazioni", cioè delle percentuali di invalidità permanente, in base alla quale stimare il danno biologico indennizzabile dall'Inail.

Nel conferire al governo tale delega, il decreto stabilì che l'emananda tabella dovesse essere "comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali".

Come dovesse intendersi tale espressione non era dubitabile: fino al 2000, infatti, l'Inail aveva indennizzato ai lavoratori infortunati la perdita della "attitudine al lavoro", e l'aveva fatto in base ad una tabella, allegata al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, che teneva conto unicamente delle ripercussioni della menomazione sull'idoneità al lavoro.

Pertanto, nel sostituire l'oggetto dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro (sostituendo l'incapacità lavorativa generica col danno biologico), il legislatore con tutta

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evidenza volle precisare che la nuova tabella, in base alla quale si sarebbe dovuto stabilire il grado di invalidità permanente, dovesse tenere conto non già delle ripercussioni della menomazione sull'abilità al lavoro, ma delle ripercussioni di essa sulla vita quotidiana della vittima, che il legislatore ritenne di definire come "aspetti dinamico-relazionali".

5.7.1. L'espressione in esame ricomparve nella L. 5 marzo 2001, n. 57, art. 5, con la quale si intervenne sulla disciplina dei danni causati dalla circolazione dei veicoli.

Tale norma, dopo avere definito la nozione "danno biologico", dettato il relativo criterio di risarcimento, e stabilito che la misura ivi prevista potesse essere aumentata del 20% per tenere conto "delle condizioni soggettive del danneggiato", delegò il governo ad emanare una specifica tabella delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità" (L. n. 57 del 2001, art. 5, comma 5).

Il governo vi provvide col D.M. 3 luglio 2003 (in Gazz. uff. 11.9.2003 n. 211).

Tale decreto, tuttora vigente, include un allegato, intitolato "Criteri applicativi", nel quale si afferma che la commissione ministeriale incaricata di stilare la tabella delle menomazioni vi aveva provveduto assumendo a base del proprio lavoro la nozione di "danno biologico" desumibile sia dal D.Lgs. n. 38 del 2000, sia dalla L. n. 57 del 2001: ovvero la menomazione dell'integrità psico-fisica della persona, "la quale esplica una incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti personali dinamico-relazionali della vita del danneggiato".

Dunque anche in quel testo regolamentare con l'espressione "compromissione degli aspetti dinamico-relazionali" non si volle designare un danno a sè, ma la si usò puramente e semplicemente come perifrasi della nozione di "danno biologico".

Nel medesimo Decreto 3 luglio 2003, inoltre, nell'ulteriore "Allegato 1", si soggiunge che "ove la menomazione incida in maniera apprezzabile su particolari aspetti dinamico-relazionali personali, lo specialista medico legale dovrà fornire motivate indicazioni aggiuntive che definiscano l'eventuale maggiore danno".

Il senso combinato delle due affermazioni è chiaro: il danno biologico consiste in una "ordinaria" compromissione delle attività quotidiane (gli "aspetti dinamico-relazionali"); quando però esso, a causa della specificità del caso, ha compromesso non già attività quotidiane comuni a tutti, ma attività "particolari" (ovvero i "particolari aspetti dinamico-relazionali"), di questa perdita dovrebbe tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente.

Per la legge, dunque, l'espressione "danno dinamico-relazionale" non è altro che una perifrasi del concetto di "danno biologico".

5.8. L'interpretazione appena esposta del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13 e della L. n. 57 del 2001, art. 5 (poi abrogato ed oggi confluito nell'art. 139 cod. ass.) è corroborata dalle indicazioni della medicina legale.

Il danno non patrimoniale derivante da una lesione della salute è per convenzione liquidato assumendo a base del calcolo il grado percentuale di "invalidità permanente".

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Il grado di invalidità permanente è determinato in base ad apposite tabelle predisposte con criteri medico-legali: talora imposte dalla legge e vincolanti (come nel caso dei danni derivanti da infortuni sul lavoro, da sinistri stradali o da colpa medica con esiti micropermanenti), talora lasciate alla libera scelta del giudicante.

La redazione d'una tabella delle invalidità (bareme) è un'opera complessa, che parte dalla statistica e perviene ad esprimere, con un numero percentuale, la sintesi di tutte le conseguenze ordinarie che una determinata menomazione deve presumersi riverberi sulle attività comuni ad ogni individuo.

E' infatti autorevole e condiviso, in medicina legale, l'insegnamento secondo cui "non ha più ragion d'essere l'idea che il danno biologico abbia natura meramente statica"; che "per danno biologico deve intendersi non la semplice lesione all'integrità psicofisica in sè e per sè, ma piuttosto la conseguenza del pregiudizio stesso sul modo di essere della persona (...). Il danno biologico misurato percentualmente è pertanto la menomazione all'integrità psicofisica della persona la quale esplica una incidenza negativa sulle attività ordinarie intese come aspetti dinamico-relazionali comuni a tutti".

In questo senso si espresse già quasi vent'anni fa (ma inascoltata) la Società Italiana di Medicina Legale, la quale in esito al Congresso nazionale tenuto nel 2001 definì il danno biologico espresso nella percentuale di invalidità permanente, come "la menomazione (...) all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (...), espressa in termini di percentuale della menomazione dell'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti".

La conclusione è che, quando un bareme medico legale suggerisce per una certa menomazione un grado di invalidità - poniamo - del 50%, questa percentuale indica che l'invalido, a causa della menomazione, sarà teoricamente in grado di svolgere la metà delle ordinarie attività che una persona sana, dello stesso sesso e della stessa età, sarebbe stata in grado di svolgere, come già ripetutamente affermato da questa Corte (Sez. 3, Sentenza n. 20630 del 13/10/2016; Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014).

5.9. Da quanto esposto derivano tre conseguenze.

5.9.1. La prima è che deve essere rettamente inteso il senso del discorrere di "danni dinamico-relazionali" (ovvero, con formula più arcaica ma più nobile, "danni alla vita di relazione"), in presenza d'una lesione della salute.

La lesione della salute risarcibile in null'altro consiste, su quel medesimo piano, che nella compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento delle attività quotidiane tutte, nessuna esclusa: dal fare, all'essere, all'apparire.

Non, dunque, che il danno alla salute "comprenda" pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno "dinamico-relazionale". Se non avesse conseguenze "dinamico-relazionali", la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.

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5.9.2. La seconda conseguenza è che l'incidenza d'una menomazione permanente sulle quotidiane attività "dinamico-relazionali" della vittima non è affatto un danno diverso dal danno biologico.

Una lesione della salute può avere le conseguenze dannose più diverse, ma tutte inquadrabili teoricamente in due gruppi:

- conseguenze necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare tipo di invalidità:

- conseguenze peculiari del caso concreto, che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili.

Tanto le prime che le seconde conseguenze costituiscono un danno non patrimoniale; la liquidazione delle prime tuttavia presuppone la mera dimostrazione dell'esistenza dell'invalidità; la liquidazione delle seconde esige la prova concreta dell'effettivo (e maggior) pregiudizio sofferto.

Pertanto la perduta possibilità di continuare a svolgere una qualsiasi attività, in conseguenza d'una lesione della salute, non esce dall'alternativa: o è una conseguenza "normale" del danno (cioè indefettibile per tutti i soggetti che abbiano patito una menomazione identica), ed allora si terrà per pagata con la liquidazione del danno biologico; ovvero è una conseguenza peculiare, ed allora dovrà essere risarcita, adeguatamente aumentando la stima del danno biologico (c.d. "personalizzazione": così già Sez. 3, Sentenza n. 17219 del 29.7.2014).

Dunque le conseguenze della menomazione, sul piano della loro incidenza sulla vita quotidiana e sugli aspetti "dinamico-relazionali", che sono generali ed inevitabili per tutti coloro che abbiano patito il medesimo tipo di lesione, non giustificano alcun aumento del risarcimento di base previsto per il danno non patrimoniale.

Al contrario, le conseguenze della menomazione che non sono generali ed inevitabili per tutti coloro che abbiano patito quel tipo di lesione, ma sono state patite solo dal singolo danneggiato nel caso specifico, a causa delle peculiarità del caso concreto, giustificano un aumento del risarcimento di base del danno biologico.

Ma lo giustificano, si badi, non perchè abbiano inciso, sic et simpliciter, su "aspetti dinamico-relazionali": non rileva infatti quale aspetto della vita della vittima sia stato compromesso, ai fini della personalizzazione del risarcimento; rileva, invece, che quella/quelle conseguenza/e sia straordinaria e non ordinaria, perchè solo in tal caso essa non sarà ricompresa nel pregiudizio espresso dal grado percentuale di invalidità permanente, consentendo al giudice di procedere alla relativa personalizzazione in sede di liquidazione (così già, ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 21939 del 21/09/2017; Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014).

In applicazione di tali principi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme

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dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).

5.9.3. La terza conseguenza, di natura processuale, è che le circostanze di fatto che giustificano la personalizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale integrano un "fatto costitutivo" della pretesa, e devono essere allegate in modo circostanziato e provate dall'attore (ovviamente con ogni mezzo di prova, e quindi anche attraverso l'allegazione del notorio, delle massime di comune esperienza e delle presunzioni semplici, come già ritenuto dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la nota sentenza pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008), senza potersi, peraltro, risolvere in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche (Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).

5.10. I principi sin qui esposti possono riassumersi, per maggior chiarezza, nel modo che segue:

1) l'ordinamento prevede e disciplina soltanto due categorie di danni: quello patrimoniale e quello non patrimoniale.

2) Il danno non patrimoniale (come quello patrimoniale) costituisce una categoria giuridicamente (anche se non fenomeno logicamente) unitaria.

3) "Categoria unitaria" vuol dire che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regole e ad i medesimi criteri risarcitori (artt. 1223,1226,2056,2059 c.c.).

4) Nella liquidazione del danno non patrimoniale il giudice deve, da un lato, prendere in esame tutte le conseguenze dannose dell'illecito; e dall'altro evitare di attribuire nomi diversi a pregiudizi identici.

5) In sede istruttoria, il giudice deve procedere ad un articolato e approfondito accertamento, in concreto e non in astratto, dell'effettiva sussistenza dei pregiudizi affermati (o negati) dalle parti, all'uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, opportunamente accertando in special modo se, come e quanto sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita condotta prima del fatto illecito; utilizzando anche, ma senza rifugiarvisi aprioristicamente, il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, e senza procedere ad alcun automatismo risarcitorio.

6) In presenza d'un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l'attribuzione d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale).

7) In presenza d'un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ovvero quelle che

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qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

8) In presenza d'un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perchè non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sè, la paura, la disperazione).

9) Ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (come è confermato, oggi, dal testo degli artt. 138 e 139 cod. ass., così come modificati della L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 17, nella parte in cui, sotto l'unitaria definizione di "danno non patrimoniale", distinguono il danno dinamico relazionale causato dalle lesioni da quello "morale").

10) Il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell'uno come nell'altro caso, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria.

5.11. Alla luce dei principi che precedono si può ora tornare ad esaminare il quinto motivo del ricorso.

La Corte d'appello, come già detto, senza negare che la vittima a causa dell'infortunio abbia ridotto le proprie frequentazioni con altre persone, ha soggiunto che tale pregiudizio è "compreso" nel danno alla salute, e che di conseguenza nessun risarcimento aggiuntivo spettasse alla vittima, oltre la misura base prevista dalla tabella per una invalidità del 38% ragguagliata all'età della vittima.

In ciò non vi è nulla di contraddittorio: precisato, infatti, che i pregiudizi relazionali rappresentano l'ubi consistam funzionale del danno alla salute, è coerente con i principi sopra esposti ritenere in facto, da un lato, che una certa conseguenza della menomazione sia comune a tutte le persone che quella menomazione patiscano, e, dall'altro, soggiungere in iure che quella menomazione non imponga di conseguenza alcuna personalizzazione del risarcimento.

Lo stabilire, poi, se tutte le persone che abbiano una invalidità permanente de 38% riducano o non riducano la propria vita di relazione costituisce un tipico apprezzamento di merito, che non può essere sindacato in questa sede e che comunque non è stato nemmeno censurato.

Nè appare superfluo ricordare come questa Corte abbia già stabilito che la perduta o ridotta o modificata possibilità di intrattenere rapporti sociali in conseguenza di una invalidità permanente costituisce una delle "normali" conseguenze delle invalidità gravi, nel senso che

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qualunque persona affetta da una grave invalidità non può non risentirne sul piano dei rapporti sociali …

- Cassazione civile sez. III , , 17/01/2018, n. 901

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo - rel. Presidente -

I FATTI

1. Nel dicembre del 2003 il Tribunale di Roma dichiarò il ginecologo C.V., sanitario dell'ospedale (OMISSIS), e la ASL Roma (OMISSIS) responsabili dei danni sofferti da N.C. e dal marito, M.P., a seguito di un intervento eseguito con tecnica di laparotomia addominale - cui la N. era stata sottoposta per diagnosticata cisti paraovarica sinistra - e della gravissima situazione sanitaria lamentata dalla paziente in conseguenza dell'operazione.

1.1. Ritenne il giudice di prime cure che i sintomi dell'infezione post-operatoria, benchè evidenti sin dal giorno successivo alle dimissioni della signora N. dalla struttura ospedaliera, furono scoperti con ritardo, quando l'infezione stessa si era già trasformata in peritonite.

1.2. La responsabilità del ginecologo, che aveva in cura la signora N. sin dal (OMISSIS), fu ricondotta, in particolare, alla omessa individuazione delle lesioni intestinali prodottesi nel corso dell'intervento, che venne modificato da endoscopico in laparotomico, ed alla grave negligenza nella osservazione del decorso post-operatorio.

1.3. Venne altresì accolta la domanda di manleva della ASL nei confronti dell'Assitalia.

2. L'impugnazione principale degli attori in prime cure e quella incidentale dell'Assitalia furono rigettate dalla Corte di appello di Roma con sentenza del primo settembre 2009.

3. Proposto ricorso per cassazione da parte dei coniugi M. - cui resistette, insieme con gli altri intimati, il C. con ricorso incidentale - questa Corte, con sentenza n. 16543 del 2011, accolse il gravame, pronunciando il seguente dispositivo:

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie per quanto di ragione il ricorso principale; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, che rigetta nel resto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

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4. L'esame dell'odierno ricorso, manifestamente fondato, non può prescindere dalla ricostruzione dei fatti e dei vincolanti principi di diritto indicati da questa Corte al giudice del rinvio - e che il giudice del rinvio ha, in parte qua, palesemente disatteso.

4.1. Sin dal (OMISSIS) la signora N. era in cura dal Dr. C., in quanto affetta da una malformazione uterina, alla quale il ginecologo aveva assicurato di poter porre rimedio attraverso una metroplastica laparotomica, che venne effettuata il (OMISSIS).

4.2. Nel (OMISSIS), incinta alla quindicesima settimana, la paziente abortì, e il sanitario le consigliò una laparoscopia presso altro medico specializzato in tale tecnica, e che eseguì l'intervento il (OMISSIS) con la totale eliminazione del problema.

4.3. Nello stesso anno, una indagine ecografica avrebbe rivelato la presenza di una sacca liquida paraovarica, che venne portata a conoscenza del Dott. C., senza che questi ritenesse nè opportuno nè necessario effettuare alcun intervento.

4.4. Nel (OMISSIS) la signora N. abortì di nuovo, per cui nel successivo mese di novembre il Dott. C. suggerì di intervenire.

4.5. Alle domande dei coniugi sulla efficacia e sul rischio dell'intervento, il sanitario assicurò che lo stesso sarebbe stato eseguito con una semplice laparoscopia presso l'Ospedale (OMISSIS).

4.6. La N. venne così ricoverata il (OMISSIS) con diagnosi di "cisti paraovarica sinistra", senza nessuna ulteriore visita ed accertamento ecografico, ed in data (OMISSIS) entrò in sala operatoria, ove, in conseguenza della situazione rivelatasi endoscopicamente, l'intervento si trasformò da laparoscopia in laparatomia, all'esito della quale venne compilata una cartella clinica con l'indicazione "laparotomia - viscerolisi - resezione ovarica bilaterale".

4.7. La paziente, nell'immediatezza del decorso postoperatorio, accusò dolori al basso ventre e difficoltà respiratorie, di cui venne tempestivamente informato il ginecologo.

4.8. (OMISSIS) venne comunicato alla N. che sarebbe potuta essere dimessa il giorno successivo, come avvenne.

4.9. Due giorni dopo, il marito della paziente avvertì il Dott. C. che la moglie accusava forti dolori al fianco sinistro e febbre a 38 gradi.

Sia i dolori che la febbre aumentarono il (OMISSIS).

4.10. La donna, su consiglio della guardia medica, alle tre del mattino del (OMISSIS) fu condotta (OMISSIS), dove, all'esito di accertamenti strumentali - tra cui una TAC addominale e pelvica - fu ricoverata perchè affetta da peritonite acuta diffusa.

4.10.1. Venne così praticata, tra l'altro, una laparotomia mediana sopra e sotto ombelicale e lo svuotamento dell'emiperitoneo, con prognosi di tre giorni.

4.10.2. Il chirurgo riferì che l'infezione era dovuta verisimilmente al precedente intervento del (OMISSIS), che aveva provocato diverse lesioni, e che non se ne sarebbero potute escludere altre con nuove manifestazioni morbose.

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4.10.3. Difatti, il successivo (OMISSIS) la N. dovette essere sottoposta ad un nuovo intervento chirurgico, dovuto alla presenza dell'ascesso del Douglas con microperforazione del colon traverso, per cui si procedette ad una relalaparotomia mediana ombelico-pubica, alla sutura della perforazione, alla toilette del cavo, a drenaggio e chiusura per piani.

4.11. Solo a seguito di questo secondo intervento fu possibile rilevare la presenza di una microlesione al colon.

4.12. L'(OMISSIS) la N. venne dimessa.

4.13. Il primo giugno la signora N. sporse querela per lesioni colpose nei confronti del Dott. C..

4.14. Il Tribunale adito ritenne l'imputato responsabile del reato ascrittogli con sentenza del 20 gennaio 2004.

4.15. La Corte di appello di Roma, con sentenza del 21 giugno 2005, mandò assolto il sanitario con sentenza ex art. 530 c.p.p., comma 2, ritenendo insufficiente la prova della sua colpevolezza.

5. All'esito di una consulenza medico-legale, che concludeva per la responsabilità colposa del C. sotto il profilo della negligenza ed imperizia, i coniugi M., con atto di citazione del 23 luglio-2 agosto 1999, evocavano in giudizio la ASL, il sanitario ed il suo aiuto, ad oggi estraneo al presente procedimento.

6. Il Tribunale di Roma dichiarò il Dott. C. responsabile dei soli fatti-reato addebitatigli, ovvero per la condotta omissiva tenuta nel decorso postoperatorio, condannandolo, in solido con la ASL, al risarcimento dei danni, e dichiarando altresì l'Assitalia, chiamata in garanzia, tenuta a manlevare la struttura sanitaria convenuta.

7. La sentenza, impugnata dai coniugi, venne integralmente confermata dalla Corte di appello romana.

8. Questa Corte, investita dei ricorsi, principale ed incidentale, proposti, rispettivamente, dai coniugi M. e dal Dott. C., cassò la sentenza del giudice capitolino, pronunciando il dispositivo di cui si dirà oltre.

8.1. In particolare, il ricorso principale venne accolto nella parte in cui si lamentava la totale mancanza del necessario consenso informato per l'eseguita laparatomia, intervento completamente diverso dalla programmata laparoscopia, specificandosi, in particolare, che "anche in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell'arte dal quale siano derivate conseguenze dannose, qualora tale intervento non sia stato preceduto da adeguata - nel caso in esame addirittura inesistente - informazione, l'inadempimento del relativo obbligo assume una valenza causale sul danno o sui danni subiti dal paziente".

8.2. Si legge ancora in sentenza che la signora N. aveva assentito alla laparoscopia e rifiutato ogni diverso intervento caratterizzato da tecnica invasiva, mentre il Dott. C., a fronte della allegazione dell'inadempimento di tale obbligo di informazione, non aveva adempiuto all'onere di provare il relativo adempimento, con conseguente, legittima richiesta risarcitoria da parte della sua paziente, "non trattandosi, nella specie - come già la sentenza del Tribunale aveva posto in evidenza - di un intervento essenziale per la sopravvivenza della paziente, essendo finalizzato solo alla rimozione

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di eventuali cause che potevano rendere più difficile il concepimento, in una situazione già anatomicamente e morfologicamente complessa", di tal che, "in assenza di ragioni specifiche, l'intervento avrebbe dovuto essere interrotto al fine di consentire all'attrice di esprimere il suo consenso".

