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Ziba3 Da Ziba2okcopia1 2 3 4 5 6completo

Date post: 13-Jul-2015
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LoZibaldonedelpoveroVicraccoltaaperiodicadivariaculturariservataadappassionatiLetteratura,storia.filosofia,costume,poesia.A.D.2012,anno0,vol.I

Hannocollaboratoaquesto numero:corrispondentistranieri

daLondraA.ConanDoyle daParigiGuydeMaupassant daAtenePlatone daLipsiaF.W.Nietzsche daParigiRenDescartes daBerlinoArturSchopenhauer daCheroneaPlutarco daLondraEdwardGibbon daParigiNicolasPoussin. Dall'Italia: I.U.Tarchetti,F.Verdinois,Fargo,A.R ennis,messerG.Provolone, G.Laudato,G.De Leonardis,V.Cuoco,M. Uda,V.Cambriglia,L.Menghini,V.Pa dula,IdaLo Sardo,L.Capuana,G.Leopardi,E.Pil uso,P.Martino, F.Ferraro,E.Polatti,V.Algieri,F.Xavi er,M.Vicchio,P.Capalbo.

Chiprontoadareadarevialeproprielibert fondamentalipercomprarsi bricioleditemporaneasicurezza,nonmeritan lalibertnlasicurezza. Gliuominisidividonointrecategorie:quellichesonomobili,quelliimmobili equellichesimuovono. B. Franklin

LoZibaldonedelpoveroVic,pag.1

Qualcheparoladipresentazione.Editoriale.Perch il titolo Lo Zibaldone del povero Vic? Nel 1732 Benjamin Franklin fond un foglio, denominato L'Almanacco del povero Riccardo, che and in stampa per ben venticinque anni, diventando la quasi esclusiva lettura profana di milioni di americani dell'epoca. Il grande scienziato, inventore, musicista,scacchista, letterato, politico bench inizialmente povero in canna, riusc col suo lavoro e ingegno a diventare il pi grande propagatore di cultura del suo tempo, facendo della tipografia in cui lavorava una fucina di sapere. Lo Zibaldone che avete sotto gli occhi, lungi dal voler eguagliare il modello, vuole quindi essere soltanto un omaggio alla cultura, al sapere, alle molteplici attivit dell'uomo che desidera andare oltre il grigiore quotidiano. Il tesoro dell'umanit risiede nelle produzioni delle menti che operano, che osservano, che riflettono, che lasciano tracce. Tali segni devono essere, di tanto in tanto, ripuliti dalla polvere ed estratti dall'oblio al quale li condanna il marciare/marcire quotidiano dell'uomo-automa, inconsapevole dell'oggi come dello ieri, prono alla pialla ammiccante del disimpegno che livella inesorabilmente verso il basso ogni cosa. La prima e pi vera libert dentro di noi, ma essa va protetta e coltivata perch molte sono le insidie che, come suadenti sirene, operano per soffocarla. Libert piena, dunque, sia di attingere al tesoro letterario dell'umanit che dare spazio a chi, oggi, impugna la penna oppure si china sulla tastiera per dare voce al proprio pensiero. Vedrete convivere nello Zibaldone poeti e scrittori famosi con altri sconosciuti, professionisti della scrittura con neofiti, e sarete condotti a spaziare in campi distanti uno dall'altro; ma nell'opera c' un denominatore comune: la riscoperta e la valorizzazione del genio umano, che supera secoli e barriere. Scriveva Foscolo: Il tempo con sue fredde ale vi spazza Fin le rovine, le Pimple fan lieti Di lor canto i deserti, e l'armonia Vince di mille secoli il silenzio, e oggi pi che mai c' bisogno d'armonia, dentro e fuori dell'uomo, affinch egli non diventi estraneo a se stesso e alla natura. Benvenuti allora nel mondo dello Zibaldone e buona lettura! Marcello Vicchio

Sommario.Racconti: L'imbutodicuoio(A.C.Doyle),Lapaura(Guyde Maupassant),LaletteraU(I.U.Tarchetti),Manoscritto (F.Verdinois), Il gambetto di Horwitz (Fargo),Qualcuno come Umberto ( M.Vicchio),Quaderno a quadretti (A.Rennis), Guarito(messerG.Provolone). Filosofia: Crizia(Platone),Unmodellodiscrittura poetica.Laconsolazionedellafilosofia (G.Laudato),Delleggereedelloscrivere(F.W. Nietzsche),Discorsosulmetodo(Cartesio), Aforismisullasaggezzadellavita(A. Schopenhauer). Storia: Viteparallele(Plutarco),Declinoecaduta dell'imperoromano(E.Gibbon),Ereditlatina, grecitbizantina(G.DeLeonardis),Saggiosulla RivoluzioneNapoletanadel1799(V.Cuoco). Arte: Lettera(NicolasPoussin),Suigustidell'arte (M.Uda). VarieePoesia: Nicolino(V.Cambriglia),Pensieri(L.Menghini),La primalezionedimiopadre(V.Padula),IlMaestro interiore(I.LoSardo),Ascensioniumane (L.Capuana), Poesie:Xavier,E.Polatti,E.Piluso,P.Capalbo.

LoZibaldonedelpoveroVic,pag.2

RaccontidiieriL'arte del racconto molto antica e diffusa nel mondo. In questa sezione troveranno posto racconti noti e meno noti di scrittori del passato di ogni latitudine, tutti accomunati dal desiderio di raccontare una storia, dal gusto del bello e del fantastico e dalla voglia di stupire. Cos', in fondo, un racconto se non un breve salto in una magica dimensione atemporale?

L'imbuto di cuoioArthur Conan Doyle. Sir A. C. Doyle conosciuto dalla stragrande maggioranza dei lettori per il suo famosissimo personaggio, l'investigatore Sherlock Holmes. Non tutti sanno che Doyle,personalit incredibilmente eclettica, scrisse altri cinque romanzi di genere fantastico e una ventina di racconti dello stesso tenore, ispirati spesso dalla sua passione per l'occulto e lo spiritismo. Ne 'L'imbuto di cuoio' , scritto nel 1900, abbiamo uno splendido esempio di come possa essere sfruttata l'idea della visione onirica. Il mio amico, Lionel Dacre, abitava nell'Avenue de Wagram, a Parigi. La sua casa era quella piccola, con la cancellata di ferro e il giardinetto davanti, che s'incontra sulla sinistra, venendo dall'Arco di Trionfo. Immagino che essa esistesse gi molto tempo prima che il viale venisse costruito, poich i tegoli erano cosparsi di licheni, e i muri erano ammuffiti e scoloriti dagli anni. Sembrava piccola vista dalla strada, cinque finestre sulla facciata, se ben ricordo, ma sul retro si estendeva in un'unica, lunga sala. Era qui che Dacre teneva quella singolare biblioteca di letteratura occulta, e quei bizzarri oggetti che costituivano il suo hobby e il divertimento dei suoi amici. Uomo ricco, dai gusti eccentrici e raffinati, aveva speso la miglior parte della sua vita e della sua fortuna mettendo insieme una raccolta privata, che si diceva unica nel suo genere, di opere talmudiche, cabalistiche e di magia, molte delle quali assai rare e di grande valore. I suoi gusti tendevano al soprannaturale e all'orrido, e ho sentito dire che i suoi esperimenti nel campo dell'ignoto hanno passato ogni limite di civilt e di decoro. Con i suoiamici inglesi egli non parlava mai di queste cose, anzi si atteggiava a studioso e a grande esperto; ma un francese, i cui gusti erano analoghi ai suoi, mi ha assicurato che le pi macabre delle messe nere si sono svolte in quella vasta sala, le cui pareti sono tappezzate da libri e da bacheche che la rendono simile a un museo. L'aspetto di Dacre era sufficiente a dimostrare che il suo profondo interesse in queste faccende psichiche era

intellettuale piuttosto che spirituale. Il volto massiccio non recava alcuna traccia di ascetismo, ma l'enorme cranio a cupola che spuntava al di sopra dei capelli ormai radi, simile a una vetta innevata circondata da una frangia di abeti, rivelava una grande forza mentale. La sua sapienza superava la sua saggezza, e la volont era di gran lunga superiore al carattere. Gli occhi piccoli e vivaci, profondamente infossati nel volto carnoso, brillavano di intelligenza e di un'insaziabile curiosit della vita, ma erano gli occhi di un sensuale e di un egoista. Ma basta col parlare di lui, poich adesso egli morto, povero diavolo, morto proprio quando era sicuro di avere finalmente scoperto l'elisir di lunga vita. Non del suo complesso carattere che io voglio parlare, ma della strana e inspiegabile vicenda che avvenne durante la visita che gli feci nella primavera dell"82. Avevo conosciuto Dacre in Inghilterra, poich le mie ricerche nella Sala Assira del British Museum si erano svolte nel medesimo tempo in cui egli stava tentando di attribuire un significato mistico ed esoterico alle tavole babilonesi, e questi comuni interessi ci avevano avvicinati. I primi casuali commenti si erano approfonditi in conversazioni quotidiane, e queste, a loro volta, si erano trasformate in qualcosa di simile all'amicizia. Avevo promesso di fargli visita, la prima volta che mi fossi recato a Parigi. All'epoca in cui potei adempiere alla mia promessa, abitavo in una villetta a Fontainebleau, e poich i treni della sera erano scomodi, egli mi chiese di trascorrere la notte in casa sua. "Non ho che quel letto da metterle a disposizione" mi disse, indicando un ampio divano nel suo grande salone. "Spero che potr starci comodo." Era una singolare stanza da letto, quella, con le sue alte pareti tappezzate di volumi, ma non potevano esistere mobili pi gradevoli per un amante di libri quale io ero, n vi alcun profumo cos attraente alle mie nari quanto quel tenue, leggero tanfo che emana da un libro antico. Lo assicurai che non avrei potuto desiderare una camera pi piacevole, n un arredamento pi congeniale. "Se l'arredamento non n comodo n convenzionale, perlomeno costoso" comment Dacre guardandosi attorno. "Questi oggetti che la circondano mi sono costati quasi un quarto di milione. Libri, armi, gemme, intarsi, arazzi, quadri... non esiste un solo oggetto che non abbia la sua storia, e una storia

che generalmente vale la pena raccontare." Mentre parlava, egli era seduto da un lato del caminetto aperto, e io dall'altro. Alla sua destra si trovava lo scrittoio, sul cui piano una lampada proiettava un vivido cerchio di luce dorata. In mezzo al tavolo c'era un palinsesto semiarrotolato, e attorno una collezione di strani oggetti. Fra questi, notai un grande imbuto, di quelli che si adoperano per riempire i barili di vino. Pareva fatto di legno nero, e aveva il bordo di ottone scolorito. "Quello un oggetto curioso" commentai. "Qual la sua storia?" "Ah" replic "anch'io mi sono posto questa stessa domanda. Darei non so che cosa per conoscerla. Lo prenda in mano e lo esamini bene." Lo presi, e scoprii che ci che io avevo creduto fosse legno era in realt cuoio, bench prosciugato e indurito dagli anni. Era piuttosto grande come imbuto, e giudicai che potesse contenere all'incirca un litro. Un bordo di ottone ne circondava il capo pi largo, ma anche quello stretto era rifinito in metallo. "Cosa gliene pare?" mi chiese Dacre. "Penso che sia appartenuto a un vinaio o a un birraio del Medioevo" risposi. "Ho visto dei fiaschetti di cuoio inglesi del diciassettesimo secolo, che erano dello stesso colore e della stessa consistenza di questo imbuto." "Suppongo che la data sia suppergi la medesima" conferm Dacre "e indubbiamente serviva per riempire un recipiente di un qualche liquido. Per se i miei sospetti sono fondati, era uno strano vinaio colui che se ne serviva, e un insolito barile che veniva riempito. Non notate qualcosa di strano sul beccuccio dell'imbuto?" Tenendolo alla luce, osservai che in un punto a una diecina di centimetri circa dal puntale di ottone, lo stretto collo dell'imbuto era tutto segnato e tagliuzzato, come se qualcuno avesse tentato di inciderlo con un coltello poco tagliente. Soltanto in quel punto l'opaca superficie nera era irruvidita. "Qualcuno ha tentato di tagliarne via il collo." "Lo chiamereste un taglio?" "E' strappato e lacerato. Ci deve essere voluta una certa forza per lasciare dei segni simili su un materiale cos duro, qualsiasi fosse stato lo strumento. Ma lei cosa ne pensa? E' chiaro che ne sa pi di quanto non abbia detto." Dacre sorrise, e i suoi occhietti brillarono divertiti. "Ha incluso la psicologia dei sogni fra i suoi dotti studi?" mi chiese. "Non sapevo neppure che esistesse una simile psicologia." "Mio caro signore, quello scaffale sopra alla bacheca di gemme pieno di volumi, da Albertus Magnus in avanti, che trattano unicamente quel soggetto. E' una scienza in se stessa." "Una scienza di ciarlatani."

