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Documentario Takumi – Una Storia lunga 60.000 ore per la Sopravvivenza della Maestria Artigianale Press Pack Marzo 2019
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Documentario

Takumi – Una Storia lunga 60.000 ore per la Sopravvivenza della Maestria Artigianale

Press Pack Marzo 2019

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Contenuti

1. Comunicato Stampa (p3-4)2. Panoramica del Documentario (p5-7)3. Biografie e Interviste:

a. Clay Jeter, Regista (p8-10)b. Shigeo Kiuchi, Carpentiere, Kongo Gumi (p11-14)c. Hisato Nakahigashi, Head Chef, Miyamasou (p15-17)d. Nahoko Kojima, Paper Cut Artist (p18-21)e. Katsuaki Suganuma – Inspection Takumi presso lo stabilimento

Tahara di Lexus (p22-23)f. Biografie di altri esperti e del narratore (p30-31)

Appendice: a) Hideya Kojima, Engine Assembly Takumi presso lo stabilimento Tahara

di Lexus (p24-25)b) Osamu Tanaka, Paint Takumi presso lo stabilimento Tahara di Lexus

(p26-27)c) Katsumi Kobayashi, Assembly Takumi presso lo stabilimento Tahara di

Lexus (p28-29)

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Comunicato Stampa

LEXUS PRESENTA "60,000 - HOUR STORY ON THE SURVIVAL OF HUMAN CRAFT": IL PRIMO DOCUMENTARIO

SUI MAESTRI ARTIGIANI TAKUMI ‘Takumi Living’: un documentario che racconta il mondo dei

Takumi, affronta il tema delle arti manuali e il rischio della loro scomparsa per la diffusione e l'uso dell' intelligenza artificiale

60.000: il numero di ore necessarie per diventare un Takumi, il massimo livello di maestria artigianale

Il documentario è disponibile nella versione ridotta da 54 minuti e in quella 60.000 ore

Distribuito sulle piattaforme Amazon Prime Video, Amazon Instant, Google Play e iTunes, oltre che sul sito www.takumi-craft.com

Nel mondo occidentale è giudizio comune che una persona necessiti di 10.000 ore di studio per ritenersi esperta di una materia. In Giappone invece non si viene considerati maestri di un’arte fino a che non si raggiungano 60.000 ore di affinamento delle proprie abilità, l’equivalente di 8 ore di lavoro quotidiane, per 250 giorni l’anno, nell’arco di 30 anni.

Lexus presenta un affascinante documentario che svela il mondo dei Takumi, la più alta carica giapponese in fatto di

maestria artigianale. L'opera, diretta da Clay Jeter, regista di Chef’s Table, è distribuita a livello globale su Prime

Video attraverso il servizio Prime Video Direct.

"Takumi - A 60,000-hour story on the survival of human craft" ripercorre le storie di quattro artigiani giapponesi

che dedicano la vita alle rispettive arti: uno chef, titolare di un ristorante a due stelle Michelin; un’artista di Paper

Cutting tradizionale; un maestro artigiano del settore Automotive e un carpentiere proveniente da una delle aziende

edili più antiche del mondo.

Il documentario, presentato in anteprima al DOC NYC Film Festival di New York, è unico nel suo genere. Sarà inoltre prodotta una versione integrale e il montaggio 60.000 ore, con la sequenza delle immagini di ciascun artigiano Takumi al lavoro, in cui sarà possibile osservare le azioni che questi maestri

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ripetono continuamente, per sottolineare le ore, i giorni e gli anni di lavoro necessari per padroneggiare queste pratiche.

Narrato dall’ex direttore del British Museum Neil Macgregor e contenente interviste ai migliori esperti nel campo dell’artigianato e dell’Intelligenza Artificiale, il documentario pone il quesito sul modo in cui riusciremo in futuro a rispettare e preservare la cultura dell’artigianato in un mondo dove, allo stesso tempo, progettiamo macchine capaci di agire in maniera più precisa e più rapida rispetto agli esseri umani.

Nora Atkinson, Curatrice dello Smithsonian American Art Museum: “Nell’epoca in cui viviamo, caratterizzata da un deficit di attenzione globale e persistente, ci sentiamo tutti come se non avessimo mai abbastanza tempo. Le migliaia di ore di lavoro e di preparazione necessarie a diventare un maestro Takumi rappresentano quindi un’esperienza che sempre meno persone riusciranno a portare a termine.”

Gli esperti prevedono che entro il 2050 le macchine saranno capaci di superare le capacità umane, in ogni campo e settore. Martin Ford, autore del libro Rise of The Robots: Technology and The Threat of a Jobless Future: “Ci troviamo nel bel mezzo di un progresso esponenziale.” Lo scrittore sostiene inoltre che quello attuale è un ritmo di trasformazione che il mondo non ha mai conosciuto prima: “Nei prossimi 10 anni vivremo l’equivalente di 10.000 anni di progresso.”

Quando le Intelligenze Artificiali supereranno le capacità dell’essere umano, sarà forse la fine dell’artigianato così come lo conosciamo oggi? Oppure questo fatidico passaggio consentirà la sopravvivenza della nostra cultura, che quindi diventerà ancora più preziosa? Questo documentario mira a scoprire in che modo evolverà il viaggio verso l’eccellenza, in un mondo che appare sempre più alla ricerca di scorciatoie.

Nahoko Kojima, Paper Cut artist e una delle protagoniste del documentario: “L’essenza di un Takumi è riuscire a ottenere una conoscenza profonda di tutte le sfumature di un’arte particolare. È concentrazione, trascorrere ore ed ore su un unico progetto, andando avanti senza mai fermarsi. È necessario liberare la propria mente e focalizzarsi in un modo che è semplicemente impossibile ottenere durante l’apprendimento di un’arte.”

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Spiros Fotinos, Head of Global Brand di Lexus International: “Il concetto di Takumi è il nucleo fisico e filosofico che Lexus porta avanti da 30 anni. I nostri maestri Takumi hanno alle spalle oltre 60.000 ore (più di 30 anni) di esperienza nello sviluppo delle loro arti. Per festeggiare il trentennale del nostro brand, abbiamo deciso di racchiudere l’essenza della maestria Takumi, e del loro viaggio lungo 60.000 ore, all’interno di un documentario.”

La versione da 54 minuti e quella 60.000 ore sono disponibili sul sito www.takumi-craft.com, dove il pubblico potrà immergersi nella dedizione e nell’impegno necessari per raggiungere i più elevati livelli di maestria.

Il documentario, realizzato da The&Partnership London, è distribuito sulle piattaforme Amazon Prime Video, Amazon Instant, Google Play e iTunes.

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Lanciata nel 1989 a livello mondiale, e nel 1993 in Italia, Lexus è attualmente è presente in 90 Paesi. Si è imposta all’attenzione del mondo grazie al design distintivo delle sue auto, all’ innovazione  garantita dalla tecnologia Full Hybrid Electric,  alla sicurezza offerta di serie con il  Lexus

Safety System +, e alla qualità superiore assicurata dall’artigianalità dei maestri Takumi. A questi elementi si unisce l’Omotenashi: il concetto giapponese di ospitalità, che descrive anche la capacità di anticipare i bisogni dei propri clienti, ancora prima che si manifestino. In termini di vendite sul mercato globale Lexus è il quarto brand dopo le tre case automobilistiche tedesche (Audi, BMW, Mercedes). Attualmente detiene la leadership globale nella vendita di vetture ibride elettriche  nel mercato Premium, con 1.445.961 unità (dato aggiornato a febbraio 2019). Il posizionamento del brand viene espresso attraverso “ Experience Amazing”: creare esperienze in grado di trasformare la funzione in emozione, la performance in passione e la tecnologia in immaginazione. Lexus presenta una completa gamma Full Hybrid Electric, che comprende NX, RX, CT, IS, RC, LC, LS, la nuova ES e il nuovo crossover UX. A tali modelli si affianca la RC F, prodotto con un’anima sportiva.

Per maggiori informazioni www.lexus.it . Per notizie e comunicati stampa: http://newsroom.lexus.it

Social Lexus Italia Facebook: @LexusItalia Twitter: @Lexus_Italia Instagram: lexus_italia

Panoramica del Documentario

Quanto tempo ci vuole per diventare un esperto nel proprio settore? Malcolm Gladwell sosteneva ci volessero 10.000 ore, l’equivalente di 90 minuti al giorno per 10 anni, trascorsi mettendo alla prova il proprio talento. Ma in Giappone credono invece sia necessario più tempo.

Un nuovo documentario, Takumi: A 60,000 hour story on the survival of human craft, prende in esame il pensiero che ci vogliano 60.000 o più ore per diventare un Takumi (maestro artigiano), e per farlo ci presenta quattro lavoratori giapponesi che hanno dedicato le loro vite alle rispettive arti: uno chef da ben due Stelle Michelin, una grande artista di Paper Cutting, un esperto del settore Automotive e un carpentiere proveniente da una delle più antiche aziende edili del mondo.

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Il documentario è unico nel suo genere in quanto il mezzo che propone rappresenta anche il messaggio che veicola: saranno prodotte una versione da 54 minuti disponibile su Amazon Prime Video il montaggio 60.000 ore sul sito www.takumi-craft.com, con la sequenza delle immagini di ciascun Takumi al lavoro, in cui sarà possibile osservare le azioni che questi maestri ripetono continuamente, per sottolineare le ore, i giorni e gli anni di lavoro necessari per padroneggiare queste attività.

Narrato da Neil Macgregor, storico dell’arte ed ex direttore della National Gallery e del British Museum, il documentario si chiede se l’artigianato riuscirà a sopravvivere, e se riusciremo in futuro a rispettare e preservarne la cultura in un mondo in cui la tecnologie e le Intelligenze Artificiali stanno rapidamente progredendo. Gli esperti prevedono che entro il 2050 le macchine saranno capaci di superare le capacità umane in ogni campo e settore. Le Intelligenze Artificiali possono infatti imparare in un istante ciò che un essere umano acquisisce in una vita intera.