8.3. Tanto premesso, aggiungerà ancora questa Corte, "va accolto il quarto motivo, rectius vanno accolte tutte le censure che concernono la violazione del diritto violato", (incorrendo in un evidente lapsus calami, dovendosi intendere l'espressione diritto violato come "diritto al consenso violato) "ovvero quelle sulla effettuata laparotomia e conseguente viscerolisi e resezione cuneiforme bilaterale, con conseguente assorbimento dei motivi concernenti le varie voci di danno e le spese sia mediche che correlate di cui ai n. 9 a 20 (così indicati nel ricorso)".

8.4. Si vincolava, conseguentemente, il giudice del rinvio alla valutazione delle domande proposte dai ricorrenti alla luce del principio secondo cui il diritto al consenso informato, in quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario, risultando talmente inderogabile "che non assume alcuna rilevanza per escluderlo che l'intervento absque pactis sia stato effettuato in modo tecnicamente corretto, per la semplice ragione che, a causa del totale deficit di informazione, il paziente non è posto in condizione di assentire al trattamento, per cui nei suoi confronti, comunque, si consuma una lesione di quella dignità che connota nei momenti cruciali - la sofferenza fisica e/o psichica - la sua esistenza".

8.4.1. Vennero di converso rigettati i motivi relativi alla pretesa erroneità dell'esecuzione dei due interventi chirurgici, alla responsabilità per le conseguenti microlesioni, al vizio di consenso relativo al primo intervento di laparoscopia, con assorbimento delle censure relative ai punti 7, 8 e 10 del ricorso, e con conseguente rigetto, in parte qua, della richiesta di rinnovo della CTU.

8.5. Nel rigettare il primo motivo del ricorso incidentale del Dott. C., questa Corte ebbe ancora ad affermare, con riferimento al decorso postoperatorio, che il comportamento del sanitario si era caratterizzato per una macroscopica sottovalutazione della situazione della degente, essendo egli direttamente al corrente del trauma postoperatorio e dello stato di debilitazione fisica in cui versava la paziente, dovuto anche alle complicanze connesse con il ben più complesso intervento chirurgico che egli effettuò in luogo della laparoscopia, nonchè alla perdita notevole di sangue ed alla anemia emersa dalle analisi effettuate durante e dopo l'intervento - tutti elementi che avrebbero dovuto indurre il Dott. C., al di là dei formali condizionamenti derivanti dalle normali turnazioni, ad un più attento monitoraggio della evoluzione della fase operatoria, anche al fine di valutare la sussistenza delle condizioni per le dimissioni in piena sicurezza della paziente, che si rifiutò di sottoporsi ad un controllo medico prima di lasciare l'ospedale, ma non fu ostacolata dal dimettersi.

8.6. L'infezione latente, diagnosticabile con doverose approfondite indagini cliniche che non furono effettuate dal sanitario e, comunque, da lui non indicate, erano pertanto "sintomatiche di una grave omissione (che già il Tribunale aveva avuto modo di evidenziare), indipendentemente dall'esito del processo penale che terminò con una sentenza, sostanzialmente e dichiaratamente in motivazione, di assoluzione per insufficienza di prova, avendo la sentenza impugnata sul punto fatto corretta applicazione dei principi in punto di responsabilità per omissione".

8.7. La sentenza 16543/2011 si conclude affermando che, nel caso di specie, il consenso non era stato nè richiesto nè espresso dalla paziente per l'intervento in laparotomia (che non presentava

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carattere di urgenza); che gli interventi di laparoscopia e di laparotomia furono eseguiti correttamente dal sanitario e che, pertanto, la CTU non necessitava di alcuna rinnovazione; che il C. tenne una condotta gravemente omissiva circa la vigilanza sulla evoluzione della salute della paziente dopo l'intervento laparotomico; che la mancanza di consenso informato sull'intervento laparotomico comportava l'assorbimento delle censure concernenti le voci di danno e le spese, in quanto su tutto ciò avrebbe valutato il giudice del rinvio; che l'inadempimento del relativo obbligo assumeva una valenza causale sul danno o sui danni subiti dal paziente.

9. All'esito del giudizio di rinvio, la Corte territoriale, con la sentenza oggi impugnata, ha affermato, in motivazione:

a) Che oggetto del giudizio doveva ritenersi la domanda risarcitoria correlata alla mancanza di consenso all'intervento di laparotomia;

b) Che dovevano ritenersi inammissibili le domande degli appellanti in riassunzione inerenti alla liquidazione del danno patrimoniale, sia con riferimento alle spese di fecondazione assistita e di adozione internazionale, sia al danno "psichico" - diverso da quello morale e "psicologico" - già richiesto in primo grado;

c) Che tali domande - nuove rispetto a quelle avanzate in primo grado e nell'originario atto di appello - non potevano considerarsi alla stregua di deroghe al divieto dei nova in appello, quali danni sofferti dopo la sentenza, ex art. 345 c.p.c., comma 1;

d) Che il danno psichico "è infatti voce diversa dal mero danno morale o psicologico";

e) Che le spese di fecondazione assistita e di adozione internazionale apparivano "prive di un rapporto causale immediato e diretto con la responsabilità ascritta al C., trattandosi, tra l'altro, del frutto di una scelta del tutto discrezionale compiuta dal M. e dalla N.";

f) Che le voci di danno oggetto di domande ammissibili in sede di rinvio erano unicamente quelle attinenti: a) al danno estetico; b) al danno "psicologico" ulteriore rispetto al danno morale da reato riconosciuto e liquidato dal primo giudice; c) alla lesione del diritto ad esprimere il consenso informato all'intervento di laparotomia;

g) Che la percentuale di danno biologico (pari all'8%) determinata in termini di riduzione della capacità gestazionale, non poteva essere nuovamente determinata, non essendovi ragione per rinnovare la ctu, da ritenersi esauriente e immune da censure e corretta sul piano medico-legale, per aver tenuto conto delle precedenti patologie ginecologiche e della già notevolmente ridotta capacità procreativa;

h) Che la liquidazione del primo giudice non aveva tenuto conto della "voce" costituita dal danno estetico, da reputarsi sussistente per la presenza di vistose cicatrici sull'addome della N., "non essendo chiaro se tale elemento fosse stato o meno considerato in sede di determinazione complessiva del grado di invalidità";

i) Che il danno psicologico, già in parte riconosciuto sotto il profilo del danno morale, ma costituente un quid pluris rispetto al mero danno da reato, trovava specifico riscontro nella

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relazione di psicologia clinica redatta dal prof. m., e consentiva di pervenire alla massima personalizzazione del risarcimento nel calcolo tabellare, in applicazione delle tabelle milanesi;

j) Che il danno biologico fosse complessivamente determinabile nella misura complessiva, con personalizzazione massima, di Euro 27.770;

k) Che il danno morale doveva ritenersi incluso e ricompreso nel calcolo tabellare, pervenendosi, altrimenti opinando, "ad un'indebita duplicazione del danno non patrimoniale, mentre trattasi di categoria unitaria";

l) Che il danno da lesione del diritto al consenso informato andava valutato in via equitativa nella misura di 10.000 Euro;

m) Che andavano altresì risarcite le spese mediche documentate, pari ad E.

n) Che era infine inaccoglibile l'appello del M., stante "l'assoluta genericità della doglianza in punto di quantum debeatur" (restando così confermata la somma di Euro 4.138, 66, come liquidata in prime cure).

10. Avverso la sentenza della Corte capitolina i coniugi M. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di 10 motivi di censura, ciascuno dei quali articolato in uno o più sub motivi.

10.1. Resiste con controricorso la Asl Roma (OMISSIS).

10.2. Il C. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento nei limiti di cui si dirà.

1.1. Devono essere accolte le censure relative:

a) Alla omessa valutazione della domanda relativa "alle spese sia mediche che correlate di cui ai nn. da 9 a 20" - e cioè quelle relative agli interventi di fecondazione assistita e di adozione internazionale (motivi 3 e 4 sub A-B-C-D), che questa Corte (f. 23) aveva di converso rimesso alla valutazione del giudice di rinvio previo accoglimento del motivo presupposto (i.e. l'accertamento della responsabilità del sanitario per omessa sorveglianza post-operatoria e per omessa informazione ritenuta causalmente collegata a tali danni), dichiarandoli "assorbiti" nell'accoglimento del motivo stesso. La (erroneamente) ritenuta inammissibilità di tali domande (inammissibilità dichiarata, di converso, da questa Corte in relazione alla documentazione prodotta con riferimento all'asserito errore chirurgico: f. 9 della sentenza), difatti, confonde l'assorbimento della censura con il suo rigetto: se, in relazione a tali voci di danno, si fossero verificate preclusioni processuali in itinere (come sostenuto dall'appellato in sede di rinvio, con tesi erroneamente fatta propria dal giudice di appello), sarebbe stato compito di questa Corte, e non del giudice di rinvio, rilevarle, di tal che il dichiarato assorbimento nell'accoglimento del motivo presupposto (e non nel rigetto, come accaduto per le censure sub 7, 8, 10 in conseguenza del rigetto dei motivi 1 e 2) presupponeva ipso facto - con conseguente formazione del giudicato

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interno vincolante per la Corte d'appello - l'ammissibilità e la fondatezza nell'an della domanda, essendo demandato al giudice del rinvio il solo compito (istituzionalmente precluso a questa Corte) di accertare e liquidare il quantum debeatur. E ciò è a dirsi (ovemai la prima pronuncia di rinvio avesse potuto dar luogo a pur improbabili equivoci) poichè risulta non conforme a diritto - oltre che gravemente viziata sul piano logico - l'affermazione secondo la quale (f. 8 della sentenza oggi impugnata) le vicende successive all'intervento non autorizzato dalla paziente "appaiono prive di un rapporto causale immediato e diretto con la responsabilità ascritta al C., trattandosi, tra l'altro, frutto di una scelta del tutto discrezionale compiuta dal M. e dalla N.". Il ricorso, da parte della signora N., dapprima a tecniche di fecondazione assistita, e poi, fallite queste, all'adozione, risulta difatti, ictu oculi, non (l'inverosimile) "frutto di una scelta discrezionale" (scelta alternativa essendo, secondo la filosofia della Corte territoriale, quella di rinunciare alla maternità), ma la conseguenza obbligata (come riconosciuto nella stessa CTU al f. 14, ove si legge che, "solo tecniche di fecondazione assistita potrebbero aiutarla") della sterilità scaturita dall'intervento non acconsentito. L'inconsistenza di tale, apodittica quanto inconsistente affermazione, pertanto, è destinata a dissolversi nella dimensione della mera apparenza (ed oltre), volta che il diritto fondamentale, costituzionalmente tutelato dagli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 della Carta fondamentale, ad una procreazione (dapprima biologica, dipoi adottiva, nella accertata impossibilità della prima) libera, consapevole e condivisa con il proprio coniuge risulta direttamente ed immediatamente vulnerato dai comportamenti colposi del sanitario, come stigmatizzati da questa stessa Corte in termini "di condotta gravemente omissiva circa la vigilanza sulle evoluzione della salute della paziente dopo l'intervento laparotomico", caratterizzata, inoltre, "da una macroscopica sottovalutazione delle condizioni della degente"). Su tali voci di danno, pertanto, il giudice del rinvio sarà tenuto a pronunciarsi, ritenute le stesse ammissibili e fondate, attesa la cronologia degli eventi specificamente riportata in ricorso (ff. 15 ss. dell'odierno atto di impugnazione), in applicazione del consolidato e non disconoscibile principio di diritto, ripetutamente affermato da questa Corte, a mente del quale le conseguenze dannose sofferte successivamente all'originario evento di danno devono essere risarcite senza che la relativa documentazione soggiaccia ad alcuna preclusione processuale, se prodotta tempestivamente rispetto al momento del loro insorgere, nel corso dei vari gradi del giudizio: nel giudizio di risarcimento del danno non è nuova, e quindi inammissibile, difatti, la domanda di risarcimento dei pregiudizi manifestatisi per la prima volta dopo il maturare delle preclusioni, se tempestivamente richiesti e documentati.

b) Alla omessa valutazione delle contestazioni mosse alla CTU (motivo 6 lett. A-B-C-D-). Fermo il giudicato interno conseguente al pronunciamento di questa Corte, che ne aveva rigettato la richiesta di rinnovazione soltanto in relazione agli aspetti poc'anzi ricordati (supra, sub 8.4.1) - atteso che il limite del giudicato stesso era costituito, appunto, dal divieto di rinnovazione dell'elaborato peritale nei limiti sopra descritti, senza peraltro estendersi alla relativa e complessiva valutazione dei residui aspetti medico-legali della complessiva vicenda - il giudice del rinvio si è limitato ad una apodittica quanto immotivata adesione alla CTU, senza offrire alcuna risposta alle puntuali contestazioni ed alle motivate critiche mosse dalla parte oggi ricorrente, anche attraverso i suoi consulenti - così violando il consolidato principio di diritto secondo il quale il giudice di merito non è dispensato dal dovere di valutare l'intrinseca attendibilità della CTU in relazione alle censure formulate dalla parte interessata, di tal che, ove ritenga di aderire alle conclusioni del perito, qualora queste siano difformi da quelle del consulente di parte, deve dimostrare, attraverso la motivazione, di aver valutato le conclusioni del primo senza ignorare quelle del secondo, offrendo una motivazione adeguata a sorreggere le proprie conclusioni. Nella specie, la sbrigativa quanto apodittica conclusione raggiunta dai giudici del rinvio, nella parte in cui si limitano a ritenere "condivisibile la contestata percentuale di

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invalidità permanente" (f. 9 della sentenza impugnata) omette del tutto di considerare, valutare e motivatamente disattendere le puntuali contestazioni mosse da parte ricorrente: 1) sotto il profilo della intrinseca contraddittorietà dell'elaborato - che discorre, da un canto, di mera "riduzione della capacità procreativa", per poi rilevare non la sola difficoltà, bensì la impossibilità tout court del recupero della capacità gestazionale, volta che, si afferma, "solo tecniche di fecondazione assistita potrebbero aiutarla (f. 14 della CTU) - 2) sotto l'aspetto delle puntuali, documentate e specifiche critiche ad esso mosse, con riferimento tanto alle tabelle elaborate dalle principali scuole medico-legali quanto al disposto dell'art. 139 vecchio testo del D.Lgs. n. 209 del 2005 (ed alla relativa tabella delle menomazioni con riferimento alle percentuali previste per l'infertilità). Va, conseguentemente riaffermato, e rigorosamente applicato, nella specie, il principio di diritto secondo il quale, pur rientrando nella facoltà del giudice di merito la scelta di fondare la propria decisione in adesione alla conclusioni raggiunte dal proprio consulente, non gli è specularmente consentito, a pena di nullità della pronuncia per apparenza della motivazione, ignorare tout court i rilievi di parte quando gli stessi non risultino palesemente infondati o pretestuosamente defatigatori.

c) All'erronea individuazione, qualificazione e quantificazione delle voci di danno risarcibile (motivo 7 sub A-B). La motivazione della sentenza, difatti, non è conforme a diritto in parte qua, sovrapponendosi, in essa, voci di danno in parte coincidenti, in parte erroneamente non considerate a fini liquidatori.

Va, in proposito, dato continuità al più recente orientamento di questa Corte regolatrice (Cass. 18641/2011; 20292/2012; 11851/2015; 7766/2016; 26805/2017), a mente del quale, "al di là ed a prescindere, per il momento, dalla condivisibilità di alcune affermazioni volte a negare tout court l'autonomia del danno morale quale componente risarcitoria, sì come ritenuta foriera di presunte "duplicazioni risarcitorie di incerta classificazione" (Cass. n. 21716/2013; Cass. n. 36/2016), su di un piano generale (Cass. 4379/2016) il nostro ordinamento positivo conosca e disciplini (soltanto) la fattispecie del danno patrimoniale, nelle due forme (o, se si preferisce, nelle due "categorie descrittive") del danno emergente e del lucro cessante: art. 1223 c.c.), e del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.)" (Cass. 7766/2016).

La natura cd. "unitaria" di quest'ultimo, come espressamente predicata dalle sezioni unite di questa Corte con le sentenze del 2008, deve essere intesa, secondo il relativo insegnamento, come unitarietà rispetto alla lesione di qualsiasi interesse costituzionalmente rilevante non suscettibile di valutazione economica (Cass. ss.uu. 26972/2008).

Natura unitaria sta a significare che non v'è alcuna diversità nell'accertamento e nella liquidazione del danno causato dal vulnus di un diritto costituzionalmente protetto diverso da quello alla salute, sia esso rappresentato dalla lesione della reputazione, della libertà religiosa o sessuale, della riservatezza, del rapporto parentale.

Natura onnicomprensiva sta invece a significare che, nella liquidazione di qualsiasi pregiudizio non patrimoniale, il giudice di merito deve tener conto di tutte le conseguenze che sono derivate dall'evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni risarcitorie, attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, e di non oltrepassare una soglia minima di apprezzabilità, onde evitare risarcimenti cd. bagattellari (in tali termini, del tutto condivisibilmente, Cass. 4379/2016).

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L'accertamento e la liquidazione del danno non patrimoniale costituiscono, pertanto, questioni concrete e non astratte.

Ma, se esse non richiedono il ricorso ad astratte tassonomie classificatorie, non possono per altro verso non tener conto della reale fenomenologia del danno alla persona, negando la quale il giudice rischia di incorrere in un errore ancor più grave, e cioè quello di sostituire una (meta)realtà giuridica ad una realtà fenomenica.

Oggetto della valutazione di ogni giudice chiamato ad occuparsi della persona e dei suoi diritti fondamentali è, nel prisma multiforme del danno non patrimoniale, la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto.

Le sentenze del 2008 offrono, in proposito, una implicita quanto non equivoca indicazione al giudice di merito nella parte della motivazione ove si discorre di centralità della persona e di integralità del risarcimento del valore uomo - così dettando un vero e proprio statuto del danno non patrimoniale per il nuovo millennio.

La stessa (meta)categoria del danno biologico fornisce a sua volta appaganti risposte al quesito circa la "sopravvivenza descrittiva" (come le stesse sezioni unite testualmente la definiranno) del cd. danno esistenziale, se è vero come è vero che "esistenziale" è quel danno che, in caso di lesione della stessa salute (ma non solo), si colloca e si dipana nella sfera dinamico-relazionale del soggetto, come conseguenza della lesione medicalmente accertabile (Cass. ss.uu. 6572/2006, sia pur con riferimento alla diversa tematica del mobbing, lo definirà come "pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare a-reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto alla espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno").

Così che, se di danno agli aspetti dinamico-relazionali della vita del soggetto che lamenti una lesione della propria salute (art. 32 Cost.) è lecito discorrere con riferimento al danno cd. biologico (rispetto al quale costituisce, essa si, sicura duplicazione rísarcitoria il riconoscimento di un autonomo "danno esistenziale", consistente, di converso, proprio nel vulnus arrecato a tutti gli aspetti dinamico-relazionali della vita della persona conseguenti alla lesione della salute), quello stesso danno "relazionale" è predicabile in tutti i casi di lesione di altri diritti costituzionalmente tutelati.

Il danno dinamico-relazionale, dunque (così rettamente inteso il sintagma "danno esistenziale"), è conseguenza omogenea della lesione - di qualsiasi lesione - di un diritto a copertura costituzionale, sia esso il diritto alla salute, sia esso altro diritto (rectius, interesse o valore) tutelato dalla Carta fondamentale.

Queste considerazioni confermano la bontà di una lettura delle sentenze del 2008 condotta, prima ancora che secondo una logica interpretativa di tipo formalistico-deduttivo, attraverso una ermeneutica di tipo induttivo che, dopo aver identificato l'indispensabile situazione soggettiva protetta a livello costituzionale (oltre alla salute, il rapporto familiare e parentale, l'onore, la reputazione, la libertà religiosa, il diritto di autodeterminazione al trattamento sanitario, quello all'ambiente, il diritto di libera espressione del proprio pensiero, il diritto di difesa, il diritto di associazione e di libertà religiosa ecc.), consenta poi al giudice del merito una rigorosa analisi ed

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una conseguentemente rigorosa valutazione, sul piano della prova, tanto dell'aspetto interiore del danno (la sofferenza morale in tutti i suoi aspetti, quali il dolore, la vergogna, il rimorso, la disistima di sè, la malinconia, la tristezza,) quanto del suo impatto modificativo in pejus con la vita quotidiana (il danno cd. esistenziale, in tali sensi rettamente interpretato il troppe volte male inteso sintagma, ovvero, se si preferisca un lessico meno equivoco, il danno alla vita di relazione).

In questa evidente realtà naturalistica si cela la risposta (e la conseguente, corretta costruzione di categorie che non cancellino la fenomenologia del danno alla persona attraverso sterili formalismi unificanti) all'interrogativo circa la reale natura e la vera, costante, duplice essenza del danno alla persona:

- la sofferenza interiore;

- le dinamiche relazionali di una vita che cambia (illuminante, in tal senso, è il disposto normativo di cui all'art. 612 bis c.p., in tema di presupposti del reato cd. di stalking).