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"Il ciarlatano sempre il pioniere. Dall'astrologo nato l'astronomo, dall'alchimista il chimico, dal mesmerista lo psicologo sperimentale. Il ciarlatano di ieri il professore di domani. Anche delle cose cos lievi e inconsistenti come i sogni, saranno col tempo ordinate e classificate. Quando quel tempo verr, le ricerche dei nostri amici sullo scaffale laggi non saranno pi il passatempo del mistico, ma le fondamenta di una scienza." "Anche supponendo che sia cos, qual il rapporto fra la scienza dei sogni e un grande imbuto nero bordato di ottone?" "Glielo dir. Lei sa che io ho un agente che costantemente alla ricerca di oggetti rari e curiosi per la mia collezione. Qualche giorno fa, egli ha sentito parlare di un mercante lungo uno dei "quais", il quale aveva acquistato delle vecchie cianfrusaglie trovate in un armadio in un'antica casa dietro a rue Mathurin, nel Quartiere Latino. La sala da pranzo di questa vecchia casa decorata con uno stemma, strisce rosse in campo argenteo, che si dimostrato, dopo un'indagine, essere il blasone di Nicholas de la Reyne, un alto ufficiale di re Luigi XIV. Non vi alcun dubbio che anche gli altri oggetti in quell'armadio rimontano ai lontani giorni di quel re. Se ne deduce, pertanto, che erano tutti propriet di questo Nicholas de la Reyne, il quale era, a quanto mi risulta, il gentiluomo incaricato di far osservare ed eseguire le draconiche leggi di quell'epoca." "E con ci?" "Ora le chieder di prendere nuovamente in mano l'imbuto e di osservarne il cerchio di ottone sull'imboccatura. Riesce a distinguervi delle lettere?" Vi erano certamente degli sgraffi, quasi cancellati dal tempo. L'effetto che essi davano era di una serie di lettere, l'ultima delle quali somigliava vagamente a una B. "Non le sembra una B?" "S." "Anche a me. Anzi, non dubito minimamente che non si tratti di una B." "Ma il nobiluomo di cui avete parlato avrebbe avuto una R per iniziale." "Esattamente, proprio questo il bello. Egli possedeva questo curioso oggetto, eppure esso recava le iniziali di un altro. Perch fece questo?" "Non riesco a immaginarlo; e lei?" "Be', potrei forse tirar a indovinare. Ha notato qualcosa disegnato un po' pi avanti sul bordo?" "Direi che si tratta di una corona." "E' indubbiamente una corona; ma se lei la esamina in

piena luce, si convincer che non una normale corona. E' una corona araldica, un emblema nobiliare, e consiste in quattro perle e foglie di fragola alternate, e cio l'emblema di marchese. Ne possiamo dedurre, perci, che la persona il cui nome cominciava per B aveva il diritto di fregiarsi di quella corona. "Allora questo comune imbuto di cuoio apparteneva a un marchese?" Dacre mi rivolse uno strano sorriso. "O a un membro della famiglia di un marchese" disse "Tutto ci lo possiamo dedurre da questo bordo inciso." "Ma che cosa c'entra tutto questo con i sogni?" Non so se dipendesse dall'espressione sul volto di Dacre, o da un'impercettibile suggestione nel suo atteggiamento, ma un senso di repulsione, di inspiegabile orrore, mi assal mentre guardavo quel vecchio pezzo di cuoio contorto. "Pi di una volta ho ricevuto importanti informazioni attraverso i miei sogni" disse il mio compagno, col tono didattico che egli amava assumere. "Ne ho fatto una regola, adesso. Ogni qualvolta sono in dubbio riguardo a un dato materiale qualsiasi, mentre dormo metto l'oggetto in questione accanto a me. Spero cos di venire in qualche modo illuminato. A me il procedimento non appare affatto oscuro, bench non abbia ancora ricevuto il riconoscimento della scienza ortodossa. Stando alla mia teoria, qualsiasi oggetto che sia stato intimamente legato a qualsiasi supremo parossismo di emozione umana, sia essa gioia o dolore, rimarr impregnato di una certa atmosfera o associazione che esso in grado di comunicare a una mente sensibile. Quando dico mente sensibile, non intendo dire anormale, ma una mente istruita e colta come la possediamo lei o io." "Vuol dire, per esempio, che se io dormissi accanto a quella vecchia spada sulla parete, potrei sognare qualche sanguinosa impresa alla quale partecip proprio quella spada?" "Un ottimo esempio, perch, a dire la verit, ho usato appunto quella spada, e ho visto nel sonno la morte del suo proprietario, il quale per in uno scontro armato, che non sono stato in grado di identificare ma che ebbe luogo all'epoca delle guerre dei Frondisti. Se ci pensa bene, alcune delle nostre usanze popolari dimostrano che il fatto era gi conosciuto dai nostri antenati, bench noi, nella nostra saggezza, lo abbiamo classificato fra le superstizioni." "Per esempio?" "Be', l'usanza di mettere il dolce della sposa sotto al cuscino per assicurare al dormiente dei sogni piacevoli. Questo uno dei tanti esempi che lei trover elencati in una piccola "brochure" che sto scrivendo sull'argomento. Ma per tornare al punto, ho dormito una notte con questo imbuto accanto a me, ed ebbi un sogno che certamente getta una curiosa luce sul suo uso e la sua origine." "Che cos'ha sognato?" "Ho sognato..." Si interruppe, e un'espressione di grande interesse si dipinse sul suo volto massiccio. "Per Giove, questa s che una buona idea" disse. "Sar un esperimento del massimo interesse. Lei stesso un soggetto psichico, con i nervi che reagiranno

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prontamente a qualsiasi impressione." "Non mi sono mai sottoposto a una prova di questo genere." "E allora la sottoporremo stasera. Posso chiederle come grande favore, quando lei occuper questo divano stanotte, di dormire con questo vecchio imbuto appoggiato accanto al cuscino?" La richiesta mi parve grottesca; ma anch'io ho, nella mia complessa natura, una autentica fame per tutto ci che bizzarro e fantastico. Non avevo la minima fiducia nella teoria di Dacre, n alcuna speranza che un simile esperimento desse dei frutti; ciononostante mi divertiva che l'esperimento venisse fatto. Dacre, con grande solennit, avvicin un tavolinetto a un capo del divano, e vi appoggi l'imbuto. Poi, dopo una breve conversazione, mi augur la buona notte e mi lasci. Rimasi per un po' seduto accanto al fuoco morente, fumando e riflettendo sulla curiosa conversazione che si era svolta, e sulla strana esperienza che forse mi attendeva. Per scettico che fossi, vi era un che di impressionante nella sicurezza dell'atteggiamento di Dacre, e lo straordinario ambiente che mi circondava, l'enorme sala piena di strani e spesso sinistri oggetti, fin coll'incutermi un senso di solennit. Infine mi svestii e, spento il lume, mi sdraiai. Dopo essermi a lungo rigirato, mi addormentai. Lasciate che tenti di descrivere, con la maggior precisione possibile, la scena che si present nei miei sogni. Spicca ancora oggi nella mia memoria, pi vivida di qualsiasi cosa che io abbia visto con i miei occhi. Vi era una stanza che dava l'impressione di essere un sotterraneo. Dai quattro angoli si alzavano volte a crociera. L'architettura era rozza, ma molto robusta. La stanza faceva chiaramente parte di una grande costruzione. Tre uomini vestiti di nero, con bizzarri, enormi copricapo di velluto nero, erano seduti in fila su una pedana tappezzata di rosso. I loro volti erano molto solenni e tristi. Alla loro sinistra, si trovavano due uomini vestiti di una lunga toga; avevano delle borse in mano, che parevano piene di carte. A destra, rivolta verso di me, era una piccola donna con i capelli biondi e singolari occhi di un azzurro chiarissimo: gli occhi di una bambina. Aveva passato la prima giovinezza, eppure non si poteva ancora definirla di mezza et. La sua figura era alquanto robusta, e il suo portamento fiducioso e arrogante. Il suo volto era pallido, ma sereno. Era uno strano volto, attraente eppure felino, con appena un accenno di crudelt nella piccola bocca forte e diritta e nel mento grassoccio. Era avvolta in una specie di tunica, bianca e morbida. Un prete magro e ansioso le stava accanto, bisbigliandole nell'orecchio e sollevando continuamente un crocifisso davanti ai suoi occhi. La donna voltava la testa e guardava fissamente oltre il crocifisso verso i tre uomini in nero, i quali erano, ne ero certo, i suoi giudici. Mentre guardavo, i tre uomini si alzarono e dissero qualcosa, ma non potei

udire una sola parola, bench fossi consapevole che era quello in mezzo a parlare. Poi essi uscirono dalla stanza, seguiti dai due uomini con le carte. Nello stesso istante, numerosi uomini dall'aspetto rozzo e vestiti di pesanti giubbotti entrarono e si misero a togliere prima il tappeto rosso, e poi le assi che formavano la pedana, in modo da sgombrare completamente la stanza. Quando questo impedimento fu tolto, potei vedere in fondo alla stanza degli strani pezzi di mobilia. Uno di questi pareva un letto, con dei rulli di legno alle due estremit, e una manovella per regolarne la lunghezza. Un altro era una cavalletta di legno. Vi erano altri curiosi oggetti, fra cui un certo numero di corde pendenti dal soffitto, assicurate a pulegge. Il tutto somigliava vagamente a una palestra dei nostri tempi. Quando la stanza fu sgombrata, un nuovo personaggio apparve sulla scena. Si trattava di un uomo alto e magro, vestito di nero, dal volto austero e macilento. Il suo aspetto mi fece rabbrividire. Aveva gli abiti lucidi di unto e cosparsi di macchie. Si muoveva con una lenta e terribile dignit, come se avesse preso comando della situazione dall'istante in cui era entrato. Nonostante il suo aspetto rozzo e il suo abito lurido, adesso era lui a comandare: la stanza era sua. Sul braccio sinistro portava un rotolo di corda leggera. La donna lo scrut dalla testa ai piedi, ma la sua espressione rimase immutata. Era un'espressione di sicurezza, perfino di sfida. Ma non cos il prete. Il suo volto si fece di un mortale pallore, e vidi il sudore luccicare e scendere lungo la sua fronte alta e inclinata. Sollev le mani in gesto di preghiera e si chin a borbottare frenetiche parole all'orecchio della donna. Ora l'uomo in nero avanzava, e prendendo una delle corde dal braccio sinistro, leg le mani della donna, la quale gliele porse docilmente. Poi l'uomo le afferr un braccio ruvidamente e la condusse verso la cavalletta di legno, che era un po' pi alta della vita di lei. Su questa ella fu alzata e deposta supina, con il viso rivolto al soffitto, mentre il prete, sopraffatto dall'orrore, fuggiva in fretta dalla stanza. Le labbra della donna si muovevano rapidamente, e bench io non potessi udire, sapeva che stava pregando. I suoi piedi pendevano uno di qua, uno di l, lungo i lati della cavalletta, e vidi che i rozzi assistenti avevano assicurato delle corde alle sue caviglie, legandone l'altro capo agli anelli di ferro infissi nel pavimento di pietra. Mi sentii mancare, alla vista di questi funesti preparativi, eppure ero avvinto dal fascino dell'orrido, e non riuscii a staccare gli occhi dal macabro spettacolo. Un uomo era entrato nella stanza recando due secchi d'acqua. Un altro lo seguiva con un terzo secchio. I tre secchi vennero deposti accanto alla cavalletta di legno. Il secondo uomo portava anche un ramaiolo di legno, una specie di ciotola dal lungo manico diritto, nell'altra mano. Lo porse all'uomo in nero. Nello stesso istante, uno degli assistenti si avvicin con un oggetto scuro in mano, che anche in sogno mi riemp di un vago senso di familiarit. Era un imbuto di cuoio. Con mostruosa energia egli lo conficc... ma non potei resistere pi a lungo. Mi si drizzarono i capelli all'orrore. Mi