Martin Ford, futurologo e commentatore: “Ci troviamo nel bel mezzo di un progresso esponenziale,” aggiungendo che quello attuale è un ritmo di trasformazione che il mondo non ha mai conosciuto prima. “Nei prossimi 10 anni vivremo l’equivalente di 10.000 anni di progresso.”

Quando le Intelligenze Artificiali supereranno le capacità dell’essere umano, sarà forse la fine dell’artigianato così come lo conosciamo oggi? Oppure il fatidico passaggio consentirà la sopravvivenza di questa cultura, che quindi diventerà ancora più preziosa? Il documentario mira a scoprire il modo in cui si evolverà il viaggio verso l’eccellenza, in un mondo sempre più in cerca di scorciatoie.

Qualora ci fosse il bisogno di fornire un esempio di dedizione alla propria arte, questo sarebbe certamente il carpentiere Shigeo Kiuchi, 68 anni, il primo soggetto intervistato. Da quando era solo un adolescente Shigeo fa parte della Kongō Gumi, ditta che costruisce templi buddhisti, e non ha la minima intenzione di andare in pensione.

Shigeo rappresenta soltanto una piccola parte dell’incredibile storia di questa azienda. La Kongō Gumi è la ditta più antica del mondo, fondata nel 578 d.C., quando il principe Shotoku commissionò la costruzione dello Shitennō-ji, il primo tempio buddhista del Giappone. Un’azienda che da allora è rimasta nelle mani della stessa famiglia e il cui rappresentante della 41ma generazione siede oggi nel consiglio di amministrazione.

“Mi considero un custode,” spiega Shigeo. “Ho imparato da mio padre, che lavorava qui prima di me, e ora voglio trasmettere le mie competenze alle generazioni future. Credo che se la Kongō Gumi sia riuscita a sopravvivere per 14 secoli è perché dalla sua nascita fino ad oggi le competenze e le abilità siano state trasmesse, intatte, di generazione in generazione.”

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L’azienda ha visto i suoi templi e i suoi santuari danneggiati da terremoti, uragani, incendi e dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, ma nonostante tutto continua oggi a lavorare secondo le tradizionali tecniche di carpenteria.

Il documentario Takumi ci presenta inoltre Hisato Nakahigashi, chef del bistellato ristorante Miyamasou di Kyoto. Hisato è uno chef kaiseki (un raffinato tipo di cena multi-portata) di quarta generazione: suo nonno aprì il Miyamasou come ostello per accogliere i pellegrini che si recavano a pregare nel tempio del 12mo secolo con il quale il ristorante condivide i terreni.

Il punto di svolta nella vita di Hisato si presenta quando lo chef sta trascorrendo le 20.000 ore del suo viaggio per diventare un Takumi: suo padre morì prematuramente all’età di 55 anni, quando Hisato ne aveva 28 e lavorava nei ristoranti di tutto il mondo per affinare le sue abilità gastronomiche: “Non ero sicuro di essere pronto a prendere le redini del Miyamasou, avevo pianificato di imparare il lavoro accanto a mio padre, ma purtroppo questo non è stato possibile.”

Clay Jeter, regista del documentario: “Nakahigashi decise quindi di tornare a casa e portare avanti la tradizione di famiglia, innalzando il ristorante a livelli incommensurabili.”

Tutte le mattine Hisato va a pesca nel fiume locale e raccoglie i prodotti che utilizzerà come ingredienti dei suoi piatti. Dice di “ringraziare la natura” per ciò che gli fornisce quotidianamente, un’abitudine che continua ad avere sin da quando era bambino. “Da piccolo la natura era il mio compagno di giochi preferito. Di ritorno da scuola, se avevo voglia di uno snack avrei trovato da solo qualcosa di commestibile, vegetali o bacche selvatiche. La natura che circonda il Miyamasou mi nutre da sempre.”

La terza parte del documentario narra la storia di Nahoko Kojima, un’artista che ha iniziato ad apprendere l’arte del Paper Cutting alla tenera età di 5 anni uno dei suoi insegnanti. La svolta della sua carriera avviene intorno alle 40.000 ore del suo viaggio per diventare una Takumi, quando sceglie di allontanarsi dall’approccio tradizionale, che implica la realizzazione di opere bidimensionali, e lasciare il suo segno creando sculture tridimensionali.

Attualmente Nahoko vive e lavora a Londra, e le sue opere sono state esposte in molte gallerie del mondo, fra cui la Saatchi Gallery di Londra e il Bulgari Store di Tokyo (brand che le ha commissionato diverse opere per i negozi di tutto il mondo), e più recentemente la Blue Whale di Bangkok, una balenottera azzurra a grandezza naturale, la scultura di Paper Cutting a tre dimensioni più grande al mondo.

Il documentario ci spiega anche il ruolo dei Takumi Lexus attraverso Katsuaki Suganuma e i suoi 32 anni di esperienza, pari ad oltre 60.000 ore di lavoro. Katsuaki, maestro Takumi responsabile

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delle ispezioni finali sulla linea di produzione, nella sua carriera ha vissuto enormi cambiamenti tecnologici con l’introduzione della robotica e dell’Intelligenza Artificiale: la prova vivente di come gli esseri umani continuino ad essere essenziali nei processi di produzione di un’automobile, in quanto gli unici a comprendere le percezioni dei loro simili e a capire cosa significhi salire a bordo di una vettura. Questo documentario ci porta dietro le quinte dello stabilimento Tahara di Aichi, una struttura di 4 milioni di m2 considerata tra le più avanzate al mondo.

Il documentario studia il significato dei mestieri manuali e delle tradizioni nella società moderna. Nora Atkinson, curatrice dello Smithsonian American Art Museum: “Le origini dell’artigianato vanno di pari passo con quelle della civiltà. I mestieri manuali esistono da sempre, da quando l’uomo è nato ha cominciato a creare oggetti, principalmente a scopo utilitaristico. Se pensiamo alla storia dell’artigianato della Rivoluzione Industriale, qualsiasi oggetto veniva realizzato a mano.”

Dedicare il proprio tempo alle attività manuali può comportare benefici enormi: “Le persone trascorrono incredibili quantità di tempo a perfezionarsi, a mettere qualcosa di personale all’interno dell’oggetto che creano. Qualcosa di paragonabile alla meditazione. Nell’epoca in cui viviamo, caratterizzata da un deficit di attenzione globale e persistente, ci sentiamo tutti come se non avessimo mai abbastanza tempo. Quindi le migliaia di ore di lavoro e di preparazione necessarie a diventare un maestro Takumi rappresentano un’esperienza che sempre meno artisti riusciranno a portare a termine.” Il documentario pone anche il quesito del possibile supporto da parte dei sistemi di Intelligenza Artificiale al lavoro manuale degli artigiani.

 La versione da 54 minuti e quella 60.000 ore saranno disponibili sul sito www.takumi-craft.com: il pubblico potrà così immergersi nella dedizione e nell’impegno necessari per raggiungere un tale livello di maestria.

Il documentario sarà disponibile sulle piattaforme Amazon Prime Video, Amazon Instant, Google Play e iTunes.

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Clay Jeter Regista

Biografia Il regista statunitense Clay Jeter ha messo la firma su progetti come Chef’s Table, la prima serie di documentari originale prodotta da Netflix e candidata agli Emmy, e sul film Jess + Moss, presentato in anteprima al Sundance Film Festival. Qui ci parla di ciò che ha vissuto durante le riprese.

Intervista: In questo documentario stiamo incontrando persone dedite anima e corpo ai rispettivi lavori. Per quale motivo queste persone, questi artigiani giapponesi, dimostrano un tale impegno nel loro lavoro? Nella lingua giapponese esiste un’espressione, otsukaresama, che potremmo tradurre con le parole ‘sarai certamente stanco, devi riposarti’. Un’espressione da rivolgersi ai colleghi o anche agli sconosciuti, che in Occidente potrebbe essere vista come un insulto, ma in Giappone è soltanto un modo per congratularsi con qualcuno per il duro lavoro svolto. Un modo per dimostrare gratitudine e rispetto, e per premiare la dedizione.

Veniamo sempre sollecitati a provare un po’ di tutto, sperimentare diverse professioni oppure a lavorare su diversi fronti simultaneamente, mentre queste persone credono fermamente nella ripetizione continua degli stessi

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processi che, anche se comporta soltanto piccoli ma costanti miglioramenti, rappresenta per loro un modo di realizzarsi e vivere soddisfatti.

Quindi per diventare i migliori nel mestiere che svolgono, ripetono quotidianamente le stesse azioni e operazioni…È stato proprio questo ad affascinarci sin dall’inizio delle riprese. Per alcuni di noi può sembrare assurdo, non riusciamo a comprendere un tale livello di dedizione, ma per loro è tutt’altro che un sacrificio. Nel mondo Lexus esiste la parola kaizen, che significa ‘miglioramento’ e implica la ricerca pedissequa della perfezione.Come funziona la narrazione delle 60.000 ore all’interno del documentario? Inizialmente incontriamo il mastro carpentiere, Shigeo, con il quale parliamo delle esperienze lavorative iniziali, ‘l’ora zero’, quando imparava il mestiere da suo padre. Visitiamo i templi, osserviamo gli artigiani al lavoro e impariamo tutto quel che c’è da sapere sulla Kongō Gumi e sulla sua incredibile storia.Passiamo quindi allo chef, che ci parla della fase ‘20.000 ore’, che coincide con la morte del papà, e di come abbia preso le redini del ristorante di famiglia. Lo riprendiamo in azione ai fornelli e lo seguiamo nelle sue quotidiane ricerche di cibo sui monti.Arriva poi il momento di Nahoko, l’artista, che ci parla del suo momento di svolta, avvenuto intorno alle ‘40.000 ore’. Le storie di questi Takumi aiutano a porci la domanda sulla possibile estinzione dei lavori manuali, e sul modo in cui questi eroi moderni stanno cercando di mantenerli in vita.Il documentario vira quindi sul lavoro dei Takumi Lexus, le cui postazioni di lavoro assomigliano quasi a una stazione spaziale: un luogo in cui ci sono robot che aiutano altri robot a svolgere lavori diversi, ma dove rileviamo comunque la centralità della presenza umana. Gli esseri umani potranno anche essere meno precisi dei sistemi Intelligenza Artificiale e delle tecnologie più evolute, ma sono anche dotati di sensi, quindi di udito, tatto e vista, che anche le migliori tecnologie non possono replicare. Un robot non potrà mai capire cosa significhi sedersi al volante di un’automobile.Il documentario vede inoltre l’intervento di esperti, che ci parlano di come vedono i concetti di tecnologia e competenza.Il documentario inizia presentando agli spettatori il carpentiere Shigeo. Cosa vi ha colpito di più della sua storia? Il fatto che la ditta Kongō Gumi sia la più antica del mondo è incredibile. Un’attività che resiste e persiste da 1.400 anni, e nasce dalla volontà di un principe che, ispirato dalle raffigurazioni dei templi buddhisti, decise di commissionare la costruzione di uno di questi. Ho spesso l’impressione che al giorno d’oggi la gente voglia continuamente realizzare qualcosa di innovativo, ma ecco che Shigeo inizia a parlare di una serie di princìpi di base