Restano così efficacemente scolpiti i due aspetti essenziali della sofferenza: il dolore interiore, e/o la significativa alterazione della vita quotidiana. Danni diversi e perciò solo entrambi autonomamente risarcibili, ma se, e solo se, provati caso per caso, con tutti i mezzi di prova normativamente previsti (tra cui il notorio, le massime di esperienza, le presunzioni) al di là di sommarie quanto impredicabili generalizzazioni.

E se è lecito ipotizzare, come talvolta si è scritto, che la categoria del danno "esistenziale" risulti "indefinita e atipica", ciò appare la probabile conseguenza dell'essere la stessa dimensione della sofferenza umana, a sua volta, "indefinita e atipica".

Di tali premesse è conferma la recente pronuncia della Corte costituzionale n. 235/2014, predicativa della legittimità costituzionale dell'art. 139 codice delle assicurazioni, la cui (non superficiale o volutamente parziale) lettura conduce a conclusioni non dissimili.

Si legge, difatti, al punto 10.1 di quella pronuncia, che "la norma denunciata non è chiusa, come paventano i remittenti, alla risarcibilità anche del danno morale: ricorrendo in concreto i presupposti del quale, il giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell'ammontare del danno biologico, secondo la previsione e nei limiti di cui alla disposizione del comma 3 (aumento del 20%)".

La limitazione ex lege dell'eventuale liquidazione del danno morale viene così motivata dal giudice delle leggi:

"In un sistema, come quello vigente, di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata - in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al Fondo di Garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici, l'interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi" (punto 10.2.2.).

La Corte prosegue, poi, significativamente, sottolineando come "l'introdotto meccanismo standard di quantificazione del danno - attinente al solo, specifico e limitato settore delle lesioni di lieve entità e coerentemente riferito alle conseguenze pregiudizievoli registrate dalla scienza medica in

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relazione ai primi nove gradi della tabella - lascia comunque spazio al giudice per personalizzare l'importo risarcitorio risultante dall'applicazione delle suddette predisposte tabelle, eventualmente maggiorandolo fino a un quinto in considerazione delle condizioni soggettive del danneggiato".

La motivazione della Corte non sembra prestarsi ad equivoci.

Il danno biologico da micro-permanenti, definito dall'art. 139 C.d.A. come "lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato", può essere "aumentato in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato" secondo la testuale disposizione della norma: e il giudice delle leggi ha voluto esplicitare una volontà legislativa che, alla luce delle considerazioni svolte, limitava la risarcibilità del danno biologico da micro permanente ai valori tabellari stabiliti ex lege, contestualmente circoscrivendo l'aumento del quantum risarcitorio in relazione alle condizioni soggettive del danneggiato - e cioè attraverso la personalizzazione del danno, senza che "la norma denunciata sia chiusa al risarcimento anche del danno morale" - al 20% di quanto riconosciuto per il danno biologico.

Viene così definitivamente sconfessata, al massimo livello interpretativo, la tesi predicativa di una pretesa "unitarietà onnicomprensiva" del danno biologico.

Anche all'interno del sotto-sistema delle micro-permanenti, resta ferma (nè avrebbe potuto essere altrimenti, non potendo le sovrastrutture giuridiche sovrapporsi alla fenomenologia del danno alla persona) la distinzione concettuale tra sofferenza interiore e incidenza sugli aspetti relazionali della vita del soggetto.

Tanti equivoci sarebbero stati forse stati evitati ad una più attenta lettura della definizione di danno biologico, identica nella formulazione (del vecchio testo) tanto dell'art. 139 come del 138 del codice delle assicurazioni nel suo aspetto morfologico (una lesione medicalmente accertabile), ma diversa in quello funzionale, discorrendo la seconda delle norme citate di lesione "che esplica un'incidenza negativa sulla attività quotidiana e sugli aspetti dinamico relazionali del danneggiato". Una dimensione, dunque, dinamica della lesione, una proiezione tutta (e solo) esterna al soggetto, un vulnus a tutto ciò che è "altro da se" rispetto all'essenza interiore della persona.

La distinzione dal danno morale si fa dunque ancor più cristallina ad una (altrettanto attenta) lettura dell'art. 138 (nel testo previgente alla novella del 2017, della quale di qui a breve si dirà), che testualmente la Corte costituzionale esclude dalla portata precettiva del proprio decisum in punto di limitazione ex lege della liquidazione del danno morale.

Il meccanismo standard di quantificazione del danno attiene, difatti, "al solo, specifico, limitato settore delle lesioni di lieve entità" dell'art. 139 (e non sembra casuale che il giudice delle leggi abbia voluto rafforzare il già chiaro concetto con l'aggiunta di ben tre diversi aggettivi qualificativi). L'art. 138 previgente, difatti, dopo aver definito, alla lettera a) del comma 2, il danno biologico in maniera del tutto identica a quella di cui all'articolo successivo, precisa poi, al comma 3, che "qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali,... l'ammontare del danno può essere aumentato dal giudice sino al trenta per cento con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato".

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Lo stesso tenore letterale della disposizione in esame lascia comprendere il perchè la Corte costituzionale abbia specificamente e rigorosamente limitato il suo dictum alle sole micro-permanenti: nelle lesioni di non lieve entità, difatti, l'equo apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato è funzione necessaria ed esclusiva della rilevante incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico relazionali personali.

Il che conferma, seppur fosse ancora necessario, la legittimità dell'individuazione della doppia dimensione fenomenologica della sofferenza, quella di tipo relazionale, oggetto espresso della previsione legislativa in aumento, e quella di natura interiore, da quella stessa norma, invece, evidentemente non codificata e non considerata, lasciando così libero il giudice di quantificarla nell'an e nel quantum con ulteriore, equo apprezzamento.

Il che conferma ancora che, al di fuori del circoscritto ed eccezionale ambito delle micro-permanenti, l'aumento personalizzato del danno biologico è circoscritto agli aspetti dinamico relazionali della vita del soggetto in relazione alle allegazioni e alle prove specificamente addotte, del tutto a prescindere dalla considerazione (e dalla risarcibilità) del danno morale.

Senza che ciò costituisca alcuna "duplicazione risarcitoria".

In altri termini, se le tabelle del danno biologico offrono un indice standard di liquidazione, l'eventuale aumento percentuale sino al 30% sarà funzione della dimostrata peculiarità del caso concreto in relazione al vulnus arrecato alla vita di relazione del soggetto.

Altra e diversa indagine andrà compiuta in relazione alla patita sofferenza interiore.

Senza che alcun automatismo risarcitorio sia peraltro predicabile.

Il sistema risarcitorio del danno non patrimoniale, così inteso, conserva, dunque, una sua intima coerenza, e consente l'applicazione dei criteri posti a presidio della sua applicazione senza soluzioni di continuità o poco ragionevoli iati dovuti alla specifica tipologia di diritti costituzionalmente tutelati.

Ogni vulnus arrecato ad un interesse tutelato dalla Carta costituzionale si caratterizza, pertanto, per la sua doppia dimensione del danno relazionale/proiezione esterna dell'essere, e del danno morale/interiorizzazione intimistica della sofferenza.

E se un paragone con la sfera patrimoniale del soggetto fosse lecito proporre, pare delinearsi una sorta di (involontaria) simmetria con la doppia dimensione del danno patrimoniale, il danno emergente (danno "interno", che incide sul patrimonio già esistente del soggetto) e il lucro cessante (che, di quel patrimonio, è proiezione dinamica ed esterna).

Tale ricostruzione della morfologia del danno non patrimoniale trova, oggi, definitiva quanto inequivoca conferma nella nuova formulazione dell'art. 138 Codice delle Assicurazioni (contenuta nella Legge annuale per il mercato e la concorrenza, approvato definitivamente il 2 agosto 2017) dove, dopo la oltremodo significativa modificazione della stessa rubrica della noma (che non discorre più di danno biologico, ma di danno non patrimoniale, così spostando definitivamente l'asse del ragionamento probatorio dal solo danno alla salute a tutti gli altri danni conseguenti alla lesione di un diritto costituzionale) si legge, testualmente, alla lettera e), che "al fine di considerare

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la componente del danno morale da lesione all'integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico stabilita in applicazione dei criteri di cui alle lettere da a) a d) è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione.

A tali principi non si è uniformata la Corte di merito, che ha indebitamente sovrapposto una pretesa voce di "danno psicologico ulteriore rispetto al danno morale da reato riconosciuto dal primo giudice" (reato, peraltro, escluso in sede penale), ritenendolo (poco comprensibilmente) "già in parte riconosciuto sotto il profilo del danno morale, ma costituente un quid pluris rispetto al mero danno da reato", per poi procedere alla liquidazione di un supposto "danno biologico complessivo, liquidabile, con personalizzazione massima, in Euro 27.770", aggiungendo poi, del tutto erroneamente, che "il danno morale è incluso nel calcolo tabellare", onde il suo riconoscimento avrebbe comportato "duplicazione risarcitoria". Non risulta, per altro verso, identificabile il ragionamento probatorio che ha condotto alla determinazione della somma in concreto liquidata, non essendo stati in alcun modo specificati i criteri di valutazione delle varie componenti del danno alla salute in tutti i suoi aspetti dinamico-relazionali (ivi compresi quelli estetici), che, in sede di rinvio, dovranno essere oggetto di una considerando che, nella specie, tale danno è consistito nella definitiva perdita della capacità procreativa (pur nella necessaria valutazione delle pregresse difficoltà gestazionali) conseguente ad un intervento chirurgico che, nato come laparoscopia funzionale all'asportazione di una cisti ovarica, si è risolto in una ben più complessa operazione, mai acconsentita, di laparotomia cui è conseguita la definitiva perdita della possibilità di dare alla luce un figlio (e su tali basi andrà conseguentemente considerato, ed autonomamente liquidato, il danno morale).

d) Alla liquidazione del danno subito dal coniuge della signora N. (motivo 9). Risulta, difatti, estesa ben oltre la soglia dell'apparenza motivazionale la sbrigativa quanto incomprensibile affermazione secondo la quale la censura mossa dal M. alla liquidazione disposta in suo favore dal primo giudice, e confermata dalla prima sentenza di appello, doveva ritenersi inaccoglibile "stante l'assoluta genericità della doglianza in punto di quantum debeatur".

In ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, l'odierno ricorrente riproduce (ff. 47-52) tutte le critiche motivatamente mosse ad una pronuncia che riteneva tale danno liquidabile nella misura di 4138 Euro e 66 centesimi, rappresentando, con dovizia di argomentazioni, alla Corte di merito l'essenza e la rilevanza del danno lamentato, sostanziatosi nella grave lesione di un determinante aspetto del rapporto parentale, quello, cioè del diritto ad una procreazione biologica ed alla creazione di una famiglia in cui fossero presenti dei figli naturali.

Appare, pertanto, palesemente illegittima una liquidazione la cui natura non solo meramente simbolica, ma addirittura offensiva per la dignità della persona nella sua dimensione di aspirante genitore biologico, viene pronunciata in spregio del costante insegnamento di questa Corte regolatrice, sia precedente che successivo agli insegnamenti delle sezioni unite del 2008, a mente del quale il risarcimento del danno non patrimoniale deve necessariamente rivestire carattere di integrale riparazione (pur nell'amara consapevolezza della irriducibilità della sofferenza umana ad una riparazione in denaro) delle conseguenze inferte a diritti espressamente tutelati dalla Carta costituzionale.

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e) Alla liquidazione delle spese processuali, delle quali la Corte territoriale ha disposto la integrale quanto compensazione, pur essendo risultati gli odierni ricorrenti sostanzialmente vittoriosi in tutte le fasi del presente procedimento.

I restanti motivi devono essere rigettati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di Cassazione, alla Corte di appello di Roma in altra composizione.

Cassazione civile sez. un. , , 11/11/2008, n. 26972

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo - Primo Presidente -

Dott. VITTORIA Paolo - Presidente di sezione -

Dott. PREDEN Roberto - rel. Presidente -

Dott. VIDIRI Guido - Consigliere -

Dott. FELICETTI Francesco - Consigliere -

Dott. SEGRETO Antonio - Consigliere -

Dott. RORDORF Renato - Consigliere -

Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere -

Dott. AMATUCCI Alfonso - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 734/2006 proposto da:

A.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO

107, presso lo studio dell'avvocato GELERA Giorgio, che lo

rappresenta e difende unitamente all'avvocato DAL LAGO UGO, giusta a

margine del ricorso;

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- ricorrente -

contro

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 88,

presso lo studio dell'avvocato SPADAFORA Giorgio, che lo rappresenta

e difende, giusta delega in calce al controricorso;

- controricorrente -

e contro

ULSS/(OMISSIS);

- intimata -

avverso la sentenza n. 1933/2004 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA,

depositata il 11/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

24/06/2008 dal Presidente Dott. ROBERTO PREDEN;

uditi gli avvocati Ugo DAL LAGO, Giorgio SPADAFORA;

udito il P.M., in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI

Domenico, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.L., sottoposto nel (OMISSIS) ad intervento chirurgico per ernia inguinale sinistra, subì la progressiva atrofizzazione del testicolo sinistro che gli fu asportato nel (OMISSIS) in seguito ad inutili terapie antalgiche.

Nel (OMISSIS) convenne in giudizio il Dott. S.F. e la U.L.S.S. n. (OMISSIS) (in seguito n. (OMISSIS)) di (OMISSIS), assumendo che il secondo intervento era stato reso necessario da errori connessi al primo e domandando la condanna dei convenuti al risarcimento di tutti i danni patiti.

Il Tribunale di Vicenza, con sentenza del 9.7.1998, riconosciuto il danno biologico, condannò i convenuti a versare all'attore la somma ulteriore di L. 6.411.484 a titolo di interessi maturati sulla somma di L. 23.000.000 già corrisposta nel 1995 dall'assicuratore dei convenuti.

Con sentenza n. 1933/04 la corte d'appello di Venezia ha rigettato il gravame dell' A. in punto di liquidazione del danno sui rilievi: che dalla espletata consulenza tecnica era inequivocamente emerso che la perdita del testicolo non aveva inciso sulla capacità riproduttiva, rimasta integra, provocando soltanto un limitato danno permanente all'integrità fisica dell' A., apprezzato nella misura del 6%; che la richiesta di liquidazione del danno esistenziale, in quanto formulata per la

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prima volta in grado di appello, costituiva domanda nuova, come tale inammissibile ex art. 345 c.p.c., nella previgente formulazione; e che del pari inammissibili erano le richieste istruttorie di prove orali articolate per supportare la relativa domanda.

Avverso detta sentenza ricorre per cassazione l' A., affidandosi a due motivi, illustrati anche da memoria, cui resiste con controricorso S.F..

L'intimata U.L.S.S. n. (OMISSIS) non ha svolto attività difensiva.

All'udienza del 19.12.2007, la terza sezione, rilevato che il ricorso investe questione di particolare importanza, in relazione al c.d.

danno esistenziale, ha rimesso la causa al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite, in base alle considerazioni svolte con l'ordinanza resa nel ricorso n. 10517/2004, trattato nella medesima udienza, che ha assunto il n. 4712/2008.

Il Primo Presidente ha disposto l'assegnazione del ricorso alle sezioni unite.

MOTIVI DELLA DECISIONE

A) Esame della questione di particolare importanza.

1. L'ordinanza di rimessione n. 4712/2008 - relativa al ricorso n. 10517/2004, alla quale integralmente rinvia l'ordinanza della terza sezione che eguale questione ha ritenuto sussistere nel ricorso in esame - rileva che negli ultimi anni si sono formati in tema di danno non patrimoniale due contrapposti orientamenti giurisprudenziali, l'uno favorevole alla configurabilità, come autonoma categoria, del danno esistenziale - inteso, secondo una tesi dottrinale che ha avuto seguito nella giurisprudenza, come pregiudizio non patrimoniale, distinto dal danno biologico, in assenza di lesione dell'integrità psico-fisica, e dal c.d. danno morale soggettivo, in quanto non attiene alla sfera interiore del sentire, ma alla sfera del fare areddituale del soggetto - l'altro contrario.

Osserva l'ordinanza che le sentenze n. 8827 e n. 8828/2003 hanno ridefinito rispetto alle opinioni tradizionali presupposti e contenuti del risarcimento del danno non patrimoniale. Quanto ai presupposti hanno affermato che il danno non patrimoniale è risarcibile non solo nei casi espressamente previsti dalla legge, secondo la lettera dell'art. 2059 c.c., ma anche in tutti i casi in cui il fatto illecito abbia leso un interesse o un valore della persona di rilievo costituzionale non suscettibile di valutazione economica. Quanto ai contenuti, hanno ritenuto che il danno non patrimoniale, pur costituendo una categoria unitaria, può essere distinto in pregiudizi di tipo diverso: biologico, morale ed esistenziale.

A questo orientamento, prosegue l'ordinanza di rimessione, ha dato continuità la Corte Costituzionale, la quale, con sentenza n. 233/2003, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c., ha tributato un espresso riconoscimento alla categoria del danno esistenziale, da intendersi quale terza sottocategoria di danno non patrimoniale.

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Ricorda ancora l'ordinanza di rimessione che altre decisioni di legittimità hanno ritenuto ammissibile la configurabilità di un tertium genus di danno non patrimoniale, definito "esistenziale":

tale danno consisterebbe in qualsiasi compromissione delle attività realizzatrici della persona umana (quali la lesione della serenità familiare o del godimento di un ambiente salubre), e si distinguerebbe sia dal danno biologico, perchè non presuppone l'esistenza di una lesione in corpore, sia da quello morale, perchè non costituirebbe un mero patema d'animo interiore di tipo soggettivo. Tra le decisioni rilevanti in tal senso l'ordinanza menziona le sentenze di questa Corte n. 7713/2000, n. 9009/2001, n. 6732/2005, n. 13546/2006, n. 2311/2007, e, soprattutto, la sentenza delle Sezioni unite n. 6572/2006, la quale ha dato una precisa definizione del danno esistenziale da lesione del fare areddittuale della persona, ed una altrettanto precisa distinzione di esso dal danno morale, in quanto, al contrario di quest'ultimo, il danno esistenziale non ha natura meramente emotiva ed interiore.

L'ordinanza di rimessione osserva poi che al richiamato orientamento, favorevole alla configurabilità del danno esistenziale come categoria autonoma di danno non patrimoniale, si è contrapposto un diverso orientamento, il quale nega dignità concettuale alla nuova figura di danno.

Secondo questo diverso orientamento il danno non patrimoniale, essendo risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, tra i quali rientrano, in virtù della interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., fornita dalle sentenze n. 8827 e n. 8828/2003, i casi di lesione di valori della persona costituzionalmente garantiti, manca del carattere della atipicità, che invece caratterizza il danno patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c.. Di conseguenza non sarebbe possibile concepire categorie generalizzanti, come quella del danno esistenziale, che finirebbero per privare il danno non patrimoniale del carattere della tipicità. Tra le decisioni espressione di questo orientamento l'ordinanza menziona le sentenze di questa Corte n. 15760/2006, n. 23918/2006, n. 9510/2006, n. 9514/2007, n. 14846/2007.

Così riassunti i contrapposti orientamenti, l'ordinanza di rimessione conclude invitando le Sezioni unite a pronunciarsi sui seguenti otto "quesiti".

1. Se sia concepibile un pregiudizio non patrimoniale, diverso tanto dal danno morale quanto dal danno biologico, consistente nella lesione del fare areddituale della vittima e scaturente dalla lesione di valori costituzionalmente garantiti.

2. Se sia corretto ravvisare le caratteristiche di tale pregiudizio nella necessaria sussistenza di una offesa grave ad un valore della persona, e nel carattere di gravità e permanenza delle conseguenze da essa derivate.

3. Se sia corretta la teoria che, ritenendo il danno non patrimoniale "tipico", nega la concepibilità del danno esistenziale.

4. Se sia corretta la teoria secondo cui il danno esistenziale sarebbe risarcibile nel solo ambito contrattuale e segnatamente nell'ambito del rapporto di lavoro, ovvero debba affermarsi il più generale principio secondo cui il danno esistenziale trova cittadinanza e concreta applicazione tanto nel campo dell'illecito contrattuale quanto in quello del torto aquiliano.

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5. Se sia risarcibile un danno non patrimoniale che incida sulla salute intesa non come integrità psicofisica, ma come sensazione di benessere.

6. Quali debbano essere i criteri di liquidazione del danno esistenziale.

7. Se costituisca peculiare categoria di danno non patrimoniale il c.d. danno tanatologico o da morte immediata.

8. Quali siano gli oneri di allegazione e di prova gravanti sul chi domanda il ristoro del danno esistenziale.

2. Il risarcimento del danno non patrimoniale è previsto dall'art. 2059 c.c. ("Danni non patrimoniali") secondo cui "Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge".

All'epoca dell'emanazione del codice civile l'unica previsione espressa del risarcimento del danno non patrimoniale era racchiusa nell'art. 185 cod. pen. del 1930.