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contorsi,lottai, spezzai i vincoli del sonno e tornai con un grido nella mia propria vita, per trovarmi disteso, tremante di terrore, nell'enorme biblioteca, con la luce lunare che penetrava a fiotti dalla finestra e gettava strane ombre nere ed argentee sulla parete opposta. Oh, quale senso di sollievo provai nel sentire che ero tornato nel diciannovesimo secolo, tornato da quella cripta medioevale a un mondo dove gli uomini avevano cuori umani nel petto. Mi rizzai a sedere sul divano, tremando in tutto il corpo, con la mente divisa fra il sollievo e l'orrore. Pensare che simili cose fossero mai avvenute, che potessero avvenire senza che Dio fulminasse i colpevoli! Era stata tutta una fantasia, o rappresentava davvero qualcosa che era accaduto nel periodo pi oscuro e crudele della storia del mondo? Appoggiai il capo dolorante sulle mie mani tremanti. E allora, improvvisamente, mi parve che il cuore mi si fermasse nel petto, e non potei gridare, tale era il mio terrore. Qualcosa avanzava verso di me nell'oscurit della stanza. E quando un terrore si assomma a un altro terrore, che lo spirito di un uomo si spezza. Non riuscivo a ragionare, non riuscivo a pregare; potevo soltanto restare immobile, come una statua, e fissare la tenebrosa figura che avanzava nella vasta sala. Poi la figura si inoltr nel bianco raggio della luna, e potei nuovamente respirare. Era Dacre, e il suo volto mostrava che era spaventato quanto me. "E stato lei? Per l'amor del cielo, che cosa succede?" chiese con voce rauca. "Dacre, quanto sono lieto di vederla! Sono stato nell'inferno. Era spaventoso." "Allora stato lei a gridare?" "Credo proprio di s." "Il suo grido ha echeggiato per tutta la casa. I domestici sono rimasti terrorizzati." Accese la lampada con un fiammifero. "Credo che possiamo riattivare il fuoco" aggiunse, gettando dei ceppi sulla brace. "Santo cielo, amico mio, com' bianco il suo viso! Si direbbe che abbia visto un fantasma." "E infatti ne ho visti pi d'uno." "Dunque l'imbuto ha sortito il suo effetto?" "Non dormirei mai pi vicino a quell'oggetto infernale per tutto l'oro del mondo." Dacre ridacchi. "Prevedevo che avrebbe passato una notte agitata" disse. "Ma sono stato punito, perch quel suo urlo non era molto piacevole da udirsi alle due del mattino. Arguisco da quanto mi dice che ha visto tutta la spaventosa vicenda."

"Quale spaventosa vicenda?" "La tortura dell'acqua, o il "Trattamento Straordinario", come veniva chiamata negli amabili giorni del Re Sole. Lei ha resistito fino alla fine?" "No, grazie al cielo, mi sono destato prima che incominciasse per davvero." "Ah, una fortuna per lei. Io resistetti fino al terzo secchio. Be', una vecchia storia, e i protagonisti sono ormai tutti nella tomba, perci che importanza ha il modo in cui ci sono arrivati? Suppongo che lei non abbia alcuna idea di cosa fosse quello che ha visto?" "La tortura di qualche criminale. Quella donna dev'essere stata davvero una terribile delinquente, se i suoi delitti sono proporzionati alla punizione inflittale." "Infatti, abbiamo questa piccola consolazione" disse Dacre, avvolgendosi meglio nella veste da camera e accucciandosi pi vicino al fuoco. "Erano proporzionati alla sua punizione. S'intende, se ho riconosciuto con esattezza l'identit della donna." "Com' possibile che lei conosca la sua identit?" Per tutta risposta, Dacre tolse da uno scaffale un vecchio volume ricoperto in pergamena. "Ascolti questo" disse. "E' scritto nel francese del diciassettesimo secolo, ma mentre leggo gliene dar una traduzione approssimativa. Lei stesso giudicher se ho risolto o meno l'enigma. "La prigioniera venne portata davanti a uno speciale Giur che agiva come tribunale, imputata dell'assassinio di Dreux d'Aubray, suo padre, e dei suoi due fratelli, uno dei quali tenente e l'altro consigliere del Parlamento. A giudicare dalla sua persona, sembrava difficile credere che avesse davvero commesso delle simili malvagit, poich era di aspetto mite, e di piccola statura, con una carnagione chiara e occhi azzurri. Eppure la Corte, avendola trovata colpevole, la condann al trattamento ordinario e straordinario, in modo da costringerla a fare i nomi dei suoi complici, dopo di che un carro l'avrebbe trasportata alla place de Grve, dove le avrebbero tagliato la testa, per bruciarne poi il corpo e spargerne le ceneri al vento." "Questa annotazione datata 16 luglio, 1676." "E' molto interessante" replicai "ma non convincente. Come pu dimostrare che si tratti della medesima donna?" "Ci sto arrivando. Il racconto prosegue, e narra il comportamento della donna durante l'interrogatorio. "Quando il boia le si avvicin, ella lo riconobbe dalle corde che teneva in mano, e subito gli tese le proprie mani, scrutandolo dalla testa ai piedi senza profferire parola." Cosa ne dice?" "S, era proprio cos." "Essa guard, senza distogliere lo sguardo, la cavalletta di legno e gli anelli che avevano straziato tante persone e provocato tante grida di agonia. Quando

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i suoi occhi caddero sui tre secchi d'acqua, che erano l pronti per lei, ella disse con un sorriso: "Tutta quell'acqua dev'essere stata portata qui allo scopo di affogarmi, signore. Non avete intenzione, spero, di costringere una persona piccola come me a ingoiarla tutta". "Devo leggere i particolari della tortura?" "No, per l'amor del cielo, non lo faccia." "Ecco qua una frase che sicuramente vi dimostrer che ci che riportato qui si riferisce alla medesima scena alla quale ha assistito stanotte: "Il buon Abate Pirot, incapace di contemplare le agonie sofferte dalla sua penitente, si affrett a uscire dalla stanza". Questo la convince?" "Assolutamente. Non pu sussistere alcun dubbio che non si tratti della stessa persona. Ma chi dunque questa donna il cui aspetto era cos attraente, e la cui fine fu tanto orribile?" Per tutta risposta Dacre mi si avvicin, e appoggi la lampada sul tavolino che era accanto al mio letto. Sollevando l'infausto imbuto, ne volt il bordo di ottone in modo che la luce lo colpisse in pieno. Vista cos, l'incisione sembrava pi chiara di quanto non lo fosse stata la sera precedente. "Abbiamo gi convenuto che questo l'emblema di un marchese o di una marchesa" disse. "Abbiamo anche stabilito che l'ultima lettera una B." "Tutto ci indubbio." "Mi permetto ora di suggerirle che le altre lettere da sinistra a destra sono: M, M, una d minuscola, A, una d minuscola, e poi la B finale." "S, sono certo che lei ha ragione. Riesco a vedere chiaramente le due d minuscole." "Ci che le ho letto stasera" disse Dacre " il resoconto ufficiale del processo di Marie Madeleine d'Aubray, Marchesa di Brinvilliers, una delle pi famose avvelenatrici e assassine di tutti i tempi." Rimasi in silenzio, sopraffatto dalla straordinaria natura della vicenda, e dalla completezza dell'evidenza con cui Dacre ne aveva esposto il vero significato. Ricordavo vagamente alcuni particolari della carriera della donna, la sua depravazione senza limiti, la sua fredda e prolungata tortura del padre ammalato, l'assassinio dei fratelli per meschini motivi di lucro. Rammentai anche che il suo coraggioso comportamento di fronte alla morte aveva in qualche modo fatto ammenda per l'orrore della sua vita, e che tutta Parigi era stata solidale con lei nei suoi ultimi istanti, benedicendola come una martire, quando pochissimi giorni prima l'avevano maledetta come un'assassina. Mi venne in mente una sola obiezione. "Come mai le sue iniziali e il suo stemma finirono su quell'imbuto? Non posso credere che i suoi giustizieri portassero il loro medioevale rispetto per la nobilt al punto da decorare gli strumenti di tortura con i loro titoli." "Anch'io mi sono posto la stessa domanda" replic

Dacre "ma mi pare che sia facilmente spiegabile. Il caso dest a quell'epoca un interesse eccezionale, e niente di pi naturale che "La Reyne", capo della polizia, abbia serbato questo imbuto quale macabro ricordo. Non succedeva spesso che una marchesa di Francia fosse sottoposta al trattamento straordinario. Che egli vi incidesse le iniziali di lei ad uso dei posteri, mi pare un atto molto normale da parte sua." "E questi?" chiesi, indicando i segni sul collo dell'imbuto. "Quella donna era una vera tigre" disse Dacre, allontanandosi. "Mi pare evidente che, come le altre tigri, i suoi denti fossero sia robusti che affilati."

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La paura.Guy De Maupassant.

Henri-Ren-Albert-Guy de Maupassant nacque nel castello di Miromesnil-Normandia, da Gustave, nobile di provincia, e da Laure Le Poittevin, il 5 agosto 1850. Dalla madre, donna molto colta, eredit l'amore per le espressioni artistiche mentre la passione per la letteratura gli fu trasmessa da Gustave Flaubert, amico di famiglia. Dopo un periodo di leva nell'esercito francese, trov un impiego nel Ministero della Pubblica Istruzione, lavoro che agli inizi del 1880 lasci per dedicarsi completamente alla scrittura, entrando nel circolo letterario che gravitava attorno a Emile Zola. Scrisse circa trecento racconti, sei romanzi e numerose opere minori che gli fruttarono notoriet e denaro. Ammalatosi di sifilide, e colpito dalle sue complicanze psichiche pi gravi, mor folle in una clinica psichiatrica di Parigi, all'et di quarantatr anni. Molti suoi racconti hanno come tema la follia, tanto che viene da chiedersi quanta parte abbia avuto la sifilide nella sua produzione letteraria. Questo racconto ha come tema la paura; non quella che provoca subitaneo panico e fuga, bens la sensazione oppressiva sottile e costante, e per questo pi velenosa, che invade lentamente le vene e persiste nell'anima. Risalimmo sul ponte, subito dopo la cena. Davanti a noi il Mediterraneo non aveva unincrespatura su tutta la parte visibile, marezzata di luna. Il grande piroscafo continuava la sua rotta gettando nel cielo seminato di stelle un gran serpente di fumo nero; dietro di noi lacqua bianchissima, mossa dal veloce passaggio del bastimento, battuta dallelica, era tutta una spuma, sembrava savvolgesse su se stessa provocando innumerevoli scintillii simili al bollore duna liquida

luce di luna. In sei o sette ce ne stavamo l in silenzio e pieni di ammirazione, con lo sguardo rivolto verso lAfrica ancora lontana e dove ci stavamo dirigendo. Il Comandante, che stava fumando un sigaro in mezzo a noi, allimprovviso riprese una conversazione che era cominciata durante la cena. Gi, quel giorno ho avuto paura. Per sei ore la mia nave era rimasta con quello scoglio conficcato dentro, battuta dal mare in continuazione. Verso sera, per fortuna, fummo raccolti da una carboniera inglese che ci aveva avvistati. Un uomo alto col viso abbronzato e laspetto serio, una di quelle persone che si capisce subito abbiano attraversato grandi paesi sconosciuti, tra continui pericoli, e il cui occhio sereno sembra conservare qualche cosa, nella sua profondit, degli strani paesaggi che ha veduto, un uomo insomma ben temprato dal coraggio, entr allora per la prima volta nella nostra conversazione. Comandante, lei dice daver avuto paura? Non lo credo. Forse equivoca sulla parola o forse sulla sensazione che ha provato. Un uomo coraggioso non ha mai paura nellincombere dun pericolo. emozionato, agitato,nervoso; ma la paura unaltra cosa. Il Comandante replic ridendo: Accidenti! E invece le garantisco che ho avuto paura>>