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che per oltre un millennio hanno guidato l’azienda in cui lavora. Un’attitudine che sembra quasi esprimere, implicitamente, che se avesse l’opportunità di essere il custode della saggezza e della conoscenza del suo mestiere, per poi tramandarle alle generazioni future, sarebbe per lui il massimo successo cui aspirare. Ciò che mi ha colpito di quest’uomo è il fatto di voler mettere tutte le sue energie vitali nel lavoro che svolge, per un’azienda capace di sopravvivere alle guerre, alle persecuzioni dei buddhisti e alle crisi economiche.Sui set di Chef’s Table ha lavorato con diversi chef di fama internazionale. Cosa ha trovato di speciale nella persona di Hisato Nakahigashi? Parliamo di uno chef che mi ha fatto conoscere la vera essenza del concetto di omotenashi, una parola difficile da spiegare ma che descrive alla perfezione l’ospitalità del popolo giapponese, la loro capacità di far sentire chiunque come se fosse l’ospite d’onore. Per fare un esempio, se siete già stati clienti del suo ristorante, lo staff avrebbe sicuramente preso nota di quale sia la vostra mano dominante per apparecchiare il tavolo secondo le vostre esigenze. Oppure se aveste ordinato un piatto lasciando qualcosa al termine del pasto, la volta prossima sapranno di non dover servire quello stesso alimento. È un uomo che trasuda un senso di gratitudine per la vita, da quando esce per procacciare gli ingredienti dei suoi piatti, funghi in autunno, straordinari odori ed erbe aromatiche in primavera, verdure e germogli di bambù durante l’estate. Facendolo, Nakahigashi rende omaggio alla Terra e alle stagioni, esprimendo un senso di gratitudine totale nei confronti dei clienti, in un modo che li aiuta a godere appieno del pasto che stanno consumando.Nahoko Kojima è probabilmente la più solitaria tra i Takumi intervistati, almeno per quanto concerne il suo modo di lavorare…Un’artista nel vero senso della parola. Non mostra particolare interesse nel lavoro degli altri artisti né delle implicazioni del lavoro svolto da lei. È come spinta da una forza divina, che le consente ogni volta di realizzare qualcosa di unico e straordinario. Ha scelto una forma d’arte con 1.000 anni di storia alle spalle, rivoluzionandola con forme tridimensionali per creare sculture di carta sensazionali. Adora la carta washi (una tradizione giapponese, conosciuta per la sua resistenza al tempo e al deterioramento), e sostiene che i lavori bidimensionali svolti per gran parte della su carriera non rendessero giustizia alle straordinarie qualità di questo elemento.Un’artista che ad ogni singolo errore deve ricominciare un intero progetto da capo…Ha fiducia nella carta e sa come lavorarla. Penso inoltre che questa fiducia le consenta di vedere nuovi orizzonti laddove altri vedrebbero un muro. Ci sarà sempre qualcuno pronto a difendere i tradizionalismi di un’arte, ma Nahoko si vedeva costretta dai dogmi e sentiva il bisogno di fare qualcosa di diverso.E in che modo i Takumi Lexus rientrano nello stesso contesto di questi artigiani? 

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Devono mettere anima e corpo nel ruolo che ricoprono all’interno di un processo incredibilmente complesso. Quello di Tahara è uno stabilimento colossale, con un’infinità di reparti e con innumerevoli specialisti che lavorano per un unico obiettivo. Insieme creano vetture di grande praticità, ma che rappresentano anche vere e proprie opere d’arte. Il rispetto che l’azienda trasmette ai Takumi nasce spontaneo: i dirigenti apprezzano davvero le competenze e l’abilità dello staff che lavora per loro. E abbracciano inoltre il concetto di omotenashi. Riescono realmente a mettersi nei panni di un cliente: ciò che vede entrando in auto, oppure quello che il suo udito percepisce quando le porte di aprono e chiudono. I Takumi Lexus con cui ho avuto l’onore di parlare erano ben coscienti che il loro lavoro sarebbe durato per tutta la vita.Quali sono state le maggiori difficoltà nel corso delle riprese? L’impianto Tahara di Lexus è splendido, al suo interno succede di tutto. Ma solo per riprendere l’interno del reparto di verniciatura, per esempio, tutto ciò che entra deve superare diversi livelli di ambienti sterili e rivestiti interamente di plastica. Non è possibile toccare nulla. Ad un certo punto abbiamo montato una luce, ma subito un robot ha rilevato un cambiamento nell’ambiente disattivando automaticamente l’intera linea. È un impianto di produzione, quindi eravamo costantemente circondati dai robot.Per non parlare di quanto siano delicate le sculture di carta di Nahoko. Quando l’abbiamo raggiunta era in una piccola casa giapponese tradizionale, intenta a rifinire questa enorme scultura raffigurante una balenottera. Abbiamo avuto bisogno di un’asta per la telecamera alta 9 metri per poter riprendere le scene, sistemata su un carrello che attraversasse le porte scorrevoli in legno.

Shigeo Kiuchi, 68 anniMastro Carpentiere, Kongo Gumi

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BiografiaTra i primissimi ricordi di Shigeo ci sono quelli relativi a quando suo padre lo portava con sé al Tempio Shitennō-ji. Il papà era mastro carpentiere della ditta Kongō Gumi, impegnata nel restauro del tempio. "Avevo sette anni e ricordo che ci arrampicavamo su queste impalcature alte circa 20 metri. Al tempo non esistevano standard di sicurezza, e gli operai erano soliti saltare da una parte all'altra del tetto. Una cosa abbastanza spaventosa."

A quell'età risalgono quindi i primi contatti con la ditta che sarebbe diventata una parte integrante della sua vita. Oggi, all'età di 68 anni, continua a lavorare per la stessa azienda, con lo scopo di tramandare le sue competenze alle nuove generazioni.

Shigeo è quindi parte integrante della straordinaria storia aziendale: fondata ad Osaka nel 578, la Kongō Gumi è la ditta più antica del mondo ancora in attività.

La Kongō Gumi nacque dopo che il principe Shotoku decise di commissionare il primo tempio buddhista della storia, il Shitennō-ji. Così Shotoku chiamò da Baekje, nella penisola coreana, Shigemitsu Kongō, esperto e noto carpentiere, e altri due artigiani. Shigemitsu Kongō decise in seguito di stabilirsi ad Osaka.

Shigemitsu Kongō continuò a costruire templi, e i suoi discendenti a portare avanti il nome dell'azienda. Ancora oggi, nel consiglio di amministrazione della Kongō Gumi siede un membro appartenente alla 41ma generazione della famiglia.

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L'originale tempio Shitennō-ji è stato ricostruito per ben otto volte dalla Kongō Gumi, dopo i danneggiamenti dovuti ai terremoti, agli uragani, agli incendi e ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. La Kongō Gumi è responsabile della realizzazione di numerosi edifici famosissimi, incluso il Castello di Osaka, risalente al 16mo secolo.

Fedele alla tradizione giapponese, il nome di famiglia è stato tramandato di generazione in generazione e, qualora la discendenza non avesse prodotto un erede maschio adatto a prendere le redini dell'azienda, la discendenza sarebbe passata al genero, che a sua volta avrebbe preso il nome Kongō.

L'azienda è stata inoltre una delle prime a sostenere le doti manageriali delle donne. Durante la Depressione Showa (1930-32) il Giappone ha sofferto la più grande crisi economica della storia moderna, e il 37mo presidente della Kongō Gumi, Jiichi Kongō, commise un suicidio rituale per non essere riuscito a fornire il necessario sostentamento alla propria famiglia. Al suo posto subentrò quindi la vedova Yoshie, che diventò così la prima donna a guidare l'azienda.

L'azienda ha quindi continuato a tramandare le competenze di generazione in generazione, confermando la tradizione di famiglia. Qualsiasi nuovo dipendente della Kongō Gumi deve superare un periodo di apprendistato lungo 10 anni per perfezionare le proprie tecniche di carpenteria, seguito da un periodo di 20 anni per diventare supervisore della propria area. Ma anche dopo tutto questo tempo, stando alle parole di Shigeo, "bisogna rimanere in un'unica sfera della carpenteria, non si può essere un Takumi universale."

La ditta ha In seguito esteso il lavoro alle proprietà residenziali e commerciali, diventando inoltre la prima a usare software CAD per i progetti dei templi. Dal 2006 l'azienda è diventata una sussidiaria del più grande Takamatsu Construction Group, senza mai dimenticare le proprie origini: ogni primo e quindicesimo giorno di ogni mese, gli impiegati della Kongō Gumi si riuniscono per tenere una piccola cerimonia di preghiera in ricordo del principe Shotoku, per ringraziarlo di aver dato avvio a tutto questo.