La giurisprudenza, nel dare applicazione all'art. 2059 c.c., si consolidò nel ritenere che il danno non patrimoniale era risarcibile solo in presenza di un reato e ne individuò il contenuto nel c.d.

danno morale soggettivo, inteso come sofferenza contingente, turbamento dell'animo transeunte.

2.1. L'insostenibilità di siffatta lettura restrittiva è stata rilevata da questa Corte con le sentenze n. 8827 e n. 8828/2003, in cui si è affermato che nel vigente assetto dell'ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione - che, all'art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo - il danno non patrimoniale deve essere inteso nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.

Sorreggono l'affermazione i seguenti argomenti:

a) il cospicuo incremento, nella legislazione ordinaria, dei casi di espresso riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale anche al di fuori dell'ipotesi di reato, in relazione alla compromissione di valori personali (L. n. 117 del 1998, art. 2; L. n. 675 del 1996, art. 29, comma 9; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 44, comma 7; L. n. 89 del 2001, art. 2, con conseguente ampliamento del rinvio effettuato dall'art. 2059 c.c., ai casi determinati dalla legge;

b) il riconoscimento nella giurisprudenza della Cassazione (a partire dalla sentenza n. 3675/1981) di quella peculiare figura di danno non patrimoniale, diverso dal danno morale soggettivo, che è il danno biologico, formula con la quale si designa la lesione dell'integrità psichica e fisica della persona;

c) l'estensione giurisprudenziale del risarcimento del danno non patrimoniale, evidentemente inteso come pregiudizio diverso dal danno morale soggettivo, anche in favore delle persone giuridiche (sent. n. 2367/2000);

d) l'esigenza di assicurare il risarcimento del danno non patrimoniale, anche in assenza di reato, nel caso di lesione di interessi di rango costituzionale, sia perchè in tal caso il risarcimento

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costituisce la forma minima di tutela, ed una tutela minima non è assoggettabile a limiti specifici, poichè ciò si risolve in rifiuto di tutela nei casi esclusi, sia perchè il rinvio ai casi in cui la legge consente il risarcimento del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale, atteso che il riconoscimento nella Costituzione dei diritti inviolabili inerenti la persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di risarcimento del danno non patrimoniale.

2.2. Queste Sezioni unite condividono e fanno propria la lettura, costituzionalmente orientata, data dalle sentenze n. 8827 e n. 8828/2003 all'art. 2059 c.c., e la completano nei termini seguenti.

2.3. Il danno non patrimoniale di cui parla, nella rubrica e nel testo, l'art. 2059 c.c., si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.

Il suo risarcimento postula la verifica della sussistenza degli elementi nei quali si articola l'illecito civile extracontrattuale definito dall'art. 2043 c.c..

L'art. 2059 c.c., non delinea una distinta fattispecie di illecito produttiva di danno non patrimoniale, ma consente la riparazione anche dei danni non patrimoniali, nei casi determinati dalla legge, nel presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell'illecito civile, che si ricavano dall'art. 2043 c.c. (e da altre norme, quali quelle che prevedono ipotesi di responsabilità oggettiva), elementi che consistono nella condotta, nel nesso causale tra condotta ed evento di danno, connotato quest'ultimo dall'ingiustizia, determinata dalla lesione, non giustificata, di interessi meritevoli di tutela, e nel danno che ne consegue (danno-conseguenza, secondo opinione ormai consolidata:

Corte cost. n. 372/1994; S.U. n. 576, 581, 582, 584/2008).

2.4. L'art. 2059 c.c., è norma di rinvio. Il rinvio è alle leggi che determinano i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale.

L'ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale si ricava dall'individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela.

2.5. Si tratta, in primo luogo, dell'art. 185 c.p., che prevede la risarcibilità del danno patrimoniale conseguente a reato ("Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui").

2.6. Altri casi di risarcimento anche dei danni non patrimoniali sono previsti da leggi ordinarie in relazione alla compromissione di valori personali (L. n. 117 del 1998, art. 2: danni derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall'esercizio di funzioni giudiziarie; L. n. 675 del 1996, art. 29, comma 9: impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 44, comma 7: adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; L. n. 89 del 2001, art. 2:

mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo).

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2.7. Al di fuori dei casi determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione.

Per effetto di tale estensione, va ricondotto nell'ambito dell'art. 2059 c.c., il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.) denominato danno biologico, del quale è data, dal D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139, specifica definizione normativa (sent. n. 15022/2005; n. 23918/2006). In precedenza, come è noto, la tutela del danno biologico era invece apprestata grazie al collegamento tra l'art. 2043 c.c. e l'art. 32 Cost. (come ritenuto da Corte Cost. n. 184/1986), per sottrarla al limite posto dall'art. 2059 c.c., norma nella quale avrebbe ben potuto sin dall'origine trovare collocazione (come ritenuto dalla successiva sentenza della Corte n. 372/1994 per il danno biologico fisico o psichico sofferto dal congiunto della vittima primaria).

Trova adeguata collocazione nella norma anche la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.) (sent. n. 8827 e n. 8828/2003, concernenti la fattispecie del danno da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto).

Eguale sorte spetta al danno conseguente alla violazione del diritto alla reputazione, all'immagine, al nome, alla riservatezza, diritti inviolabili della persona incisa nella sua dignità, preservata dagli artt. 2 e 3 Cost. (sent. n. 25157/2008).

2.8. La rilettura costituzionalmente orientata dell'art. 2959 c.c., come norma deputata alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, riporta il sistema della responsabilità aquiliana nell'ambito della bipolarità prevista dal vigente codice civile tra danno patrimoniale (art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) (sent. n. 8827/2003;

n. 15027/2005; n. 23918/2006).

Sul piano della struttura dell'illecito, articolata negli elementi costituiti dalla condotta, dal nesso causale tra questa e l'evento dannoso, e dal danno che da quello consegue (danno-conseguenza), le due ipotesi risarcitorie si differenziano in punto di evento dannoso, e cioè di lesione dell'interesse protetto.

Sotto tale aspetto, il risarcimento del danno patrimoniale da fatto illecito è connotato da atipicità, postulando l'ingiustizia del danno di cui all'art. 2043 c.c., la lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante (sent. 500/1999), mentre quello del danno non patrimoniale è connotato da tipicità, perchè tale danno è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona (sent. n. 15027/2005; n. 23918/2006).

2.9. La risarcibilità del danno non patrimoniale postula, sul piano dell'ingiustizia del danno, la selezione degli interessi dalla cui lesione consegue il danno. Selezione che avviene a livello normativo, negli specifici casi determinati dalla legge, o in via di interpretazione da parte del giudice, chiamato ad individuare la sussistenza, alla stregua della Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona necessariamente presidiato dalla minima tutela risarcitoria.

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2.10. Nell'ipotesi in cui il fatto illecito si configuri (anche solo astrattamente: S.U. n. 6651/1982) come reato, è risarcibile il danno non patrimoniale, sofferto dalla persona offesa e dagli ulteriori eventuali danneggiati (nel caso di illecito plurioffensivo: sent. n. 4186/1998; S.U. n. 9556/2002), nella sua più ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.

La limitazione alla tradizionale figura del c.d. danno morale soggettivo transeunte va definitivamente superata. La figura, recepita per lungo tempo dalla pratica giurisprudenziale, aveva fondamento normativo assai dubbio, poichè nè l'art. 2059 c.c., nè l'art. 185 c.p., parlano di danno morale, e tantomeno lo dicono rilevante solo se sia transitorio, ed era carente anche sul piano della adeguatezza della tutela, poichè la sofferenza morale cagionata dal reato non è necessariamente transeunte, ben potendo l'effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo (lo riconosceva quella giurisprudenza che, nel caso di morte del soggetto danneggiato nel corso del processo, commisurava il risarcimento sia del danno biologico che di quello morale, postulandone la permanenza, al tempo di vita effettiva: n. 19057/2003; n. 3806/2004; n. 21683/2005).

Va conseguentemente affermato che, nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula "danno morale" non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sè considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento.

In ragione della ampia accezione del danno non patrimoniale, in presenza del reato è risarcibile non soltanto il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili (come avverrà, nel caso del reato di lesioni colpose, ove si configuri danno biologico per la vittima, o nel caso di uccisione o lesione grave di congiunto, determinante la perdita o la compromissione del rapporto parentale), ma anche quello conseguente alla lesione di interessi inerenti la persona non presidiati da siffatti diritti, ma meritevoli di tutela in base all'ordinamento (secondo il criterio dell'ingiustizia ex art. 2043 c.c.), poichè la tipicità, in questo caso, non è determinata soltanto dal rango dell'interesse protetto, ma in ragione della scelta del legislatore di dire risarcibili i danni non patrimoniali cagionati da reato.

Scelta che comunque implica la considerazione della rilevanza dell'interesse leso, desumibile dalla predisposizione della tutela penale.

2.11. Negli altri casi determinati dalla legge la selezione degli interessi è già compiuta dal legislatore. Va notato che, nei casi previsti da leggi vigenti richiamati in precedenza, il risarcimento è collegato alla lesione di diritti inviolabili della persona: alla libertà personale, alla riservatezza, a non subire discriminazioni.

Non può tuttavia ritenersi precluso al legislatore ampliare il catalogo dei casi determinati dalla legge ordinaria prevedendo la tutela risarcitoria non patrimoniale anche in relazione ad interessi inerenti la persona non aventi il rango costituzionale di diritti inviolabili, privilegiandone taluno rispetto agli altri (Corte Cost.

n. 87/1979).

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Situazione che non ricorre in relazione ai diritti predicati dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata con la L. n. 88 del 1955, quale risulta dai vari Protocolli susseguitisi, ai quali non spetta il rango di diritti costituzionalmente protetti, poichè la Convenzione, pur essendo dotata di una natura che la distingue dagli obblighi nascenti da altri Trattati internazionali, non assume, in forza dell'art. 11 Cost., il rango di fonte costituzionale, nè può essere parificata, a tali fini, all'efficacia del diritto comunitario nell'ordinamento interno (Corte Cost. n. 348/2007).

2.12. Fuori dai casi determinati dalla legge è data tutela risarcitoria al danno non patrimoniale solo se sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona: deve sussistere una ingiustizia costituzionalmente qualificata.

2.13. In tali ipotesi non emergono, nell'ambito della categoria generale "danno non patrimoniale", distinte sottocategorie, ma si concretizzano soltanto specifici casi determinati dalla legge, al massimo livello costituito dalla Costituzione, di riparazione del danno non patrimoniale.

E' solo a fini descrittivi che, in dette ipotesi, come avviene, ad esempio, nel caso di lesione del diritto alla salute (art. 32 Cost.), si impiega un nome, parlando di danno biologico. Ci si riferisce in tal modo ad una figura che ha avuto espresso riconoscimento normativo nel D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139, recante il Codice delle assicurazioni private, che individuano il danno biologico nella "lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito", e ne danno una definizione suscettiva di generale applicazione, in quanto recepisce i risultati ormai definitivamente acquisiti di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.

Ed è ancora a fini descrittivi che, nel caso di lesione dei diritti della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.), si utilizza la sintetica definizione di danno da perdita del rapporto parentale.

In tal senso, e cioè come mera sintesi descrittiva, vanno intese le distinte denominazioni (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale) adottate dalle sentenze gemelle del 2003, e recepite dalla sentenza, n. 233/2003 della Corte Costituzionale.

Le menzionate sentenze, d'altra parte, avevano avuto cura di precisare che non era proficuo ritagliare all'interno della generale categoria del danno non patrimoniale specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo (n. 8828/2003), e di rilevare che la lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., doveva essere riguardata non già come occasione di incremento delle poste di danno (e mai come strumento di duplicazione del risarcimento degli stessi pregiudizi), ma come mezzo per colmare le lacune della tutela risarcitoria della persona (n. 8827/2003). Considerazioni che le Sezioni unite condividono.

2.14. Il catalogo dei casi in tal modo determinati non costituisce numero chiuso.

La tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell'apertura dell'art. 2 Cost., ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all'interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano,

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non genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana.

3. Si pone ora la questione se, nell'ambito della tutela risarcitoria del danno non patrimoniale, possa inserirsi, come categoria autonoma, il c.d. danno esistenziale.

3.1. Secondo una tesi elaborata in dottrina nei primi anni '90 il danno esistenziale era inteso come pregiudizio non patrimoniale, distinto dal danno biologico (all'epoca risarcito nell'ambito dell'art. 2043 c.c., in collegamento con l'art. 32 Cost.), in assenza di lesione dell'integrità psicofisica, e dal c.d. danno morale soggettivo (unico danno non patrimoniale risarcibile, in presenza di reato, secondo la tradizionale lettura restrittiva dell'art. 2059 c.c., in collegamento all'art. 185 c.p.), in quanto non attinente alla sfera interiore del sentire, ma alla sfera del fare non reddituale del soggetto.

Tale figura di danno nasceva dal dichiarato intento di ampliare la tutela risarcitoria per i pregiudizi di natura non patrimoniale incidenti sulla persona, svincolandola dai limiti dell'art. 2059 c.c., e seguendo la via, già percorsa per il danno biologico, di operare nell'ambito dell'art. 2043 c.c., inteso come norma regolatrice del risarcimento non solo del danno patrimoniale, ma anche di quello non patrimoniale concernente la persona.

Si affermava che, nel caso in cui il fatto illecito limita le attività realizzatrici della persona umana, obbligandola ad adottare nella vita di tutti i giorni comportamenti diversi da quelli passati, si realizza un nuovo tipo di danno (rispetto al danno morale soggettivo ed al danno biologico) definito con l'espressione "danno esistenziale".

Il pregiudizio era individuato nella alterazione della vita di relazione, nella perdita della qualità della vita, nella compromissione della dimensione esistenziale della persona.

Pregiudizi diversi dal patimento intimo, costituente danno morale soggettivo, perchè non consistenti in una sofferenza, ma nel non poter più fare secondo i modi precedentemente adottati, e non integranti danno biologico, in assenza di lesione all'integrità psicofisica.

3.2. Va rilevato che, già nel quadro dell'art. 2043 c.c., nel quale veniva inserito, la nuova figura di danno si risolveva nella descrizione di un pregiudizio di tipo esistenziale (il peggioramento della qualità della vita, l'alterazione del fare non reddituale), non accompagnata dalla necessaria individuazione, ai fini del requisito dell'ingiustizia del danno, di quale fosse l'interesse giuridicamente rilevante leso dal fatto illecito, e l'insussistenza della lesione di un interesse siffatto era ostativa all'ammissione a risarcimento.

Di siffatta carenza, non percepita dalla giurisprudenza di merito, mostratasi favorevole ad erogare tutela risarcitoria al danno così descritto (danno-conseguenza) senza svolgere indagini sull'ingiustizia del danno (per lesione dell'interesse), è stata invece avvertita questa Corte, in varie pronunce precedenti alle sentenze gemelle del 2003.

La sentenza n. 7713/2000, pur discorrendo di danno esistenziale, ed impiegando il collegamento tra art. 2043 c.c., e norme della Costituzione (nella specie gli artt. 29 e 30), analogamente a quanto all'epoca avveniva per il danno biologico, ravvisò il fondamento della tutela nella lesione del

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diritto costituzionalmente protetto del figlio all'educazione ed all'istruzione, integrante danno-evento.

La decisione non sorregge quindi la tesi che vede il danno esistenziale come categoria generale e lo dice risarcibile indipendentemente dall'accertata lesione di un interesse rilevante.

La menzione del danno esistenziale si rinviene anche nella sentenza n. 4783/2001, che ha definito esistenziale la sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche (e quindi in presenza di reato), alle quali era seguita dopo breve tempo la morte, ed era rimasta lucida durante l'agonia, e riconosciuto il risarcimento del danno agli eredi della vittima. La decisione non conforta la teoria del danno esistenziale. Nel quadro di una costante giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per le perdita della vita (sent. n. 1704/1997, n. 491/1999, n. 13336/1999, n. 887/2002, n. 517/2006), e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile (sent. n. 6404/1998, n. 9620/2003, n. 4754/2004, n. 15404/2004), ed a questo lo commisura, la sentenza persegue lo scopo di riconoscere il risarcimento, a diverso titolo, delle sofferenze coscientemente patite in quel breve intervallo. Viene qui in considerazione il tema della risarcibilità della sofferenza psichica, di massima intensità anche se di durata contenuta, nel caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo. Sofferenza che, non essendo suscettibile di degenerare in danno biologico, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, non può che essere risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione. Nè, d'altra parte, può in questa sede essere rimeditato il richiamato indirizzo giurisprudenziale, non essendosi manifestato in questa Corte un argomentato dissenso.

In tema di danno da irragionevole durata del processo (L. n. 89 del 2001, art. 2) la sentenza n. 15449/2002, ha espressamente negato la distinta risarcibilità del pregiudizio esistenziale, in quanto costituente solo una "voce" del danno non patrimoniale, risarcibile per espressa previsione di legge.

Altre decisioni hanno riconosciuto, nell'ambito del rapporto di lavoro (e quindi in tema di responsabilità contrattuale, ponendo questione sulla quale si tornerà più avanti), il danno esistenziale da mancato godimento del riposo settimanale (sent. n. 9009/2001) e da demansionamento (sent. n. 8904/2003), ravvisando nei detti casi la lesione di diritti fondamentali del lavoratore, e quindi ricollegando la risarcibilità ad una ingiustizia costituzionalmente qualificata.

Al danno esistenziale era dato ampio spazio dai giudici di pace, in relazione alle più fantasiose, ed a volte risibili, prospettazioni di pregiudizi suscettivi di alterare il modo di esistere delle persone: la rottura del tacco di una scarpa da sposa, l'errato taglio di capelli, l'attesa stressante in aeroporto, il disservizio di un ufficio pubblico, l'invio di contravvenzioni illegittime, la morte dell'animale di affezione, il maltrattamento di animali, il mancato godimento della partita di calcio per televisione determinato dal black-out elettrico. In tal modo si risarcivano pregiudizi di dubbia serietà, a prescindere dall'individuazione dell'interesse leso, e quindi del requisito dell'ingiustizia.

3.3. Questi erano dunque i termini nei quali viveva, nelle opinioni della dottrina e nelle applicazioni della giurisprudenza, la figura del danno esistenziale.

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Dopo che le sentenze n. 8827 e n. 8828/2003 hanno fissato il principio, condiviso da queste Sezioni unite, secondo cui, in virtù di una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., unica norma disciplinante il risarcimento del danno non patrimoniale, la tutela risarcitoria di questo danno è data, oltre che nei casi determinati dalla legge, solo nel caso di lesione di specifici diritti inviolabili della persona, e cioè in presenza di una ingiustizia costituzionalmente qualificata, di danno esistenziale come autonoma categoria di danno non è più dato discorrere.

3.4. Come si è ricordato, la figura del danno esistenziale era stata proposta nel dichiarato intento di supplire ad un vuoto di tutela, che ormai più non sussiste.

3.4.1. In presenza di reato, superato il tradizionale orientamento che limitava il risarcimento al solo danno morale soggettivo, identificato con il patema d'animo transeunte, ed affermata la risarcibilità del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, anche il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare (ma sarebbe meglio dire: nella sofferenza morale determinata dal non poter fare) è risarcibile.

La tutela risarcitoria sarà riconosciuta se il pregiudizio sia conseguenza della lesione almeno di un interesse giuridicamente protetto, desunto dall'ordinamento positivo, ivi comprese le convenzioni internazionali (come la già citata Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata con la L. n. 88 del 1955), e cioè purchè sussista il requisito dell'ingiustizia generica secondo l'art. 2043 c.c.. E la previsione della tutela penale costituisce sicuro indice della rilevanza dell'interesse leso.

3.4.2. In assenza di reato, e al di fuori dei casi determinati dalla legge, pregiudizi di tipo esistenziale sono risarcibili purchè conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona.

Ipotesi che si realizza, ad esempio, nel caso dello sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita di congiunto (c.d. danno da perdita del rapporto parentale), poichè il pregiudizio di tipo esistenziale consegue alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.).

In questo caso, vengono in considerazione pregiudizi che, in quanto attengono all'esistenza della persona, per comodità di sintesi possono essere descritti e definiti come esistenziali, senza che tuttavia possa configurarsi una autonoma categoria di danno.

Altri pregiudizi di tipo esistenziale attinenti alla sfera relazionale della persona, ma non conseguenti a lesione psicofisica, e quindi non rientranti nell'ambito del danno biologico (comprensivo, secondo giurisprudenza ormai consolidata, sia del c.d. "danno estetico" che del c.d. "danno alla vita di relazione"), saranno risarcibili purchè siano conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona diverso dal diritto alla integrità psicofisica.

Ipotesi che si verifica nel caso (esaminato dalla sentenza n. 6607/1986) dell'illecito che, cagionando ad una persona coniugata l'impossibilità di rapporti sessuali è immediatamente e direttamente lesivo del diritto dell'altro coniuge a tali rapporti, quale diritto-dovere reciproco, inerente alla persona, strutturante, insieme agli altri diritti-doveri reciproci, il rapporto di coniugio.