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Allora luomo abbronzato aggiunse parlando con estrema lentezza: Mi permetta di spiegarmi. La paura anche gli uomini pi coraggiosi possono provarla un sentimento orrendo, una sensazione atroce, simile alla decomposizione dellanima, uno spasimo spaventoso del pensiero e del cuore, il cui semplice ricordo provoca brividi dangoscia. Ma, quando si coraggiosi di natura, questo non avviene n davanti a un attacco pericoloso, n davanti a una morte inevitabile, n davanti a tutte le forme note del pericolo: ha luogo in circostanze anormali, sotto certe influenze misteriose, di fronte a rischi indefiniti. La vera paura simile al ricordo dei terrori fantastici dun tempo. Un uomo che crede ai fantasmi e che simmagina di scorgere uno spettro nella notte, lui s che prover la paura in tutto

il suo orrore. Io ho intuito cosera la paura in pieno giorno, circa dieci anni fa. Lho provata linverno scorso durante una notte del mese di dicembre. Eppure mero trovato in frangenti e in avventure che parevano mortali. Ho combattuto spesso. Sono stato lasciato per morto dai banditi. Sono stato condannato allimpiccagione come insorto in America e gettato in mare aperto dal ponte duna nave in Cina. Ogni volta mi son creduto spacciato e mi sono rassegnato subito; senza commozione e anche senza rimpianti. Ma questa non la paura. Io lho presentita in Africa. Eppure essa figlia del Nord: il sole la dissipa come una nebbia. Fate attenzione a questo, signori. Per gli orientali la vita non conta niente: si subito rassegnati; le notti sono chiare e senza le cupe inquietudini che opprimono gli uomini dei paesi freddi. In Oriente si pu conoscere il panico, si ignora la paura. Ebbene, ecco quel che m accaduto in terra dAfrica. Attraversavo le grandi dune a sud di Ourgla. uno dei pi strani paesi della terra. Voi conoscete la sabbia distesa, la sabbia delle interminabili spiagge oceaniche. Adesso figuratevi che loceano sia diventato sabbia in mezzo a un uragano: immaginatevi una tempesta silenziosa di immobili onde di polvere gialla. Sono alte come montagne, queste onde ineguali, diverse, sollevate in alto come cavalloni, ma ancora pi grandi e striate come unimmensa pezza di amoerro. Su questo mare furioso, muto e apparentemente immobile, il divorante sole del Sud sparge la sua fiamma implacabile e diretta. Bisogna oltrepassare queste onde di cenere dorata, ridiscendere e ancora salire, salire senza sosta, senza riposo e senza ombra. I cavalli rantolano, sprofondano fino al ginocchio e poi si lasciano scivolare quando raggiungono laltro versante di queste sorprendenti colline. Eravamo due amici seguiti da otto spahis e da quattro cammelli coi loro guidatori. Non parlavamo, oppressi dallafa, dalla stanchezza, inariditi dalla sete come quel deserto ardente. Dimprovviso uno dei nostri uomini lanci uno strano grido: tutti si fermarono e restammo senza muoverci, sorpresi da un fenomeno inesplicabile, conosciuto solo da chi viaggia in quelle sperdute contrade. Chiss dove, eppure vicino a noi, da una direzione che non si riusciva a determinare, rullava un tamburo: il misterioso tamburo delle dune. Rullava distintamente, ora pi ora meno vibrante, interrompendosi ogni tanto, ma subito dopo riprendendo il suo ritmo fantastico. Gli arabi, spaventati, si guardarono tra loro e uno disse nella sua lingua: Sopra di noi c la morte!. Ed ecco che allimprovviso il mio compagno e amico, pi che un fratello per me, cadde da cavallo a testa in gi, fulminato da una insolazione. E per due ore, mentre cercavo inutilmente di salvarlo, quel tamburo misterioso mecheggi nelle orecchie col suo ritmo monotono, intermittente e incomprensibile. Io sentivo insinuarmisi nelle ossa il terrore, la vera paura, la paura

schifosa, davanti a quel cadavere, in quella buca incendiata dal sole, tra quattro montagne di sabbia, mentre uneco sconosciuta ripercuoteva contro di noi, a duecento leghe da qualsiasi villaggio, il rullo veloce del tamburo. Quel giorno compresi che cosa sia aver paura, e lo seppi anche meglio unaltra volta.... Il Comandante interruppe il narratore: Scusi, signore, ma quel tamburo... Che cosera?. Non ne so nulla. Nessuno lo sa. Gli ufficiali, sorpresi da quel rumore singolare, ne attribuiscono la causa a uneco ingrandita, smisuratamente ampliata dagli avvallamenti delle dune e prodotta da una grandinata di grani di sabbia trasportati dal vento a urtare contro qualche ciuffo derba secca, poich s osservato che il fenomeno si produce sempre vicino a certi arbusti arsi dal sole e duri come cartapesta. E dunque quel tamburo non sarebbe che una sorta di miraggio, un miraggio sonoro. Tutto qui. Ma questo lo seppi soltanto pi tardi. Vengo alla mia seconda emozione. Accadde linverno scorso, in un bosco della Francia nordorientale. La notte era scesa con due ore danticipo, tanto scuro era il cielo. In un sentiero molto stretto avevo per guida un contadino che camminava al mio fianco, sotto una cupola di abeti, da cui un vento scatenato traeva lunghi lamenti. Fra le cime dei monti distinguevo correre nuvole in rotta, certe nuvole impazzite che sembrava scappassero incalzate dal terrore. A tratti tutto il bosco sembrava inclinarsi con un gemito di sofferenza sotto una raffica di vento molto forte; e il freddo mi passava da parte a parte nonostante il passo rapido e le vesti pesanti. Dovevamo andare a cena e fermarci a dormire da una guardia forestale. La casa non era molto lontana da

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l e io ci andavo per cacciare. Di quando in quando la mia guida alzava gli occhi e borbottava: Diavolo dun tempaccio!. Poi miparl della famiglia che ci avrebbe ospitato. Il padre aveva ucciso un bracconiere due anni prima, e da allora era sempre cupo, come se fosse ossessionato da quel ricordo. I suoi due figli, entrambi sposati, vivevano con lui. Le tenebre erano profonde. Non vedevo niente davanti a me, n intorno a me. Tutto il frascame degli alberi si urtava in continuazione e riempiva la notte dun continuo fruscio. Finalmente scorsi una luce e subito il mio compagno bussava a una porta. Come risposta arrivarono acute grida di donne; poi una voce maschile, una voce rauca domand: Chi ?. La mia guida disse il suo nome. Entrammo. Mai dimenticher quel che vidi. Un vecchio dai capelli bianchi, dallocchio folle, con un fucile carico in mano, ci aspettava in mezzo alla cucina, mentre due giovanotti armati di scure erano di guardia ai lati della porta. Negli angoli oscuri in fondo alla stanza distinsi due donne inginocchiate col viso rivolto verso il muro. Demmo le spiegazioni necessarie. Il vecchio riappoggi il fucile alla parete e ordin che mi fosse preparata una stanza: ma poi, visto che le due donne non si muovevano, dette questa brusca spiegazione: Sa, signore? Sono due anni stanotte da quando ho ammazzato un uomo. Lanno scorso venuto a

chiamarmi. E cos laspetto anche questa notte. Concluse con un tono che provoc il mio sorriso: Ecco perch non siamo tranquilli. Feci del mio meglio per rassicurarlo. Ero felice dessere arrivato proprio quella sera e di poter assistere a quello spettacolo di terrore superstizioso. Mi misi a raccontare qualche storiella e cos mi riusc di calmare, almeno un poco, tutta la famiglia. Accanto al focolare un vecchio cane, mezzo cieco e baffuto, uno di quei cagnacci che somigliano a qualcuno di nostra conoscenza, dormiva, col muso tra le zampe. Una tempesta senza requie percuoteva il casolare e da un finestrino stretto stretto, proprio uno spiraglio accanto alla porta, vedevo alla luce dei lampi un gruppo di alberi scompigliato dal vento. Nonostante tutti i miei sforzi, percepivo chiaramente che un profondo terrore dominava gli animi di quelle persone. Ogni volta che smettevo di parlare tutte le orecchie si tendevano verso un punto molto lontano. Stanco di assistere a quei vani spaventi, stavo per chiedere di andar a dormire, quando la vecchia guardia forestale balz improvvisamente dalla sedia e riafferr il fucile sussurrando con evidente smarrimento: Eccolo! eccolo! Lo sento!. Le donne tornarono a inginocchiarsi nel loro angolo nascondendo il viso; i figli impugnarono di nuovo le scuri. Mi preparavo a calmarli ancora una volta, quando dimprovviso si risvegli il cane addormentato e, tendendo il collo verso il fuoco e guardandolo con locchio quasi spento, emise uno di quei lugubri ululati che la sera spaventano in campagna i viandanti. Tutti ci volgemmo a guardarlo: era rimasto immobile, ritto sulle zampe, come in preda a una visione. Poi ricominci a urlare verso una cosa invisibile e spaventosa perch tutto il pelo gli sera rizzato. Livido in volto, la guardia grid: Lo sente! Lo sente! Mi ha visto ucciderlo!. Anche le due donne si misero a urlare come forsennate, allunisono col cane. Mio malgrado, un brivido mi corse tra le spalle, lunghissimo. La visione di quellanimale a quellora e in mezzo a quella gente terrorizzata era spaventosa. Per unora intera il cane ulul senza muoversi, come nellangoscia dun sogno premonitore. La paura, la schifosa paura minvase. Paura di che cosa? Lo sapevo forse? Era la paura, tutto qui. I nostri visi erano violacei nellimmobilit e nellattesa di qualcosa di tremendo, con lorecchio teso, il cuore in tumulto, sempre pi sconvolti a ogni minimo rumore. Il cane si mise a girare attorno alla stanza, fiutando i muri e continuando a mugolare. Quella bestia ci faceva impazzire! Allora il contadino che mi aveva fatto da guida, in una specie di parossismo furibondo, gli si butt addosso, lafferr e la gett fuori in un cortiletto interno. Il cane tacque di colpo, noi rimanemmo immersi in un silenzio ancor pi terrificante. Dimprovviso sussultammo tutti insieme: qualcuno

strisciava contro il muro esterno, dalla parte del bosco; poi pass verso la porta, sembr sfiorarla con manotremula. Per due minuti non sentimmo pi alcun rumore, due minuti che ci portarono alla soglia della demenza; quindi quella presenza misteriosa torn a sfiorare il muro e gratt leggermente come farebbe un bambino, con lunghia dun dito. Allimprovviso apparve contro il vetro del finestrino una testa bianca, con occhi luminosi come quelli delle belve. E dalla bocca usc un suono indistinto, un mormorio lamentoso. Fu un attimo. Un fragore improvviso rimbomb nella cucina. La vecchia guardia aveva sparato. E subito i figli si precipitarono, tapparono lo spiraglio rizzandovi contro il grande tavolo, che poi puntellarono con la credenza. Vi giuro che allo scoppio della fucilata che non maspettavo ebbi una tale angoscia nel cuore, nellanimo e nel corpo che mi sentii mancare, prossimo a morire di terrore. Restammo cos in attesa sino allaurora, incapaci di muoverci, di dire una sola parola, contratti da un orrore senza nome. Osammo rimuovere la barricata soltanto quando scorgemmo dalla fessura di unimposta un pallido raggio di luce. Ai piedi del muro, contro la porta, giaceva il vecchio cane col muso sfracellato dalla fucilata. Era uscito dal cortiletto scavandosi un varco sotto la palizzata. Luomo dal volto abbronzato tacque, poi soggiunse: Quella notte non corsi alcun pericolo, eppure preferirei rivivere tutte le ore nelle quali ho affrontato situazioni davvero terribili piuttosto che il solo istante di quella fucilata sparata contro la testa villosa apparsa nello spiraglio>>