Intervista

Ha iniziato a lavorare per la ditta all’età di 18 anni come apprendista imparando direttamente da suo padre. Che periodo è stato per Lei?Diciamo che proprio perché ero nella posizione di imparare il lavoro direttamente da mio padre mi trovavo costretto a rispondere “Sissignore!” a qualsiasi cosa lui mi dicesse, una condizione abbastanza diversa da ciò che succedeva dentro le mura domestiche,

Ha avuto la possibilità di scegliere il suo mestiere?Non sapevo neanche di poter scegliere qualcosa. Ho sempre saputo che

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questo sarebbe stato il mio cammino, ne sono stato consapevole fin dall’inizio. C’erano volte, dopo aver terminato la scuola, in cui vedevo i miei amici poter scegliere qualsiasi tipo di professione, e questo mi faceva provare un senso di invidia nei loro confronti.

È vero che gli apprendisti erano soliti andare a vivere dai maestri Takumi che insegnavano loro il lavoro?Sì. Ai tempi di mio padre avevamo giovani apprendisti in giro per casa. Oggi non sarebbe possibile per via della legge giapponese sul lavoro, secondo cui il tempo trascorso a casa del mastro carpentiere conta come orario di lavoro.

È vero anche che gli apprendisti devono dimostrare il massimo rispetto nei confronti del Takumi?Trattasi di una struttura manageriale, dove tutti devono ascoltare e rispettare le decisioni del capo, a prescindere dalle situazioni.

Anche se si è in disaccordo…Non puoi mai dire di non essere d’accordo. Se il mastro carpentiere dice che un corvo è bianco, allora tutti si adeguano a tale affermazione!

Cosa significa per Lei essere un Takumi?Nel nostro ambito, quello dei carpentieri, chi lavora con le proprie mani è chiamato Takumi. Ma per diventare un Takumi nel vero senso della parola ci vuole un tempo inimmaginabile. Serve una vita per diventare un vero Takumi.

Quali sono i momenti migliori del suo lavoro? Provo continuamente un senso di appagamento e soddisfazione.

Qual è la parte più impegnativa nella costruzione di un tempio?Quando si costruisce qualcosa, considerando quanto siano pesanti i materiali, sembra quasi sprofondare lentamente nel terreno. Quando siamo nel pieno delle attività, stiamo molto attenti a realizzare il progetto seguendo pedissequamente il piano originale. Non deve esserci la minima differenza tra il progetto e la realizzazione.

Il vostro lavoro richiede grande competenza…Ci sforziamo di pensare che il legno sia vivo, quindi è diverso dal lavorare l’acciaio, perché non puoi mai pensare che tagliandolo tu ottenga le dimensioni desiderate: il legno può restringersi o allargarsi a seconda dell’ambiente in cui lavori, quindi dobbiamo pensare anche alle condizioni atmosferiche.

Può spiegarci che aria si respira all’interno di un cantiere di questo genere? In verità parliamo molto e scherziamo volentieri tra di noi. La costruzione di un tempio prevede un processo particolare, quindi se stiamo realizzando una

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pagoda a cinque storie, il primo livello è quello in cui bisogna rappresentare qualcosa di nuovo, quindi ci confrontiamo molto. Ma dopo aver terminato la prima storia si passa a ripeterla al secondo livello, quindi al terzo, al quarto e infine al quinto. Per questo già dalla seconda storia si comincia ad essere molto più silenziosi perché sappiamo come procedere, diventa tutto molto ripetitivo. È come scalare una montagna, non è noioso, perché ne vedi la vetta e sai che stai per ultimare il lavoro.

Qual è il tempio che ha lasciato per Lei un segno indelebile?È impossibile rispondere a questa domanda dal momento che le forme e le tipologie dei templi sono tutte differenti le une dalle altre.

Ci racconti la giornata tipo di un carpentiere…Al giorno d’oggi gestisco il mio gruppo quindi non mi reco più in cantiere, ma quando lo facevo mi svegliavo intorno alle 4:30 del mattino. Ero il primo ad arrivare poiché dovevo sistemare al meglio il cantiere in base al programma. Avremmo quindi iniziato a lavorare intorno alle 8:00, per poi prenderci una pausa alle 10:00. Avremmo pranzato a mezzogiorno per poi tornare al lavoro alle 13:00. Infine un’ultima pausa alle 15:00 e via fino alla fine della giornata, che terminava alle 18:00.

Sono molte ore…Ormai abbiamo i fine settimana liberi, il sabato e la domenica, ma ai miei tempi riposavamo soltanto due giorni al mese. Ma bisogna capire che questo è il lavoro che volevo fare. Ero giovane e non mi stancavo tanto facilmente, non avevo bisogno di giorni liberi.

Lei crede nel fatto che per diventare un vero Takumi sia necessario raggiungere un determinato numero di ore?Credo che quando si è agli inizi, quindi molto giovane, per i primi tre anni bisogna apprendere da un Takumi, lavorare a stretto contatto con lui e assorbirne le competenze. In questi tre anni, è nostro compito insegnare con cura agli apprendisti, spiegare loro cosa è pericoloso e cosa invece non lo è. Raggiunto il quinto anno di lavoro, l’apprendista diventa capace di capire da solo quali sono i suoi compiti e forse, al decimo anno di carriera, riuscirà a gestire il proprio lavoro al meglio e si spera diventi capace di guidare la sua squadra. Il decimo anno segna l’inizio di una carriera che durerà per sempre, perché la carriera di ciascuno dipende dalla capacità di gestire i subordinati.

Il Giappone ha vissuto la sua buona dose di calamità naturali. In che modo riuscite a realizzare templi antisismici?Se ricostruiamo il tempio sulla stessa struttura realizzata centinaia di anni fa, allora è possibile. Ma se rimpiazziamo la struttura secondo metodi più moderni allora il tempio non è più antisismico.

Perché? È un problema di materiali. Per esempio, una pagoda di cinque piani costruita

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in legno era antisismica per i tempi in cui è stata realizzata. Ma c’era comunque il rischio che si incendiasse, quindi hanno cominciato a utilizzare materiali ignifughi, perdendo in questo modo le caratteristiche antisismiche.

Lei crede che le nuove tecnologie e i nuovi macchinari avranno un impatto decisivo sul lavoro dei carpentieri? Penso che sfrutteremo le macchine per i lavori più grandi, ma le rifiniture saranno sempre fatte a mano. Credo che quanto più tempo si lavora su qualcosa, tanto più a lungo questa resterà in piedi. La fretta è sempre una pessima consigliera.

Riesce a vedersi in pensione?I carpentieri non vanno in pensione. Io voglio continuare a lavorare.

Hisato Nakahigashi, 49 anni2 Stelle Michelin

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Biografia

Hisato Nakahigashi è il quarto discendente della sua famiglia a gestire il ristorante Miyamasou, originariamente una locanda che accoglieva i pellegrini in viaggio verso il tempio Daihizan Bujoji. Oggi questo ristorante da due Stelle Michelin merita a sua volta un pellegrinaggio, ma di tipo gastronomico. Hisato coniuga le competenze culinarie acquisite nei ristoranti di Parigi, della Francia in generale e di Tokyo con l’amore e la passione per la cucina giapponese tradizionale. Tutti i giorni, insieme alla sua brigata, esce a procacciare gli ingredienti nella vicina campagna, scegliendo le migliori erbe selvatiche che crescono sotto la neve in inverno, pescando nel fiume locale e cacciando cinghiali e cervi. Anche le bacchette sono chilometro zero, intagliate dai rami degli alberi di castagno che crescono sui terreni del ristorante.

Intervista

Quali sono i suoi primi ricordi del ristorante?Ricordo che, quando avevo 10 anni, insieme a mio padre andavamo a raccogliere erbe selvatiche. Il mio amore per il cibo nasce da qui.

Ha sempre saputo che un giorno avrebbe gestito il ristorante di famiglia? No. Ho pensato spesso di dedicarmi ad altro, ma mio padre morì quando avevo 28 anni e fu in quel momento che pensai di prendere le redini dell’azienda di famiglia. Quando mio padre morì stavo lavorando come chef in Francia, dove ho imparato moltissimo. Gli chef con cui lavoravo erano molto orgogliosi della loro cultura e della loro cucina, e pensavo a quanto sarebbe stato bello trasferire quell’orgoglio nel mio ristorante. Dalla Francia tornai quindi a Tokyo, e tre anni più tardi ero qui a costruire il mio lavoro sulle fondamenta gettate da mio padre.

Quali sono le differenze tra la sua cucina e quella di suo padre?

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Mio padre cucinava soltanto alimenti autoctoni di Hanase, quindi era molto più tradizionalista. Avendo lavorato in Francia e negli Stati Uniti, la mia cucina possiede influenze globali.

Qual è la straordinarietà delle sue pietanze? Osservo con attenzione tutte le caratteristiche di ciò che cresce nella zona, per poi cercare di esprimerle al meglio nei piatti che preparo.

Dove si procaccia il cibo? Solitamente il pescato viene direttamente dal fiume qui accanto. Ai vecchi tempi, la strada che passava per Hanase veniva utilizzata per trasportare il pesce dal mare alla residenza dell’Imperatore a Kyoto, quindi continuiamo a utilizzare anche il pesce proveniente dal Mar del Giappone e dalla Baia di Wakasa. Parlando di carne, utilizzo quella di cinghiale, orso, cervo e anatra.

Quanto è difficile trovare gli ingredienti, ad esempio dopo una nevicata? In inverno, solitamente scavo nella neve per trovare piante selvatiche. Ma ai piedi delle montagne si trovano spesso delle aree meno innevate. Kyoto offre una straordinaria varietà di vegetali in inverno.