Nella fattispecie il pregiudizio è conseguente alla violazione dei diritti inviolabili della famiglia spettanti al coniuge del soggetto leso nella sua integrità psicofisica.

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3.5. Il pregiudizio di tipo esistenziale, per quanto si è detto, è quindi risarcibile solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento di danno. Se non si riscontra lesione di diritti costituzionalmente inviolabili della persona non è data tutela risarcitoria.

Per superare tale limitazione, è stata prospettata la tesi secondo cui la rilevanza costituzionale non deve attenere all'interesse leso, bensì al pregiudizio sofferto. Si sostiene che, incidendo il pregiudizio di tipo esistenziale, consistente nell'alterazione del fare non reddituale, sulla sfera della persona, per ciò soltanto ad esso va riconosciuta rilevanza costituzionale, senza necessità di indagare la natura dell'interesse leso e la consistenza della sua tutela costituzionale.

La tesi pretende di vagliare la rilevanza costituzionale con riferimento al tipo di pregiudizio, cioè al danno-conseguenza, e non al diritto leso, cioè all'evento dannoso, in tal modo confonde il piano del pregiudizio da riparare con quello dell'ingiustizia da dimostrare, e va disattesa.

Essa si risolve sostanzialmente nell'abrogazione surrettizia dell'art. 2059 c.c., nella sua lettura costituzionalmente orientata, perchè cancella la persistente limitazione della tutela risarcitoria (al di fuori dei casi determinati dalla legge) ai casi in cui il danno non patrimoniale sia conseguenza della lesione di un diritto inviolabile della persona, e cioè in presenza di ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento dannoso.

3.6. Ulteriore tentativo di superamento dei limiti segnati dalla lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., è incentrato sull'assunto secondo cui il danno esistenziale non si identifica con la lesione di un bene costituzionalmente protetto, ma può scaturire dalla lesione di qualsiasi bene giuridicamente rilevante.

La tesi è inaccettabile, in quanto si risolve nel ricondurre il preteso danno sotto la disciplina dell'art. 2043 c.c., dove il risarcimento è dato purchè sia leso un interesse genericamente rilevante per l'ordinamento, contraddicendo l'affermato principio della tipicità del danno non patrimoniale.

E non è prospettabile illegittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c., come rinvigorito da questa Corte con le sentenze gemelle del 2003, in quanto non ammette a risarcimento, al di fuori dei casi previsti dalla legge (reato ed ipotesi tipiche), i pregiudizi non patrimoniali conseguenti alla lesione non di diritti inviolabili, ma di interessi genericamente rilevanti, poichè la tutela risarcitoria minima ed insopprimibile vale soltanto per la lesione dei diritti inviolabili (Corte Cost. n. 87/1979).

3.7. Il superamento dei limiti alla tutela risarcitoria dei danni non patrimoniali, che permangono, nei termini suesposti, anche dopo la rilettura conforme a Costituzione dell'art. 2059 c.c., può derivare da una norma comunitaria che preveda il risarcimento del danno non patrimoniale senza porre limiti, in ragione della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno.

Va ricordato che l'effetto connesso alla vigenza di norma comunitaria è quello non già di caducare, nell'accezione propria del termine, la norma interna incompatibile, bensì di impedire che tale norma venga in rilievo per la definizione della controversia innanzi al giudice nazionale (Corte cost. n. 170/1984; S.U. n. 1512/1998; Cass. n. 4466/2005).

3.8. Queste Sezioni unite, con la sentenza n. 6572/2006, trattando il tema del riparto degli oneri probatori in tema di riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno

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professionale biologico o esistenziale da demansionamento o dequalificazione, nell'ambito del rapporto di lavoro, hanno definito il danno esistenziale, come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto alla espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. La pronuncia è stata seguita da altre sentenze (n. 4260/2007; n. 5221/2007; n. 11278/2007; n. 26561/2007).

Non sembra tuttavia che tali decisioni, che si muovono nell'ambito della affermata natura contrattuale della responsabilità del datore di lavoro (così ponendo la più ampia questione della risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento di obbligazioni, che sarà trattata più avanti e positivamente risolta), confortino la tesi di quanti configurano il danno esistenziale come autonoma categoria, destinata ad assumere rilievo anche al di fuori dell'ambito del rapporto di lavoro.

Le menzionate sentenze individuano specifici pregiudizi di tipo esistenziale da violazioni di obblighi contrattuali nell'ambito del rapporto di lavoro. In particolare, dalla violazione dell'obbligo dell'imprenditore di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore (art. 2087 c.c.). Vengono in considerazione diritti della persona del lavoratore che, già tutelati dal codice del 1942, sono assurti in virtù della Costituzione, grazie all'art. 32 Cost., quanto alla tutela dell'integrità fisica, ed agli artt. 1, 2, 4 e 35 Cost., quanto alla tutela della dignità personale del lavoratore, a diritti inviolabili, la cui lesione da luogo a risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali, di tipo esistenziale, da inadempimento contrattuale. Si verte, in sostanza, in una ipotesi di risarcimento di danni non patrimoniali in ambito contrattuale legislativamente prevista.

3.9. Palesemente non meritevoli dalla tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, sono i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale, ai quali ha prestato invece tutela la giustizia di prossimità.

Non vale, per dirli risarcibili, invocare diritti del tutto immaginari, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità: in definitiva il diritto ad essere felici.

Al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale.

In tal senso, per difetto dell'ingiustizia costituzionalmente qualificata, è stato correttamente negato il risarcimento ad una persona che si affermava "stressata" per effetto dell'istallazione di un lampione a ridosso del proprio appartamento per la compromissione della serenità e sicurezza, sul rilievo che i menzionati interessi non sono presidiati da diritti di rango costituzionale (sent. n. 3284/2008).

E per eguale ragione non è stato ammesso a risarcimento il pregiudizio sofferto per la perdita di un animale (un cavallo da corsa) incidendo la lesione su un rapporto, tra l'uomo e l'animale, privo, nell'attuale assetto dell'ordinamento, di copertura costituzionale (sent. n. 14846/2007).

3.10. Il risarcimento di pretesi danni esistenziali è stato frequentemente richiesto ai giudici di pace ed ha dato luogo alla proliferazione delle c.d. liti bagatellari.

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Con tale formula si individuano le cause risarcitorie in cui il danno consequenziale è futile o irrisorio, ovvero, pur essendo oggettivamente serio, è tuttavia, secondo la coscienza sociale, insignificante o irrilevante per il livello raggiunto.

In entrambi i casi deve sussistere la lesione dell'interesse in termini di ingiustizia costituzionalmente qualificata, restando diversamente esclusa in radice (al dei fuori dei casi previsti dalla legge) l'invocabilità dell'art. 2059 c.c..

La differenza tra i due casi è data dal fatto che nel primo, nell'ambito dell'area del danno-conseguenza del quale è richiesto il ristoro è allegato un pregiudizio esistenziale futile, non serio (non poter più urlare allo stadio, fumare o bere alcolici), mentre nel secondo è l'offesa arrecata che è priva di gravità, per non essere stato inciso il diritto oltre una soglia minima: come avviene nel caso del graffio superficiale dell'epidermide, del mal di testa per una sola mattinata conseguente ai fumi emessi da una fabbrica, dal disagio di poche ore cagionato dall'impossibilità di uscire di casa per l'esecuzione di lavori stradali di pari durata (in quest'ultimo caso non è leso un diritto inviolabile, non spettando tale rango al diritto alla libera circolazione di cui all'art. 16 Cost., che può essere limitato per varie ragioni).

3.11. La gravità dell'offesa costituisce requisito ulteriore per l'ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili.

Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza.

Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile. Pregiudizi connotati da futilità ogni persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.).

Entrambi i requisiti devono essere accertati dal giudice secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico (criterio sovente utilizzato in materia di lavoro, sent. n. 17208/2002; n. 9266/2005, o disciplinare, S.U. n. 16265/2002).

3.12. I limiti fissati dall'art. 2059 c.c., non possono essere ignorati dal giudice di pace nelle cause di valore non superiore ad euro millecento, in cui decide secondo equità.

La norma, nella lettura costituzionalmente orientata accolta da queste Sezioni unite, in quanto pone le regole generali della tutela risarcitoria non patrimoniale, costituisce principio informatore della materia in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, che il giudice di pace, nelle questioni da decidere secondo equità, deve osservare (Corte Cost. n. 206/2004).

3.13. In conclusione, deve ribadirsi che il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata "danno esistenziale", perchè attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso

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l'individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario nè è necessitata dall'interpretazione costituzionale dell'art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione (principi enunciati dalle sentenze n. 15022/2005, n. 11761/2006, n. 23918/2006, che queste Sezioni unite fanno propri).

3.14. Le considerazioni svolte valgono a dare risposta negativa a tutti i quesiti, in quanto postulanti la sussistenza della autonoma categoria del danno esistenziale.

4. Il danno non patrimoniale conseguente all'inadempimento delle obbligazioni, secondo l'opinione prevalente in dottrina ed in giurisprudenza, non era ritenuto risarcibile.

L'ostacolo era ravvisato nella mancanza, nella disciplina della responsabilità contrattuale, di una norma analoga all'art. 2059 c.c., dettato in materia di fatti illeciti.

Per aggirare l'ostacolo, nel caso in cui oltre all'inadempimento fosse configurabile lesione del principio del neminem laedere, la giurisprudenza aveva elaborato la teoria del cumulo delle azioni, contrattuale ed extracontrattuale (sent. n. 2975/1968, seguita dalla n. 8656/1996, nel caso del trasportato che abbia subito lesioni nell'esecuzione del contratto di trasporto; sent. n. 8331/2001, in materia di tutela del lavoratore).

A parte il suo dubbio fondamento dogmatico (contestato in dottrina), la tesi non risolveva la questione del risarcimento del danno non patrimoniale in senso lato, poichè lo riconduceva, in relazione all'azione extracontrattuale, entro i ristretti limiti dell'art. 2059 c.c., in collegamento con l'art. 185 c.p., sicchè il risarcimento era condizionato alla qualificazione del fatto illecito come reato ed era comunque ristretto al solo danno morale soggettivo.

Dalle strettoie dell'art. 2059 c.c., si sottraeva il danno biologico, azionato in sede di responsabilità aquiliana, grazie al suo inserimento nell'art. 2043 c.c. (Corte Cost. n. 184/1986).

4.1. L'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., consente ora di affermare che anche nella materia della responsabilità contrattuale è dato il risarcimento dei danni non patrimoniali.

Dal principio del necessario riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona, della minima tutela costituita dal risarcimento, consegue che la lesione dei diritti inviolabili della persona che abbia determinato un danno non patrimoniale comporta l'obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della responsabilità, contrattuale o extracontrattuale.

Se l'inadempimento dell'obbligazione determina, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona del creditore, la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale potrà essere versata nell'azione di responsabilità contrattuale, senza ricorrere all'espediente del cumulo di azioni.

4.2. Che interessi di natura non patrimoniale possano assumere rilevanza nell'ambito delle obbligazioni contrattuali, è confermato dalla previsione dell'art. 1174 c.c., secondo cui la

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prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore.

L'individuazione, in relazione alla specifica ipotesi contrattuale, degli interessi compresi nell'area del contratto che, oltre a quelli a contenuto patrimoniale, presentino carattere non patrimoniale, va condotta accertando la causa concreta del negozio, da intendersi come sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare, al di là del modello, anche tipico, adoperato; sintesi, e dunque ragione concreta, della dinamica contrattuale (come condivisibilmente affermato dalla sentenza n. 10490/2006).

4.3. Vengono in considerazione, anzitutto, i c.d. contratti di protezione, quali sono quelli che si concludono nel settore sanitario. In questi gli interessi da realizzare attengono alla sfera della salute in senso ampio, di guisa che l'inadempimento del debitore è suscettivo di ledere diritti inviolabili della persona cagionando pregiudizi non patrimoniali.

In tal senso si esprime una cospicua giurisprudenza di questa Corte, che ha avuto modo di inquadrare nell'ambito della responsabilità contrattuale la responsabilità del medico e della struttura sanitaria (sent. n. 589/1999 e successive conformi, che, quanto alla struttura, hanno applicato il principio della responsabilità da contatto sociale qualificato), e di riconoscere tutela, oltre al paziente, a soggetti terzi, ai quali si estendono gli effetti protettivi del contratto, e quindi, oltre alla gestante, al nascituro, subordinatamente alla nascita (sent. n. 11503/1003; n. 5881/2000); ed al padre, nel caso di omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata (sent. n. 6735/2002; n. 14488/2004; n. 20320/2005).

I suindicati soggetti, a seconda dei casi, avevano subito la lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost., comma 1), sotto il profilo del danno biologico sia fisico che psichico (sent. n. 1511/2007); del diritto inviolabile all'autodeterminazione (art. 32 Cost., comma 2, e art. 13 Cost.), come nel caso della gestante che, per errore diagnostico, non era stata posta in condizione di decidere se interrompere la gravidanza (sent. n. 6735/2002 e conformi citate), e nei casi di violazione dell'obbligo del consenso informato (sent.

n. 544/2006); dei diritti propri della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.), come nel caso di cui alle sentenze n. 6735/2002 e conformi citate.

4.4. Costituisce contratto di protezione anche quello che intercorre tra l'allievo e l'istituto scolastico. In esso, che trova la sua fonte nel contatto sociale (S.U. n. 9346/2002; sent. n. 8067/2007), tra gli interessi non patrimoniali da realizzare rientra quello alla integrità fisica dell'allievo, con conseguente risarcibilità del danno non patrimoniale da autolesione (sentenze citate).

4.5. L'esigenza di accertare se, in concreto, il contratto tenda alla realizzazione anche di interessi non patrimoniali, eventualmente presidiati da diritti inviolabili della persona, viene meno nel caso in cui l'inserimento di interessi siffatti nel rapporto sia opera della legge.

E' questo il caso del contratto di lavoro. L'art. 2087 c.c. ("L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro"), inserendo nell'area del rapporto di lavoro interessi non suscettivi di valutazione

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economica (l'integrità fisica e la personalità morale) già implicava che, nel caso in cui l'inadempimento avesse provocato la loro lesione, era dovuto il risarcimento del danno non patrimoniale.

Il presidio dei detti interessi della persona ad opera della Costituzione, che li ha elevati a diritti inviolabili, ha poi rinforzato la tutela. Con la conseguenza che la loro lesione è suscettiva di dare luogo al risarcimento dei danni conseguenza, sotto il profilo della lesione dell'integrità psicofisica (art. 32 Cost.) secondo le modalità del danno biologico, o della lesione della dignità personale del lavoratore (artt. 2, 4, 32 Cost.), come avviene nel caso dei pregiudizi alla professionalità da dequalificazione, che si risolvano nella compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità del lavoratore che si svolge nella formazione sociale costituita dall'impresa.

Nell'ipotesi da ultimo considerata si parla, nella giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 6572/2006), di danno esistenziale. Definizione che ha valenza prevalentemente nominalistica, poichè i danni- conseguenza non patrimoniali che vengono in considerazione altro non sono che pregiudizi attinenti alla svolgimento della vita professionale del lavoratore, e quindi danni di tipo esistenziale, ammessi a risarcimento in virtù della lesione, in ambito di responsabilità contrattuale, di diritti inviolabili e quindi di ingiustizia costituzionalmente qualificata.

4.6. Quanto al contratto di trasporto, la tutela dell'integrità fisica del trasportato è compresa tra le obbligazioni del vettore, che risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio (art. 1681 c.c.).

Il vettore è quindi obbligato a risarcire a titolo di responsabilità contrattuale il danno biologico riportato nel sinistro dal viaggiatore. Ove ricorra ipotesi di inadempimento-reato (lesioni colpose), varranno i principi enunciati con riferimento all'ipotesi del danno non patrimoniale da reato, anche in relazione all'ipotesi dell'illecito plurioffensivo, e sarà dato il risarcimento del danno non patrimoniale nella sua ampia accezione.

4.7. Nell'ambito della responsabilità contrattuale il risarcimento sarà regolato dalle norme dettate in materia, da leggere in senso costituzionalmente orientato.

L'art. 1218 c.c., nella parte in cui dispone che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, non può quindi essere riferito al solo danno patrimoniale, ma deve ritenersi comprensivo del danno non patrimoniale, qualora l'inadempimento abbia determinato lesione di diritti inviolabili della persona. Ed eguale più ampio contenuto va individuato nell'art. 1223 c.c., secondo cui il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta, riconducendo tra le perdite e le mancate utilità anche i pregiudizi non patrimoniali determinati dalla lesione dei menzionati diritti.

D'altra parte, la tutela risarcitoria dei diritti inviolabili, lesi dall'inadempimento di obbligazioni, sarà soggetta al limite di cui all'art. 1225 c.c. (non operante in materia di responsabilità da fatto illecito, in difetto di richiamo nell'art. 2056 c.c.), restando, al di fuori dei casi di dolo, limitato il risarcimento al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui l'obbligazione è sorta.

Il rango costituzionale dei diritti suscettivi di lesione rende nulli i patti di esonero o limitazione della responsabilità, ai sensi dell'art. 1229 c.c., comma 2 (E' nullo qualsiasi patto preventivo di

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esonero o di limitazione della responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico).

Varranno le specifiche regole del settore circa l'onere della prova (come precisati da Sez. Un. n. 13533/2001), e la prescrizione.

4.8. Il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre.

Si è già precisato che il danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie.

Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno.

E' compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione.

4.9. Viene in primo luogo in considerazione, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato, la sofferenza morale. Definitivamente accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale.

Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sè considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale.

Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente.

Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.

Egualmente determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poichè la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato.

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Possono costituire solo "voci" del danno biologico nel suo aspetto dinamico, nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il c.d. danno alla vita di relazione, i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell'integrità psicofisica, sicchè darebbe luogo a duplicazione la loro distinta riparazione.

Certamente incluso nel danno biologico, se derivante da lesione dell'integrità psicofisica, è il pregiudizio da perdita o compromissione della sessualità, del quale non può, a pena di incorrere in duplicazione risarcitoria, darsi separato indennizzo (diversamente da quanto affermato dalla sentenza n. 2311/2007, che lo eleva a danno esistenziale autonomo).

Ed egualmente si avrebbe duplicazione nel caso in cui il pregiudizio consistente nella alterazione fisica di tipo estetico fosse liquidato separatamente e non come "voce" del danno biologico, che il c.d.

danno estetico pacificamente incorpora.

Il giudice potrà invece correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l'agonia in consapevole attesa della fine. Viene così evitato il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita (sent. n. 1704/1997 e successive conformi), e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura (sent. n. 6404/1998 e successive conformi). Una sofferenza psichica siffatta, di massima intensità anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione.

4.10. Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza (Cass. n. 8827 e n. 8828/2003; n. 16004/2003), che deve essere allegato e provato.

Va disattesa, infatti, la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso, parlando di "danno evento". La tesi, enunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 184/1986, è stata infatti superata dalla successiva sentenza n. 372/1994, seguita da questa Corte con le sentenze gemelle del 2003.

E del pari da respingere è la variante costituita dall'affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perchè la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo.

Per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la vigente normativa (D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139) richiede l'accertamento medico-legale. Si tratta del mezzo di indagine al quale correntemente si ricorre, ma la norma non lo eleva a strumento esclusivo e necessario. Così come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice potrà non disporre l'accertamento medico-legale, non solo nel caso in cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile (perchè deceduta o per altre cause), ma anche quando lo

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ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni.

Per gli altri pregiudizi non patrimoniali potrà farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva.

Attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri (v., tra le tante, sent. n. 9834/2002). Il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto.

B) Ricorso n. 734/06.

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., comma 1, nel testo vigente prima del 30.4.1995, e vizio di motivazione su punto decisivo, in riferimento alla affermata inammissibilità della domanda di risarcimento del danno esistenziale.

Il ricorrente si duole anzitutto che la corte d'appello abbia ritenuto che la richiesta di risarcimento del danno esistenziale integrasse una domanda nuova senza considerare che essa costituiva la mera riproposizione di richieste già formulate in primo grado.

Afferma che, in quella sede, ci si era specificamente riferiti alle singole voci di danno (estetico, alla vita di relazione, alla vita sessuale) che sarebbero state poi ricompresse nella nozione di danno esistenziale, all'epoca non ancora elaborata, e censura la sentenza per aver dato rilievo alla qualificazione giuridica data alla richiesta, piuttosto che alle circostanze di fatto poste a fondamento della domanda originaria: circostanze identiche, come poteva rilevarsi dalla lettura dell'atto di citazione e di quello di appello (i cui passi sono riportati in ricorso), e concernenti lo stato di disagio in cui versava nel mostrarsi privo di un testicolo, con conseguenti ripercussioni negative nella sfera relativa ai propri rapporti sessuali.