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La lettera U(Manoscritto d'un pazzo)Iginio Ugo Tarchetti

Igino Pietro Teodoro Tarchetti nacque a san Salvatore Monferrato (AL) nel 1839. Si arruol giovanissimo nell'esercito e visse a Varese e poi a Parma. Trasferitosi a Milano nel 1865, ammalato di tisi, entr ben presto nel movimento culturale della Scapigliatura, del quale fu uno dei massimi esponenti. Gli scapigliati erano animati da uno spirito di ribellione nei confronti del perbenismo statico borghese. Essi erano tenaci oppositori sia del Romanticismo italiano, che giudicavano essersi trasformato in pura esteriorit, languida e inutile, che del provincialismo della cultura risorgimentale. Affascinati dallo psichismo, gli scapigliati impersonarono la rivolta dell'uomo sensibile nei confronti di una societ malata di immobilismo stantio, disprezzando norme e convinzioni e dando corpo alla figura dell'artista dissoluto che bruciava le tappe della vita, bruciandosi a sua volta. Tarchetti , che aveva assunto il nome Ugo in onore a Foscolo, mor di febbre tifoide a Milano, nel 1869. Per commentare questo racconto sufficiente una sola parola, che poi descrive anche lo scrittore:geniale! U! U! Ho io scritto questa lettera terribile, questa vocale spaventosa? L'ho io delineata esattamente? L'ho io tracciata in tutta la sua esattezza tremenda, co' suoi profili fatali, colle sue due punte detestate, colla sua curva abborrita? Ho io ben vergata questa lettera, il cui suono mi fa rabbrividire, la cui vista mi riempie di terrore? S, io l'ho scritta. Ed eccovela ancora: U Eccola un'altra volta U

Guardatela, affissatela bene - non tremate, non impallidite - abbiate il coraggio di sostenerne la vista, di osservarne tutte le parti, di esaminarne tutti i dettagli, di vincere tutto l'orrore che v'ispira.... Questo U!... questo segno fatale, questa lettera aborrita, questa vocale tremenda! E l'avete ora veduta?... Ma che dico?... Chi di voi non l'ha veduta, non l'ha scritta, non l'ha pronunciata le mille volte? - Lo so; ma io vi domander bens: chi di voi l'ha esaminata? chi l'ha analizzata, chi ne ha studiato la forma, l'espressione, l'influenza? Chi ne ha fatto l'oggetto delle sue indagini, delle sue occupazioni, delle sue veglie? Chi vi ha posato sopra il suo pensiero per tutti gli anni della sua vita? Perch.... voi non vedete in questo segno che una lettera mite, innocua come le altre; perch l'abitudine vi ci ha resi indifferenti; perch la vostra apatia vi ha distolto dallo studiarne pi accuratamente i caratteri.... ma io.... Se voi sapeste ci che io ho veduto!... se voi sapeste ci che io vedo in questa vocale! U E consideratela ora meco. Guardatela bene, guardatela attentamente, spassionatamente, fissi! E cos, che ne dite? Quella linea che si curva e s'inforca - quelle delle due O - Che sorpresa! che meraviglia! ma che sorpresa grata! Che schiettezza rozza, ma maschia in quella lettera! Sentite ora l'U. Pronunciatelo. Traetelo fuori dai precordii pi profondi, ma pronunciatelo bene: U! uh!! uhh!!! uhhh!!!! Non rabbrividite? non tremate a questo suono? Non vi sentite il ruggito della fiera, il lamento che emette il dolore, tutte le voci della natura soffrente e agitata? Non comprendete che vi qualche cosa d'infernale, di profondo, di tenebroso in quel suono? Dio! che lettera terribile! che vocale spaventosa!! Vi voglio raccontare la mia vita. Voglio che sappiate in che modo questa lettera mi ha trascinato ad una colpa, e ad una pena ignominiosa e immeritata. Io nacqui predestinato. Una terribile condanna pesava sopra di me fino dal primo giorno della mia esistenza: il mio nome conteneva un U. Da ci tutte le sventure della mia vita. A sette anni fui avviato alle scuole. Un istinto, di cui ignorava ancora le cause, mi impediva di apprendere quella lettera, di scriverla: ogni volta che mi si facevano leggere le vocali mi arrestava, mio malgrado, d'innanzi all'U; mi veniva meno la voce, un panico indescrivibile s'impossessava di me - io non poteva pronunciare quella vocale! Scriverla? era peggio! La mia mano sicura nel vergare le altre, diventava convulsa e tremante allorch mi accingeva a scrivere questa. Ora le aste erano troppo convergenti, ora troppo divergenti; ora formavano un V diritto, ora un V capovolto; non poteva tracciare in

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nessun modo la curva, e spesso non riusciva che a formare una linea serpeggiante e confusa. Il maestro mi dava del quadrello sulle dita - io m'inacerbiva e piangeva. Aveva dodici anni, allorch un giorno vidi scritto sulla lavagna un U colossale, cos: U Io stava seduto di fronte alla lavagna. Quella vocale era l, e pareva guardarmi, pareva affissarmi e sfidarmi. Non so qual coraggio mi nascesse improvvisamente nel cuore: certo il tempo della rivelazione era giunto! Quella lettera ed io eravamo nemici; accettai la sfida, mi posi il capo tra le mani e incominciai a guardarla.... Passai alcune ore in quella contemplazione. Fu allora che io compresi tutto, che io vidi tutto ci che vi ho ora detto, o tentato almeno di dirvi, giacch il dirvelo esattamente impossibile. Io indovinai le ragioni della mia ripugnanza, del mio odio; e progettai una guerra mortale a quella lettera. Incominciai col togliere quanti libri poteva a' miei compagni, e cancellarvi tutti gli U che mi venivano sott'occhio. Non era che il principio della mia vendetta. Fui cacciato dalle scuole. Vi ritornai tuttavia pi tardi. Il mio maestro si chiamava Aurelio Tubuni. Tre U!! Io lo aborriva per questo, Un giorno scrissi sulla lavagna: Morte all'U! Egli attribu a s medesimo quella minaccia. Fui ricacciato. Ottenni ancora di tornarvi una terza volta. Presentai allora, come lavoro di esame, un progetto relativo all'abolizione di questa vocale, alla sua espulsione dalle lettere dell'alfabeto. Non fui compreso. Fui tacciato di follia. I miei compagni, conosciuta cos la mia avversione a quella vocale, incominciarono contro di me una guerra terribile. Io vedeva, io trovava degli U da tutte le parti: essi ne scrivevano dappertutto: sui miei libri, sulle pareti, sui banchi, sulla lavagna - i miei quaderni, le mie carte ne erano ripieni; n io poteva difendermi da questa persecuzione sanguinosa ed atroce. Un giorno trovai nella mia saccoccia una cartolina, su cui ne era scritta una lunga fila in questo modo infernale, cos: UUUUUUUU Divenni furente! La vista di tutti quegli U disposti in questa guisa, collocati con questa gradazione tremenda, mi trasse di senno. Sentii salirmi il sangue alle tempia, sconvolgersi la mia ragione.... Corsi alla scuola; ed afferrato alla gola uno de' miei compagni, l'avrei per fermo soffocato, se non mi fosse stato tolto di mano. Era la prima colpa a cui mi trascinava quella vocale!

Mi fu impedito di continuare i miei studi. Allora incominciai a vivere da solo, a pensare, a meditare, ad operare da solo. Entrai in una nuova sfera di osservazioni, in una sfera pi elevata, pi attiva: studiai i rapporti che legavano ai destini dell'umanit questa lettera fatale; ne trovai tutte le fila, ne scopersi tutte le cause, ne indovinai tutte le leggi; e scrissi ed elaborai, in cinque lunghi anni di fatica, un lavoro voluminoso, nel quale mi proponeva di dimostrare come tutte le umane calamit non procedessero da altre cause che dall'esistenza dell'U, e dall'uso che ne facciamo nella scritturazione e nel linguaggio; e come fosse possibile il sopprimerlo, e rimediare, e prevenire i mali che ci minaccia. Lo credereste? non trovai mezzo di dare alla luce la mia opera. La societ ricusava da me quel rimedio che solo poteva ancora guarirla. A venti anni mi accesi d'amore per una fanciulla, e ne fui riamato. Essa era divinamente buona, divinamente bella: ci amammo al solo vederci; e quando potei parlarle, le chiesi: -Come vi chiamate? -Ulrica! -Ulrica! U. Un U! Era una cosa orribile. Comesottomettermi alla violenza atroce, continua di quella vocale? Il mio amore era tutto per me, ma nondimeno trovai la forza di rinunziarvi. Abbandonai Ulrica. Tentai di guarirmi con un altro affetto. Diedi il mio cuore ad un altra fanciulla. Lo credereste? Seppi pi tardi che si chiamava Giulia. Mi divisi anche da quella. Ebbi un terzo amore. L'esperienza mi aveva reso cauto: m'informai del suo nome prima di darle il mio cuore. Si chiamava Annetta. Finalmente! Apparecchiammo per le nozze, tutto era combinato, stabilito, allorch, nell'esaminare il suo certificato di nascita, scopersi con orrore che il suo nome di Annetta, non era che un vezzeggiativo, un abbreviativo di Susanna, Susannetta, e oltre ci - inorridite! aveva cinque altri nomi di battesimo: Postumia, Uria, Umberta, Giuditta e Lucia. Immaginate se io mi sentissi rabbrividire nel leggere quei nomi! - lacerai sull'istante il contratto nuziale, rinfacciai a quel mostro di perfidia il suo tradimento feroce, e mi allontanai per sempre da quella casa. Il cielo mi aveva ancora salvato. Ma ohim! io non poteva pi amare, la mia affettivit era esaurita, prostrata da tanti esperimenti terribili. Il caso mi condusse ad Ulrica; le memorie del mio primo