Cosa ci dice invece delle condizioni climatiche più estreme, come il caldo torrido in estate?Qui ad Hanase siamo fortunati perché la zona è ricca di vegetazione. Siamo circondati da una moltitudine di alberi, che grazie alle loro radici trattengono molta acqua. In caso di siccità, gli alberi rilasciano comunque acqua sotto il terreno. È un modo per la natura di proteggersi, quindi non soffriamo troppo l’estate, anche quelle più torride. L’unico problema che abbiamo è quello delle proliferazione dei cervi selvatici: abbiamo dovuto costruire delle recinzioni per proteggere la vegetazione.

Personalmente si considera un Takumi? Sinceramente non mi descriverei come un Takumi, ma se si vuole diventarlo l’importante è non arrendersi mai, specialmente se stai facendo qualcosa per gli altri.Devi migliorarti continuamente, elevare la tua arte su livelli inimmaginabili.

Il suo ristorante nasce come luogo di accoglienza per i pellegrini in visita al Tempio… Il cibo che serviamo qui al Miyamasou si ispira a quello che veniva servito ai tempi del mio bisnonno. Quando la primavera si affacciava, l’aristocrazia era solita visitare Kyoto e godersi le temperature miti, e il cibo che veniva servito proveniva direttamente dalle campagne circostanti.

Quale pensa sia il motivo per cui il popolo e la cultura giapponesi danno così tanta importanza alla carriera lavorativa?

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In Giappone capita spesso di vedere persone fare lo stesso lavoro per tutta la vita, ripetendo le stesse azioni instancabilmente. Siamo un popolo paziente, che migliora poco a poco: è il nostro modo per ottenere il massimo dalle nostre doti.

Vorrebbe tramandare il suo stile gastronomico alle generazioni future? Voglio che il mondo non dimentichi l’importanza del cibo e le sue origini. C’è una parola che noi giapponesi pronunciamo prima di mangiare, itadakimasu, un modo per ringraziare Madre Natura per il cibo che ci fornisce, per apprezzare ciò che è stato sacrificato per poter cucinare un piatto: ogni pianta, ogni erba. Non voglio che la gente dimentichi quanto tutto questo sia importante.

Che tipo di alimenti procaccia nelle varie stagioni? In primavera vado in cerca dei germogli di bambù che crescono sotto la neve. Cerchiamo poi di pescare un piccolo pesce chiamato takahaya (sanguinerola), che nuota nelle acque pulite del nostro fiume. In estate abbiamo l’ayu, altro pesce di fiume, quindi bacche e alghe. In autunno abbiamo i cinghiali, che vanno alla ricerca di cibo sulle montagne, prevalentemente ghiande e patate. Raccogliamo anche i nameko, dei grandi funghi giapponesi, oltre al sansho, una spezia simile al vostro pepe.

Ci descriva come accogliete i clienti del ristorante?Crediamo nel termine omotenashi, che significa completa dedizione al cliente. Vogliamo che i clienti apprezzino la natura che circonda il ristorante, il fatto che i nostri piatti nascano da lì, la storia che c’è alle loro spalle.

Quindi a volte cucinate la carne di orso? A Kyoto la caccia dell’orso è proibita, ma è permessa a Hyogo, quindi acquistiamo la carne a Tamba-Sasayama, che è collegata ad Hanase attraverso la catena montuosa di Tamba.

È vero che producete anche le vostre bacchette? Verissimo. Le nostre bacchette sono realizzate con il legno dei nostri castagni. Tagliamo i rami a dicembre e poi li mettiamo a bagno nell’acqua. Quando il legno si asciuga lo tagliamo con tutta la corteccia, per mantenere un senso di selvatico che si sposa alla perfezione con il design del ristorante.

Miyamasou si fregia di 2 Stelle Michelin: come si è sentito quando gliel’hanno comunicato? Ero felicissimo, ma subito ho pensato: “Ne voglio tre!” E sto lavorando duro per ottenere la terza.

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Nahoko Kojima, 37 anniPaper Cutting Artist

BiografiaNahoko aveva appena cinque anni quando la mamma si accorse delle sue incredibili doti artistiche e decise di assumere un insegnante d’arte privato.

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Tutto ciò accadde quando uno dei maestri di Nahoko chiese alla bambina di disegnare un oggetto utilizzando un’unica linea, chiedendole poi di ritagliarne la forma. “L’ho adorato fin da subito,” dice l’artista cresciuta a Hyogo. “Quando lavoro dimentico qualsiasi problema.” Un amore a prima vista.

È così che la 37enne è diventata una delle artiste di Paper Cutting più famose e rispettate al mondo. Le sue complicatissime sculture, ispirate prevalentemente alla natura, sono state esposte in tutto il mondo in luoghi come la Saatchi Gallery di Londra, il Gerald Ford Presidential Museum in Michigan, e al Beffroi di Parigi. Nel 2015 ha collaborato con la casa di moda Bulgari per creare una scultura lunga 16 metri, esposta poi nella loro boutique di Tokyo, oltre ad altre 100 installazioni in tutto il continente asiatico.

Trasferitasi a Londra nel 2005, ha istituito il suo studio nel quartiere di Bermondsey, creando opere acclamate da pubblico e critica, come la scultura 3m x 3m di un orso polare, installata e appesa all’interno del Jerwood Space di Londra. Prima di intagliare la carta, l’ha prima piegata certosinamente a mano per assicurarle una trama irregolare. Nel 2012 la sua opera Cloud Leopard è stata esposta alla Saatchi Gallery. Ha addirittura creato opere da indossare, vestiti di carta, per la sua HUMAN Collection 2018.

Lo stile unico delle opere di Nahoko richiede una pazienza incredibile: ciascun pezzo è realizzato con un singolo foglio di carta washi (una carta giapponese tradizionale prodotta con la corteccia del gampi, una pianta originaria del Giappone). Anche il minimo errore o la minima distrazione la costringono a ricominciare il lavoro dal principio. Durante la realizzazione, cambia le lame dei suoi strumenti ogni tre minuti per assicurarsi che l’intaglio sia netto e assolutamente preciso.

IntervistaCom’è riuscita ad appassionarsi a un’arte del genere in così tenera età?A scuola disegnavo e coloravo in continuazione, quando un giorno un insegnante mi consegnò un foglio di carta, dicendomi di tracciare una linea e tagliare il disegno. Quella fu la mia prima opera, che ancora conservo gelosamente. Il maestro capì che doveva esserci del talento. Prendevo spunto dalla natura, e sentivo che il Kirie (il Paper Cutting) mi offriva la massima libertà di espressione. È un’arte che in Giappone insegnano a scuola, anche se non così spesso, e divenne il mio passatempo nelle ore libere.

Perché ama così tanto il Paper Cutting? Ne sono rimasta affascinata perché trovo che sia molto appagante avere la possibilità di realizzare opere d’arte tutte mie. All’inizio rimanevo sorpresa,

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perché tutti i bambini vengono spinti alla creatività, magari anche all’uso dei colori, ma con il Kirie si ha a disposizione un unico foglio di carta. Scegliere da sola le mie creazioni era una sfida a cui non ero minimamente abituata a quell’età.

Dedicava molto tempo al Paper Cutting anche quando era molto giovane?Da bambina passavo tra le 5 e le 10 ore alla settimana intagliando carta. A quell’età ci sono troppi giocattoli e caramelle per pensare esclusivamente all’intaglio.

Può spiegarci cosa significa Kirie?Kirie si può tradurre comodamente come ‘disegno intagliato’. È un’arte che prevede numerosi stili e processi in base alle diverse tradizioni, ma in generale Kirie significa intagliare un singolo foglio di carta senza utilizzare adesivi.

Se osserviamo le mie opere, queste rispecchiano tutte le regole tradizionali del Kirie, nonostante gli intrecci particolari e lo stile più contemporaneo: il bilanciamento tra luci e ombre, il contrasto tra positivo e negativo. Le mie creazioni nascono da semplici fogli di carta washi, la stessa che viene prodotta in Giappone da secoli.

Pensa che il Paper Cutting corra il rischio di scomparire come hobby o come forma d’arte? Certamente. Il Kirie potrebbe scomparire come forma d’arte in un contesto professionale, ma questo dipende dal numero di persone che come me continueranno a seguirne i dogmi in maniera disciplinata e professionale, non considerandolo soltanto come un passatempo. È per questo che trovo importante incoraggiare le generazioni più giovani a scoprire la bellezza del Paper Cutting.

Ritiene che ci sia interesse attorno a questa forma d’arte? Gestisco la più grande community su Facebook che parla di Paper Cutting, e di tanto in tanto, quando l’agenda me lo consente, organizzo laboratori per coinvolgere e aiutare a crescere chi vuole avvicinarvisi.

Cosa ha fatto scattare in Lei la scelta di diventare una professionista? Non è un lavoro facile e, specialmente nei primi anni di carriera, non trovavo un grande supporto da parte della società. Si è trattato di una scelta: molta gente vedeva in me soltanto una ragazza intenta a divertirsi, a vivere una vita spensierata garantita dal background privilegiato della mia famiglia. Avrei potuto scegliere qualsiasi tipo di carriera: eccello in molti ambiti artistici, ho l’orecchio assoluto, sono brava in disegno e anche in matematica, ma la mia scelta è stata dettata dall’amore per questa disciplina, non soltanto da ciò che è stato tirato fuori dal cilindro quando ero

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una bambina. Ho lavorato duramente per raggiungere questo livello. Mi sento realizzata a livello professionale e artistico. È stato come scalare una montagna.

Si considera una Takumi? In tal caso, in quale momento un artista può ritenersi un Takumi?Sì, mi considero una Takumi, o comunque una specialista della mia arte. Il punto di svolta della mia carriera è avvenuto quando, dopo aver intagliato un’infinità di opere bidimensionali, decisi di intraprendere un percorso più personale, introducendo forme tridimensionali e restituendo un tocco individuale all’arte a cui ho deciso di dedicare la mia vita.