Sostiene poi che erroneamente i giudici di merito avevano ritenuto che la nozione di danno alla salute ricomprenda i concreti pregiudizi alla sfera esistenziale, che concerne invece la lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona (che nella specie potevano ritenersi provati anche mediante ricorso a presunzioni).

2. Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., commi 1 e 2, nel testo vigente prima del 30.4.1995, con riferimento alla affermata inammissibilità della prova richiesta in appello in punto di disagio del leso nel mostrare i propri organi genitali e delle conseguenti limitazioni dei suoi rapporti sessuali.

La sentenza è censurata per aver ritenuto inammissibile la prova testimoniale articolata in appello sul senso di "vergogna" provato dal ricorrente nei momenti di intimità interpersonale e sul suo conseguente desiderio di limitare nel numero e nel tempo i rapporti sessuali.

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Si sostiene che, una volta escluso che fosse stata proposta una domanda nuova, l'art. 345 c.p.c., comma 2, nella previgente formulazione, non sarebbe stato d'ostacolo all'ammissione della prova testimoniale, invece ritenuta inammissibile proprio perchè vertente su una domanda erroneamente qualificata come nuova, e come tale inammissibile.

2.1. Il primo motivo è fondato nei sensi che seguono.

Le considerazioni svolte in sede di esame della questione di particolare importanza consentono di affermare che il pregiudizio della vita di relazione, anche nell'aspetto concernente i rapporti sessuali, allorchè dipenda da una lesione dell'integrità psicofisica della persona, costituisce uno dei possibili riflessi negativi della lesione dell'integrità fisica del quale il giudice deve tenere conto nella liquidazione del danno biologico, e non può essere fatta valere come distinto titolo di danno, e segnatamente a titolo di danno "esistenziale" (punto 4.9).

Al danno biologico va infatti riconosciuta portata tendenzialmente omnicomprensiva, confermata dalla definizione normativa adottata dal D.Lgs. n. 209 del 2005, recante il Codice delle assicurazioni private ("per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente dell'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di valutazione medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito"), suscettibile di essere adottata in via generale, anche in campi diversi da quelli propri delle sedes materiae in cui è stata dettata, avendo il legislatore recepito sul punto i risultati, ormai generalmente acquisiti e condivisi, di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. In esso sono quindi ricompresi i pregiudizi attinenti agli "aspetti dinamico- relazionali della vita del danneggiato".

Ed al danno esistenziale non può essere riconosciuta dignità di autonoma sottocategoria del danno non patrimoniale (punto 3.13).

Nella specie, in primo grado, l'attore aveva fatto valere, tra i pregiudizi denunciati, quello concernente la limitazione dell'attività sessuale nei suoi rapporti interpersonali, qualificandolo come pregiudizio di tipo esistenziale. Il primo giudice aveva riconosciuto il danno biologico, senza considerare il segnalato aspetto attinente alla vita relazionale. Di ciò si era lamentato, con l'appello, l'attore ed aveva richiesto prove a sostegno del dedotto profilo di danno, qualificandolo come esistenziale (prove che potevano essere richieste in secondo grado, ai sensi dell'art. 345 c.p.c., nel testo previgente, trattandosi di giudizio introdotto prima del 30.4.2005). Ma la corte territoriale ha ritenuto nuova tale domanda e conseguentemente inammissibili le prove.

La decisione non è corretta.

La domanda risarcitoria relativa ai pregiudizi subiti per la limitazione dell'attività sessuale del leso non era nuova, come è univocamente evincibile dalla sostanziale identità di contenuto delle deduzioni del primo e del secondo grado, al di là della richiesta di risarcimento del "danno esistenziale" subordinatamente formulata col terzo motivo di appello; appello col quale l'attuale ricorrente s'era doluto della inadeguata considerazione delle conseguenze del tipo di lesione subita in relazione alla sua età all'epoca del fatto (45 anni) ed al suo stato civile di celibe.

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La corte territoriale ha, dunque, impropriamente fatto leva sul nomen iuris assegnato dall'appellante alla richiesta di risarcimento del pregiudizio che viene in considerazione e che era stato già puntualmente prospettato in primo grado, dove era stato anche correttamente inquadrato nell'ambito del danno biologico.

3. All'accoglimento del primo motivo per quanto di ragione consegue quello del secondo, avendo la corte d'appello escluso che la prova testimoniale fosse ammissibile per la sola ragione che essa si riferiva ad una domanda erroneamente ritenuta nuova.

4. La sentenza va dunque cassata.

5. Il giudice del rinvio, che si designa nella stessa corte d'appello in diversa composizione, non dovrà necessariamente procedere all'ammissione della prova testimoniale, non essendogli precluso di ritenere vero - anche in base a semplice inferenza presuntiva - che la lesione in questione abbia prodotto le conseguenze che si mira a provare per via testimoniale e di procedere, dunque, all'eventuale personalizzazione del risarcimento (nella specie, del danno biologico); la quale non è mai preclusa dalla liquidazione sulla base del valore tabellare differenziato di punto, segnatamente alla luce del rilievo che il consulente d'ufficio ha dichiaratamente ritenuto di non attribuire rilevanza, nella determinazione del grado percentuale di invalidità permanente, al disagio che la menomazione in questione provoca nei momenti di intimità (ed ai suoi consequenziali riflessi).

6. Il giudice del rinvio liquiderà anche le spese del giudizio di cassazione.

7. Ricorrono i presupposti di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, comma 2, in materia di protezione dei dati personali.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia, anche per le spese, alla corte d'appello di Venezia in diversa composizione;

dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica, su riviste, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2008.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2008

Corte Costituzionale , , 14/07/1986, n. 184

LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Prof. LIVIO PALADIN, Presidente - Prof.VIRGILIO ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI - Dott. FRANCESCO SAJA -

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Prof. GIOVANNI CONSO - Prof. ETTORE GALLO - Dott. ALDO CORASANITI -Prof. GIUSEPPE BORZELLINO - Dott. FRANCESCO GRECO - Prof. RENATODELL'ANDRO - Prof. GABRIELE PESCATORE - Avv. UGO SPAGNOLI - Prof.FRANCESCO PAOLO CASAVOLA, Giudici, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 2059 del codicecivile promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa l'8 ottobre 1979 dal Tribunale di Genova nelprocedimento civile vertente tra Repetto Giuseppe e AziendaMunicipalizzata Trasporti iscritta al n. 929 del registro ordinanze1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50dell'anno 1980; 2) ordinanza emessa il 4 dicembre 1981 dal Tribunale di Salerno neiprocedimenti civili riuniti vertenti tra Saporito Luigi ed altro eManzi Giuseppe ed altri iscritta al n. 322 del registro ordinanze1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 283dell'anno 1982. Visti gli atti di costituzione dell'Azienda Municipalizzata Trasportidi Genova; udito nell'udienza pubblica del 4 marzo 1986 il Giudice relatoreRenato Dell'Andro.

Ritenuto in fatto:

1. - Il Tribunale di Genova, nel corso di un giudizio civile vertente tra Repetto Giuseppe e l'Azienda Municipalizzata Trasporti di Genova, ed avente ad oggetto il risarcimento dei danni subiti dal primo a seguito di un incidente stradale, con ordinanza 8 ottobre 1979, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost., dell'art. 2059 cod. civ., nella parte in cui prevede che il c.d. danno biologico (inteso come danno non patrimoniale derivante dalla lesione del diritto, costituzionalmente garantito, alla tutela della salute) sia risarcibile soltanto in conseguenza di un reato.

Premette il Tribunale di Genova che esso da tempo procedeva alla liquidazione del danno alla persona per invalidità temporanea e permanente, quale danno di rilevanza patrimoniale risarcibile ex art. 2043 cod. civ., anche se non incidente sul reddito del danneggiato, e ciò sul presupposto che ogni lesione dell'integrità fisio - psichica della persona determina di per sè, ed indipendentemente dagli effetti sul reddito, un danno risarcibile per lesione del diritto alla salute, sancito dall'art. 32 Cost.

Ricorda quindi il Tribunale che la sentenza n. 88 del 1979 di questa Corte configurò il diritto alla salute "come un diritto primario ed assoluto... da ricomprendere tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione"; precisò poi che, in caso di violazione dello stesso, "la indennizzabilità non può essere limitata alle conseguenze della violazione incidente sull'attitudine a produrre reddito, ma deve comprendere anche gli effetti della lesione al diritto considerato come posizione soggettiva autonoma indipendentemente da ogni altra circostanza e conseguenza"; ed infine comprese i danni costituiti dalla menomazione dell'integrità fisica in sè considerata tra i pregiudizi non patrimoniali risarcibili ex art. 2059 cod. civ.

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Ricorda ancora il Tribunale che la precedente sentenza n. 87 del 1979 dichiarò che l'art. 2059 c.c. non pone limitazioni all'esercizio di un diritto, prevedendo invece che il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale sorge solo nei casi espressamente previsti dalla legge; e quindi affermò sì che l'art. 2059 c.c. non contrasta col principio di eguaglianza, essendo lecito al legislatore operare trattamenti diversificati di situazioni non identiche per presupposti e gravità, ma indicò espressamente, tuttavia, come limite alla facoltà discrezionale del legislatore, l'ipotesi in cui vengano in considerazione situazioni soggettive costituzionalmente garantite.

Orbene, conclude il giudice a quo, coordinando le motivazioni di queste due sentenze, appare evidente l'illegittimità costituzionale dell'art. 2059 cod. civ., nella parte in cui prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla lesione del diritto, costituzionalmente tutelato, alla salute soltanto in conseguenza di reato, sia per la violazione dell'art. 32 Cost. (mancata tutela negli altri casi del diritto alla salute) e sia per la violazione dell'art. 3 Cost. (tutela differenziata del diritto alla salute a seconda che le lesioni derivino da un reato o da illecito civile).

2. - Analoga questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 cod. civ., in riferimento agli artt. 2,24, primo comma, e 32, primo comma, Cost., è stata proposta dal Tribunale di Salerno, con ordinanza del 4 dicembre 1981.

Osserva il Tribunale di Salerno che, dopo la ricordata sentenza n. 88 del 1979, l'indirizzo giurisprudenziale oggi prevalente, ed accolto anche dalla Cassazione, è nel senso del riconoscimento del danno c.d. biologico quale danno che, prescindendo dalle ripercussioni reddituali o patrimoniali, deriva direttamente dalla lesione psico - fisica subita dal soggetto, in sè autonomamente considerata. Non sembra peraltro dubitabile che tale danno, appunto perché svincolato dalla effettiva incidenza reddituale o patrimoniale, è da ricomprendere nella categoria dei danni non patrimoniali, i quali però, ai sensi dell'art. 2059 cod. civ., sono risarcibili soltanto nei casi espressamente determinati dalla legge, e cioè sostanzialmente nel caso di cui all'art. 185 cod. pen. (danni derivanti da reato) ed in quello di cui all'art. 89, comma secondo, cod. proc. civ.

Senonché, continua il giudice a quo, è anche evidente che, trattandosi di danno incidente sul diritto fondamentale alla salute, non può bastare la previsione di risarcibilità del danno derivante da fatto - reato, perché ne resterebbero ingiustificatamente escluse l'ipotesi di danno derivante da mero illecito civile e quella di applicazione dei criteri di colpa presunta. Pertanto l'art. 2059 cod. civ. può ritenersi in contrasto sia con l'art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, tra cui quelli all'integrità fisica e, in genere, alla salute, sia con l'art. 24, comma primo, Cost., che riconosce a tutti il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, fra i quali, evidentemente, anche quelli "biologici" anzidetti, e sia, infine, con l'art. 32, primo comma, Cost., essendo il fondamentale ed inalienabile dintto alla salute, sotto l'aspetto del danno biologico, inammissibilmente conculcato dalla disposizione in esame.

3. - Entrambe le ordinanze sono state regolarmente comunicate, notificate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.

Nel primo giudizio si è costituita l'Azienda Municipalizzata Trasporti di Genova, rappresentata e difesa dagli avvocati Ermanno Carbone, Mario Pogliani ed Angelo De Santis, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata ed osservando che l'art. 2059 cod. civ. costituisce semplicemente una norma di rinvio, la quale fa richiamo ad altre norme (ad esempio: artt. 185 cod. pen., 89 cod. proc. civ., 598 cod. pen.) per stabilire i termini e le condizioni di risarcimento del danno non patrimoniale, anche in ipotesi che non costituiscono reato (ad esempio: art. 598 cod. pen.). In primo luogo, quindi, non sussiste violazione dell'art. 32 Cost., in quanto non è

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esatta l'affermazione del giudice a quo, secondo il quale sarebbe l'art. 2059 cod. civ. a limitare il risarcimento per la lesione del diritto alla salute soltanto ai casi di reato. Si tratta infatti di mera norma di rinvio, da combinarsi, in ogni ipotesi di sua applicazione, con altra norma che direttamente disponga la risarcibilità del danno non patrimoniale, per cui è su quest'ultima norma che, se mai, dovrebbe appuntarsi l'attenzione, senza peraltro dimenticare che la determinazione delle figure di danno comportanti tale tipo di risarcimento resta demandata alla discrezionalità del legislatore, non sindacabile in sede di legittimità. E nemmeno sussiste la violazione dell'art. 3 Cost., avendo già la sentenza n. 87 del 1979 sottolineato la differenziazione sostanziale esistente tra il danno cagionato da reato e quello riconducibile ad un mero illecito civile.

In una successiva memoria illustrativa l'Azienda Municipalizzata Trasporti di Genova rileva poi che, nella più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, il danno alla salute viene ormai considerato come un tertium genus rispetto alle altre due categorie del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale, e la sua risarcibilità viene fatta derivare direttamente dall'art. 2043 cod. civ., senza quindi che operino le limitazioni di cui all'art. 2059 cod. civ. La sollevata questione di legittimità costituzionale non ha pertanto ragion d'essere, poiché la tutela del diritto alla salute si pone attualmente in ogni ipotesi di danno, sia derivante da reato sia da mero illecito civile. In ogni caso, l'eventuale accoglimento della questione produrrebbe una situazione "sconcertante", perché le limitazioni al risarcimento poste dall'art. 2059 cod. civ. sarebbero eliminate soltanto per i danni derivanti dalla violazione del diritto alla salute, ma non anche per quei danni non patrimoniali derivanti dalla violazione di altri diritti della personalità, inviolabili al pari del diritto alla salute, come il diritto all'onore, alla riservatezza, all'individualità, al nome, alla paternità intellettuale.

Considerato in diritto:

1. - I procedimenti proposti con le ordinanze in epigrafe, simili nel petitum e parzialmente coincidenti in ordine ai parametri di riferimento (entrambe si richiamano all'art. 32, primo comma, Cost.; l'ordinanza del Tribunale di Genova aggiunge il riferimento all'art. 3, primo comma, Cost.; l'ordinanza del Tribunale di Salerno invoca anche gli artt. 2 e 24, primo comma, Cost.) possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Poiché le predette ordinanze chiedono la dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c., nella parte in cui prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla lesione d'un diritto costituzionalmente tutelato (salute) soltanto in conseguenza di reato, è doveroso qui esaminare quale nozione di danno non patrimoniale il diritto vivente trae dall'interpretazione dell'art. 2059 c.c. Soltanto precisando l'ambito di comprensione della predetta nozione, secondo l'esperienza della sua applicazione, è dato chiarire se, ed in quali limiti, al danno biologico sia applicabile l'art. 2059 c.c.

L'esame della legislazione e dei relativi lavori preparatori nonché della giurisprudenza e della dottrina, precedenti e successive all'emanazione del vigente codice civile, induce a ritenere che nella nozione di danno non patrimoniale, di cui all'art. 2059 c.c., vadano compresi soltanto i danni morali subiettivi.

A queste conclusioni si giunge (tenuto conto che il più rilevante dei "casi determinati dalla legge", ex art. 2059 c.c., è costituito dall'art. 185, secondo comma, c.p. e che l'espressione "danno non patrimoniale" è stata impiegata appunto in quest'ultimo articolo, prima che nell'art. 2059 c.c.) sottolineando anzitutto i "precedenti legislativi" del risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 185 c.p. e la più che esplicita dichiarazione, contenuta nella relazione

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ministeriale al codice penale del 1930, in ordine al mutamento della locuzione "danno morale" in quella di "danno non patrimoniale".

La prima sottolineatura va fatta ricordando che l'immediato "precedente" legislativo del risarcimento del danno non patrimoniale ex secondo comma dell'art. 185 c.p. è da rintracciarsi negli artt. 38 del codice penale del 1889 e 7 del codice di procedura penale del 1913. Questi ultimi articoli, nel prevedere la riparazione pecuniaria per alcuni reati, prescindono dalla causazione del danno (da intendersi: patrimoniale). L'art. 38 del codice penale Zanardelli recita: "Oltre alle restituzioni e al risarcimento dei danni, il giudice, per ogni delitto che offenda l'onore della persona e della famiglia, ancorché non abbia cagionato danno, può assegnare alla parte offesa, che ne faccia domanda, una somma determinata a titolo di riparazione" E l'art. 7 del codice di procedura penale del 1913, allargando l'ambito dei delitti per i quali è consentita la riparazione pecuniaria a sua volta recita: "Il reato può produrre azione civile per il risarcimento del danno e per le restituzioni. I delitti contro la persona e quelli che offendono la libertà individuale, l'onore della persona o della famiglia, l'inviolabilità del domicilio o dei segreti, anche se non abbiano cagionato danno, possono produrre azione civile per riparazione pecuniaria".

L'art. 185 c.p., al secondo comma, seguendo l'orientamento, già accolto dal codice di procedura penale del 1913, teso all'allargamento delle ipotesi di riparazione pecuniaria, estende a tutti i reati (e non soltanto ad alcuni delitti) la precitata riparazione, includendola nella generale nozione di risarcimento e definendo "non patrimoniale" il danno morale subiettivo.

La seconda sottolineatura è relativa, appunto, alle ragioni del cambiamento dell'espressione "danno morale" con quella di "danno non patrimoniale": tali ragioni vengono chiarite, in maniera inequivocabile, dalla stessa relazione ministeriale al progetto definitivo del codice penale del 1930, ove si fa riferimento, anzitutto, alla scelta operata in sede di risarcimento di danni morali ("Il carattere generale di tale principio, incompatibile con una enunciazione di casi tassativi di applicabilità, mi ha indotto a non limitare la risarcibilità del danno morale a casi particolari, come taluno aveva suggerito") e si offre, successivamente, la ragione della nuova locuzione usata per indicare il danno morale subiettivo: "Quanto alla designazione del concetto, ho creduto che la locuzione "danno non patrimoniale" sia preferibile a quella di "danno morale", tenuto conto che spesso nella terminologia corrente la locuzione di "danno morale" ha un valore equivoco e non riesce a differenziare il danno morale puro da quei danni che, sebbene abbiano radice in offese alla personalità morale, direttamente od indirettamente menomano il patrimonio".

Da ciò s'evince che, almeno nelle intenzioni del legislatore penale del 1930, il danno non patrimoniale, di cui al secondo comma dell'art. 185 c.p., costituisce l'equivalente del danno morale subiettivo e che i danni direttamente od indirettamente incidenti sul patrimonio non possono essere compresi nei danni non patrimoniali ex art. 185 c.p.

Se a tutto ciò s'aggiunge che già la dottrina precedente al 1930, contraria alla risarcibilità dei danni morali, era partita da una nozione ristretta dei medesimi ed aveva sottolineato che l'ansia, l'angoscia, le sofferenze fisiche o psichiche ecc., appunto perché effimere e non durature, non sono compensabili con equivalenti monetari e non possono, pertanto, costituire oggetto di risarcimento; se si aggiunge ancora che la giurisprudenza precedente al 1930, sensibile alle già citate critiche di una parte della dottrina, aveva finito con il ritenere esclusa, in via di principio, la risarcibilità dei danni morali subiettivi, sempre partendo da una nozione ristretta di questi ultimi, s'intende appieno l'ambito di comprensione della nozione di "danno non patrimoniale" ex art. 185 c.p.

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I lavori preparatori del vigente codice civile confermano quanto ora precisato: la relazione della commissione reale al progetto del libro "Obbligazioni e contratti" definisce il danno morale "quello che in nessun modo tocca il patrimonio ma arreca solo un dolore morale alla vittima" e la relazione ministeriale al vigente codice civile così si esprime: "Circa il risarcimento dei danni cosiddetti morali, ossia circa la riparazione o compensazione indiretta di quegli effetti dell'illecito che non hanno natura patrimoniale, si è ritenuto di non estendere a tutti la risarcibilità o la compensabilità che l'art. 185 del codice penale pone soltanto per i reati". Il legislatore chiarisce, poi, le ragioni della scelta contraria all'ulteriore (rispetto a quella già operata dal codice penale del 1930) estensione della risarcibilità dei danni morali, con queste parole: "La resistenza della giurisprudenza a tale estensione può considerarsi limpida espressione della nostra coscienza giuridica. Questa avverte che soltanto nel caso di reato è più intensa l'offesa all'ordine giuridico e maggiormente sentito il bisogno di una più energica repressione con carattere anche preventivo". Dalle quali dichiarazioni si detrae che il danno non patrimoniale è un altro effetto dell'illecito (è, cioè, danno - conseguenza, al pari di quello patrimoniale) e che il risarcimento dei danni non patrimoniali persegue scopi di più intensa repressione e prevenzione, certamente estranei al risarcimento degli altri tipi di danno.