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amore si ridestarono, la mia passione si raccese pi viva.... Volli rinunciare ancora al suo affetto, alla felicit che mi riprometteva da questo affetto.... ma non ne ebbi la forza - ci sposammo. Da quell'istante incominci la mia lotta. Io non poteva tollerare che essa portasse un U nel suo nome, non poteva chiamarla con quella parola. Mia moglie!... la mia compagna, la donna amata da me.... portare un U nel suo nome!... Essa che aveva gi fatto un acquisto cos tremendo nel mio, perch io pure ne aveva uno nel mio casato! Era impossibile! Un giorno le dissi: -Mia buona amica, vedi quanto quest' U terribile! rinunciavi, abbrevia o muta il tuo nome!... te ne scongiuro! Essa non rispose, e sorrise. Un'altra volta le dissi: -Ulrica, il tuo nome mi insopportabile.... esso mi fa male.... esso mi uccide! Rinunciavi. Mia moglie sorrideva ancora, l'ingrata! sorrideva!,.. Una notte mi sentii invaso da non so qual furore: aveva avuto un sogno affannoso.... Un U gigantesco postosi sul mio petto mi abbracciava colle sue aste immense, flessuose.... mi stringeva.... mi opprimeva, mi opprimeva.... Io balzai furioso dal letto: afferrai la grossa canna di giunco, corsi da un notajo, e gli dissi: -Venite, venite meco sull'istante a redigere un atto formale di rinuncia.... Quel miserabile si opponeva. Lo trascinai meco, lo trascinai al letto di mia moglie. Essa dormiva; io la svegliai aspramente e le dissi: -Ulrica, rinuncia al tuo nome, all'U detestabile del tuo nome! Mia moglie mi guardava fissamente, e taceva. -Rinuncia, io le replicai con voce terribile, rinuncia a quell'U.,.. rinuncia al tuo nome aborrito!!.... Essa mi guardava ancora, e taceva! Il suo silenzio, il suo rifiuto mi trassero di senno: mi avventai sopra di lei, e la percossi col mio bastone. Fui arrestato, e chiamato a render conto di questa violenza. I giudici assolvendomi, mi condannarono ad una pena pi atroce, alla detenzione in questo Ospizio di pazzi. Io pazzo! Sciagurati! Pazzo! perch ho scoperto il segreto dei loro destini! dell'avversit dei loro destini! perch ho tentato di migliorarli?.... Ingrati! S, io sento che questa ingratitudine mi uccider: lasciato qui solo, inerme! faccia a faccia col mio nemico, con questo U detestato che io vedo ogni ora, ogni istante, nel sonno, nella veglia, in tutti gli oggetti che mi circondano, sento che dovr finalmente soccombere. Sia. Non temo la morte: l'affretto come il termine unico de' miei mali. Sarei stato felice se avessi potuto beneficare l'umanit persuadendola a sopprimere quella vocale; se essa non

avesse esistito mai, o se io non ne avessi conosciuto i misteri. Era stabilito altrimenti! Forse la mia sventura sar un utile ammaestramento agli uomini; forse il mio esempio li sproner ad imitarmi.... Che io lo speri! Che la mia morte preceda di pochi giorni l'epoca della loro grande emancipazione, dell'emancipazione dall' U, dell'emancipazione da questa terribile vocale!!! *** L'infelice che verg queste linee, mor nel manicomio di Milano l'11 settembre 1865.

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ManoscrittoFederigo Verdinois

Federigo Verdinois nacque a Caserta il 2 luglio 1884 e mor a Napoli l'11 aprile 1927. Fu scrittore, giornalista e buon traduttore dei maggiori scrittori russi della sua epoca: Dostoevskij,Gogol,Puskin, Tolstoj, i quali, grazie anche a lui, furono da allora ben conosciuti in Italia. Sotto lo pseudonimo di Picche scrisse numerosi racconti di genere fantastico. Dotato di straordinaria verve, le sue novelle sono un esempio di fantasia e brio, tanto che Verdinois meriterebbe di essere oggi molto pi conosciuto di quanto comunemente non lo sia. Non ho mai fatto la descrizione di una battaglia, e non la farei. Di battaglie non ne ho mai viste. Il lettore, se c' stato, sa di che si tratta; se non c' stato, se la figuri. E si figuri se non gli dispiace, la battaglia di Danzica. Questa prima parte del racconto, raccolta da relazioni verbali, sar piuttosto magra. Io non so colorire le cose che non ho visto, n conosco gli uomini che non ho mai conosciuto. La metto qui, perch si possa intendere la seconda parte, della quale

non ho merito n colpa, perch n l'ho inventata n la riferisco per sentito dire. Sar lettore anch'io e leggeremo insieme. Dunque, alla battaglia di Danzica, due giovani ufficiali francesi combattono come leoni l'uno a fianco dell'altro: il luogotenente De Montreuil e il capitano conte Duplessy. Sono amici d'infanzia e hanno fatto insieme gli studi al Politecnico, hanno sempre vissuto l'uno per l'altro: due anime ed un ncciolo. Scapoli tutti e due. Sfidano la morte, ma pare che la morte li voglia risparmiare. L'uno difende l'altro. Ad un tratto, in mezzo al rimbombo e al fumo delle artiglierie, un grido si leva: - Addio, Duplessy! muoio -. Il capitano si slancia verso la parte donde il grido venuto, a pochi passi. Si china, mette un ginocchio in terra, prende l'amico fra le braccia, lo solleva alquanto. Una scheggia di mitraglia gli ha squarciato il petto, e dalla ferita vien fuori il sangue gorgogliando. Brevi momenti di vita gli avanzano. Balbetta poche e confuse parole. Gli raccomanda la povera sorella. Duplessy piange, lo bacia in fronte. - Non piangere - sussurra De Montreuil - ci rivedremo in un'altra vita. - Addio, addio, mio povero amico! - singhiozza Duplessy. - No, non addio, a rivederci! Questa fede profonda non vale a lenire il dolore dell'ufficiale. Vorrebbe credere, ma non pu. - Senti - dice - se c' un'altra vita, e tu dimmelo. - Come? - Non adesso, non adesso. Ricordati dell'amico tuo... - Sempre. - E torna a me, torna un momento solo, con una parola, con un cenno, con un pensiero, con un sogno. - Torner - pot appena balbettare il morente. - Torna - insistette l'amico, che la foga del dolore soffocava - torna nel momento supremo della mia morte, quando saremo per ricongiungerci, se vero che un'altra vita esiste. - Torner - ripetette De Montreuil. - Me lo giuri? - Te lo giuro -. Un fiotto di sangue gli mozz la parola. Il corpo si scosse in uno spasimo supremo e ricadde inerte. l luogotenente De Montreuil non era pi di questo mondo. ** Il viaggio da Firenze a Pistoia cos monotono e uggioso che non merita davvero il nome di gita. Non me n'avvidi che al ritorno, perch la solitudine c'induce prima la malinconia e poi la tristezza: qualche volta il sonno. Insieme con Gaetano Milone, mio amicissimo, s'andava a Lucignano, dov'egli occupava l'alta carica di ricevitore del Registro. Da tanto tempo non ci vedevamo, epper la conversazione era animata ed

arruffata, ciascuno volendo narrare i propri casi e tutti e due frammezzando il discorso di tanti ti ricordi? espressione di antica dimestichezza e di rammarico. Eravamo giovani e gi il pensiero di non essere pi fanciulli ci pungeva. Che diremmo oggi, amico Gaetano, oggi che anche la giovent ci ha lasciati? - Sicch - mi domanda Gaetano - tu hai sempre scritto? - Bene e male, s - rispondo, con una tal quale incertezza e con un po' di rimorso. - E scrivi sempre? - Naturalmente. - O come fai a trovare gli argomenti? Era la cosa pi facile di questo mondo. Gliela spiegai alla meglio e mi accorsi ch'egli non ci credeva. - Del resto - soggiunsi - son di manica larga, sai. Se me ne dai uno tu, me lo piglio. - Io? - Tu -. Sorrise e stette alquanto sovrappensiero. Poi disse: Figurati che poesia in un ufficio del Registro! Eppure te lo dar, e tu ne farai una novella.- O bravo! sentiamo.

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- No, parliamo d'altro adesso. So di che si tratta, ma non son buono a raccontare storielle. Ti dar il manoscritto originale. - Tuo? - No. L'ho trovato fra le carte di mio padre, e non so chi ne sia l'autore o il copiatore, perch si tratta di copia. un quadernetto di carta giallita, scritto con un inchiostro che appena si legge. Ma il fatto bello, te l'assicuro; credo che sia storico. - Ah! - Perch fai ah? - Perch il genere storico non il mio genere. Basta, lo piglier lo stesso e vedremo -. E cos, quando partii da Lucignano, portai via il manoscritto. L'ho tenuto tanto tempo sepolto sotto un monte di fogliacci. Una sera, presolo a caso, lo squadernai e lo lessi tutto. Eccolo tale e quale. Copia di una lettera spedita in data 15 giugno

1813 da Lione a Napoli. Tu mi domandi troppe cose in una volta, amico mio, ed probabile ch'io non risponda a nessuna. Aspetto meglio che tu dica a me le belle e le nuove cose, tu che stai in su e te la fai coi ministri e con la signoria; e poi aver notizie dal proprio paese sempre una consolazione per chi ne sta lontano e non trova il verso di acconciarsi a un paese nuovo. Sai, le citt sono come i vestiti, almeno per me; e il vestito vecchio mi sembra pi veramente mio e ci sto dentro a tutto comodo. Non dico cos per screditarti Lione; ci son venuto e ci star, fino a quando non piacer al Signore di dare un migliore avviamento ai fatti miei e di trovar maniera che i commerci si possano fare a breve distanza, da via a via, da casa a casa, senza bisogno di mandar correndo pel mondo un pover'uomo. Dunque, come ti dico, Lione pu anche passare per una bella citt, che non mi piace; ma questo, come capisci, il difetto mio. Ha qualche duecento migliaia di abitanti e non so quante manifatture e un diavoleto di commercio, che non per cos chiassoso come quello nostro di Napoli. Di questo non t'importa niente, ed naturale. Io per non me la fo e non me la far che col mio mondo, il quale, per la mia natura schiva e tranquilla, ristretto in brevi confini. Tu vivi in ben altro mondo. Che ti ho da dire? Ho conosciuto qui un certo Vernon, che dice di essere tuo amico. Ma io non ci credo, perch dice tante cose, e pretende di averti incontrato in casa del ministro Zurlo. vero? E poi nemmeno lui mi piace, bench sia un grazioso e brillante ufficiale. Se vero che egli tuo amico, gli avrai detto, spero, di non fare il passo pi lungo della gamba. Ma egli, si vede, non ti ha dato retta. Spende e spande; bench Francese, affetta tutta l'espansione di un Napoletano ed ha tutta l'albagia di uno Spagnuolo. Va per tutte le case, per le migliori, beninteso; e lo ripete cento volte al minuto perch vuole che tutti lo sappiano. Mi ha invitato a passare con lui qualche serata, in una delle case pi signorili. Io non volevo accettare. Fuggo il chiasso e le nuove conoscenze, perch quello m'introna e queste sono sempre un pericolo per una persona cui piace di farsi il fatto suo. Ma per non essere scortese e per non parere pi rospo di quel che non sono, ho dovuto accettare e mi son lasciato trascinare. Ed ecco come son venuto a conoscere per la prima volta una signora di questi paesi, che anche la pi bella donna che si possa figurare un uomo della mia fatta, il quale ne ha viste pochine ed ha paura di conoscerne di molte. Tu qui ti figurerai subito un romanzo, in cui il protagonista dovrei essere io. Ci sei e non ci sei, ti dir poi. Aspetta che te la descriva. Prima di tutto si chiama Eugenia ed baronessa. una donna sui trentacinque o sui quaranta, ma sembra in verit che ne abbia venti. Grande, complessa, levigata, con una bianchezza di carnagione che non ce n' un'altra e con due occhi neri come carboni. Li muove poi in un certo modo ed ha