Essere una Takumi non significa soltanto ripetere ossessivamente un’operazione per un determinato periodo di tempo, arrivando quindi a padroneggiare le competenze adatte. La semplice ripetizione non basta. L’essenza di un Takumi è riuscire a ottenere una conoscenza profonda delle sfumature di un’arte attraverso un misto di esperienza e introspezione. È un punto in cui si trascende il pensiero di ciò che si sta realizzando, lavorando con la mente libera. Bisogna abbandonarsi all’arte, uno stato che nessuno riuscirebbe a raggiungere quando sta ancora affrontando un periodo di apprendimento.

Come si approccia all’intaglio di un enorme foglio di carta washi?Una volta terminata la fase di ricerca e realizzato il bozzetto, preparo delle copie rigide del disegno e le uso come linee guida posizionandole sopra la carta washi per iniziare a intagliare. Inizialmente produco prototipi più piccoli, più o meno delle dimensioni di un foglio A4, i quali però non si piegano e non possono muoversi allo stesso modo dei fogli più grandi. È importante iniziare a intagliare i dettagli partendo dall’interno, per poi continuare verso l’esterno. Con i fogli di carta più grandi diventa quasi un’impresa, anche a livello fisico, perché devo arrampicarmi sul tavolo per poter intagliare il foglio.

Cosa succede quando commette un errore durante l’intaglio?Devo ricominciare da capo, anche se sto lavorando al progetto da mesi. Per questo cerco di mettere la massima attenzione e cura in ogni momento. Mi è successo soltanto una volta, mentre stavo lavorando a un’opera già da tre mesi, e dovetti ricominciare tutto. Tutto quello che ho potuto fare è stato accettare l’errore e ricominciare, ma non mi sono arrabbiata per questo.

In che modo la natura ispira le sue opere? Questa ispirazione nasce dal tempo che trascorro in mezzo alla natura: gli animali protagonisti delle mie opere, che studio e dei quali cerco di riprodurre i movimenti e lo stile di vita [Nahoko si reca spesso allo zoo di Londra per osservare gli animali N.d.R.]. Mi piace osservare i dettagli più minuti, quelli che possono diventare significativi, divertenti e affascinanti. Ogni volta che faccio una passeggiata, il parco mi sembra diverso. Possiede una bellezza

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che non tutti riescono a percepire: i colori delle foglie, gli uccelli che depongono le uova, tutto questo è per me fonte di ispirazione.

La bellezza è un tema ricorrente nelle mie opere. Oggigiorno molti artisti sono soliti riferirsi a temi politici o di attualità, concetti che a livello artistico non mi hanno mai interessato. Il mio lavoro si ispira all’intramontabilità delle cose, per una visione più ampia e decisamente spirituale del mondo che ci circonda.

Qual è la parte più difficile del suo lavoro? La parte più difficile di essere un’artista è dover scendere a compromessi con le proprie idee.

Quanto tempo dedica quotidianamente alla sua arte?Generalmente otto ore, ma anche nel resto del tempo continuo a pensare senza sosta. Alcune volte è più facile concentrarsi e continuo a lavorare senza problemi, in passato è successo anche che lavorassi 16 ore. Ci sono volte però in cui è più difficile concentrarmi sul lavoro, al che esco a fare una passeggiata nel parco a contemplare la natura. È un modo per trovare l’ispirazione, anche solo osservando il colore di una foglia. Ed è una cosa che cambia continuamente: c’è bellezza dappertutto, anche se molte persone non la notano.

Qual è il valore economico delle sue opere? Le opere che vengono esposte sono solitamente coperte da un’assicurazione: per fare un esempio il valore di Honey (2015), una piccola scultura tridimensionale di 60 cm esposta all’Holburne Museum di Bath, è stato stimato intorno alle 35.000 sterline. Alcuni pezzi bidimensionali in vendita sul mio sito sono disponibili a prezzi davvero ragionevoli, anche se la maggior parte di questi è già stata venduta e comunque trattasi delle mie primissime opere. Le sculture rappresentano uno sviluppo concettuale, che non nascono con l’intenzione di essere vendute, anche perché in questo modo si rischia di rovinare la bellezza del proprio lavoro.

Qual è la sua scultura più grande?Shiro, la mia opera più recente: una balenottera azzurra a grandezza naturale. Una delle regole del Kirie è di utilizzare un unico foglio di carta da intagliare, e questa scultura ha rappresentato per me un’impresa a dir poco impegnativa considerando che copre ben 150 metri quadrati di superficie. È stata l’installazione più complessa della mia carriera e un’opera che è diventata incredibilmente popolare dopo la sua esposizione a Bangkok.

Come si sente quando arriva al termine di una delle sue opere?Quando una mia opera viene esposta la percepisco come fosse parte di me. Ogni scultura rappresenta un viaggio spensierato.

Ha lavorato per Bulgari. Come nasce questo incarico?

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Bulgari Roma telefonò al mio studio invitando me a altri due famosi artisti di Paper Cutting a presentare un progetto. Presentai una proposta completa, costi inclusi, e realizzai anche un prototipo. Dopo mesi di duro lavoro riuscii a ottenere un’approvazione unanime e firmai il contratto per installare le mie creazioni in tutte le location di Bulgari in Asia e in Cina, realizzando oltre 100 opere. Ho anche intagliato a mano un’opera di 16 metri per lo spazio Bulgari di Ginza.

Come è riuscita a installare le opere nelle vetrine di Bulgari?Quella delle vetrine è stata una vera e propria sfida, per via delle numerose limitazioni delle strutture e per le diverse impostazioni dei singoli negozi. La mia società, la Solo Koijma, ha stilato tutti i piani architettonici sotto la mia direzione artistica, lavorando a stretto contatto con il team di design di Bulgari Roma. Abbiamo istituito un ufficio a Tokyo per tutta la durata della campagna, con un team dedicato ai diversi aspetti della questione, dal project management agli assistenti artistici. Abbiamo supervisionato tutte le operazioni, installando personalmente le opere in tutte le location.

Riesce a immaginare il suo lavoro accostato a quello della moda? Sì, e lo dico pensando alla mia recente ‘Human Collection’, un progetto che nasce per realizzare nuovi design a partire da un punto di vista rivoluzionario. Per esempio, io penso al design di un vestito utilizzando un unico foglio, cosa che comporta un’estetica completamente diversa se paragonata a quelle dei tradizionali metodi di cucito e di modellazione.

Quali sono i suoi stilisti preferiti?Amo molto il lavoro di Yohji Yamamoto perché ritengo che abbiamo un approccio stilistico simile. Non usa un modello predefinito, ma cambia il design in base al pensiero empirico. C’è un’idea alla base dei suoi lavori, che sviluppa proprio come faccio io.

Ha notato un’influenza della cultura giapponese su quella occidentale, e viceversa, negli ultimi anni? Il Giappone è stato enormemente influenzato dalla cultura occidentale da quando si è dimostrato più aperto a ricevere nozioni dall’esterno, e trovo che i giapponesi abbiano la straordinaria abilità di non limitarsi a copiare, ma di prendere, modificare e in certi casi anche migliorare le idee e i processi che arrivano dall’esterno. L’estetica giapponese è molto amata in tutto il mondo e qui a Londra credo sia in corso una sorta di boom della nostra cultura. Lo si percepisce dall’incremento esponenziale dei ramen bar, dei ristoranti, della tecnologia e della creatività nell’ambito del design e della moda.

Katsuaki Suganuma, 51 anniInspection Takumi presso lo stabilimento Tahara di Lexus

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Con 32 anni di esperienza alle spalle, Katsuaki Suganuma è il maetro Takumi che si occupa dell’ispezione finale delle automobili prima che lascino l’impianto. Per lui una vettura Lexus non è meramente un prodotto industriale ma, stando alle sue parole, “un’opera d’arte”.

La squadra di Katsuaki è addestrata per identificare i difetti di un veicolo attraverso i propri sensi, qualcosa che lui stesso crede non sarà mai rimpiazzabile dalla tecnologia. Lo staff si occupa di ispezionare le superfici verniciate, utilizzando le mani e la vista per rilevare gli spazi tra i pannelli nell’area del cofano e del portellone.

Katsuaki è inoltre il responsabile della formazione dei driver e della supervisione dei drive test. Il drive test è la parte finale del processo di ispezione, i cui driver devono completare circa 200 ore di guida prima di essere considerati qualificati, guidando su qualsiasi tipo di superficie per consentire ai propri sensi di percepire eventuali anomalie.

Ispezionare centinaia di automobili ogni settimana può sembrare ripetitivo, anzi lo è certamente ma, per un Takumi come Katsuaki, rientra tutto nell’ottica di un lavoro che deve garantire al prodotto una qualità che rasenti la perfezione. Per questo ripone molta fiducia nel fatto che il settore Automotive continuerà ad avere bisogno della manodopera umana: “Parliamo di come si percepisce un’auto quando la tocchiamo, e dell’esperienza che viviamo quando saliamo a bordo. I robot non possono provare queste sensazioni.” Intervista

Cosa cerca durante l’ispezione di un’automobile?Ogni vettura deve essere perfetta, quindi ricerchiamo le rarissime anomalie che sfuggirebbero a un occhio poco allenato.

32 anni fa, quando ha iniziato a lavorare nell’area ispezioni, sapeva che ci sarebbe rimasto per tutto questo tempo?

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Sì, sapevo che sarebbe diventato il lavoro della mia vita. Sin dall’inizio ho lavorato al fianco di ottimi sempai [colleghi più anziani e di grande esperienza, N.d.R.], che mi hanno insegnato moltissimo per eccellere oggi in questo lavoro, Credo sia fantastico che questo impianto abbia istituito una politica del genere, dove le competenze vengono tramandate di generazione in generazione. È una cosa che ho sempre apprezzato, il motivo per cui lavoro qui da tutto questo tempo.

Come si è sentito quando le hanno comunicato che sarebbe diventato un Takumi?Ad essere onesti, all’epoca pensai: “Siete sicuri di quello che state facendo?” Ma poi mi resi conto che una volta assunta questa posizione avrei dovuto assumermi anche la completa responsabilità di quella che definiamo ‘qualità Lexus’. Le persone mi descrivono come un Takumi, ma io sento che ho ancora molto da imparare. Preferisco i fatti alle parole.