Ed è da ricordare altresì da un canto che la giurisprudenza successiva all'emanazione del vigente codice civile identifica quasi sempre il danno morale (o non patrimoniale) con l'ingiusto perturbamento dello stato d'animo del soggetto offeso e dall'altro che ancor oggi la prevalente dottrina riduce il danno non patrimoniale alla sofferenza fisica (sensazione dolorosa) o psichica.

Se, dunque, secondo il diritto vivente, l'art. 2059 c.c., che, peraltro, pone soltanto una riserva di legge, fa riferimento, con l'espressione "danno non patrimoniale", al solo danno morale subiettivo, lo stesso articolo si applica soltanto quando all'illecito civile, costituente anche reato, consegue un danno morale subiettivo.

3. - La scelta legislativa operata con l'emanazione dell'art. 2059 c.c. (tra le opposte tesi della totale irrisarcibilità del danno morale subiettivo e della risarcibilità, in ogni caso, del medesimo) discende dall'opportunità di sanzionare in modo adeguato chi si è comportato in maniera vietata dalla legge.

Certo, ritenere che la responsabilità civile abbia carattere esclusivamente o prevalentemente sanzionatorio sarebbe oggi infondato oltrecché antistorico. Ma dopo l'attenta lettura della precitata relazione ministeriale al codice civile è impossibile negare o ritenere irrazionale che la responsabilità civile da atto illecito sia in grado di provvedere non soltanto alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato ma fra l'altro, a volte, anche ed almeno in parte, ad ulteriormente prevenire e sanzionare l'illecito, come avviene appunto per la riparazione dei danni non patrimoniali da reato. Accanto alla responsabilità penale (anzi, forse meglio, insieme ed "ulteriormente" alla pena pubblica) la responsabilità civile ben può assumere compiti preventivi e sanzionatori. Né può essere vietato al legislatore ordinario, ai fini ora indicati, prescrivere, anche a parità di effetto dannoso (danno morale subiettivo) il risarcimento soltanto in relazione a fatti illeciti particolarmente qualificati e, più di altri, da prevenire ed ulteriormente sanzionare.

E per giungere a queste conclusioni non è neppur necessario aderire alla tesi che sostiene la natura di pena privata del risarcimento del danno non patrimoniale, essendo sufficiente sottolineare la non arbitrarietà d'una scelta discrezionalmente operata, nei casi più gravi, d'un particolare rafforzamento, attraverso la riparazione dei danni non patrimoniali, del carattere preventivo e sanzionatorio della responsabilità penale.

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4. - Per poter distinguere il danno biologico dai danni morali subiettivi, come dai danni patrimoniali in senso stretto, occorre chiarire la struttura del fatto realizzativo della menomazione dell'integrità bio - psichica del soggetto offeso.

Ed a tal fine va premessa la distinzione tra evento dannoso o pericoloso, al quale appartiene il danno biologico, e danno - conseguenza, al quale appartengono il danno morale subiettivo ed il danno patrimoniale.

Vale, infatti, distinguere da un canto il fatto costitutivo dell'illecito civile extracontrattuale e dall'altro le conseguenze, in senso proprio, dannose del fatto stesso. Quest'ultimo si compone, oltrecché del comportamento (l'illecito è, anzitutto, atto) anche dell'evento e del nesso di causalità che lega il comportamento all'evento. Ogni danno è, in senso ampio, conseguenza: anche l'evento dannoso o pericoloso è, infatti, conseguenza dell'atto, del comportamento illecito. Tuttavia, vale distinguere, anche in diritto privato (specie a seguito del riconoscimento di diritti, inviolabili costituzionalmente, validi anche nei rapporti tra privati) l'evento materiale, naturalistico, che, pur essendo conseguenza del comportamento, è momento od aspetto costitutivo del fatto, dalle conseguenze dannose, in senso proprio, di quest'ultimo, legate all'intero fatto illecito (e quindi anche all'evento) da un ulteriore nesso di causalità. Non esiste comportamento senza evento: il primo è momento dinamico ed il secondo momento statico del fatto costitutivo dell'illecito. Da quest'ultimo vanno nettamente distinte le conseguenze, in senso proprio, del fatto, dell'intero fatto illecito, causalmente connesse al medesimo da un secondo nesso di causalità.

Il danno biologico costituisce l'evento del fatto lesivo della salute mentre il danno morale subiettivo (ed il danno patrimoniale) appartengono alla categoria del danno - conseguenza in senso stretto.

La menomazione dell'integrità psico - fisica dell'offeso, che trasforma in patologica la stessa fisiologica integrità (e che non è per nulla equiparabile al momentaneo, tendenzialmente transeunte, turbamento psicologico del danno morale subiettivo) costituisce l'evento (da provare in ogni caso) interno al fatto illecito, legato da un canto all'altra componente interna del fatto, il comportamento, da un nesso di causalità e dall'altro, alla (eventuale) componente esterna, danno morale subiettivo (o danno patrimoniale) da altro, diverso, ulteriore rapporto di causalità materiale. In senso largo, dunque, anche l'evento - menomazione dell'integrità fisio - psichica del soggetto offeso, è conseguenza ma tale è rispetto al comportamento mentre a sua volta è causa (ove in concreto esistano) delle ulteriori conseguenze, in senso proprio, dell'intero fatto illecito, conseguenze morali subiettive o patrimoniali.

Il danno morale subiettivo, che si sostanzia nel transeunte turbamento psicologico del soggetto offeso, è danno - conseguenza, in senso proprio, del fatto illecito lesivo della salute e costituisce, quando esiste, condizione di risarcibilità del medesimo; il danno biologico è, invece, l'evento, interno al fatto lesivo della salute, deve necessariamente esistere ed essere provato, non potendosi avere rilevanza delle eventuali conseguenze esterne all'intero fatto (morali o patrimoniali) senza la completa realizzazione di quest'ultimo, ivi compreso, ovviamente, l'evento della menomazione dell'integrità psico - fisica del soggetto offeso.

Il danno - biologico (o fisiologico) è danno specifico, è un tipo di danno, identificandosi con un tipo di evento. Il danno morale subiettivo è, invece, un genere di danno - conseguenza, che può derivare da una serie numerosa di tipi di evento; così come genere di danno - conseguenza, condizione obiettiva di risarcibilità, è il danno patrimoniale, che, a sua volta, può derivare da diversi eventi tipici.

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5. - Nel distinguere il danno biologico dal danno morale subiettivo sono state poste anche le premesse per un'individuazione precisa dei contenuti semantici delle varie espressioni usate in materia dalla giurisprudenza e dalla dottrina.

Per la precisione: possono essere indifferentemente usate (come fa la giurisprudenza) le espressioni "danno biologico" e "danno fisiologico", giacché entrambe pongono l'accento sull'evento, naturalistico, interno alla struttura del fatto lesivo della salute. Certo, ove s'intenda anche quest'ultima come naturalistica condizione d'integrità psico - fisica del soggetto offeso, la locuzione "danno alla salute" è equivalente alle precedenti espressioni.

Senonché, come è stato già osservato, il termine salute evoca, in questa sede, primieramente il bene giuridico, costituzionalmente tutelato dall'art. 32 Cost., ed offeso dal fatto realizzativo della menomazione dell'integrità psico - fisica del soggetto passivo. In questo senso, la lesione della salute, del bene - giuridico salute, è l'intrinseca antigiuridicità obiettiva del danno biologico o fisiologico: essa appartiene ad una dimensione valutativa, distinta da quella naturalistica, alla quale invece fanno riferimento le locuzioni "danno biologico" e "danno fisiologico". D'altra parte, la menomazione dell'integrità psico - fisica del soggetto è, come si è innanzi precisato, evento, naturalistico, effettivo, da provare in ogni caso; la lesione giuridica al bene salute si concreta, invece, nel momento stesso in cui si realizza, in interezza, il fatto costitutivo dell'illecito; e non va provato, come la giurisprudenza insegna, che la menomazione bio - psichica del soggetto offeso in concreto abbia impedito le manifestazioni, le attività extralavorative non retribuite, ordinarie che, accanto alle attività lavorative retribuite, esprimono, realizzandola, la salute in senso fisio - psichico.

L, pertanto, innanzi tutto, più corretto parlare di "lesione della salute" (e cioè del bene giuridico - salute, costituzionalmente garantito) e non di "danno alla salute", lasciando al termine "danno" l'accezione naturalistica che di regola, assume in sede privatistica. Tale lesione, come si è detto, è l'essenza antigiuridica dell'intero fatto realizzativo del danno biologico. Se, peraltro, si desideri continuare a parlare di "danno alla salute" occorre, per evitare equivoci, precisare che, con tale locuzione, o si usa il termine salute nel significato naturalistico d'integrità fisio - psichica del soggetto offeso (ed in questo caso danno alla salute è il perfetto equivalente di "danno biologico" o di "danno fisiologico") oppure si usa il termine salute nella dimensione giuridico - costituzionale innanzi indicata, di bene giuridico, ed in tal caso il "danno alla salute" è un danno giuridicamente valutato, costituente l'essenza antigiuridica dell'intero fatto illecito, danno presunto, se è vero che non va provato alcun effettivo impedimento delle attività realizzative del soggetto offeso.

6. - Tenuto conto di quanto ora precisato, mentre il danno biologico risulta nettamente distinto dal danno morale subiettivo, ben può applicarsi l'art. 2059 c.c., ove dal primo (e cioè dalla lesione alla salute) derivi, come conseguenza ulteriore (rispetto all'evento della menomazione delle condizioni psico - fisiche del soggetto offeso) un danno morale subiettivo.

Ciò sempreché il fatto realizzativo del danno biologico costituisca anche reato.

7. - Se nell'ordinamento non esistessero altre norme o non fossero rinvenibili altri principi relativi al danno biologico e, pertanto, quest'ultimo fosse risarcibile solo ai sensi dell'art. 2059 c.c. e cioè, salve pochissime altre ipotesi, soltanto nel caso che il fatto costituisca (anche) reato e relativamente ai soli (conseguenti) danni morali subiettivi, si porrebbe certamente il problema della costituzionalità dell'art. 2059 c.c. Come lo stesso problema si porrebbe ove, allargando l'ambito di comprensione della nozione di danno non patrimoniale, fino ad includere nella medesima ogni tipo di lesione d'un bene non patrimoniale, si ritenesse che il risarcimento del

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danno alla salute fosse riconducibile esclusivamente al combinato disposto degli artt. 2059 c.c. e 185, secondo comma, c.p. L'art.32 Cost., come si preciserà meglio oltre, verrebbe vanificato da una normativa ordinaria che riconducesse il danno alla salute ai soli artt. 2059 c.c. e 185 c.p.

8. - Esiste, tuttavia, certamente, altra strada per adeguatamente soddisfare le esigenze poste dalla giurisprudenza in ordine al danno biologico.

Va, tuttavia, in particolare, rilevato che gravi problemi nascono, nel momento in cui le prevalenti giurisprudenza e dottrina riconducono il danno biologico all'art. 2043 c.c. La scelta legislativa di cui all'art. 2059 c.c. getta luce (od ombre) sull'art. 2043 c.c.: non ci si può, infatti, senza necessari approfondimenti, sbarazzare della scelta legislativa chiaramente espressa dall'art. 2059 c.c. e ricondurre senz'altro all'art. 2043 c.c. il risarcimento del danno biologico.

9. - Il problema dei rapporti, in tema di responsabilità civile extracontrattuale, tra una norma generale ed una particolare, relativa (quest'ultima) al danno morale subiettivo, si pose, in tempi anteriori al vigente codice civile e, pertanto, prima dell'emanazione dell'art. 2059 c.c., tra l'art. 1151 dell'abrogato codice civile e la riparazione pecuniaria, di cui ai già citati artt. 38 del codice penale del 1889 e 7 del codice di procedura penale del 1913. Si pose, dopo il 1930 e prima del 1942, il quesito se l'obbligo di risarcire i danni morali (e non patrimoniali) trovasse la sua ragion d'essere nel principio generale stabilito dall'art. 1151 dell'allora vigente codice civile o soltanto nell'art. 185, secondo comma, c.p. Si chiarì, da autorevole dottrina, che, essendo il principio generale del risarcimento del danno sancito dal precitato art. 1151 c.c. e, comprendendo concettualmente tale danno sia il danno patrimoniale sia quello non patrimoniale, il risarcimento di quest'ultimo discendeva appunto dall'art. 1151 c.c. Si aggiunse essere stata la riparazione pecuniaria (immediato precedente dell'art. 2059 c.c.) di cui agli artt. 38 del codice penale del 1889 e 7 del codice di procedura penale del 1913 (provvedendo essa alla riparazione dei danni morali) a sottrarre questi ultimi dalla comprensione dell'art. 1151 c.c. e, pertanto, a ridurre l'applicabilità dello stesso articolo al solo risarcimento del danno patrimoniale; con l'emanazione del vigente codice penale, riferendosi l'art. 185 c.p. a tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, ed essendo stata abrogata la riparazione pecuniaria, il più volte citato art. 1151 c.c., secondo la ricordata dottrina, aveva ripreso l'estensibilità di cui era capace, riferendosi a tutte le specie di danni.

Certo, anche il vigente art. 2043 c.c. (che corrisponde all'art. 1151 dell'abrogato c.c.) ove non esistesse altra disposizione relativa ai danni non patrimoniali (a parte, per un momento, il sistema di cui al titolo IX del libro IV del c.c.) potrebbe ritenersi estensibile a tutte le specie di danni: ma l'art. 2059 c.c., operando una precisa scelta, sancendo che i danni non patrimoniali, corrispondenti ai soli danni morali subiettivi, vanno risarciti in ben precisati limiti e cioè solo nei casi determinati dalla legge, non soltanto esclude, almeno nelle intenzioni del legislatore del 1942, la risarcibilità di altri danni non patrimoniali ma sottrae questi ultimi alla comprensione dell'art. 2043 c.c. Se a ciò s'aggiunge il sistema del titolo IX del libro IV del codice civile, s'intende appieno che l'interpretazione letterale del solo art. 2043 c.c. non può, senza approfondite considerazioni, tranquillizzare in ordine al riferimento al danno biologico, che lede pur sempre un bene immateriale, dell'articolo in discussione.

10. - Gli sforzi della dottrina e della giurisprudenza, ai fini d'inquadramento sistematico del danno biologico, si sono infatti, coerentemente orientati verso una lettura dell'art. 2043 c.c. diversa da quella tradizionale: il problema del danno biologico si è, in definitiva, risolto nel problema d'una particolare lettura dell'art. 2043 c.c. Soltanto la tesi (oggi, peraltro, quasi del tutto respinta) secondo la quale, poiché l'integrità psico - fisica dell'uomo è sempre impiegata per realizzare attività volte all'acquisizione od alla conservazione di beni patrimoniali, la stessa

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integrità costituisce bene patrimoniale e, conseguentemente, ogni riduzione della medesima realizza un deficit patrimoniale, lascia inalterata la lettura tradizionale dell'art. 2043 c.c. Allorché, invece, si è sostenuto rientrare il danno biologico nella categoria dei danni economici (questi sarebbero caratterizzati dall'obiettiva e diretta valutabilità in danaro) ed allorché si è assunto che lo stesso danno consiste nell'effetto dannoso della lesione dell'integrità psico - fisica del soggetto offeso, che rende il medesimo incapace, anche solo in parte, di ricevere utilità dalla propria attività o dal mondo esterno, si è offerta, in definitiva, nel sottoporre a revisione la nozione di danno, una lettura dell'art. 2043 c.c. diversa da quella tradizionale.

11. - Sennonché, soltanto il collegamento tra l'art. 32 Cost. e l'art. 2043 c.c., come si dirà meglio oltre, imponendo una lettura "costituzionale" di quest'ultimo articolo, consente di interpretarlo come comprendente il risarcimento, in ogni caso, del danno biologico: è la lettura "costituzionale" dello stesso articolo, correlato con l'art. 32 Cost., che soddisfa le esigenze sottostanti a tutte le tesi proposte in materia.

Va, intanto, precisato che in questo giudizio è stato invocato l'art. 32, primo comma, Cost., quale parametro di riferimento delle questioni di costituzionalità relative all'art. 2059 c.c. (nell'ordinanza del Tribunale di Padova, promotrice del procedimento concluso con sentenza di questa Corte n. 87 del 26 luglio 1979, erano stati invocati, invece, quale fondamento della richiesta dichiarazione d'incostituzionalità dello stesso art. 2059 c.c., gli artt. 3 e 24 Cost.) e che, conseguentemente, soltanto in questo giudizio, e non in quello concluso con la predetta sentenza, è consentito (e doveroso) rivolgere particolare attenzione all'art. 32, primo comma, Cost.

D'altra parte, da un canto la sentenza ora citata, nel dichiarare rientrante nella discrezionalità del legislatore adottare trattamenti differenziati in relazione alle differenti situazioni, per presupposti e gravità, del fatto costituente reato e del fatto dannoso integrante esclusivamente illecito civile, esclude dalla predetta discrezionalità le "situazioni soggettive costituzionalmente garantite", dall'altro, la sentenza di questa Corte n. 88 del 1979, nel riaffermare che il bene afferente alla salute è tutelato, come diritto fondamentale della persona, direttamente dalla Costituzione, dichiara che la violazione di tal diritto, nel costituire illecito civile, determina, per sè, il sorgere dell'obbligazione riparatoria.

La lettera del primo comma dell'art. 32 Cost., che non a caso fa precedere il fondamentale diritto della persona umana alla salute all'interesse della collettività alla medesima, ed i precedenti giurisprudenziali, inducono a ritenere sicuramente superata l'originaria lettura in chiave esclusivamente pubblicistica del dettato costituzionale in materia.

12. - Il riconoscimento del diritto alla salute come diritto pienamente operante anche nei rapporti di diritto privato, non è senza conseguenza in ordine ai collegamenti tra lo stesso art. 32, primo comma, Cost. e l'art. 2043 c.c.

L'art. 2043 c.c. è una sorta di "norma in bianco": mentre nello stesso articolo è espressamente e chiaramente indicata l'obbligazione risarcitoria, che consegue al fatto doloso o colposo, non sono individuati i beni giuridici la cui lesione è vietata: l'illiceità oggettiva del fatto, che condiziona il sorgere dell'obbligazione risarcitoria, viene indicata unicamente attraverso l'"ingiustizia" del danno prodotto dall'illecito. È stato affermato, quasi all'inizio di questo secolo (l'osservazione era riferita all'art. 1151 dell'abrogato codice civile ma vale, ovviamente, anche per il vigente art. 2043 c.c.) che l'articolo in esame "contiene una norma giuridica secondaria, la cui applicazione suppone l'esistenza d'una norma giuridica primaria, perché non fa che statuire le conseguenze dell'iniuria, dell'atto contra ius, cioè della violazione della norma di diritto obiettivo".

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Il riconoscimento del diritto alla salute, come fondamentale diritto della persona umana, comporta il riconoscimento che l'art. 32 Cost. integra l'art. 2043 c.c., completandone il precetto primario.

È il collegamento tra gli artt. 32 Cost. e 2043 c.c. che ha permesso a questa Corte d'affermare che, dovendosi il diritto alla salute certamente ricomprendere tra le posizioni subiettive tutelate dalla Costituzione, "non sembra dubbia la sussistenza dell'illecito, con conseguente obbligo della riparazione, in caso di violazione del diritto stesso". L'ingiustizia del danno biologico e la conseguente sua risarcibilità discendono direttamente dal collegamento tra gli artt. 32, primo comma, Cost. e 2043 c.c.; più precisamente dall'integrazione di quest'ultima disposizione con la prima.

13. - Senonché, leggendo l'art. 2043 c.c. nel sistema dell'intero titolo IX del libro IV del codice civile, il danno biologico dovrebbe ritenersi risarcibile soltanto quando il medesimo produca danni patrimoniali, comunque intesi.

È ben vero che l'interpretazione letterale del solo art. 2043 c.c., che non menziona la patrimonialità delle conseguenze dannose risarcibili ma fa espresso riferimento esclusivamente all'ingiustizia del danno, potrebbe condurre, come ha sostenuto una parte della giurisprudenza, a ritenere il danno biologico rientrante, quale species, nel genus "danno ingiusto": l'interpretazione letterale del solo art. 2043 c.c. non può, tuttavia, prevalere sull'interpretazione sistematica dello stesso articolo, nel quadro dell'intero titolo IX del libro IV del codice civile.