certi atti graziosi, come dice Vernon, che gli hanno tutte queste benedette Francesi, che non si pu star fermi a guardarle. Vedi se sono acceso. Per ti ho detto questo, non per me, che non c'entro, ma per farti intendere quello che voglio dire appresso. Io, in somma, non ho fatto e non fo che ammirarla, e tu, non ti aspettare altro, e non temere di niente. C' altri invece che l'ammira pi di me, e non credo che abbia torto; bench, a dirti la verit la mi secchi un poco, visto che non m' piaciuto mai trovarmi negli impicci, anche come semplice testimone delle cose strane che accadono agli altri. Le stranezze non mi son mai andate a sangue. Tu non capirai troppo questo mio latino. Forse mi spiegher meglio, se ne sar il caso. Subodoro un dramma. Cos, se te ne scrivo, le mie lettere saranno pi svariate e interessanti che se ti parlassi di me, il quale non fo niente, non penso a niente e non m'impiccio di niente. Sta sano e non ti scordare dell'amico che ti vuol bene. MICHELE Copia di una lettera spedita in data 23 giugno 1813 da Lione a Napoli. Per la prima volta in vita mia manco a una promessa o piuttosto la mantengo a mezzo e ci fo ogni sorta di restrizioni mentali. Potrei a dirittura non scrivere; ma tu mi ci obblighi, volendo in tutti i modi ch'io ti parli di me e delle cose che mi succedono, io che son forse l'unica persona al mondo cui non sia successo mai niente. Vedi bene che piglio le vie larghe e fuggo le scorciatoie, tanto mi riesce malagevole il nascondere la verit o il velarla in parte. Sia come si voglia, tu hai da pigliarmi come sono. Parrebbe dunque che il Vernon tu lo conosca davvero e sia quella eccellente persona che tu dici. Figurati se mi vi oppongo, tanto pi che al tuo giudizio si aggiunge il gran conto che di lui fa il ministro Zurlo. Ho forse inteso male, credendo che anche il re ne ha molta stima in qualit di amico intimo di uno dei suoi pi cari compagni d'arme? In somma, tante considerazioni mi ligano la lingua e la mano, non gi perch io dubiti di te, ma piuttosto perch non posso avere in me stesso la fiducia di prima, essendomi ingannato non poco sul giudizio dato alla prima sulla persona del brillante ufficiale. Il dramma ci sar o non ci sar, lasciamo andare; non prudente immischiarsi nelle faccende altrui, tanto pi quando sono faccende che si svolgono fuori di noi, senza nostro intervento, alle quali non prendiamo altra parte che di testimoni. No, senti, il tuo sospetto ch'io mi possa innamorare mi ha fatto ridere di cuore. Ci non toglie mente affatto alle qualit veramente singolari di una signora come la baronessa Duplessy. Quanto te n'ho detto anche poco, visto che io non ci ho messo dentro quel calore che avrei dovuto e che tu gratuitamente mi attribuisci. La

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baronessa una donna eccezionale non solo per la bellezza giunonica della persona e per la dignit grande e nondimeno graziosa degli atti e delle parole, ma per la cultura varia e gentile, per la conversazione vivace, per quella prontezza, che questi Francesi hanno in grado eminente, di essere amabili sempre e con tutti, di metter su e di tener desto un qualunque argomento nudrito di niente e di pigliare a cuore tutto ci che gli altri dicono, quando pure non possa loro premere gran fatto. Aggiungi a questo un'altra qualit nuova, che sulle prime non avevo scoperto, e che per me rende questa donna un vero modello di perfezione. La baronessa pure essendo donna di gran mondo, sa essere nel tempo stesso, ed , una donna di casa, una donna, come intendo io le donne, buona e assegnata cio profondamente innamorata del marito. Di ci mi sono avveduto a pi segni, e lo stesso Vernon, che intimo della casa, lo riconosce volentieri, bench la sua naturale leggerezza non gli dovrebbe fare apprezzare un merito che per gli scapoli come lui peccato mortale. Forse non estranea a cotesto suo sentimento l'amicizia che lo lega al generale e il rispetto che questi incute con la nobilit affettuosa del suo carattere.

La baronessa, se non lo sai, e non lo puoi sapere perch non te l'ho detto, bench non faccia che parlarti di lei, la baronessa deve amare il generale per due ragioni forti; per quella che or ora t'ho accennata e per un'altra: ragione di cuore e ragione di memoria, se cos posso dire; e tutte e due vengono in parte a cancellare un certo divario d'et che a momenti d al generale l'aria d'uno zio o d'un tutore. Se vuoi il dramma, visto che un dramma t'ho promesso, ecco il dramma, il quale s' svolto tanti anni fa e s' risoluto in una catastrofe, e che nondimeno mi ha commosso ier l'altro sera fino alle lagrime, come se ne fossi stato testimone. Anche la baronessa piangeva, il che mi ha provato luminosamente la bont dell'animo di lei e come le donne siano delicate nel conservare la religione di certi affetti e di certe memorie. Il fatto era narrato dallo stesso generale a Vernon e a me e a

parecchi altri amici che pel solito si raccolgono in casa di lui. Qualcuno gi lo sapeva, altri no; ed io era fra questi ultimi. La baronessa, dunque, per singolare che la cosa ti possa parere, si sposata al generale in seguito a una battaglia e alla presa di una piazza. Non fu lui il generale che prese la piazza, perch allora non era che capitano e il suo generale si chiamava Lefebvre. Invece prese moglie. Si batteva da disperato, ed insieme con lui era un amico d'infanzia, quasi un fratello, un certo De Montreuil, luogotenente. Questi gli mor ucciso fra le braccia. Ora la baronessa per l'appunto una De Montreuil, sorella del morto. L'ultimo pensiero del povero ufficiale ferito fu per la sorella, che rimaneva sola al mondo, senza fortuna e senza protezione. La raccomand all'amico. Tu capisci il resto. Il capitano, bench fosse pi grande di venti anni, volle dare il proprio nome alla giovinetta di quindici. Il sentimento di protezione si and mutando a poco a poco in affetto, e poi in amore; e cos in lei alla fiducia tenne dietro la gratitudine e a questa si aggiunse in seguito un sentimento pi tenero e duraturo. Ti avrei voluto presente a questo racconto, e non avresti trovata strana la mia narrazione. Bisognava vedere con che calore il generale rievocava quel suo passato e come dipingeva la battaglia e quegli ultimi momenti dell'addio, e come si addolcisse nei modi e nella voce quando venne a parlare di lei ch'era presente, della sorella dell'amico suo, di tutto l'amore che le portava. La baronessa, bench non dicesse parola, esprimeva con gli occhi pi di quanto avrebbe potuto dire il discorso pi eloquente; e Vernon, anche lui, se ne stava ad ascoltare in silenzio e con deferenza, ed era pallido come dovevo essere anch'io. Fatto sta che il generale parlava di cotesto suo De Montreuil come di persona viva, tanto lo aveva presente, e diceva di rivederne i tratti, e ce li descriveva, non solo nel viso ma anche e molto pi nel cuore della sua Eugenia. Eccoti dunque il dramma, poich lo volevi, e vedi bene che io non ci avevo parte per nessun verso. Non t'ho detto, n mi pare di averti dato luogo a sospettare, che ce ne sia un altro dei drammi oltre a questo. Se qualche parola m' sfuggita in principio sul conto di Vernon, gli che non lo conoscevo; n adesso mi so spiegare in che maniera io fossi andato architettando tutto un edificio di sospetti e fabbricandolo sull'arena. Tu poi non correre con la fantasia pi in l di quanto io ti dico n mi far dire certe cose che non ho detto? vero, e te lo ripeto, che Vernon non gode tutte le mie simpatie; ma ci non intacca punto la sua rispettabilit, n mi d il diritto - e molto meno lo pu dare a te - di pensare men che bene del suo carattere integro di militare e di amico. Contntati del dramma storico e non chiedere altro. Ne sono contento anch'io; perch se fosse stato altrimenti, te l'assicuro pel bene

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che ti voglio, mi sarei allontanato prima d'adesso dal teatro degli avvenimenti, tornando a quella tranquillit i pensieri e di fatti che costante mia aspirazione e che auguro con tutto il cuore a te e a tutte le persone oneste. Ti abbraccio col solito affetto. MICHELE Copia di una lettera in data 21 agosto 1813 da Lione a Napoli. Se per tanto tempo non t'ho scritto, adesso ne saprai il perch. Una mia breve letterina, dove ti davo l'annunzio del fatto, o non t' stata recapitata o t' sembrata insufficiente. In somma, tu vuoi sapere di pi, forse perch ti pare che la lontananza abbia potuto esagerare le voci o mutare le linee generali di un avvenimento, che ha tutti i caratteri del favoloso e che vien riferito in tanti modi diversi per quante sono le persone che lo raccontano. Io, che ne sono stato testimone, mi trovo in grado di dirti tutto; e dico a te quel che ad altri non direi, perch, a quanto rilevo dalla tua lettera, la notizia prima, per quanto incredibile, ti venuta dallo stesso conte Zurlo, il quale pare l'abbia raccolta in Corte dalla bocca stessa del Sovrano. Cos la cosa ti parr meno strana di quanto in effetto e non sarai corrivo a darmi del burlone o del novellatore. In verit, son cos poco l'uno o l'altro, che anche adesso, nell'accingermi a narrarti la tremenda catastrofe, mi sento turbato profondamente, e duro fatica a raccogliere le mie idee. Come dunque ti noto, era la sera del 3 di questo mese, e si stava tutti raccolti in casa del generale Duplessy, per solennizzare una festa di famiglia, la nascita della sua bambina di cui ricorreva il quarto anniversario. Quando dico tutti, bisogna intendere che eravamo anche in maggior numero del solito: una diecina d'amici e due signore vicine che erano venute a far visita alla moglie del generale. Mancava Vernon; e a prima sera io credetti, e cos credevano tutti, ch'egli sarebbe arrivato pi tardi, trattenuto forse da qualche sua faccenda, da una partita a carte o da qualche suo intrighetto amoroso. Il generale domandava a tutti i momenti: "Dov' il mio caro Vernon? com' che non si vede?" Perch davvero, col suo spirito vivace e irrequieto, con quella sua turbolenza che in principio mi dispiaceva, egli dava anima alla conversazione, si moltiplicava, discorreva senza posa di tutto e con tutti e faceva pensare che le dieci persone fossero venti o trenta. Povero Vernon, chi l'avrebbe mai detto. Ti giuro che anche adesso, bench dia ragione a quel mio primo

sentimento di ripulsione da lui ispiratomi, non mi so liberare da una profonda piet per la sua sorte sciagurata! Basta, egli non veniva e non venne: tanto che verso la fine della serata, lo stesso generale, messosi l'animo in pace, non lo cerc altrimenti e si abbandon volentieri alla dolcezza del suo sentimento di padre e di sposo e della conversazione familiare tutta spirante affetto ed onesta gaiezza. Ti confesso schiettamente, per quanto la cosa non torni a lode del mio spirito di osservazione, che il contegno della baronessa Eugenia non mi sembr per nulla diverso dal solito. Sicch quello che dir qui frutto piuttosto della mia memoria che di altro. O se pure qualche ombra fugace mi pass davanti, questa non prese corpo di sospetto, ed io pensai pi volentieri a una cattiva disposizione del mio umore, anzi che a un qualunque turbamento in persona della bella padrona di casa. Poco prima della mezzanotte - forse mancava mezz'ora o tre quarti - si sparecchi la tavola da una specie di cenetta che ci era stata offerta, e in fine della quale la bambina del generale aveva declamato, con una vocina commossa e tutta rossa in viso, certi versetti menati a mente in onore e in augurio degli amati genitori cui augurava col suo cuoricino cento anni di vita e di felicit. N'era stata compensata col pi gran successo che sia mai toccato ad alcun poeta al mondo, perch il babbo e la mamma e tutti noi, uno per uno, si volle abbracciarla e baciarla e farle cento domande. Negli occhi del generale, pel solito cos fieri ed arditi, scersi una lagrima di tenerezza ch'egli non cerc di nascondere e che fu accompagnata da un sorriso di affetto e di bont rivolto alla moglie. Poi, stando in queste dimostrazioni intime e soavi, si pens anche a metter su qualche giochetto, per prolungare la serata oltre l'usato, dopo che la bambina fosse stata messa a letto. E cos fu fatto; perch, chiamata la governante, la cara angioletta di a tutti la buona notte e spar con quella come una visione. Mi studio di dirti le cose in ordine; ma sento che non vi riesco come vorrei. Perdonami e vieni tu in aiuto al mio difetto. Fu allora dunque, dopo qualche momento che la bambina ci aveva lasciati, che un servo si mostr sulla soglia del salotto e domand licenza di venire avanti. Ottenutala, si avanz verso il suo padrone e rispettosamente gli disse qualche parola a bassa voce. "A quest'ora!" esclam il generale. "Dite che non ricevo. Ed io che avevo pensato si trattasse di Vernon!" "Dice che la cosa urgentissima" ribatt con ossequio il servo. "Chi ?" domand la baronessa, che in quel momento, come dopo mi son ricordato, era pallida e nervosa. " anche possibile che sia quel matto di Vernon" feci notare io "il quale abbia voluto fare uno scherzo". "No" rispose il servo a un'occhiata interrogativa del padrone "non il luogotenente Vernon". "Bene" conchiuse il generale "andate. Non ricevo a