Quante persone si occupano dell’ispezione di una vettura?Abbiamo diverse persone a ricoprire processi differenti, ma al momento direi che sono circa 60 le persone che si occupano dell’ispezione. Oltre a questo portiamo anche avanti delle ispezioni a campione, dove una vettura può essere ispezionata da una squadra di quattro persone nell’arco di tempo di un’ora.

L’addestramento prevede anche molte ore di drive test…Esatto, i drive test sono la parte conclusiva del processo di ispezione. Per garantire la perfezione assoluta di ogni unità, ciascuna Lexus viene guidata prima che lasci l’impianto, e questi drive test sono eseguiti da driver professionisti. Per diventare un test driver bisogna completare un addestramento che prevede circa 200 ore di guida (o 2.000 giri di pista) su diversi tracciati per poter affinare i propri sensi. Dobbiamo essere estremamente concentrati e consapevoli delle operazioni che svolgiamo, per questo si tratta di un lavoro ripetitivo.

Come riuscite a resistere alla natura ripetitiva del vostro lavoro?Pur trattandosi di una routine, bisogna puntare a un obiettivo comune, al fatto che l’automobile finirà nelle mani di un cliente. Ogni volta che vedo una Lexus sulle strade della mia città, per esempio, mi chiedo chi ci sia al volante. Se il modello è stato prodotto nell’impianto Tahara mi sento orgoglioso, e sono felice di vedere la felicità sul volto del conducente.

Qual è stato l’impatto della tecnologia sul vostro lavoro?La fase di ispezione non prevede un utilizzo spasmodico della tecnologia. Riguarda prevalentemente l’elevato sviluppo dei nostri sensi. La vista, l’udito e il tatto sono fondamentali per ispezionare approfonditamente un’automobile.

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In futuro le innovazioni tecnologiche riusciranno a cambiare il settore Automotive?Siamo tutti d’accordo che siamo giunti al punto di trasformazione più grande degli ultimi 100 anni. E un nodo fondamentale saranno i sistemi di Intelligenza Artificiale.

Voi siete la parte finale del processo di produzione prima che le vetture escano dall’impianto. Cosa significa? Un vero Takumi dispone delle competenze per rilevare qualsiasi problema all’interno di un’auto. Se rilevo una qualsiasi imperfezione, magari in fase di assemblaggio, immediatamente mi rivolgo all’area in questione, e subito iniziamo a collaborare per risolvere l’anomalia.

Lo staff del reparto produzione sembra molto concentrato sul proprio lavoro…Siamo talmente concentrati sulle ispezioni che non parliamo tra di noi. In alcune occasioni, quando rileviamo un’anomalia, ci scambiamo qualche battuta, magari per chiedere un parere. Nonostante il silenzio sul lavoro usciamo però tutti insieme nel fine settimana. È in questi momenti che riusciamo finalmente a conoscerci. È importante creare un legame forte per poter lavorare a così stretto contatto.

In questo impianto tutto sembra scorrere con il massimo della precisione. Qualcuno arriva mai in ritardo?Siamo esseri umani e può succedere di arrivare in ritardo. A me è successo una volta in 32 anni.

APPENDICE

Hideya Kojima, 51 anniEngine Assembly Takumi presso lo stabilimento Tahara di Lexus

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Ci vogliono circa 9 ore affinché un motore passi da una parte all’altra della linea di assemblaggio dell’impianto Tahara. A gestire questo processo c’è il Takumi Hideya Kojima, il quale dirige un team di 80 persone che lavorano su 60 motori contemporaneamente a un ritmo di 420 secondi per unità (il numero di membri e i volumi di produzione variano in base alla domanda). Ciascun motore pesa circa 300 chilogrammi.

Hideya, che ha trascorso 31 anni nell’impianto di Tahara, deve accertarsi che il suo staff abbia le competenze per rilevare potenziali anomalie, quali le perdite di liquido o benzina. I motori vengono inoltre mandati su di giri per essere testati al meglio. Lo staff ascolta attentamente le diverse sezioni del motore girando attorno alla vettura (un’ispezione eseguita a campione, quindi non su tutte le unità), e se un’anomalia viene rilevata questa viene immediatamente auscultata con uno stetoscopio.

Ovviamente anche la tecnologia vuole la sua parte: una volta ultimato, il motore viene collegato a un computer per testarne la potenza, i volumi di coppia e la risposta.

Intervista

Perché sulla linea di assemblaggio c’è ancora bisogno della competenza umana?Macchine e robot sono certamente utilissimi, ma esistono ancora mansioni che non possono essere svolte da una macchina. Una macchina ti risponderà sempre sì o no, ma grazie ai nostri sensi possiamo scrutare quella grande zona d’ombra che esiste tra queste due risposte. Noi esseri umani, con i nostri occhi, con le orecchie e con le mani, possiamo rilevare anomalie impercettibili a una macchina o a un robot.

Pensa che le nuove tecnologie possano avere un impatto sul vostro lavoro?I sistemi di Intelligenza Artificiale rappresentano i maggiori sviluppi degli ultimi anni. Lexus ha presentato il prototipo "LS+ Concept" a guida autonoma al Salone di Tokyo del 2017, e se questa tecnologia dovese avanzare nei prossimi anni avrebbe sicuramente un impatto sul modo in cui produciamo i nostri motori.

Come riuscite a gestire la lavorazione quotidiana di così tanti motori?Calcoliamo quante vetture dobbiamo fabbricare ogni giorno, dividendo il totale e quantificandolo in ore. Al momento abbiamo 420 secondi a disposizione per ogni motore, per uno staff che conta 80 persone che si occupano delle diverse componenti.

Cosa ci vuole per diventare un Takumi?Per Lexus la parola Takumi si riferisce al livello che si è riusciti a raggiungere, quindi per esserlo bisogna aver scalato diverse fasi manageriali, e i tuoi capi

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e manager devono avere piena fiducia nelle tue doti. Credo che tutti noi Takumi abbiamo vissuto esperienze diverse, ma alla fine si tratta di un riconoscimento per il lavoro che abbiamo svolto e per le esperienze che abbiamo vissuto.

I Takumi tramandano le proprie competenze di generazione in generazione all’interno della propria famiglia. Lei ha altri membri della sua famiglia nello stesso settore?Esatto, entrambi i miei figli lavorano qui, nello stabilimento Tahara. Non ero molto convinto quando decisero di venire qui, avevo paura di metterli sotto pressione. Allo stesso tempo ero preoccupato che potesse accadergli qualcosa, ma oggi mi rendo conto di quanto Lexus sia un’azienda meravigliosa e sono felice che anche loro lavorino qui.

Perché ha deciso di rimanere tanto a lungo con la stessa azienda? Non ho mai neanche pensato di lavorare da un’altra parte, l’impianto Tahara è stata la mia casa per 32 anni. Nella mia posizione attuale gestisco lo staff che si occupa del processo di assemblaggio dei motori, cercando di educare le future generazioni affinché acquisiscano le competenze necessarie. Come nasce il suo interesse per le automobili?Sono cresciuto in una zona limitrofa all’impianto Tahara. La nostra casa era vicina a un’autostrada e quando ero bambino rimanevo incantato da tutte le auto che vi sfrecciavano sopra. Andavo a guardare le automobili appena potevo. Mio padre poi era un autotrasportatore e a volte mi portava con lui, quindi le automobili coprono gran parte dei miei ricordi d’infanzia.

Cosa rende le automobili giapponesi così speciali?Penso che in Giappone eccelliamo nella produzione di automobili perché siamo un popolo meticoloso, capace di considerare anche i minimi dettagli. Sono competenze che contribuiscono alla realizzazione di motori eccellenti. Produciamo automobili che si guastano raramente. Trovo sia meraviglioso realizzare vetture amate dagli automobilisti di tutto il mondo.

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Osamu Tanaka, 56 anniPaint Takumi presso lo stabilimento Tahara di Lexus

La verniciatura di un’automobile pone diverse sfide: gli strati devono essere uniformi sia sulle superfici piatte che su quelle ondulate.

Il Takumi Osamu Tanaka, che lavora nell’impianto Tahara ormai da 34 anni, possiede un occhio incredibilmente allenato. Supervisiona i processi di verniciatura e il suo staff è addestrato al rilevamento delle più piccole imperfezioni. Nonostante ai robot vengano affidati diversi compiti, esistono ancora delle componenti che richiedono la verniciatura a mano, ad esempio quelle più complesse presenti all’interno dell’abitacolo.

I robot sono programmati per replicare le azioni umane di verniciatura e lucidatura. La carrozzeria di una vettura viene lucidata sotto un getto di acqua continuo, fattore che aiuta a creare maggiore lucentezza.

La vernice deve brillare sia di giorno che di notte. Generalmente i designer realizzano dei modelli in plastilina per testare la consistenza della vernice prima di entrare nella fase di produzione.

Intervista

Perché ha deciso di lavorare nel settore Automotive?Quando ero alle elementari ricordo che ci portarono a visitare lo stabilimento Tsutsumi. Quel giorno ammirai la Toyota Celica [prodotta dal 1970 al 2006, N.d.R.] e pensai che sarebbe stato bello un giorno realizzare automobili del genere. Svolgo questo lavoro da 34 anni e continua a piacermi.

Cosa le piace di più del suo lavoro? In qualità di Takumi Lexus, o maestro artigiano, quello che mi piace di più riguarda il lato industriale, dove vedo molte persone lavorare insieme per creare un’automobile. Anche se ci è richiesto di produrre centinaia di unità

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ogni giorno, sappiamo che ciascuna di queste è destinata a un cliente e che ognuna ha quindi un significato speciale. La cosa migliore del mio lavoro è poter complimentarmi con i dipendenti, d’altronde il mio compito è incoraggiarli a dare il massimo e a lavorare duramente, ovviamente nella maniera più gentile e piacevole possibile.