Ed è per queste ragioni che ad altra parte della dottrina e della giurisprudenza non è restato che allargare la nozione di danno ex art. 2043 c.c., fino a comprendere tutte le menomazioni direttamente ed obiettivamente valutabili in danaro (e quindi anche il danno biologico) oppure assumere quest'ultimo come comprensivo di tutti i pregiudizi che riducono la capacità del soggetto a produrre e ricevere utilità derivanti dalla sua attività o dal mondo esterno.

Tuttavia, il danno biologico, come s'è già avvertito, è, in ogni caso, un tipo di fatto (menomazione dell'integrità psico - fisica del soggetto) ed un tipo di lesione della salute, sempre presente, nel doloso o colposo illecito realizzativo della predetta menomazione. Tale tipo di fatto e di lesione non vanno in alcun modo confusi con l'eventuale presenza, in concreto, di danni patrimoniali od economici, conseguenti al fatto ed alla lesione ora specificati. Basterebbe, ancora una volta, ribadire che uno speciale tipo di danno ed uno specifico bene tutelato, leso da un fatto tipico (la predetta menomazione) non possono confondersi con una categoria generale di danni che conseguono, eventualmente (ed in ogni caso devono esser provati) al danno biologico, sempre presente, invece, nella predetta menomazione e sempre lesivo, senza bisogno di alcuna prova, del bene - giuridico salute.

Certo, la lesione della salute non coincide con la lesione di un arto o, in generale, dell'integrità fisio - psichica, per sè considerata (si è già avvertito che tale lesione è l'evento naturalistico del fatto offensivo del bene giuridicamente tutelato - salute: e l'evento naturalistico, per sè, avulso dal significato giuridico dell'intero fatto, del quale è elemento, non ha significato). Ma non è neppur vero che la lesione dell'arto o della generale integrità bio - psichica venga perseguita, attraverso il risarcimento ex art. 2043 c.c., solo se e nei limiti in cui rende, in concreto, il soggetto passivo dell'illecito incapace, in tutto od in parte, di produrre o ricevere le utilità derivanti dal mondo esterno o dalla sua attività. E l'ingiustizia (lesione del diritto alla salute) insita nel fatto menomativo dell'integrità bio - psichica, il fondamento giuridico del risarcimento del danno biologico ed eventualmente, ove esistano, anche di altre conseguenze dannose. Non è, l'esistenza, in concreto, di conseguenze dannose (quali che siano) a costituire il fondamento

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dell'ingiustizia del fatto illecito e, pertanto, anche della menomazione bio - psichica. In tanto le ulteriori (oltre l'evento) conseguenze dannose sono rilevanti e risarcibili in quanto, prima, già esiste un'ingiustizia dell'illecito (determinata dalla violazione della norma primaria desunta dal combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c.) ed una lesione, presunta, del bene - giuridico salute.

14. - Né vale sostenere che, allorché s'identifichi il danno con l'illecito, il risarcimento perde la sua funzione risarcitoria per assumere la natura di pena privata. Anzitutto, il danno non s'identifica con l'illecito; questo (che, peraltro naturalisticamente considerato, non ha il benché minimo significato) intanto sostanzia e concreta la lesione al bene giuridico - salute in quanto è oggettivamente antigiuridico, è in contrasto con il divieto primario (di cui al combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c.) che lo investe d'un autonomo disvalore giuridico.

Precipuo compito della norma di diritto privato è, appunto, la tutela di tipici beni, di specifici interessi, costituenti l'oggetto garantito dal predetto divieto primario. Si osservi: antiche, consolidate indagini di teoria generale, nel distinguere l'illecito civile extracontrattuale dagli illeciti di diritto pubblico, hanno sostenuto che, violando sempre il fatto antigiuridico un duplice ordine di interessi, immediati (diretti) e mediati (indiretti), l'illecito civile extracontrattuale viene considerato dall'ordinamento soprattutto in funzione della lesione di interessi immediati (oggetto sostanziale specifico: ad esempio, nel nostro caso, la salute, come bene del privato) a differenza dell'illecito di diritto pubblico, riguardato dallo stesso ordinamento precipuamente in funzione della lesione di interessi mediati (danno o pericolo sociali ecc.). Ed allorché il fatto oggettivamente antigiuridico costituisce anche reato, la doppia conseguenza giuridica è il più evidente segno del diverso profilo dal quale viene considerato il medesimo illecito: come precipuamente lesivo dell'interesse specifico immediato o come principalmente lesivo di interessi sociali indiretti. Il risarcimento del danno, sanzione riparatoria (appartenente alla categoria delle sanzioni esecutive del precetto primario) tendendo a ripristinare l'equilibrio tra gli interessi privati in gioco, segue alla violazione della norma di diritto privato e, pertanto, soprattutto alla lesione dell'oggetto specifico, immediatamente garantito dalla stessa norma; la pena (appartenente alla categoria delle sanzioni punitive, nettamente distinte dalle esecutive), tendendo, invece, a principalmente rieducare il reo od a riaffermare l'autorità statale ed a prevenire i pericoli sociali indiretti (recidiva, vendetta privata ecc.) consegue alla violazione della norma di diritto penale e, pertanto, soprattutto, alla lesione degli oggetti giuridici mediati, garantiti precipuamente dalla norma penale.

È si ripete, prevalente scopo del divieto primario, in sede di responsabilità civile extracontrattuale, garantire i beni immediati, specifici, tipicamente individuati dal medesimo: nella specie, la salute come bene individuale del privato, a parte i conseguenti, eventuali danni patrimoniali.

Certo, la strada per rileggere tutto il sistema del codice civile alla luce della Costituzione e per ricondurre l'illecito civile, pur nelle innegabili specificità, ai principi generali dell'illecito giuridico è, forse, ancora lunga: le teorie e la giurisprudenza che allargano l'ambito di operatività dell'art. 2043 c.c. ai danni economici (misurabili direttamente ed obiettivamente in moneta) che comprendono ma non esauriscono i danni patrimoniali in senso stretto o che si riferiscono all'incidenza del danno biologico sulle attività extralavorative non retributive, meritano, nella previsione di tale strada, particolare attenzione.

15. - Va, infatti, riconosciuto che, pur essendo, come s'è detto, il danno biologico nettamente distinto dal danno patrimoniale od economico; pur assumendo un ruolo autonomo sia in relazione al lucro cessante da invalidità lavorativa (temporanea o permanente) in concreto

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incidente sulla capacità di guadagno del danneggiato sia nei confronti del danno morale in senso stretto; pur essendo sempre presente nell'avvenuta menomazione psico - fisica, e sempre risarcito, a differenza delle due voci (eventuali) del (predetto) lucro cessante e del danno morale subiettivo; da una parte il risarcimento del danno biologico costituisce un primo, essenziale, prioritario risarcimento, che ne condiziona ogni altro e, pertanto, anche quello del preindicato lucro cessante (non vi può esser risarcimento di danni patrimoniali derivanti da fatto illecito lesivo della salute senza il necessariamente preliminare risarcimento del danno biologico); e dall'altra parte, la ragione per la quale è vietato causare menomazioni dell'integrità psico - fisica (ossia la tutela delle manifestazioni della vita ordinaria, del soggetto passivo del fatto, sia lavorativa che extralavorativa) è quella stessa che fonda la risarcibilità del danno patrimoniale Una sola è, invero, la ratio del combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c.

16. - Va a questo punto, tuttavia, sottolineato che l'attenzione al solo art. 2043 c.c., anche in una lettura aggiornata, secondo nuove nozioni di danno economico e di patrimonio, non sembra sufficiente a rendere piena efficacia all'art. 32 Cost. ed ai nuovi valori prospettati dalla Costituzione. Il combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c. importa una rilettura costituzionale di tutto il sistema codicistico dell'illecito civile.

L'interpretazione giudiziaria ha già iniziato la revisione di alcune nozioni tradizionali; dall'esperienza giudiziaria sono nati il danno alla vita di relazione, il danno alla sfera sessuale, il danno estetico non concretamente incidente sulla capacità di guadagno, ecc. e sono state prese in considerazione, ad esempio, le ipotesi di piccole invalidità permanenti non influenti sul reddito del soggetto nonché quelle relative a periodi di malattia temporanea durante la quale il lavoratore ha continuato a percepire l'intera retribuzione. Tutto ciò ha costituito Ìimmediato "precedente" giurisprudenziale del danno biologico.

Il fatto che le esigenze innovatrici siano partite dall'esperienza, ispirata ai valori, personali, esplicitamente garantiti dalla Carta costituzionale, è garanzia di verità delle medesime, anche se lasciano ancora la dottrina incerta in ordine alla strada da intraprendere per raggiungere l'esatta risposta alle stesse esigenze.

17. - Ed è appunto il clima creato dalla Costituzione che rende necessario ricondurre l'illecito civile ai principi ed alle regole della teoria generale dell'illecito.

In tempi nei quali non erano prospettate ipotesi di specifici interessi garantiti anche nei rapporti tra privati, ritenendosi il danno ex art. 2043 c.c. limitato al danno emergente ed al lucro cessante (e cioè alla lesione direttamente od indirettamente incidente sul patrimonio del danneggiato) si è individuato un principio, valido in sede di responsabilità extracontrattuale, secondo il quale il danno si sostanzia esclusivamente nelle conseguenze patrimoniali (e non) dell'illecito. Gli interessi sostanziali, a tutela dei quali s'impone l'obbligazione risarcitoria, passavano in secondo piano: nessuno avvertiva il bisogno d'esplicitarli; e, data, da un canto, la conclamata atipicità dell'illecito civile e dall'altro la facilità della prova del danno emergente e del lucro cessante, ogni indagine s'incentrava sull'obbligazione risarcitoria d'un danno patrimoniale (o non) comunque da provare, di volta in volta, conseguente all'illecito.

Venute, invece, in rilievo esigenze di tutela, anche in sede di diritto privato, di specifici valori, determinati soprattutto dalla vigente Costituzione, valori personali, prioritari, non tutelabili, neppure in sede di diritto privato, soltanto in funzione dei danni patrimoniali (e non) conseguenti all'illecito, occorre fare un passo ulteriore, rompere lo schema dell'esistenza, in tema di responsabilità civile extracontrattuale, soltanto di danni - conseguenze, in senso stretto, e incentrando l'attenzione sul divieto primario violato dall'illecito extracontrattuale (e in

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particolare sui valori tutelati, lesi da quest'ultimo) chiarire gli effetti che il bene tutelato dal divieto primario opera sul precetto secondario del risarcimento del danno. È la natura (il valore, il significato giuridico) del bene garantito che, riverberandosi sul precetto secondario, lo condiziona, sottraendolo, ove del caso, ad arbitrarie determinazioni del legislatore ordinario.

18. - Va dato atto ad una parte autorevole della dottrina d'aver intuito che, anche se l'art. 32 Cost. non contempla espressamente il risarcimento, in ogni caso, del danno biologico, è dallo stesso articolo che può desumersi, in considerazione dell'importanza dell'enunciazione costituzionale del diritto alla salute come diritto fondamentale del privato, la difesa giuridica che tuteli nella forma risarcitoria il bene della salute personale.

Ciò non è, tuttavia, riferibile alla norma di cui all'art. 2059 c.c. (stante l'interpretazione limitativa che, come si è ricordato, il diritto vivente dà di quest'ultimo articolo) ma va ricondotto alla norma risultante dal combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c., giacché lo stesso diritto vivente quest'ultimo articolo ritiene, direttamente od indirettamente, applicabile al risarcimento del danno biologico.

V'è da sottolineare che, mentre chi ritiene direttamente applicabile al danno biologico l'art. 2043 c.c., non affronta la problematica relativa all'interpretazione dello stesso articolo alla luce del sistema di cui al titolo IX del libro IV del codice civile, e, fermandosi, alla sola interpretazione letterale dell'articolo in esame, riconduce, come s'è rilevato, al genere "danno ingiusto" anche la specie "danno biologico", chi, invece, è dell'avviso che né l'art. 2059 c.c. né l'art. 2043 c.c. siano direttamente applicabili al risarcimento del danno biologico, ravvisa nel sistema della legislazione civile un principio generale costituito dalla previsione d'una sanzione risarcitoria come conseguenza della lesione d'una situazione giuridica subiettiva e, pertanto, applica l'art. 2043 c.c., espressione anch'esso di tal principio, al danno biologico per analogia iuris.

Va qui, a parte ogni altra considerazione, in ogni caso rimarcato che è l'art. 32 Cost. che, collegato all'art. 2043 c.c., fa sì che quest'ultimo non possa essere interpretato come applicantesi esclusivamente al danno patrimoniale od al danno economico derivanti dalla menomazione psico - fisica: questi danni, come si è notato, sono soltanto ulteriori ed eventuali conseguenze della lesione del bene - giuridico salute, prodotta dall'intero fatto lesivo, compreso, ovviamente, l'evento della menomazione bio - psichica.

Poiché, come si è già notato, l'art. 2043 c.c., a parte l'indicazione della iniuria, attiene a conseguenze sanzionatorie di un illecito e poiché la sanzione deve esser adeguata a quest'ultimo ed idonea a validamente compensare l'offesa al bene tutelato, realizzata dall'illecito stesso, l'articolo in esame va correlato alla disposizione che prevede il bene giuridico tutelato attraverso la posizione del divieto primario.

L'art. 2043 c.c., correlato ad articoli che garantiscono beni patrimoniali, non può che esser letto come tendente a disporre il solo risarcimento dei danni patrimoniali (in senso stretto): è per questi motivi che, essendo il diritto privato orientato per il passato, almeno prevalentemente, alla tutela di beni patrimoniali, lo stesso articolo è stato dal legislatore volto alla tutela di soli beni patrimoniali e dalla dottrina letto nel senso voluto dal legislatore del 1942.

La vigente Costituzione, garantendo principalmente valori personali, svela che l'art. 2043 c.c. va posto soprattutto in correlazione agli articoli dalla Carta fondamentale (che tutelano i predetti valori) e che, pertanto, va letto in modo idealmente idoneo a compensare il sacrificio che gli stessi valori subiscono a causa dell'illecito. L'art. 2043 c.c., correlato all'art. 32 Cost., va, necessariamente esteso fino a comprendere il risarcimento, non solo dei danni in senso stretto

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patrimoniali ma (esclusi, per le ragioni già indicate, i danni morali subiettivi) tutti i danni che, almeno potenzialmente, ostacolano le attività realizzatrici della persona umana. Ed è questo il profondo significato innovativo della richiesta di autonomo risarcimento, in ogni caso, del danno biologico: tale richiesta contiene un implicito, ma ineludibile, invito ad una particolare attenzione alla norma primaria, la cui violazione fonda il risarcimento ex art. 2043 c.c., al contenuto dell'iniuria, di cui allo stesso articolo, ed alla comprensione (non più limitata, quindi, alla garanzia di soli beni patrimoniali) del risarcimento della lesione di beni e valori personali.

19. - Se è vero che l'art. 32 Cost. tutela la salute come diritto fondamentale del privato, e se è vero che tale diritto è primario e pienamente operante anche nei rapporti tra privati, allo stesso modo come non sono configurabili limiti alla risarcibilità del danno biologico, quali quelli posti dall'art. 2059 c.c., non è ipotizzabile limite alla risarcibilità dello stesso danno, per sè considerato, ex art. 2043 c.c.

Il risarcimento del danno ex art. 2043 è sanzione esecutiva del precetto primario: ed è la minima (a parte il risarcimento ex art. 2058 c.c.) delle sanzioni che l'ordinamento appresta per la tutela d'un interesse

Quand'anche si sostenesse che il riconoscimento, in un determinato ramo dell'ordinamento, d'un diritto subiettivo non esclude che siano posti limiti alla sua tutela risarcitoria (disponendosi ad esempio che non la lesione di quel diritto, per sè, sia risarcibile ma la medesima purché conseguano danni di un certo genere) va energicamente sottolineato che ciò, in ogni caso, non può accadere per i diritti e gli interessi dalla Costituzione dichiarati fondamentali. Il legislatore ordinario, rifiutando la tutela risarcitoria (minima) a seguito della violazione del diritto costituzionalmente dichiarato fondamentale, non lo tutelerebbe affatto, almeno nei casi esclusi dalla predetta tutela. La solenne dichiarazione della Costituzione si ridurrebbe ad una lustra, nelle ipotesi escluse dalla tutela risarcitoria: il legislatore ordinario rimarrebbe arbitro dell'effettività della predetta dichiarazione costituzionale. Con l'aggravante che, mentre il combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c. porrebbe il divieto primario, generale, di ledere la salute, il fatto lesivo della medesima, per il quale non è previsto dalla legge ordinaria il risarcimento del danno, o, assurdamente, impedirebbe al precetto primario d'applicarsi (il risarcimento del danno rientra, infatti, nelle sanzioni che la dottrina definisce esecutive) o dovrebbe ritenersi giuridicamente del tutto irrilevante.

Dalla correlazione tra gli artt. 32 Cost. e 2043 c.c., è posta, dunque, una norma che, per volontà della Costituzione, non può limitare in alcun modo il risarcimento del danno biologico.

20. - Un'ultima osservazione: alle conclusioni ora indicate si può opporre il timore d'un'eccessiva uniformità di determinazione e liquidazione del danno biologico.

Va precisato che non si è inteso qui proporre un'assolutamente indifferenziata, per identiche lesioni, determinazione e liquidazione di danni: ed in proposito è da ricordare la recente giurisprudenza di merito che assume il predetto criterio liquidativo dover risultare rispondente da un lato ad un'uniformità pecuniaria di base (lo stesso tipo di lesione non può essere valutato in maniera del tutto diversa da soggetto a soggetto: è, infatti, la lesione, in sè e per sè considerata, che rileva, in quanto pregna del disvalore giuridico attribuito alla medesima dal divieto primario ex artt. 32 Cost. e 2043 c.c.) e dall'altro ad elasticità e flessibilità, per adeguare la liquidazione del caso di specie all'effettiva incidenza dell'accertata menomazione sulle attività della vita quotidiana, attraverso le quali, in concreto, si manifesta l'efficienza psico - fisica del soggetto danneggiato.

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21. - La precedente disamina conduce a ribadire conclusivamente che, oltre alla voce relativa al risarcimento, per sè, del danno biologico, ove si verifichino, a seguito del fatto lesivo della salute, anche danni - conseguenze di carattere patrimoniale (esempio lucro cessante) anch'essi vanno risarciti, con altra autonoma voce, ex artt. 32 Cost. e 2043 c.c. Così, ove dal fatto in discussione derivino danni morali, subiettivi, i medesimi, in presenza, nel fatto, anche dei caratteri del reato, vanno risarciti ex art. 2059 c.c.

Il cumulo tra le tre voci di danno, pur generando pericoli di sperequazioni (i soggetti che percepiscono un attuale reddito lavorativo hanno diritto a richiedere una voce di danno in più) dovrebbe consigliare cautela nella liquidazione dei danni in esame, onde evitare da un canto duplicazioni risarcitorie e dall'altro gravi sperequazioni nei casi concreti.

22. - Tutto quanto innanzi rilevato chiarisce, che, pur partendo da diverse interpretazioni dell'art. 2043 c.c., la giurisprudenza e la dottrina, nella assoluta maggioranza, non soltanto ritengono il danno biologico compreso e disciplinato dal predetto articolo ma indicano in quest'ultimo la disposizione, di carattere generale, che consente la risarcibilità, senza alcuna limitazione, del precitato danno. Non v'è dubbio, pertanto, che i risultati ai quali pervengono le prevalenti giurisprudenza e dottrina, dalle pur diverse interpretazioni dell'art. 2043 c.c., coincidono; e non v'è dubbio, pertanto, che esiste, in materia, un diritto vivente al quale questa Corte si richiama.

Le precisazioni qui offerte in ordine alle norme, primaria e secondaria, che si ricavano, nel vigente sistema desunto anche dalle disposizioni costituzionali, dal combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c. conducono agli stessi risultati.

Poiché le ordinanze di rimessione chiedono la dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c., nella parte in cui prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla lesione del diritto alla salute soltanto in conseguenza di reato; poiché qui si è preso atto del diritto vivente, per il quale l'art. 2059 c.c. attiene esclusivamente ai danni morali subiettivi e non esclude che altre disposizioni prevedano la risarcibilità, in ogni caso, del danno biologico, per sè considerato; poiché lo stesso diritto vivente individua nell'art. 2043 c.c., in relazione all'art. 32 Cost., la disposizione che disciplina la risarcibilità, per sè, in ogni caso, del danno biologico; mentre va dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale, così come prospettata, dell'art. 2059 c.c., va dato atto che il combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c., consente la risarcibilità, in ogni caso, del danno biologico.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi proposti con le ordinanze dell'8 ottobre 1979 del Tribunale di Genova e del 4 dicembre 1981 del Tribunale di Salerno;

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c., sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 24, primo comma e 32, primo comma, Cost., dalle predette ordinanze.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 giugno 1986.

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