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quest'ora". Il servo obbed con una certa riluttanza, come se fosse persuaso dell'inutilit di quell'imbasciata. Difatti, lo vedemmo tornare di l a poco e di nuovo accostarsi al padrone. Questa volta si chin alquanto, quasi per non essere udito dagli altri. "Ancora?" esclam il generale con impazienza. Il servo si chin pi basso e bisbigli qualche parola, che non giunse fino a noi. "Impossibile!" grid il generale, balzando di scatto in piedi. E, senza rispondere altrimenti alle domande affrettate della moglie e nostre, usc dal salotto, precedendo il servo che si tir da parte per farlo passare. Rimanemmo in silenzio, aspettando. Non so come, quel nostro silenzio era forzato e quell'aspettazione aveva in s del pauroso. Nessuno fra noi avrebbe potuto dire di temere qualche cosa; eppure tutti temevano, o per meglio dire tutti ci sentivamo come sotto l'oppressura di una forza arcana, come soffocati da un'aria grave e minacciosa. Cos fu che, all'udire un passo che veniva di fuori, tutti ci volgemmo ad un tempo verso la porta. Il generale tornava. Entr lentamente, and al suo posto di prima e non si mise a sedere. Appoggi le mani alla spalliera della sua poltrona e stette muto. Era pallidissimo. Mi parve vederlo invecchiato di dieci anni, tanto erano visibili le rughe che gli solcavano la fronte. "Ebbene?" diss'io per il primo, osando di rompere quel silenzio penoso. Il generale alz gli occhi e li gir intorno guardandoci bene il viso, come per riconoscerci. Poi sorrise leggermente; ma quel suo sorriso aveva non so che di lugubre e di spettrale. "Sentite" disse alla fine "accade qualche cosa di terribile". Questa parola in bocca d'un uomo come il generale Duplessy era terribile veramente. Pendevamo dalle sue labbra, trattenendo quasi il respiro. La baronessa s'era alzata e gli era andata vicino e in atto amorevole gli avea messo una mano sulla spalla. Il generale la guard e fu preso a un tratto da una commozione violenta, che si studi subito di contenere. Poi, rivolto a noi, disse semplicemente e con voce lenta e pronunciando bene ciascuna parola: "Ci lasceremo fra poco. Forse non ci rivedremo pi". E mentre qualcuno faceva per rispondere, egli soggiunse: "Manca a mezzanotte un quarto d'ora". Avea fatto uno sforzo e fu obbligato di mettersi a sedere. Gli torn sulle labbra quel sorriso di prima, come se volesse anticipare l'effetto che avrebbe prodotto in noi la sua comunicazione. Poi disse:

"Ho avuto or ora una visita dall'altro mondo. Ho riveduto l'amico De Montreuil". Per quanto la cosa fosse detta sul serio e quasi solennemente, non ci fu in mezzo a noi un solo che non sorridesse. Anzi qualcuno lev la voce, cercando di assumere un tono di allegria e d'incredulit. Il generale non si oppose recisamente. Si content di crollare il capo, mentre soggiungeva: "Ha mantenuto la promessa. Mi ha avvertito dell'ora della mia morte". Poi guardando all'orologio a pendolo attaccato alla parete che aveva alle spalle, "Mancano ancora dieci minuti", conchiuse. Difatti, mancavano dieci minuti a mezzanotte. Ma la cosa era cos strana che ci sarebbe sembrata puerile, se non fosse stato il gran rispetto che avevamo pel generale, e pi ancora l'agitazione dalla quale lo vedevamo in preda. Ci guardavamo l'un l'altro e uno stesso pensiero balen a tutti, che ci fece temere della ragione del nostro amico. Almeno ci fosse stato Vernon, che avea tanto potere su di lui! Per tutto il resto, e a parte la impossibilit di quella comunicazione soprannaturale, il generale era un uomo forte, che avea salute da vendere e non avea niente affatto l'aspetto di un uomo che stia in fine di vita. Tutte queste riflessioni furono fatte dagli altri e da me, rapidamente, n per alcun segno ce le comunicammo. Si cerc in tutti i modi di calmare il generale e di persuaderlo della vanit della sua allucinazione. Parve egli stesso rassicurarsi o ne fece le viste. Uno di noi anzi, con grande accortezza e sollecitudine, seppe accostarsi all'orologio a pendolo e con un dito ne avanz le lancette. Poi torn nel circolo, come se niente fosse, proponendo: "Bene. Resteremo qui a far compagnia al generale fino a mezzanotte e un quarto. Cos almeno l'ora fatale ci trover insieme e noi la saluteremo come l'ora della gioia e della speranza". La proposta fu accettata con entusiasmo. Lo stesso generale e la baronessa se ne mostrarono contenti. Si ud un primo squillo, poi un altro ed un altro. L'orologio batteva la mezzanotte. Non ti nascondo la verit; io stesso mi sentii come sollevato da un gran peso, e trassi un sospiro di sollievo. La baronessa torn a sorridere e ad animarsi. Il generale, bench sempre incerto e turbato, parve uscisse da un sogno e si guard intorno con un sentimento rinnovellato e pi forte di affetto e di benessere.

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Quello che accade dopo, eccolo. Noi tutti ci accomiatammo, di l a poco, quando l'indice dell'orologio stava per toccare un quarto dopo la mezzanotte. Eravamo contenti di vedere quasi del tutto rassicurato il generale e nell'andar via ci si rallegrava l'un l'altro dell'inganno innocente, che gli avremmo senz'altro rivelato il giorno appresso. Quando furono soli - come seppi dopo e come sai tu stesso - il generale entr in una camera contigua a quella della baronessa e si accost ad un armadio per toglierne non so che cosa. Pose la mano sulla chiave, trasse a s gli sportelli. Nel punto stesso, una detonazione si ud e una nube di fumo emp la camera. Il generale Duplessy cadeva fulminato da un colpo di pistola partito dall'interno dell'armadio. Questa la storia vera dei fatti. Vernon, giudicato e condannato dalla Corte marziale, stato fucilato nella schiena. In quanto alla baronessa e alla sua bambina, t'importer di sapere....

Manca il resto del manoscritto. Una noterella a pi di pagina, vergata nella stessa scrittura delle tre copie, dice: A muliere initium factum est peccati, et per illam omnes morimur. Convertere, Domine, et eripe animam meam: salvum me fac propter misericordiam tuam. Amen.

Raccontidioggi.InquestasezionedelloZibaldonetrovanospazioraccontidiautoridioggi.Nonvipresetazione:essisi presentanodasoli,attraversoiloroscritti.

ILGAMBETTODIHORWITZdiFargo

Era unisola delle Maldive quella riprodotta sulla cartolina che ritirai dalla cassetta della postaversolametdelloscorsomesedigiugno. Un disco bianco con unamacchia di verdeal centro: cos appariva Kudahiti, unisola delle Maldive, una di quelle che per girarla tutta bastano dieci minuti. Il commento che laccompagnavarendevachiarocheilmittente avevatrascorsolaggigiornispeciali.Eionefui felice perch non soltanto il suo sogno, ma ancheilmioseraavverato. Tutto ebbe inizio una sera destate, quando alcuni ebrei russi, che erano usi vendere cianfrusaglie di ogni tipo nel mercatino della mia citt, portaronoscacchiescacchiere, prontiagiocareconchiunque ne avesse avuto voglia. Giocare a scacchi stata sempreunamiapassioneenon nego, quando li vidi per la primavolta,chelatentazione di confrontarmi con qualcuno di loro fu forte. Pi che la sconfitta,cheipotizzavocerta, afrenarmifulapauradifarebruttafigura.Non ero pronto ad affrontare un impegno tutto sommatogravoso.Nellamiaadolescenzaavevo lettoqualcosadiscacchieancheapprofondito qualche apertura, ma mi erano mancati la dedizioneelospiritodisacrificionecessariche ilgiocorichiedeperfareprogressiapprezzabili. Siccheroemisentivounappassionatoappena ungradinoaldisopradelnovizio. Irussiinvece,daquelcheso,studianoscacchi allescuoleelementariesenonfossestatoper Bobby Fisher, lamericano che nel 1972 ne interruppelostrapotere,avincereicampionati

delmondosonostatisoltantoloro. Nonostante la mia conclamata, e riconosciuta, debolezza, i pedoni, gli alfieri, i cavalli e i quadrati bicolori delle scacchiere, esercitavano sudimeunfascinoirresistibile.Cos,spintodal vorrei e non vorrei, presi a frequentare il mercatino sempre pi spesso, per guardare le partitediscacchicheglialtrigiocavano.Unun giorno, chiss perch, caddi in tentazione e sedetti davanti ad una scacchiera disposto a sostenere limpegno di una partita. Non fu la speranzadiunimprobabilevittoriaaspingermi adosare,mapiuttostolincoscienza,cheaveva trovatoilsuoalleatoinunavogliadiconfronto chenoneroriuscitoatenereafreno.Ricordo che allinizio ero teso e che il mio cervello faticavaatrovarelagiustaconcentrazione.Cos, come fu naturale che fosse, nonebbifortuna.Alladecima mossa la mia partita era gi compromessa. Con i pezzi completamente bloccati, non riusciialiberarmidallassedio stringente del mio avversario elattaccosuicidadirisposta chescagliaiapocoserv. Perderenon maipiacevole. A scacchi lo ancor meno, ancheseabattertiunodigranlungapiforte di te. Con falsa cortesia ringraziai il mio aguzzino,trovandoilcoraggiodifareunsorriso, emeneandaiconlacodafralegambe,comeun canebastonato. Ignoravoquellaseradiessermiimbattutoinun personaggio straordinario perch tale, Lev Horwitz,ingegnereinformaticodiMosca,era echelamiavita,nonsolodiscacchista,daquel giornosarebbecambiatapersempre. Io e Lev scoprimmo daver feeling. Questo particolareapparveinmanierachiaraatuttie due. Nel rapporto di amicizia che nacque ognunodetteericevetteinegualmisura,non

solointerminiaffettivi:ioloportavoingiro conlamiaauto,consentendoglidiscoprireun mondoaluicompletamentesconosciuto,luisi adoperava con grande pazienza per farmi diventarequellochenoneromaistato:unvero giocatorediscacchi. Tuhailecapacitgiusteperdiventareuno scacchistadivalore.midicevaspesso,deluso dalla mia dappocaggine. Perch non hai dedicatopitempoaquestogioco?Sorrisidallo

LoZibaldonedelpoveroVic,pag.20

scetticismo:aqualimiepresuntecapacitlui facevariferimento? Sonopigro,detestostudiareeesitaidi propositonelrispondereeodiolaviolenza. Conquestaaffermazionecredevodisuscitare perplessit nel mio interlocutore. Ma lui non feceunapiega. Hairagione.rispose.Sbagliadigrossochi pensachegliscacchisianoungioco.Inrealt sulla scacchiera avviene qualcosa che rassomiglia di pi ad una guerra. Incruenta, certo,mapursempreunaguerra.Perchpiche loscaccomatto,igiocatoricercanodiaffermare lapropriasupremazia.Soprattuttomentale. Sono contento che tu la pensi come me, replicai,soddisfattodiaverdettounacosasugli scacchicheilrussocondivideva.Giocareperme sofferenzae,quandoescobattuto,avreivoglia di spaccare la scacchiera in testa al mio avversario. Non c dubbio. Nel momento in cui le


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