I robot sono programmati per replicare il movimento delle mani durante la lucidatura. Come funziona questo processo?La lucidatura ad acqua è una fase importante, subito precedente alla verniciatura. Tale processo coinvolge la lucidatura della carrozzeria sotto un getto continuo di acqua. Soltanto gli artigiani più qualificati possono eseguire i movimenti precisi necessari a rendere scintillante la superficie. Quindi i robot che svolgono questi compiti sono addestrati a replicare la gestualità e i movimenti dell’artigiano. La lucidatura ad acqua rende la scocca completamente liscia, eliminando il rischio di irregolarità durante la verniciatura. Il risultato è una brillantezza straordinaria e una grande profondità cromatica.

Cosa ha significato per Lei diventare un Takumi?Quando mi è stato comunicato che ero diventato un maestro artigiano Lexus sapevo che ero arrivato all’apice della mia carriera, ma allo stesso tempo ho cominciato a provare il forte senso di responsabilità che questo implica, e a pensare a ciò che avrei dovuto fare per motivare gli operai. Dovevo trasmettere la mia abilità e la mia conoscenza, incoraggiandoli ad apprendere sempre più nozioni sulle tecnologie e sulle tecniche adatte a ogni singola automobile.

Per raggiungere lo status di Takumi servono molte ore trascorse a ripetere le stesse azioni. Come si riesce a mantenere la motivazione durante questo percorso?Credo che la mente impari ad adattarsi al lavoro e ai suoi aspetti ripetitivi.

Perché pensa che gli esseri umani continueranno a essere necessari anche quando i robot riusciranno a svolgere sempre più attività?La nostra natura di esseri umani ci spinge ad esplorare sempre più terreni. Quindi se abbiamo un robot capace di svolgere un’azione particolare, un uomo vorrà che questo riesca a fare sempre più cose. In più le esigenze dei clienti cambiano continuamente, quindi dovremo escogitare tecnologie che riescano a far fronte a questi cambiamenti. È una parabola senza fine.

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Katsumi Kobayashi, 53 anniAssembly Takumi presso lo stabilimento Tahara di Lexus

La linea di assemblaggio non consente margine di errore. Montare un motore all’interno di una Lexus richiede il lavoro di due persone perfettamente sincronizzate tra loro, una sul lato destro e una sul lato sinistro. Un’azione che i due operai ripetono continuamente per ore, assicurandosi che nessun movimento venga effettuato a vuoto.

L’assemblaggio di una vettura prevede 350 operazioni, e Katsumi Kobayash gestisce un team di 350-700 persone che fabbricano tra le 250 e le 500 unità ogni giorno (il numero degli operai e il volume di produzione varia in base alla domanda).

Katsumi lavora nello stabilimento di Tahara da 33 anni, trascorsi esclusivamente sulla linea di assemblaggio, e sta trasferendo le sue competenze alle nuove generazioni. Mentre la tecnologia trasformava il suo settore, Katsumi è rimasto un esempio del motivo per cui gli esseri umani continueranno ad essere essenziali nell’industria Automotive. Gli operai sfruttano la vista e l’udito per decidere il posizionamento ideale dei componenti, qualcosa che la tecnologia non sarà mai in grado di replicare.

Un lavoratore che ha vissuto enormi cambiamenti, in particolare relativamente ai materiali utilizzati. I rivestimenti delle portiere sono realizzati oggi con lo stelo del kenaf, pianta appartenente alla famiglia dell’ibisco, che ha sostituito il truciolato di legno precedentemente utilizzato. Il kenaf assorbe l’anidride carbonica in una misura tra le due e le cinque volte superiore alle altre piante, ed è coniugato con i vecchi paraurti provenienti dalle officine di riparazione per rendere i pannelli più leggeri, dotarli di un miglior isolamento acustico e attutire il problema del deforestamento. Lexus

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ha sviluppato materiali riciclabili per l’eternità, e lo stabilimento Tahara è improntato sull’azzeramento dei rifiuti.

Intervista

Lei lavora presso l’impianto da 33 anni. Quali sono state le più grandi innovazioni tecnologiche che ha vissuto? Quando sono stato assunto l’automatizzazione era già stata avviata, e c’erano anche dei robot. Ma le tecnologie e le strutture progettate in maniera ergonomica sono in costante evoluzione, diventano sempre più efficienti e confortevoli per i lavoratori. Per esempio, per semplificare e rendere più efficiente la linea di assemblaggio alcuni componenti come le portiere vengono assemblati separatamente per poi montarli in una fase successiva. Il sollevamento dei componenti più pesanti, come i sedili anteriori, gli pneumatici e i terminali di scarico viene eseguito dai robot o comunque con il supporto delle macchine, fattore che rende queste operazioni molto più semplici.

Quando ha iniziato avrebbe mai immaginato di restare qui per 33 anni?Assolutamente sì. È un lavoro per la vita. Quando mi sono diplomato al liceo amavo talmente tanto le automobili da ambire ardentemente a questo posto.

Alcune attività vengono svolte in coppia. Come riuscite ad essere sincronizzati alla perfezione?Abbiamo bisogno di due persone capaci di svolgere lo stesso lavoro, in maniera speculare, per montare il paraurti, il motore, la sospensione posteriore e i cristalli. È necessario allenarsi moltissimo: forse trascorriamo più tempo ad addestrarci che a svolgere il lavoro vero e proprio.

Che tipo di atmosfera c’è all’interno dello stabilimento?Non vola una mosca. Dobbiamo concentrarci molto per realizzare un’automobile perfetta.

Quali sono le doti per diventare un Takumi? Credo siano necessari almeno 30 anni di esperienza. Ma oltre a questo, per Lexus significa anche essere scelto direttamente dai piani alti. Quindi devi essere proposto da loro, e accettato all’unanimità.

Cosa le piace di più del suo lavoro? Ogni volta che esco dalla città, o laddove vedo qualcuno guidare una Lexus, penso: “Ok, sembra che in fase di assemblaggio tutto abbia funzionato per il meglio.” Sono orgoglioso quando vedo qualcuno a bordo di un nostro prodotto.

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Gli altri esperti

Nora Atkinson

Nora Atkinson è una rinomata esperta statunitense di arti manuali, con un inquadramento specifico sul ruolo e sull’importanza dell’artigianato nella cultura moderna. Attualmente curatrice presso lo Smithsonian American Art Museum di Washington DC, è stata recentemente nominata “Best Boundary-Pushing Curator 2018” dal Washingtonian Magazine per il suo lavoro svolto per diverse mostre ed esposizioni di grande successo. All’inizio del 2019 la Atkinson è intervenuta a un evento TED chiamato The Age of Amazement, esplorando diversi temi, tra cui il ruolo dei sistemi di Intelligenza Artificiale, le nuove forme di creatività e il cambiamento sociale. Abbiamo filmato la Atkinson a Washington, durante il suo intervento sulle arti manuali e il loro ruolo nell’era digitale. Importante per la nostra causa, l’esperta ha collegato i concetti di artigianato e di lusso, parlando dell’importanza degli oggetti realizzati a mano e del valore che essi avranno in futuro.

Martin Ford

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Martin Ford è un futurologo e autore che si occupa dell’impatto dell’Intelligenza Artificiale e della robotica sulla società e sull’economia. Ha scritto due libri sulla tecnologia: il più recente, Rise of the Robots: Technology and the Threat of a Jobless Future (2015), è stato un bestseller del New York Times capace di aggiudicarsi nel 2015 il premio ‘Financial Times and McKinsey Business Book of the Year’.La conferenza TED Talk How AI could cause job loss presieduta da Martin discute della dicotomia tra l’effetto negativo che i sistemi di Intelligenza Artificiale potrebbero avere sul settore industriale e l’innegabile progresso che essi potrebbero offrire e la loro capacità di ispirare la nascita di nuovi settori. Ha un pubblico ben consolidato di 42.300 follower su Twitter ed è entrato attivamente nella discussione Japan & Technology, con un post del 31 luglio scorso sul “Perché gli Occidentali hanno paura dei robot e i Giapponesi no”.

Jon Bruner

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Jon Bruner è un giornalista e programmatore, direttore del programma Digital Factory di Formlabs, un’azienda che progetta e costruisce stampanti 3D professionali. Prima di unirsi a Formlabs, Jon ha supervisionato pubblicazioni sull’informatica, sull’Intelligenza Artificiale, hardware, Internet degli Oggetti, industria manifatturiera ed elettronica, oltre ad essere stato Program Chair di Solid Conference, insieme a Joi Ito, concentrandosi sull’intersezione tra software e mondo fisico. È anche un prolifico contributor del web, con articoli quali Making AI Transparent e Integrating Data with AI, in cui parla della relazione tra gli ‘esperti umani’ e gli algoritmi. Jon è stato intervistato sul podcast di The Economist sul tema della capacità delle macchine di replicare le azioni dell’uomo. Si chiede “se i computer possano realizzare buona musica,” oppure “se le stampanti 3D possano adottare tecniche tradizionali per realizzare pavimenti rinforzati”. In un affascinante contrasto con Martin Ford, Jon Bruner appare molto ottimista. È il tipo di futurologo che si entusiasma pensando alle opportunità offerte agli esseri umani quando i sistemi di Intelligenza Artificiale riusciranno ad assumerne alcuni ruoli e competenze, parlando della bellezza di vedere un essere umano e una macchina lavorare fianco a fianco.

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NarratoreNeil Macgregor

Neil è un rispettatissimo esperto della storia del genere umano, essendo stato per molti anni il direttore della National Gallery e del British Museum, e diventato oggi direttore dell’Humbolt Forum di Berlino (la risposta tedesca a The MET). Neil ha utilizzato la prospettiva degli oggetti e dell’artigianato prodotti dagli esseri umani per raccontare la storia del nostro mondo. Il suo libro più venduto, La Storia del Mondo in 100 Oggetti, diventato poi oggetto di mostre e podcast, rappresenta la sua opera più conosciuta in questo ambito. Nel suo campo è tra i migliori esperti a livello mondiale, oltre ad essere un autore e un presentatore molto rispettato.

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